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L’Educazione alla Pace oggi

Alcuni passi verso una maggiore chiarezza sul tema

ELISABETH DI LUCA
È dottoranda in Educazione e Psicologia all’Università degli Studi di Firenze e formatrice
dell’ONG “Un Ponte per...”.

UN PONTE PER...
È una ONG impegnata nella costruzione della pace al fianco delle società civili, anche attraverso un
programma di Educazione alla Pace rivolto a studenti, docenti e genitori delle scuole primarie e
secondarie.

Oggi parlare di Educazione alla Pace significa soprattutto parlare di educazione alla gestione del
conflitto, tema apparso nel dibattito pedagogico italiano, da un lato grazie al contributo di grandi
pensatori ed educatori, che durante il Novecento hanno mostrato il ruolo che l’educazione può avere
nella costruzione della pace, e dall’altro grazie all’interesse della psicologia dello sviluppo, la quale
a partire dagli anni Ottanta ha individuato la funzione socio-cognitiva del conflitto nel bambino 1.
Dalla formulazione di concetti come la nonviolenza di Aldo Capitini 2 o la maieutica reciproca di
Danilo Dolci3, nel corso del Novencento ha preso forma quell’insieme di teorie e pratiche che
rientrano nel concetto di Educazione alla Pace. Molte sono state le riflessioni, le intuizioni e le
esperienze originali sul tema, e non solo in Italia, eppure ancora non esiste una disciplina dai
contorni definiti: quando si parla di Educazione alla Pace, o la si riduce a qualche gioco cooperativo
finalizzato a rendere “buoni” i bambini, o al contrario la si ingigantisce, facendo rientrare in essa
qualsiasi contenuto, attività o strumento di educazione non formale.
Il presente lavoro tenta di fare ordine nel caos di teorie, prassi e opinioni sul tema, chiarendo alcuni
punti fondamentali.
Il primo passo verso una maggiore chiarezza è definire il modo di concepire l’educazione, comune a
tutte le esperienze che rientrano in tale area disciplinare: secondo tale visione l’educazione è uno
strumento per la costruzione di una pace “attiva”, intesa non come assenza di conflitto ma come
creazione di capacità di trasformarlo in modo nonviolento.
I passi successivi sono, da una parte separare i contenuti dell’Educazione alla Pace dalla
metodologia didattica utilizzata per trasferirli, e dall’altra offrire degli esempi di come essa viene
declinata concretamente.

I contenuti

Tutti i contenuti dell’Educazione alla Pace hanno una caratteristica fondamentale che li accomuna:
hanno lo scopo di rendere l’individuo capace di trasformare il conflitto in modo creativo. Dalla
prevenzione del bullismo alla salvaguardia dell’ambiente, dall’alfabetizzazione emozionale alla
cittadinanza attiva, tutti i contenuti di un laboratorio di Educazione alla Pace hanno come
denominatore comune l’approccio win/win4 nella gestione del conflitto. Gli argomenti possono
essere diversi ma trattati mettendo in luce la loro dimensione conflittuale, affrontata secondo uno

1
In Italia, tra i primi ad approfondire questo tema troviamo Felice Carugati dell'Università di Bologna e Clotilde
Pontecorvo dell'Università di Roma.
2
A. Capitini, In cammino per la pace, Torino, Einaudi, 1962.
3
A. Mangano, Danino Dolci educatore, S. Domenico di Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, 1992.
4
Per una trattazione dettagliata del tema si rimanda al testo M. Deutsch, P. T. Coleman, E. C. Marcus, The Handbook
of Conflict Resolution: Theory and Practice, New York, John Wiley & Sons, 2011.
stile conflittuale collaborativo, in cui viene data la massima importanza non solo al raggiungimento
dell’obiettivo ma anche alla relazione fra le parti in causa.
Secondo Kenneth Thomas e Ralph Kilmann, i creatori del Conflict Mode Instrument 5, gli stili
conflittuali sono cinque e possono essere rappresentati come punti su di un piano cartesiano in cui
all’asse delle ascisse corrisponde l’importanza della relazione (cooperazione) e a quello delle
ordinate l’importanza degli obiettivi da raggiungere (assertività). Lo stile collaborativo è quello che
dà la stessa importanza alla relazione e agli obiettivi personali, e per questo motivo si trova nel
quadrante in alto a destra del piano cartesiano. Gli altri stili sono: competitivo, compromissorio,
evasivo e accomodante6.

Figura 1

La metodologia

La scelta della metodologia didattica è fondamentale nel progettare un percorso di Educazione alla
Pace, e come afferma l’UNESCO:

Peace Education cannot successfully be taught using a didactic approach. It is designed as “what happens when?” as
the children are learning through exploratory methods. This requires quite intensive training for the teachers who are
implementing the programme. [...]Teachers must be given the opportunity to develop their own constructive and
positive attitudes as well as learning or enhancing the skills of an inter-active methodology. 7

La metodologia (inter-)attiva è utilizzata in molti contesti di educazione non formale e non solo nei
percorsi di Educazione alla Pace. Una definizione comune a tutte le realtà in cui viene impiegata
non è stata ancora formulata ma è possibile rintracciare degli elementi comuni, che ne stanno alla
base:
1. la fiducia nel discente e la sua centralità nel processo educativo:
l’educatore si confronta orizzontalmente con l’educando e ha fiducia nella sue potenzialità. La
logica “depositaria”8 dell’educazione viene così superata da quella “partecipativa-maieutica” in cui
5
Il Conflict Mode Instrument è uno strumento di valutazione sugli stili conflittuali. K.W. Thomas, R. H. Kilmann,
Thomas-Kilmann Conflict Mode Instrument, New York, XICOM, 1974.
6
Il grafico della figura 1 è tratto dalla versione italiana del Thomas-Kilmann Conflict Mode Instrument.
7
INEE, Inter-Agency Peace Education Programme. Overview of the Programme, Paris, UNESCO, 2005, p. 10.
8
“Gli studenti sono così trasformati «[…] in vasi, in ‘recipienti’ che l’educatore deve ‘riempire’. L’educatore sarà tanto
migliore quanto più sarà capace di ‘riempire’ i recipienti con i suoi ‘depositi’. Gli educandi saranno tanto migliori
quanto più si lasceranno docilmente ‘riempire’».”, P. Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano, 1971,
pag. 69 cit. in A. Valdambrini, L’educazione è un atto di amore. Paulo Freire e la maieutica, «Conflitti», n. 4 – 2008,
p. 29.
educatore ed educando imparano l’uno dall’altro, e “da questa interazione, non dalla somma dei
saperi, può nascere un processo dialogico capace di costruire nuova conoscenza”9;
2. il ruolo di facilitatore dell’educatore nei processi comunicativi e di apprendimento:
lo scopo dell’educatore non è quello di trasmettere saperi ma quello di facilitare il discente
nell’elaborazione delle sue conoscenze ed esperienze; egli rispetta i saperi e l’autonomia degli
educandi e facilita il dialogo attraverso una comunicazione ecologica e nonviolenta;
3. l’importanza della motivazione:
i contenuti provengono dall’esperienza di ciascuno e sono finalizzati al loro utilizzo nella vita
quotidiana, favorendo la motivazione interna – il desiderio di apprendere – invece di utilizzare le
pressioni esterne – voti, esami, ecc. – per motivare i discenti all’apprendimento;
4. la creatività e la libertà di sbagliare:
a differenza dell’educazione tradizionale, che pone l’accento sul risultato, una metodologia attiva da
maggiore risalto al processo, stimolando la creatività e rifiutando la prevedibilità di ciò che può
emergere dal discente, fuori dalla logica giudicante “giusto/sbagliato”; l’errore non è più un
inconveniente ma “una strategia alternativa, un percorso soggettivo che ciascun individuo crea in
funzione della sua intelligenza e delle sue capacità cognitive interne, delle sue predisposizioni –
anche emotive – con riferimento a un determinato risultato possibile”10;
5. la centralità della domanda:
la domanda “legittima”11, posta per sapere e non per controllare il sapere, è lo strumento
fondamentale della metodologia attiva; le domande “illegittime”, invece, sono quelle di cui già si
conosce la risposta e che sono formulate al solo scopo di dare un giudizio - positivo o negativo –
sull’apprendimento di un determinato contenuto educativo;
6. l’importanza del gruppo e di un clima cooperativo:
il gruppo non è solo un mezzo per apprendere ma è il contesto e lo scopo stesso dell’apprendimento,
permettendo al discente di mettere in pratica le competenze relazionali acquisite; un clima
cooperativo, inoltre migliora l’apprendimento e facilita la condivisione delle esperienze;
7. la capacità e la volontà dell’educatore di sperimentare:
la disponibilità dell’educatore a lavorare su se stesso è l’elemento senza il quale nessuna delle altre
condizioni potrebbe realizzarsi: se non ha sperimentato su di sé il potere maieutico e creativo della
metodologia attiva è difficile che creda nella sua efficacia e i discenti non tarderanno ad
accorgersene, finendo col considerare tutto il percorso come un artificio; ogni educatore, a seconda
della propria programmazione educativa e della propria resistenza al cambiamento, ha un proprio
percorso di crescita e un periodo di adattamento a questo tipo di esperienza.

Esempi concreti di Educazione alla Pace: i laboratori dell’MCE di Pisa e la Comunicazione


Nonviolenta

Gli interventi formativi nelle classi sono realizzati da associazioni o da educatori esterni alla scuola;
essi non sono sufficienti di per sé a provocare cambiamenti a lungo termine ma vanno intesi
piuttosto come stimoli per la classe e per i docenti. Un percorso di Educazione alla Pace funziona
solo se l’insegnante decide di essere formato, rendendo così continuativo e sostenibile il lavoro sul
tema svolto con gli studenti.
Sulla base di questa premessa, l’MCE di Pisa, in collaborazione con l’ONG “Un Ponte per...”, ha
attivato un percorso di formazione degli insegnanti sul tema dell’Educazione alla Pace.
I contenuti della formazione per i docenti sono gli stessi di un percorso progettato per gli studenti:
elementi di gestione creativa dei conflitti, alfabetizzazione emozionale, tecniche di ascolto attivo e

9
A. Panerai, L’importanza del metodo partecipativo-maieutico, pag. 77, in A. Panerai, M. Nicola, G. Vitaioli (a cura di),
Manuale di educazione alla pace. Principi, idee, strumenti, Parma, Edizioni Junior, 2012.
10
D. Novara, Sbagliare, scoprire, imitare, «Conflitti», n. 4 – 2009, p. 11.
11
D. Novara, L’ascolto si impara, Torino, EGA, 1997, p. 81.
strumenti di comunicazione. Anche la metodologia con cui vengono esposti è la stessa, ovvero
quella attiva.

Le differenze rispetto al lavoro con gli studenti sono sostanzialmente due:


1. la prima differenza riguarda le tecniche e gli strumenti che vengono utilizzati per presentare i contenuti: essi,
infatti, si distingueranno da quelle utilizzati con gli studenti perché adatti all’età e alle esigenze dei docenti,
così come avviene per qualsiasi altro intervento formativo modellato sui destinatari;
2. la seconda, invece, ha a che fare con il ruolo del docente: gli insegnanti non sono solo destinatari della
formazione ma saranno anche formatori a loro volta; di conseguenza, è indispensabile introdurre loro una sorta
di “meta-formazione”, ovvero una spiegazione della metodologia di cui avvalersi e della ratio che sta alla base
di ogni attività12.

Il percorso dell’MCE (partito a Dicembre 2016 e non ancora concluso) è stato strutturato in modo
da lavorare non solo sul “sapere” – l’insieme dei contenuti che verranno esposti in classe – ma
anche sul “saper fare”, ovvero la capacità di mettere in pratica il sapere già acquisito e soprattutto
sul “saper essere”, che riguarda gli atteggiamenti e la capacità di lavorare su se stessi. Il percorso
prevede l’utilizzo di alcuni strumenti che possono essere a loro volta riutilizzati dagli insegnanti, sia
in un laboratorio di Educazione alla Pace che durante le lezioni in classe. In questo modo i
partecipanti hanno la possibilità di sperimentarne l’efficacia prima di riproporli agli studenti. Alcuni
di questi strumenti sono utilizzati trasversalmente durante tutto il percorso, altri invece sono oggetto
di interi laboratori, come nel caso della Comunicazione Nonviolenta (CNV).
La CNV è una tecnica di comunicazione assertiva ed empatica, sviluppata da Marshall Rosenberg 13,
che consiste in quattro passaggi apparentemente facili:
1. osservare i fatti senza giudizi moralistici,
2. chiarire ed esprimere quali sono i sentimenti connessi ad essi,
3. riconoscere ed esprimere i nostri bisogni alla base dei sentimenti che proviamo e
4. fare richieste precise e concrete, allo scopo di soddisfare questi bisogni.
Il messaggio ottenuto seguendo questi quattro passaggi avrà più o meno questa forma:
“Quando (succede, vedo, ecc.)… io mi sento… perchè ho bisogno di … vorrei che tu…”.
Un’attività sulla CNV svolta con i partecipanti dell’MCE, è stata proprio quella di trasformare
secondo questo modello le tipiche frasi che dicono o che sentono ripetersi spesso durante un litigio.
Alcuni principi fondanti dell’approccio di Rosemberg sono essenziali per lo svolgimento di questo
esercizio:
1. separare l’osservazione dalla valutazione attraverso la distinzione tra il comportamento e la
persona (“hai avuto un comportamento violento” anziché “sei violento”), e la narrazione di
fatti precisi e contestualizzati temporalmente (“ieri non mi hai risposto” al posto di “non
rispondi mai”), evitando avverbi di tempo come mai o sempre;
2. esprimere ciò che si prova, invece che interpretare le azioni degli altri; spesso infatti,
utilizziamo il verbo sentire senza esprimere un sentimento reale ma piuttosto un’accusa
verso l’altro (“mi sento abbandonata” ovvero “tu mi hai abbandonato” anziché “mi sento
triste quando non sei con me”);
3. riconoscere quali sono i propri bisogni non soddisfatti, invece di sottolineare le mancanze
che vediamo negli altri (“ho bisogno che i miei figli smettano di essere pigri e mi aiutino
con le pulizie”), assumendo la piena responsabilità di ciò che sentiamo (“sono stanca perché
ho bisogno di una mano per le pulizie);
4. formulare delle richieste realistiche, concrete e in modo positivo (“vorrei che passassi una
sera a settimana con me” invece che “vorrei che non passassi tanto tempo a lavoro”),
facendo attenzione a non pretendere: esprimere una richiesta che non sia una pretesa

12
E. Di Luca, Il consiglio di cooperazione. Uno strumento per la gestione dei conflitti e delle relazioni in
classe: aspetti teorici ed esperienze formative, Tesi di laurea discussa alla Facoltà di Scienze per la Pace, Università
degli Studi di Pisa, A.A. 2014/2015.
13
M. Rosenberg (2003), Le parole sono finestre [oppure muri], Reggio Emilia, Esserci edizioni.
significa considerare con empatia i bisogni dell’altro, e quindi non farlo sentire in colpa o
giudicato nel caso in cui non soddisfi la nostra richiesta.
Non è mai facile seguire alla lettera questi suggerimenti, ci vuole molta pratica e per questo motivo
è stato consigliato ai partecipanti di provare a farlo ogni qualvolta sia possibile.
La CNV come tutti gli strumenti dell’Educazione alla Pace non serve solo in classe; una volta
appresa e interiorizzata può servire a migliorare la comunicazione in qualsiasi tipo di relazione ma
esige uno sforzo di apertura, implicando la condivisione dei propri sentimenti.

La sfida dell’Educazione alla Pace

Proprio come la CNV, quasi tutti gli strumenti dell’Educazione alla Pace richiedono la volontà di
condividere esperienze, emozioni e bisogni, pertanto i percorsi formativi che li impiegano
prevedono un alto grado di coinvolgimento emotivo da parte del partecipante: di conseguenza,
questo tipo di formazione ha più efficacia quando sono i docenti stessi a sceglierla, come nel caso
dei laboratori attivati dall’MCE.
Una scelta libera e condivisa riduce il rischio di assenteismo e rende più facile il processo di
interiorizzazione del cambiamento dello stile conflittuale ed educativo che questo tipo di
formazione richiede: effettivamente i problemi affrontati fino ad ora per l’attuazione del percorso
MCE sono stati solo di carattere organizzativo, per le difficoltà di conciliare le esigenze di tutti i
partecipanti.
Eppure, anche quando è il docente stesso a richiedere questo tipo di formazione, realizzarla in modo
veramente efficace non è semplice. Ci sono da considerare una serie di fattori che possono rendere
difficoltosi i processi di apprendimento della metodologia attiva; i più importanti sono la resistenza
interna al cambiamento – che non dipende dalla mancanza di apertura o volontà – e il contesto
sociale e culturale in cui si sta attuando il percorso. Un esempio delle difficoltà che possono essere
riscontrate nella progettazione e attuazione di percorsi di Educazione alla Pace, potrebbe essere il
caso dei progetti educativi di “Un Ponte per...” in Libano: nonostante la grande motivazione delle
insegnanti delle scuole con cui il team dell’organizzazione collabora, la progettazione sta
richiedendo molto più tempo rispetto a quella necessaria per i laboratori svolti in Italia: adeguare
tutti i contenuti alla storia e alla sensibilità delle maestre e degli alunni, così diversa rispetto a quella
da cui provengono i formatori, comporta la necessità di un lungo periodo di osservazione e la
costruzione lenta di relazioni con tutti gli attori coinvolti, prima di poter iniziare un percorso
formativo. Questa prima fase non garantisce da sola la buona riuscita dei laboratori, quindi sarà
necessario un monitoraggio in itinere per aggiustare il tiro ogni qualvolta emergeranno nuovi
imprevisti. Gli ostacoli potranno essere di varia natura (mancanza di fondi, diffidenza da parte dei
mariti delle insegnanti, ecc.) ma quelli che richiederanno uno sforzo maggiore da parte dei
beneficiari del progetto sono soprattutto quelli legati alla resistenza al cambiamento, innata in ogni
essere umano, ovvero la difficoltà di uscire dalla propria zona di confort e aprirsi al nuovo. Questa è
anche la maggiore sfida dell’Educazione alla Pace.

BIBLIOGRAFIA

Capitini A. (1962), In cammino per la pace, Torino, Einaudi.


Deutsch M., Coleman P. T., Marcus E. C. (2011), The Handbook of Conflict Resolution: Theory
and Practice, New York, John Wiley & Sons,
Di Luca E., Il consiglio di cooperazione. Uno strumento per la gestione dei conflitti e delle
relazioni in classe: aspetti teorici ed esperienze formative, Tesi di laurea discussa alla Facoltà di
Scienze per la Pace, Università degli Studi di Pisa, A.A. 2014/2015
INEE (2005), Inter-Agency Peace Education Programme. Overview of the Programme, Paris,
UNESCO.
Mangano A. (1992), Danino Dolci educatore, S. Domenico di Fiesole, Edizioni Cultura della Pace.
Novara D. (2009) Sbagliare, scoprire, imitare, «Conflitti», n. 4 – pp. 11-13
Novara D. (1997), L’ascolto si impara, Torino, EGA.
Panerai A., Nicola M., Vitaioli G. (a cura di) (2012), Manuale di educazione alla pace. Principi,
idee, strumenti, Parma, Edizioni Junior.
Rosenberg M. (2003), Le parole sono finestre [oppure muri], Reggio Emilia, Esserci edizioni.
Valdambrini A. (2008), L’educazione è un atto di amore. Paulo Freire e la maieutica, «Conflitti»,
n. 4 – pp. 27-31.
Thomas K.W. (1974), Kilmann R. H., Thomas-Kilmann Conflict Mode Instrument, New York,
XICOM.

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