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La Giurisprudenza

Cass. civ., sez VI, sentenza n. 2064, del 28 gennaio 2011

Massima - In tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda
proposta dal consumatore finale nei confronti del professionista o dell’imprenditore che abbia
effettuato la cessione del bene o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle
maggiori somme addebitategli in via di rivalsa per effetto dell’applicazione di
un’aliquota asseritamente superiore a quella prevista dalla legge: poiché, infatti, soggetto
passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua la cessione di beni o la prestazione di
servizi, la controversia in questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente
ed Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra soggetti privati.

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Fatto - Il sig. G.B. ha proposto ricorso dinanzi al giudice di Pace di


Venezia perchè ingiungesse alla V.. S.p.a. la restituzione, in suo favore,
della somma indebitamente corrisposta a titolo di IVA, in occasione del
pagamento della Tariffa di Igiene Ambientale (TIA).
Il B. sostiene che la natura di obbligazione tributaria della TIA,
riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 238 del 2009,
esclude che il pagamento di tale tributo possa essere gravato da altro
tributo.
Lo stesso B. ricorre oggi dinanzi a queste SS.UU., ai sensi dell’art. 41
c.p.c., e chiede che venga risolta preventivamente la questione di
giurisdizione, difendendo la scelta operata a favore del giudice ordinario.
La V.. S.p.a. resiste con controricorso ed eccepisce che, trattandosi di
un rimborso di imposta (iva nella specie), la giurisdizione appartiene al
giudice tributario.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378
c.p.c.. Il P.G. ha concluso come in atti.

Diritto - Ritiene il Collegio che la controversia debba essere giudicata


dal giudice ordinario.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è motivo di
discostarsi, "In tema di IVA, spetta al giudice ordinario la giurisdizione
in ordine alla domanda proposta dal consumatore finale nei confronti del
professionista o dell’imprenditore che abbia effettuato la cessione del bene
o la prestazione del servizio per ottenere la restituzione delle maggiori
somme addebitategli in via di rivalsa per effetto dell’applicazione di
un’aliquota asseritamente superiore a quella prevista dalla legge: poichè,
infatti, soggetto passivo dell’imposta è esclusivamente colui che effettua
la cessione di beni o la prestazione di servizi, la controversia in
questione non ha ad oggetto un rapporto tributario tra contribuente ed
Amministrazione finanziaria, ma un rapporto di natura privatistica tra
soggetti privati, che comporta un mero accertamento incidentale in ordine
all’ammontare dell’imposta applicata in misura contestata" (Cass. SS.UU. n.
2775/2007; cass. nn. 6632/2003, 1147/2000). Il principio resta valido anche
quando, come nella specie, il debito iva venga totalmente contestato. Si.
tratta, in ogni caso, di una controversia tra privati, alla quale "resta
estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà
- soggezione, proprio del rapporto tributario" (Cass. SS.UU. n. 15031/2009).
Nè rileva la circostanza che il giudizio sulla richiesta di rimborso
dell’iva implichi la necessità di accertare se l’imposta fosse dovuta e
quale sia la natura dell’obbligo di pagare la TIA. Infatti, nelle
controversie tra privati, che abbiano ad oggetto la richiesta di rimborso di
una imposta che si assume essere stata indebitamente pretesa dalla
controparte (non identificabile in uno dei soggetti di cui al D.Lgs. n. 546
del 1992, art. 10), il giudice ordinario competente ha sempre il potere "di
sindacare in via incidentale la legittimità dell’atto impositivo ove sia
presupposto e di disapplicarlo, ovvero di disporre la sospensione del
giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in caso di contemporanea pendenza
del giudizio tributario" (Cass. SS.UU. 15032/2009).
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le controversie relative
all’indebito pagamento dei tributi seguono la regola della devoluzione alla
giurisdizione speciale del giudice tributario soltanto quando si debba
impugnare uno degli atti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e, di
conseguenza, il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nel
D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10. Quando la controversia si svolga tra due
soggetti privati in assenza di un provvedimento che sia impugnabile soltanto
dinanzi al giudice tributario, il giudice ordinario si riappropria della
giurisdizione e non rileva che la composizione della lite debba passare
attraverso la interpretazione di una norma tributaria. L’odierna
controversia ha ad oggetto la legittimità del diritto di rivalsa esercitato
dalla V.. s.p.a. "il fatto che il diritto alla rivalsa sia previsto da una
norma tributaria non trasforma il rapporto tra soggetti privati in un
rapporto tributario, di tipo pubblicistico, che implica invece l’esercizio
del potere impositivo nell’ambito di un rapporto sussumibile allo schema
potestà - soggezione" (Cass. n. 15031/2009). In definitiva, "Se manca un
soggetto investito di potestas impositiva intesa in senso lato manca anche
il rapporto tributario, cosi come se manca un provvedimento che sia
espressione di tale potere non si configura la speciale lite tributaria che,
per definizione, nasce dal contrasto rispetto ad una concreta ed
autoritativa pretesa impositiva" (idem).
Il Collegio non ignora che con ordinanza n. 18721/2010, la quinta
sezione civile di questa Corte ha rimesso al giudizio della Corte di
Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi degli artt. 267 del Trattato
istitutivo dell’Unione e art. 295 c.p.c., la questione della compatibilità
del disallineamento dei termini entro i quali il consumatore finale ed il
soggetto iva possono agire per ottenere il rimborso: termine decennale per
il primo e biennale per il secondo, con la conseguenza che quest’ultimo
resta definitivamente inciso ove il primo agisca per il rimborso dopo il
biennio, violando i principi di effettività, di non discriminazione e di
neutralità fiscale.
Ritiene il Collegio che non sia necessario sospendere l’odierno giudizio
in attesa della decisione della CGUE.
Infatti, la soluzione della questione pregiudiziale sollevata dinanzi al
giudice comunitario, pur potendo involgere profili processuali, non può
determinare un ampliamento dei limiti delle giurisdizioni speciali, fissati
in maniera inderogabile dalla Costituzione. Su tali limiti, quando non sorga
un problema di incostituzionalità, la competenza a decidere in via esclusiva
appartiene a questo Collegio.
Conseguentemente, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Le spese di questo giudizio vanno compensate, tenuto conto delle
oscillazioni giurisprudenziali registrate prima della formazione della
recente giurisprudenza applicata nella specie.

P.Q.M. - La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e


compensa le spese.

Cass. civ., sez Unite, sentenza n. 1864, del 27 gennaio 2011

Massima - La questione di giurisdizione rientra fra quelle proponibili anche per la prima volta in
appello. La devoluzione della controversia alla cognizione delle Commissioni tributarie
presuppone la natura fiscale della pretesa fatta valere nei confronti del destinatario dell’atto
impugnato.

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Fatto e Diritto - rilevato che a seguito della sottoposizione di A.G. a


procedimento penale conclusosi con la sua condanna anche al pagamento della
multa, delle spese processuali e dell’ammenda per inammissibilità del
ricorso in cassazione, la concessionaria del servizio della riscossione
nella Provincia di Napoli, L. spa, gli ha notificato una cartella
esattoriale per il pagamento di complessivi 21.477,80 Euro per "Cassa
Depositi e Prestiti, Cassa Ammende, Registro Multe - Ammende - Sanzioni
amm.ve e Registro recuperi Spese Giustizia";
che l’intimato l’ha impugnata davanti alla Commissione Tributaria
Provinciale di Napoli, che in accoglimento del ricorso ha annullato l’atto
impugnato;
che l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate ha interposto appello,
deducendo che si trattava di materia non rientrante nella giurisdizione
delle Commissioni Tributarie;
che la Commissione Regionale ha dichiarato, però, l’inammissibilità del
gravame perchè basato su questione dedotta per la prima volta in appello;
che l’Agenzia delle Entrate ha censurato l’anzidetta statuizione, asserendo
che il giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere l’ammissibilità
dell’eccezione e decidere nel merito, declinando la giurisdizione in favore
del giudice ordinario; che l’A. ha resistito con controricorso, con il quale
ha sostenuto l’infondatezza e, prima ancora, l’inammissibilità del ricorso,
in quanto la controparte aveva lamentato la violazione del D.Lgs. n. 546 del
1992, art. 57, con riferimento al n. 4 anzichè al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.;
che così riassunte le rispettive posizioni delle parti e premesso, altresì,
che la (peraltro insussistente) erroneità del richiamo al n. 4 in luogo del
n. 3 dell’art. 360 c.p.c., non avrebbe potuto comportare l’inammissibilità
del ricorso, osserva il Collegio che in base al combinato disposto del
D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 3 e 57, la questione di giurisdizione rientra
fra quelle proponibili anche per la prima volta in appello (v., in tal
senso, anche C. Cass. 2008/24883);
che tanto puntualizzato, rimane unicamente da aggiungere che la
giurisdizione delle Commissioni presuppone la natura tributaria della
controversia, essendo stata, fra l’altro, dichiarata l’illegittimità della
norma che riservava loro anche la cognizione delle sanzioni comunque
irrogate dagli uffici finanziari (Corte cost. 2008/130); che nel caso di
specie si tratta, invece, di crediti non aventi carattere fiscale, per cui
va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale si
rimettono le parti previa cassazione della sentenza impugnata;
che in considerazione del loro esito, stimasi equo compensare per intero
fra le parti le spese dei giudizi di primo e secondo grado, condannando l’A.
al pagamento di quelle della presente fase di legittimità, che si liquidano
in complessivi 3.200,00 Euro, 200,00 dei quali per esborsi, oltre le spese
prenotate a debito.

P.Q.M. - La Corte, a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione dell’AGO,


accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rimette le parti davanti
al competente giudice ordinario, compensa per intero fra di loro le spese di
lite delle fasi di merito e condanna l’A. al pagamento di quelle del
presente giudizio di legittimità, liquidando le stesse in complessivi
3.200,00 Euro, 200,00 dei quali per esborsi, oltre le spese prenotate a
debito.
Cass. civ., sez Unite, sentenza n. 1782, del 26 gennaio 2011

“La prestazione per l’iscrizione all’Albo degli avvocati è una tassa a tutti gli effetti. Infatti, le
controversie sui contributi che i legali devono versare all’Ordine o al Cnf vanno devolute al
giudice tributario. Ciò perché il sistema normativo riconosce all'ente "Consiglio", “una potestà
impositiva rispetto ad una prestazione che l'iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo
alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell'albo), al
pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all'ordine”. Questa "tassa" si
configura come una "quota associativa" rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto
l'iscrizione all'albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione”.

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Svolgimento del processo - La controversia nasce a seguito dell’invio da
parte di Equitalia Gerit di un avviso per la riscossione in favore del
Consiglio Nazionale Forense a carico degli avvocati del foro di Roma non
abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori per la
riscossione del contributo annuale previsto dal D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944,
art. 14, contributo che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
aveva deciso di non continuare a riscuotere a decorrere dal 2001, ritenendo
che lo stesso non fosse dovuto.
Contestando radicalmente la legittimità del preteso contributo, un
gruppo di avvocati ha citato innanzi al Giudice di Pace di Roma il Consiglio
Nazionale Forense, il quale in questa sede ricorre per regolamento
preventivo di giurisdizione a favore del giudice amministrativo, o, in via
subordinata, a favore, del giudice tributario. Si sono costituiti con
distinti controricorsi, da un lato, gli avv.ti A.M., S.M. e M.S.,
dall’altro, gli avv.ti M.A., B.F., K.B., C.F.D. F.L., M.M., A.S.. Tutte le
parti hanno depositato memoria.

Motivazione - 1. Preliminarmente va rilevata l’infondatezza della


contestazione svolta dal difensore delle parti controricorrenti
(esclusivamente in sede di udienza di discussione) circa un supposto difetto
di rappresentanza del Presidente del CNF. Infatti, l’art. 6, comma 1, del
"Regolamento per le attività del Consiglio Nazionale Forense" approvato
nell’ottobre 1992 prevede che “il Presidente rappresenta, dirige, presiede
il Consiglio Nazionale Forense e ne coordina l’attività”.
2. Il Consiglio Nazionale Forense, nella prospettazione principale del
proprio ricorso, pone in evidenza come dalla lettura dell’atto di citazione
emerga che gli attori contestano, non il singolo provvedimento adottato nei
loro rispettivi confronti, ma “l’atto generale presupposto con cui il CNF ha
deciso di richiedere a tutti gli avvocati il contributo annuale di Euro
25,8, ai sensi del D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 14”. Oggetto della
contestazione è Vati della pretesa del Consiglio Nazionale Forense, non
l’avviso di pagamento, o il quantum della pretesa o la possibile conseguenza
derivante dal mancato pagamento. Per queste ragioni, la giurisdizione
spetterebbe al giudice amministrativo.
3. Il Consiglio Nazionale Forense, nella prospettazione subordinata del
proprio ricorso, prospetta la possibilità che la controversia sia
attribuibile alla giurisdizione del giudice tributario, stante la nuova
formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, il quale assegna a tale
giurisdizione, appunto, tributi di ogni genere e specie comunque denominati.
4. È questa la soluzione che appare più corretta e coerente con il
sistema. Anche se il D.Lgs.Lgt. n. 382 del 1944, art. 14, denomina
"contributo", la prestazione dovuta dagli iscritti nell’albo per le spese
del funzionamento del Consiglio (Nazionale Forense), tale denominazione è
irrilevante al fine di determinare (od escludere) la natura tributaria della
prestazione. Questa, infatti, ha le stesse caratteristiche e scopi della
"tassa" (così denominata, secondo un linguaggio tipico del diritto
tributario) prevista dall’art. 7 del medesimo decreto. Tale norma, al comma
2, prevede che “il Consiglio (dell’Ordine) può, entro i limiti strettamente
necessari a coprire le spese dell’ordine o collegio, stabilire una tassa
annuale, una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per
l’iscrizione nell’albo, nonchè una tassa per il rilascio di certificati e
dei pareri per la liquidazione degli onorari”.
5. Il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all’ente
"Consiglio", una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che
l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità
di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione
nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza
all’ordine. Siffatta "tassa" si configura come una "quota associativa"
rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione
all’albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della
professione.
6. Sussiste in tal modo, uno degli elementi che caratterizzano il
"tributo": la doverosità della prestazione. Chi intenda esercitare una delle
professioni per le quali è prevista l’iscrizione ad uno specifico albo, deve
provvedere ad iscriversi sopportandone il relativo costo (la tassa di
iscrizione e la tassa annuale), il cui importo non è commisurato al costo
del servizio reso od al valore della prestazione erogata, bensì alle spese
necessarie al funzionamento dell’ente, al di fuori di un rapporto
sinallagmatico con l’iscritto.
7. Ecco, quindi, il secondo elemento perchè sia riconoscibile la "natura
tributaria" della prestazione: il collegamento della prestazione imposta
alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante. Il
presupposto, nella specie, è costituito dal legittimo esercizio della
professione per il quale è condizione l’iscrizione in un determinato albo.
La spesa pubblica è quella relativa alla provvista dei mezzi finanziari
necessari all’ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo
specifico nell’esercizio della funzione pubblica di tutela dei cittadini
potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la
legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni.
8. Tali considerazioni trovano conforto nella giurisprudenza di queste
Sezioni Unite che hanno riconosciuto, proprio sulla base della nuova
formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, (introdotta con la riforma
del 2001), la giurisdizione del giudice tributario per le controversie
concernenti il pagamento del diritto annuale di iscrizione in albi e
registri delle Camere di commercio, il c.d. diritto camerale (Cass. S.U. nn.
13549/2005, 10469/2008, 1667/2009): una situazione non dissimile da quella
che concerne la tassa di iscrizione agli albi relativi all’esercizio di
determinate professioni.
9. Pertanto, deve essere dichiarata nella specie la giurisdizione del
giudice tributario.
10. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese
nella presente fase del giudizio.

P.Q.M. - LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


Dichiara la giurisdizione del giudice tributario e rimette le parti
innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale competente per territorio.
Compensa le spese.

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