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Usa e getta: la scomparsa del “califfo”

L'eliminazione di Al Baghdadi ridisegna i nuovi assetti in medio oriente


Non è certo un caso che il blitz americano che ha portato alla morte del califfo del terrore giunga al termine di
avvenimenti cruciali che hanno infiammato quest'area. Fa fare “bella figura” soprattutto a Trump che, con il
fragore di questa notizia, cancella il “tradimento dei curdi” che poteva diventare una macchia della sua campagna
elettorale. 

Il suo vero e completo nome era Ibrahim Awed Ibrahim Ali al-Badri al-Samarra’i, in breve Ibrahim di Samarra.
Era nato molte volte. La prima, quella per i genitori e per l’anagrafe, appunto a Samarra il 28 luglio del 1971. Ma
era nato di nuovo nel 2003, dopo l’invasione anglo-americana dell’Iraq, quando era entrato nei ranghi di Al
Qaeda. Un’altra volta era nato nel dicembre del 2004, quando era stato rilasciato da Camp Bucca, un carcere
americano per terroristi in Iraq, dopo una detenzione di pochi mesi. Altra nascita nel  maggio del 2010, quando
diventa il capo del ramo iracheno di Al Qaeda. Ultima e definitiva nascita il 29 giugno del 2014, allorché viene
proclamato califfo dello Stato islamico con il nome di Abu Bakr al-Baghdadi. L’uomo dalle molte nascite è morto
una volta sola e per sempre. Poche ore fa, nella provincia siriana di Idlib dove sono ormai radunati gli ultimi
irriducibili dell’Isis e delle altre formazioni islamiste. E, per dirla con Donald Trump, il Presidente più splatter
della storia, è morto “piangendo e urlando come un codardo”.
Più prosaicamente, Al Baghdadi ha cercato di sfuggire alle truppe speciali Usa piombategli addosso su otto
elicotteri e, quando si è visto in trappola, si è fatto saltare insieme con tre dei suoi figli. È lo stesso Al Baghdadi
che il 30 aprile di quest’anno era comparso in un video “stile Osama”, ambiente anonimo, kalashnikov al fianco,
minacce per tutti. La sua seconda apparizione pubblica dopo quella di cinque anni prima, il sermone tenuto alla
Grande Moschea di Mosul, l’esordio come califfo dello Stato dell’islam armato che avrebbe dovuto ridisegnare la
mappa del Medio Oriente. Cinque anni di riuscita latitanza, mentre i servizi segreti di mezzo mondo gli davano la
caccia e lui era costretto a muoversi in ambienti dove il tradimento è all’ordine del giorno, erano quasi un record.
Infatti scrissi allora che, con ogni evidenza, Al Baghdadi a qualcuno serviva ancora. Bisogna scrivere oggi,
quindi, che Al Baghdadi non serviva più. E che la sua morte manda a tutti noi una serie di messaggi di grande
interesse. Il primo è questo: certifica che il pericolo di una rinascita dell’Isis, di cui si è molto favoleggiato sulla
stampa occidentale per via della triste sorte dei curdi che ne tengono molti nelle prigioni da loro controllate nel
Rojava e nel Nord-Est della Siria, era appunto una favola. È chiaro, potranno esserci azioni disperate e sanguinose
da parte di qualche residuo aspirante martire. Ma Al Baghdadi non serve più, in questa fase, perché è proprio
dell’Isis che non c’è più bisogno.
Il progetto (saudita, qatariota, turco, americano e chi più ne ha più ne metta) di inserire una zeppa di estremismo
sunnita nella Mezzaluna Fertile dominata dagli sciiti, e in particolare tra Siria e Iraq, chiamandolo Califfato, è
fallito. Ha quasi annichilito la Siria e ha tenuto centinaia di milioni di persone con il fiato sospeso ma è fallito.
L’Isis può tornare a dormire. Rinascerà con altro nome e altri leader quando i suoi signori e padroni, pieni di
miliardi, riterranno di averne bisogno, come hanno avuto in passato bisogno dei mujaheddin del popolo, di Al
Qaeda, degli estremisti ceceni, di Al Nusra o di uno qualunque dei tanti movimenti che, tra Medio Oriente e Asia,
parlano molto del Corano ma sono in realtà al servizio di precisi piani politici. Nel Nord della Siria succedono
cose che vanno ben oltre l’Isis e quei fanatici senz’arte ne parte che da tempo sono rimasti senza soldi e senza
protettori. Per capirlo sarebbe bastato osservare la sequenza degli eventi che si sono scaricati sui curdi. Eccola, in
estrema sintesi. Trump annuncia il ritiro delle truppe Usa. Poche ore dopo l’esercito turco già si muove contro le
postazioni dei curdi. Trump rinforza con migliaia di uomini le basi americane in Arabia Saudita. L’Iran annuncia
una serie di manovre militari al confine con la Turchia ma non se lo fila nessuno. I turchi avanzano in Siria verso
Sud. Anche i siriani avanzano, verso Nord. Vladimir Putin e Recep Erdogan si incontrano e si accordano su una
gestione comune dell’area. Bisognerebbe essere ciechi e sordi per non capire che alla base di questi eventi c’è un
accordo, più o meno tacito, tra Turchia, Usa e Russia, una sorta di grande compromesso per uscire da una
situazione che non vedeva (e non avrebbe potuto vedere) né vinti né vincitori. Che cosa c’entra tutto questo con
Al Baghdadi? Intanto è un po’ sospetto che il grande latitante sia stato pizzicato proprio in coda a quei fatti. La
sua eliminazione, probabilmente, era uno dei capitoli di quel contratto tra potenze. Fa fare “bella figura” a tutti.
Soprattutto a Donald Trump che, con il fragore di questa notizia, cancella tutto quel gran parlare di “tradimento
dei curdi” che poteva diventare una macchia della sua campagna elettorale. E infatti, a eliminazione di Al
Baghdadi avvenuta, Trump ha ringraziato i siriani, i turchi e soprattutto i russi che hanno messo a disposizione
alcune basi e i curdi che hanno collaborato al raid. Ulteriore conferma che questi Paesi, in teoria avversari o
nemici, si stanno parlando, e tanto. Succede qualcosa di nuovo, in quella parte di Medio Oriente. Prima o poi
capiremo anche cosa.

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