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nuova serie

Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità


Sezione di Archeologia classica, etrusco-italica, cristiana e medioevale
Fondatore: giulio q. giglioli

Direzione Scientifica

maria paola baglione, gilda bartoloni, luciana drago,


enzo lippolis, laura michetti, gloria olcese,
domenico palombi, maria grazia picozzi, franca taglietti

Direttore responsabile: gilda bartoloni

Redazione:
franca taglietti, fabrizio santi

Vol. LXII - n.s. 1
2011

Estratto

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA
Comitato Scientifico

Pierre Gros, Sybille Haynes, Tonio Hölscher,


Mette Moltesen, Stephan Verger

Il Periodico adotta un sistema di Peer-Review

Archeologia classica : rivista dell’Istituto di archeologia dell’Università di Roma. -


Vol. 1 (1949)- . - Roma : Istituto di archeologia, 1949- . - Ill. ; 24 cm. - Annuale. -
Il complemento del titolo varia. - Dal 1972: Roma: «L’ERMA» di Bretschneider.
ISSN 0391-8165 (1989)

CDD 20.   930.l’05

ISBN 978-88-8265-655-3

ISSN 0391-8165

©  COPYRIGHT  2011 - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA


Aut. del Trib. di Roma n. 478 del 31 ottobre 2000

Volume stampato con contributo della Sapienza Università di Roma


INDICE DEL VOLUME LXII

ARTICOLI

Arata F.P., Felici E., Porticus Aemilia, navalia o horrea? Ancora sui
frammenti 23 e 24 b-d della Forma Urbis................................................. p. 127
Avagliano A., L’Ares tipo Borghese: una rilettura........................................ » 41
Bocci Pacini P., Gambaro C., Nummorum imagines circumdatae sunt
armis et tropaeis et aquilis ad ornatum. Antonio Cocchi inventaria le
monete degli Uffizi con le incisioni del Piccini alla mano..................... » 279
Caruso A., Ipotesi di ragionamento sulla localizzazione del Mouseion di
Alessandria....................................................................................................... » 77
Despinis G., Frammenti di statue-ritratto equestri loricate da Megara.......... » 155
Mandolesi A., De Angelis D., Il tumulo della regina di Tarquinia fra
tradizioni levantine e innovazioni etrusche.................................................. » 7
Marcattili, F. Odore pardi coitum sentit in adultera leo (Plin., nat., 8,
42). Etologia ellenistica e cultura urbana in un mosaico iguvino ad
Holkham Hall.................................................................................................. » 173
Pensabene P., Tradizioni punico-ellenistiche a Volubilis. I capitelli corinzi
e compositi...................................................................................................... » 203

NOTE E DISCUSSIONI

Bellelli V., Ceramiche e bronzi laconici nel mediterraneo arcaico: osser-


vazioni su un libro recente da una prospettiva “occidentale”.................. » 357
Caratelli G., Cori: le sostruzioni di piazza Pozzo Dorico.......................... » 413
Fusco U., Il culto di Ercole presso il complesso archeologico di Campetti,
area S-O, a Veio: testimonianze dall’età etrusca a quella romana.......... » 379
indice del volume lxii

Garofalo P., Rinvenimenti epigrafici negli scavi ottocenteschi del santua-


rio di Iuno Sospita a Lanuvium: nuovi dati d’archivio............................. p. 537
Guiducci F., Il fenomeno dell̓accapo a destra: solo una caratteristica
officinale?......................................................................................................... » 445
Lilli M., Casale della mandria tra ricerche settecentesche e indagini re-
centi. Ancora una villa dal settore meridionale dell’ager lanuvinus........ » 497
Lo Schiavo F., Milletti M., Una rilettura del ripostiglio di Falda della
Guardiola, Populonia (LI).............................................................................. » 309
Manderscheid H., Carboni F., Bruno M., Tabulae lusoriae del mondo
romano: il tavoliere dei muratori di Villa Adriana, tabulae dalle Terme
di Traiano a Roma e dal complesso severiano di Leptis Magna............ » 513
Pensabene P., Gallocchio E., Contributo alla discussione sul complesso
augusteo palatino............................................................................................. » 475
Romualdi A., Ancora sulla fibula da Populonia con statuetta di argento
inserita nell’arco.............................................................................................. » 467
Tamassia A.M., Un ritratto maschile da Suzzara (Mantova)........................ » 489

RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Anguissola A., Intimità a Pompei: riservatezza, condivisione e prestigio


negli ambienti ad alcova di Pompei (I. Bragantini)............................. » 568
Boardmann J. with Scarisbrick D., Wagner C., Zwierlein-Diehl E.,
The Malborough Gems formerly at Blenheim Palace, Oxfordshire (L. Pirzio
Biroli Stefanelli).................................................................................................. » 565
Cantino Wataghin G., Colombara C. (a cura di), Finem dare. Il con-
fine tra sacro, profano e immaginario. A margine delle stele bilingue
del Museo Leone di Vercelli (R. Knobloch)............................................ » 590
Malacrino C.G., Ingegneria dei Greci e dei Romani, trad. dall’inglese
Constructing the Ancient World. Architectural techniques of the Greeks » 570
and Romans (P. Pensabene)........................................................................
Picozzi M.G. (a cura di), Palazzo Colonna. Appartamenti. Sculture antiche
e dall’antico (D. Manacorda)................................................................... » 573
Scheid J. (ed.), Pour une archéologie du rite. Nouvelles perspectives de
l’archéologie funérarie (C. Vismara)......................................................... » 557
Valenti M. (a cura di), Monumenta. I mausolei romani tra commemora-
zione funebre e propaganda celebrativa (P. Pensabene)......................... » 578
Vistoli F. (a cura di), La riscoperta della Via Flaminia più vicina a Roma:
storia, luoghi, personaggi (M. Carrara, M. Piranomonte)................ » 581

Pubblicazioni ricevute............................................................................................. » 593


Una rilettura del ripostiglio di Falda
della Guardiola, Populonia (LI)

La tematica inerente le fortificazioni di Populonia presenta ancora taluni aspetti


poco conosciuti e problematiche aperte, la cui mancata soluzione concorre ad ostacolare
la definizione dello spazio urbano e dello sviluppo diacronico della città prima della
conquista romana1. Tra i dati acquisiti, vi è l’articolazione del sistema difensivo in due
cinte indipendenti ma complementari (Fig. 1): una sorta di bretella di raccordo, sulla cui
esistenza sono però stati recentemente espressi dubbi, doveva infatti mettere in comu-
nicazione i due circuiti, partendo dalla cinta alta sulle pendici meridionali di Poggio del
Telegrafo fino alle mura basse sul prospiciente Poggio della Guardiola2. La più antica
fortificazione, la cui cronologia oscilla, a seconda delle varie proposte, tra la fine del VI
e la metà del V secolo, cinge infatti l’acrocoro della città, ovvero i Poggi del Telegrafo
e del Castello3. Una seconda cinta, scandita in alcuni tratti da torrioni in avancorpo4,
forma invece una circuito più esterno e si snoda tra Cala San Quirico ed il Golfo di Ba-
ratti, dove scende verso il mare seguendo la dorsale di Poggio della Guardiola delimitata
a nord dal Fosso del Pino e ad est dal Fosso del Castagnolo5. La datazione di queste
mura è controversa, posta tra l’avanzato IV secolo, come proposto da A. Romualdi e R.
Settesoldi6, e la fine del IV-inizi III secolo, come da cronologia tradizionale di A. De

1
Sullo sviluppo dell’abitato di Populonia durante la prima età del Ferro, vd. Bartoloni 1991, 2004 con
bibl. di rif., 2007.
2
Romualdi, Settesoldi 2008, p. 307. Contra, in tempi recenti, Benvenuti 2006, p. 429.
3
Secondo A. Minto le mura non risalirebbero oltre la fine del VI-inizi del V secolo (Minto 1943,
pp. 18-19). Sostanzialmente d’accordo A. Romualdi che pone l’impianto della cinta agli inizi del V secolo
(Romualdi 1989, p. 506; Fedeli, Galiberti, Romualdi 1993, p. 110; Romualdi 1997, p. 436), datazione
con la quale concordano anche A. Maggiani (Maggiani 1990, p. 42) e P. Fontaine (Fontaine 2008, p. 211).
Sulle fortificazioni di Populonia, vedi anche Bartoloni c.d.s.a.
4
Si deve però rilevare come, ad oggi, le uniche torri della cinta bassa conosciute siano quella di Falda
della Guardiola ed un’altra segnalata da A. De Agostino a Cala S. Quirico (de Agostino 1962, p. 281); l’ef-
fettiva articolazione della cinta muraria in una serie di torrioni a catena sarebbe dunque ancora da verificare
(Romualdi, Settesoldi 2008, p. 313).
5
Per un’analisi preliminare della tecnica costruttiva delle due cinte murarie, Grilli, Russo 2002.
6
Con la possibilità di un ulteriore innalzamento all’età arcaica o classica (Romualdi, Settesoldi 2008,
pp. 313-314) in relazione alla tecnica costruttiva ed all’impiego della calcarenite o panchina di mare, materiale
lapideo, quest’ultimo, il cui uso in ambito populoniese diviene meno frequente e limitato ad alcune parti specifi-
che delle murature, quali ad esempio stipiti ed angoli, a partire dal III secolo a.C. (Mascione 2009, pp. 17-21).

ArchCl LXII, 2011, pp. 309-355


310 note e discussioni

Fig. 1. Populonia, Golfo di Baratti: localizzazione del ripostiglio. (rielaborata da Romualdi,


Settesoldi 2008).

Agostino7. Secondo quest’ultimo, proprio nei pressi dell’estremità settentrionale della


cinta, quindi non lungi dal luogo di ritrovamento del ripostiglio di Falda della Guar-
diola, doveva esistere una delle principali porte d’accesso alla città, attraverso la quale
doveva passare la strada che metteva in collegamento la zona industriale del golfo con
la città alta8.

M. M.

Circostanze di rinvenimento e localizzazione del ripostiglio

Nel corso delle operazioni di recupero delle scorie condotte dalla Società Anonima
Populonia nel biennio 1925-1926 sul versante nord-orientale di Poggio della Guardiola,
una delle alture poste a sud-est di Poggio del Telegrafo, fu messo in luce, in prossimità di

7
De Agostino 1962. F. Fedeli, sostanzialmente d’accordo con la cronologia tradizionale, ha ipotiz-
zato però due distinte fasi costruttive (Fedeli 1983, p. 134). Una recente proposta, formulata sulla base di
confronti con fortificazioni di alcune colonie romane dedotte durante la prima guerra punica, abbasserebbe
ulteriormente la datazione della cinta bassa al primo quarto-metà avanzata del III secolo (Benvenuti 2006,
p. 432).
8
De Agostino 1962, p. 277; Botarelli, Dallai 2003, pp. 243-244.
note e discussioni 311

una strada indagata l’anno precedente9, un tratto delle mura urbiche pertinenti alla cinta
“bassa” (Fig. 2a)10. A ridosso dell’angolo tra il muro ed il lato meridionale d’un torrione
d’avancorpo, fu recuperato un ripostiglio di bronzi, deposto in una fossa tagliata nel terre-
no (Fig. 2b)11. Il rinvenimento avvenne ad una profondità di circa due metri dal piano di
calpestio, con ogni probabilità al livello degli strati d’imposta delle fondazioni della cinta.
Le mura in questione furono distrutte nel 1937 dalla Ditta Procchi, operante nell’area per
conto dell’Ilva, Altiforni ed Acciaierie d’Italia, alla quale, in piena autarchia economica,
la S.A. Populonia Italica aveva trasferito lo concessione di sfruttamento delle scorie12.
Dello scavo non è rimasta documentazione negli archivi della Soprintendenza; le uniche
informazioni sono desumibili dalle poche note edite dal Minto, poi riprese anche negli
studi successivi. Tali carenze documentative sono state in parte risarcite solo alla fine degli
anni ‘90 del secolo scorso, grazie alle ricerche condotte su questo versante di Poggio della
Guardiola dalla Soprintendenza13. Uno dei saggi ha infatti interessato l’area in questione,
consentendo di mettere in luce i pochi resti murari conservati e di proseguire le indagini
del deposito archeologico. Alla luce dunque dei nuovi dati disponibili, seppure in attesa
dell’edizione completa degli scavi, che consenta di chiarire non solo il rapporto stratigrafi-
co tra quello che è stato interpretato come il taglio pertinente alla fossa di deposizione del
ripostiglio e la cinta muraria14, ma soprattutto di verificare l’esistenza nell’area di tracce
di frequentazione risalenti all’età del Ferro ed all’Orientalizzante, si intende proporre un
preliminare inquadramento del ripostiglio di Falda della Guardiola nella coeva serie dei
contesti etrusco-settentrionali della fascia medio-tirrenica e suggerire alcune possibili let-
ture del contesto.

M. M.

9
Minto 1924, p. 21; Minto 1943, p. 288, tav. LXIX.1, n. 53, p. 335; Fedeli 1983, n. 215, p. 346;
Botarelli, Dallai 2003, p. 244.
10
Minto 1926, pp. 372-374, figg. 11-13; Minto 1943, pp. 20-21, fig. 6, tav. IV, n. 50, p. 334; De Ago-
stino 1962, De Agostino 1963, p. 67, fig. 28; De Agostino 1965, pp. 41-42, figg. 3 e 5; Fedeli 1983, n.
217, p. 346; Zifferero 2006, p. 397, figg. 4-5.
11
Minto 1926, pp. 374-375, figg. 14-17; Minto 1943, p. 53, tav. XI, n. 51, p. 334; Talocchini 1965, p.
31; Delpino 1981, p. 279; Fedeli 1983, p. 93, n. 218, p. 347; Parisi Presicce 1985, n. 10, p. 47; Bartolo-
ni 1991, p. 24, fig. 15; Fedeli, Galiberti, Romualdi 1993, pp. 83-85, fig. 57; Bartoloni 2002, pp. 346-
348, fig. 4; Zifferero 2006, pp. 399-400, fig. 7; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, pp. 76-77; Romual-
di, Settesoldi 2008, pp. 309-311.
12
La demolizione fu alla base di una vertenza dell’Ilva con la Soprintendenza, nella persona del Soprin-
tendente A. Minto che subordinò alla risoluzione del contenzioso il rilascio del nulla osta per ampliare il campo
minerario. Ciò avvenne solo nel 1939 e comportò la ristrutturazione, a titolo di risarcimento, di alcune tombe
monumentali nelle necropoli di S. Cerbone e della tomba dei Flabelli della Porcareccia (Pistolesi 2006, pp.
125-128).
13
Romualdi, Settesoldi 2008. Precedentemente, alcuni saggi di scavo erano stati effettuati dalla
Soprintendenza immediatamente a sud del torrione (Donati 1993).
14
Romualdi, Settesoldi 2008, p. 309.
312 note e discussioni

Fig. 2. P
 opulonia (LI). In alto e al centro: foto di scavo (da Minto 1926 e da
Fedeli 1983); in basso: prospetto delle mura di Falda della Guardiola e
pianta con localizzazione del ripostiglio (da Minto 1926).
note e discussioni 313

Fig. 3. Populonia (LI). Ripostiglio di Falda della Guardiola (da Minto 1943).

Il ripostiglio di Falda della Guardiola: composizione del contesto

Secondo l’elenco dei materiali pubblicato da A. Minto nel 1926, poi ripresentato nella
monografia su Populonia del 1943, il ripostiglio di Falda della Guardiola sarebbe costituito
da «…parte di una spada a lamina rettilinea...quattro accette con lama trapezoidale a mar-
gini rettilinei...un’accetta con lama a margini rientranti…una fibula di bronzo con l’arco
ingrossato a cuscinetto romboidale...una lucerna a navicella» (Fig. 3)15. L’attribuzione al
contesto di tre amuleti nuragici a faretrina, affiorata occasionalmente in bibliografia16, è in
parte riconducibile allo stesso Minto che, in Populonia del 1943, nella scheda topografica
aggiunge al novero dei materiali anche le tre faretrine donate da V. Mannelli al Museo di

15
Minto 1926, p. 375; 1943, pp. 53 e 334.
16
Lilliu 1944, p. 344; Talocchini 1965, n. 13, p. 31. Recentemente, con attribuzione considerata però
dubbia, in Lehoërff 2007, pp. 374-375, fig. 67c.
314 note e discussioni

Firenze nel 192517, già illustrate, come materiali di provenienza antiquaria, nel medesimo
articolo nel quale fu presentato per la prima volta il ripostiglio18. Tale errata attribuzione è
inoltre riportata sulle schede dell’archivio SBAT redatte dopo l’alluvione del 1966: in que-
sto caso può aver contribuito ad ingenerare confusione il fatto che i tre bronzetti fossero
esposti, insieme al resto del dono Mannelli, nel medesimo ripiano del ripostiglio di Falda
della Guardiola, poi sconvolto dalle acque dell’Arno.
Un ulteriore elemento d’incertezza è rappresentato dalla fibula, attualmente irreperi-
bile e mai illustrata. G. Bartoloni ha escluso l’attribuzione al ripostiglio di un esemplare
a navicella presentato nel catalogo de L’Etruria Mineraria19, sottolineando, inoltre, come
la descrizione del Minto possa adattarsi anche ad un esemplare ad arco ingrossato a sesto
ribassato e non necessariamente a navicella20. Analizzando la terminologia adottata dal-
lo studioso nella descrizione delle varie fogge, si deve anzi rilevare come gli esemplari
con arco a navicella siano sempre indicati esplicitamente come tali e nettamente distinti
da quelli ad arco semplice, definito “a bastoncello”, dicitura alla quale si associa all’oc-
correnza quella di “ingrossato”, eventualmente con l’ulteriore specifica “ a cuscinetto/i
romboidale/i”, con apparente riferimento ai singoli tratti di quest’ultimo inspessiti e a
sezione poligonale. Sebbene non si possa escludere a priori un’incongruenza terminolo-
gica da parte del Minto nel descrivere la fibula in questione, i pochi dati a disposizione
sembrerebbero in effetti orientare verso un esemplare ad arco ingrossato, non potendo
però dirimere definitivamente la questione in assenza di documentazione specifica. Pur
considerando la presenza della fibula quale elemento utile all’interpretazione del contesto,
in questa sede ci si limiterà a riportare, nella scheda di catalogo, la definizione e le misure
indicate dal Minto. Da un punto di vista della cronologia del contesto, come vedremo,
la fibula rappresenterebbe l’elemento datante per la deposizione solo se si trattasse di un
esemplare a navicella con staffa lunga: in questo caso, il ripostiglio sarebbe stato “chiuso”
in un’epoca, non facilmente precisabile in mancanza di un riscontro tipologico preciso,
ma comunque successiva alla metà dell’VIII secolo21. Qualora invece, come sembra più
probabile, si trattasse di una fibula ad arco ingrossato o a sanguisuga con staffa corta l’in-
quadramento dell’oggetto entro la prima metà dell’VIII secolo non risulterebbe decisivo
per la datazione del contesto.

F. L.S., M. M.

La navicella

La forma dello scafo è intermedia fra gli esemplari a fondo piatto, spesso cordona-
to, con peducci e lati rettilinei e quelli con scafo arrotondato con una sola zona piatta al

17
Minto 1926, pp. 376-377.
18
Minto1943, p. 335.
19
Inv. 113854, Parisi Presicce 1985, n. 11, p. 47. In effetti, ad una verifica dei dati d’archivio, non sus-
sistono prove che ne confermino l’attribuzione al ripostiglio.
20
Bartoloni 2002, p. 348.
21
Sulla vexata quaestio della staffa lunga delle fibule Guzzo 1982 e Lo Schiavo 2010a, pp. 49-51. Qui
però, sarebbe ben più importante definire la forma dell’arco.
note e discussioni 315

centro (Fig. 4)22. La diversità è dovuta ad


una considerevole espansione della parte
mediana dello scafo, che ne rende la forma,
vista dall’alto, quasi romboidale23. L’impo-
stazione obliqua della protome24 – a diffe-
renza di quella verticale sul cavone di prua,
nota da molti altri esemplari25 – costituisce
una sorta di bompresso atto a controbilan-
ciare il peso dello scafo e ad aumentarne
l’idrodinamicità. Ciò consente di assimi-
lare l’esemplare da Populonia agli scafi
a fondo arrotondato che non è improprio
ritenere utilizzati tanto per gli spostamenti
veloci, che per trasporto di merci. Qualun-
que parallelismo, nel campo delle barchet-
te come per i bronzetti, deve tenere conto
del fatto che, poiché si tratta di manufatti
prodotti a cera persa e non in matrice, l’i-
dentità assoluta è molto difficile, ma si pos-
sono notare similitudini più o meno stret-
te. Nel caso dell’esemplare da Falda della
Guardiola, i due confronti più prossimi per
molte caratteristiche, si differenziano però
per altre non secondarie. Il primo è quello
con la barchetta da località sconosciuta del-
la Sardegna, al Museo Nazionale Romano,
simile in tutto a quella da Populonia, so-
prattutto per la forma fortemente allargata
dello scafo, salvo che per il fatto di avere
il fondo piatto e il margine superiore ed in-
feriore segnati da un cordone liscio; inoltre Fig. 4. Navicella del ripostiglio di Falda della
alle estremità del “ponte” vi sono due plac- Guardiola (disegno P. Falchi).

22
Filigheddu 1994: tipo ad “EV” con scafo ellittico carenato. La puntuale, minuziosa analisi di Filigheddu
ha prodotto un utilissimo schema (Filigheddu 1994, pp. 107-112) che costituisce una vera e propria banca dati
dalla quale, con le integrazioni dei reperti frattanto rinvenuti, può partire ogni classificazione successiva.
23
Depalmas 2005: tipo 2, variante. Questa caratteristica, insieme al ponte a fascetta cordonata, è pro-
babilmente l’elemento che ha convinto A. Depalmas a collocare la barchetta di Populonia come variante del
suo tipo 2, costituito però tutto da barchette a fondo piatto e fiancate squadrate con 2 o 4 coppie di peducci
(Depalmas 2005, pp. 49-53, tavv. 4-10): era piuttosto il caso di farne un tipo a sé, infatti, in seguito sono stati
rinvenuti altri esemplari di forma assimilabile.
24
Filigheddu 1994: a 45°.
25
Cfr. ad es. Scala de Boes, Ardara: Lilliu 1966, n. 280. In A. Deplamas tutti i tipi del primo gruppo
(navicelle a scafo fusiforme), salvo il primo, hanno la “protome collegata allo scafo tramite un elemento a plac-
ca triangolare” (Deplamas 2005, p. 48), cosa che in molti tipi è visibilmente inesatta.
316 note e discussioni

chette decorate a cerchi concentrici, in luogo dei tre semiglobetti (Fig. 5.5)26. Il secondo
confronto è quello con le navicelle da Tula (Fig. 5.1)27 e da Sorso, Monte Cao (Fig. 5.2)28 –
strettamente assimilabili fra loro – dove la forma dello scafo è uguale, mentre la differenza
principale con quella da Populonia è data dal “ponte” di verga quadripartito alle estremità
ed accostato e rialzato al centro, sormontato sempre dall’anello impostato ortogonalmente.
Salvo il sistema di sospensione quadripartito e salvo la protome di ariete a prua, la barchetta
da Falda della Guardiola trova ancora un confronto con quella rinvenuta più di recente nel
santuario nuragico di Sorradile, Su Monte (Fig. 5.3)29, soprattutto per lo scafo a margini
arrotondati ma profondo, interessante termine di passaggio, come si è osservato per l’e-
semplare da Populonia, fra quelli a fondo piatto con cordonature e con peducci e gli altri30.
La bibliografia sulle navicelle nuragiche non è molto ampia e, a fianco alla specifica
edizione di qualche pezzo eccezionale di rinvenimento recente31, vede pochi repertori ed
edizioni critiche di complessi di reperti precedentemente ignoti, accompagnati dall’illu-
strazione di nuovi contesti di rinvenimento: aspetto, questo, che nei repertori non sempre
è sottolineato32. Vasta e combattutissima è la discussione su molti aspetti fondamentali di
questa affascinante categoria di manufatti, fondamentale per la comprensione della Civiltà
Nuragica. In questa sede ci si limiterà a trattarne solo alcuni, strettamente collegati alla
barchetta di Populonia ed al suo significato: la tecnologia di fabbricazione, la funzione, la
cronologia, il significato complessivo.

26
Museo Nazionale Romano, inv. 256318, dalla Coll. Gorga. de’ Spagnolis, De Carolis 1983, p. 71,
n. 1; Lo Schiavo 2005, p. 193, n. 4, fig. a p. 197 in alto; l’altra barchetta pure al Museo Nazionale Romano
dalla Coll. Gorga, inv. 256319, è simile, ma più tozza ed è priva del “ponte” (Lo Schiavo 2005, p. 195, n. 5,
fig. a p. 197 in basso).
27
Lilliu 1966, n. 282.
28
Lilliu 1966, n. 283.
29
Santoni, Bacco 2001, p. 80, fig. 91; 2008, fig. 15.6.
30
Il fondo piatto e le cordonature anche solo alla base ed in alto sullo scafo non sono “decorative” ma
un richiamo alla tecnica di “cucitura” delle tavole, accostate e collegate con il sistema di tenoni e mortase ed
impeciate alla giunzione. Sembra non trascurabile il riferimento ad una diversa forma di scafo, ribadita dalla
maggiore larghezza della base e dalla presenza dei peducci.
31
Spadea 1994; 1996; Lilliu 1971; 2000; Desantis et Al. 2004; Cerchiai, Nava 2009; De Angelis
2011; Lo Schiavo 2011.
32
Pais 1884; Lilliu 1966; Filigheddu 1994; Lo Schiavo 2000a; 2005; Depalmas 2005. Il testo di Lo
Schiavo 2000a è stato riproposto, tradotto ed ampliato, in Lo Schiavo 2000b. Invece, in un capitolo di Lo Schia-
vo 2000c si è suggerita un’articolazione organica delle forme degli scafi. Com’è stato specificato anche altrove,
Depalmas 2005 e Lo Schiavo 2005 uscirono contemporaneamente, dopo lunga gestazione e nella reciproca igno-
ranza. Di Filigheddu si è già altrove rimarcata la ingiustificabile sfiducia nelle risorse sia naturali (alberi di alto
fusto e resine e/o altri materiali impecianti) che tecniche delle popolazioni della Sardegna dell’età del bronzo, che
a suo parere non sarebbero state in condizioni di costruire navi per la navigazione in alto mare, capacità riservata ai
Cicladici e Minoici prima e ai Micenei e Fenici poi. Dimostra il contrario, fra l’altro, la disseminazione di materiale
ceramico nuragico BR/BF1 in tutto il Mediterraneo, fino a Creta (Watrous 1989) ed ora persino fino a Cipro. A
differenza di Filigheddu 1994 e di Depalmas 2005, ed in piena linea con Lilliu 2000, non si fa riferimento,
né in questa sede né altrove, a repertori e cataloghi contenenti clamorosi falsi o manufatti di collezioni private,
purtroppo autentici ma di provenienza sospetta.
note e discussioni 317

Fig. 5. Navicelle: 1. Tula, SS; 2. Monte Cao, Sorso (da Depalmas 2005); 3. Su Monte, Sorradi-
le (da Santoni, Bacco 2008); 4. Costa Nighedda, Oliena (da Desantis et Al. 2004);
5. Sardegna (da Lo Schiavo 2005).
318 note e discussioni

Tecnologia

Quanto la tecnologia di produzione sia importante per la comprensione di un oggetto


e di conseguenza del suo significato è stato mostrato da Edilberto Formigli che nel 1981
analizzò le barchette, prendendo per esempio uno dei tre esemplari dalla Tomba delle Tre
Navicelle di Vetulonia33. Infatti che le barchette fossero fabbricate mediante il processo
della cera persa era dato per certo, dal momento che così sono realizzati tutti i bronzetti nu-
ragici, troppo complessi e ricchi di sporgenze e sottosquadri per poter essere stati formati
con una matrice litica. Quello che Formigli ha puntualizzato è stato che la forma stessa
degli scafi rendeva ottimale per il versamento del metallo la protuberanza della prua, sulla
quale veniva poi sopraffusa la protome che, con il suo lungo collo cordonato che arriva a
coprire tutta l’estremità dello scafo, raggiungeva due obiettivi, quello di completare ele-
gantemente un oggetto di alto pregio e quello di accentuare l’assimilazione ad una nave,
dotandola di un albero di bompresso.
Tutte le applicazioni come qui il “ponte” e in altri casi l’albero, le paratie traforate, gli
animali sul bordo, eccetera, sono perfettamente realizzabili con una sapiente applicazione
dei canali di versamento del metallo e di quelli di sfiato, appendici che venivano poi taglia-
te e delle quali venivano eliminate anche le tracce nella successiva rifinitura dell’oggetto;
casi di errori sono visibili negli esemplari finiti che appaiono contorti34.

Funzione

Questo argomento, ovvero la discussa questione delle navicelle nuragiche usate come
lucerne, è stato trattato ampiamente di recente35 e fino ad oggi resta fermo che mai, né
in Sardegna né fuori di essa, né le barchette bronzee né quelle d’impasto, sono state tro-
vate associate a ceneri o carboni o recano tracce di bruciature. Certamente un risolutivo
apporto sarebbe dato da una completa edizione degli esemplari di impasto, la maggior
concentrazione dei quali – si parla di oltre trecento esemplari – è tuttora quella del sacello
nel nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, purtroppo edito solo per sommi capi36.
Il motivo per cui ripetutamente si insiste sul tema della funzionalità come lucerna è
dovuto al fatto che l’elemento caratterizzante di tutti i tipi di navicelle nuragiche, a diffe-
renza di altri modellini di nave noti nel Mediterraneo dall’età del bronzo all’età del ferro,
è l’esistenza di un sistema di sospensione, anche creato artificialmente con sistemi rudi-
mentali in caso di frattura del sistema originario37. Resta purtroppo ancora incolmata la
lacuna in merito ai rituali ed alle manifestazioni esteriori della religiosità nuragica, però è
sempre più riccamente documentata dagli scavi recenti nei santuari l’importanza dell’atto
di configgere nella pietra o fra le pietre le offerte di bronzi e bronzetti, assai più che non

33
Lilliu 1966, n. 291; Formigli 1981, p. 56, fig. 3.
34
Devo questa osservazione al Maestro Giovanni Piras di Oristano che avendo realizzato la riproduzione
della barchetta da Orroli, loc. Pipizu (Lilliu 1966, n. 298), me ne ha fatto notare tutte le imperfezioni.
35
Lo Schiavo 2005.
36
Ugas, Paderi 1990; Ugas 1991.
37
Cfr. Lo Schiavo 2005, p. 193, n. 4, fig. a p. 197 in alto.
note e discussioni 319

la frattura rituale praticata nella Penisola. Questo fatto aggiunge peso alla considerazione
che vede le navicelle più raramente destinate in Sardegna al santuario o al tempio e più
spesso al ripostiglio, con luoghi e modi di deposizione differenti. In conclusione, il sistema
di sospensione doveva servire proprio in contrapposizione ai peduncoli di colata, lasciati
sotto i piedi e le basette dei bronzetti per l’infissione.
Insieme con il sistema di sospensione è costantemente presente, nelle navicelle di
ogni genere, una base grande o piccola che ne garantisce l’appoggio. Di conseguenza, nel-
la riproduzione di uno scafo di nave gli artigiani nuragici non sono mai giunti a tracciare
un accenno di chiglia, cosa che avrebbe impedito la stabilità del pezzo. Per il resto, i molti
studi dedicati all’argomento38, confermano che non appaiono importanti per l’artigiano o
artista nuragico il rigoroso rispetto delle proporzioni e di molti elementi strutturali, mentre
l’intento rappresentativo è certamente quello di riprodurre delle navi e forse addirittura,
per astrazione, il concetto di navigare, il potere sul mare e sulle ricchezze che veicola39.

Cronologia

Uno dei problemi più dibattuti è quello della cronologia delle barchette nuragiche,
che compaiono sistematicamente in contesti peninsulari che, quando databili, si collocano
nell’età del ferro (ripostiglio di Falda della Guardiola) e fino al periodo orientalizzante
(Gruppo V del Circolo del Duce e gli altri contesti vetuloniesi) e arcaico (Gravisca). Inve-
ce in Sardegna la quasi totalità degli esemplari è sporadica o in contesti di difficile o im-
possibile datazione, raramente in ripostigli e comunque mai in tombe. Negli ultimi tempi
però un paio di rinvenimenti offrono nuove interessanti prospettive. La prima è la già citata
barchetta da Sorradile, Su Monte (Oristano). Si tratta di uno dei santuari più notevoli dalla
Sardegna nuragica per dimensioni, per complessità di strutture e per il fatto di essere stato
scavato, studiato e convenientemente pubblicato più di recente. All’interno di un temenos
di una settantina di metri, la struttura più eminente è una grande “Rotonda” fornita di atrio
e tre nicchie contrapposte, costruita con blocchi di trachite rifiniti e connessi con grappe
di piombo in un paramento “isodomo” raffinato. Al centro si trova una vasca lustrale, con
resti di infissioni di spade votive ed altre offerte di bronzo lungo il bordo, dominata da un
lato dalla rappresentazione di una torre nuragica. La navicella è stata ritrovata in posizione
di caduta lungo il muro interno della nicchia Ovest, insieme con altri manufatti, costituiti
da una verga ritorta, probabile manico di paletta da fonditore, un’ascia a margini rialzati,
una doppia ascia a tagli convergenti, una sega, una daga o spatola, un pugnale con lama a
foglia ed una verga a sezione circolare, probabile parte di collare con estremità coniche40,
tutti entro l’US 40 e con una brocchetta askoide a livello leggermente inferiore (US 41)41.
Il tesoretto sembra fosse in origine deposto su di una tavola di legno rasente il muro della

38
Bonino 2000 con bibl. prec.
39
È stato osservato che mancano anche accenni a timone, vele, remi, ma ciò non deve meravigliare, visto
che queste “semplificazioni” non sono rare né nella bronzistica figurata né nella statuaria nuragica dove, ad
esempio, i molti modellini di nuraghi non hanno mai indicazioni di porte o finestre.
40
Santoni, Bacco 2008, fig. 15.
41
Santoni, Bacco 2008, fig. 16. 7.
320 note e discussioni

nicchia che, distrutta da un incendio, ha provocato la caduta dei manufatti lungo il muro.
L’analisi dei reperti del contesto e di quelli delle due unità stratigrafiche US 40-US 41 ha
portato ad un coerente inquadramento nel Bronzo Finale, mentre la vita dell’edificio nel
suo complesso si colloca entro l’età del bronzo recente e finale42.
Nella Penisola, un rinvenimento recentissimo è quello di una barchetta con protome
taurina, fondo piatto, scafo cordonato, «ponte» a fascetta con anello di sospensione, rin-
venuta a Boscariello-Cupa di Siglia (Monte Vetrano, Salerno) su di un colle che domina
l’accesso occidentale della piana costiera dell’Agro Picentino43. La navicella si trovava
nella tomba 74 ad incinerazione in fossa, accompagnata da un corredo di particolare in-
teresse, databile al terzo quarto dell’VIII secolo, costituito fra l’altro da sei manufatti di
bronzo; oltre alla barchetta una cista, un’anfora biconica ed una situla di tipo Kurd, un
incensiere ed una conocchia44. La presenza fuori contesto di un eccezionale esemplare di
scarabeo del Lyre-Player Group con una scena di komos, evidenzia l’ampiezza dei colle-
gamenti esterni della necropoli. Nel sottolineare che si tratta del più antico esemplare di
navicella bronzea rinvenuto finora nell’Italia peninsulare, gli Autori raccomandano una
più puntuale analisi tipologica ed una verifica più approfondita dei contesti di provenien-
za45. Rispondendo a questa sollecitazione, si segnala che il confronto più stringente è
quello con la barchetta rinvenuta nel ripostiglio di Costa Nighedda, Oliena (Nuoro), della
quale è stata data una presentazione preliminare nel 198246 ed una integrale relazione di
scavo e disamina dei materiali in anni recenti (Fig. 5.4)47. La navicella è stata rinvenuta
insieme a circa una trentina di oggetti di bronzo, fra i quali rivestono grande pregio,
anche per le eccellenti condizioni di conservazione, un manico di specchio lavorato a
giorno decorato ad incisione e a traforo con due uccellini stilizzati al centro e due brac-
ciali anch’essi decorati, oltre ad altri oggetti di ornamento, strumenti ed armi, fra cui un
pugnaletto ad elsa gammata. Il ritrovamento è avvenuto in una zona ristretta, adiacente il
perimetro esterno di una grande capanna, quasi in superficie, cosa che rende certi che si
trattasse di un ripostiglio probabilmente nascosto entro la muratura, sconvolta poi dall’a-
zione demolitrice di una ruspa che negli anni Ottanta ha quasi rasato al suolo l’intero
villaggio; a scavo completato è stato messo in luce il perimetro della capanna, della quale
residua un’unica assise di base. La datazione che si è proposta per il ripostiglio va dall’età
del bronzo recente non avanzata – data di costruzione della capanna – all’età del bronzo
finale non avanzata48. Dunque la data di fabbricazione della navicella di Monte Vetrano

42
Santoni, Bacco 2005; 2008.
43
Cerchiai, Nava 2009, fig 3.
44
Cerchiai, Nava 2009 fig. 3.
45
Cerchiai, Nava 2009, p. 100, nota 4. A questo proposito non si può fare a meno di constatare che,
per parte loro, gli Autori indicano “stringenti analogie” con la navicella proveniente da Is Argiolas di Bultei
(Sassari) (Lilliu 1966, n. 273), cosa che certamente è oggetto di una svista. Infatti l’esemplare da Bultei ha
scafo con fianchi arrotondati e lisci non cordonati, a margine superiore marcato e sporgente non cordonato,
protome a collo non cordonato eretta verticalmente sulla placca quadrangolare del cavone di prua e non protesa
in avanti, e con il “ponte” a fascetta liscia e non cordonata con globetti alle estremità.
46
Desantis, Lo Schiavo 1983.
47
Desantis et Al. 2004.
48
Desantis et Al. 2004, pp. 531-532.
note e discussioni 321

può essere la stessa indicata per la sua “gemella” olianese e se la metà dell’VIII è la data
dell’incenerazione nel Salernitano della defunta con il suo ricco corredo funebre, restano
da spiegare – non diversamente da quella di Falda della Guardiola - i modi e i tempi del
trasferimento nella Penisola, certamente in epoca precedente il seppellimento della sua
proprietaria, probabilmente con ascendenze sarde, dunque eredità familiare da almeno
un paio di generazioni.

Significato

Mentre non vi sono obiezioni possibili, nell’ambito della Sardegna nuragica dell’e-
tà del bronzo finale, al binomio navi e rotte marittime ed all’interpretazione delle bar-
chette come simboli di potere, successivi a quello costituito dallo stesso nuraghe ed
in qualche modo inclusivi di esso, è sui meccanismi di trasmissione e tesaurizzazione
che ancora il quadro ricostruttivo non è affatto chiaro. Il rinvenimento della barchetta
da Monte Vetrano viene ora a sostenere l’alto valore simbolico “tirrenico” che porta,
nell’età del ferro, alla tesaurizzazione e riproduzione di oggetti nuragici di ceramica e
di bronzo in tombe e ripostigli dell’Etruria propria e dell’Etruria campana, ed in santua-
ri dell’Etruria meridionale (Gravisca), del Lazio (Ostia-Porto) e della Calabria (Capo
Colonna). Le navicelle costituiscono un eccezionale documento su di un vasto mondo
di conoscenze: la carpenteria navale, le rotte, i commerci, l’organizzazione sociale ed
economica, la valenza di segno di prestigio e di potere, che solo può spiegare la con-
servazione in luoghi ed epoche tanto lontani. Si tratta delle riproduzioni in miniatura
di imbarcazioni reali – così come i modellini di nuraghe lo sono dei monumenti veri e
propri – non tanto tecnicamente fedeli, quanto caricate di valenze simboliche, perfetta-
mente comprensibili ai contemporanei nel senso del segno del possesso di una risorsa
essenziale, quella delle relazioni marittime praticate ed assurte ad immagine mitica.
La specificità delle barchette consiste nel fatto che in maggioranza appaiono diverse
e complementari rispetto alle offerte nel santuario, rimanendo più legate alla persona
dell’offerente, per cui invece di comparire fra le offerte, più spesso seguono l’offerente
o i suoi eredi nella casa, nel ripostiglio, o, esclusivamente in area peninsulare, nella
tomba. A questo proposito è significativo che, a differenza della maggioranza degli
altri bronzetti, le barchette sono un oggetto “mobile”, fatto – come si è detto – non per
essere fissato sulle tavole d’offerta, ma appoggiato o sospeso. Costituiscono esse stesse
una particolare “Tavola di Offerta”, con l’animale totemico rappresentato a prua, spesso
anche con un uccello sull’albero, o con uccelli sulle murate, oppure con la torretta o le
torrette di un nuraghe ai lati della battagliola; più raramente sono riprodotti cani, gioghi
di buoi, in un solo caso condotti dall’uomo, carri, e infine cinghiali e volpi, bovini ed
ovini raffigurati paratatticamente (Meana), oppure raggruppati in scene di caccia e di
addomesticamento (Vetulonia, Tomba del Duce).
In conclusione, per quanto riguarda la barchetta del ripostiglio di Falda della Guar-
diola, fra i tanti interrogativi vi sono alcuni punti sicuri. È dimostrato, dall’ampiezza
dei confronti e dall’analisi tecnica, che si tratta di un originale di produzione nuragica.
La somiglianza con la barchetta di Sorradile, Su Monte costituisce un riferimento ad
quem tutt’altro che trascurabile. Che le barchette in Sardegna venissero di preferenza
collocate in ripostigli è congrua con il contesto di rinvenimento di Falda della Guar-
322 note e discussioni

diola. È certo il valore simbolico dell’oggetto ed il forte riferimento al retaggio isola-


no e “tirrenico”: dunque l’inclusione nel ripostiglio populoniese non è né casuale né
determinata da una scelta di un semplice oggetto di pregio. Per pronunciare l’ultima
parola conviene ora esaminare gli altri manufatti e poi tornare sul ripostiglio nel suo
complesso.

F. L.S.

La spada

Pochi argomenti sono spinosi ed irti di connessioni atlantiche, centroeuropee e medi-


terraneo-occidentali quanto la foggia della spada, tradizionalmente definita “tipo Monte
Sa Idda” per il fatto che in questo ripostiglio, situato a Decimoputzu (Cagliari) nella regio-
ne del Sulcis, Sardegna meridionale, ne sono stati trovati alcuni esemplari appartenenti a
diverse varietà (Fig. 7.2), da sempre riferite a modelli iberici49. Conviene pertanto esporre
le argomentazioni in distinti paragrafi.

Spade “pistilliformi” nella Sardegna nuragica ed in Italia peninsulare

È ormai ben constatato il fatto che, apparentemente quasi all’improvviso, nel com-
plesso della metallurgia dell’età del bronzo medio, entro la quale è per ora difficile distin-
guere articolazioni interne, si registra, nelle connessioni e nell’acquisizione dei modelli,
un orientamento mutato rispetto alle forme iberiche del periodo precedente, volto prima
verso l’Italia peninsulare e poi, prepotentemente, verso l’Oriente mediterraneo e verso
Cipro50. La ripresa delle relazioni con la Penisola Iberica è indiziata dalla comparsa delle

49
Il record dei manufatti di provenienza o affinità prossima o remota iberica in Sardegna, affrontato siste-
maticamente alcuni anni fa (Lo Schiavo, D’Oriano 1990) e discusso più in dettaglio per quanto concerne le
spade (Lo Schiavo 1991b), è stato poi continuamente aggiornato (Lo Schiavo 2003; 2008), anche se recenti
notizie segnalano ulteriori rinvenimenti. Le relazioni fra la Sardegna e la Penisola Iberica risalgono alla prei-
storia, nel quadro di fenomeni di larghissima diffusione come la ceramica “cardiale”, il megalitismo, il Vaso
Campaniforme, che non è il caso di ripercorrere in questa sede. Più da presso, le affinità riscontrate con la fog-
gia delle grandi spade di tipo argarico hanno confermato che fra la fine del Calcolitico e la prima età del bronzo
i rapporti erano particolarmente intensi e tali da determinare l’assimilazione di una forma iberica e la sua ripro-
duzione in Sardegna nei contesti BA 2 della facies archeologica di S. Iroxi (Ugas 1990; Lo Schiavo 1992a;
Atzeni, Massidda, Sanna 2005, pp. 118-125). Questo argomento è ben lungi dall’essere esaurito, in quanto
altri manufatti di foggia iberica sono stati rinvenuti di recente in contesti nuragici arcaici.
50
Sull’acquisizione dei lingotti oxhide e sulle sue cause, sulla distribuzione nella Sardegna nuragica e sul-
le sue peculiarità, si è concentrato lo studio, da ultimo culminato in due grossi lavori a più mani (Lo Schiavo
et Al. 2005; Lo Schiavo et Al. 2009a), mentre altri approfondimenti specifici sono in corso di stampa (Lo
Schiavo c.d.s.a; c.d.s.b). In questo quadro sono state indagate le caratteristiche della produzione metallurgica
dalla fine dell’età del bronzo medio e soprattutto nel bronzo recente e nel bronzo finale iniziale e maturo, epo-
ca nella quale tutto il processo raggiunge il suo pieno sviluppo. Nuovi rinvenimenti in associazione (Nieddu
2007; Manunza 2008; Santoni, Bacco 2008; Santoni 2010) sembrano convergere nell’attribuire al BF 2
note e discussioni 323

prime spade “atlantiche” a lingua da presa del tipo un tempo definito “pistilliforme”, carat-
terizzate da una lama sinuosa con forte costola centrale sottolineata da scanalature laterali,
che si allarga marcatamente nel terzo inferiore: una foggia pesante adatta a menare colpi e
fendenti51. Dopo le lunghe spade votive che iniziano già nell’età del bronzo recente e che
non potevano avere altro impiego che quello simbolico e rituale52, Burgess riconosce che
le prime spade vere e proprie della Sardegna nuragica sono quelle atlantiche, documentate
nel ripostiglio di Oreo, Siniscola (Nuoro)53 in una forma che accentua la già considerevole
larghezza della lama nella parte inferiore (Fig. 6.1)54 e che nella Penisola Iberica è docu-
mentata dal tipo Catoira variante Évora55. La forte costola centrale e la larghezza del terzo
inferiore sono le caratteristiche – addirittura accentuate nella riproduzione miniaturistica
– che consentono di riconoscere questa foggia nelle spade impugnate e appoggiate sulla
spalla destra dei bronzetti di Capotribù e di Guerriero56, in alternanza e quasi in contrap-
posizione a quelle votive, brandite e appoggiate sulla spalla sinistra di Guerrieri, Arcieri ed
“Eroi”57. Un frammento della parte inferiore della lama con il caratteristico allargamento
nel terzo inferiore e forte costola centrale è stato rinvenuto nel ripostiglio di Contigliano
(Terni) datato al BF 358.

Elaborazioni di spade “pistilliformi” nella Sardegna nuragica

Elaborazione locale delle spade atlantiche sono l’esemplare (Fig. 6.2) in frammenti dal
ripostiglio di Bolotana (Nuoro), dove era associato a sette spade votive, una piccola coppa
carenata ed un’incudinetta, dunque un chiaro contesto riferibile al bronzo finale maturo59 e i
due esemplari (Fig. 6.3-4) frammentari da Su Tempiesu di Orune (Nuoro)60 dove le offerte,

(in cronologia tradizionale all’incirca nell’XI secolo a.C.) il raggiungimento della piena padronanza della tec-
nologia metallurgica ed in particolare del procedimento della cera persa per la produzione di bronzetti, impu-
gnature, anse, tripodi, recipienti, amuleti ed ornamenti, ed ogni altro manufatto che fosse possibile realizzare
con questa tecnica. Dunque la fattura dei bronzetti con spada di tipo “atlantico” in mano non è discordante
rispetto alla datazione della foggia di quest’arma.
51
Brandherm, Burgess 2008, p. 135.
52
Lo Schiavo 2007.
53
Lilliu 1966, n. 340.
54
Quilliec 2007, n. 883.
55
Brandherm 2007, nn. 27-28; Burgess, O’Connor 2008, p. 51. «L’esemplare che si descrive è il
maggiore di un gruppo di tre rinvenuti nel ripostiglio di Siniscola…» (Lilliu 1966, n. 340). Il nome corretto
della località non è “Oroè” ma “Oreo”, come è stato accertato da A. Boninu nel corso di un censimento archeo-
logico del comune di Siniscola (Boninu 1994, p. 30 nota 27).
56
Lilliu 1966, nn. 7, 11, 12; Lo Schiavo, D’Oriano 1990, p. 126 fig. 11, 6; Lo Schiavo 1991b, fig. 5, 1.
57
Campus et Al. 2003, p. 24; Lo Schiavo 2007.
58
Ponzi Bonomi 1970.
59
Lo Schiavo 1994; Lo Schiavo, D’Oriano 1990, p. 126, fig. 11, 1-2; Lo Schiavo 1991b, fig. 4, 1;
Quilliec 2007, n. 873.
60
Fadda, Lo Schiavo 1992, nn. 1-2, p. 64-66, tav. 19, 1-2; Lo Schiavo, D’Oriano 1990, p. 126, fig.
11, 3-4; Lo Schiavo 1991b, fig. 4, 2-3; Quilliec 2007, nn. 874-875.
324 note e discussioni

Fig. 6. Spade a lingua da presa: 1. Oreo, Siniscola; 2. Bolotana,


NU (da Lo Schiavo, D’Oriano 1990); 3-4. Su Tempiesu,
Orune (da Fadda, Lo Schiavo 1992).

complessivamente si inquadrano nell’età del bronzo recente ‒ data di erezione del tempio
‒ a tutto il bronzo finale; manca materiale ceramico sicuramente databile all’età del ferro61.

61
A Su Tempiesu, invece, una frana – successiva a diverse altre minori che avevano portato a restauri
antichi della struttura – ha seppellito il monumento, anteriormente alla prima metà dell’VIII secolo, per via
di due piccole fibule ad arco ribassato a sezione romboidale (Lo Schiavo 1992b, p. 87, nn. 124-125, tav. 25,
30-31), trovate in posizione superficiale e laterale nel crollo. Per la definizione della data esatta dell’ultimo
evento distruttivo, oltre all’assenza di ceramica databile all’età del ferro, occorre valutare lo sconvolgimento
dei reperti di bronzo sparsi in tutta l’area templare; dunque è presumibile che la frana sia intervenuta quando
l’abbandono dell’edificio era già in atto, fra la fine dell’età del bronzo finale e l’inizio della prima età del
ferro.
note e discussioni 325

Fig. 7. Spade tipo Monte Sa Idda (1-2) e tipo Huelva (3-4): 1. Falda
della Guardiola (disegno P. Falchi); 2. Monte Sa Idda, Decimo-
putzu (da Giardino 1995); 3. Santa Marinella, RM (da Bian-
co Peroni 1970); 4. Siniscola, NU (da Lo Schiavo 1978).

Spade tipo Huelva/Saint Philbert nella Sardegna nuragica ed in Italia peninsulare

Purtroppo fuori contesto è la spada tipo Huelva da Siniscola (Fig. 7.4)62, che appar-
tiene incontestabilmente al tipo Huelva/Saint Philbert, più evoluta, rispetto alla precedente

62
Lo Schiavo 1978; Lo Schiavo, D’Oriano 1990, p. 108, fig. 2, 2; Quilliec 2007, n. 324. Nessuna
affidabilità, purtroppo, si può attribuire al fatto che insieme alla spada siano stati sequestrati tre esemplari di daga
a base semplice, inquadrabili nel Bronzo Medio per l’affinità formale al tipo Castione (Lo Schiavo 1978, tav.
XXVI; Bianco Peroni 1970, nn. 13, 14; 18-20), ed un paio di molle da fuoco di tipo cipriota (Lo Schiavo 1978,
tav. XXVIII, 2; Lo Schiavo, Macnamara, VAgnetti 1985, fig. 9. 1). Date le ottime condizioni di conservazio-
ne si sarebbe tentati di pensare che i bronzi provenissero tutti da un unico deposito, ma questa è solo un’illazione.
326 note e discussioni

da Bolotana63, per il fatto di avere tre fenestrature sull’impugnatura e sulle alette, il ricasso
marcato e soprattutto la lama, perfettamente diritta e solo ristretta in punta. Questa foggia
di spada indica un radicale cambiamento nella strategia del combattimento, trattandosi di
un’arma da punta e da fendente e non più da colpo e da fendente64. È da sottolineare che
mentre la spada da Bolotana ed i due frammenti da Orune sono certamente di produzione
locale per le caratteristiche peculiari che le contraddistinguono65, la spada tipo Huelva
da Siniscola può senza difficoltà essere attribuita a manifattura iberica, “importata” in
Sardegna. È anche assai significativo il fatto che un frammento dello stesso tipo di spada,
variante Puertollano, sia stato ritrovato nel ripostiglio di Santa Marinella datato già da
Vera Bianco Peroni al BF 3 (Fig. 7.3)66: la localizzazione dei due reperti sulle opposte
sponde del Tirreno è una conferma della funzione di tramite della Sardegna nuragica per i
manufatti iberici, tanto di “importazione” quanto - come per la spada di Falda della Guar-
diola - di imitazione.

Spade tipo Monte Sa Idda nella Sardegna nuragica, in Italia peninsulare e nella Penisola
Iberica

In questo quadro di vivace interscambio e di veloce acquisizione e riproduzione dei


modelli si inquadrano le spade tipo Monte Sa Idda, che proseguono la tradizione atlantica,
facendo propri e rielaborando localmente gli spunti che erano approdati nell’isola attraver-
so le connessioni con la Penisola Iberica. È tipologicamente difficile considerarle riferibili
alla foggia “a lingua di carpa”67, in quanto la linea sinuosa68 fra l’impugnatura e le alette,
che dovrebbe caratterizzare questa seconda famiglia, non è chiarissima in tutti i vari tipi di
impugnatura presenti nel ripostiglio. Per contro, il ricasso marcato e gli speroni sporgenti
si trovano anche in altri esemplari appartenenti al tipo Huelva/Saint Philbert69. L’unica
ipotesi accettabile anche sul piano tipologico è che si tratti di un tipo locale, elaborazione

63
Nell’assimilare l’esemplare da Bolotana alle spade tipo Huelva, come quella dal sequestro di Sinisco-
la, C. Burgess (Burgess, O’Connor 2008, p. 51) non ha osservato che i tagli danneggiati ed incompleti da
ambedue le parti nel troncone superiore e soprattutto la sagoma del troncone inferiore permettono di ricostruire
una lama sinuosa di tipo Atlantico, congrua con il tipo dell’impugnatura, che non ha niente a che vedere con le
spade tipo Huelva.
64
Brandherm, Burgess 2008, p. 135.
65
A sostegno di una fabbricazione locale si ricordi che ambedue i tronconi di spada recano una decorazio-
ne incisa sulle due facce, l’una (Lo Schiavo 1992b, tav. 19, 1) di due e tre cerchielli per parte, sulle alette al di
sotto dei fori dei chiodi, e l’altra (Lo Schiavo 1992b, tav. 19, 2) di due file di denti di lupo campiti a puntini ai
due lati della nervatura centrale, con un cerchiello per parte all’inizio.
66
Bianco Peroni 1970, n. 269, p. 97; Brandherm 2007, p. 88; Quilliec 2007, n. 1103; Bran-
dherm, Burgess 2008, n. 475, p. 139. L’attribuzione è attualmente contestata da Branherm (com. pers.).
67
«… nowhere does … any … author make clear how the term came to be coined, especially as the carp
does not have a tongue, merely an adnate protuberance at the back of the throat, as C. Burgess was advised by
his old friend and mentor F. Celoria, more than forty years ago» (Brandherm, Burgess 2008, p. 133).
68
“even, unbrocken curve of the grip” (Brandherm, Burgess 2008, p. 136).
69
Cfr. Brandherm, Burgess 2008, pp. 137-138.
note e discussioni 327

“sperimentale” da un modello atlantico circolante, conosciuto e già imitato (vedi esem-


plari da Bolotana e da Orune), che ha portato all’estremo alcune particolarità formali non
solo non migliorative della funzionalità ma che, al contrario, la limitano. La produzione
locale nuragica conferisce validità ad una distribuzione così marcatamente sudocciden-
tale, inspiegabile in una provenienza originaria iberica70. D’altra parte è stata da tempo
dimostrata infondata, per la Sardegna nuragica, l’ipotesi di commercio di rottami pronti
per la rifusione. In particolare a Monte Sa Idda la destinazione rituale del contesto e la sua
intangibilità sono stati provati oltre ogni ragionevole dubbio per la presenza - già segnalata
da Taramelli71 - di un menhir indicateur posto in posizione obliqua a segnalazione del sito
nel quale si trovava il ripostiglio; questo, infatti, non era seppellito, ma semplicemente
raccolto in un vaso contenitore, a sua volta collocato in uno più grande, deposto sul pavi-
mento di una capanna72. Sarebbe dunque davvero bizzarro se le popolazioni nuragiche del
Sulcis-Iglesiente - regione mineraria per eccellenza - importassero dalla Penisola Iberica
rottami di bronzo, guarda caso appartenenti ad un tipo non altrimenti documentato, per
farne il pezzo forte di un deposito protetto da tabù, del quale dunque non era permesso il
riutilizzo. Invece corrisponderebbe ad un obiettivo di “consacrazione”73 il fatto che nel
riprodurre con molta libertà un modello proveniente dall’esterno, non si fosse tenuto in
nessun conto la funzionalità della spada, destinata a spezzarsi per il ricasso esageratamen-
te incavato o a ferire seriamente chi la impugnasse per via degli speroni pericolosamen-
te sporgenti dalla sommità dell’impugnatura74. Va valutata la fabbricazione di manufatti
deliberatamente parziale o incompleta o frammentata per scopi rituali o votivi: un caso
notissimo in cui questo fatto è stato constatato è quello del ripostiglio di Monte Arrubiu
di Sarroch (Cagliari), costituito da due asce a tallone con due occhielli, un’ascia piatta
con due occhielli, uno scalpello piatto a sezione rettangolare, una «rasora»(?) e «7 prove
di fondita di metà accette piatte con codolo»75: si tratta cioè di strumenti comunemente

70
«distorted distribution pattern» (Brandherm, Burgess 2008, p. 147, fig. 7). La distribuzione del-
le spade tipo Monte Sa Idda – mai, si ricordi, associate nei ripostigli alle spade “a lingua di carpa”–- è così
“distorta” da rendere necessario fare riferimento all’avvento dei Fenici sulle coste atlantiche della Penisola Ibe-
rica. Si consideri, invece, che le interconnessioni mediterranee fra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale, sono
state non certo l’effetto ma la causa dell’avvento dei Fenici.
71
Taramelli 1915 fig. 1; 1922, fig. 1; Lo Schiavo 2008, fig. 5.1.
72
Taramelli 1915 fig. 2; 1922, fig. 2; Lo Schiavo 2008, fig. 5.2.
73
Si adopera questo termine molto impegnativo solo per sottolineare che l’intenzione non appare funzio-
nale. Colpisce anche il fatto che contro l’abbondanza di spade votive, inutilizzabili come vera e propria arma
altro che come troncone di lama per pugnale, si conoscono in tutta la Sardegna nuragica pochissime spade da
combattimento (all’incirca una ventina, contando anche quelle di Monte Sa Idda, tutte - salvo due sole ecce-
zioni - in tronconi o in minuti frammenti), tutte – salvo una sola eccezione – da ripostigli, templi e santuari,
dunque “spersonalizzate”.
74
«…exaggerated sideways projecting prongs…The shoulder points are almost equally prominent, and
these serve to emphasise the ricassi below, which are so prominent that the upper blade between them becomes
dangerously narrow – surely a potential source of weakness. The ricasso notches are also overblown, like eve-
rything else on these swords…». (Brandherm, Burgess 2008, p. 146). Da ultimo sulle spade tipo Monte Sa
Idda e, più in genere sulle spade “a lingua di carpa” vd. Brandherm, Moskal-del Hoyo 2010.
75
Taramelli 1926, col. 448-449, fig. 20; Lo Schiavo 1981, fig. 359.
328 note e discussioni

prodotti in matrice bivalve che invece sono stati colati singolarmente in una mezza valva.
A Monte Sa Idda vi sono almeno due “mezze” asce di questo genere, non adeguatamente
illustrate76. In ambedue i casi è evidente che il prodotto non poteva essere, in un secondo
momento “attaccato” alla sua metà speculare.
È quindi sostenibile l’ipotesi di una produzione locale nuragica del tipo Monte Sa
Idda77, non necessariamente successiva alla foggia delle spade “lingua di carpa” tipo Nan-
tes, in quanto resterebbe incomprensibile come mai neanche un frammento del tipo Monte
Sa Idda sia stato ritrovato in un contesto di spade “a lingua di carpaˮ, ma del tutto indipen-
dente tanto da questo quanto dal tipo Huelva/Saint Philibert, anzi tipologicamente paralle-
lo a quest’ultimo, come evoluzione del tipo atlantico delle grandi spade a foglia un tempo
definite “pistilliformi”, in Sardegna rappresentate nel ripostiglio di Oreo (Siniscola) dalla
variante Évora del tipo Catoira, sopra ricordata. Di conseguenza, nessuna difficoltà pone
la presenza di un troncone di spada tipo Monte Sa Idda, prodotto seguendo un modello
iberico in numero limitato di esemplari non funzionali ma di rappresentanza, proprio nel
ripostiglio di Populonia, sull’opposta sponda tirrenica, insieme ad una navicella bronzea.
Per l’inquadramento cronologico del tipo Monte Sa Idda in Sardegna e nella Penisola
si dispone di diversi spunti. Anzitutto il ripostiglio di Monte Sa Idda, che contiene fra
l’altro un frammento di spiedo articolato di tipo atlantico, un esemplare integro del quale è
stato trovato in una tomba di Amatunte ed attribuito da Vassos Karageorghis al CGI (circa
1000 BC in cronologia tradizionale), è stato deposto ancora entro l’età del bronzo finale
e contiene probabilmente anche manufatti più antichi78. Nell’Italia centrale tirrenica, il
ripostiglio di Santa Marinella (RM) è stato datato al BF 3 è così pure quello di Tolfa, dove
si trova un’ascia a tallone con occhiello, che richiama quelle a tallone con due occhielli
nel ripostiglio di Monte Arrubiu di Sarroch. Dunque si può collocare nel BF 2 la grande ri-
presa dei collegamenti con la Penisola Iberica e l’arrivo delle spade “atlantiche” con lama
a foglia, riprodotte persino nei bronzetti, e poi l’evoluzione di queste ultime nel secolo
successivo, accompagnata dalla diffusione sull’opposta sponda del Tirreno dei manufatti
più in voga e più significativi del momento, che per l’appunto si ritrovano tutti in ripostigli
appartenenti all’ultima fase dell’età del bronzo. Della cronologia del ripostiglio di Falda
della Guardiola di Populonia si parlerà più oltre. La difficoltà potrebbe essere quella di
collegare non tanto la tipologia che, come si è visto, trova una soddisfacente corrispon-
denza, ma la cronologia iberica e centreuropea, soprattutto se si ritenesse indispensabile
mettere tutti i tipi in successione, lasciando il tipo Monte Sa Idda come ultimo epigono,
agganciato alla tipologia dei manufatti del ripostiglio di Vénat, con il quale peraltro non vi
è – dichiaratamente – nessuna connessione79. Si tratta invece di un side effect, esattamente

76
Taramelli 1922, fig. 11.
77
Che i Nuragici riproducessero localmente manufatti di tipi sia ciprioti che iberici è stato dimostrato
specificamente dalle analisi effettuate su di un frammento di paletta di foggia cipriota da Sa Sedda ’e Sos Car-
ros di Oliena, della quale esiste anche una matrice in pietra, e da un’ascia a cannone con occhiello dal riposti-
glio di Funtana Janna di Bonnanaro (Begemann et Al. 2001, p. 49, fig. 5 e p. 50, fig. 6).
78
Karageorghis, Lo Schiavo 1989. Quello sul ripostiglio di Monte Sa Idda è uno studio in progress
dal 1989, ripreso nel 2002, ed ora pronto ad essere completato.
79
Brandherm, Burgess 2008, p. 141; Burgess, O’Connor 2008. Fase Ewart Park/Vénat/Monte Sa
Idda (Brandherm 2007, p. 98)
note e discussioni 329

come le spade argariche ed altri manufatti di epoca molto più antica, non importati ma pro-
dotti sul posto e derivati da un unico comune ceppo più o meno remoto. In quest’ottica tro-
vano una corretta collocazione anche le più tarde imitazioni e riproduzioni iberiche80, dal
momento che le relazioni di interscambio della Sardegna verso Occidente proseguirono,
anzi, si più dire che si ravvivarono quando i Fenici si affiancarono prima e subentrarono
poi ai Nuragici nelle rotte e nei commerci, colonizzando e trasformando l’isola dentro e
fuori, con particolare riferimento alla zona centro occidentale, e portando con sé non tanto
la conoscenza, quanto la consuetudine dell’uso del ferro81.

F. L.S.

Le asce82

Le asce nn. 3-6 sono riconducibili ad una variante specifica del tipo Bambolo, identifi-
cata da spalle più pronunciate rispetto al resto delle attestazioni (Fig. 8.1-4)83. Queste asce,
prive di tallone, sono caratterizzate da una forma piuttosto slanciata sia della lama, quasi
trapezoidale con taglio sovente concavo, che dell’immanicatura, spesso con lati lievemen-
te convergenti verso l’attacco della lama. Gli esemplari nn. 3-5 presentano caratteristiche
formali, dimensioni e peso quasi identici, tanto da far ipotizzare che possano derivare
dalla medesima matrice84. L’esemplare n. 6, invece, si differenzia dagli altri per le spalle
dell’immanicatura leggermente più sfuggenti e per la presenza di otto incisioni verticali e
parallele alla base della lama. Si ritiene che il tipo sia originario dell’Etruria settentrionale
e probabilmente del distretto populoniese, da dove provengono le quattro asce della Guar-
diola e le cinque del ripostiglio eponimo (Fig. 9.1)85, scoperto nel territorio di Castagneto
Carducci, poco a nord di Populonia86; nel resto del comparto settentrionale sono noti

80
Lo Schiavo, D’Oriano 1990, fig. 8, 1-6; Brandherm, Burgess 2008, p. 150-151. C’è da chiedersi
se il tipo Monte Sa Idda in Sardegna e nella Penisola Iberica non siano due varietà distinte e non contempora-
nee ma in successione, con ovvia precedenza degli originali nuragici.
81
È ormai ben noto che in Sardegna la conoscenza del ferro è precoce ed è introdotta dai Ciprioti, insie-
me alla loro tipica tecnologia metallurgica. Con l’arrivo dei Fenici la forgiatura di armi e di altri manufatti di
ferro si estende prepotentemente. Uno dei fenomeni più caratteristici è la deposizione nelle più antiche tombe
di Monte Sirai di riproduzioni totali o parziali in ferro di armi, spilloni, pendenti, faretrine, etc. (Lo Schiavo
2008, pp. 431-432). Peraltro in tutto il ripostiglio di Monte Sa Idda e nei rinvenimenti contemporanei e succes-
sivi dalla stessa località non vi è traccia di manufatti di ferro.
82
La numerazione degli esemplari si riferisce a quella del catalogo in appendice.
83
Carancini 1984, pp. 7-9.
84
Il peso, inferiore rispetto agli altri due esemplari di circa 20 gr, dell’ascia inv. 126387 può senz’altro
essere ricondotto ad alcune piccole lacune riscontrabili sull’oggetto. Permangono in ogni caso incertezze circa
il tipo di matrice impiegata per la realizzazione di questi oggetti, come osservato da A. Lehoërff (Lehoërff
2007, p. 375).
85
Carancini 1984, nn. 2031, 2033, 2036, 2041, tav. 5. 2031, 2033, 2036, 2041; alle quali può forse
essere aggiunto un quinto esemplare lacunoso (Setti 1997, n. 4, p. 222, fig. 150. 4).
86
Setti 1997 con bibl. prec.
330 note e discussioni

Fig. 8. Asce del ripostiglio di Falda della Guardiola (disegni P.


Falchi).

due esemplari di provenienza antiquaria da Chiusi87 e la singola attestazione dalla tomba


XCIII di Marsiliana d’Albegna88. Due asce del tipo Bambolo sono sate deposte inoltre nel
ripostiglio di Colle Le Banche, Camaiore (LU), contesto nel quale prodotti caratteristici
della metallurgia ligure sono associati a bronzi di tradizione etrusca (Fig. 9.4)89. Infine,

87
Collezione Ancona, Carancini 1984, nn. 2039 e 2040, tav. 5. 2039-2040.
88
Minto 1921, p. 147, tav. XXIX. 4; Carancini 1984, n. 2037, tav. 5. 2037.
89
Cocchi Genick 1985, nn. 23-24, pp. 335-336, figg. 7.1-2; Cocchi Genick 2004, III.32.1, 4, pp. 181-
note e discussioni 331

Fig. 9. Asce: 1-3. Bambolo, Castagneto Carducci (da Setti


1997); 4-6. Colle Le Banche-Lido di Camaiore (da Coc-
chi Genick 2004); 7. Maison Perragi, Aleria; 8.Casti-
fao, Corte (da Giardino 1995).

oltre ad un esemplare sporadico con complessa decorazione a bulino conservato al Museo


Poldi Pezzoli di Milano90, le restanti segnalazioni peninsulari sono poche ma significati-
ve, perché confermano l’importante ruolo di crocevia svolto dal distretto settentrionale
d’Etruria nell’avanzato VIII secolo. La diffusione del tipo verso sud è testimoniata dal

182. Sui rapporti tra alcune produzioni d’impasto ligure e populoniese di epoca orientalizzante, vd. Acconcia
et Al. 2010, pp. 57-59 con bibl. prec.
90
Carancini 1984, n. 2035, tav. 5, 2035.
332 note e discussioni

rinvenimento nella tomba 962 della necropoli veiente di Casale del Fosso91, mentre un
esemplare proviene dal ripostiglio di Manduria I, nelle Murge tarantine92. Direttrici di
scambio verso l’ambiente centro europeo, probabilmente sfruttando l’importante asse di
collegamento sud-nord costituito dal fiume Adige, sono invece suggerite dalla presenza
di due esemplari nel ripostiglio di Calliano, in provincia di Trento93. Riguardo queste
ultime segnalazioni, è incerto se si tratti di vere importazioni o non piuttosto di imitazioni
locali del prototipo originario. Considerando il novero delle attestazioni, sembra infatti di
riscontrare nel nucleo proveniente dal distretto populoniese una maggiore articolazione
delle spalle, che ricorre, pur se in maniera meno marcata, anche nell’ascia da Marsiliana
ed in quella integra da Colle Le Banche. Analogie, sebbene meno stringenti, sono inoltre
riscontrabili con i due esemplari da Calliano, contesto che ha restituito, peraltro, altre fog-
ge di bronzi caratteristiche dell’Italia centrale94. Spalle poco sporgenti mostrano invece le
due asce dal territorio chiusino, nonché quelle veienti e tarantine, pur restando costanti le
altre caratteristiche identificative del tipo. La cronologia tradizionale delle asce ad alette
tipo Bambolo è collocata tra gli inizi e l’ultimo quarto dell’VIII secolo. Di questa datazio-
ne rimane ancora sostanzialmente valido il limite più recente, suggerito dalle sepolture di
Veio e di Marsiliana, riconducibili rispettivamente al pieno Villanoviano evoluto ed alla
fase di passaggio all’Orientalizzante Antico. Alla luce dei nuovi dati, deve invece essere
rivisto l’orizzonte più antico di produzione che non risalirebbe oltre la metà dell’VIII
secolo. Sembra infatti ormai accettata una datazione analoga per il ripostiglio eponimo,
basata su di una revisione complessiva della cronologia dei materiali che compongono il
contesto95.
L’esemplare n. 7 rientra invece nel tipo Elba (Fig. 8.5)96. Queste asce, prive di setto
di divisione tra immanicatura e lama, sono caratterizzate da alette diritte molto larghe
e lievemente rientranti. L’immanicatura è piuttosto massiccia, con una lieve risega alla
base dell’attacco della lama rilevabile negli esemplari di provenienza elbana. La lama è
di forma slanciata, più stretta dell’immanicatura, con i lati fortemente divaricati in coin-
cidenza del taglio, largo ma poco arcuato. Al pari del tipo Bambolo, anche il tipo Elba
sembrerebbe caratteristico del distretto populoniese, dove si concentra la quasi totalità
delle attestazioni. Oltre all’esemplare da Falda della Guardiola, quattro asce provengono
dal ripostiglio di Valle Gneccarina, Marciana sull’isola d’Elba97. Quest’ultima, e con essa
probabilmente l’intero arcipelago toscano, doveva essere entrata nell’orbita di Populonia

91
Müller Karpe 1974, tav. 26. A3,; Carancini 1984, n. 2038, tav. 5. 2038; in entrambi i casi con
errata attribuzione della tomba alla necropoli di Grotta Gramiccia.
92
Manduria I, Müller Karpe 1959, p. 234, tav. 15. 12; Carancini 1984, n. 2042, tav. 5. 2042. Sulle
connessioni del ripostiglio Manduria I con analoghi contesti centro-settentrionali, Carancini, Peroni 1999,
pp. 21-22, tavv. 33-34.
93
Orsi 1898; Marzatico 1997, p. 835, fig. 334.
94
Asce a cannone con larga spalla sporgente tipo San Francesco varietà E (Carancini 1984, n. 4074,
tav. 144. 4074); asce ad occhio circolare tipo San Francesco (Carancini 1984, n. 4435, tav. 169. 4435).
95
Setti 1997.
96
Carancini 1984, pp. 112-113.
97
Carancini 1984, nn. 3534, 3536-3538, tav. 107. 3534, 3536- 3538.
note e discussioni 333

già tra lo scorcio dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro98. Al di fuori del distretto
populoniese, un esemplare proviene dal ripostiglio di San Francesco a Bologna99 ed uno
dalla Sardegna settentrionale, forse da Bonnanaro (SS) (Fig. 10.4)100. Proprio quest’ul-
timo rinvenimento consente di sottolineare la vitalità delle direttrici di collegamento tra
Populonia e le grandi isole del Tirreno durante la Prima età del Ferro, nel quadro di un
intenso scambio di merci ed idee101. La datazione delle asce tipo Elba può essere avanzata
per ora solo su base indiziaria, data l’assenza, a parte il ripostiglio populoniese, di altri
contesti affidabili che ne possano comprovare la cronologia. Considerando la cronologia
di deposizione del ripostiglio di San Francesco, che contiene anche materiali databili tra
il BF 2/3 ed il I Fe 2B102, e valutando l’associazione nel ripostiglio della Guardiola ad
asce di tipo Bambolo, sembra ragionevole ricondurre anche il tipo Elba alla seconda metà
dell’VIII secolo.

M. M.

Composizione e cronologia del ripostiglio nel quadro dei ripostigli BF 3/IFe

Sardegna nuragica

Come si è detto sopra, a proposito delle spade, a partire dall’età del Bronzo Finale
2 accanto alla forte impronta cipriota, che in quel periodo sembra raggiungere il suo
apogeo, compare, si rafforza e diventa sempre più evidente l’influenza iberica, mentre si
consolidano progressivamente i rapporti con la penisola italiana, già testimoniati durante
il BR da un numero esiguo ma significativo di materiali. Nel periodo immediatamente
successivo del BF 3/I Fe, templi e santuari, nuraghi e villaggi, hanno restituito complessi
di manufatti di bronzo, dei quali recentemente è stato presentato un riepilogo ed un ten-
tativo di interpretazione. Si tratta dei ripostigli di Funtana Janna, Bonnanaro (Sassari),
del nuraghe Flumenelongu, Alghero (Sassari), di S’Adde ’e S’Ulumu, Usini (Sassari);
i contesti del nuraghe S. Pietro, Torpè (Nuoro), di Su Tempiesu, Orune (Nuoro), di Su
Monte, Sorradile (Oristano), di Tadasuni (Oristano), di S. Anastasia di Sardara (Caglia-
ri) (i tre bacili e i lingotti di piombo), dei nuraghi Adoni di Villanovatulo ed Arrubiu di
Orroli (Nuoro); e ancora i ripostigli di Monte Sa Idda, Decimoputzu (Cagliari) e Monte
Arrubiu, Sarroch (Cagliari) (Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2009). Fra questi vi sono

98
Bartoloni 1991, pp .4- 5; Fedeli, Galiberti, Romualdi 1993, p. 85; Bartoloni 2004, p. 237.
99
Carancini 1984, n. 3535, tav. 107. 3535
100
Pinza 1901, coll. 172-173; Lo Schiavo 1981, p. 304-305, tav. LXIIb.
101
Sui rapporti specifici tra Populonia e la Sardegna, vedi Bartoloni 1991, Bartoloni 2002, Lo
Schiavo 2010b.
102
Vitali 1985; Peroni 1996, pp. 525-526; Carancini, Peroni 1999, pp. 19-20. Il contesto, dopo la
prima pubblicazione dello Zannoni (1888), è ancora in attesa di uno studio complessivo e aggiornato. Sono
infatti state oggetto di analisi solo alcune delle classi di bronzi che lo compongono, quali le asce (Carancini
1984), le spade (Bianco Peroni 1970), i pugnali (Bianco Peroni 1976), i coltelli (Bianco Peroni 1994),
i rasoi (Bianco Peroni 1979), i morsi equini (von Hase 1969), gli spilloni (Carancini 1975) ed i cinturoni
(Manfroni 2005), oltre ai pezzi nuragici (Lo Schiavo 1981).
334 note e discussioni

Fig. 10. Asce peninsulari in Sardegna: 1. Flumenelongu, Alghero, SS


(da Lo Schiavo 1976); 2. Silanus, La Maddalena, SS (da Lo
Schiavo 1979); 3. Forraxi Nioi, Nuragus, CA; 4. Bonnanaro,
SS (?); 5. Monte Pelau, SS; 6. Sardegna, provenienza scono-
sciuta (da Lo Schiavo 1981).

diverse categorie di contesti: in maggioranza veri e propri tesori di notevole entità e/o di
lunga durata, appartenenti non ad un singolo ma ad una collettività; di dimensioni ridotte
sono invece i “tesoretti” personali, probabilmente appartenenti - anche per la specifica
natura dei manufatti - ad un singolo individuo; infine, in chiaro riferimento a strutture
templari o santuariali, vi sono le offerte rituali. Ciascuna di queste categorie è indiziata,
oltre che dal luogo e caratteristiche del rinvenimento, anche dalla composizione, ovvero
dalla presenza/assenza di alcune tipologie di oggetti.
note e discussioni 335

Su questa base, il ripostiglio di Falda della Guardiola non si confronta agevolmente


con nessuno di questi. Infatti il numero esiguo di pezzi lo esclude dalla prima categoria e
l’associazione delle asce (attrezzi), con la spada e la fibula lo esclude dalla seconda. L’uni-
ca affinità proponibile è con la terza categoria, cioè quella delle offerte rituali, fra le quali
esistono anche raggruppamenti di entità limitata, dei quali però, salvo casi molto fortunati
di rinvenimento recente (es. Sardara), si è persa la consistenza nel saccheggio indifferen-
ziato di sacelli, templi e santuari.

F. L.S.

Etruria settentrionale

I ripostigli della futura Etruria settentrionale tirrenica databili alla fase di passaggio tra
l’età del Bronzo e la prima età del Ferro (BF 3/I Fe 1A), inquadrati nella facies metallur-
gica Tolfa- Allumiere, sono stati oggetto di numerose ed articolate trattazioni. In generale,
si è concordi nel sottolineare l’omogeneità tipologica dei bronzi che li compongono e la
forte caratterizzazione della produzione locale. Analisi specifiche hanno inoltre evidenzia-
to le strette connessioni con alcune delle tradizioni bronzistiche coeve, contribuendo così
a delineare un quadro complessivo che rileva una fitta circolazione di modelli e tecnologie
in tutto il bacino del Mediterraneo, con l’area in questione che appare quale un importante
crocevia di questi contatti103.
Decisamente meno ricca è invece la bibliografia sui ripostigli delle successive fasi
dell’età del Ferro (I Fe 1B- 2B). La documentazione disponibile è spesso lacunosa e solo
pochi di essi sono stati adeguatamente analizzati. Nonostante queste oggettive difficoltà, è
però possibile tentare una valutazione complessiva dei principali contesti, sottolineandone
le caratteristiche comuni e le peculiarità rispetto alla serie del periodo precedente ed a
quelle coeve delle aree vicine, allo scopo di comporre un quadro preliminare delle moda-
lità locali di accumulo e tesaurizzazione dei metalli.
Sono attualmente noti e ben documentati solo tre ripostigli di una certa consistenza:
Falda della Guardiola, Bambolo e Colle Le Banche, quest’ultimo localizzato in un’area
di confine tra Etruria e il territorio ligure. A questi possono però aggiungersi un signifi-
cativo numero di piccoli nuclei di bronzi databili nell’ambito dell’VIII secolo, la mag-
gior parte dei quali provenienti dall’arcipelago toscano. Alla serie del BF 3/I Fe 1A (S.
Martino-Elba, Monaco-Elba; Campese-Isola del Giglio), fanno riscontro infatti alcuni
contesti elbani: Valle Gneccarina-Marciana, Pomonte-Marciana e Colle Reciso-Porto-
ferraio/Capoliveri104. Sebbene sussistano incertezze sull’interpretazione quali ripostigli
e circa la loro esatta composizione, a causa del rinvenimento fortuito e della dispersione

103
Carancini 1979; Bergonzi, Cateni 1979; Bietti Sestieri 1981; Delpino 1997; Pellegrini
1998, pp. 25-29; Carancini, Peroni 1999, pp. 19-20, al quale si rimanda per la bibliografia di riferimento dei
singoli contesti; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2009.
104
Valle Gneccarina: Zecchini 1978, pp. 59-60, tav. 4 con bibl. prec.; Delpino 1981, p. 270; Zecchini
1983, p. 88, tav. V in basso; Zecchini 2001, n. 1, pp. 76-77, tavv. 33, 49; Pomonte: Delpino 1981, p. 275,
tav. LVIII d-f, fig. 3 con bibl. prec.; Zecchini 2001, n. 3, p. 78, tav. 52; Colle Reciso: Zecchini 1978, p. 62;
Delpino 1981, pp. 270-271, tav. LIVa con bibl. prec.; Zecchini 2001, n. 2, pp. 77-78; tav. 51.
336 note e discussioni

di parte dei materiali che li costituivano, ciò nonostante la loro attestazione conferma
la vitalità della bronzistica locale nella piena Età del Ferro, in significativa continuità
con il periodo precedente. La metallurgia dei solfuri misti infatti rappresenta ancora,
durante il periodo in questione, il principale motore economico dell’area, mentre più
tardo sembrerebbe l’inizio dello sfruttamento intensivo e sistematico del ferro elbano
da parte di Populonia105. Sulla terraferma, ci si limita invece a segnalare un interessante
nucleo di materiali da Donoratico, oggetto di una recente edizione preliminare, forse
un piccolo ripostiglio o una parte di esso, databile al I Fe 1B avanzato-2A106. Nel con-
testo in questione, ad ulteriore testimonianza del ruolo di importante luogo d’incontro
svolto da Populonia nella circolazione di modelli e saperi nell’ambito della bronzistica,
ricorrono, in associazione a fibule appartenenti a tipi locali, due amuleti a faretrina di
foggia nuragica ma probabilmente d’imitazione locale107 ed alcuni pendenti traforati a
tre cerchi concentrici che sembrano inserirsi nella più antica tradizione centro europea
dei pendenti wheel-shaped108. Questi ultimi sono attestati in Italia settentrionale a par-
tire dal Bronzo Recente109 ma con maggiore frequenza nel corso del Bronzo Finale110,
quando compaiono anche nella futura Etruria ed in Italia centrale, perdurando poi fino
alla piena età del Ferro111.
La oggettiva limitatezza dei contesti affidabili e la loro scarsa consistenza numerica
rendono poco costruttivo un approccio basato solo sull’analisi associativa dei materiali;
ciò nonostante si può rilevare una netta prevalenza delle asce tra i materiali deposti, con le
altre classi di bronzi scarsamente attestate. Tale caratteristica ricollega la serie del distretto
minerario settentrionale a quella dei ripostigli meridionali, dove a partire dal tardo Bronzo
prevalgono contesti costituiti esclusivamente o in massima parte da asce112. Proprio su

105
Sull’argomento, da ultimo Acconcia, Milletti 2009 con bibl. di rif.
106
Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, pp. 78-79. Sebbene in una breve nota G. Pellegrini ipotizzi che
i materiali in questione possano provenire dai corredi di alcune tombe (Pellegrini 1902, n. 375, p. 220), ciò
nonostante la patina, identica in tutti i bronzi, e la presenza di oggetti intenzionalmente ritorti (fibule) o non rifiniti
(pendenti), inducono a valutare la possibilità che si tratti invece di un unico complesso di manufatti tesaurizzati.
107
Milletti 2008, p. 20; Falchi 2008, pp. 44-45; Lo Schiavo 2010b.
108
Per un tentativo preliminare di inquadramento di questi pendenti, con riferimento agli esemplari del
ripostiglio sloveno di Kanalski Vrh, si veda Heath, Trampuž-Orel, Milič 2000 con bibl. prec.
109
Carancini, Peroni 1999, n. 29, p. 53, tav. 24. 29.
110
Si veda, da ultimo, il ripostiglio di Monte Cavanero di Chiusa di Pesio, deposto alla fine del IX-inizi
VIII secolo ma con un consistente nucleo di materiali databili al Bronzo Recente ed al Bronzo Finale (Ven-
turino Gambari 2009, pp. 44-46). Sui pendenti traforati nello specifico si veda, in quest’ultimo volume, il
contributo di F. Rubat Borel (Rubat Borel 2009, pp. 72-79, in particolare fig. 51.7-8). Pendenti traforati con
tre cerchi concentrici, analoghi a quelli da Donoratico, ma, contrariamente a quest’ultimi, con anello di sospen-
sione triangolare, sono considerati caratteristici del PG I (Negroni Catacchio, Nava, Chiaravalle 1979,
n. 5, fig. 3, pp. 55 e 69-70).
111
In Etruria, i pendenti wheel-shaped sono segnalati, ad esempio, nel ripostiglio di Coste del Marano,
Tolfa, databile al BF2 (Peroni 1961, 1.11-(6).31-32). Tra le attestazioni più tarde, riconducibili alla piena età
del Ferro, si segnalano alcuni esemplari nella necropoli delle Acciaierie di Terni (Leonelli 2003, n. 115, p.
232, tav. 52. 10).
112
Carancini, Peroni 1999, pp. 20-21 con bibl. prec.
note e discussioni 337

questa classe bronzistica si focalizzerà dunque l’attenzione, nel tentativo di fornire un


inquadramento preliminare sia delle fogge locali che dei principali tipi di elaborazione
allogena attestati nell’area.
Tra i tipi di ampia diffusione, si segnalano le asce ad alette con immanicatura slanciata
e lama tozza, attestate nel ripostiglio del Bambolo (Fig. 9.3)113, caratteristiche di tutto il
versante medio tirrenico della penisola, da dove giungono nei territori felsinei114. Il tipo
a cannone con spalla tipo Ardea115, presente nel contesto di Colle Le Banche (Fig. 9.5),
sembra invece genericamente riconducibile all’ambiente centro italico116. La maggior parte
delle asce appartiene però a tipi di elaborazione locale. Ai già trattati tipi Elba e Bambolo,
può aggiungersi infatti il tipo Volterra, articolato nelle due varietà A e B in base alla pre-
senza o meno di un occhiello laterale117. Queste asce sono diffuse prevalentemente nel
volterrano e nell’agro vetuloniese e sono segnalate inoltre a Colle Le Banche (Fig. 9.6)118
e a Colle Reciso sull’isola d’Elba119, con esemplari attribuibili rispettivamente alla varietà
A ed alla B. A parte un consistente nucleo nel ripostiglio di San Francesco e due esemplari
in quello di Santa Lucia, Ardea-RM, le attestazioni al di fuori dei territori etruschi setten-
trionali sono sporadiche e riconducibili ad importazioni dall’area di origine; le direttrici
di diffusione verso nord sembrano analoghe a quelle delle asce tipo Bambolo, alle quali
sono associate nel ripostiglio di Colle Le Banche, mentre i due esemplari del ripostiglio
di Urbino120 si inseriscono lungo l’asse preferenziale che collegava il distretto minerario
all’ambiente felsineo121. Il rinvenimento elbano, d’altra parte, conferma il ruolo di media-
tore svolto dall’arcipelago toscano nel quadro dei contatti tra l’Etruria e la Sardegna, dove
sono segnalate due asce tipo Volterra varietà B, una dal nuraghe di Monte Pelau (SS)122
ed una di provenienza sconosciuta conservata al Museo di Cagliari (Fig. 10.5-6)123. Tra le
poche attestazioni sull’isola di asce peninsulari, si deve rilevare una netta prevalenza delle
fogge medio tirreniche, a testimoniare ulteriormente l’esistenza di rapporti privilegiati ed
ancora saldi tra l’Etruria settentrionale e la Sardegna in un’epoca che, in base agli studi più
recenti, sembrerebbe delinearsi sull’isola quale post nuragica124. Oltre ai due esemplari

113
Setti 1997, n. 6, p. 220, fig. 150. 6.
114
Carancini 1984, pp. 9-11.
115
Carancini 1984, pp. 172-174.
116
Cocchi Genick 2004, III. 32. 3, p. 182.
117
Sul tipo Volterra, Carancini 1984, pp. 62-69, al cui novero può aggiungersi, da ultimo, un esemplare
della varietà B dal cosiddetto “ripostiglio” del Sodo a Cortona (Carancini 2005, p. 65, III.22); per i tipi Elba
e Bambolo, vd. pp. 329-333.
118
Cocchi Genick 2004, III. 32. 2, pp. 180-182.
119
Delpino 1981, p. 271, nota 12, tav. LIVa.
120
Peroni 1963, I8, tav. 1. 4 e 3. 10.
121
Sui rapporti tra l’Etruria mineraria ed in particolar modo Populonia con l’ambiente felsineo, Barto-
loni 1986; Ead. 1991, p. 28.
122
Pinza 1901, col. 160, tav. XVI.1; Lo Schiavo 1981, pp. 304-305, tav. LXIIc.
123
Lo Schiavo 1981, pp. 304-305, tav. LXIId.
124
Da ultimo, Lo Schiavo et Al. 2009b. In Sardegna, peraltro, non sono attestati tipi locali di asce ad
alette (Lo Schiavo 1991a).
338 note e discussioni

tipo Volterra ed all’ascia tipo Elba da Bonnanaro già citati125, un’ascia tipo Vetulonia va-
rietà A (Fig. 10.3) proviene infatti dal ripostiglio di Forraxi Nioi, Nuragus (NU)126; le altre
attestazioni del tipo, al di fuori del territorio eponimo, si limitano ad un consistente nucleo
nel ripostiglio di San Francesco127 e a due esemplari singoli, l’uno sporadico da Castifao-
Corte in Corsica (Fig. 9.8)128 e l’altro dal ripostiglio della Selvicciola, Ischia di Castro-VT,
un complesso costituito da materiali compresi tra la fine del IX e lo scorcio dell’VIII seco-
lo129. Ancora più limitate sono infine sull’isola le scuri peninsulari: tra le più antiche, se ne
segnala una ad occhio tipo Cerchiara (BF3-I Fe 1A), dal ripostiglio del nuraghe Flumene-
longu, Alghero (Fig. 10.1)130. Il tipo, sebbene sia originario dell’Italia meridionale, cono-
sce ampia diffusione lungo la dorsale medio tirrenica d’Etruria131. Un’altra scure ad occhio,
attribuibile al tipo Doss Trento, d’incerta cronologia perché segnalato in contesto solo nel
complesso di San Francesco132, è stata infine rinvenuta nel ripostiglio di Silanus/Lei, La
Maddalena-SS (Fig. 10.2)133. Altrettanto complesso è l’inquadramento delle asce a canno-
ne con spalla larga tipo S. Francesco134, presenti, oltre che nel ripostiglio di Bambolo (Fig.
9.2)135, anche nel nucleo di bronzi da Pomonte sull’isola d’Elba136, da dove proviene un
ulteriore esemplare conservato al Museo Civico di Milano137. L’attestazione sporadica in
località Maison Perragi, Aleria-Corte (Fig. 9.7)138, infine, si inserisce nel quadro dei traffi-
ci tardo villanoviani tra la Corsica con le coste medio tirreniche della penisola, testimoniati
dalla netta prevalenza sull’isola di fogge bronzistiche medio tirreniche139. Analizzando la
carta di distribuzione, si nota come le segnalazioni in Etruria settentrionale siano numerose
ed interessino tutti i principali distretti, da Populonia, Vetulonia e Volterra fino a Vulci,
con alcune significative attestazioni anche nel chiusino; nel resto della penisola, invece, ad
eccezione di un consistente nucleo dal ripostiglio di San Francesco, le presenze sono poche
e sporadiche. Sembrerebbe dunque ragionevole ipotizzare una matrice settentrionale anche
per queste asce a cannone: proprio alcuni contesti funerari vetuloniesi e volterrani consen-
tono di datare il tipo alla seconda metà dell’VIII secolo-inizi VII secolo140.

125
Vd. p. 333.
126
Pinza 1901, col. 160, tav. XVI.1; Lo Schiavo 1981, p. 304-305, tav. LXIIa.
127
Carancini 1984, pp. 1-5.
128
de Lanfranchi 1978, tav. XX. 3- 4; Giardino 1995, 68, fig. 28 C2.
129
Rossi 2008, n. 3, p. 41.
130
Lo Schiavo 1976, n. 4, pp. 10-11, tav. V; Giardino 1995, p. 222, fig. 107.2. Sul ripostiglio, Lo
Schiavo 1976 e Giardino, Lo Schiavo 2007.
131
Carancini 1984, pp. 205-206.
132
Carancini 1984, pp. 229-230.
133
Spano 1876, p. 13, tav. 5; Lo Schiavo 1979, n. 42, p. 71 e 81, tav. VII.1; Lo Schiavo 1981, p. 306;
Giardino 1995, p. 222, fig. 107.1.
134
Carancini 1984, pp. 175-177.
135
Setti 1997, n.7, p. 220, fig. 150. 7.
136
Delpino 1981, p. 275, tav. LVIId.
137
Carancini 1984, n. 4050, tav. 142. 4050.
138
Acquaviva, Cesari 1990, 121, fig. 207; Giardino 1995, 68, fig.28 C1.
139
Milletti c.d.s..
140
Ad esempio, Volterra, necropoli delle Ripaie, tomba R1 (Nascimbene 2009, p. 156, tipo 1, tav. V,
note e discussioni 339

Sulla base dei dati raccolti e delle considerazioni esposte, l’unico contesto cronolo-
gicamente omogeneo è rappresentato quindi dal Bambolo, oggi concordemente riportato,
come già accennato, alla seconda metà avanzata dell’VIII. I materiali più antichi risalgono
infatti alla prima metà del secolo, come ad esempio una fibula a sanguisuga con decora-
zione a bande oblique di una foggia felsinea databile al terzo quarto dell’VIII secolo141 ed
una fibula ad arco ingrossato con decorazione a fasci di linee anulari e a spina di pesce,
confrontabile con un esemplare dal ripostiglio di Ardea142. La cronologia di deposizione
è però indicata da alcune delle asce, una delle quali attribuibile al tipo San Francesco a
cannone con spalla larga143, e da una fibula ad arco serpeggiante con due occhielli, foggia
attestata in Etruria settentrionale, nonché in Sardegna ed in Corsica, a partire dal I Fe 1B
avanzato ma che raggiunge la sua massima diffusione nel corso del I Fe 2144. Sostanzial-
mente coevo alla deposizione del Bambolo, considerando quanto precedentemente espo-
sto circa le asce tipo Bambolo e tipo Elba, sarebbe il ripostiglio di Falda della Guardiola,
che si compone però di materiali che abbracciano un arco cronologico più ampio, com-
preso tra il BF 2 ed il I Fe 2B. Leggermente più tardo sarebbe invece il seppellimento dei
bronzi di Colle Le Banche che coprono, al pari di Falda della Guardiola, un orizzonte cro-
nologico di ampia durata, compreso tra il BF 3, datazione di alcune falci a lingua da presa
tipo Piediluco145 e di alcune armille a nastro tipo Pariana, queste ultime note anche come
tipo Zerba146, e l’Orientalizzante Antico, come indicato da alcuni anelli paradito di cultura
ligure che, segnalati già a partire dallo scorcio dell’VIII secolo, tuttavia sono attestati nella
necropoli di Chiavari soprattutto nel primo quarto del VII secolo147.
I tre nuclei di bronzi in questione si inseriscono dunque nel secondo orizzonte dei
ripostigli della prima età del Ferro della penisola italiana, nel quale rientrano anche

E IX.1): fase IIB (metà VIII secolo); Vetulonia, circolo del Tridente, fossa B (Cygielman, Pagnini 2006,
n. 188, p. 72, fig. 18f, tav. VIIh), fossa oltre il tramezzo (Cygielman, Pagnini 2006, n. 359, p. 127, fig.
34c, tav. XVr): fase avanzata dell’Orientalizzante Antico. Il tipo non sembrerebbe risalire oltre la prima metà
dell’VIII secolo, considerando dubbia l’attribuzione ad esso di un esemplare dal ripostiglio di Contigliano I
(Carancini 1984, n. 4163, tav.148. 4163).
141
Setti 1997, n. 18, p. 224, fig. 151. 18. Per i confronti, vedi, ad esempio, S. Vitale tomba 759 (Pin-
celli, Morigi Govi 1979, pp. 454-462, tav. 45; Villanoviano III A, Dore 2005, p. 264). Esemplari simili,
anche in S. Vitale tombe 777 e 778, contesti di cronologia controversa ma anch’essi recentemente ricondotti al
Villanoviano III iniziale (de Marinis, Gambari 2005, pp. 203-204).
142
Peroni 1967, I.9 (1) 1.
143
Vd. p. 338.
144
Sulle fibule ad arco serpeggiante ad uno e due occhielli, Delpino 1981; 1997; per un aggiornamento
delle attestazioni ed un preliminare inquadramento cronologico dei tipi, Milletti c.d.s.
145
Cocchi Genick 1985, nn. 27-28, 30, pp. 337-338, figg. 9.1-2 e 10.2, Cocchi Genick 2004, III. 32.
19- 21, p. 183. Sulle falci a lingua da presa tipo Piediluco, Carancini 1979, p. 638, fig. 3. 38; Carancini,
Peroni 1999, n. 38, p. 63, tav. 31. 38.
146
Cocchi Genick 1985, nn. 1-9, pp. 324-330, figg. 1-4, Cocchi Genick 2004, III. 32. 5-8, 10-14,
pp. 182-183. Sulle armille tipo Pariana/Zerba, Tizzoni 1976; Carancini 1979, p. 638, fig.3.34; Catarsi,
Dall’Aglio 1987, p. 411, fig. 5; Carancini, Peroni 1999, n. 34, p. 63, tav. 31. 34 e da ultimo, Rubat
Borel 2009, pp. 64-65, con una proposta preliminare di articolazione del tipo in varietà.
147
Ad esempio, tomba 19 (S. Paltineri in Genova 2004, pp. 246-249).
340 note e discussioni

Ardea, San Francesco e Calliano, con i quali presentano evidenti interconnessioni. È


già stata rilevata la recenziorità della deposizione del ripostiglio di San Francesco ri-
spetto ai nuclei del Bambolo e di Ardea148, la cui chiusura, stante la nuova cronologia
del contesto di Donoratico, sarebbe ascrivibile per entrambi alla seconda metà avanzata
dell’VIII secolo149. In base alle ragioni precedentemente esposte, è dunque legitti-
mo considerare anche la deposizione di Falda della Guardiola precedente a quella del
nucleo felsineo. Più complesso appare l’inserimento nella sequenza del ripostiglio di
Calliano, riguardo al quale, in assenza di uno studio complessivo ed aggiornato, ci si
limita a sottolineare alcuni tratti di maggiore arcaicità nella composizione rispetto al
gruppo Bambolo-Falda della Guardiola-Ardea150, e del contesto certamente posteriore
di Colle Le Banche la cui chiusura potrebbe essere sostanzialmente coeva a quella del
nucleo di San Francesco.
Il quadro complessivo che si va così delineando e che i contesti di Falda della Guar-
diola, del Bambolo e di Colle Le Banche contribuiscono a definire con maggiore chiarez-
za, è quello di una produzione bronzistica che, pur mantenendo alcune peculiarità locali,
sulla scorta della consolidata tradizione del Bronzo Finale avanzato, bene illustrata dalla
serie dei ripostigli dei distretti minerari settentrionale e meridionale d’Etruria del BF 3/I
Fe 1A, si caratterizza tuttavia per la evidente circolazione di fogge e tipi su vasta scala
ed in particolare tra i vari comparti d’Etruria, certamente favorita dal progressivo conso-
lidamento delle rotte tra medio ed alto Tirreno verificatosi a partire dalla seconda metà
avanzata dell’VIII secolo151.
Quanto alla possibile interpretazione dei tre complessi di bronzi provenienti dall’E-
truria settentrionale, se per il ripostiglio di Falda della Guardiola si rimanda al paragrafo
seguente, la perdita dell’esatto contesto di rinvenimento impedisce purtroppo di proporre,
per i nuclei di Bambolo e di Colle Le Banche, una lettura affidabile: le condizioni dei
materiali deposti, infatti, non devono essere ritenute di per sé sufficienti a determinare la
natura di un ripostiglio, considerando la frequenza con la quale bronzi e manufatti in ge-
nerale rotti o defunzionalizzati ricorrono in contesti chiaramente votivi, quali, ad esempio,
il complesso della civita di Tarquinia152.

M. M.

148
Carancini, Peroni 1999, p. 20.
149
La deposizione del ripostiglio di Santa Lucia di Ardea risale al terzo quarto dell’VIII secolo, anche se
la maggior parte dei materiali è riconducibile al secondo quarto del secolo (Peroni 1967, I. 9 (46)).
150
Alcuni dei materiali deposti nel ripostiglio, quali le asce tipo Aldeno (Carancini 1984, pp. 123-124)
e le spade a pomo globulare tipo Calliano (Bianco Peroni 1970, pp. 107-109), sono infatti in circolazione già
nel IX secolo.
151
Bonamici 1996, 2006a; 2006b; Maggiani 2006.
152
Vd. p. 342. Ciò nonostante, nel caso del ripostiglio di Bambolo, la lacunosità e l‘estrema frammenta-
rietà degli oggetti deposti, nessuno dei quali sembrerebbe identificabile quale bene di assoluto prestigio, indu-
cono a ritenere più probabile una interpretazione del contesto quale apprestamento di bronzi da rifondere, piut-
tosto che proporre una lettura, necessariamente forzata e priva di riscontro, quale deposito cultuale.
note e discussioni 341

Ipotesi sul significato del ripostiglio di Populonia

Il quadro documentario del ripostiglio di Falda della Guardiola presenta dunque diver-
se lacune, alcune delle quali insanabili a meno di fortunate, quanto purtroppo improbabili,
future scoperte d’archivio. Qualsiasi tentativo di esegesi deve dunque confrontarsi con
questa realtà, limitandosi a proporre ipotesi interpretative di aspetti specifici ed auspican-
do una nuova lettura complessiva del contesto in un momento in cui ulteriori dati di scavo
ed una più articolata e completa ricostruzione del quadro storico generale consentiranno
la soluzione di alcune delle principali problematiche. Un complesso come il ripostiglio di
Falda della Guardiola, infatti, oltre ad offrire numerose direttrici di ricerca, si presta ad
essere analizzato sotto molteplici aspetti, legati soprattutto al valore rituale ed ideologico
dei materiali deposti. In particolare, si intende focalizzare in questa sede l’attenzione sulla
presenza della navicella nuragica e della spada tipo Monte Sa Idda, di evidente matrice
sarda, tanto da rendere certi di una scelta consapevole da parte di chi li ha selezionati e
deposti, in riferimento alla loro associazione a cinque asce di foggia locale153. Appare
dunque del tutto convincente l’ipotesi formulata da G. Bartoloni, secondo la quale la fibula
non sarebbe altro che il fermaglio di un tessuto che avvolgeva il complesso dei restanti
bronzi154, i quali andrebbero interpretati come un’offerta di fondazione delle mura bas-
se155. L’aporia legata alla cronologia della cinta, apparentemente non coerente con quella
di deposizione dei bronzi, si sanerebbe se le mura individuate dal Minto ricalcassero un
tracciato più antico156, come d’altra parte è stato recentemente appurato per altre città
etrusche157. La deposizione dei bronzi rappresenterebbe così l’unico tassello ancora intel-
legibile di un ben più complesso mosaico di azioni rituali, connesse con una nuova defini-
zione dello spazio comune e, per di più, esplicate in un periodo di profondo riassetto della
contesto sociale populoniese, quale la seconda metà dell’VIII secolo, che vede in Etruria
la progressiva affermazione delle prime forme di leadership di stampo aristocratico. Tale
interpretazione trova ulteriore riscontro inoltre nel carattere eccezionale dei bronzi nuragi-
ci, da considerarsi, come si è cercato di dimostrare nell’analisi dei reperti, quali portatori
di una forte valenza simbolica, con particolare riferimento alla navicella, vera insegna di
potere158. In prima istanza, si intende rilevare come nel rituale di deposizione si sia inteso
rimarcare una differenza tra gli oggetti nuragici e quelli locali mediante una volontaria
defunzionalizzazione dei primi: se per la navicella, oggi restaurata ma rinvenuta con lo
scafo diviso in due parti, esiste la possibilità di una rottura post-deposizionale, la spada
è stata invece inequivocabilmente privata di parte dell’impugnatura e di circa metà della

153
Secondo A. Babbi, la stessa consapevolezza sarebbe alla base della deposizione di più oggetti nuragici
nella stessa tomba, come osservato riguardo all’inserimento di due pendagli sardi appesi all’angolo di una fibu-
la proveniente da Le Arcatelle di Tarquinia (Babbi 2002, p. 452).
154
Bartoloni c.d.s.a.
155
Bartoloni 2002, p. 346; Ead. 2004, p. 247; 2007, p. 52; Ead. c.d.s.a-b; Bonghi Jovino 2000, p.
292; Zifferero 2006, p. 399; Romualdi, Settesoldi 2008, p. 311.
156
Bartoloni 2002, p. 346.
157
Si veda, ad esempio, il caso di Veio (Boitani 2008). Sulla tematica, da ultimo, Bartoloni 2008 con
bibl. di rif.
158
Vd. p. 321.
342 note e discussioni

lama, come dimostrano i margini netti della frattura ed alcune tracce di limatura sulle
superfici di taglio. Tale pratica trova riscontro in ambito etrusco, ad esempio, nel deposito
dell’edificio beta della Civita di Tarquinia, che però differisce dal ripostiglio populoniese,
oltre che per la localizzazione in un’area sacra, e per la datazione recenziore, riferibile ad
una fase avanzata dell’Orientalizzante Antico, anche per l’offerta di numerosi vasi insieme
al più noto nucleo di bronzi159. Ciò che interessa però rilevare in questa sede è come tra
questi ultimi, siano stati resi inservibili sia la tromba-lituo, ritorta, sia lo scudo in lamina,
accuratamente ripiegato, mentre la scure ad occhio è stata deposta integra e senza manico
ligneo160. Sebbene, in assenza di dati di scavo ed in seguito ai numerosi restauri, non sia
più possibile verificare se le asce populoniesi fossero prive dell’immanicatura, anch’esse
risultano integre e prive di evidenti segni d’uso, recando anzi sul taglio tracce del processo
fusorio, constatazione che ne esclude perlomeno un uso reiterato. Stante la cronologia più
alta della spada e della navicella nuragica rispetto alle asce di foggia locale, il ripostiglio
di Falda della Guardiola confermerebbe inoltre l’uso di preservare accuratamente i bronzi
sardi per lungo tempo, a testimonianza dell’importanza e del pregio ad essi attribuiti in
Etruria. Nel contesto populoniese, lo iato tra il periodo di produzione degli oggetti e la
deposizione nel ripostiglio sarebbe minore rispetto al caso delle navicelle rinvenute in
alcuni circoli di Vetulonia; questi ultimi, è bene ribadirlo, sono contesti di assoluta rile-
vanza e pertinenti ad individui di alto rango161. Alla base di questa scelta, sembra esserci
però la medesima volontà di sottolineare un legame concreto con l’ambiente nuragico.
Considerando le stretti relazioni di Populonia con la Sardegna, evidenti soprattutto dal
I Fe 1B ma frutto di relazioni consolidate ed intrecciate almeno a partire dal BF 3, non
stupisce che, nella definizione dello spazio urbano e, forse, in occasione dell’emergere di
un nuovo assetto politico-istituzionale, si scegliesse di fare riferimento ad un sistema di
valori ben noto, nell’ambito del quale il rapporto con le genti sarde doveva rivestire un
ruolo cruciale. Tale ipotesi induce a riflettere sulla possibilità di un passaggio di individui
nuragici nella compagine sociale villanoviana e viceversa, suggerito da considerazioni di
carattere storico ed archeologico. Oltre all’arrivo delle navicelle a Vetulonia, da ascriversi,
per il valore simbolico attribuito in Sardegna a questi oggetti, al circuito dei keimelia, è
lecito domandarsi se una parte dei bronzi e delle brocche askoidi rinvenuti sulla penisola e
delle fibule d’importazione scoperte in Sardegna, possano aver fatto parte della proprietà
personale di individui provenienti dalle aree vicine. Sebbene resti argomento controverso
l’attribuzione ad una sposa sarda della sepoltura vulcente dei bronzetti nuragici162, una
evidente concentrazione delle attestazioni di bronzi sardi in contesti femminili è stata

159
Milano 1986, pp. 101-102, nn. 197-199, figg. 92-94; Bonghi Jovino 1989; Ead. 2000; Ead. 2001, pp.
25-26; Ead. 2005a, pp. 313-316; Ead. 2005b, p. 39; Bonghi Jovino, Chiaramonte Treré 1997, pp. 146-152;
Ciafaloni 2006, pp. 149- 150, fig.9; Rathje 2006; sulla tromba-lituo nello specifico, vedi Bonghi Jovino 2007.
160
Galeotti 1987, p. 102.
161
Circolo del Duce (Camporeale 1967; Pagnini 2000, con bibl. prec.; Cygielman, Rafanelli
2004; Rafanelli 2009); Circolo della Navicella (Falchi 1895, pp. 303-304); Circolo delle Tre Navicelle
(Paoletti 1985).
162
Torelli 1981, pp. 58-59; Gras 1985, p. 146. Contra Bartoloni 2003, p. 116. Sull’argomento, vd.
anche Bartoloni, Pitzalis 2011, p. 139. Per una provenienza picentina della defunta, Moretti Sgubini,
Arancio, Pellegrini 2008.
note e discussioni 343

rilevata proprio a Populonia163. L’esistenza di una partnership privilegiata con l’isola sa-
rebbe testimoniata da una frequentazione stabile di artigiani sardi a Populonia, ipotiz-
zata in relazione ad alcune produzioni metallurgiche locali che sarebbero caratterizzate
da un’impronta sarda164. È d’altra parte perfettamente coerente che alla fine dell’età del
Bronzo, in seguito alla crisi del sistema isolano, il ripostiglio di Falda della Guardiola
non rispondesse strettamente alle logiche della Sardegna nuragica che, pur nella fase di
transizione BF 3/I Fe, conserva una memoria precisa degli antichi riti e costumi, ma si
trovasse in consonanza con il nuovo ambiente tirrenico, nell’ambito del quale ormai da
qualche generazione i bronzetti venivano tesaurizzati. Ciò considerato, proprio il riposti-
glio di Falda della Guardiola documenterebbe invece una presenza attiva delle genti sarde
a Populonia ancora nella prima età del ferro, facenti parte della comunità locale a pieno
titolo se veniva accolto un apporto di riconosciuto valore identitario in un ripostiglio di
fondazione di mura urbiche.

Fulvia Lo Schiavo, Matteo Milletti

Appendice: catalogo dei materiali

Il ripostiglio di Falda della Guardiola è conservato nei depositi SBAT del Museo Archeologico di
Firenze165

1. Navicella nuragica con protome taurina (inv. 93505, Fig. 4)


Bronzo. L. 21 cm; largh. max 7.7 cm; h. 7.3 cm; diam. anello da sospensione: 0.9 cm.
Frammentaria e ricomposta. Patina verde; forti tracce di corrosione. A seguito dell‘alluvione del
1966, è stata oggetto di un restauro integrativo che ricompone il sistema di sospensione allo scafo.
La protome a prua, già ritrovata con le corna spezzate, viene descritta da Minto come “cervina”.
Bibliografia: Minto 1926 p. 375 fig. 17; Minto 1943, p. 53, tav. XI 7; Talocchini 1965, n.
14, p. 31; Lilliu 1966, n. 277, p. 393; Parisi Presicce 1985, n. 10, p. 47; Bartoloni 1991, p.
24, fig. 15; Filigheddu 1994, n. 9, p. 107; Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4; Depalmas 2005, n.
11, pp. 52-53, tav. 10; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n.1, p. 76 fig. p. 77; Romualdi,
Settesoldi 2008, pp. 309-311.

2. Spada tipo Monte Sa Idda (inv. 93497, Fig. 7.1)


Bronzo. L. 26.6 cm; largh. lama 3.8 cm; spess. max lama 0.8 cm; diam. fori immanicatura: 0.4-0.5 cm.
Lacunosa, mancante di parte dell’impugnatura e dell’estremità della lama. Patina verde ben con-
servata con minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, p. 375, fig. 14; Minto 1943, p. 53, tav. XI 6; Bianco Peroni 1970,
n. 270, tav. 40. 270; Parisi Presicce 1985, n. 12, p. 47; Bartoloni 1991, pp. 23-24, fig. 15;

163
Bartoloni 1989, pp. 48-49; 1991, p. 24; 1997, p. 31; 2002, p. 345.
164
Bartoloni 1989, p. 49; 1991, p. 27; 1994; Milletti 2008; Lo Schiavo 2010b.
165
Nel catalogo si è scelto di seguire l’ordine di presentazione nel testo e non d’inventario. Il sistema di
abbreviazioni segue quello utilizzato in Archeologia Classica. A queste vanno aggiunte diam.= diametro, P=
peso.
344 note e discussioni

Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4; Romualdi, Settesoldi 2008, pp. 309-311; Lo Schiavo, Fal-
chi, Milletti 2008, p. 76, fig. p. 77.

3. Ascia ad alette (inv. 93820, Fig. 8.1)


Bronzo. L. 18.4 cm; largh. immanicatura 3.4 cm; largh. taglio 7 cm; P 658 gr.
Integra. Patina verde ben conservata con minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, p. 374, fig. 15; Minto 1943, p. 53, fig. XI.3; Talocchini 1965, n.
11, p. 30; Carancini 1984, n. 2043, tav. 5.2043; Parisi Presicce 1985, n. 14, p. 47; Bartolo-
ni 2002, p. 346, fig. 4 in basso al centro.; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n. 3, p. 76, fig. a
p. 77 in basso a sinistra.

4. Ascia ad alette (inv. 126387, Fig. 8.2)


Bronzo. L. 18.6 cm; largh. immanicatura 3.5 cm; largh. taglio 7 cm; P 640 gr.
Integra, ad eccezione di piccole lacune sulle alette e sul taglio. Patina verde ben conservata con
minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, p. 374, fig. 15; Minto 1943, p. 53, fig. XI.4; Carancini 1984, n.
2045, tav. 5.2045; Parisi Presicce 1985, n. 14, p. 47; Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4 in alto al
centro; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n. 5, p. 76, fig. a p. 77 seconda da destra.

5. Ascia ad alette (inv. 126388, Fig . 8.3)


Bronzo. L. 18.6 cm; largh. immanicatura 3.7 cm; largh. taglio 7.2 cm; P 657 gr.
Integra. Patina verde ben conservata con minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, p. 374, fig. 15; Minto 1943, p. 53, fig. XI.2; Carancini 1984,
n.2044, tav. 5.2044; Parisi Presicce 1985, n. 14, p. 47; Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4 in basso
a destra; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n. 6, p. 76, fig. a p. 77 a sinistra.

6. Ascia ad alette (inv. 126389, Fig. 8.4).


Bronzo. L. 18.5 cm; largh. immanicatura 3.5 cm; largh. taglio 7 cm; P: 580 gr.
Integra. Patina verde ben conservata con minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, p. 374, fig. 15; Minto 1943, p. 53, fig. XI.1; Carancini 1984, n.
2046, tav. 6.2046; Parisi Presicce 1985, n. 14, p. 47; Bartoloni 2002, p. 346, fig. 4 in alto a
destra; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n. 7, p. 76, fig. a p. 77 seconda da sinistra.

7. Ascia ad alette (inv. 93821, Fig. 8.5)


Bronzo. L. 15 cm; Largh. immanicatura 4 cm; largh. taglio 6 cm; P: 443 gr.
Integra, patina verde ben conservata con minime tracce di corrosione.
Bibliografia: Minto 1926, pp. 374-375, fig. 16; Minto 1943, p. 53, tav. XI 5; Talocchini 1965,
n. 12, p. 31; Carancini 1984, n. 3539, tav. 108.3539; Parisi Presicce 1985, n. 13, p. 47; Bartolo-
ni 2002, p. 346, fig. 4 in alto a sin.; Lo Schiavo, Falchi, Milletti 2008, n. 4, p. 76, fig. a p. 77 in
basso al centro.

8. Fibula166
Bronzo. L. 4.5 cm

166
Descrizione e dimensioni da Minto 1926, p. 375.
note e discussioni 345

Lacunosa, priva dell’ardiglione e con staffa frammentaria.


Fibula con arco ingrossato a cuscinetto romboidale.
Bibliografia: Minto 1926, p. 375; Minto 1943, p. 53, n. 51, p. 334; Fedeli 1983, pp. 83 e
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summary

The Falda della Guardiola bronze hoard was found at Populonia in 1924 during the massive
and uncontrolled retrieval due to recycling of the slag near a tower of the lower walls of the city, the
chronology of which remains uncertain, dating somewhere between the Archaic and the Hellenistic
period, but probably built on an earlier wall course. It now consists of five Northern Etruria types
winged axes, a Monte Sa Idda type sword and a Nuragic miniature bronze boat. In the first edition
of the hoard, Antonio Minto also reported the presence of a fibula, but at present there is no sign
of it. The deposition of the hoard dates tp the advanced third quarter of the 8th century BC, but the
Nuragic bronzes are older, dating to the Late Bronze Age. This important context evidences the
close relationship between Populonia and Sardinia, based on a continuous and mutual exchange
of mining and metallurgy technological know-how, which had started in earlier periods, as attested
by the discovery of many Nuragic objects in the necropolis of the Gulf of Baratti (Poggio e Piano
delle Granate, San Cerbone-Casone-Porcareccia) and in the village of Poggio del Telegrafo, on the
historical acropolis of Populonia. The persistence of this relationship is demonstrated by the influ-
ence of the Nuragic tradition on bronze and pottery productions of Northern Etruria, particularly
Populonia and Vetulonia. This can be seen in some local imitations of Nuragic models, such as the
so called ‘quiver’ pendants, the ‘buttons’ and the askoid jugs.

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