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L'AMORE NEL TERZO VANGELO

Quando Gesù si è incarnato, al tempo della monarchia perfetta


del divo Augusto, scrive Dante, il genere umano godeva, per la prima
volta dal peccato dei progenitori, una pace universale. Lo attestano
tutti gli storiografi, i poeti illustri ed anche revangelista della bontà
di Cristo, « hoc etiam scriba mansuetudinis Christi testari dignatus
est » C).
A parte l'asserita perfezione della monarchia sotto Augusto e la
pace universale che essa avrebbe portato per la prima volta nel
mondo, Dante ha colto nel segno caratterizzando Luca come lo scrit­
tore che di Gesù ha evidenziato soprattutto la bontà, la benignità,
la misericordia.
E' realmente di privilegio il posto riservato dal terzo evange­
lista sia all'amore di Cristo sia all'amore di Dio e degli uomini. Lo
si vedrà (II) dopo una rassegna dei termini greci dell'amore usati
da Luca nel vangelo e negli Atti degli Apostoli (I).

I. Il vocabolario delVamore

A differenza dell'italiano amare e dell'ebraico ’àhab, per espri­


mere le varie sfumature dell'amore il greco prebiblico usa quattro
verbi crTSypco, spáco, <piXéco e áya7uáco (12).
Semplificando al massimo, si potrebbe assegnare come caratte­
ristica di CTTépyco l'istintività (3) di èpàco la veemenza (4), di <pt.Xéco

(1) D. Alighieri, De monarchia 1, 16, 2.


(2) Cf.ad es. C. Spico, Le verbe áydcrráío et ses derivés dans le grec classique, in Revue
biblique 60 (1953) 372-397; A. Nygren, Eros e Agape. La nozione cristiana delVamore e le sue
trasformazioni (tr. dal ted.), Bologna 1971, 9-39.135-173; E. Stauffer, àya7ròc6) X.T.X.,
in TWNT 1 (1933) 34-38 (GLNT 1, 92-101); G. Stählin, quXsco x.T.X., ib. 9 (1973) 115-124.
(3) E' proprio dell’affetto tra genitori e figli (cf. Platone, Leggi 6, 754 b), tra marito e
moglie (cf. Erodoto, Storie 2, 181), tra fratelli e sorelle (cf. Euripide, Ifigenia in Aulide
502), tra re e sudditi (cf. Sofocle, Antigone 292).
(4) Cf. Sofocle, Antigone 781-792- « O Amore indomabile (èpo)£ ávfcxocTe), Amore / che
irrompi sulle tue prede / e vegli la notte su tenere / guance di donna / e corri gli oceani
ed infiammi silvestri dimore, / non un solo immortale ed effimero / potrebbe sfuggirti,
ed ognuno che t'abbia in balìa n’è sconvolto. / Tu rendi ingiusti anche i giusti /. e li trascini
a rovina » (tr. D. Ricci).
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la tenerezza (5), di áyoc7ráco la elezione (6).* Sxepyoo ed èpàco, affini


tra loro per la spontaneità, sono opposti ad áya7ráo) che comporta
un giudizio di valore. Con axépyco si indica Taf tetto istintivo per
Famato indipendentemente dalle doti di questi, con èpàco invece si
esprime la passione istintiva che brama il possesso dell'amato pro­
prio per le sue doti. Mentre cptXéco non può aversi che tra uguali,
áya7uáco vige anche tra disuguali.
Come gli altri autori del Nuovo Testamento, neppure Luca usa
mai arépyco O o épàco. Preferisce cpiXeco e áya7táco.
Quanto alla famiglia di<ptXéco, il verbo è adoperato due volte (8).
In Le 20, 46 ha il significato di desiderare, ambire, e presenta come
soggetto gli scribi e come oggetti i saluti nelle piazze, i primi seggi
nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti (9). In Le 22, 47 ha il
valore di baciare: il soggetto è Giuda, l'oggetto Gesù (10).11
Il sostantivo <piAo<;, che compare ventinove volte nel Nuovo Te­
stamento (n), è usato diciotto volte da Luca, quindici volte nel van­
gelo e tre negli Atti. Nel terzo vangelo Gesù chiama amici i suoi
discepoli (12, 4) ed è chiamato amico dei pubblicani e dei peccatori
(7, 34 = Mt 11, 19). Fa riferimento agli amici dei suoi ascoltatori
(11, 5 bis.6.8; 14, 14; 16, 9.21, 6) e all'amico dell'invitante a nozze (14,
10). Allude agli amici del pastore (15, 6), del fratello maggiore (15,
29) e alle amiche della massaia (15, 9) nella trilogia delle parabole

(5) Il verbo è usato, tra l'altro, per esprimere l’affetto dei genitori verso i figli: cf.
Euripide, Eracle 633-636: « Tutti eguali / sono gli uomini: amano (<piXuat) tutti i figli, / i
grandi come gli umili. Sebbene / alcuni siano ricchi ed altri poveri, / codesta differenza
non ostacola / a nessuno di amare la sua prole (<piXÓTeXVOv)j (tr. D. Ricci).
(6) Cf. ad es. Senofonte, Memorie socratiche 2, 7, 12, a proposito delle donne di Ari­
starco: « esse lo amavano (é<piXoUv) come protettore, ed egli le amava (y)ya7Ta) in quanto
utili »; Aristotele, Retorica 1, 11, 1371 a 21: « l'essere amato (qHXsùrOai) significa essere di
per sé oggetto di affetto (àyàTUàoOat)».
(?) Solo nell'epistolario paolino si trova <piXódTopyoc> cordialmente amante in Rm 12,
10 (cf. C. Spicq, OIAOETOPTOS (à propos de Rom. XII, 10), in Revue biblique 62 [1955]
497-510), e (ftjTOpyos, disamorato in Em 1, 31 e 2 Tim 3, 3.
(8) Si trova ventiquattro volte nel N.T.: cinque volte in Mt (6, 5; 10, 27 bis; 23, 6; 26,
48), una volta in Me (14, 44), dodici volte in Gv (5, 20; 11, 3.36; 12, 25, 19; 16, 27; 20, 2; 21,
15.16.17 ter), due volte nell'epistolario paolino (1 Cor 16, 22; Tit 3, 15) e due volte nell’Ape
(3, 19; 22, 15).
(9) Lo stesso verbo cptXéoi nel passo parallelo di Mt 23, 6. In Le 11, 43, invece, mentre
11 soggetto e alcuni oggetti (primi seggi e saluti) sono identici, il verbo è áya7ráí0.
(10) Usano il composto xocTacptXécù i passi paralleli di Mt 26, 49 e Me 14, 45, che hanno
il semplice cpiXéci quando riferiscono (Le lo omette) il segno dato dal traditore: « Quello
che bacerò, (piXr)<JCD (Mi 26, 48; Me 14, 44).
(11) Gii altri undici casi: Mt 11, 19; Gv 3, 29; 11, 11; 15, 13.14.15; 19, 12; Giac 2, 23;
4, 4; 3 Gv 15.
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della misericordia. Vengono ricordati inoltre gli amici del centurione


di Cafarnao (7, 6) e gli ex nemici Erode Antipa e Pilato (23, 12). Gli
Atti menzionano gli amici del centurione Cornelio (10, 24) e gli
amici di Paolo: asiarchi di Efeso (19, 31) e cristiani di Sidone (27, 3).
OiXy](Jia, bacio, presente cinque volte nel Nuovo Testamento (12),
appare in Le 7, 45 e 22, 48, la prima volta negato a Gesù dal fariseo
Simone, la seconda datogli dal traditore Giuda.
Oltre che in At 38, 2 a proposito delTumanità testimoniata dai
maltesi a Paolo e agli altri naufraghi, (ptXav&pGma ricorre solo in
Tit 3, 4, così come (ptXàpyupo^, applicato ai farisei amanti del da­
naro in Le 16, 14, si ritrova soltanto in 2 Tim 3, 2.
Hapax del Nuovo Testcìmento sono infine qHXdcv&pcoTrox;, detto del
trattamento umano riservato dal centurione Giulio a Paolo (At 27, 3);
cpiXovsLxia, che allude alla contesa tra i discepoli su chi fosse il più
grande tra loro (Le 22, 24); cpiXóaocpos, che designa epicurei e stoici
di Atene (At 17, 18); 91X09póvox;, che qualifica Tamichevole ospita­
lità concessa dal « primo » di Malta Publio a Paolo e agli altri
(At 28, 7).
Passando alla famiglia di áya7iáo), su centosedici casi (13) il
sostantivo áyá7T7) è presente in Luca una sola volta, in Le 11, 42,
a proposito delle trasgressioni delTamore di Dio da parte dei farisei.
Il verbo invece ritorna tredici volte su centoquarantuno (14) e
solamente nel vangelo.
Va notato che áyaicáco è sempre colto sulla bocca di Gesù, ad
eccezione di Le 7, 5, dove i notabili ebrei di Cafarnao testimoniano
delTamore del centurione per la loro gente, e di 10, 27, dove il
dottore della legge riferisce (nei passi paralleli di Mt 22, 37-39 e Me
12, 29-31 è Gesù che cita i due passi delTAntico Testamento) Deut 6,
5 sull'amore verso Dio e Lev 19, 18 sull'amore verso il prossimo.
Gesù esorta ad amare i nemici (Le 6, 27.35 = Mt 5, 44) perché
amando chi ci ama si fa semplicemente quello che fanno i peccatori

(12) Si ritrova in Rm 16, 16; 1 Cor 16, 20; 2 Cor 13, 12; 1 Tess 5, 26; 1 Pt 5, 14.
(13) Ricorre una volta in Mt, sette in GV, settantasette nell'epistolario paolino, tre in 1
Pt, una in 2 Pt, ventuno in 1-3 Gv, tre in Giuda, due in Ape.
(14) Apare otto volte in Mt, cinque in Me, trentasei in Gv, trentacinque nel corpus pao­
lino, tre in Giac, quattro in 1 Pt, una in 2 Pt, trentuno in 1-3 Gv, una in Giud, quattro
in Ape.
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(Le 6, 32; al posto di peccatori Mt 5, 46 ha pubblicani). Al fariseo


Simone prima chiede chi di due debitori insolvibili amerà di più
il proprio creditore che ha condonato ad essi somme di assai diversa
entità (7, 42); poi dichiara che la peccatrice ha molto amato Dio
nella sua gratitudine, a differenza di chi si vede perdonati da Dio
i suoi pochi peccati (7, 47). Inveisce contro i farisei amanti del primo
posto nelle sinagoghe e dei saluti nelle piazze (11, 47; cf. il cptAéco
di 20, 46), e insegna che di due padroni non se ne può amare con
pieno impegno e assoluta disponibilità che uno solo (Le 16,
13 = Mt 6, 24).
Di sessantun casi neotestamentari di àyocTryjTÓs, diletto (15), tre
si trovano in Luca, due nel vangelo e uno negli Atti. Nel vangelo
Liaggettivo è applicato a Cristo, o chiaramente dalla voce celeste nel-
Tepisodio del battesimo (3, 22 - Mt 3, 17; Me 1, 11), o velatamente
da Gesù stesso nella parabola dei vignaioli omicidi (20, 13 = Me 12,
6). In At 15, 25 è detto di Barnaba e Paolo nella lettera apostolica
inviata ai cristiani di Antiochia, Siria e Cilicia.
Per cogliere altre sfumature di cui è ricco il concetto di amore,
non sembra inutile estendere Tindagine filologica a termini che per
somiglianza o per contrasto sono affini a cptXéco e ad ¿ya7iáa).
Amare e amico hanno agli antipodi odiare e nemico. Luca usa
sette volte [juasco (che appare trentanove volte nel N.T.) (16), otto volte
è^&pós, nemico (nel N.T. trentadue volte) (17)18e una volta gx^Pa?
inimicizia (sei volte nel N.T.) O58).
Il verbo yucéco si trova esclusivamente sulle labbra di Gesù.
Unica eccezione Le 1, 71, dove Zaccaria benedice Iddio che salva il
suo popolo da quelli che lo odiano. Secondo Gesù, che invita a odiare
per lui i parenti più stretti e persino la propria vita (Le 14, 26), og­
getto 'dell'odio sono i suoi discepoli (6, 22.27; 21, 17), uno dei due
padroni di un servo (16, 13), il pretendente al trono (19, 14). Quanto a
usato per i nemici del Messia di Sai 110, 1 (Le 20, 43; At

(15 Tre volte in Mt, tre in Me, ventotto nell'epistolario paolino, tre in Giac, due in 1 Pt,
sei in 2 Pt, dieci in 1-3 Gv, tre in Giud.
(16) Cinque volte in Mt, una in Me, dodici in Gv, cinque nell'epistolario paolino, cinque
in 1-3 Gv, una in Giud, tre in Ape. Cf. O. Michel, in TWNT 4 (1942) 687-698 (GLNT 7, 321-352).
(17) Sette volte in Mt, una in Me, undici nel corpus paolino, una in Giac, due in Ape.
Cf. W. Foerster, ¿xOpóc, è'xGpa, in TWNT 2 (1935) 810-815 (GLNT 3, 1305-1318).
(18) Quattro volte nell'epistolario paolino e una in Giac.
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2, 35), Zaccaria parla dei nemici di Israele (Le 1, 71.74); Gesù allude
sia al « nemico » per antonomasia cioè al demonio (10, 19), sia ai
nemici dei suoi discepoli (6, 27.35), del pretendente al trono (19, 27),
di Gerusalemme (19, 43); Paolo qualifica Elima di nemico di ogni
giustizia (At 13, 10). Per Pastratto è^frpà P evangelista nota che prima
del processo civile di Gesù Erode Antipa e Pilato erano tra loro in
inimicizia (Le 23, 12).
Mettono in risalto un aspetto non raro deli-amore, quello della
pietà, della compassione, della misericordia, i verbi èXeéco (quattro
volte in Luca su trentadue volte) (19) col sostantivo zkzoQ (sei volte
su ventisette) (20) e a7rXayxvi^o[jLàL (tre volte su dodici) (21), oltre
all'aggettivo obmppicov (due volte su tre) (22).
«Abbi pietà sXst)<tov)>: è l'implorazione rivolta dal ricco epulone
ad Àbramo (16, 24), dai dieci lebbrosi (17, 13) e dal cieco di Gerico
a Gesù (18, 38.39 = Mt 20, 30.31; Me 10, 47.48). « Ebbe compassione,
eaxXaYXvicdb))) Gesù della vedova di Nairn (7, 13), il samaritano
dell'uomo aggredito dai ladroni (10, 33), il padre del figliol prodigo
(15, 20). Ad eccezione di quella del buon samaritano (10, 37), la
misericordia (eXeo<;) in Luca è solo quella di Dio, che si manifesta
verso coloro che lo temono (1, 50), verso Abramo e i suoi discen­
denti (1, 54), verso Elisabetta (1, 58), verso gli ebrei di ieri (1, 72) e
di oggi (1, 78). Misericordioso (oíxTÍpfxcov) è il Padre celeste, e dun­
que i suoi figli devono essere misericordiosi (oberippiover) (6, 36).

IL II tema dellamore

Stoltezza per certi pensatori greci l'amore divino. Dio non può
amare. Dio non può aver compassione. Dio non può avere nessuna
passione (rax&o<;), è per essenza impassibile, apatico (arca-iH)*;).

(19) Otto volte in Mt, tre in Me, quattordici nell'epistolario paolino, una in 1 Pt, due
in Giud. Cf. R. Bultmann, gXeog x.T.X., in TWNT 2 (1933) 474-484- (GLNT 3, 399-424).
(20) Tre volte in Mt, undici nel corpus paolino, tre in Giac, una in 1 Pt, una in 1-3 Gv,
due in Giud.
(21) Cinque volte in Mt, quattro in Me. Cf. H. Koester, <j7rXàYXV0V X.t.X. in TWNT 7
549-559.
(22) L'altro testo è Giac 5, 11. Cf. R. Bultmann otXTipco x.T.X., in TWNT 5 (1954)
163 (GLNT 8, 449-456).
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Essendo perfettissimo, insegnava Platone, Dio è autosufficien­


te (23), e dunque immutabile e senza affetti. E' un'assurdità, ribadiva
Aristotele, dire di essere amico di Zeus, perché l'amicizia suppone
corrispondenza e Zeus non può amare (24). Nessuna passione gli è
leoita. Neppure la misericordia (è'Xeo<;), che appartiene a una delle
quattro passioni principali (25) e cioè al dolore (XÓ70)), c che consiste
appunto (26) in un dolore che ci prende nel vedere un individuo col­
pito, senza sua colpa, da un male che temiamo possa quanto prima
abbattersi anche su di noi C27).
Accenti ben diversi si colgono nelle pagine dell'Antico Testa­
mento (28). Jahvé ama. Ama il suo popolo, l'umanità, i singoli uo­
mini. Verso Israele e le altre nazioni nutre un amore di padre. A
Israele è legato perfino da un amore di sposo C29). Ma è soprattutto

(23) Platone, Filebo 60c: « Se ci fosse un essere vivente il cui bene venisse sino a totale
e completa perfezione, quest'essere non avrebbe più bisogno di nulla; in sé avrebbe com­
pleta consumazione. E questa gli è sufficiente del tutto » (tr. E. Turolla).
(24) Aristotele, Grand etica 2, 11, 1208b 30: « Vi è infatti, secondo quanto alcuni riten­
gono, anche un'amicizia (cpiXetv) verso Dio e verso gli esseri inanimati, però questa è
un'opinione non giusta. Infatti noi sosteniamo che vi è amicizia soltanto dove è correspon­
sione (avricpiXEtaOai), mentre invece l'amicizia verso Dio non ammette la corresponsione
e neppure in generale l’aver amicizia (cpiXe tv) : sarebbe infatti assurdo se uno dicesse di
amare (<piXeiv) Zeus » (tr. R. Plebe); Etica Nicomachea 8, 7, 1158 b 30-35: « nell’amicizia è
equo invece anzitutto ciò che è proporzionato alla quantità e in secondo luogo ciò che è
proporzionato al merito. Ciò è evidente quando vi sia molta diversità nella virtù, o nel vizio,
o nella ricchezza, o in qualcosa d’altro: in tal caso non solo non si è amici, ma non si
pretende neppure di esserlo. E ciò è evidentissimo a proposito degli dei, in quanto essi sono
moltissimo superiori riguardo a tutti i beni » (tr. A. Plebe).
(25) Cf. Diogene Laerzio, Vite di filosofi 7, 110: « Ecatone nel secondo libro Delle pas­
sioni e Zenone nell'opera Delle passioni affermano che i principali generi delle passioni sono
quattro: dolore (Xu7T7]), paura (cpoßo^), concuPiscenza (eTTiOuijia), piacere (yjS0vt])ì (tr. M.
Gigante).
(26) Aristotele, Retorica 2, 8, 1385 b 13: « Definiamo dunque la pietà (eXeos) un dolore
causato da un male distruttivo o doloroso che appare capitare a una persona che non se lo
merita e che ci si può attendere di soffrire noi stessi o uno dei nostri, e ciò quando
questo male sembra prossimo » (tr. A. Plebe).
(27) Cf. M. Adinolfi, « Cristo crocifisso... stoltezza per i pagani » (1 Cor 1, 23), in AA.VV.,
La Sapienza della Croce oggi. Atti del Congresso internazionale, Roma 13-18 ottobre 1975, I,
Leumann (Torino) 1976, 24-26.
(28) Anche gli antichi testi egiziani e mesopotamici parlano, del resto, dell'amore che
gli dei hanno per gli uomini. Così ad esempio il faraone Amenemhat I nella Storia di Si-
nuhe è chiamato « l’amato di Rè », il dio Sole: cf. G. Lefebure, Romans et contes égyptiens
de Vepoque pharaonique, Paris 1949, 18. Così pure nel suo inno autoelogiativo il re di Ur
Sulgi si definisce « l’amato di Ninlil », la paredra del dio dell’atmosfera e de destini Enlil:
cf. M. Adinolfi, Da Dur Sarrukin a Eridu. Tremila anni di civiltà mesopotamica, Bor-
nato (Brescia) 1978, 155.
(29) Cf. M. Adinolfi, Appunti sul simbolismo sponsale in Osea e Geremia, in Euntes
docete 25 (1972) 126-138.
L'amore nel terzo vangelo 567

un amore che perdona e che soccorre quello di Jahvé, « Dio mise­


ricordioso e pietoso » (Es 34, 6) (30).
Oltre all'amore umano cercheremo di scoprire alcuni aspetti più
significativi dell'amore misericordioso di Dio attraverso parte del
materiale proprio di Luca, che riporta gesti e detti di Gesù, rivela­
tori, a loro volta, dell'amore misericordioso del Salvatore (31).

1. L'infanzia (1-2) e la predicazione di Gesù in Galilea (3, 1-9, 50)

Si è già accennato alla misericordia (ekeoc,) divina, esaltata nei


cantici di Maria (1, 50-54) e di Zaccaria (1, 72.78) e operante nella
maternità della sterile Elisabetta (1, 58), misericordia e generosità
divine che « hanno la preminenza su tutti gli altri attributi e pre­
siedono all'intera economia della salvezza» (32). Con la sua mis­
sione — appare dal discorso programmatico a Nazaret, che fa da
riscontro al discorso della montagna di Matteo i33) — Gesù pro­
clama e realizza, al di sopra di ogni attesa terrena di Is 61, 2,
« l'anno di grazia del Signore » (Le 4, 19). Si tratta del tempo esca­
tologico, nel quale Dio avrebbe riversato sull'umanità, e in modo
particolare sui più sventurati, i tesori del suo amore (34), della sua
suSoxta, della sua compiacenza, della sua benevola volontà di sal­
vezza. Lo cantano gli angeli, per i quali con la nascita del Salva­
tore Dio concede la « pace », ossia i beni messianici « agli uomini
del suo beneplacito (av0pa>7roi<; eu8oxia<;)» (2, 14) C35).
A differenza del discorso matteano della montagna (Mt 5-7) che
fa perno sulla giustizia, il discorso lucano della pianura (Le 6, 20-49)
è tutto incentrato sulla carità. In nome della benevolenza (v. 35) e

(30) Cf. A. Penna, Amore nella Bibbia, Brescia 1972, 9-21; 41-47.
(31) Sulla teologia lucana, cf. H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit. Studien zur Theologie
des Lukas, Tübingen 1954; B. Rigaux, Testimonianza del vangelo di Luca (tr. dal fr.), Padova
1973, 297-401; E. Rasco, La Teologia de Lucas: Originen, Desarrollo, Orientaciones, Roma 1976.
(32) c. Spico, Dio e Vuomo secondo il Muovo Testamento (tr. dal fr.), Roma 1969, 65.
(33) Cf. J. Bajaed, La structure de la péricope de Nazareth en Le., IV, 16-30. Propositions
pour une lecture plus cohérente, in Ephemerides theologicae Lovanienses 45 (1969) 165-171;
L.C. Crocket, Luke 4, 25-27 and Jewish-Gentile Relations in Luke-Acts, in Journal of Bibli­
cal Literature 88 (1969) 177-183; E. Rasco, La singolarità di Luca: salvezza di Dio e respon­
sabilità dell’uomo, in Rassegna di Teologia 19 (1948) 24-42.
(34) Cf. B. Prete, Prospettive messianiche nell’espressione sèmeron del vangelo di Luca,
in II Messianismo. Atti della XVIII Settimana biblica, Brescia 1966, 269-284.
(35) Cf. dei testi di Qumran 1QH4, 32-33: « la moltitudine della tua misericordia verso
tutti i figli del suo beneplacito (kol benè risonò) »; 11, 9: « le tue misericordie sono per tutti
i figli del tuo beneplacito (kol benè r^sónekà) ».
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della misericordia (v. 36) di Dio esorta ad amare i nemici (vv. 27-36)
e i fratelli (vv. 37-42) (36).
In rapporto al testo parallelo di Matteo quello di Luca risulta
a volte più esigente per quanto riguarda Tamore verso il prossimo.
Così in Le 6, 30: «A chiunque (nowvi) ti chiede da' (8i8ou)»,
la specificazione 7tocvt£ assente in Mt 5, 42 e l'imperativo presente
al posto del matteano aoristo (86^) (37) mostrano che Gesù comanda
uno stile abituale di vita (e non un gesto sporadico) che non escluda
dal dono nessuna persona e nessun istante.
Mt, 5, 47 comanda di salutare (àcrTO^eiv) non solo i fratelli ma
anche i nemici. Il parallelo Le 6, 33 va oltre. Impone di far del
bene (áya0O7rot£Ív ) ai nemici, di esercitare verso di loro un amore
attivo. E gratuito, agli antipodi dell'amore utilitaristico del do ut des
che dimostriamo verso chi ci fa del bene.
Le 6, 35 prescrive un amore disinteressato al punto da prestare
anche se non spera di riavere indietro il capitale: « prestate senza
sperarne nulla ». E' un dono generoso pudicamente contrabbandato
come prestito. Mt 5, 42, invece, parla soltanto di un amore condi­
scendente che non nega mai un prestito (38).
L'amore verso i nemici ha come ultima ragion d'essere il fatto che
(frri) Dio « è benevolo (xp?]<ito?) verso gli ingrati e i malvagi » (Le
6, 35). Con l'aggettivo c^e i LXX applicano spesso a Dio
in connessione con SXso^, misericordia, 7roXusXso<;, ricco di miseri­
cordia e èXeyjfjicov, misericordioso C39), Gesù insegna che l'amore del-
TAltissimo traspare particolarmente dalla clemenza con cui tratta
coloro che gli sono ostili non riconoscendo i suoi benefici (40).*

(36) Sulla struttura del discorso lucano come è proposta da Soiron, Lagrange, Hirsch,
Schmidt, Hauck e Dupont, cf. Dupont, Le Beatitudini, I (tr. dal fr.), Roma 1972, 283-288.
(37 Per l'imperativo presente e aoristo cf. F. Blass-A. Debrunner (tr. and Rev. R.W.
Funk), A Greek Grammar of the New Testament and Other Early Christian Literature, Cam­
bridge-Chicago 1961, 172, § 335: « the present imperative is durative or iterative, the aorist
imperative punctiliar... The result of this distinction is that in general precepts (also to an
individual) concerning attitudes and conduct there is a preference for the present, in com­
mands related to conduct in specific causes (much less frequent in the NT) for the aorist ».
(38) Cf. J. Schmid, L'Evangelo secondo Luca (tr. dal ted.), Brescia 1957, 173.
(39) Cf. ad es. Sal 105[ 106], 1: « Celebrate il Signore perché è buono (xP^o^o?)? / perché
in eterno è la sua misericordia (eXso^)» ; 85[86], 5: « Perché tu, Signore, sei buono (xp^TÓ^)
e mite, / ricco di misericordia (7roXuéXeoc) con tutti quelli che ti invocano»); 144[ 145],
8-9: « Compassionevole e misericordioso (eXeV)p.6)v) è il Signore, / longanine e ricco di
misericordia (7roXuéXeoc). / Buono (xpTQaTÓs) è il Signore con tutti ».
(40) Cf. W.C. Van Unnik, Die Motivierung der Feindesliebe in Lukas VI, 32-35, in
Sparsa Collecta, I, Leiden 1973, 111-126.
L'amore nel terzo vangelo 569

Conclude l'esortazione ad amare i nemici e anticipa quella ad


essere generosi la frase: « Siate (lett. divenite, compas­
sionevoli (oLXTtp(JLovs?) come (xocOco^) il Padre vostro è compassio­
nevole (obmpjjLCov)» (Le 6, 36). Mentre mette in rilievo la
benignità, la benevolenza, oixTtpp-iov sottolinea soprattutto la tene­
rezza, anzi la misericordia di Dio. Secondo il Bultmann, infatti, « Non
si riesce a cogliere una differenza tra obmppcov e èXssiv o tra
0LXTtp|jL6)v ed eXeoc;» (41). In realtà i LXX parlando di Dio uniscono
una dozzina di volte la qualifica di obmppcov a quelle di IXs^pov,
misericordioso; ttoXusXsoì;, ricco di misericordia (42). I discepoli di
Cristo devono diventar come Dio, devono imitare Dio. E Dio, è detto
da un capo all'altro della Bibbia, è amore misericordioso. Nel passo
parallelo di Mt 5, 48, invece, l'imitazione di Dio riguarda la sua
perfezione: « Voi sarete perfetti (tsXsioi) come (¿s) il Padre vostro
celeste è perfetto (tsXsux;), Anche in considerazione che mai nel­
l'Antico Testamento, nel giudaismo postbiblico o nel Nuovo Testa­
mento Dio è chiamato « perfetto », a diversi Autori (43) sembra deci­
samente preferibile il testo lucano (44).
Dando generosamente, assicura Gesù, «vi sarà dato (SoOyjctstou);
una misura buona, pigiata, scossa, traboccante vi daranno (Scoaouaiv)
in seno (xóXttov)» (Le 6, 38) (45). Il seno (xóX7ro<;, in ebraico heq)
era la piega che prendeva la lunga e ampia veste davanti al pet­
to quando era stretta dalla cintura. Era nel seno che si poneva
di tutto, dalla mano (Es 4, 6-7) alla sorte sacra (Prov 16, 33), dal
danaro (Prov 17, 23) ai covoni (Sal 129C128], 7), e finanche al
fuoco se fosse stato possibile (Prov 6, 27). Tenendo presente che

(41 R. Bultmann, oiXTÓpo) x.t.X., in TWNT 5 (1954) 162 (GLNT 8,453).


(423 Cf. ad es. Es 34, 6: « Il Signore Dio compassionevole (oixTtpp.6)v) e misericordioso
(eXsT][i,COv), longanime e ricco di misericordia, (ttoXueXso?) e verace »; Sai 111[112], 4:
«Misericordioso (¿Xetq^cov) e compassionevole (oiXTÌpfAcav) e giusto (8txaio?)j.
(43) J. Dupont, L’appel à imiter Dieu eri Matthieu 5, 48 et Lue 6, 36, in Rivista biblica
14 (1966) 138-139 n. 2.
(44) Secondo J. Dupont, o.c., 148, nella versione di Matteo la perfezione « est plutót la
projection en Dieu d'un idéal humain »; nella versione di Luca, invece, la misericordia « est,
d’abord et avant tout, celle de Dieu... Il faut reconnaìtre que e’est dans sa forme luca-
nienne que la sentence de Jésus correspond le mieux à la manière dont les Juifs parient
de Dieu et des propriétés qui le caractèrisent ». Cf. Sifre 49 in Deut 11, 22: «Come Dio è
detto misericordioso e pietoso, anche tu sii misericordioso e pietoso e dà a ciascuno senza
ricompensa... Come Dio è detto benevolo..., sii anche tu benevolo ».
(45) Secondo J. Dupont, Le beatitudini (tr. dal fr.), I, Roma 1972, 77-81, questo logion
assente in Mt potrebbe essere appartenuto al documento utilizzato da Luca ed essere man­
cato in quello usato da Matteo.
570 Adinolfi

sia il passivo « sarà dato, SoOyjasTat,)) sia la terra persona plurale


Scócrou<nv» (46) sono perifrasi per evitare di nominare Dio (47), qui
Gesù esalta la esuberante generosità di Dio. I suoi doni t48) saranno
sovrabbondantemente superiori alle opere buone degli uomini. E'
quanto indicano i quattro qualificativi della misura (pixpov) che ri­
traggono, secondo un uso ancora vigente in Oriente, un venditore
di grano per nulla affetto di tirchieria (49).
Ancora la prodigalità di Dio in Le 7, 36-50 (50). Traspare discre­
tamente (51) dalla figura del creditore della parabola che, facendo
ciò che non si sognerebbe di fare nessun uomo, condona a un debi­
tore insolvente cinquecento denari (il denaro era la paga giornaliera
di un operaio) e a un altro cinquanta: ottiene così maggiore amore
riconoscente dal primo (vv. 41-43). Appare chiarissima dalle parole
con cui Gesù dichiara a Simone il fariseo che Dio ha rimesso alla
peccatrice le sue numerose colpe: « le sono perdonati i suoi molti
peccati perché ha amato (yjyaTrTjaev) molto » (v. 47). Si noti che l'ara-
maico, come hebraico, non avendo un termine per esprimere il rin­
graziare, ne esprime l'idea con « lodare », « benedire », « amare » (52).
E che Taoristo r¡y(knr¡Gzv può rendersi col presente, essendo un
calco del perfetto stativo semitico (53). Il v. 47 andrebbe quindi

(46) L'uso della terza persona plurale per omettere il nome di Dio è peculiare di Le
6, 38; 12, 20.48c (bis); 16, 9; 23, 31.
(97) Cf. J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, I (tr. dal ted.), Brescia 1972, 17-22.
(48) i LXX in Is 65, 7; Ger 39[32], 18; Sai 78[79], 12 usano « ridare, rendere, restituire
(àTroStSó[i.at) nel seno (xóXlTov)i a indicare la rimunerazione divina in senso punitivo.
(49) Cf. J. Jeremias, Le parabole di Gesù (tr. dal ted.), Brescia 1967, 262, n. 4: « La
misurazione del grano è un'operazione che viene compiuta secondo uno schema fisso. Il
venditore è accoccolato per terra e tiene la misura tra le gambe. Egli riempie dapprima
la misura a tre quarti circa e le dà una scossa vigorosa in senso rotatorio, affinché i
chiodi si assestino. Indi riempie la misura sino all’orlo e la scuote di nuovo. Ora egli
piglia il grano con entrambe le mani e con tutta la forza. Infine egli aggiunge un mucchio
a pan di zucchero, su cui batte con cautela per comprimere insieme i chicchi, e di tanto
in tanto pratica su questa punta una piccola incavatura, nella quale preme altri chicchi,
sinché nemmeno un chicco trova letteralmente più posto. In tal modo il compratore è
certo che si è raggiunta l'ultima possibilità di una misura abbondante: di più non si può ».
(50) Cf. J. Delobel, L’onction de la pécheresse. La composition littéraire de Le., VII,
36-50, in Ephemerides theologicae Lovanienses 42 (1966) 415-475; G. Bouwmann, La pécheresse
hospitalière (Le., VII, 36-50), ib. 45 (1969) 172-179; H. Drexler, Die grosse Sünderin Lukas
7, 36-50, in Zeitschrift für die neutest ament liehe Wissenschaft 59 (1968) 159-173.
(51) Cf. A. George, Parabole, in DBS 6 (1960) 1174; « Dieu est présent en chaqué para­
bole puisque chacune présente un aspect de son Dessein ».
(52) Cf. P. Joüon, Reconnaissance et action de gräces dans le Nouveau Testament, in
Recherches de science religieuse 29 (1939) 112-114.
(3) Cf. M. Black, An Aramaic Approach to the Gospels and Acts, Oxford 1954, 254.
L'amore nel terzo vangelo 571

tradotto così: « le sono stati perdonati (da Dio) i suoi molti peccati
perché ama molto », mostra cioè molto amore riconoscente, come
risulta dalle esuberanti manifestazioni di venerazione per Gesù. Dio
(ácpéomou è un passivo teologico) non ha indietreggiato neppure
davanti ai tanti peccati di quella prostituta, e le ha accordato il
suo perdono C54).
Ma narrando la parabola dei due debitori Gesù intende soprat­
tutto giustificare il suo vangelo mostrando il senso del proprio com­
portamento di « amico dei pubblicani e dei peccatori » (7, 34). Al
fariseo, sconcertato perché egli non respinge quella peccatrice pub­
blica che gli tocca i piedi e lo contamina legalmente, fa intrave­
dere la medesima condotta misericordiosa di Dio (55). « Nel mini­
stero di Gesù è giunto il Regno di Dio ed uno dei segni della sua
venuta è questo interessamento senza precedenti per i "perduti” » i56).
Proprio perché anch'essa paria della società del tempo (57), Gesù
ha un riguardo particolare per la donna. Mentre se ne andava per
le contrade palestinesi evangelizzando il regno di Dio « i dodici erano
con lui (aúv auT¿p) e alcune donne, che erano state guarite da spi­
riti cattivi e da infermità: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano
usciti sette demoni, e Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di
Erode e molte altre (Irepai 7coXXa£) che lo assistevano (SlyjxÓvuv)
con i loro beni » (8, 1-3). Rivoluzionando concezioni e usanze del
mondo giudaico, Gesù permette a queste discepole galilee che lo
seguano e lo servano durante la sua attività apostolica C58).
Con l'inciso « ogni giorno, xa05 Tjjiipav» assente in Me 8, 34 e
Mt 16, 24, Le 9, 23 radicalizza l'amore di dedizione a Gesù richiesto
a chiunque voglia farsi suo discepolo: « prenda la sua croce ogni
giorno ». Non solo essere disposti a subire anche la morte più cru­
dele e infamante, ma accettare le sofferenze e le persecuzioni quo­
tidiane sull'esempio di Cristo sofferente e perseguitato (59).

(54) cf. J. Jeremias, o.c., 150-152.


(55) Cf. C. Spicq, Agapè dans le Nouveau Testament, I, Paris 1958, 120-137.
(56) C.H. Dodd, Le parabole del regno (tr. dall’ingl.), Brescia 1970, 115.
(57) Cf. M. Adinolfi, La donna e il matrimonio nel giudaismo ai tempi di Cristo, in
Rivista biblica 20 (1972) 369-390.
(58) Cf. M. Adinolfi, Le discepole di Gesù, in Bibbia e Oriente 16 (1974) 9-31.
(59) A. Schulz, Nachfolgen und Nachnahmen. Studien über das Verhältnis der neute-
stamentlichen Jüngerschaft zur urchistlichen Verbildethik, München 1962, 144-155; L. Di Pinto,
« Seguire Gesù » secondo i vangeli sinottici, in Fondamenti biblici della teologia morale.
Atti della XXII Settimana biblica, Brescia 1973, 187-251.
572 Adinolfi

2. Viaggio verso Gerusalemme (9, 51-19, 10) (60)

Amore misericordioso quello di Gesù all'inizio del suo viaggio


verso Gerusalemme dove sarebbe avvenuta la sua « assunzione »,
áváAv)^cioè Ia sua morte e la sua glorificazione (9, 51-56). Una
borgata samaritana si è rifiutata di ospitare per una notte il Mae­
stro e i discepoli. Giacomo e Giovanni vorrebbero vedere incenerito
il villaggio, rinnovando un gesto di Elia (2 Re 1, 10-12). Gesù si op­
pone, e rimprovera i due fratelli con parole che non saranno state
molto diverse da quelle che gli mettono sulle labbra alcuni codici
greci e la Volgata latina: « Non sapete di quale spirito siete: il
figlio deH'uomo non è venuto a mandare in rovina le anime degli
uomini, ma a salvarle » (61).
Universalismo che trascenda razza religione o virtù, e dinami­
smo contrario alla chiusura di uno sterile sentimentalismo sono le
doti che Gesù assegna all amore del prossimo con la parabola del
buon samaritano (10, 29-37) (62). Questo primo dei quattro racconti
esemplari riferiti in Luca descrive una situazione religioso-morale
che richiede semplicemente di essere schivata o imitata. Uno scriba
gli ha chiesto una definizione del prossimo. In risposta Gesù lo in­
vita a diventare lui stesso prossimo, soccorrendo tutti i bisognosi
senza distinzione alcuna, evitando quindi l'indifferenza dei due rap­
presentanti della santità giudaica e prendendo a modello il sama­
ritano misericordioso, un membro cioè di una razza disprezzata
come empia e semipagana dai giudei.
La benevola disponibilità di Dio a esaudire sempre la preghiera
fiduciosa di chi è nel bisogno è illustrata, con un sottinteso argo­
mento a minori ad maius, dalla parabola dell'amico importunato.
Costui in forza dell'amicizia presta al vicino, sia pure a malincuore,

(60) D. Gill, Observations of the Lukan Travel Narrative and Some Related Passages, in
The Harward Theological Review 63 (1970) 199-221; G. Ogg, The Central Section of the Gospel
according to St Luke, in New Testament Studies 18 (1971-1972) 39-53.
(61) Il logion del figlio dell'uomo si ispira chiaramente a Le 18, 10.
(62) Cf. W. Monselewski, Der barmherzige Samariter, Tübingen 1967; C. Daniel, Les
Esséniens et l’arrière-fond de la parabole du Bon Samaritain, in Novum Testamentum 11
(1969) 71-104; H. Zimmermann, Das Gleichnis vom barmherzigen Samariter: Lk 10, 25-39, in
Die Zeit Jesu. Festchrift für H. Schlier, Freiburg-Bassel-Wien 1970, 58-69; G. Sellin, Lukas
als Gleichniserzähler: Die Erzählung vom barmherzigen Samariter (Lk. 10, 25-37), in Zeit­
schrift für die neutestamentliche Wissenschaft 65 (1974) 166-189; 66 (1975) 19-60.
L'amore nel terzo vangelo 573

i tre pani domandati in ora assai poco conveniente, interrompendo


così il riposo notturno e rischiando di farlo interrompere all'intera
famiglia col rumore del chiavistello che serra la porta (11, 5-8) (63).
La purezza che piace a Dio non è quella esteriore e legalistica
che si esaurisca nel lavare bicchieri e vassoi. Dio ama ed esige la
purezza interiore e morale che comporta la pratica dell'elemosina (64)65
quale segno sensibile dell'amore verso il prossimo e della ripara­
zione dell'ingiustizia (11, 41) (6¿) Dio non può gradire neppure un
altro atteggiamento dei farisei, quale l'osservanza puntigliosa di pre­
cetti di minimo rilievo unita alla trasgressione della giustizia e del­
l'amore verso di lui o richiesto da lui (11, 42).
L'elemosina, come antidoto stavolta contro il pericolo che le
ricchezze schiavizzino chi le possiede distogliendolo dal servizio di
Dio, ricompare in 12, 33: « Vendete ciò che avete e datelo in ele­
mosina ».
Analoga esortazione a essere generosi verso i poveri nel logion
di 16, 9: « Fatevi degli amici con la ricchezza iniqua (lett.: con il
Mammona (66) di iniquità) affinché quando (essa) verrà a mancare vi
accolgano nelle tende eterne » (67). Certi farisei ritengono le ricchezze
non iniquità e nemmeno pericolo, ma indice della benevolenza di
Dio che premia la virtù degli uomini. Per Gesù invece i beni ter­
reni sono troppo spesso risultato e fonte di disonestà. Nessun com­
portamento, quindi, più eiccorto di chi li usa per opere di bene.

(63) J. Jeremias, o.c., 189: « La parabola non tratta dell’insistenza della preghiera, ma
della certezza dell'esaudimento della preghiera ».
(64) E' molto caro a Luca il termine eXs'OJXOChJVT], che qui (11, 41) e in 12, 33 è « un
evidente sovraccarico » secondo J. Dupont, Le Beatitudini (tr. dal fr.), I, Roma 1972, 369. Ad
eccezione di Mt 6, 2.3.4 dove si parla del modo come non fare e come fare elemosina,
in tutto il Nuovo Testamento è solo Luca a usare il vocabolo: due volte nel vangelo e
otto volte negli Atti: nella pericope dello storpio che mendicava alla porta Bella del tempio
(3, 2.3.10); a proposito delle beneficenze di Tabità (9, 36) e del centurione Cornelio (10,
2.4.31) e della colletta raccolta da Paolo per la chiesa madre (24, 17).
(65) E' noto che questo è uno dei versetti più difficili del terzo vangelo per via del
TOC évóvroc (il « quod superest » della Volgata latina) che Gesù esorta i farisei a dare in
elemosina. Ad esempio R. Bultmann, sXeo£ x.tX.., TWNT 2 (1933) 483 n. 8 (GLNT 3,
422 n. 8), dà queste possibili traduzioni: « Ma per quanto riguarda il vostro intimo, fate
elemosina! », « ciò che è dentro » oppure « ciò che è a vostra disposizione, datelo in ele­
mosina! ». Cf. J. Dupont, o.c., 452-456.
(66) Cf. F. Hauck, ¡lOiiMùvàq in TWNT 4 (1942) 390-392 (GLNT 6, 1047-1054); P. Colella,
De mamona iniquitatis, in Rivista biblica 19 (1971) 427-428; H.P. Rüger, Mamonas, in Zeit­
schrift für neutestamentliche Wissenschaft 64 (1973) 127-131.
(67) Cf. W. Michaelis, ctX7]VY) x.t.X., in TWNT 7 (1964) 378-379 (GLNT 12, 477-479).
574 Adinolfi

Un giorno Dio (ha valore teologico la terza persona plurale « ac­


colgano, 8&;cùvt(xi. » ) lo ammetterà nella sua gloria escatologica.
« Amici miei, cpíAoi (jlou» (12, 4). E' il titolo che nel suo amore
di predilezione Gesù dà ai discepoli da cui si sa riamato. Glielo dà
quando li esorta a confessare con coraggio Tunico padrone della
vita e della morte, e a modellare così la loro vita su quella del
Maestro.
La provvidenza amorosa di Dio verso gli uomini è posta ancora
in risalto da un esplicito argomento a fortiori. Dio nutre finanche
i corvi (12, 24), bestie tenute in abominio dagli ebrei come immonde
{Lev 11, 15), e odiate e rigettate, secondo una credenza rabbinica,
dai loro stessi genitori (m).
Nella benevolenza del suo amore gratuito (« si è compiaciuto,
£Ù8óxy)<t£v) il Padre assicura la partecipazione al regno al gruppu­
scolo disprezzato e osteggiato dei discepoli di Gesù (12, 32) (68
69).
La compassionevole misericordia di Dio si lascia vincere dalla
preghiera al punto da prorogare il tempo di grazia e di penitenza
e da sospendere il decreto già pronto di giudizio e di condanna.
Allo scopo di ribadire che il suo ministero è Tultima indifferibile
offerta divina di salvezza Gesù narra la parabola del fico infruttuoso
da tre anni (metafora del popolo d'Israele). Alle preghiere del con­
tadino il padrone acconsente a non più abbatterlo, pazientando an­
cora un anno durante il quale l'albero sarà oggetto di cure tutte
particolari (13, 6-9). Si tratta di un « pentimento » di Dio, giustifi­
cato esclusivamente dalla sua bontà, e non già da un cenno di mi­
glioramento del fico (70).
L'autentica carità del prossimo, che Dio apprezza e premierà
un giorno, è quella disinteressata, che non attende il contraccambio
dalle persone che favorisce o benefica. Con il masal (71) della scelta
degli invitati lo insegna Gesù raccomandando al suo ospite di far

(68) Cf. Rashi, in P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und
Midrasch, II, München 1924, 191: « I nostri Maestri hanno spiegato che il corvo è crudele
verso i suoi piccoli... Quando si fanno grandi, diventano neri e allora i loro genitori li
amano, ma all'inizio sono bianchi (senza penne) e per questo essi li odiano ».
(89) Cf. W. Pesch, Zur Formgeschichte und Exegese von Lk 12, 32, in Biblica 41 (1960) 25-40.
(70) Cf. invece Ger 18, 7-8: « 7 Talvolta nei riguardi di un popolo o di un regno io decido
di sradicare, di abbattere e di distruggere; 8 ma se questo popolo, contro il quale avevo
parlato, si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di fargli ».
(71) Cf. R. Bultmann, Die Geschichte der Synoptischen Tradition, Göttingen 1957, 192-193.
L’amore nel terzo vangelo 575

sedere alla sua mensa infelici ed emarginati (« poveri, storpi, zoppi,


ciechi ») (72) incapaci di ricambiare la cortesia (14, 12-14) (73).
La decisione escatologica, che il discepolo di Gesù è tenuto a
prendere, impone la rottura dolorosa oltre che con i genitori e i
figli anche con la moglie e la rinuncia alla stessa vita (solo Le 14, 26;
cf. Mt 10, 37), qualora i vincoli di parentela e l’attaccamento all’esi­
stenza terrena releghino al secondo posto l'amore verso Gesù. Il
« non odia » lucano è un semitismo equivalente a « non ama meno »,
come risulta anche dal parallelo matteano « ama... più di me ».
Se la sezione dell’ascesa a Gerusalemme (9, 51-19, 27) che stiamo
esaminando costituisce il centro di Le, l’essenza del vangelo è rav­
visata proprio nel cuore di questa sezione, nel capitolo 15 (74), che
riporta le tre cosiddette parabole della misericordia, il dittico della
pecorella e della dracma perdute (4-7.8-10) (75) e il figliol prodi­
go (11-32 (76).
« Per esattori e gabellieri è difficile la conversione », dice il Tal­
mud (77). In realtà è gente peccatrice per antonomasia (78), privata
di ogni diritto civile, accomunata ai giocatori di dati, agli usurai e

(72) Impediti dall'esercitare le funzioni sacerdotali secondo Lev 21, 17-21, costoro sono
a Qumran esclusi dall'assemblea dei notabili e dalla guerra escatologica. Cf. lQSa 2, 3-9:
« Chiunque sia colpito da una qualsiasi impurità umana, non entrerà nella congregazione
di Dio. Chiunque è colpito da queste (impurità) sicché non possa tenere un posto nel­
l’assemblea e chiunque è colpito nella sua carne, paralizzato ai piedi o alle mani, zoppo o
cieco o sordo o muto, colui che è colpito nella sua carne da una tara visibile agli occhi,
o un uomo vecchio, vacillante, da non potere reggere in mezzo all'assemblea, costoro non
entreranno a partecipare in seno all'assemblea dei notabili, giacché angeli santi sono nella
loro assemblea »; 1QM 7, 4-5: « Uno zoppo, un cieco, uno storpio, chiunque ha, nel suo
corpo, qualche difetto permanente o è colpito da una qualche impurità corporale, nessuno
di costoro potrà andare con essi alla guerra » (tr. L. Moraldi).
(73) Cf. E. Neuhäuser, Exigence de Dien et morale chrétienne (tr. de Tal.), Paris 1971,
61: « L'intention de l’homme, en teutes ses entreprises, ne doit avoir qu’un seul but: Dieu.
Dès qu’un acte de charité humaine ne tient plus compte de l'amour de Dieu, il reste
enfermé dans le cadre du monde, et cela limite aussi ses effets. Mais heureux celui dont
l'acte de charité était exempt de tout calcul, et qui n'a pas regu dès ici-bas ses "hono-
raires" ».
(74) C.H. Giblin, Structural and Theological Considerations on Luke 15, in Catholic
Biblical Quarterly 24 (1962) 15-31.
(75) Cf. W. Trilling, L’annuncio di Cristo oggi. Pastorale e nuova esegesi (tr. dal ted.),
Roma-Brescia 1970, 110-124.
(76) J.T. Sanders, Tradition and Redaction in Luke XV.11-32, in New Testament Studies
15 (1968-69) 433-438; L. Schottroff, Das Gleichniss von verlorenen Sohn, in Zeitschrift für
Theologie und Kirche 68 (1971) 27-52.
(77) Baba Mesia T 8, 26.
(78) Tohorot 7, 5: « Se gli agenti delle imposte entrano in una casa, la casa è impura ».
576 Adinolfi

ai pastori (79), è gente peccatrice che, non conoscendo neppure tutte


le persone frodate, è nella impossibilità morale di riparare. Di qui
le mormorazioni dei farisei perché Gesù non solo non si tiene alla
larga da questi individui, ma arriva a dividere con loro la mensa,
il che equivale, secondo la concezione orientale, a creare con essi
in Dio una comunione di fraternità e di vita. Gesù sa che troppo
lungo sarebbe, e forse inutile se non addirittura controproducente,
intavolare con i suoi interlocutori una discussione fatta di distinguo
e di sillogismi in difesa della sua sollecitudine d’amore per i pec­
catori. Ricorre perciò, qui come altrove, al genere parabolico che,
trasportando su un nuovo terreno i suoi contestatori, permetterà
loro di comprendere l'agire rivelatore di Gesù, intravedendo cioè
nel comportamento di Gesù il misericordioso comportamento sto­
rico-salvifico di Dio stesso (80).
Ciascuna delle tre parabole della misericordia (81) si snoda in
tre tempi di cui l’ultimo è il primo in ordine di preminenza: la
perdita (a7róXXi>fjU vv. 4 bis.6; 8.9; 24.32), il ritrovamento (euaicrxco
vv. 4.5.6; 8.9 bis; 24.32), la gioia (^oupco: vv. 5.32; (ju^aipco: vv. 6; 9;
eucppaivco: vv. 23.24.29.32). Nella triplice narrazione parabolica — le
prime due fanno appello all'esperienza quotidiana, la terza presenta
un caso straordinario — chi perde e ritrova è ora un pastore bene­
stante, ora una povera casalinga, ora un padre. I primi due si met­
tono alla ricerca accurata e accorata della bestia e della moneta
perdute. Il terzo, con un gesto poco dignitoso per un anziano orien­
tale, corre commosso incontro al figlio ritornato da tristi esperienze
di emigrato e lo bacia e lo ribacia. Il ritrovamento fa esplodere la
gioia (82), incontenibile come ogni grande gioia. Il pastore e la mas­
saia ne fanno partecipi amici e vicini, il padre i servi ai quali co­

(79) Sanhedrin 25 b.
(80) Cf. J. Dupont,Les implications christologiques de la parabole de la brebis perdue,
in AA.VV., Jesus aux origines de la christologie, Louvain-Gembloux 1975, 331-350.
(81) Cf. E. Rasco, Le parabole di Luca XV, in I. de La Potterie, Da Gesù ai Vangeli.
Tradizione e redazione nei vangeli sinottici (tr. dal fr.), Assisi 1971, 208-229; J. Jeremias,
Tradition und Redaktion in Lukas 15, in Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft
62 (1971) 172-189.
(82) Circa la differenza di ottica tra la pecorella smarrita di Mt 18, 12-14 e la pecorella
perduta di Le 15, 3-7, cf. J.M. Lagrange, Evangile selon Matthieu, Paris 1948, 351: « Mais il
y a cette différence que dans Mt. l’accent est sur la recherche, dans Le. sur la joie de
trouver. Dans Mt. Jésus invite les forts ou les pasteurs à ramener les faibles; Le. met
surtout en relief la joie divine du perdón. Mt. insiste sur le devoir à remplir par les
hommes; Le. pénètre dans le coeur de Dieu. Mt. donne une règie aux apotres, Le. défend
le Sauveur dans sa bonté pour les pécheurs ».
L'amore nel terzo vangelo 577

manda di vestire a festa il padroncino reintegrato nei suoi dirtti (83)


e di preparare per tutta la casa il convito delle grandi circostanze
con musica e danze.
Solo le prime due parabole presentano la conclusione, la quale
è poi lo scopo per cui esse sono state narrate. « Vi dico che così
vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più
che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione »
(v. 7). « Così, vi dico, c'è gioia dinanzi agli angeli di Dio per un
solo peccatore che si converte » (v. 10). In entrambe le conclusioni
si parla della gioia soteriologica di Dio (84) per un peccatore con­
vertito: il nome divino è riverenzialmente evitato con le espressioni
« nel cielo » (v. 7) e « dinanzi agli angeli » (v. 10) (85). Solo nella prima
conclusione c'è un paragone i86): Dio gioisce di più per la conver­
sione di un peccatore che per la perseveranza di novantanove giusti.
Non già che il valore di un giusto ex peccatore superi quello di
novantanove giusti (87). Ma è psicologicamente provato che il di­
spiacere di averla perduta e soprattutto il piacere di averla ritro­
vata mi fanno aumentare enormemente il valore di una cosa che
mi apparteneva.
Benché priva dell'applicazione esplicita a Dio, la terza parabola
del trittico illustra ancora meglio e celebra il medesimo amore mise­
ricordioso di Dio, all'opera nel ministero di Gesù. Un amore scon­
certante, che non è accettato né condiviso dai farisei così come è
respinto dal fratello maggiore. Il quale, orgoglioso della propria

(83) Cf. K.H. Rengstorf, Die Re-Investitur des Verlorenen Sohnes in der Gleichniser­
zählung Jesu, Luk. 15, 11-32, Düsseldorf 1966.
(84) e.G. Gulin, Die Freunde im Neuen Testament, I, Helsinki 1932, 99.
(85) Secondo J. Jeremias, o.c., 18, qui e in 12, 8.9 « il genitivo 0eoü sembra un'aggiunta
secondaria ».
(86) Non è seguita la sentenza, che nega la forza di un paragone nella particella
di K. Bornhäuser, Studien zum Sondergut des Lukas Gütersloh 1934, 124.
(87) E’ del tutto fuori strada il Vangelo di Tommaso 107: « Gesù ha detto: Il regno è
simile a pastore con cento pecore. Una di esse si smarrì, la maggiore. Egli lasciò le novan­
tanove e cercò l'unica, finché la trovò. Stanco, disse alla pecora: ti amo più delle novan­
tanove » (tr. M. Erbetta). Lo stesso si dica del Vangelo della verità 23.24: « E' lui il pastore
che ha lasciato le novantanove pecore che non si erano sviate ed andò alla ricerca di quella
che si era smarrita. Quando la trovò, ne gioì. Il novantanove è un numero calcolato sulla
mano sinistra che lo tiene. Appena però l'uno è stato trovato, il numero intero passa alla
destra. Così accade a chi manca dell’uno, cioè della destra intera. Questa attira ciò che è
mancante, prendendolo dalla parte sinistra. Esso passa alla destra e così il numero diventa
cento... Questi (il Padre) ha lavorato anche in giorno di sabato per la pecorella che trovò
caduta nella fossa. Salvò la vita alla stessa, col riportarla su dalla buca » (tr. M. Erbetta).
Secondo questi apocrifi la pecorella smarrita è il pneumatico perdutosi nel tenebroso mondo
ilico e riportato poi da Dio nella luce della salvezza.
578 Adinolfi

« giustizia » — « Sono tanti anni che ti servo e mai ho trasgredito


un tuo comando » (v. 29) —, contesta sdegnoso la gioia del padre
per il ritorno di chi ha sperperato i suoi beni con le prostitute. Un
altro figlio perduto, di cui il padre si mette alla ricerca: « uscito
lo supplicava » (v. 28). « Bisognava (cSel) far festa e rallegrarsi, per­
ché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato » (v. 32). Una risurrezione e un ritrovamento
effetto del libero amore salvifico di Dio che previene ogni desi­
derio e ogni gesto dell’uomo, e accoglie il peccatore senza dargli il
tempo di dimostrare la sincerità del suo pentimento con opere ripa­
ratrici.
Parallela a quella dell'amico importunato (11, 5-8) è la parabola
del giudice infastidito (18, 1-8) (88). Lì era un uomo nei guai dinanzi
al dovere dell'ospitalità; qui è una vedova, l’essere debole e indifeso
per eccellenza, che vede i suoi diritti conculcati. Lì ci si rivolgeva
a un amico; qui ci si rivolge a un magistrato ateo e amorale, privo
di ogni senso di giustizia. Lì si disturbava un amico a un'ora impos­
sibile; qui si molesta un giudice insensibile con l'insistente capar­
bietà propria di chi sa di essere dalla parte della ragione. Lì solo
in nome dell'amicizia l’amico si decide a prestare i pani richiesti;
qui solo per non essere più seccato il giudice si piega a rendere
giustizia alla vedova. Con questa parabola del giudice Gesù, argo­
mentando a fortiori, intende illustrare l'amabile condiscendenza di
Dio ad accogliere le preghiere confidenti e persistenti dei suoi fe­
deli (89). Il carattere escatologico della parabola permette di vedere
enunciato in concreto che Dio libererà prontamente i suoi dalle per­
secuzioni sopportate per amore del vangelo.
L'amore di Gesù per i peccatori, ai quali riserva un'accoglienza
di favore, non è che la manifestazione concreta dell'amorosa volontà
salvifica di Dio. Lo insegna anche il racconto esemplare del fariseo

(88) Cf. C. Spicq, La parabole de la veuve obstinée et du juge inerte, aux décisions
impromptues (Le XVIII, 1-8), in Révue biblique 68 (1961) 68-90; R. Deschriver, La parabole
du juge malveillant (Lue 18, 1-8), in Révue d’histoire et de Philosophie religieuses 48 (1968)
355-366; J.D.M. Derret, Law in the New Testament: The Parable of the Unjust Judge, in
New Testament Studies 18 (1971-72) 178-191.
(89) Cf. H. Kahlefeld, Paraboles et legons dans VEvangile (tr. de Tal.), II, Paris 1970,
64: « de mème que Dieu est présente comme le Seigneur absolu et, simultanément, comme
Celui qui aime, d'une manière inconcevable..., ainsi on exige que 1'attitude de 1'homme en-
vers le Vivant soit un abandon et une soumission inconditionnels mais, en mème temps,
une intimité sans crainte et un amour qui assure soutien et protection ».
L'amore nel terzo vangelo 579

e del pubblicano (18, 9-14) (90). Ancor prima che quegli abbandoni
il suo sciagurato mestiere e compia le riparazioni prescritte, Dio
concede il suo perdono e la sua grazia al pubblicano che, in acco­
rata umiltà, riconosce di essere peccatore e implora la pietà celeste.
Nessuna « giustificazione », invece, per il fariseo che, nella sua orgo­
gliosa autosufficienza, crede di non aver nulla da farsi condonare
e si vanta delle sue opere buone comandate dalla legge (91).
Quello che le parabole della misericordia fanno intravedere in
figura si attua nel ministero di Gesù. Nella persona del Figlio del-
l’uomo esplode la misericordia di Dio che cerca e salva dalla po­
tenza del male e del peccato ciò che era perduto. E' il caso di Zac­
cheo (19, 1-10), capo dei pubblicani e facoltoso. Un caso dunque
estremamente difficile, che Gesù risolve realizzando ancora una volta
l'oggi escatologico della salvezza (92). E, nonostante gli scandalizzati
commenti della gente, arriva ad attribuire la figliolanza spirituale
di Abramo a Zaccheo che ha manifestato prima il desiderio ansioso
e fattivo di vederlo, poi la gioia di accoglierlo in casa dopo che il
Signore (93) si è autoinvitato, infine il proposito di risarcire estor­
sioni e frodi con una generosa prodigalità che va oltre ogni legge e
usanza (94).

3. A Gerusalemme (19, 11-24, 52)

A Luca si devono tre consolanti particolari che mettono sem­


pre più in risalto l'amore misericordioso di Gesù poco prima di
concludere la sua vita mortale.

(90) Cf. E. Fuchs, Zur Frage ach dem historischen Jesus, Tübingen 1965, 154-160.
(91) A commento delle parole di R. Nehuniah ben Haqqana (c. 70 d.C.) nell’uscire dal­
l'accademia: « ringrazio di quanto ho avuto in sorte » (Berakhot 4, 2), i rabbini suggeri­
vano di fare la preghiera riferita da Berakhot 28 b: « Io ti ringrazio, Signore, Dio mio, di
aver posto la mia sorte fra coloro che risiedono nell’Accademia, e di non aver posto la
mia sorte fra coloro che stanno nei carri (per le gare ginniche), perché io mi alzo presto
e anch’essi si alzano presto, ma io mi alzo per lo studio della Legge, mentre essi si
alzano per cose faute; io mi affatico e anch’essi si affaticano, ma io mi affatico e ricevo
un compenso (da Dio), mentre essi si affaticano e non ricevono alcun compenso; io corro
e anch’essi corrono, ma io corro verso la vita futura, mentre essi corrono verso la fossa
della corruzione » (tr. E. Zolli).
(92) cf. W.C. Van Unnik, L’usage de acó^etv « sauver » et des dérivés dans les évangiles
synoptiques, in AA.VV., La formation des Évangiles. Problème Synoptique et Formgeschichte,
Bruges 1957, 178-194; F. Bovon, Le salut dans les écrits de Lue. Essai, in RThPh 23 (1973)
296-307.
(93) Cf. I. de La Potterie, Le titre Kyrios appliqué à Jésus dans V¿vangile de Lue, in
Mélange Rigaux, Gembloux 1970, 117-146.
(94) Cf. J. Dupont, Le Beatitudini, I (tr. dal fr.), Roma 1972, 898-904.
580 Adinolfi

Tre volte nel cortile del sommo sacerdote Pietro dichiara di


non conoscere Gesù. E' allora che « il Signore, voltatosi, guardò Pie­
tro » (22, 61). In quello sguardo triste, sotteso di dolce rimprovero,
Tapostolo rivede la millanteria con cui nel Cenacolo ha accolto qual­
che ora prima la predizione del suo triplice rinnegamento. Si av­
vede del male commesso, se ne pente « e uscito fuori, pianse ama­
ramente » (v. 62; cf. Mt 26, 75) (95).
Invece di minacciare o maledire i suoi crocifissori, sia chi lo
ha mandato alla croce sia chi lo ha inchiodato ad essa, Gesù chiede
al Padre celeste il perdono della loro ignoranza: « Padre, perdona
loro, perché non sanno quello che fanno» (Le 23, 34). E' una pre­
ghiera a Dio t96), e insieme ¡¡'estremo appello alla conversione lan­
ciato ai suoi crocifissori. Manca in alcuni testimoni antichi ed è
classificata sotto la lettera C, in quanto oggetto di « un grado con­
siderevole di dubbio» (97), da A Textual Commentary on the Greek
New Testament (").
Non resta delusa l'attesa del buon ladrone, che rimprovera le
bestemmie al compagno e riconosce le colpe proprie e ¡'innocenza
di Gesù, nelle cui mani rimette con fiducia il proprio destino chie­
dendo di essere ricordato e salvato quando lui tornerà per inau­
gurare il regno messianico. Invece di un ricordo per il domani Gesù
gli promette solennemente di salvarlo oggi stesso, facendogli godere
in comunione con Lui la beatitudine del regno dei giusti (23, 39-43) (").

.95) Cf. S. Ambrogio, Hymni, Aeterne rerum conditor 2 .PL 16, 1473): « Jesu, labantes
respice, / et nos videndo corrige: / si respicis, lapsus cadunt, / fletuque culpa solvitur ».
(96) Cf. J. Blinzler, II processo di Gesù (tr. dal ted.), Brescia 1966 , 420-421: «Anche
questa preghiera parla dell’ignoranza dei nemici di Gesù, ma non dice che essi abbiano
agito erroneamente senza colpa. Che se non vi fosse stata colpa, non vi sarebbe stata
necessità d'intercessione ».
(97) K. Aland, The Greek New Testament, Stuttgart 1967, XI
(96) B.M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, Stuttgart 1971,
180, nega che la preghiera sia stata espunta perché la caduta di Gerusalemme poteva sem­
brare la prova che Dio non aveva esaudito suo Figlio (la Bibbia TOB, invece, sostiene
questa possibilità). E continua affermando che il logion « bears self-evident tokens of its
dominical origin ».
(99) Contro P. Benoit, L'Ascension, in Exégèse et Théologie, I, Paris 1961, 391 n. 2; P.
Grelot, « Oggi sarai con me nel Paradiso » (Le 23, 43), in Dalla morte alla vita (tr. dal fr.),
Torino 1975, 115-133, e altri che pensano « a uno stadio intermedio e a un luogo di sog­
giorno provvisorio per i giusti », J. Dupont, Le Beatitudini (tr. dal fr.), II, Roma 1977, 208,
ritiene che Gesù promette al buon ladrone « una salvezza che si realizzerà nell’istante stesso
della morte ».
L'amore nel terzo vangelo 581

* * *

Se la parabola del figlio! prodigo è, come viene definita, « il


vangelo nel vangelo », si può concludere che per Luca, « scriba man­
suetudinis Christi », il lieto annuncio è il messaggio dell'amore.
Amore misericordioso di Gesù che racconta la parabola per far
comprendere perché « riceve i peccatori e mangia con loro» (15, 2).
Amore misericordioso del padre che accoglie con gioia il figlio
risorto e ritrovato (vv. 11-24). Amore riconoscente verso Dio, e disin­
teressato e misericordioso verso gli uomini richiesto al fratello mag­
giore (vv. 25-32) che « non può riconoscere il padre come padre
senza riconoscere nel medesimo tempo il figlio minore come fra­
tello » (10°).

Marco Adinolfi

(100) J. Dupont, Il metodo parabolico di Gesù (tr. dal fr.), Brescia 1978, 27.
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