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Effetti degli ormoni tiroidei

sull'attività cardiaca
Il cuore e la ghiandola tiroide sono strettamente legati da relazioni già documentate in epoca
precedente lo sviluppo della endocrinologia moderna. Nel 1786 Sir Caleb Parry fu il primo a
descrivere le caratteristiche cliniche di un paziente con tireotossicosi che presentava
palpitazioni, polso irregolare e dispnea. 49 anni più tardi, Graves fornì la descrizione del
gozzo tossico diffuso. Nel 1918 Zondek fu il primo a descrivere le caratteristiche di un cuore
mixedematoso. Successivamente è stato chiarito che la sintomatologia cardiocircolatoria
osservata in corso di ipertiroidismo e di ipotiroidismo è conseguente all'eccesso o al difetto di
ormoni tiroidei circolanti.
Un altro aspetto delle complesse interrelazioni tra cuore e tiroide è rappresentato dal fatto che
la concomitante presenza di tireopatie e cardiopatie può vicendevolmente influenzare le
rispettive manifestazioni cliniche e, fatto ancora più importante, complicarne l'approccio
terapeutico.
PREMESSE FISIOPATOLOGICHE
La sintesi della tiroxina e della triiodotironina avviene nella tiroide. La tiroxina è il principale
ormone prodotto dalla ghiandola, ma è relativamente inattivo (proormone). Per attivarsi deve
essere convertito a livello dei tessuti periferici in triiodotironina mediante l'enzima 5'-
monodesiodasi.
Il legame della T3 con il suo specifico recettore nucleare a livello dei miociti cardiaci
determina un aumento del RNA messaggero (mRNA) e di conseguenza della sintesi di
proteine. Ci sono 2 geni per il recettore della T3: α e β, con produzione di almeno 2 mRNA
per ogni gene: α1 e α2 e β1 e β2. Questi recettori nucleari appartengono alla famiglia di
supergeni c-erbA. I recettori α sono ubiquitari in tutti i tessuti, ma la T3 non si lega all'α2. Il
recettore β1 è apparentemente regolato da vari fattori, inclusi gli ormoni tiroidei, e sono
espressi nei tessuti responsivi all’azione degli ormoni tiroidei come ad esempio il fegato, i
reni, il cervello ed il cuore. Il recettore β2 è particolare perché è espresso solo nell’ipofisi e
nell’ipotalamo. Gli effetti della T3 sono molteplici e complessi, alcuni stimolanti ed altri
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inibitori e molte di queste azioni sono in sinergia con l’azione di altri ormoni. Le variazioni
della funzione cardiaca sono dovute alla regolazione di un gene specifico del cuore per la T3.
In particolare, la T3 è in grado di attivare la sintesi della miosina e specialmente del suo
isoenzima V1, che è dotato di maggiore attività ATPasica e svolge un ruolo essenziale nella
contrazione cardiaca. E'probabile che gli ormoni tiroidei stimolino anche la sintesi di altri
enzimi miocardici importanti per la modulazione delle proprietà contrattili ed
elettrofisiologiche del cuore. Tra questi vi sarebbe una ATPasi sarcoplasmatica (SR) che
regola il flusso degli ioni calcio (Ca++) tra il reticolo sarcoplasmatico ed il citoplasma della
fibrocellula cardiaca, una Na+/K+ ATPasi di membrana che regola il flusso transmembrana
i β-
del sodio e del potassio, l'enzima malico, il fattore natriuretico atriale e i recettor
adrenergici. I ventricoli cardiaci umani sono formati prevalentemente da miosina a catene
leggere β che non variano con la somministrazione di T3. L’aumento della contrattilità è
2+
dovuto prevalentemente ad un’aumentata espressione dell’SR Ca ATPasi.
La T3 ha anche alcune azioni extranucleari indipendenti dal legame con il recettore nucleare e
dall'aumento della sintesi proteica che consistono nella rapida stimolazione del trasporto di
aminoacidi, di zuccheri e di calcio.
Negli organismi complessi come i mammiferi, il sistema circolatorio provvede a mantenere
appropriato il bilancio dinamico tra attività metabolica cellulare e velocità delle entrate
(ossigeno, combustibili metabolici e componenti chimici) e delle uscite (lavoro specifico,
calore, C02, secrezioni ed escrezioni).
Tutti i componenti del sistema circolatorio, quali la pompa, il settore di resistenza, il settore
di ultrafiltrazione e quello di capacitanza (e cioè cuore, arterie, capillari e vene) sono
sottoposti a controllo nervoso tonico e riflesso, a controllo umorale sistematico e a controllo
chimico.
I meccanismi di controllo sono integrati: i comandi cioè si influenzano a vicenda, si
coordinano nel tempo e si sommano algebricamente. L'obiettivo è modulare la perfusione
cellulare aumentando o riducendo la velocità di scorrimento del flusso sanguigno, la sua
quantità, la pressione di ultrafiltrazione e la permeabilità capillare.
L'effetto finale della integrazione dei comandi car
diovascolari è che nelle condizioni più
diverse a riposo o durante esercizio fisico, nel sonno o durante stimoli emotivi, la dinamica
circolatoria è in grado di adattarsi ai diversi livelli di attività cellulare in tutti i distretti
(muscolare, miocardico, renale, cutaneo, etc.) in tempi rapidissimi (se necessario) o lenti;
questo processo determina la omeostasi metabolica, cioè l'equilibrato rapporto tra domanda e
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offerta.
EFFETTI CARDIOVASCOLARI DEGLI ORMONI TIROIDEI.
Nel 1982 Forfar e coll. hanno studiato gli effetti dell’esercizio e del blocco dei recettori β-
adrenergici sulla funzione del ventricolo di sinistra in pazienti ipotiroidei ed ipertiroidei. La
frazione di eiezione del ventricolo sinistro a riposo era ridotta nei pazienti ipoteiroidei ed
aumentava dopo terapia sostitutiva, mentre la frazione di eiezione del ventricolo sinistro a
riposo era aumentata nei pazienti ipertiroidei e diminuiva con il ripristino dell’eutiroidismo.
Nell’ipotiroidismo la frazione di eiezione del ventricolo sinistro sia dopo esercizio sia dopo
blocco dei β-recettori con propranololo era simile sia prima sia dopo la terapia sostitutiva con
ormone tiroideo. Inoltre il propranololo non alterava le variazioni indotte dall’esercizio sulla
frazione di eiezione del ventricolo sinistro nell’ipertiroidismo. Questi dati favoriscono il
concetto di un effetto diretto dell’ipertiroidismo e dell’ipotiroidismo sul cuore piuttosto che
un effetto mediato dal sistema simpatico. Nei pazienti ipertiroidei studiati prima e dopo il
trattamento è stata rilevata una stretta correlazione tra contrattilità del ventricolo sinistro e
livelli sierici degli ormoni tiroidei. Questo prova ulteriormente l’effetto inotropo degli ormoni
tiroidei.
Sebbene i precisi meccanismi attraverso i quali gli ormoni tiroidei modificano l'attività
cardiaca non siano ancora del tutto chiariti, l'orientamento attuale è che questa influenza si
eserciti attraverso due meccanismi fondamentali:
1) effetto diretto degli ormoni tiroidei sui tessuti cardiaci (già descritto nelle premesse
fisiopatologiche);
2) interazione degli ormoni tiroidei con il sistema adrenergico.
Oltre a questi meccanismi va anche ricordata l'attività calorigenica svolta dagli ormoni
tiroidei che, determinando un aumento della velocità di circolo ed una riduzione delle
resistenze periferiche (21), contribuisce indirettamente a modificare l'attività cardiaca.
GLI ORMONI TIROIDEI ED IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
Molte manifestazioni cliniche dell’ipertiroidismo, come i tremori, la tachicardia, la retrazione
della palpebra e l’ansia, mimano uno stato iperadrenergico ment re le manifestazioni cliniche
dell’ipotiroidismo, come ad esempio la bradicardia sono suggestive per una diminuzione del
tono simpatico. Tuttavia questi reperti clinici suggeriscono un alterato tono simpatico non
suffragato da un’alterazione delle catecola mine circolanti che possono essere normali o
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diminuite nell’ipertiroidismo ed aumentate nell’ipotiroidismo. Quest’ultimo reperto non è
correlato alla diminuita eliminazione della noradrenalina, ma piuttosto ad un aumentato
rilascio di noradrenalina nei nervi simpatici. Questa interpretazione è rinforzata
dall’osservazione che il TRH, che è elevato nell’ipotiroidismo primario, stimola direttamente
l’uscita delle sostanze simpaticomimetiche nel sistema nervoso centrale e può essere captato
dalle terminazioni nervose e da queste utilizzato come neurotrasmettitore. Questo apparente
paradosso di segni clinici evocati dalla diminuzione del tono simpatico in presenza di elevati
livelli di catecolamine rilasciate dalle terminazioni nervose è coerente con l’ipotesi d i una
desensibilizzazione agli effetti delle catecolamine nell’ipotiroidismo. D’altro canto, lo stato
iperadrenergico visualizzabile nell’ipertiroidismo suggerisce un’ipersensibilità alle
catecolamine. Il meccanismo con il quale gli ormoni tiroidei possono alterare la risposta alle
catecolamine è ancora sconosciuto. In alcuni studi, l’ipertiroidismo si è rilevato essere
associato con un aumento della densità dei recettori, mentre è vero il contrario per
l’ipotiroidismo. A questo riguardo, Ojamaa et al. ha r iportato che gli ormoni tiroidei possono
regolare la densità dei recettori β-adrenergici mediante una modulazione della quota di
formazione del recettore, della quota di degradazione, o entrambi. I dati riguardanti gli effetti
degli ormoni tiroidei sulla stimolazione dell’attività dell’adeniciclasi da parte
dell’isoproterenolo sono controversi. Nei pazienti ipotiroidei vi è l’evidenza di una
diminuzione della sensibilità degli α- e β-recettori adrenergici.
IPERTIROIDISMO
Una sintomatologia cardiaca si osserva comunemente nei pazienti ipertiroidei.
Nell'ipertiroideo giovane il cardiopalmo, la tachi
cardia e occasionalmente la dispnea da
sforzo sono di solito gli unici sintomi cardiaci. Incidentalmente, il rilievo di una tachicardia
notturna può essere di grande utilità per la diagnosi di ipertiroidismo; infatti, a differenza dei
soggetti eutiroidei, negli ipertiroidei si hanno solo modeste variazioni della frequenza
notturna.
Nei pazienti più anziani sono più frequenti lo scompenso congestizio, la comparsa di aritmie
prevalentemente sopraventricolari e l'angina pectoris, mentre le classiche manifestazioni
tireotossiche possono essere più sfumate (ipertiroidismo "apatico"). L'identificazione di
questa condizione è molto importante perché la terapia antianginosa, cardiocinetica ed
antiaritmica è poco efficace se non associata al trattamento dell'iperfunzione tiroidea. La più
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comune aritmia nell’ipertiroidismo è la fibrillazione atriale che può complicarsi con una
malattia tromboembolica e con insufficienza cardiaca congestizia. Un prolasso della valvola
mitrale può osservarsi nelle donne affette da morbo di Basedow.
Un problema dibattuto è se l'ipertiroidismo possa essere di per sé causa di cardiopatia.
L'esperienza clinica indica che l'ipertiroidismo si acco
mpagna ad ipertrofia cardiaca,
scompenso congestizio ed angina quando insorga in pazienti con una cardiopatia preesistente.
Deve tuttavia essere segnalato che in alcuni casi di ipertiroidismo neonatale è stata osservata
insufficienza cardiaca grave in assenza di cardiopatie primitive.
La frequenza cardiaca è costantemente elevata nei soggetti adulti ipertiroidei, con frequenza a
riposo superiore a 80 battiti/min.
Il quadro elettrocardiografico nell'ipertiroidismo, oltre alla tachicardia sinusale può
presentare:
1) Segni di ipertrofia ventricolare sinistra.
2) Onda P di alto voltaggio, variazioni del tratto P-R in generale nel senso dell'allungamento.
3) Fibrillazione atriale parossistica o cronica.
Il meccanismo responsabile della ipercinesi elettrica che genera nel cuore ipertiroideo
tachicardia sinusale e fibrillazione atriale sembra essere da un lato l'aumento della velocità di
depolarizzazione diastolica e la riduzione della durata del potenziale d'azione nelle cellule del
nodo seno-atriale e dall'alt
ro l'accorciamento del periodo re
frattario e la riduzione della soglia
elettrica nelle cellule atriali (la tachicardia di per se stessa può comunque essere in rapporto
allo stato ipercinetico da vasodilatazione periferica).
Tutti gli indici di contrattilità ventricolare sono aumentati in presenza di un eccesso di ormoni
tiroidei circolanti. L'aumento della contrattilità si manifesta sia nella fase di contrazione
isometrica (ridotto tempo di contrazione isometrica, aumentata velocità di incremento
pressorio), che durante la sistole isotonica (aumento della velocità di accorciamento delle
fibre cardiache). Questo determina un accorciamento del periodo di pre-eiezione sistolica
(PEP) e del tempo di eiezione ventricolare sinistro (LVET). I meccanismi responsabili
dell'azione inotropa positiva degli ormoni tiroidei sono legati agli effetti diretti ed indiretti
degli ormoni tiroidei sul cuore già discussi nelle premesse di fisiopatologia.
L'ipertiroidismo produce ipertrofia delle pareti ventricolari: lo spessore delle pareti del
ventricolo sinistro, compreso nei cuori normali tra 8 e 11 mm può aumentare del 20%-90% in
funzione della durata e della severità dello stato ipertiroideo.
L' ipertrofia ventricolare secondaria ad eccesso di ormoni tiroidei circolanti è ompletamente
c
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reversibile quando si riportino alla normalità le concentrazioni ormonali. In una prima fase
l'ipertrofia è di tipo concentrico (aumento dello spessore parietale non associato ad au
mento
dei diametri intracavitari) e si caratterizza dal punto di vista istologico per la sintesi di nuove
miofibrille che si addizionano in parallelo. Non rara la presenza di infiltrato di linfociti,
eosinofili e lipidi associata ad un aumento anche del numero dei fibroblasti. Successivamente
si sviluppa ipertrofia eccentrica con il progressivo aumento dei diametri intracavitari e con la
comparsa di segni di cardiomegalia. L'espansione del volume plasmatico che caratterizza lo
stato ipertiroideo e che comporta un sovraccarico di volume di riempimento cardiaco, a cui
concorre l'aumento del ritorno venoso implicito nello stato ipercinetico, viene consi
derata
uno dei meccanismi responsabili della evoluzione dilatativa.
Se è vero che nei soggetti ipertiroidei la frazione di eiezione (presa come indice di
"performance" del ventricolo sinistro) è costantemente elevata in condizioni di riposo, è
altrettanto vero che durante esercizio fisico non si osserva il fisiologico aumento della
contrattilità ventricolare. L'abolizione della risposta contrattile a stimoli che aumenti
no il
lavoro cardiaco indica che l'evoluzione naturale del cuore ipertiroideo è lo scompenso. Anche
in soggetti ipertiroidei molto giovani, in cui nessuna patologia cardiaca associata poteva
giustificare la comparsa di deficit di pompa, è stato osservata nel tempo la comparsa di segni
di insufficienza circolatoria. Nell'ipertiroidismo il meccanismo responsabile del deficit di
perfusione periferica è l'incapacità del cuore a mantenere l'apporto di sangue ossigenato
appropriato alla domanda periferica abnormemente aumentata.
Si tratta quindi di scompenso ad alta portata da esagerata domanda periferica e non da
primitiva riduzione dell'offerta di sangue ossigenato per un deficit della capacità di pompa del
cuore. In presenza di patologia cardiaca associata all'iper
tiroidismo la riserva funzionale
cardiaca è ulteriormente ridotta e più precoce può essere la comparsa dei segni emodinamici e
clinici dello scompenso. Anche la riserva coronarica viene ridotta dall'iper
tiroidismo e in
questo senso un eccesso di ormoni tiroidei circolanti aumenta il rischio di sviluppo di
cardiopatia ischemica. Il rischio diventa particolarmente consistente nei soggetti che hanno
una storia clinica di cardiopatia concomitante o preesistente alla patologia tiroidea.
Come è noto i meccanismi integrati (nervosi, umorali e chimici locali) che regolano il flusso
coronarico consentono di mantenere la perfusione del miocardio battito per battito
proporzionale alla domanda di ossigeno dei miociti. Quest'ultima dipende dalla frequenza
cardiaca, dalla tensione diastolica, dallo stress sistolico e dalla velocità di contrazione
(contrattilità) della parete ventricolare. Nell'ipertiroidismo tutte queste variabili aumenta
no ed
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inoltre la T3 aumenta in modo diretto il consumo d'ossigeno del tessutomiocardico.
La riserva coronarica viene pertanto "consumata", nel senso che il circolo coronarico in
condizioni di riposo è fortemente dilatato per aumentare il flusso miocardico e, in condizioni
di stress (per es. esercizio fisico) non è in grado di sostenere un ulteriore aumento di flusso
avendo già utilizzato la sua massima capacità di vasodilatazione.
In presenza di lesioni ostruttive coronariche o di anomalie strutturali (ipertrofia, vizi
valvolari) la comparsa di tireotossicosi può rendere insufficiente la riserva coronarica non
solo durante stress, ma anche in condizioni di riposo, anche se sono stati descritti casi di
angina instabile durante la tireotossicosi con coronarie integre (probabile cardiospasmo).
IPOTIROIDISMO
È importante notare che manifestazioni cardiovascolari clinicamente rilevanti si osservano
soltanto in presenza di grave insufficienza tiroidea (di lunga durata) con mixedema
conclamato. Il reperto obiettivo più importante è la bradicardia sinusale; dispnea da sforzo ed
altri sintomi riferibili a scompenso cardiaco congestizio sono rari e, quando presenti, sono in
genere espressione di concomitanti cardiopatie organiche. Il versamento pericardico è spesso
non diagnosticato e può accompagnarsi a versamento pleurico. Nell’ipotiroi dismo è presente
un’ipercolesterolemia e una ipertrigliceridemia che tendono a normalizzarsi con la terapia
sostitutiva.
La frequenza cardiaca è costantemente ridotta nei soggetti adulti che presentano ridotte
concentrazioni plasmatiche di ormoni tiroidei. La bradicardia sinusale viene considerata una
diretta conseguenza della mancanza di effetti degli ormoni tiroidei sulle proprietà
elettrofisiologiche delle cellule del nodo seno-atriale. La riduzione della velocità di
ripolarizzazione diastolica e l'al
lungamento della durata dei potenziali d'azione sono
responsabili non solo della bradicardia, ma anche della ridotta incidenza di aritmie nei
soggetti ipotiroidei. A questo si aggiunge una riduzione della stimolazione adrenergica
cardiaca. Oltre alla bradicardia sinusale il quadro elettrocardiografico nell'ipotiroidismo può
presentare appiattimento o inversione delle onde T e allungamento del QT in DI e DII e ridotti
voltaggi dell'onda P e del QRS. Meno frequentemente si può osservare blocco di branca
destro. La riduzione dei voltaggi viene generalmente considerata espressione del versamento
pericardico che in forma lieve si osserva quasi costantemente nei pazienti ipotiroidei, per
manifestarsi occasionalmente in forme conclamate, nonché dovuta anche all'imbibizione
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tessutale da deposito di mucopolisaccaridi.
Le alterazioni ECG dell'ipotiroidismo sono com
pletamente reversibili con l'appropriato
trattamento sostitutivo con ormoni tiroidei e spesso la normalizzazione elettrocardiografica
costituisce il primo segno dell'effetto terapeutico.
Tutti gli indici di contrattilità ventricolare sono depressi nei pazienti con ipotiroidismo, per il
venir meno degli effetti diretti ed indiretti degli ormoni tiroidei sul cuore.
La lentezza nella sequenza eccitazione-contrazione-rilasciamento diastolico dei miociti
nell'ipotiroidismo è la caratteristica peculiare del cuore mixedematoso, ed è un tipico esempio
di circolo ipodinamico.
Esiste una chiara evidenza sperimentale che l'ipoti
roidismo produce una serie di alterazioni
anatomopatologiche (rigonfiamento miofibrillare, degenerazione basofila, fibrosi intestiziale
ed edema parietale). Queste alterazioni strutturali della parete sono completamente reversibili
con trattamento tiroideo. Come già detto, nei pazienti con ipotiroidismo conclamato è costan-
temente presente un versamento pericardico con elevato contenuto proteico. Il versamento è
verosimilmente secondario ad alterazione della permeabilità capillare ed aumentata
trasudazione interstiziale. Il versamento pericardico si forma molto lentamente producendo
una distensione progressiva del sacco pericardico con un modesto aumento della pressione
intrapericardica. Raramente si osservano quindi polso paradosso e segni significativi di
tamponamento cardiaco.
In assenza di patologia cardiaca concomitante la storia naturale del cuore mixedematoso
raramente comporta l'evoluzione verso lo scompenso cardiaco. Pur essendo ridotti in
condizione di riposo, gli indici di funzione ventricolare nell'ipotiroideo aumentano dur
ante
stress (esercizio); questo fenomeno indica che la riserva funzionale cardiaca è conservata
maggiormente nell'ipo
- che nell'ipertiroidismo.
Il problema clinico che si pone più frequentemente è la diagnosi differenziale tra cuore
ipodinamico da carenza di ormoni tiroidei e cuore in scompenso congestizio. Gli elementi
che differenziano il circolo del soggetto mixedematoso da quello del soggetto in scompenso
congestizio sono: assenza di stasi polmonare, pressione venosa centrale e di riempimento
ventricolare sinistro normali, riduzione del volume plasmatico e nessuna risposta al
trattamento con digitale e diuretici.
I rapporti tra ipotiroidismo e funzione coronarica sono complessi: da un lato esistono molte
osservazioni che indicano 1'ipotiroidismo come condizione facilitante 1'aterogenesi
(ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia sono un riscontro costante nei soggetti ipotiroidei),
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dall'altro le manifesta
zioni cliniche di ischemia miocardica secondaria a patologia ostruttiva
coronarica non sono particolarmente frequenti nell'ipotiroidismo. Circa il 7% dei soggetti
mixedematosi presenta angina pectoris e l'infarto miocardico è una evenienza rara. Da
segnalare tuttavia che quando si manifesta, presenta un'incidenza particolarmente elevata di
complicazioni nella fase acuta.
La relativa rarità di cardiopatia ischemica nell'ipo
tiroidismo viene interpretata come legata
alla marcata riduzione della domanda di ossigeno del miocardio, espressione della ipocinesi
ventricolare. Il flusso coronarico è ridotto proporzionalmente alla riduzione del lavoro
meccanico del cuore e del suo stato contrattile indicando che i meccanismi di regolazione
delle resistenze coronariche non sono "disregolati" nell'ipotiroidismo al contra
rio di quanto
avviene nell'ipertiroidismo
.
EFFETTI DEGLI ORMONI TIROIDEI SUL CIRCOLO PERIFERICO
In aggiunta agli effetti diretti sul miocardio gli ormoni tiroidei possono influenzare la gittata
cardiaca alterando il precarico o il postcarico. Gli effetti della funzione tiroidea sulla
compliance venosa e sul volume sanguigno sono ancora poco chiari. Il volume sanguigno è
aumentato nell’ipertiroidismo e diminuito nell’ipotiroidismo. Non ci sono dati sulla
compliance venosa nell’essere umano. Nel ratto ipertiroideo la compliance venosa è
diminuita, mentre non varia nel ratto ipotiroideo. Molti studi invece si sono occupati degli
effetti degli ormoni tiroidei sulle resistenze periferiche. Nel paziente ipotiroideo sono
aumentate le resistenze periferiche con diminuzione della gittata cardiaca (probabilmente
dovuto all’effetto diretto della diminuzione del consumo di ossigeno in questi pazienti),
mentre, al contrario, nel paziente ipertiroideo è presente un aumento della gittata cardiaca con
vasodilatazione (probabilmente dovuta all’aumentata produzione di calore ed alla relativa
ipossia tessutale dovuta all’aumentato metabolismo tessutale).
Le alterazioni tiroidee possono influire sulla pressione sanguigna. L’ipertiroidismo ha
generalmente effetti minori sulla pressione arteriosa media poiché aumenta la pressione
sistolica (per aumento della gittata cardiaca), ma è compensata dalla diminuzione della
pressione diastolica dovuta alla vasodilatazione periferica. Nell’ipotiroidismo è spesso
presente un aumento della pressione diastolica (reversibile con il ripristino dell’eutiroidismo).
Nell’ipotiroidismo sono stati riportati bassi livelli di angiotensina, bassi livelli di attività della
renina e tutto ciò suggerisce che la renina, l’angiotensina e l’aldosterone giocano un ruolo
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secondario in questo tipo di ipertensione. L’attivazione del sistema simpatico frequentemente
riportato nel paziente ipotiroideo può sostenere l’aumento della pressione diastolica nonché
l'imbibizione della parete arteriolare. Il fattore natriuretico atriale è diminuito nei pazienti
ipotiroidei, mentre i pazienti ipertiroidei presentano un marcato aumento di questo peptide.
IMPLICAZIONI TERAPEUTICHE
Sindrome dell’eutiroideo malato (Euthyroid sick sindrome)
Le variazioni della funzionalità tiroidea che avvengono virtualmente in tutte le malattie e
dopo gli interventi chirurgici possono essere classificati sotto la dizione di sindrome
dell’eutiroideo malato. Questi pazienti presentano una FT 4 e una T4 normale o diminuita, una
FT3 e una T3 ridotta e, generalmente TSH normale. Quattro meccanismi sono stati proposti
per spiegare la patogenesi di questa sindrome. La prima è la riduzione della conversione
extratiroidea della T4 in T3 risultante, probabilmente, dalla ridotta attività dell’enzima
desiodasi. La seconda è una diminuzione della secrezione di TSH principalmente per
un’insufficiente secrezione tiroidea di T 4 e di T3. Il processo sarebbe potenziato da
un’insufficiente concentrazione di T 4 sierica con ridotta conversione in T3.
Terzo, la produzione di TBG, TBPA e albumina o la loro affinità per gli ormoni tiroidei può
essere ridotta e la riduzione della desiodazione dovuta al calo delle porzioni totali degli
ormoni tiroidei determina un aumentata produzione di rT3. Quarto, la captazione tissutale di
T4 e di T3 può essere diminuita così come l’azione del recettore nucleare per l’ormone
tiroideo. Si può pensare che la sindrome sia una risposta metabolica adattativa per conservare
energia durante la malattia.
Insufficienza cardiaca congestizia (ICC)
Il metabolismo degli ormoni tiroidei è frequentemente alterato nell’ICC. Alcuni pazienti con
ICC possono presentare una sindrome dell’eutiroideo malato. L’ipotiroxinemia è un fattore
predittivo di elevata mortalità nei pazienti in terapia intensiva. I pazienti con ICC presentano
una bassa gittata cardiaca ed elevate resistenze vascolari. La somministrazione di ormone
tiroideo in soggetti ipotiroidei inverte queste alterazioni. Pazienti con ipertiroidismo possono
sviluppare un’insufficienza cardiaca dovuta ad una dilatazione del ventricolo di s inistra per la
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prolungata tachicardia e per la elevata gittata cardica con progressivo declino dell’attività
cardiaca fino all’insufficienza. La riduzione dell’eccesso di ormoni tiroidei può invertire
questa tendenza.
Chirurgia cardiopolmonare
La somministrazione di una quota supplementare di ormone tiroideo è stata utilizzata per
migliorare l'emodinamica nel bypass cardiopomonare. I pazienti nel postoperatorio spesso
hanno una ridotta gittata cardiaca ed elevate resistenze vascolari sistemiche, simili a quelle
osservate nei pazienti ipotiroidei. In più, circa il 50-75% dei pazienti presenta una sindrome
dell’eutiroideo malato per un periodo variabile tra 1 e 4 giorni dopo l’intervento. Se il T 3 è un
potente vasodilatatore ed inotropo, questi pazienti potrebbero beneficiare del trattamento con
T3. Alcuni Autori pensano che il trattamento chirurgico associato all’ipotermia,
all’emodiluizione ed alla attivazione dei mediatori dell’infiammazione possa diminuire i
livelli di T3 e che un supplemento di ormone tiroideo migliori la prognosi. Altri Autori, pur
riconoscendo questi benefici effetti inotropi ed emodinamici dell’ormone tiroideo, non sono
concordi nella somministrazione di T3 nei pazienti con bypass cardiopolmonare.
Trapianto cardiaco
La somministrazione di T3 in pazienti con morte cerebrale (adatti alla donazione degli organi)
ha migliorato il mantenimento degli organi (una riduzione di FT3 e di T3 si verifica negli
animali da esperimento e negli esseri umani con morte cerebrale). E’ stata dimostrat a una
maggiore stabilità emodinamica, una diminuzione della richiesta di agenti inotropi e la
stabilizzazione dello sconvolgimento metabolico nei potenziali donatori di organi dopo
somministrazione di T3. La morte cerebrale causa la perdità della funzione dell’ipofisi
anteriore e posteriore, quindi con bassi livelli di cortisolo, di ADH e di TSH. Jeevanandam et
al. ha somministrato in 24 donatori 0.6 µg/Kg a 139.17±32 minuti prima dell’espianto. I
parametri emodinamici sono stati controllari 4 ore dopo il trapianto. L’infusione di T 3 ha
diminuito la pressione di riempimento, favorito la diuresi e diminuito il fabbisogno di
sostanze inotrope. Una settimana dopo il trapianto l’esame ecocardiografico di tutti i pazienti
ha dimostrato una frazione di eiezione > 50%. La somministrazione di T3 non è tuttavia
utilizzata come metodica standard nei trapianti poiché sono necessari ulteriori studi.
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Iperlipidemia
La tiroxina è stata usata come agente ipocolesterolemizzante nei pazienti eutiroidei
(soprattutto il suo stereoisomero D-tiroxina) poiché si diceva che aveva un effetto selettivo
maggiore sul metabolismo rispetto alla L-tiroxina. La D-tiroxina diminuisce del 10-20% i
valori di colesterolo-LDL, ma ha uno scarso effetto sui trigliceridi plasmatici e sulla
concentrazione di colesterolo-HDL. Inoltre, alle consuete dosi terapeutiche (4-6 mg/dl) la D-
tiroxina può causare aritmie cardiache ed effetti ipermetabolici in pazienti eutiroidei.
Arem e Patsch hanno valutato gli effetti della terapia sostitutiva con L-tiroxina sui lipidi,
sulle lipoproteine e sulle apolipoproteine in pazienti con ipotiroidismo subclinico. Essi hanno
concluso che la terapia sostitutiva con tiroxina può favorire la normalizzazione dei livelli di
lipidi e delle lipoproteine circolanti in pazienti ipotiroidei. Questa terapia non è comunque
consigliata nei soggetti eutiroidei per la sua potenziale tossicità cardiaca che annulla
praticamente i suoi effetti benefici.
Terapia dell'ipertiroidismo in pazienti cardiopatici
Il trattamento dell'ipertiroid
ismo in un paziente cardiopatico rappresenta spesso un difficile
problema clinico. L'approccio convenzionale alla terapia delle sin
dromi ipertiroidee include
l'uso di farmaci antitiroidei di sintesi (ATD) del gruppo delle tionamidi (metimazolo,
carbimazolo e propiltiouracile), la somministrazione di radioiodio (131I) e l'intervento
chirurgico (tiroidectomia subtotale).
È evidente che quest'ultima soluzione è spesso improponibile nella maggior parte dei pazienti
con importanti cardiopatie organiche. La necessità di risolvere rapidamente e definitivamente
l'ipertiroidismo fa spesso del radioiodio la soluzione terapeutica ottimale, anche se questo
approccio ha l'inconveniente di non determinare un rapido controllo dell'ipertiroidismo ed
anzi di causarne spesso una transitoria riesacerbazione. Molti dei sintomi cardiovascolari
della tireotossicosi risentono favorevolmente dell'uso dei farmaciβ-bloccanti che peraltro
non sono in grado di controllare completamente la sindrome ipermetabolica.
Da queste brevi premesse consegue che l'approccio terapeutico del paziente ipertiroideo
cardiopatico deve essere sempre estremamente individualizzato alla particolare situazione
clinica e deve tener ben presente, soppesandoli attentamente, tutti i vantaggi e gli svantaggi
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correlati a ogni singolo presidio terapeutico.
Come accennato in precedenza in molti casi il trattamento di scelta in questi pazienti è la
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somministrazione di I per la definitiva risoluzione dell'ipertiroidismo. È tuttavia
indispensabile eseguire un trattamento iniziale con ATD al fine di raggiungere rapidamente
(possibilmente entro 1-3 mesi) una condizione di eutiroidismo. In questa fase è spesso utile e
talora indispensabile associare trattamento con β-bloccanti al fine di ottenere un adeguato
controllo delle manifestazioni cardiovascolari. A questo scopo potranno essere anche
utilizzati tutti gli altri eventuali farmaci di comune impiego cardiologico richiesti dal
particolare tipo di cardiopatia. Raggiunta la condizione di eutiroidismo gli ATD vengono
sospesi per 5-7 giorni al fine di consentire la somministrazione terapeutica di radioiodio. Il
successivo comportamento terapeutico deve essere scelto tra due principali linee di condotta,
ciascuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi, che sono in larga misura complementari.
In presenza di una grave cardiopatia la possibilità di una temporanea riesacerbazione della
tireotossicosi dopo somministrazione di radioiodio rappresenta spesso un rischio troppo
elevato per il paziente. In questo caso è necessario eseguire una terapia di copertura con ATD
da iniziare non prima di 10-15 giorni dopo la somministrazione di radioiodio. Non è possibile
schematizzare la dose ed il tempo di somministrazione degli ATD in questa fase, che devono
essere individualizzati nel singolo caso. E importante però tener presente che tanto più
precoce e tanto più prolungato sarà il trattamento con ATD, tanto minore sarà l'efficacia della
terapia con radioiodio e pertanto tanto più elevata la probabilità di persistenza
dell'ipe
rtiroidismo. Se si sceglie l'alternativa di non somministrare ATD dopo il radioiodio,
aumenta il rischio di immediata riesacerbazione della tireotossicosi, ma contemporaneamente
aumentano anche le probabilità di ottenere il trattamento definitivo dell'ipe
rtiroidismo, che
rappresenta il principale obiettivo terapeutico in questi pazienti. Sia che si scelga di sommi-
nistrare ATD o che si opti per il solo radioiodio, in questa fase è quasi sempre necessario
eseguire una terapia di copertura con farmaci β-bloccanti ed intensificare il monitoraggio
cardiologico per apportare tutte le eventuali modifiche della terapia specifica per la
cardiopatia.
La quantità di radioiodio convenzionalmente impiegata per la terapia dell'ipertiroidismo è
compresa tra 120 e 200 µCi/grammo di tessuto tiroideo a seconda della causa di
ipertiroidismo. In linea generale, nel paziente cardiopatico è opportuno utilizzare dosaggi
lievemente superiori per ridurre al minimo le probabilità di una persistenza della
tireotossicosi. Questo determinerà una maggiore incidenza di ipotiroidismo iatrogeno che
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peraltro potrà essere facilmente controllato con dosi sostitutive di ormoni tiroidei.
Terapia soppressiva con L-tiroxina nel paziente cardiopatico
Gli ormoni tiroidei utilizzabili per la terapia soppressiva sono rappresentati dagli estratti
secchi di tiroide animale, e dagli ormoni tiroidei purificati triiodotironina (L-T3) e tiroxina
(L-T4). Al momento attuale il prodotto universalmente consigliato è la L-T4, a dosi
generalmente comprese tra 2,0 e 2,5/µg di peso corporeo.
In primo luogo dovrà essere presa in considerazione la natura della tireopatia, in quanto
l'indicazione alla terapia soppressiva con L
-tiroxina varia, ad esempio, tra il paziente con
carcinoma differenziato della tiroide trattato con tiroidectomia totale (dove l'indicazione può
considerarsi quasi assoluta) e il caso di un piccolo nodulo tiroideo clinicamente non sospetto
(dove il trattamento con L-tiroxina è certamente facoltativo). È ovvio che la natura e la
gravità della concomitante cardiopatia, così come l'età del paziente e la presenza di altri
fattori di rischio saranno altri importanti punti da prendere in considerazione.
Tra le cardiopatie, particolari problemi sono posti dalla cardiopatia ischemica, di cui si
parlerà in maggiore dettaglio discutendo i problemi connessi con la terapia sostitutiva con
ormoni tiroidei nell'ipotiroidismo, e le tachiaritmie. Un utile approccio sarà quello di iniziare
il trattamento con basse dosi di L-T4 ed aumentare progressivamente la posologia valutando
la tolleranza individuale: ciononostante in molti casi sarà opportuno soprassedere alla
completa soppressione del TSH, e nei pazienti sottoposti a tiroidectomia totale la
somministrazione di ormoni tiroidei dovrebbe seguire i criteri esposti per il trattamento
sostitutivo dell'ipotiroidismo discussi più avanti.
Terapia dell'ipotiroidismo in pazienti cardiopatici
Come per la terapia soppressiva, anche nell'ipoti
roidismo il farmaco di scelta è la L-tiroxina,
che di regola consente una valida sostituzione della funzione ghiandolare nell' adulto alla
dose di 1,8-2,2 µg/kg di peso corporeo. La differenza tra un effetto benefico ed un effetto
drammatico sulla situazione cardiovascolare del paziente è essenzialmente dipendente dalla
dose, ma soprattutto dalle modalità di somministrazione dell'ormone tiroideo. Non sarà mai
troppo sottolineata l'importanza di iniziare il trattamento con dosi di attacco estremamente
basse (ad esempio 25 µg/die o anche meno di L-T4) e successivamente incrementare la dose
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con estrema cautela (ad esempio 12,5 µg ogni 7-15 giorni).
In molti casi può essere necessario lasciare il paziente in una condizione di lieve
ipotiroidismo per evitare il riesacerbarsi di attacchi anginosi o di tachiaritmie.
Ipotiroidismo, aterosclerosi e cardiopatia coronarica
Nonostante un'ampia messe di studi, i rapporti tra ipotiroidismo e coronaropatie non sono
stati ancora sufficientemente chiariti. Il principale argomento a sostegno di un rapporto
causale tra mixedema e cardiopatia ischemica è rappresentato dalle tipiche anomalie del
metabolismo lipidico che si osservano nei pazienti ipotiroidei.
Indipendentemente dai supposti nessi patogenetici, il trattamento dell'ipotiroidismo in un
paziente coronaropatico rappresenta un difficile problema clinico.
Il concetto fondamentale è che il grado e l'entità della cardiopatia ischemica dovrebbero
essere ben inquadrati prima di iniziare il trattamento con ormone tiroideo. In presenza di
sospetta coronaropatia, dovrebbe in primo luogo essere valutato il grado di rischio
coronarico, in base a parametri clinici e funzionali non invasivi. In presenza di basso rischio
coronarico, può essere iniziata la terapia con dosi basse di L-T4 secondo lo schema descritto
precedentemente. In presenza di elevato rischio coronarico, il passo successivo è quello di
stabilire se è necessaria una coronarografia. In caso negativo, potrà essere iniziata una cauta
terapia sostitutiva con L-T4, così come in caso di mancata dimostrazione di una ostruzione
coronarica passibile di rivascolarizzazione. Se è invece indicato un intervento di
rivascolarizzazione (angioplastica o by-pass coronarico), vi è accordo pressoché unanime che
questo dovrebbe essere eseguito prima di intraprendere la terapia sostitutiva con ormone
tiroideo. L'ipotiroidismo non sembra infatti rappresentare un significativo fattore negativo per
l'intervento di rivascola
rizzazione, mentre eventuali effetti collaterali causati dalla
soinministrazione di ormone tiroideo, costituiscono una controindicazione assoluta.
Amiodarone e funzione tiroidea
L'amiodarone è un derivato benzofuranico conte
nente 37,2 mg di iodio per 100 mg di
sostanza attiva, largamente usato nel trattamento delle aritmie ipercinetiche. L'amiodarone
inibisce la conversione nei tessuti periferici della T4 in T3 e determina in tutti i pazienti
trattati un aumento delle concentrazioni sieriche della T4 e della triiodotironina inversa (rT3)
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con associata riduzione della T3 circolante. Questo quadro ormonale, osservato
prevalentemente nelle terapie di breve durata, non è espressione di alcuna patologia
funzionale tiroidea. La somministrazione di amiodarone può invece determinare in alcuni
pazienti sia iper- che ipotiroidismo. Il preciso meccanismo alla base di questo fenomeno,
sebbene non ancora completamente chiarito, è probabilmente legato al carico farmacologico
di iodio che si associa alla somministrazione del farmaco.
Ipertiroidismo indotto da amiodarone
La frequenza di ipertiroidismo iodio-indotto da amiodarone varia tra l'1ed il 20% dei pazienti
in trattamento cronico, probabilmente in rapporto al diverso apporto alimentare di iodio.
Infatti è stato osservato che questo quadro clinico è più frequente nei soggetti residenti in aree
iodocarenti rispetto a quelli residenti in aree con sufficiente apporto iodico, dove invece più
facilmente si osserva 1'ipotiroidismo.
A differenza di quanto si verifica nell'ipertiroidi
smo spontaneo, l'ipertiroidismo da
amiodarone è più frequente nel sesso maschile con un rapporto femmine/maschi di 1:1,34.
Nella maggioranza dei casi si manifesta durante trattamento, ma non è infrequente
l'insorgenza dopo sospensione del farmaco. Questo fatto è spiegato dalla lunga emivita
dell'amiodarone e dei suoi metaboliti, che si accumulano in alcuni tessutiquali il tessuto
muscolare e adiposo da dove vengono poi lentamente rilasciati. L'ipertiroidismo da
amiodarone può manifestarsi più spesso in soggetti con una preesistente tireopatia, ma non è
infrequente osservarlo anche in soggetti con tiroide apparentemente normale.
Il classico quadro clinico della tireotossicosi è spesso scarsamente evidente in questi pazienti.
Nella maggioranza dei casi il sintomo più frequente è rappresentato dall'aggravamento dei
disturbi cardiaci che avevano richiesto la somministrazione dell'amiodarone, mentre poco
evidenti sono i sintomi ed i segni più strettamente correlati all'ipertono simpatico che
accompagna l'ipertiroidismo.
Il trattamento dell'ipertiroidismo da amiodarone rappresenta un problema clinico
estremamente complesso. Come già discusso, la terapia dell'ipertiroidismo si avvale
classicamente di tre possibili strategie terapeutiche: il trattamento con radioiodio, la chirurgia,
l'uso di antitiroidei di sintesi. Nell'ipertiroidismo indotto da amio
darone l'uso delradioiodio
ed il ricorso alla tiroidectomia sono discutibili per diverse ragioni. In primo luogo, 1'iper
-
tiroidismo può andare incontro a remissione spontanea, percui può non essere necessario
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ricorrere ad un trattamento definitivo. In secondo luogo, poiché l'ipertiroidismo può
manifestarsi in soggetti con tiroide normale, il trattamento deve essere conservativo. Inoltre, a
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causa del carico di iodio, la captazione tiroidea del I è soppressa o comunque inferiore a
quella comunemente osservata nell'iperti
roidismo spontaneo; il trattamento con radioiodio è
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pertanto non praticabile se non ricorrendo a dosi particolarmente elevate di I. La
tiroidectomia presenta un rischio elevato trattandosi di pazienti cardiopatici con
ipertiroidismo non controllato. La somministrazione di antitiroidei di sintesi (metimazolo
carbimazolo e propiltiouracile) secondo gli schemi classici si è dimostrata scarsamente
efficace nel controllo dell'ipertiroidismo in
dotto da amiodarone.
La nozione che l'ipertiroidismo indotto daamiodarone è sostenuto dall'elevata quantità di
iodio contenuto nella tiroide, ha suggerito l'uso del perclorato di potassio in associazione al
metimazolo in modo da ottenere una rapida deplezione dello iodio intratiroideo, la cui organi-
ficazione è a sua volta impedita dal metimazolo. E' stato recentemente dimostrato che il
trattamento combinato con 40 mg di metimazolo ed 1 grammo di perclorato di potassio
determina il rapido controllo (entro 15-60 giorni) dell'ipertiroidismo in tutti i pazienti,
indipendentemente dalla presenza o assenza di tireopatie preesistenti. Dopo aver sospeso il
perclorato di potassio, il successivo comportamento terapeutico dipende dalla presenza o
assenza di una concomitante tireopatia. Nei pazienti con concomitanti tireopatie il
metimazolo deve essere continuato fino a normalizzazione della escrezione urinaria dello
iodio. Dopo 5-7 giorni dalla sospensione degli antiroidei è opportuno procedere al
trattamento definitivo dell'iperti
roidismo con radioiodio. Nei pazienti senza evidenza di
tireopatia si sospende il trattamento con metimazolo monitorando attentamente il
comportamento clinico ed umorale. In caso di recidiva si procede come nel caso di pazienti
con tireopatia concomitante.
Ipotiroidismo indotto da amiodarone
L'inc
idenza dell'ipotiroidismo indotto da amioda
rone è variabile nelle diverse casistiche
studiate, ed è più frequente nelle aree con sufficiente apporto iodico rispetto a quelle
caratterizzate da carenza iodica.
Analogamente a quanto detto per l'ipertiroidism
o indotto da amiodarone, anche
l'ipotiroidismo è più fre
quente nel sesso maschile ed interessa le età più avanzate. Il quadro
clinico è molto sfumato e spesso la diagnosi francamente difficile.
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L'ipotiroidismo indotto da amiodarone può manife
starsi sia in pazienti con preesistente
tireopatia, che in soggetti con tiroide apparentemente normale.
La precisa causa della insorgenza di ipotiroidismo nei soggetti con tiroide apparentemente
normale è ancora inspiegata. In condizioni normali la somministrazione di un carico iodico
determina una temporanea riduzione della sintesi ormonale tiroidea, fenomeno noto come
"effetto Wolff-Chaikoff". Perdurando l'esposizione allo iodio si ha un adattamento al
fenomeno di Wolff-Chaikoff e l'ormonosintesi tiroidea riprende. Èpossibile che i pazienti
con ipotiroidismo da amiodarone senza concomitante tireopatia abbiano un difetto minimo
della ormonogenesi tiroidea che si esprime come un'aumentata suscet
tibilità all'effetto
inibitorio dello iodio sulla sintesi ormonale e/o una incapacità ad adattarsi al fenomeno di
Wolff-Chaikoff.
Come l'ipertiroidismo, anche l'ipotiroidismo da amiodarone può andare incontro a remissione
spontanea, indipendentemente dalla presenza o assenza di una preesistente tireopatia;
l'ipotiroidismo pe
rsistente è invece quasi sempre associato alla presenza di una tireopatia di
base, quasi sempre rappresentata dalla tiroidite linfocitaria cronica di Hashimoto. Non è
chiaro perché la presenza di una tireopatia autoimmune favorisca la persistenza del-
l'ipo
tiroidismo dopo sospensione dell'amiodarone, anche se è possibile che l'amiodarone
possa accelerare la naturale evoluzione della malattia.
L' ipotiroidismo da amiodarone è di solito lieve e spesso limitato al rilievo umorale di una
insufficienza tiroidea non evidente clinicamente. Sono stati descritti tuttavia casi di grave
mixedema e almeno un caso di coma mixedematoso. La diagnosi di ipotiroidismo impone
generalmente la sospensione del trattamento con amiodarone. Quando questa non sia
possibile, è necessario iniziare una terapia sostitutiva con basse dosi di L-tiroxina, secondo i
criteri già esposti precedentemente.
Dopo sospensione del trattamento con amiodarone, in molti casi si osserva la remissione
spontanea dell'ipo
tiroidismo, in genere preceduta da un periodo variabile di ipotiroidismo
subclinico. L'opportunità di instaurare an
che in questi casi terapia con basse dosi di L-T4
dovrà essere individualizzata nei singoli casi.
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