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Una Intelligence moderna o liberista?

[tratto dal VI° cap. del volume Intelligence e Sistema di Informazione di G. Taurisano]

La cultura già in senso metafisico è di per se un valore inestimabile, è


forma, è crescita, è futuro, se questa poi abbraccia ed evidenzia parti
di questa universalità delle cose conosciute e non, e quindi ne studia i
comportamenti singolarmente e analiticamente, troverà in ognuna di
essa ricchezze ancora più grandi, più utili alla conoscenza stessa e più
incline a distinguere l’uomo moderno come preparatore del futuro.
[G. Taurisano, cit. 2015-2020].

L’Italia è stata nei secoli la Nazione che forse più di altre ha prodotto cultura e per certi
aspetti tutt’oggi ne vorrebbe preservare il primato, oltre che tentare, lecitamente, di
conservarne le origini, ma questo proposito pare che venga facilmente allontanato da nuovi
quanto sconvolgenti modelli di comunicazione e altrettanti modi di proporsi di fronte al
paese e alla società, laddove il pensiero dell’individuo, così come viene espresso deve restare
inconfutabile, oltre che restio a qualsiasi forma di confronto civile e dialogico.
Questo non produce dimenticanza nell’uomo, forse no, ma lo plasma sotto una nuova
forma mentis, cercando una variante al liberalismo conservatore, così come conosciuto
dall’epoca rinascimentale, per trasformalo in un modello personale, senza regole, tanto
esteso verso il beneficio individuale da superare addirittura anche l’idea di Ronald Dworkin
che disdegnando la ragione pubblica cerca un liberalismo potente e più dignitoso.
Probabilmente il liberalismo attuale, oltre che tentare di modificare il suo significato, vuole
proporsi come una cultura a sé, dai caratteri anticonformisti, quasi litigiosa verso ogni
parere avverso a chi di questa cultura ne vuole ricordare gli aspetti storici, formativi e
instradante il pensiero educativo, occorrente alla società moderna, in eguali proporzioni di
come due secoli fa veniva proposto come identità dell’ esprit libre. Sarà forse questo intenso
vivere il presente che lascia incustodito il ricordo del passato che più non si confà alle
odierne ideologie strumentali - tecnologiche e del cyber – spazio, dai contenuti sempre più
intensi e leggibili sotto forme non più sperimentali o comparative ma come assolutismo
conoscitivo, e dunque come cultura e come scienza incondizionata. Gioco del paradosso: il
liberalismo diventa totalitarismo di un pensare unico – direzionale e privo di varianti,
confondendolo con un’idea di libertà strettamente circostanziale e personale. Che esso sia
stato artefice di costruzione di un nuovo pensiero dell’uomo è certo, ma non può il
moderno pensiero stracciarne la sua storia e la sua cultura né trasformare, come sembra, il
concetto di liberalismo da limitazione dei poteri dello Stato e più diritti individuali, a
ideologia individualista.
Nell’epoca attuale è facile trovare un rapporto tra il liberalismo e l’Intelligence, anche se
questo è attinente al liberalismo economico, dove l'Intelligence deve muoversi e attivarsi
per la sicurezza economica degli Stati rispettando appunto la libertà di questi nel libero
mercato; e secondo il concetto di liberismo nato dal tedesco Friedrich von Hayek
«democrazia vuol dire libertà economica», l'Intelligence qui riveste un ruolo pressoché
principale nel far si che tale libertà economica si muova, ma soprattutto quella delle altre
nazioni non colpisca quella del proprio paese.
Oggi chiunque si sente liberale e dovunque il vocabolo si evidenzia e sembra – anche se in
Italia liberismo e liberalismo non hanno lo stesso significato3 – che l’uomo si senta e debba
essere libero di fronte ad ogni cosa e forse anche innanzi a se stesso.
La modernità del pensiero, oggigiorno, confonde molte cose tra le quali vi sono quella della
consapevolezza e dell’esistenza, ambedue interconnesse e collaboranti nella quotidianità di
ogni individuo, nella responsabilità di ogni società e da queste nella funzione degli Stati.
Ecco però che tutto si trasforma e si identifica come libertà individuale nell’imporre
soprattutto le personali idee e il liberismo politico ed il liberalismo economico diventano
libertinismo ideologico. Tale premessa, che non è una critica all’attuale pensiero umano, ma
all’inumano modo di trattare la cultura in epoche moderne (confrontandoci con il concetto
di liberalismo) vuole esprimere la profonda crisi che la fabbrica del sapere e della scienza,
della cultura e del dialogo stanno attraversando rispettando, per riflesso, i canoni
internazionali della nuova mondialità nell’esprimere un modello di società che pare voglia
soggiogare, se non annientare, millenni di storia, di cultura e di confronti scientifici.
Ebbene in questo tipo di liberalismo in che modo vive e si muove l’Intelligence? È riuscita a
conservare il suo logos nonostante sia stata oggetto sin dal passato di una straordinaria
disavventura culturale?

A differenza dei popoli di ogni nazione che nei secoli hanno dovuto confrontarsi
ideologicamente e soprattutto effettuare delle scelte, le prime spontanee e personali, le
seconde invece per lo più inconsapevoli, l’Intelligence ha preferito, e bene ha fatto, seguire il
suo naturale evolversi secondo il concetto di identità e liberismo culturale, preservando il
suo raccontarsi, la sua ragion di essere, il suo ragionamento, benché al suo voler essere
liberale, spessissimo, si è contrapposto il liberalismo politico e antropico. Forse l’unica
variante che possiamo trovare al liberismo (pretendendone anche un nuovo concetto:
libertà operativa) è quella attinente proprio all’Intelligence e non come idea appartenente
all’individuo, secondo una sua personale concezione del vivere la società e dell’imporsi nella
quotidianità dei social network, con l’universalità che il proprio pensiero sia indiscutibile. È
qui che ogni individuo deve lavorare, sulla personale identità che è tutt’altra di quella
proposta nel virtuale, se desideriamo davvero costruire una cultura di intelligence che ci
predisponga, consapevoli e idonei, verso il difendere la nostra storia, la nostra cultura e il
nostro essere italiani; ma sopra ogni altra cosa, diventare tutti custodi del nostro passato,
protagonisti del presente e costruttori del futuro.

Che l’Intelligence, per il suo essere argomentata, può conformarsi a molte discipline è cosa
ormai nota. Ciò che forse sfugge però è un dato, al quale poco o per niente si fa riferimento,
relativamente al progresso (e c’è stato, anche se ancora minimo) della cultura che essa stessa
in qualche maniera ha contribuito a realizzare per il suo liberismo educativo; dimostrandosi
soprattutto disponibile nell’assimilarne i benefici, anche se questi hanno dovuto subire
straordinarie epoche avverse, per vedersi poi un giorno elevarsi nella struttura del sapere e
dell’arte dell’intelligere.
La cultura Intelligence però non è da ritenersi soddisfatta del tutto, questo sì, tuttavia passi
importanti sono stati fatti nel giusto senso di marcia e se l’uomo si convince che il suo ruolo
in tutte le cose è ancora importante, così come lo è stato per millenni, allora s’incamminerà
eccelso e poderoso verso la meta del continuo positivo cambiamento di se stesso e della
società: «L’innovazione richiede una fondamentale convinzione che gli individui sono
importanti» (cit. di R. Dennard), la di cui evoluzione sembrerà ben poca cosa di fronte al
disinteresse globale della cultura in generale, se ciò non abbia addivenire con partecipazione
e convinzione.
Tutto dunque è legato all’uomo, ogni passo che egli compie è una scelta, ogni sua
preferenza è una destinazione oltre che distinzione, ed ogni differenza produce la sua storia,
segnandone i confini e i lineamenti, evidenziandone la forza e marcandone le orme: «né
tempo, né potenza alcuna spezza l’impronta che si sviluppa nel corso della vita» recita un
aforisma di Johann Wolfgang von Goethe, ragion per cui il percorso dell’innovazione che
l’uomo compie e con esso l’evoluzione delle cose delle quali egli ne è scultore indiscusso
deve sostenere cognizione:

Noi ora sappiamo che la fonte del benessere è qualcosa di prettamente umano:
la conoscenza. Se applichiamo la conoscenza a compiti che già sappiamo come
svolgere, le diamo il nome di produttività. Se applichiamo la conoscenza a
compiti nuovi e diversi, le diamo il nome di innovazione. Solo la conoscenza ci
consente di raggiungere questi due obiettivi. (Peter Ferdinand Drucker ,1909 –
2005).

Per quanto riguarda l'Intelligence e la sua cultura possiamo dire che su di essa, seppure
l’attesa è stata di ben oltre un secolo, abbiamo seguito ieri in parte oggi totalmente entrambi
i suggerimenti del prof. Drucker: spalmiamo la conoscenza acquisita sinora sulle mansioni
che già sappiamo svolgere producendo un nuovo percorso di un’altrettanta novella
conoscenza, avvicinandola a nuove idee e creando un sapere che possa consentirci di
costruire il futuro. Ma ciò però avviene solo in poche circostanze e in minima parte; occorre
invece interessarsi molto più a queste due costruzioni: produttività e innovazione, le quali
rappresentano la rampa di lancio di una indiscussa metodologia di crescita culturale, sociale,
economica e sicurezza nazionale.
Tuttavia sono i tempi più recenti che hanno consentito alla cultura di Intelligence di trovare
“aula” di discussione ed opinioni, sia in ambienti laici che in quelli competenti, sia nel
privato che nelle accademie.
Anche se vi è ancora un enorme spazio che separa l'Intelligence da quella che possiamo
definire una generale formazione intellettuale che interessi istituzioni e privati, politica e
cittadini, una distanza che si presenta più come un vuoto, un distacco, una indifferenza,
mentre invece considerando l’attualità e il futuro a noi ignoto dovremmo considerare l’idea
che predisporci tutti in una condizione formativa e conoscitiva esalterà anche il nostro
senso e la nostra volontà costruttrice, piuttosto che distruttrice.
La nostra Nazione ha vissuto molti anni in cui ideologie contrapposte hanno graffiato la
sua storia e con essa la sua identità culturale, dove l'Intelligence considerata uno strumento
politico veniva utilizzato, ma sarebbe naturale dire indicato ed accusato, per distinguere e
probabilmente ottenere ragioni su lotte intestine le quali (e lo racconta la storia) alla fine
non hanno che prodotto solo sofferenze, morte e disastri di ogni tipo. È stata dunque il
paravento per quei soffi destabilizzanti che hanno reso possibile un’epoca che va ricordata
ma assolutamente non riproposta, pertanto erano tempi questi in cui le ideologie dell’uomo
italiano si scontravano con un determinismo meccanicistico dove questo non considera
quello stato attuale come un effetto del passato e la causa del suo futuro, ma al contrario,
pare si interessasse di creare cause “attuali” per produrre effetti nel futuro.

Ci sono state, in oltre un secolo di tempo, diverse classificazioni o ancor meglio tipologie di
cultura che hanno interessato l'Intelligence, ma ancor più ci sono state diverse opposizioni
affinché questa non si sviluppasse: la prima, risalente all’inizio del XX secolo, possiamo dire
sia stata contenuta esclusivamente negli ambienti militari, con visioni di natura strategica e
risolutiva, che si contrapponeva all’assenza di cultura nell’ascolto e nella valutazione delle
capacità dell’Intelligence, quindi una cultura di tipo burocratica. La seconda, che si colloca
tra gli anni venti e cinquanta del ventesimo secolo, potremmo definirla di tipo clanico e
adattiva, in quanto la cultura Intelligence si scontrava con quella esageratamente spionistica
e repressiva. La terza di tipo missionario e misoneista, sviluppatasi durante la seconda metà
del secolo, ostacolava invece quella cultura di Intelligence che pochi coraggiosi iniziavano a
voler divulgare nel pieno significato di erudizione e forma di conoscenza. In tutto ciò però
sin dall’inizio del secolo scorso un circoscritto modo di intendere la cultura Intelligence
veniva acquisita, prima dagli istituti bancari, poi dai giornali e infine da altri soggetti fino ad
interessare, nella forma più vicina a quella che oggi conosciamo, una piccola parte della
letteratura; seppur questa all’inizio veniva divulgata in maniera errata da parte di sedicenti
cultori della materia.
Attualmente disponiamo di una quarta tipologia di cultura che possiamo facilmente
individuare nel nostro quotidiano vivere, e che possiamo definire cultura nel pieno della sua
accezione, per la quale istituzioni e università lavorano all’unisono, propagando il beneficio
della conoscenza e qui possiamo dunque utilizzare il termine: cultura di Intelligence.
Ad ogni modo ci occorre una quinta e definitiva tipologia, presto detta appunto cultura di
Intelligence psico-formativa, ovvero ottenere, seguendo schemi adattabili di realizzazione
della conoscenza, la materia principale per raggiungere un pensiero condiviso e quindi un
modo di pensare collettivo, unico, educativo e incondizionato sull’intelligence e la sua
attività. Tra l’altro una forma mentis questa che tornerà utile anche agli organismi di
intelligence, sia per la serenità operativa che per evidenziarsi in quei contesti che
attualmente tutti cerchiamo: trasparenza e comunicazione.
Ancorché queste ultime sono già ben distinguibili nella comunicazione istituzionale
dell’organismo di sicurezza nazionale, seguendo il principio di cultura con formazione
intellettuale, non saranno più, ove ancora possibile, in nessun modo fraintese con
l’operatività dei Servizi e soprattutto con la “sicurezza operativa” degli agenti.
Quindi e poiché il cittadino italiano già beneficia di questa cultura (resta ovviamente al
singolo farne alimento di conoscenza) della quale però pare abbia delle costrizioni ad
esprimersi in taluni ambienti, dobbiamo possibilmente far si di accrescerne il valore, oltre
che abbandonare le precedenti acroniche tipologie e concentrarci invece verso una dottrina,
un pensiero, una filosofia di conoscenza, che indichi innanzi tutto dove poter trovare le
sintesi critiche del nostro ragionamento, delle nostre opinioni e in seguito che offra la vera
possibilità (ma un domani diverrà necessità) di costruire per mezzo dell’intelligence e della
cultura di essa, nell’accezione di educazione intellettuale, i giusti livelli di sopravvivenza in
questo mondo che, al di là della cultura e del sapere, della scienza e dell’evoluzione, della
politica e della società, riserverà ancora tante sorprese. La cultura già in senso metafisico è
di per se un valore inestimabile, è forma, è crescita, è futuro, se questa poi abbraccia ed
evidenzia parti di questa universalità delle cose conosciute e non, e quindi ne studia i
comportamenti singolarmente e analiticamente, troverà in ognuna di essa ricchezze ancora
più grandi, più utili alla conoscenza stessa e più incline a distinguere l’uomo moderno come
preparatore del futuro.
l'Intelligence in tutto questo può rappresentare due fondamentali canali induttivi, efficaci,
dove convogliare e far scorrere la conoscenza come linfa di vita, uno è quello della reattività
intellettuale nel mondo che viviamo, l’altro è la retrospettiva culturale della nostra storia e
dunque entrambi a loro volta reagiranno benevole verso l’intelligence stessa. L’educazione
intellettuale non è qui da confondere con la cultura iniziale o di base, ma deve essere
compresa e acquisita proprio come tale, ovvero, acculturarci in intelligence mediante il
processo di assimilazione e con essa del senso e del significato di sicurezza nazionale,
proprio come farebbe il nostro simile all’inizio della sua vita nell’apprendimento iniziale,
primario, con la sola differenza che in questo caso saremo pronti ad incoraggiare il rischio e
quindi metterci in gioco con la ricerca (produttività) accettare il cambiamento (innovazione)
gustarne i miglioramenti (evoluzione). Dopo le varie, dissimili e distanti forme di cultura di
intelligence che il tempo ha vissuto per merito dell’Homo Sapiens Mentis, sarebbe davvero
opportuno che oggi, l’uomo stesso e la sua società, si accorgesse di quanto fruttuosa, utile e
importante, per egli e per la sua nazione, diventerebbe un accentramento nella nostra vita di
una coesione culturale.

Per le citazioni: Cap. VI° L’Intelligence tra cultura e studi, tra paradigmi e ricerca dal Volume “Glicerio
Taurisano, Intelligence e Sistema di Informazione nella Repubblica Italiana – storia, cultura, evoluzione e
paradigmi” - Aracne Editrice, Roma, 2015, pag.527.

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