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INTRODUZIONE: LA TEOLOGIA SACRAMENTARIA ORIENTALE

1. STRUTTURE SISTEMATICHE

Nel testo La vita in Cristo di Cabasilas, l’oggetto del discorso è l’esistere e l’operare del
Cristo in noi e la nostra partecipazione alla sua vita divina. Cabasilas sostiene che Cristo viene
nell’uomo e l’uomo passa nel Cristo solo attraverso i sacramenti. Essi sono i momenti dell’opera
salvifica che si compie nell’uomo. Quando agli uomini sarà dato di partecipare personalmente alla
forma del Cristo, di riconoscere in Lui la presenza misericordiosa di Dio e di sapere fissare lo
sguardo nello splendore della sua divinità, allora essi saranno salvati. Nel testo emergono le
strutture di sistematica sacramentaria e i temi di teologia sacramentaria.
Nel disegno della storia della salvezza sono presenti il primo Adamo, cioè Cristo e il
secondo Adamo. Quest’ultimo corrompendo la sua natura perde il principio divino, cade nel
peccato e per soddisfare la sua fame ricerca altri peccati arrivando così alla morte. Il primo Adamo
con la sua incarnazione, morte in croce e risurrezione ristabilisce il progetto iniziale di Dio. L’opera
del primo Adamo, restaura la natura umana nella sua forma definitiva rimettendo in moto l’uomo
che ha come meta la cristificazione, rivela la bellezza e l’amore di Dio e rapisce gli uomini dal
regno della morte.
Questa prospettiva teologica, formulata dallo stesso Cabasilas, presenta però delle
questioni: come può questa forma definitiva comunicarsi e passare agli uomini? Come possono essi
riconoscere nel volto di Cristo sofferente il mistero di Dio? Come potranno la polvere e la cenere
dei sepolcri contemplare la gloria di Dio?
Nella Vita in Cristo la risposta è unica: “il Salvatore ha fatto anche questo con i doni, cioè i
misteri che ha elargito”. Sono i sacramenti che conformano al Cristo e ci configurano a sua
immagine, restaurando così in noi la somiglianza con Dio; è l’esperienza dell’essere trasfigurati,
sono essi che ci donano la facoltà di vedere in Cristo l’uomo-Dio; sono essi che fin da ora ci
infondono la facoltà di vedere e contemplare Cristo nella gloria svelata del Regno.

2. TEMI DI TEOLOGIA SACRAMENTARIA ORIENTALE

Nozione: - I sacramenti sono il tramite perchè l’opera di Cristo venga partecipata; ci rendono
partecipi di un’alleanza unilaterale la cui opera è sempre di Dio.
- Sono finestre per le quali “entra il sole di giustizia”. Sono segni che hanno bisogno di
una sensibilità. (le icone per esempio sono finestre che ci permettono di guardare dentro
la divinità).
- Sono imperfetti e provvisori rispetto all’adempimento escatologico.
Azione: - Operano l’assimilazione progressiva (perchè c’è un dinamismo) dell’essere umano a
quello di Cristo (Cristificazione).
- diffondono il raggio del Cristo sole
- imprimono la grazia che è una chiamata continua da parte di Cristo
Dinamismo: - hanno la loro perfezione nell’Eucarestia e rivivono in virtù di essa: ci cibiamo del
corpo sacramentale per diventare corpo escatologico. I sacramenti trovano
nell’Eucarestia il centro: dalla sua celebrazione scaturisce tutto il dinamismo
- rendono l’uomo capace di compiere l’opera della propria natura
- guidano l’uomo sulla stessa strada che Cristo ha tracciato
Fine - Realizzare in noi ciò per cui Dio ci ha creati: la divinizzazione realizzata e anticipata
dai sacramenti.
- Preparano alla vita vera
- Ci rendono partecipi della realtà di Cristo
Soggetto - E’ sempre Dio. Solo Cristo inizia ai misteri e ne custodisce il dono. I sacramenti non
devono fare riferimento ad azioni specifiche di Cristo: ma è la partecipazione al Cristo.
La Chiesa sacramento di Cristo media per raggiungere tutti gli uomini.

3. PLANIMETRIA SACRAMENTALE (2° SCHEMA PARADIGMA)

I sacramenti possono essere distinti in:


1. sacramenti nel tempo: il loro scopo è la guarigione del corpo (unzione dei malati), la
liberazione dell'anima (esorcismi), la conversione dello spirito (la confessione, che in oriente,
costituisce la forma sacramentale della penitenza, la quale non si esaurisce con la confessione).
2. Sacramenti per il tempo sono il sacerdozio che ha come scopo la paternità sovrannaturale, e la
consacrazione monastica: la fecondità per il regno dei cieli. C’è anche il matrimonio che ha
come scopo la paternità naturale. A tal proposito bisogna ricordare che in oriente il matrimonio
è contrapposto al monachesimo, e non al sacerdozio come in occidente.
3. Sacramenti per l'eternità: il battesimo, che comporta la nascita dall'alto e la crismazione con
l'unzione dello spirito
4. Sacramenti di eternità: l'eucaristia.
5. LA VITA IN CRISTO COME ERMENEUTICA DEI SACRAMENTI (1° SCHEMA PARADIGMA)

Cristo vuole, per amore:


- essere accanto all’uomo e restargli accanto (come colui che diviene nutrimento).
- fissare la sua dimora
- nutrire l’uomo, e al tempo stesso essere nutrimento

Questa è la dinamica dei sacramenti: Cristo non soltanto ci nutre, ma diviene egli stesso
nutrimento.
Allora che cosa è il sacramento? è il luogo in cui Cristo ci nutre di se stesso per restare
nutrimento accanto a noi.

I sacramenti sono:
- finestre, attraverso le quali entra la Luce, il Sole (motivo per il quale in Oriente il digiuno
eucaristico non può essere sospeso per nessun motivo, perché non è possibile che coesistano
nella stessa persona 2 cibi, il cibo delle tuniche di pelle e quelle del cristiano). Ma sono anche
finestre attraverso le quali entra la morte, intesa come peccato che è in me e che ora si
manifesta, in attesa che la grazia di Dio possa portare a morte ciò che è esistenza segnata dal
peccato.
- mezzi, per diventare dei;
- vie, attraverso le quali Cristo ci raggiunge;
- porte, attraverso le quali avviene la cristificazione: attraverso le porte dal basso, quelle che
vengono infrante negli inferi, cioè quella della giustificazione, Cristo irrompe nella nostra vita;
attraverso quelle dell’alto, nel cielo, l’uomo giunge alla meta del processo di cristificazione.
Il sacramento del battesimo, ci dà l’essere, ed è irrepetibile.
Il sacramento della crismazione, ci dà il divenire, ed è irrepetibile.
Il sacramento della Eucaristia, ci dà il nutrimento e proprio per questo è reiterabile.

Cabasilas, distingue i sacramenti di iniziazione che innescano la crescita e sono: il battesimo che
è la nascita e dona l’essere; la crismazione che è in noi principio di energia e di movimento e porta
a perfezione l’essere già nato infondendogli appunto l’energia conveniente a tale vita; l’eucaristia
che è nutrimento che sostiene e custodisce la vita. I primi due sacramenti sono irripetibili.
Cabasilas Poi distingue i sacramenti istituiti che consolidano la Chiesa e sono: il matrimonio e
l’ordinazione; infine distingue i sacramenti terapeutici che guariscono l’uomo e sono: la
penitenza che agisce sullo spirito, l’ultima unzione che agisce sul corpo e i sacramentali che
agiscono sulla psiche.

FONDAMENTI DOGMATICI

Numero settenario:
- Concilio di Lione II, professione di fede di Michele il Paleologo (1274): “La Chiesa crede che i
sacramenti sono sette: battesimo, confermazione, penitenza, eucaristia, ordine, matrimonio,
estrema unzione.
- Concilio di Firenze, bolla Exultate Deo di Eugenio IV (1439): “Sette sono i sacramenti della nuova
legge, differenti da quelli dell’antica legge che non producevano grazia. I nostri, invece,
contengono la grazia e la danno a chi li riceve degnamente. I primi cinque ordinati alla perfezione
individuale di ciascuno, gli ultimi due (ordine e matrimonio) al governo e alla moltiplicazione della
Chiesa. Tre elementi nei sacramenti: materia, forma, persona del ministro. Se manca uno di questi
elementi, non sussiste sacramento. Tre sacramenti imprimono indelebilmente nell’anima il
carattere (segno spirituale), non si ripetono più: battesimo, cresima, ordine. Gli altri possono
essere reiterati.”.
- Concilio di Trento, Decreto “Ad consummationem”, 1547: attraverso i sacramenti la giustizia ha
inizio e viene aumentata e recuperata. CANONI: i sacramenti istituiti da Cristo sono sette,
differiscono da quelli della legge antica, non sono uguali fra loro, sono necessari alla salvezza,
ottengono la grazia della giustificazione, contengono la grazia, la distribuiscono ex opere operato.

TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA

 Lossky: la vita sacramentale è una lotta incessante per l’acquisizione della grazia. Nella chiesa,
mediante i sacramenti, la nostra natura entra in unione con la natura divina nell’ipostasi del
Figlio. Occorre però una conformazione della dell’interiorità della persona a Cristo. Quindi, la
nostra natura riceve nella Chiesa tutte le condizioni oggettive di questa unione; le condizioni
soggettive dipendono da noi.
 Matsoukas: i sacramenti sono espressioni del rapporto fra creato e increato, non sono cose
astratte o magiche ma manifestazioni concrete fondate sull’unità tra cose sensibili e spirituali.
La tradizione ortodossa considera i sacramenti come funzioni o manifestazioni organiche del
corpo nel suo insieme. Non ci sono sacramenti inferiori e superiori. Si distinguono secondo la
loro efficacia liturgica.
 Meyendorff: Il regno di Dio è già accessibile nel corpo di Cristo e quindi nei misteri, o
sacramenti, che sono aspetti di un unico Mistero. La teologia bizantina non si è mai legata ad un
numero fisso di sacramenti e ignora la distinzione fra sacramenti e sacramentali.
 Yannaras: Lo Spirito Santo realizza l’innesto del corruttibile nel tronco dell’incorruttibile. Il
Battesimo “rigenera” l’esistenza inserendo in una comunione d’amore con la Trinità; la Cresima
ci dona il sigillo dell’adozione personale attraverso la presenza personale dello Spirito in noi.
Insieme all’Eucaristia, questi sacramenti realizzano eternamente la Pentecoste. I sacramenti
sono sette possibilità concrete di inserzione della nostra vita organica nella vita del corpo
ecclesiale.
MISTAGOGIA

PARADIGMA: non ha un suo posto ben preciso, la si trova presente in tutti i sacramenti, attiene
alla nozione stessa di sacramenti, intesi come finestre attraverso cui entra il sole ma anche la morte,
mezzi per la nostra deificazione, vie del Signore, porte aperte dall’alto e dal basso, in quest’ultimo
caso servono alla nostra giustificazione.
PUNTI NON RITORNO DELLA TEO OCCID:
Il termine mistagogia è il frutto dell’incontro tra la parola greca Misterion e il verbo conduco ago.
Dal punto di vista evolutivo, inizialmente con mistagogia si indica la celebrazione dei sacramenti;
poi cessa di designare la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, per cominciare a
designare la catechesi sui medesimi. La motivazione è dovuta al fatto che la catechesi rende
esplicita e più consapevole l’esperienza sacramentale fatta, cosicché essa diventa un tutt’uno con la
celebrazione dei sacramenti dei quali diviene come il prolungamento. L’iniziazione accompagnava
il neofita fino alla Veglia Pasquale. In essa c’è il battesimo, la confermazione e l’Eucaristia
celebrate insieme. Dopo il battesimo, nella settimana pasquale, ha luogo la catechesi mistagogica
fatta dal vescovo, che spiega ai neofiti i misteri celebrati, e alla luce di essi la vita cristiana.
Per questo stretto legame con il rito dell’iniziazione cristiana, il termine mistagogia conviene anche
alla catechesi sui sacramenti. Oggi il termine mistagogia designa la catechesi sui sacramenti con un
particolare riferimento all’ambito dell‘iniziazione cristiana, e alla profondità spirituale della
spiegazione dei riti liturgici.
La mistagogia non può essere considerata soltanto come appartenente all’area della catechesi o
della teologia spirituale, ma va considerata come teologia vera e propria: una teologia liturgica. La
mistagogia — come tale — è un fatto teologico, o meglio: è un modo di far teologia. La mistagogia,
pur restando se stessa è capace di una elaborazione teologica vera e propria. La mistagogia non è
tanto una forma di catechesi o di teologia spirituale; è una maniera di fare teologia nel senso vero e
proprio del termine. Quindi, dobbiamo parlare di teologia mistagogica.
E. Mazza in “Mistagogia” riconosce nella storia tre accezioni fondamentali di “mistagogia”:
crisostomiana, cirilliana, dioniginiana. Crisostomo la userà per indicare non la catechesi dei
sacramenti, ma i sacramenti stessi in quanto celebrati. Cirillo indica la catechesi sulla celebrazione
dei sacramenti vissuti dai neofiti qualche giorno prima durante l’ iniziazione cristiana. L’accezione
di Dionigi, divenuta tradizionale nell’ Ortodossia, sviluppa la teologia dei sacramenti e dei riti con il
metodo rigorosamente teologico, pur senza separarla dall’ esperienza e dal frutto spirituale. Nel suo
sviluppo la mistagogia è stata una teologia della liturgia capace di garantire l’ unicità e l’
irripetibilità dell’ evento salvifico avvenuto nella storia e allo stesso tempo la mistagogia è capace
di garantire il realismo sacramentale che viene esteso a ciascuno dei riti che compongono le
celebrazioni liturgiche. Nel metodo mistagogico la Scrittura gioca un ruolo determinante, cosicché
non c’è alcun dato teologico che non sia biblico. La mistagogiga non è altro che un metodo molto
sofisticato per fare la teologia dei riti liturgici e della loro sacramentalità. Con la mistagogia si
trasmette ai fedeli la teologia dei sacramenti, si mostra, con le figure bibliche, come la salvezza
venga partecipata nella celebrazione liturgica; scopo della mistagogia è dunque far conoscere e
vivere la celebrazione liturgica come partecipazione, comunione e similitudine della salvezza
avvenuta una sola volta nella storia. D’ aiuto per comprendere, quindi, cosa sia una mistagogia
possiamo prendere in esame le omelie mistagogiche di S. Ambrogio: l’ omelia mistagogica immette
i partecipanti tanto nella comprensione e partecipazione dell’ evento passato, narrato dalle Scritture,
quanto nella comprensione e poi partecipazione della salvezza qui e ora, cosicché i due momenti
sono un unico atto di salvezza.
FONDAMENTI DOGMATICI: Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Orientale lumen,
parla dell’esperienza liturgica come di Cristo Signore che illumina il cammino e che svela la
trasparenza del cosmo e della scrittura. La liturgia è il cielo sulla terra, è ciò che dà compiutezza e
destinazione agli avvenimenti del passato che solo in Cristo trovano significato. Il verbo che ha
assunto la carne permea la materia di una potenza di salvezza, che si manifesta pienamente nei
sacramenti. In questo la liturgia orientale presenta una grande capacità di coinvolgere la persona
nella sua totalità, nei sentimenti, nei profumi, nei colori, nei suoni, nelle forme del tempio. In questo
senso, la preghiera della chiesa diviene partecipazione alla liturgia celeste ed anticipo della
beatitudine finale. È nella liturgia che le cose svelano la propria natura di dono di Dio creatore
all’umanità, basti pensare a Genesi quando Dio nel creare esprime il suo consenso: ed era cosa
buona…molto buona. Per questo l’atto liturgico non rifiuta la materia e valorizza il corpo umano in
cammino verso la trasfigurazione; è rigettato ogni dualismo e cercato ogni autentico rapporto con se
stesso e con il cosmo. La liturgia mostra all’uomo la via verso l’equilibrio, portandolo al rispetto
della potenzialità eucaristica del mondo creato, assunto nell’eucarestia del Signore.
L’EREDITÀ PATRISTICA: Nella mistagogia ci sono due elementi che indirizzano verso una
concezione misterica della liturgia:
a) si fa uso del vocabolario misterico;
b) è presente la disciplina dell’arcano.
Dopo gli studi di Odo Casel sulla dottrina dei misteri, è divenuto assiomatico che la concezione
misterica della liturgia è il modo migliore per comprendere il culto cristiano.
La mistagogia non è altro che un metodo per interpretare la liturgia dell’iniziazione
cristiana, in modo che i vari riti stiano in rapporto con gli eventi di salvezza descritti dalla Scrittura.
Per fare questo i Padri si servono di un metodo collaudato: la tipologia biblica, che era il modo
ordinario di leggere la Scrittura.
Questo rapporto viene ottenuto con una duplice operazione:
a) descrivere e interpretare i riti:
b) descrivere e interpretare la Scrittura.
La mistagogia, dunque, non è altro che la tipologia biblica applicata alla liturgia; da qui si è formata
la teologia patristica dei sacramenti. La patristica, dunque, ha una concezione tipologica della
liturgia.
La tipologia fa largo uso dell’allegoresi, ma il risultato che i Padri vogliono ottenere non è né
allegorico né simbolico, bensì ontologico. Il rapporto tra i riti e gli eventi di salvezza, ottenuto con
la tipologia, è un rapporto reale; la celebrazione liturgica è salvifica perché è reale il rapporto che
essa ha con gli eventi di salvezza.
L’applicazione di questo metodo (della tipologia) alla Scrittura si chiama esegesi spirituale;
applicato alla liturgia si chiama la mistagogia. L’interpretazione è molto dinamica e consiste nel
tenere i due Testamenti sempre in rapporto tra loro, come in una sorta di continua sovrapposizione:
è in questo rapporto che sta l’intelligenza del mistero. Gli esegeti antichi, anche se talvolta si
mostrano riservati quanto all’uso di allegoria e derivati, non distinguono fra allegoria e tipologia e
considerano quella spirituale un tipo di interpretazione allegorica». Noi, invece, distinguiamo
accuratamente l’allegoria dalla tipologia.
La distinzione può essere enunciata con Melitone di Sardi quando, ponendo il principio teoretico
del rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, distingue tra la corrispondenza di testi, che avviene a
livello di significato, e la corrispondenza di eventi che avviene a livello di realtà storico-salvifiche:
«Ciò che viene detto, è parabola, ciò che avviene, è prefigurazione. L’allegoria riguarda il
significato di un testo, mentre la tipologia riguarda la realizzazione di un evento di salvezza.
Massimo il Confessore ricorre spesso ad un simbolismo binario:
a) Tra la santa Chiesa, e il mondo in quanto entrambi composti di realtà visibile e invisibile: Il
tempio è la figura, è l’immagine dell’universo intero, composto di esseri visibili e invisibili, in
quanto esso presenta la medesima unità e diversità di questo. Esso è una sola dimora, ma è
contraddistinto da diversità nel modo in cui è configurata per la sua particolare destinazione;
effettivamente esso è diviso nello spazio riservato ai soli preti e liturghi, che chiamiamo
santuario, e nello spazio accessibile a tutto il popolo che denominiamo navata. D’altra parte la
chiesa è essenzialmente una poiché essa non è divisa nelle sue 2 parti a causa della differenza
che le separa tra di loro. Allo stesso modo l’intero universo creato da Dio è diviso in un mondo
intelligibile, riempito da essenze intellegibili e incorporali, ed in un mondo sensibile e corporale
che si compone magnificamente in numerose specie e nature. Tale universo è significato come
un’altra chiesa non fatta da mani d’uomo; questa chiesa ha come santuario il mondo superiore
che appartiene alle potenze dell’alto ed ha per navata il mondo del basso, che è dato dagli esseri
sensibili.
b) Tra chiesa e mondo sensibile: Per massimo il confessore sensibile non vuol dire soltanto
materiale, ma materiale e spirituale insieme. La santa Chiesa di Dio è il simbolo per se stessa
del solo mondo sensibile, come quella che comprende il cielo, divino sacrario, e la terra,
ornamento aggiunto del tempio. Allo stesso modo è una chiesa anche il mondo, che ha il cielo,
simile al sacrario, e l'ornamento della terra, simile al tempio.
c) Tra chiesa ed uomo e tra chiesa ed anima: L’uomo come microcosmo, e la chiesa come
macrocosmo si richiamano reciprocamente. La santa chiesa di Dio è un uomo. Essa ha per
anima il santuario, per intelletto l’altare divino, e per corpo la navata, ad immagine e
somiglianza dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Attraverso la navata, come
attraverso il corpo, essa propone la saggezza morale; attraverso il santuario, come attraverso
un’anima, essa spiega spiritualmente la contemplazione naturale, e attraverso il divino altare,
come attraverso l’intelletto, rivela la teologia mistica. (ogni parte del corpo diventa figura della
Chiesa; e ogni parte della chiesa svela il senso del corpo: la zona della morale, dell’intelligenza,
della contemplazione mistica).
L’EREDITÀ BIZANTINA: Cabasilas in “ commento della divina liturgia” afferma che nella
celebrazione dei santi misteri l’ atto essenziale è la trasformazione degli elementi nel corpo e nel
sangue divini; il significato è la santificazione dei fedeli, i quali, attraverso tali misteri, ricevono la
remissione dei loro peccati, l’eredità dei cieli e tutto ciò che questo comporta. Per preparare quest’
atto e contribuire alla realizzazione del suo significato vi sono preghiere, salmodie e letture della
Sacra Scrittura. Dio ci dona gratuitamente tutte le cose sante e nondimeno Egli esige che
diventiamo atti a riceverle e a custodirle, perché solo così possiamo partecipare alla santificazione
da Lui voluta. Allo stesso modo Egli ci ammette al battesimo e all’ unzione della confermazione, e
ci riceve al divino banchetto, facendoci accostare alla “ sacra tavola”. Per ottenere l’ effetto dei
divini misteri vi si accostano persone ben disposte e debitamente preparate; è necessario che tale
preparazione si trovi nell’ ordinamento stesso del rito sacro.. la santificazione può avvenire in due
modi: 1) nell’ aiuto che preghiere, salmodie e letture ci offrono; 2) nel fatto che queste formule e in
questi riti noi vediamo rappresentato Cristo, le opere che ha compiuto e le sofferenze che ha patito
per noi. I riti che precedono l’ atto del sacrificio ricordano: la promessa del Padre, la parola stessa
del Salvatore, la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, e la conversione delle nazioni. L’ intera
mistagogia è come un’ unica rappresentazione di un medesimo “corpo” che è l’ opera del Salvatore;
la mistagogia mette sotto i nostri occhi le diverse membra di questo corpo dall’ inizio alla fine
secondo il oro ordine e la loro armonia. Le divine scritture contengono parole ispirate e inni a Dio,
esortano alla virtù e santificano coloro che le leggono o le cantano e servono a significare la venuta
di Cristo e la sua opera. Anche i gesti liturgici pur essendo compiuti per una necessità immediata,
simboleggiano l’ opera di Cristo, le sue azioni e le sue sofferenze. Divine scritture e riti, dunque,
rappresentano l’ apparizione e la manifestazione del Signore: la prima è più oscura e imperfetta, la
seconda più perfetta e suprema. Vi sono poi dei riti con nessuna utilità pratica, non hanno altro
scopo se non quello di insegnarci a non aver rapporti con il demonio, da veri cristiani. Per ciò che
riguarda le cerimonie compiute nella liturgia eucaristica, ognuna di esse va rapportata all’ economia
dell’ opera salvifica. Il loro scopo è quello di metterci di fronte allo spettacolo della divina
economia, affinché le nostre anime siano santificate e noi di conseguenza resi idonei a ricevere i
sacri doni. Per essere resi santi è necessario continuare ad avere lo sguardo della coscienza fisso su
queste verità, contemplandole, sforzandoci di bandire ogni idea estranea. Ecco perché è stato
costruito il simbolismo: esso non si limita a significare tutto ciò attraverso le parole, ma lo mette
interamente sotto i nostri occhi. Lo scopo di questa manifestazione visiva è di agire in modo più
agevole sulle anime, non per offrire una pura e semplice visione, ma per porre in esse un
sentimento: la rappresentazione si trova più vigorosamente impressa in noi attraverso la vista. E ciò
avviene lungo tutta la liturgia, affinché non sia dato spazio all’ oblio e il pensiero non debba
volgersi a qualchee altro oggetto. Aggiungendo così santificazione a santificazione “ noi siamo
trasformati di gloria in gloria” (2Cor3,18).
LA TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA
Theodoru in “ Le principali caratteristiche del culto ortodosso” fa, come dice lo stesso titolo del
testo, un elenco di quelle che sono le più importanti caratteristiche del culto ortodosso. Il culto ortod
ha i caratteri generali di ogni altro culto, c’è uno scambio di energia tra Dio e l’ uomo, il loro
incontro avviene nella comunità ecclesiastica: il culto, corrispondente sul piano umano all’
archetipo categoriale dello spazio- tempo religioso, si lega con un luogo cultuale ed esige il rispetto
di determinati tempi ed occasioni. Lo sviluppo storico e la formazione del culto ortod sono dominati
dall’ amore per l’uomo,il culto non è mai stato statico e pietrificato, si è sempre adattato alle singole
necessità spirituali dei fedeli.. Le differenti forme del culto ortod hanno un carattere biblico e
prendono ricchezza dei tesori della Sacra Scrittura e contemporaneamente costituiscono un tesoro di
lunga tradizione dello spirito oggettivo della chiesa ortodossa. Le forme del culto ortod ebbero
sviluppo attraverso i secoli, però il suo spirito rimase immutabile. Attraverso il culto ortod si
raggiunge l’ ideale di un salvifico misticismo cristocentrico, il quale aiuta il fedele a vivere in
Cristo, suo mistero. Il culto ortodosso è l’ espressione normatica e la vita del pensiero dell’
avvenuto “tempo liturgico” e del tempo concentrato”. La punta più alta nel culto ortod della
partecipazione alla vita mistica di Cristo è la partecipazione alla vittoria della resurrezione. Il culto
risalta le bellezze del mondo materiale creato da Dio e le bellezze della creatura e della materia che
prendono parte al culto razionale. I testi liturgici della chiesa condannano ogni parziale trionfo del
mondo, l’ uomo che inneggia solo al corpo umano, non condannando però i valori materiali o
biologici, condanna però il culto del corpo, l’idolatria della materia, gli istinti corporali e la
schiavitù nei loro confronti; riconosce le inclinazioni spirituali ed eminenti dell’ anima e ha uno
spirito sociale vivente, aiutando la realizzazione dei valori sociali. Il culto ortod inneggia alla verità,
alla sapienza superiore ella migliore filosofia; le forze conoscitive naturali conducono al
soggettivismo, occorre una purificazione spirituale per quanto riguarda il culto e l’ estetica esso lega
il valore del bello con il santo attraverso l’ architettura, l’ iconografia, la poesia ecclesiastica e la
musica suscitando vitalità religiosa e sentimenti estetici. La liturgia lega l’ estetica con gli altri
valori spirituali più alti: religiosi, sociali, morali e conoscitivi. Il grande valore umanistico del culto
ortod agevola l’ armonia e l’ integrazione di tutte le tendenze dell’ anima e confronta rettamente il
sistema e la totalità organica gerarchicamente organizzata dei valori e dei beni umanistici. Nel culto
ortod tutte le antitesi si legano in una meravigliosa unità e armonia: è il ponte che lega il cielo e la
terra.
RIFLESSIONE SISTEMATICA (referenti liturgici): ciò che in Oriente è ritenuto importante
così come in Occidente, è che la catechesi non può essere disgiunta dalla liturgia; è infatti dalla
liturgia, come mistero di Cristo celebrato, che la catechesi trae ispirazione. Così che, a partire dalla
comprensione di ciò che viene celebrato e dalla sua assimilazione, si ricava un progetto di vita. La
liturgia, fatta di simboli, diviene legame tra il visibile e l’invisibile; la mistagogia è il contenuto
dell’esistenza redenta e santificata, è fondamento della spiritualità, è esegesi liturgica che mostra il
contenuto di quanto viene celebrato. La mistagogia permette di ritrovare il nesso funzionale con
Cristo Signore (teologia della mistagogia) attraverso gli avvenimenti della storia di salvezza:
dell’antico testamento che trovano compimento in Cristo; del nuovo testamento ripercorrendo la sua
vita; nella chiesa dove continua a compiere meraviglie.
Taft (referenti liturgici): si è occupato di cercare di mostrare le vie della presenza di Cristo
nell’azione liturgica, asserendo che la liturgia cristiana equivale a Gesù Cristo in mezzo a noi, è la
stessa realtà; realtà di una esperienza personale che agisce solo per mezzo della fede, che permette
l’incontro con Dio in una celebrazione, cioè in un incontro di persone che diviene relazione vissuta
concretamente tra chi partecipa alla celebrazione e Dio alla luce della morte e risurrezione di Gesù
che è fonte e base di quest’incontro. Non si celebra un fatto passato, ma una realtà sempre presente:
di fatto la liturgia è icona vivente fatta di persone; la liturgia, fondata su Cristo risorto; se la bibbia è
la Parola di Dio in parole di uomini, la liturgia sono gesti salvifici di Dio nelle azioni degli uomini
che vogliono vivere di lui: questa vita altro non è se non ciò che noi chiamiamo Spirito Santo.
Fondamentale per la presenza del cristo risorto nella chiesa è la presenza della fede.. tuttavia
precedente alla fede è la presenza dello Spirito, poiché la fede si fonda sulla azione dello spirito.
INIZIAZIONE CRISTIANA

PARADIGMA: il paradigma è diviso in due parti che attengono rispettivamente alle dimensioni
del tempo e dell’eternità. A sua volta l’eternità (così come anche il tempo) è diviso in due parti
ulteriori: sacramenti “per l’eternità” e sacramenti “di eternità”. I sacramenti della iniziazione
cristiana formano il secondo blocco dei sacramenti “dell’eternità”: il battesimo è sacramento che
dona l’essere e permette la nascita dall’alto; la cresima permette il divenire attraverso l’unzione
dello Spirito; entrambi sono sacramenti “per l’eternità” e sono irripetibili; ad essi si aggiunge
sempre come sacramento dell’eternità, il sacramento dell’eucarestia, che è ripetibile, dona il
nutrimento ed è sacramento “di eternità”.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: I sacramenti dell’iniziazione, per alcuni
sono solo il battesimo e la confermazione, mentre per altri ne fa parte anche l’Eucaristia.
L’iniziazione cristiana è un processo del venire alla fede. La dualità complementare di battesimo e
confermazione diventa espressione sacramentale della dualità complementare delle missioni
trinitarie delle due mani (secondo Ireneo) del Padre: Figlio e Spirito Santo. Così, per mezzo
dell’iniziazione, il cristiano diviene un chiamato, un rinato, un segnato dallo Spirito che vive una
comunione; il cristiano ottiene l’incorporazione al mistero pasquale, l’ingresso nella comunità dei
salvati, l’effusione dello Spirito come realtà escatologica. Il battesimo da avvio ad una nuova
esistenza di grazia, mentre la cresima porta a maturità la comunione con la chiesa. Distinzione: il
Battesimo immette nella salvezza, dona la grazia indistintamente; la Cresima o Confermazione
plasma l’individualità di ognuno, forma la identità propria del credente, la sua personalità, con
modalità concrete che realizzano la ricezione personale della grazia nei singoli credenti.
Gondal in “l’iniziazione cristiana: Battesimo, cresima. Eucaristia” operano una ristrutturazione
dell’identità. Il cristiano è un chiamato, un rinato, un segnato dello Spirito, uno che vive una
comunione. Secondo Mazzanti, in “i sacramenti simbolo e teologia, Eucaristia, battesimo e
confermazione, bisogna ripensarli in un’organica relazione; il loro linguaggio evocativo, e i
riferimenti biblici e patristici riguardo ad essi ne dicono l’unità. Lui parla del battesimo e della
confermazione come gesti mediante i quali Cristo prepara la Chiesa-sposa alle nozze attraverso il
perdono ricreante e la dotazione dello Spirito. Infine l’Eucaristia è culmine e fonte dei singoli
sacramenti, alleanza nuziale con la Chiesa e il contenuto, è infatti il nucleo essenziale della storia
della salvezza. Per Tena e Borobio in “i sacramenti dell’iniziazione cristiana” le dimensioni che
permettono una prospettiva unitaria sono: cristologico-trinitaria (incorporazione al mistero
pasquale), ecclesiologica (ingresso nella comunità dei salvati), pneumatico-escatologica (l’effusione
dello Spirito come realtà escatologica) antropologica (il posto della fede in questi sacramenti).
Rocchetta “i sacramenti della fede”: i sacramenti visti come eventi di salvezza nel tempo della
chiesa, ci dicono che il battesimo è azione di Cristo e della Chiesa, sacramento della fede, dà avvio
a un’esistenza nuova di grazia. La Cresima conduce alla maturità in senso teologico, porta a pieno
sviluppo la comunione con la Chiesa, arricchisce di una forza speciale dello Spirito e obbliga alla
testimonianza in una chiesa vivificata dallo Spirito e abilita ad entrare in sintonia con la missione
stessa di Cristo, sia quella ad intra, cioè la santità, che quella ad extra, la testimonianza.
FONDAMENTI DOGMATICI: La riflessione lit/th e l’insegnamento magisteriale sono ormai
concordi nel riconoscere l’unità e la complementarità dei tre Sacramenti dell’inizizazione. Questo
risulta evidente soprattutto nell’esperienza del catecumenato e dell’Iniziazione Cristiana degli
adulti, per i quali si prevede la celebrazione dei 3 Sacramenti unitariamente. Essi sono infatti i
Sacramenti che, dopo la preparazione vissuta come esperienza ed incontro con Cristo maestro,
donano i fondamenti della vita cristiana introducendo pienamente all’ appartenenza ecclesiale. I 3
Sacramenti, in analogia alla vita naturale, permettono al cristiano di rinascere, crescere ed essere
rafforzati, essere nutriti per gustare sempre più la vita divina. La celebrazione unitaria dei
Sacramenti dell’iniziazione x gli adulti diventa un punto di riferimento x la comprensione th dei 3
Sacramenti anche nella celebrazione coi bambini. Sono pensati e vissuti come processo globale
unitario. Fonti: Il CVII afferma al n.14 del documento Ad Gentes che l’iniziazione deve essere
una scuola che prepara alla vita cristiana; introduce i catecumeni iniziati al mistero di salvezza,
avvia alla pratica delle norme evangeliche, alla vita di fede, alla liturgia e alla carità. Libera dal
potere delle tenebre, fa diventare per mezzo dello Spirito figli di adozione. Secondo il CCC i
sacramenti dell’iniziazione sono i fondamenti di ogni vita cristiana, mettendoli in analogia con
l’origine, lo sviluppo e l’accrescimento della vita naturale rispettivamente: rinati nel battesimo,
rinforzati dalla confermazione, nutriti con l’eucarestia. Tutto questo permette di gustare la vita
divina e di progredire nel raggiungimento della carità. La CEI nella Nota sull’Iniziazione parla di
celebrazione unitaria dei sacramenti nella notte della Veglia pasquale: Dopo la liturgia della luce e
della Parola ci sono: la solenne benedizione dell’acqua, la rinuncia a Satana, la professione della
fede, la rinascita come figli di Dio e l’aggregazione al popolo di Dio. Col battesimo si ha
l’aggregazione al popolo di Dio. Con l’imposizione delle mani e l’unzione del crisma ricevono lo
Spirito di adozione che li consacra a fortifica per compiere la missione profetica, sacerdotale e
regale di Cristo e della Chiesa.Partecipano con tutto il popolo di Dio all’offerta del sacrificio di
Cristo offrendo se stessi come primizia dell’umanità redenta, al rendimento di grazie e alla supplica
perché il Padre effonda lo Spirito creatore e redentore. Prendono infine parte al Corpo e al Sangue.
L’EREDITÀ BIZANTINA: Palamas afferma che l’unigenito Figlio di Dio nell’assumere la
nostra natura la rinnovò e ci rese partecipi della sua grazia donandoci il perdono dei peccati.
battesimo e crismazione continuano il rinnovo della nostra natura. Egli parte dall’assunzione della
natura umana da parte del Figlio di Dio, che la unì alla propria ipostasi e in questo modo rende
partecipi della sua grazia ciascuna delle nostre ipostasi che così riceve il perdono dei peccati.
Mentre col Battesimo rinnova la natura e mostra che è santificata, giustificata ed obbediente al
padre in tutte le cose, con la Crismazione rinnova anche l’ipostasi. Attraverso il battesimo concede
in grazia il perdono dei peccati, il rispetto dei suoi comandamenti e il pentimento ai peccatori e con
l’Eucaristia dona il suo corpo e il suo sangue. Cabasilas, La vita divina si forma nei divini misteri,
allora consideriamo l’apporto proprio di ciascuno di essi e in che modo ciascun sacramento
congiunge al Cristo. Chi cerca l’unione con lui, dovrà partecipare della sua carne, condividere la sua
divinità e comunicare al suo sepolcro ed alla sua risurrezione. Riceviamo allora il battesimo per
morire della sua morte e risorgere, l’unzione del crisma per divenire partecipi dell’unzione regale
della sua divinità e l’eucaristia per comunicare alla stessa carne e allo stesso sangue che il Salvatore
ha assunto. Ci uniamo così a colui che per noi si è incarnato, si è deificato ed è morto e risorto. Lui
è disceso perché noi salissimo, medesima è la via ma per lui si tratta di scendere, per noi di salire.
Allora il battesimo è la nascita, il miron è per noi principio di energia e di movimento,il pane e il
calice eucaristico sono vero cibo e vera bevanda, ma non è possibile muoversi o nutrirsi prima di
nascere; ed essere battezzato significa proprio nascere secondo il Cristo e, non essendo nulla,
ricevere l’essere e l’esistere. Il Battesimo è il primo dei misteri e prima degli altri introduce i
cristiani nella vita nuova. Così prima si è lavati e poi, dopo l’unzione col miron, si accede alla sacra
mensa: il lavacro è principio dell’esistenza e fondamento della vita e di questa costituisce la base:
anche il Cristo volle ricevere il battesimo prima di tutto.
L’EREDITÀ PATRISTICA Cirillo di Gerusalemme, 2a catechesi mistagogica Cirillo procede
attraverso la spiegazione dei riti del battesimo. Inizia dal gesto dello spogliarsi della tunica, gesto
attraverso cui si elimina l’uomo vecchio con le sue abitudini e passioni ingannatrici e si rimane nudi
come Cristo sulla Croce, si porta l’immagine del primo uomo Adamo, che nel paradiso era nudo e
non si vergognava. Poi parla dell’unzione, attraverso cui si diviene partecipi del buon ulivo che è
Gesù e si partecipa dell’abbondanza del Cristo che mette in fuga ogni traccia di potenza avversa.
Spiega poi l’immersione nell’acqua. Ci si immerge per tre volte nell’acqua e si risale
simboleggiando la sepoltura di tre giorni di Cristo, così si è morti e rigenerati, l’acqua del battesimo
è così tomba e madre del battezzato e il tempo di morire è il tempo di nascere, la nascita coincide
con la morte. Tratta poi della realtà salvifica, infatti l’imitazione è reale salvezza, al battezzato,
senza realmente soffrire e penare come Cristo sulla Croce, per partecipazione è donata la salvezza.
Mette poi in evidenza il fatto che il Battesimo non conferisce soltanto la remissione dei peccati e la
grazia dell’adozione di figli, ma è partecipazione della vera passione di Cristo, come proclama san
Paolo: “ignorate che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua
morte? Noi siamo stati sepolti con lui mediante il battesimo”. Afferma poi, attraverso le parole di
S.Paolo, che attraverso il battesimo si diventa una stessa pianta con Cristo partecipiamo realmente a
quella salvezza da lui realizzata attraverso la sua sofferenza, da noi partecipata solo figuratamente.
Infine si sottolinea l’importanza di condurre una vita nuova con l’aiuto di Cristo, il quale da morti,
attraverso il battesimo rende vivi.
TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMP.: Yannaras afferma che la Chiesa si realizza e si
manifesta nell’evento di Pentecoste vissuta in ogni assemblea eucaristica. Col battesimo e con la
cresima si diventa membri della chiesa secondo una ri-creazione grazie ad un atto corporale, che
consiste nella triplice immersione, che è conformazione reale, sensibile, alla morte e alla
risurrezione del Cristo, rappresentato dal vescovo o dal presbitero in seno al corpo eucaristico, i
quali invocano l’azione vivificante dello Spirito Santo per far diventare evento esistenziale il rito
sensibile della sepoltura e della risurrezione. Con la triplice immersione del battesimo ci si
conforma alla morte e risurrezione di Cristo; nella cresima, il vescovo o chi lo rappresenta,
nell’invocare l’azione dello Spirito chiede di cambiare la sepoltura e la risurrezione in un evento
esistenziale. Questa trasformazione del modo di esistenza, l’innesto del corruttibile sul tronco
dell’incorruttibile avviene nell’ambito dei dati sensibili della vita naturale.
TEOLOGIA CATTOLICA. ORIENTALE: la congregazione per le chiese orientali al cap. VII
delle istruzioni per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche, afferma che c’è uno stretto
legame tra i sacramenti dell’iniziazione e questo deve anche risultare nel modo di celebrarli.
L’iniziazione è una celebrazione unitaria e indivisibile di ingresso alla vita in Cristo nel punto più
alto che è il mistero pasquale: immersi nella sua morte, risorti nella risurrezione, idonei per il suo
banchetto. Col battesimo la persona viene liberata dal peccato, rigenerata a vita nuova ed
incorporata nella chiesa; con la crismazione del Myron si è segnati col sigillo dello Spirito Santo;
con l’eucarestia si prende parte alla comunione con Cristo e con tutti i fedeli. Lo stretto legame tra i
tre sacramenti dell’iniziazione deve risultare anche dal modo di celebrarli. È un’unica celebrazione
perché ripresenta l’unica opera dello Spirito del Padre e del Figlio. L’iniziazione è celebrazione
unitaria dell’ingresso alla vita in Cristo, nella comunità che vive in lui. La celebrazione indivisibile
dei tre sacramenti è stata abbandonata dalla Chiesa occidentale e conservata invece nella Chiesa
orientale. In diverse Chiese orientali cattoliche questa prassi è cambiata nei secoli, sia per pressioni
esterne, sulla base di significati spirituali e pastorali mutuati dai Latini che sono comprensibili ma
estranei al patrimonio orientale.
TEOLOGIE ORIENTALI IN DIALOGO Commissione Mista Internazionale x il dialogo
teologico ufficiale tra la Chiesa cattolica-romana e la Chiesa ortodossa su Fede, Sacramenti e
l’unità della Chiesa. I sacramenti dell’iniziazione cristiana: il loro rapporto con l’unità della
chiesa: L’iniziazione cristiana è un tutto, infatti la confermazione è il perfezionamento del
battesimo e l’eucaristia è il compimento di tutti e due, ma, nonostante l’unità, non è negata la loro
specificità. Il Battesimo è partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo e nuova nascita
mediante la grazia. La confermazione è il dono personale dello Spirito. L’eucaristia dona la
partecipazione al regno di Dio e comporta il perdono dei peccati, la comunione alla vita eterna e
l’appartenenza alla comunità escatologica. L’unità dei sacramenti dell’iniziazione è fortemente
affermata dalla chiesa ortodossa e sostenuta dalla chiesa cattolica. A proposito si riporta
l’introduzione del RICA: i tre sacramenti sono così intimamente congiunti, che portano i fedeli alla
maturità cristiana per compiere nella Chiesa e nel mondo la missione propria del popolo di Dio. Il
modello di amministrazione dei sacramenti è quello che fa la differenza. Ci sono varie tappe
dell’iniziazione come integranti sia teologicamente che liturgicamente. L’antico modello, che
rimane l’ideale per le due chiese, includeva i seguenti elementi: un periodo di prova spirituale o
istruzione; il Battesimo, amministrato dal Vescovo, dal presbitero o dal diacono; la confermazione
amministrata dal vescovo in occidente, dal presbitero in oriente, mediante l’imposizione delle mani,
o l’unzione del santo crisma, o dall’uno e dall’altro; la celebrazione dell’eucaristia, durante la quale
i neo-battezzati e confermati erano ammessi alla piena partecipazione al corpo di Cristo. Questi
sacramenti erano amministrati durante un’unica e complessa celebrazione liturgica (Veglia
Pasquale). Seguiva poi un periodo di maturazione catechetica (catechesi mistagogiche) e spirituale
mediante l’istruzione e la frequente partecipazione all’eucaristia. Il battesimo degli infanti è ormai
divenuto la procedura più comune. Nella pratica liturgica sono stati introdotti alcuni cambiamenti
locali, tenendo conto dei bisogni pastorali dei fedeli, cambiamenti che non hanno inciso sulla
comprensione teologica dell’unità fondamentale di tutto il processo dell’iniziazione. In oriente è
stata mantenuta l’unità temporale sottolineando l’unità dell’opera dello Spirito Santo e la pienezza
dell’incorporazione nella vita sacramentale della Chiesa. L’Occidente ha preferito differire la
confermazione per conservare il collegamento di questo sacramento col vescovo. Perciò i presbiteri
non sono stati orientativamente abilitati ad amministrare la confermazione. La Chiesa cattolica, pur
riconoscendo l’importanza primordiale del battesimo per immersione, pratica abitualmente il
battesimo per infusione; nella Chiesa cattolica un diacono può essere ministro ordinario del
battesimo; in alcune chiese latine, per ragioni pastorali (per preparare meglio i confermandi alla
soglia dell’adolescenza) si è gradualmente diffusa l’usanza di ammettere alla prima comunione
battezzati che non hanno ancora ricevuto la confermazione. Le direttive disciplinari che
richiamavano l’ordine tradizionale dei sacramenti dell’iniziazione cristiana non sono mai state
abrogate.
Il Codice per le Chiese orientali (CCOE) al Titolo XVI disciplina Il culto divino e specialmente i
sacramenti. Al Cap. II parla della Crismazione del Santo Myron Il can. 695 dice che la crismazione
deve essere amministrata congiuntamente col battesimo, o al più presto in caso di necessità. Il can.
697 dice che l’iniziazione si completa con la ricezione della Divina Eucaristia che quindi deve
essere amministrata al più presto dopo il battesimo e la crismazione. Il can. 710 parla della
partecipazione dei bambini alla Divina Eucaristia dopo il Battesimo e la crismazione
raccomandando di osservare le prescrizioni dei libri liturgici.
Una progettualità dell’iniziazione letta in chiave ecumenica potrà articolarsi attorno al suo
momento ricapitolativo, l’Eucaristia, in chiave liturgica, e all’esperienza pasquale, per quella
teologica, e ciò proprio in forza dell’intima istanza cristica che, profeticamente, è prolessi rituale.
L’Eucaristia presupporrà quindi uno spazio che il battesimo e la confermazione apriranno, perché
essa possa rivelare la logica del mistero, da essi legittimata in una reciprocità strutturale di totalità
escatologica. E ciò perché i sacramenti non esistono per se stessi: la loro struttura intersacramentale
è anteriore all’esperienza che se ne fa. Perciò viene postulata l’urgenza di ritornare all’unità dei tre
sacramenti o al conferimento della crismazione prima dell’Eucaristia, proprio perché essi sono
legati alla storia di Cristo (prima battezzato e poi subito confermato dal Padre) e ciò a dispetto di
comprensibili motivi pastorali o di analogiche assunzioni d’antropologica formalità epistemologica
o ideologica.
BATTESIMO

PARADIGMA: il battesimo è un sacramento “per l’eternità”, finalizzato per la nascita dall’alto


insieme all’unzione dello Spirito; è un sacramento di “iniziazione” che dona l’essere ed è irripetibile
e irrevocabile, in quanto imprime il carattere come segno spirituale.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: la teologia occidentale ha dato al battesimo
alcuni caratteri: Il carattere simbolico del battesimo è dato dall’azione sacramentale vera e propria
(infusionem, aspersione con acqua e immersione), dalla formula di amministrazione e dalla sua
cornice liturgica. Il suo carattere comunicativo è dato dal suo essere une evento tra il ministro, che
rappresenta Cristo e la Chiesa e il soggetto o coloro che ne fanno le veci quali rappresentanti della
comunità. Il Battesimo ha anche un carattere dialogico: Dio chiama in Cristo il battezzato per nome
e lo chiama come membro della Chiesa. L’uomo può rispondergli con la fede e in questo modo
riceve la grazia battesimale garantita dal sigillo battesimale indelebile, che è la grazia. Il sigillo
battesimale è effetto della disponibilità permanente di Dio a lasciarsi trovare e il sacramento diventa
fruttuoso nella giusta risposta da parte dell’uomo. C’è oggi la consapevolezza che gli uomini
possono arrivare alla salvezza per altra via, ma l’inserimento nella chiesa è senza dubbio
dimensione di salvezza e pienezza dei mezzi di salvezza propri della comunità visibile degli accolti
da Dio che in Cristo si accettano reciprocamente.
FONDAMENTI DOGMATICI: il Concilio di Firenze, con la bolla Exultate Deo di Eugenio IV,
ha affermato che il battesimo è il primo di tutti dei sacramenti, è la porta della vita spirituale per
mezzo del quale si diventa membro di Cristo e parte del corpo della chiesa. Il battesimo ha una
materia che è l’acqua vera e naturale; ha una forma che sono le parole; ha una causa principale che
è la trinità; ha una causa strumentale che è il ministro; ha un effetto che consiste nella remissione di
ogni colpa e pena, originale o attuale. Il Concilio di Trento in risposta alle eresie, ha affermato che
il battesimo di Giovanni non aveva la stessa efficacia del battesimo di Cristo; è necessaria la vera
acqua per il battesimo; è valido anche il battesimo amministrato da eretici se fatto con l’intenzione
della chiesa; tutti devono essere battezzati non all’età di Cristo ne tanto meno in punto di morte,
perché anche se piccoli e incapaci di comprendere, il battesimo è valido; tutti i battezzati sono
obbligati ad osservare le leggi di Cristo e sono soggetti a tutti i precetti. I bambini non ricevono il
battesimo invalidamente solo perché non hanno la capacità di credere. I bambini, una volta cresciuti
non devono né accettare né rifiutare il battesimo.
EREDITÀ PATRISTICA: Damasceno, in “la fede ortodossa”, afferma che vi è un solo battesimo
per la remissione dei peccati e per la vita eterna, perché una sola è stata la morte del Signore. La
triplice immersione ha il significato dei tre giorni di sepoltura del Signore. L’uomo è composto di
due nature. Il battesimo dona all’uomo una doppia purificazione con acqua e Spirito, in analogia
all’anima e al corpo cui l’uomo è costituito: l’acqua è immagine della morte (immersione), lo
Spirito è certezza di vita. Damasceno parla di ben otto battesimi: quello del diluvio (Noè); quello
del mare e della nube (Mosè); quello legale della circoncisione; quello di Giovanni Battista; quello
del Signore; quello del pentimento e lacrime con fatiche; quello di sangue e martirio; quello che
elimina il male e pulisce eternamente (sacramentale).
EREDITÀ BIZANTINA: Cabasilas: il battesimo serve per morire e risorgere in Cristo che si è
incarnato per noi, per noi è morto ed è risorto; Cristo è disceso perché noi salissimo in Lui. I nomi
del Battesimo Tutti i nomi hanno un solo significato: il lavacro battesimale è nascita e principio in
noi della vita in Cristo. Nascita: di creature che persero la forma primitiva ed ora tornano ad essa
con una seconda nascita. Sigillo: perché imprime l’immagine regale, la forma beata. Veste: Cristo è
indossato come una veste di cui l’iniziato si ricopre immergendosi nel Cristo. Illuminazione:
dandoci il vero essere, ci costituisce noti a Dio e guidandoci verso la luce divina, ci separa
dall’oscurità del male. Lavacro: distrugge ogni macchia che, come un muro di separazione, tiene
lontano il raggio divino dalle anime nostre. Dono: perché è nascita gratuita. Unzione: penetra
dovunque per tutta la struttura del corpo di colui che lo riceve e in lui imprime l’unto e gli dà la sua
forma. I riti e le parole della celebrazione battesimale Il soffio è simbolo della vita e il celebrante
soffia in volto al catecumeno come se fosse ancora senza vita. Il catecumeno depone la veste e si
scioglie i calzari alludendo alla sua esistenza passata; guardando ad occidente esala un soffio dalla
sua bocca, segno della vita nelle tenebre; protende le mani e ripudia il maligno presente e
minaccioso; sputa contro quell’essere immondo e impuro; rinnega il legame causa di ogni rovina;
rompe del tutto l’amicizia amara e plaude all’amicizia. Fuggendo le tenebre corre verso il giorno,
volto ad oriente cerca il sole, adora il re, riconosce il signore legittimo, fa voto di essergli soggetto,
di servirlo con tutta l’anima, di credere in lui come Dio, di conoscere di lui quel che conviene.
Dimostra di aver raggiunto la vita che conduce alla vita paradisiaca. Adamo passò dal manto della
beatitudine alla nudità e da questa alla nostra miserabile divisa. Per noi si tratta di ripercorrere a
ritroso il suo cammino: dalle tuniche di pelle alla nudità verso la veste regale. Ora si va verso la luce
vera, senza l’ombra della morte o la barriera che separa le anime dal raggio beato e le vesti sono una
specie di piccolo muro tra la luce e i corpi. Con l’unzione con l’olio si diventa re e sacerdoti
consacrati a Dio dalla comunità e non si vive più per se stessi, ma per Dio e per il popolo, anche noi
usciamo dalla nostra vita e da noi stessi per Dio. Cristo ha unto la natura umana con la divina e noi
partecipiamo con lui del suo crisma. Quando per tre volte è ricoperto dall’acqua e riemerge, mentre
è invocata su di lui la Triade, allora nasce ed è plasmato, riceve il buon sigillo, possiede tutta la
felicità desiderata, esiste ed è familiare di Dio, è adottato come figlio, è condotto sul trono regale.
Quest’acqua distrugge una vita e ne suscita un’altra, annega l’uomo vecchio e fa risorgere il nuovo.
I ministri del battesimo, invocando Dio al fonte battesimale celebrano le proprietà di ciascuna
ipostasi. Ciascuna delle ipostasi coopera con una operazione propria. Il ministro al fonte battesimale
invoca Dio secondo la cooperazione delle tre ipostasi: il Padre in quanto ci ha riconciliati, ci ha
liberati, ci ha plasmati; il Figlio in quanto ha riconciliato è il prezzo della nostra liberazione, è stata
la mano del plasmatore; lo Spirito Santo in quanto è la libertà e il soffio della vita di quanti
aderiscono a Dio. Il battesimo è principio della vita futura, è una ri-creazione gratuita da parte di
Dio senza l’ausilio dell’uomo, liberandolo dalla corruzione della natura e dalla volontà del peccato.
Nel battesimo celebriamo l’economia con i gesti del rito, il compimento di tutta l’economia con la
triplice immersione e riemersione, proclamiamo a voce alta la teologia, esprimiamo
silenziosamente, con i gesti, l’economia. Il Battesimo riscatta dalla schiavitù del peccato e infonde
una nuova vita. Il battesimo è vita e in esso moriamo ad una esistenza e nasciamo ad un’altra. Il
battesimo infonde una vita migliore alla natura umana, una vita umana nuova e migliore rispetto
alla prima. La nascita nel battesimo è principio della vita futura, delle nuove membra, dei nuovi
sensi, e preparazione dell’esistenza di lassù. Il Battesimo crea potenze indistruttibili, ma non
costringe a servirsene. Dio vuole per noi tutto il bene, e lo dà, ma senza distruggere la dignità
fondamentale del libero arbitrio. Così il bene del battesimo è un’energia ma non impedisce di
restare cattivi a quelli che non ne usano. La nuova alleanza si fonda sull’esperienza di Dio infusa
nel Battesimo, dalla quale derivano amore e gioia. La potenza della legge nuova genera il cristiano
che così perviene alla mirabile sapienza, mette mano continuamente ad opere eccellenti, possiede
una fede incrollabile, si conforma alla forma beata del Cristo. Il mistero del battesimo è principio
della vita in Cristo, causa dell’essere e del vivere degli uomini e della loro superiorità secondo la
vera vita ed essenza. L’infermità è da imputarsi ai battezzati stessi, che non si sono ben preparati
alla grazia o hanno dissipato il tesoro.
TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA: Yannaras parla di analogia tra chiesa e vita
del credente: la chiesa nata a pentecoste diventa assemblea eucaristica, è per il credente
preparazione alla partecipazione dei doni dello Spirito e punto di partenza dinamico della
ricreazione della vita. Il battesimo rigenera l’esistenza offrendole una alterità personale portatrice di
un nome proprio che sussiste in quanto ipostasi vivente grazie alla comunione e alla relazione con
l’amore del Padre. L’uomo viene inserito nella comunione dei santi, nella realizzazione trinitaria
della vita; riceve il nome di un santo e realizza dinamicamente nella sua persona la relazione
dell’amore di Dio. Il battesimo ha una sua dinamica fatta di atti: atto corporale (triplice immersione)
e la conformazione reale alla morte e risurrezione di Cristo per mezzo dell’acqua. Il simbolo
dell’acqua ha una valenza naturale e spirituale. L’acqua in natura è simbolo e matrice di vita, è
germe costitutivo della natura vivente e prima distinzione tra la materia vivente e la materia inerte.
L’acqua spirituale fa zampillare la vita nuova e opera una differenziazione radicale tra l’ipostasi
personale e la sopravvivenza individuale legata ai limiti della morte. La nascita naturale crea una
monade biologica soggetta a corruzione progressiva e alla morte. Attraverso la dinamica dell’azione
dello Spirito che trasforma il modo di esistenza, avviene un innesto del corruttibile sul tronco
dell’incorruttibile che dona una nascita spirituale. Questa rigenera l’esistenza, dona un’alterità
personale, un nuova ipostasi vivente e crea comunione e relazione con l’amore del Padre. C’è una
dimensione sociale/ecclesiale del battesimo. L’individuo è membro di una specie formata di
individui, è anello di una catena biologica e semplice unità di un tutto. Col battesimo la nuova
creatura è inserita nella comunità dei santi, nella realizzazione della vita come realizzazione
dinamica nella sua persona della rivelazione dell’amore di Dio. C. Yannaras, in La libertà
dell’ethos: nella vita personale di ogni fedele primo sacramento di accesso e incorporazione alla
chiesa è il battesimo. Con battesimo la chiesa innesta nel suo corpo, nella sua nuova natura
teandrica una nuova persona umana. Con il battesimo si attua e si manifesta la possibilità della
natura teandrica del Cristo, che è la chiesa, di rendere incorruttibile e perpetuare non la natura ma
l'alterità personale, fondando l’esistenza personale naturale nella vera vita della comunione d'amore.
Ed è dall'acqua del battesimo che emerge la vita nuova. Nel battesimo, come in ogni sacramento, si
attua e si manifesta la nuova natura della chiesa, la comunione dei santi nella quale è inserito il
nuovo fedele. Nel battesimo, come in ogni sacramento, la chiesa vive dinamicamente il suo modello
esistenziale, il «grande mistero della pietà», l'evento dell'unione di Dio con l'uomo. Anche il
battesimo è una nascita ed un'incarnazione personale del modo teandrico di esistenza, che parte dal
libero consenso personale — obbedienza e autodonazione dell'uomo —nella persona dello stesso
battezzando o nel suo padrino. Davanti all'as¬semblea della chiesa l'uomo rigetta la schiavitù e la
sottomis¬sione alla ribellione del peccato, «si distacca da satana» e «si unisce a Cristo». Colui che
viene alla chiesa è immerso nell'acqua del battesimo, diviene corporalmente «conforme» alla morte
e alla risurrezione del Cristo al suo modo di esistenza. E’ sepolto come «uomo vecchio» e risorge,
con triplice emersione, alla vita del modello trinitario. Immerge «nelle acque generatrici di vita la
mote della disobbedienza e il pungiglione dell'errore» ed esce dalla vasca del battistero «illuminato
della luce della conoscenza di Dio» . Il battesimo è il sacramento per eccellenza della
«conoscenza», dell'illuminazione dell'uomo. La triplice immersione ed emersione nell'acqua del
battesimo non è un rituale o un'allegoria didattica, ma esperienza sensibile di un evento reale. Con il
battesimo l'esistenza umana smette di essere risultato di una necessita biologica. Il battesimo
definisce la primizia ed anche la ricapitolazione del nuovo ethos umano che inaugura la chiesa, la
trasformazione della natura dell'uomo, del suo modo di esistenza, la sua trasfigurazione ontologica.
Con il battesimo la chiesa afferma che il rinnovamento dell'ethos dell'uomo non è risultato di una
conformazione individuale a codici di comportamento, né una questione di miglioramento del
carattere, ma realtà di trasformazione della natura, di morte dell'uomo vecchio — l’individualità
chiusa nella sua autonomia - e di risurrezione della persona nello spazio della comunione dei santi.
Per Matsoukas il battesimo rende gli uomini membri del corpo di Cristo, è una nuova nascita, nella
morte e nella risurrezione di Cristo, è l’innesto nella vita, la nascita in essa e il cammino verso
questa nuova vita. La tradizione ortodossa rimane intransigente sul legame tra il battesimo e la
morte di Cristo: la natura dell’uomo è malata e si cura quando è innestata nel corpo della vita, così
l’uomo deve compiere un cammino verso il progresso. Come il neonato cresce e progredisce, lo
stesso succede anche con la teogenesia: il battesimo che è nascita, e anche la risurrezione, che è una
creazione nuova trasformatrice, non possono dipendere dalla libertà umana. Il battesimo come
primizia della risurrezione opera la correzione della natura, e lo stesso occorre affermare riguardo
alla risurrezione in sé. Il sacramento del battesimo, come tutti i sacramenti e anche la storia stessa
dell’economia divina, ha simboli visibili: l’acqua e il rituale. Il battesimo, come inserimento degli
esseri nella vita divina, è un’azione sacramentale fin dalla creazione del mondo. Il battesimo
dell’acqua e del fuoco si attua nella morte e risurrezione di Cristo, toglie il peccato originale come
corruzione e morte sia nei bambini che negli adulti.
LA TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE
Farruggia vede il battesimo come dono di Dio che implica una garanzia di altri doni più generali. Il
sinergismo, cioè la cooperazione con la grazia, può essere frainteso come semipelagianesimo se Dio
e l’uomo si mettono sullo stesso livello. Invece il Creatore, che è Salvatore e Santificatore, e la
creatura sono su livelli diversi. Il sinergismo consiste nel fatto che l’uomo deve assimilare la
salvezza gratuita acquistata da Gesù, elargita attraverso lo Spirito che santifica (deifica) e deve
rispondere (ciò è grazia). Il sacramento implica sempre una chiamata alla libertà. La grazia di Dio ci
libera, dona a noi la nostra libertà che non è una qualità autonoma ma è la condizione perché
l’uomo possa esercitare la sua libertà. La formula del battesimo rispecchia questa realtà, infatti è
pronunciata a nome del battezzato, non del ministro.
TEOLOGIE IN DIALOGO Commissione teologica mista ortodossa-cattolica Il battesimo è il
sacramento della chiesa istituito da Dio. Nel nome della trinità si diventa membro della Chiesa, si è
liberati dal poter del peccato e si rinasce come nuova creatura in Cristo. La necessità di questo
sacramento è prefigurata nell’AT, è proclamata da Gesù ed è affidata come mandato agli apostoli. Il
battesimo viene amministrato mediante la triplice immersione nell’acqua benedetta e nel nome del
padre e del figlio e dello spirito santo. I suoi elementi sensibili non sono semplici simboli o
elementi materiali esteriori e mutevoli ma sono collegati con l’evento. Mediante l’azione della
grazia divina, il battezzato rinasce ed è unito a formare un solo corpo con Cristo, gode della
figliolanza divina, è congiunto con tutti i fedeli e vive questa comunione nella chiesa, diventa
cittadino del regno di Dio e realizza la propria salvezza, nella speranza della partecipazione alla vita
del mondo avvenire. Gli effetti del battesimo sono un dono del Dio uno e trino, si fondano sul
mistero dell’azione divina di salvezza in Cristo e per essere fruttuosi presuppongono l’accettazione
personale del dono divino nella fede, nella conversione e nelle opere di carità. Esso rende operante
il dono di grazia divina nell’unione con la comunità cristiana nella chiesa. La conseguenza naturale
e diretta è la possibilità e necessità di partecipare al dono dello Spirito Santo e di accostarsi al
sacramento dell’eucaristia. Infine il battesimo viene amministrato dal vescovo e dal presbitero e, in
caso di necessità, da un diacono o da un laico.
Vediamo adesso i punti di unione e quelli differenti fra le due chiese riguardo il Battesimo. I punti
in comune: necessità del Battesimo per la salvezza; effetti del Battesimo, in particolare la nuova vita
in Cristo e la liberazione dal peccato originale; incorporazione nella Chiesa mediante il Battesimo;
rapporto del Battesimo con il mistero della Trinità; legame essenziale del Battesimo con la morte e
risurrezione del Signore; ruolo dello Spirito Santo nel Battesimo; necessità dell’acqua che manifesta
il carattere del Battesimo come bagno della nuova nascita. Le differenze: la Chiesa Cattolica pratica
abitualmente il battesimo per infusione; nella chiesa cattolica un diacono può essere ministro
ordinario del battesimo. Infine in alcune chiese latine si ammette alla prima comunione battezzati
che non hanno ricevuto la confermazione. Questa inversione provoca obiezioni o riserve perché non
tiene conto della tradizione iniziale e della sua importanza dottrinale.
PRIMA UNZIONE

PARADIGMA: la prima unzione (crismazione) si trova nel gruppo dei sacramenti di iniziazione.
La crismazione è sacramento per l’eternità, mentre l’ultima unzione (unzione dei malati) è
sacramento di tipo terapeutico (per la guarigione del corpo), ed è sacramento nel tempo. Tra queste
due unzioni, nel tempo e per l’eternità, si ha la cristificazione dell’uomo: la prima unzione è il punto
di partenza; l’ultima è il compimento. La prima unzione è un passaggio dal non essere all’essere
(olio dei catecumeni, sacro myron), l’ultima unzione è un passaggio dall’essere al ben-essere
(unzione dei malati). Nello specifico, per quanto riguarda la prima unzione, la vita intera del
credente è partecipazione ai doni dello Spirito, alla ri-creazione della vita che trova il suo punto di
partenza nella prima unzione con la quale diventiamo membra del corpo ecclesiale e il suo
compimento nell’ultima. Le unzioni col santo olio del Myron accompagnano dunque il credente il
questo cammino di crescita spirituale. Esso viene impiegato per amministrare il sacramento della
crismazione, uno dei tre che costituiscono l’iniziazione cristiana. All’interno di questa, il Battesimo
conferisce l’essere, la crismazione il divenire e l’Eucaristia il nutrimento. Dunque, fondamentale è
questo sacramento della prima unzione, in cui lo Spirito agisce comunicando alla persona non certo
la sua essenza ma la sua energia; in tal modo, con la crismazione, l’essere che abbiamo ricevuto nel
battesimo entra in divenire. Così come il battesimo, è necessario anche questo sacramento nella
crescita del cristiano, perché in lui si sviluppi la nuova vita, la vita in Cristo: infatti mentre il
battesimo rende partecipe il credente del mistero della morte e della resurrezione, la Crismazione lo
rende partecipe del mistero della Pentecoste, dell’effusione dello Spirito.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: In occidente il secondo sacramento
dell’iniziazione cristiana è chiamato confermazione: il nome stesso indica il completamento di ciò
che è stato conferito col Battesimo. Essa può essere considerata sotto un triplice aspetto teologico:
sotto l’aspetto cristologico, quale unione soprannaturale con Cristo Maestro, pastore e sacerdote;
sotto quello ecclesiologico, attraverso l’inserimento nella Chiesa, opera dello spirito Santo, e nella
sua missione; e, infine, sotto quello antropologico, perché permette di aderire personalmente, sotto
l’azione dello Spirito, e di accettare il battesimo con una decisione personale e libera. L’uomo,
sostenuto dallo Spirito, è chiamato a rispondere al servizio del Regno di Dio, ad essere unito a
Cristo, a crescere nell’intimità ed intensità della relazione. La confermazione, grazie alla sua natura
dialogica, da al cristiano la possibilità al cristiano di entrare nel servizio del regno di Dio, possibilità
che gli indica il senso autentico della vita e gli permette di riconoscerlo. Mediante lo Spirito viene
unito a Cristo e incorporato nella Chiesa. La crismazione dona lo SS e rende possibile una crescita
di intimità e intensità infondendo nuova forza, nuova energia ed entusiasmo. La questione pastorale
aperta: età della confermazione – gli orientamenti dipendono dall’impostazione teologica assunta.
FONDAMENTI DOGMATICI: Il Concilio di Firenze del 1439 stabilisce quali devono essere le
condizioni per la celebrazione del secondo sacramento dell’iniziazione. Secondo lo schema
teologico ereditato dalla teologia scolastica, il Concilio definisce i suoi elementi essenziali: la
materia è costituita dal sacro olio del Crisma; la forma data dalla preghiera prevista nel rituale; il
ministro ordinario che è il vescovo. Effetti: Viene dato lo Spirito Santo, come effetto, per rendere
forti nella fede e poter confessare il nome di Cristo. Durante il rito, l’unzione avviene sulla fronte,
che è la sede del sentimento, della razionalità, attraverso il segno della croce. Con il decreto Ad
Consummationem del concilio di Trento, a fronte degli attacchi dei protestanti, viene confermata
la verità del sacramento; questi infatti, lo consideravano solo un modo intraecclesiale di confessione
pubblica della propria fede, senza alcun effetto di sacramento, fatta come catechesi per gli
adolescenti. Il Concilio di Trento afferma essere la cresima la confermazione dei battezzati, è un
vero sacramento che solo il vescovo può amministrare. Il ministro ordinario della confermazione è
solo il vescovo, dice Trento.
EREDITÀ PATRISTICA: San Cirillo di Gerusalemme ci ha lasciata nelle sue catechesi
mistagogiche un patrimonio teologico è liturgico di grande valore per la ricerca del significato
proprio dei sacramenti dell’iniziazione, la loro natura e i corollari. Cirillo di Gerusalemme afferma
che con il battesimo si diviene conformi al figlio di Dio. Noi cristiani battezzati nel Cristo siamo
chiamati cristi, perché conformi al Figlio di Dio. Il Crisma stesso è figura di Colui che unse il
Cristo, lo Spirito Santo. Per il battesimo, il Cristiano è crocifisso con Cristo, con lui sepolto e
risuscitato; per il crisma, unti di balsamo, partecipi e compagni di Cristo. Questo balsamo, dopo
l’invocazione, non è più semplice balsamo, ma crisma di Cristo efficace della sua divinità per la
presenza dello Spirito Santo. Si viene unti sulla fronte per contemplare col viso scoperto la gloria
del Signore, sugli orecchi per intendere, sulle narici per ricevere il profumo di Dio, sul petto perché
rivestiti della corazza di giustizia possano resistere al diavolo.
EREDITÀ BIZANTINA: Cabasilas afferma che il myron facendo partecipi dell’unzione del
Cristo, dona lo Spirito e abbatte il muro che separava da Dio. Una volta spiritualmente rigenerati e
plasmati, occorre ricevere l’energia conveniente a tale nascita e il movimento appropriato: ecco quel
che opera in noi l’unzione del divinissimo myron. Nell’atto di essere unti, infatti, viene il Paraclito.
Dio era soltanto se stesso, e la nostra natura era soltanto uomo. Ma dopo che la carne fu deificata e
una natura umana ebbe per ipostasi Dio, il muro divenne myron e quella dissomiglianza non ebbe
più luogo, poiché una sola ipostasi è Dio e diviene uomo, togliendo così la distanza tra la divinità e
l’umanità con l’essere termine comune dell’una e dell’altra natura. Il Myron è ciò che deifica la
nostra natura abbattendo i due muri (natura tolta con l’incarnazione di Cristo, e volontà corrotta dal
peccato tolta con la crocifissione). Il Myron dona virtù che rende efficaci i carismi ricevuti contro
tali muri (natura, peccato, morte). Deificata la nostra natura nel corpo salvifico, non c’è più alcuna
divisione tra Dio e il genere umano, non c’è più per noi alcun impedimento a partecipare alle sue
grazie, tranne il peccato. Il myron introduce presso la nostra carne lo stesso Gesù Cristo e in lui è
tutta la salvezza degli uomini e tutta la speranza dei beni, da lui ci viene la partecipazione allo
Spirito santo e per lui abbiamo accesso al Padre. Tuttavia, i carismi che il myron attira sempre nei
cristiani e per i quali ogni tempo è opportuno, sono quelli della pietà, della preghiera, dell’amore,
della sobrietà e gli altri doni utili a coloro stessi che li ricevono. Lo spirito santo è dato ad alcuni
perché possano beneficare gli altri ed edificare la Chiesa. Ad altri lo spirito è dato perché diventino
migliori, risplendenti di pietà e di amore, castità e umiltà meravigliose. Il mistero compie l’opera
sua in tutti gli iniziati, ma non tutti hanno percezione dei doni e sollecitudine per tale ricchezza, così
da saper usare ciò che è stato donato. Il myron, inoltre, consacra le Chiese rendendole case di
preghiera. Gli altari rappresentano la mano del Salvatore: dalla mensa consacrata per mezzo
dell’unzione riceviamo il pane, come ricevendo il corpo di Cristo dalla sua stessa mano immacolata,
e beviamo il suo sangue. Per il crisma il salvatore è altare e sacrificatore, vittima, per la croce e la
morte. Lo Spirito di adozione filiale testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio.
TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMP.: Matsoukas afferma che il sacramento della cresima è
un ricordare e un riattualizzare l’unzione di Cristo nella sua umanità; Essa è artefice in colui che la
riceve della trasmissione di un potere carismatico: si tratta della guarigione, del rinnovamento,
dell’arricchimento della natura e della correzione della volontà.
Yannaras sostiene che grazie alla cresima si riceve il sigillo di una relazione personale con la
Trinità per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. La Chiesa è il momento interpretante di questo
agire: per mezzo della crismazione con il myron Cristo continua oggi a trasmettere alla singola
persona i doni dello Spirito. Così, grazie alla crismazione, il fedele partecipa alla vita nuova in
Cristo, alla creazione rigenerata entro il suo Corpo che è la Chiesa, e, inoltre, diviene soggetto di
una relazione personale ed unica con tutta la Trinità, per via della presenza personale dello Spirito
che gli è stata comunicata.
TEOLOG. CATTOLICA ORIENT.: Corbon parla di sinergia della cresima con il battesimo. Il
battesimo e il dono dello Spirito santo sono distinti e inseparabili. All’interno della sinergia
sacramentale, lo Spirito farà crescere il Corpo di Cristo unendogli nuovi membri infondendogli la
sua Pienezza; il Signore nei battezzati effonde la sua pienezza per mezzo del dono personale del suo
Spirito nella cresima; in questo modo il battezzato riceve il sigillo che gli permette di vivere una
vita nuova in cui le due volontà potranno produrre un unico frutto. Il neofita ha tutti i carismi per
poter crescere: ha l’energia sacerdotale con la quale il cresimato potrà celebrare la divina liturgia.
TEOLOGIE IN DIALOGO: Commissione teol. Mista ortodossa – veterocattolica, 1985. La
confermazione accorda i doni dello SS, fa partecipare personalmente all’evento della pentecoste e
garantisce i doni dello SS; nelle celebrazioni del rito si continua la prassi degli apostoli e perciò essa
deve seguire immediatamente il battesimo. Solo ai vescovi era riservato il compito di imporre le
mani ai battezzati, ma in oriente l’unzione con il crisma fu compiuta anche da presbiteri, mentre la
consacrazione degli olii resta potere del vescovo. Teologicamente inseparabili, i tre sacramenti
dell’iniziazione formano un tutt’uno. Per le Chiese orientali: crismazione è perfetta iniziazione al
mistero di Cristo; ministro ordinario è il vescovo ma la può amministrare un presbitero. Per la
Chiesa latina: capacità acquisita dal singolo di testimoniare la sua fede. Per le Tradizioni orientali:
non chiedono che l’unzione sia fatta con imposizione della mano (a differenza della latina). Per gli
orientali è necessario che i battezzati, unti con il santo myron, siano segnati con il sigillo del dono
dello SS e siano resi testimoni idonei del Regno di Dio. Il santo myron è composto di olio e
confezionato solo dal vescovo. La crismazione è amministrata sia congiuntamente col battesimo, sia
separatamente da un presbitero.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: G. Ferrari, “Teologia mistica bizantina”; L’Oriente crede,
come l’occidente, che la cresima è uno dei sacramenti istituiti da Gesù Cristo e perfettamente
distinto dal Battesimo. Il battesimo, cancellando in noi il peccato originale, apre le porte del nostro
cuore all’ingresso della SS. Trinità per cui, morti e sepolti con Cristo, risorgiamo a vita nuova con
Lui rivestendoci di Lui stesso. Ma Colui che compie in noi l’opera di trasformazione in Cristo è
precisamente lo SS che ci viene dato con la Cresima. E quindi, essendo l’uno il perfezionamento
dell’altro, l’Oriente non ha mai distaccato i due sacramenti, seppur ritenendoli distinti. L’istituzione
del sacramento avvenne precisamente nel Battesimo di Gesù al Giordano, e cioè quando fu istituito
lo stesso battesimo. Ma è la Pentecoste, che potremmo chiamare la “cresima della Chiesa”, che dà
inizio concreto all’effettività del sacramento. Quella pentecoste, infatti, deve ora riprodursi in
ciascuna persona umana perché è lo Spirito che unisce l’anima a Cristo. L’accostamento che la
Scrittura ha sempre posto fra Spirito Santo e unzione hanno fatto sì che già dall’epoca patristica si
parlasse di “santo unguento”, “crisma”, per indicare non solo la materia del sacramento ma lo stesso
sacramento in sé. L’olio, infatti, rappresenta da sempre l’energia e lo splendore donato alla persona
dallo Spirito. I vari concili, così, definiranno come materia del sacramento proprio il sacro crisma
(concilio di Laodicea…). Il santo myron è l’olio aromatizzato, da qui l’unzione crismale. Come
appare chiaro dagli Atti, furono gli apostoli che amministrarono la cresima con una preghiera e
l’imposizione delle mani. Ma la tradizione orientale non ha mai fatto uso di questa pratica
nell’amministrazione della cresima, perché la consapevolezza dell’unzione con olio santo prese
molto presto il posto dell’imposizione delle mani e ciò è attestato da molti Padri. Solo il
conferimento del sacerdozio ministeriale, come attesterà poi Paolo, necessita dell’imposizione delle
mani, non il conferimento del sacerdozio regale (che invece necessita solo dell’unzione col myron).
La tradizione occidentale ha invece mantenuto il gesto dell’imposizione delle mani nella cresima.
Per la composizione del santo myron, oltre l’olio e i vari aromi (36 in tutto) si aggiunge anche una
quantità di vino (per non far bruciare l’olio durante la bollitura), foglie di alloro e di mirto. Il
raccolto di tutto l’occorrente è prevista durante la quaresima mentre nel lunedì della settimana delle
Palme vengono preparati e setacciati tutti gli aromi e si mette a bollire l’olio con il vino
amalgamando il tutto e lasciandolo filtrare per purificarlo completamente. Il lunedì santo i ministri
incaricati provvedono nuovamente al riscaldamento dell’unguento e ciò si ripeterà fino al
mercoledì. L’ultimo giorno si versa il nardo nei vasetti (che non si consacreranno ma lo si conserva
per altre necessità) e il myron in un’anafora. Il giovedì santo è il giorno della consacrazione del
myron […]. Nel sacramento della cresima, si manifesta un duplice aspetto: lo Spirito scende
realmente nell’anima del confermato e diventa custodia e guida della sua vita. Quindi, dopo il
battesimo, la cresima permette allo Spirito di consacrarci a Dio che ci accoglie come re, sacerdoti e
vittime accette. È la cresima che ci conferisce il sacerdozio regale. Per quanto riguarda l’età: nella
vita soprannaturale non c’è età: proprio come nel battesimo da bambini inconsapevoli diventiamo
partecipi della vita del Cristo, così è con la cresima. Nella tradizione orientale, inoltre, la cresima
non ha padrini (perché non si stacca dal battesimo, che in quanto nascita soprannaturale ne ha
invece bisogno). La Comunione non deve mai precedere la cresima! Una volta battezzato, il neofita
viene unto con il santo myron. Non c’è imposizione delle mani.
ULTIMA UNZIONE

PARADIGMA: con l’ultima unzione si entra nel campo dei Sacramenti terapeutici: tocca e
coinvolge la dimensione fisica dell’uomo; la crismazione si trova nell’iniziazione (ed opera
l’unzione dello Spirito), mentre l’ultima unzione è sacramento di tipo terapeutico (per la guarigione
del corpo). Per quanto riguarda il criterio del tempo/eternità, la Penitenza si colloca nei Sacramenti
nel tempo, dati per sostenerci nel nostro cammino storico, atto a realizzare la guarigione del corpo.
La crismazione è sacramento per l’eternità, mentre l’ultima unzione è sacramento nel tempo. Tra
queste due unzioni, si ha la cristificazione dell’uomo. La prima unzione è il punto di partenza;
l’ultima è il compimento. La prima unzione è un passaggio dal non essere all’essere (olio dei
catecumeni, sacro myron), l’ultima unzione è un passaggio dall’essere al ben-essere (unzione dei
malati).
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: La teologia contemporanea si preoccupa,
considerate le situazioni pastorali, di spiegare il significato e l’importanza dell’unzione degli
infermi alla luce della testimonianza della scrittura e lasciandosi guidare dalla tradizione, cerca di
superarne le riduzioni. Gli uomini che lo ricevono, soprattutto i malati, non si attendono una
salvezza isolata dall’anima ma una salvezza che riguardi l’uomo intero e faccia comprendere il
senso della malattia. L’unzione, come segno sacramentale, unisce a Cristo sofferente e risorto,
divenendo segno efficace d’incontro con Dio nella fede, nella chiesa: la situazione del malato
diviene occasione di salvezza. L’unzione significa che lo Spirito santo vivifica la situazione
particolare del malato unendolo in maniera nuova con Cristo sofferente e risorto, associando anche
la comunità. In questo modo, il malato può comprendere con una fede esistenziale che la sua
situazione presente è messa a servizio della sua salvezza e può incontrare in essa Dio stesso. Egli
sperimenta, unito alla Chiesa, l’aiuto degli altri cristiani rappresentati dalla figura del sacerdote. Ad
oggi, i documenti della Chiesa ribadiscono che il ministro di questo sacramento è il sacerdote, ma la
possibilità che possa essere di nuovo amministrata da laici a ciò appositamente autorizzati è cosa
ritenuta possibile da vari teologi.
FONDAMENTI DOGMATICI: Il magistero, al riguardo, ha subito numerosi cambiamenti
riguardo ai soggetti che adatti a ricevere il sacramento, al ministro e agli effetti sortiti. In una sua
lettera del 416, papa Innocenzo I, scrive che il malato, per mezzo dell’unzione ottiene il
superamento della malattia; la benedizione dell’olio è fatta dal vescovo mentre la sua
amministrazione ai malati può avvenire per le mani di un sacerdote o di un laico o, addirittura a se
stessi. Il Concilio di Firenze del 1439, precisa la materia e la forma del sacramento: L’olio,
benedetto dal vescovo, viene impiegato dal sacerdote per ungere varie parti del corpo di un
moribondo assicurandone la guarigione dell’anima ed, eventualmente, anche del corpo. La formula
usata così recita: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia, il Signore ti perdoni
tutto ciò che hai commesso con la vista” (e poi con le altre parti che unge). Per ognuna delle
“finestre” una formula chiede guarigione e perdono. Si parla di moribondo il quale riceve
dall’unzione la guarigione dell’anima con eventuale guarigione del corpo. Il sacramento non si deve
amministrare se non ad un infermo di cui si teme la morte. Dai ministri che possono amministrare
l’unzione scompare il laico. È il sacerdote, ma non viene specificato nulla per quanto riguarda il
numero.
Anche il Concilio di Trento, nella difesa della verità dei sacramenti della Chiesa, conferma la
dottrina tradizionale, stabilendo che l’unzione dei malato grave, conferisce la grazia dello Spirito
santo per la cancellazione dei peccati, per il sollievo spirituale, frutto della fiducia in Dio (tentativo
di dialogo con i protestanti) ed eventualmente per la guarigione corporea. Afferma che il rito e
l’uso dell’estrema unzione, così come lo pratica la Chiesa cattolica, è conforme con quanto afferma
l’apostolo Giacomo. Il Vatic. II parla di colui che è gravemente malato e indebolito, ma anche di
più soggetti insieme, per ricevere il sollievo e la salvezza mediante l’unzione nella fede in Cristo,
nella chiesa, con il perdono dei peccati.
EREDITÀ PATRISTICA i testi principali dicono che non il vescovo ma i presbiteri benedicevano
l’olio; l’infermo si recava in chiesa coi suoi piedi; l’ammalato poteva ungersi da sé e chiedere poi
l’imposizione delle mani al presbitero; dal rito si ottengono guarigione del corpo e remissione dei
peccati.
EREDITÀ BIZANTINA: Meyendorff , nel parlare della santa unzione, ci ricorda che questa
richiedeva la concelebrazione di 7 sacerdoti; la guarigione era richiesta in un quadro di pentimento
e di salvezza spirituale e non come fine a se stessa. L’unzione simboleggia il perdono divino e la
liberazione dal circolo vizioso del peccato, dalla sofferenza e dalla morte, da tutto ciò che rende
prigioniera l’umanità decaduta. La chiesa chiede attraverso i suoi presbiteri conforto, perdono e
liberazione eterna. Anche nella morte il cristiano resta un membro del corpo di Cristo vivo e risorto
nel quale è stato incorporato mediante il battesimo e l’eucaristia.
TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA: Per Moghila la consacrazione con l’olio,
l’ultima unzione, il settimo mistero, venne fondato direttamente da Cristo quando mandò i suoi
discepoli a due a due, i quali unsero con olio molti malati ed essi guarivano(Mc 6,13). Poi, gli
apostoli e tutta la Chiesa misero in pratica questo mistero come appare chiaramente dall’epistola di
san Giacomo apostolo. I vantaggi di questo mistero sono il perdono dei peccati o la salvezza
dell’anima e la salute del corpo. Matsoukas parla di salute psicosomatica offerta dall’unzione con
olio Santo, la quale continua la guarigione terapeutica di Cristo delle malattie; egli ha sempre
insegnato che la malattia indica l’esistenza del peccato. Di conseguenza la guarigione delle malattie
si differenzia da un semplice trattamento curativo, perché qui si tratta dell’incorporazione nella
Chiesa; tutta l’esistenza del membro si santifica per questa incorporazione, per mezzo
dell’incorporazione nel corpo della chiesa.
TEOLOG. CATTOLICA ORIENT.: L’istruzione del 1996 della Congregazione per le Chiese
orientali, considerando questo sacramento, parte dal testo di Gc 5, che poi anche per l’occidente è il
testo base di questo sacramento: “Se qualcuno tra voi è malato, chiami gli anziani della chiesa e
questi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore… e se ha commesso peccati gli
saranno rimessi”. Da questo testo si ricava la caratterizzazione del sacramento: anzitutto esso viene
dato agli ammalati per la guarigione, ma non solo quella fisica: si sottolinea, come aveva già fatto
Gesù il legame tra peccato e malattia, ma non come conseguenza di una colpa personale, ma,
secondo quanto dice Paolo, il male, il dolore entrano nel mondo con il peccato. Proprio per questo
spesso questo sacramento è unito alla penitenza, quasi fossero un unico sacramento. Essa è
considerata l’ultima unzione, perché l’uomo la riceve alla fine, dopo aver ricevuto quella col
Myron, ma non va considerata estrema, nel senso di “riservata ai morenti”, tanto che il Codice per
le Chiese Orientali (con le giuste riserve, perché in esso gli orientali non si riconoscono pienamente,
perché è molto occidentalizzato come pensiero) dice che al fedele non cosciente si deve dare solo se
si ritiene che nello stato di coscienza egli lo avrebbe richiesto. Il senso dell’ultima unzione è infatti
quello del perdono da parte di Dio e della liberazione dal peccato ma anche dalla sofferenza; si
chiede la guarigione integrale della persona; ma si chiede anche il sostegno per la persona perché
resti salda nella lotta contro il male.
La Congregazione Chiese Orientali parla di sollecitudine da parte del Signore verso gli ammalati il
quale, per mezzo di miracoli e risurrezione dei morti, li strappava dal potere di satana per darli al
Regno del Padre. Tale compito che è stato prettamente di Cristo, è ora della chiesa per opera dello
Spirito Santo, che prolunga ciò che il Verbo incarnato ha compiuto: la lettera di S. Giacomo
evidenzia questo aspetto. L’unzione del malato viene accompagnato dalla preghiera di guarigione
perché l’ammalato guarisca sia nel corpo (dalla malattia) sia nell’anima (dal peccato) legata alla sua
qualità di segno che esprime la guarigione completa della persona. L’unico medico rimane Cristo.
in questo viene in aiuto la liturgia la quale permette di ricordare a Dio che quanto ha operato lungo
la storia della salvezza per la sua misericordia, continui a farlo senza sosta. L’olio degli infermi
equivale alla medicina spirituale offerta dalla misericordia divina all’uomo afflitto dalle miserie
della vita; tale sacramento della chiesa, trae il suo valore dalla preghiera fatta con fede dalla chiesa e
dai presbiteri che la rappresentano; la fede deve accompagnare l’unzione, consapevoli che Dio non
tralascia nulla per condurci nel suo Regno, concedendo alle nostre suppliche solo ciò che è utile
affinché possiamo associarci alla sua morte, quindi partecipare della sua risurrezione.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: La teologia occidentale cerca di spiegare il significato e
l’importanza dell’unzione degli infermi nel contesto della mentalità odierna alla luce della Scrittura
e lasciandosi guidare dalla Tradizione. I sofferenti non si attendono una salvezza isolata dell’anima
ma attendono una salvezza che riguardi l’uomo intero e faccia comprendere il senso della malattia.
L’unzione è segno sacramentale che lo SS vivifica la situazione particolare del malato, unisce in
maniera nuova con Cristo sofferente e risorto e con la comunità; la formula dell’amministrazione è
segno efficace dell’incontro pieno di fede con Dio. Il malato può comprendere con una fede
esistenziale che la sua situazione è messa al servizio della sua salvezza, che nella sofferenza può
incontrare il Dio della salvezza e che sperimenta la vicinanza della Chiesa nella figura del
sacerdote. La congregazione per la dottrina della fede ha messo in guardia dalle varie tendenze
teologiche che mettono in dubbio essere l’unzione degli infermi un sacramento riservato ai soli
uomini e ai soli sacerdoti. Si difende tale posizione per mezzo della parola della lettera di Giacomo
che, nel parlare di presbitero, non si riferisce agli anziani per età di una comunità, bensì a quella
categoria particolare di fedeli che, per mezzo dell’imposizione delle mani, lo Spirito Santo aveva
posto come guide nella chiesa. Tutti i rituali hanno sempre presupposto che il ministro del
sacramento dell’unzione sia un vescovo o un sacerdote, i quali rendono presente in modo del tutto
particolare Cristo Gesù capo della chiesa.
Nella Dichiarazione sulla dottrina sacramentale, elaborata dalla Commissione mista ortodosso-
vecchiocattolica, si richiama ancora una volta il fondamento biblico del sacramento, nel quale i
fedeli vengono unti con l’olio, accompagnato dalle preghiere in vista della guarigione dell’anima e
del corpo. I celebranti sono possibilmente più sacerdoti. I frutti sono la guarigione e il perdono dei
peccati; esso tuttavia non dispensa dal sacramento della penitenza. Essa può essere ricevuta da tutti i
battezzati anche se non sono in condizioni di infermità fisica, ma solo spirituale. La guarigione
spirituale e quella fisica vengono insieme poiché ogni azione umana appartiene alla totalità della
persona. Le preghiere presenti nell’eucologio bizantino riguardano persone incorse in un vincolo
canonico o in uno stato di impurità legale, altre per quelle prese da sconforto e desolazione, ecc…. I
segni che accompagnano la celebrazione del rito sono il Vangelo, che significa al presenza del
Signore in mezzo a noi quale buon samaritano; L’olio pienezza di grazia; il vino aggiunto all’olio
della lampada; il grano che se non muore non porta frutto; la candela la luce della risurrezione; i
sette sacerdoti la comunione ecclesiale. Infine le unzioni della fronte e delle narici si riferiscono al
mondo dei pensieri, mentre le guance e il mento ai sensi; il petto al cuore e le mani alle azioni.
Il rito dell’unzione è associato alla penitenza (sacramento delle lacrime). Inoltre, si parla di Ultima
Unzione perché si fa riferimento alla prima che è il battesimo. Allora battesimo, penitenza e
unzione costituiscono un unico sacramento, un’unica azione di dinamismo crismale. Per questo non
esiste, in Oriente, l’ “estrema unzione” riservata ai morenti: mancherebbe, in questo caso, la
consapevolezza e la dialogicità che è richiesta per partecipare di tale dinamismo di grazia. Il rito
Prevede una vera e propria concelebrazione, secondo quanto riferisce la fonte biblica (Gc 5,14). Il
numero dei presbiteri con celebranti viene identificato in sette, ad indicare la pienezza della Chiesa
mossa a compassione. Il sacramento viene celebrato in chiesa, per gente che può parteciparvi
agevolmente. Questo sottolinea fortemente la sua ecclesialità. La tradizione russa lo celebra il
Giovedì Santo, mentre quella greca propende per il Mercoledì Santo. Vengono proclamate sette
letture bibliche e recitate sette preghiere, con la finalità di chiedere a Dio la guarigione degli
ammalati, ma anche il loro pentimento. Il vero obiettivo finale della celebrazione è la salvezza
spirituale di tutta la persona crismata. Tutta la Chiesa è mossa a compassione dinanzi alla sofferenza
umana come testimoniato dalla presenza dei sette presbiteri. Questa Chiesa è riunita in preghiera e
offre la sua celebrazione per i suoi membri sofferenti, nella maniere più naturale possibile, senza
doversi spiegare questa sofferenza con influssi maligni o azioni straordinarie. La Chiesa, nei
presbiteri, chiede a Dio onnipotente il perdono, il conforto e la liberazione eterna. Ma in tutto
questo non attribuisce ai mali fisici una provenienza spirituale, quasi secondo un’improponibile
teoria della retribuzione.
DIVINA LITURGIA: EUCARISTIA

PARADIGMA: l’eucarestia è sacramento dell’iniziazione cristiana, che rappresenta il nutrimento


nel cammino di vita del cristiano per tutti coloro che partecipano alla Divina Liturgia ed in quanto
tale, è reiterabile; è sacramento di eternità, nel quale si attua e attualizza la commemorazione
eucaristica del mistero pasquale. In Oriente, infatti, è proprio questo (Divina Liturgia) il nome dato
al memoriale del sacrificio di Cristo sulla croce, della sua risurrezione e della sua gloriosa venuta.
Non esiste un culto eucaristico al di fuori di essa come in occidente, che avendo proclamato e difeso
la “presenza reale”, ha fatto dell’eucaristia il centro fondatore del culto e della pietà cristiana. Il
tutto è realizzato dentro una dinamica di “anafora”, che significa “portare in alto, considerato che in
tutto il creato solo l’uomo a la capacità di offrire, elemento comune anche ad altre religioni. Il
sacerdote offre il creato (cristificato) a Cristo, unico mediatore della Nuova Alleanza, il quale lo
offre al Padre.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: In occidente, soprattutto nel grande periodo
della Scolastica e delle dispute eucaristiche, con la lettura della teologia a partire dalle cause, ci si è
chiesti che cosa e quando avvenisse, nel sacrificio della messa, la transustanziazione, secondo
appunto categorie spazio-temporali. A questa ontologia delle cose si accosta l’ontologia delle
persone, cioè l’affidamento a colui che mi dice “credimi”, al fine di illustrare come nella presenza
reale di Cristo si rappresenta e si realizza anche la Chiesa come corpo di Cristo. Al Concilio di
Trento, per rispondere alle accuse dei protestanti, si afferma il carattere sacrificale della messa, ma
non come ripetizione del sacrificio della croce di Cristo, ma come riattualizzazione di esso,
dell’unico e medesimo sacrificio di Cristo offerto una volta per tutte sulla croce, in cui si applica
efficacemente il frutto della sua redenzione. L’Eucaristia è dunque sacrificio della Chiesa e dei
credenti nel senso che, con la sua celebrazione prepariamo il luogo in cui la croce e la risurrezione
diventano per noi, oggi, nuovamente presenti e possiamo sperimentare in Cristo la risposta
perdonante e vivificante del Padre. Il carattere di ringraziamento è data nell’immagine del banchetto
sacrificale dove Gesù unisce salvificamente i convitati con sé e tra di loro per mezzo dei segni
sacramentali del pane e del vino, della memoria della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Questa immagine rappresenta il principio unificante, la forma fondamentale in cui il Signore stesso
ringrazia, sacrifica e si dona in cibo e bevanda di vita eterna, trasformando contemporaneamente i
suoi, in maniera nuova e più profonda nella comunione della Chiesa. Questione del principio
unificante (Ratzinger): l’Eucaristia è la forma fondamentale del banchetto sacrificale di
ringraziamento; il Signore stesso ringrazia, sacrifica e si dona in cibo e bevanda di vita eterna,
trasformando i suoi in maniera nuova, in chiesa. In essa si rappresenta e si realizza anche la Chiesa,
come corpo di Cristo.
FONDAMENTI DOGMATICI: Il concilio di Firenze 1439, stabilisce canonicamente la materia,
la forma e gli effetti del sacramento dell’Eucaristia: 1) il pane di frumento, il vino di uva e l’acqua
costituiscono la materia; 2) la forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore 3) attraverso
di essi avviene l’unione dell’uomo con Cristo, producendo per esso gli stessi effetti che il cibo e la
bevanda materiali producono nella vita del corpo: sostegno, rigenerazione, gioia; in virtù delle
parole di Cristo il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo, contenuto in qualsiasi parte di
ostia e di vino consacrati. Questo comporta l’unione dell’uomo a Cristo, accrescendo in lui la
grazia, rafforza nel bene e preserva dal male. I canoni del Concilio di Trento 1547, canoni
sull’Eucaristia nel decreto “Ad consummationem” sanciscono solennemente la reale presenza del
Signore Gesù Cristo nel sacramento del suo corpo, sangue, anima e divinità, attuati nella
transustanziazione. Per rispondere agli attacchi dei protestanti, stabilisce che nelle ostie o parti
consacrate, dopo la comunione, sussiste il vero corpo del Signore. Esso deve essere adorato con
culto di latria, deve essere onorato con qualche particolare festività e deve essere esposto alla
venerazione del popolo perché venga adorato. Stabilisce, inoltre, che tutti i cristiani sono tenuti a
comunicarsi almeno a Pasqua.
EREDITÀ PATRISTICA: In Giovanni Damasceno troviamo un esempio di grande sintesi di
tutto il pensiero dei padri sia di Oriente che di Occidente. Riguardo al mistero dell’Eucaristia, egli
fa una opportuna similitudine col cibo materiale che attraverso la loro assunzione si trasformano nel
corpo e nel sangue di chi mangia e beve; invece, il pane e il vino dell’offerta, attraverso
l’invocazione dello Spirito santo si tramutano in modo sovrannaturale nel corpo e nel sangue di
Cristo: chi mangia di essi diventa come essi, poiché sono lo stesso corpo divinizzato del Signore.
Per mezzo dell’eucaristia, è possibile partecipare della divinità di Gesù, prendiamo parte del suo
unico corpo che rende uniti quanti si comunicano.
EREDITÀ BIZANTINA: Per il Cabasilas la mensa eucaristica è il vertice dell’economia
sacramentale. La mensa ci dà la morte e il sepolcro e la partecipazione ad una vita migliore; non più
i doni dello Spirito ma il suo benefattore. Col lavacro battesimale ci libera dal fango della malizia e
ci infonde la sua forma, con l’unzione ci rende attivi delle energie dello Spirito. Quando ci dà in
cibo il proprio corpo, lo trasforma interamente e lo muta nella propria sostanza. L’Eucaristia da sola
conferisce la perfezione a tutti gli altri sacramenti: infatti, agisce con essi nell’atto del loro
conferimento. Solo il corpo di Cristo è farmaco contro il peccato, il suo sangue soltanto dissolve i
peccati. Nemmeno la confessione avrebbe efficacia se non si partecipasse al sacro convito. Il sacro
pane rimette la condanna a chi lo riceve con cuore contrito e giustamente afflitto per i propri
peccati. l’eucaristia è il culmine della vita poiché, nel donarsi (Cristo) in cibo, trasforma nella
propria sostanza chi lo riceve; perfeziona gli altri misteri distruggendo l’inimicizia con Dio,
riconciliandoci con Lui; l’eucaristia unisce perfettamente a Cristo perché egli ha preso nel suo corpo
tutto ciò che è proprio della natura umana per aderire a noi in tutto; l’eucaristia fa diventare gli
uomini figli di Dio i quali possono offrire il culto spirituale da figli per mezzo del suo corpo e suo
sangue, in piena comunione con Lui; ci rende pienamente partecipi della sua santità, unendo a se
non solo la nostra natura, ma anche la nostra volontà. Assimilati a Cristo, saremo da Lui rapiti nel
suo apparire glorioso.
TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMP.: Ieromonaco Gregorio (Chatziemmanouil), LA D.
LITURGIA. “Ecco io sono con voi…sino alla fine del mondo”: E’ nella divina liturgia che si
compie l’evento della discesa di Cristo e della sua presenza nella Chiesa. La divina liturgia è Cristo
in mezzo a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). La
divina liturgia è Cristo con noi. Giovanni Crisostomo scrivendo la divina liturgia si è servito di
antiche preghiere liturgiche. Il vero officiante della divina liturgia è Cristo. Il celebrante,
consacrando se stesso a Cristo, diviene strumento di Cristo, sta in luogo di Cristo. Al celebrante si
richiede la purezza angelica, perché sia ministro in un opera che Dio non ha affidato neppure agli
angeli. Così celebrano gli angeli. Così anche il divino Crisostomo celebrava <<il miracolo dei
misteri>>. Davanti all’altare viveva il mistero dell’amore di Dio. Accoglieva dal cielo la carità
divina e la offriva ai suoi figli sulla terra. La sua vita, la sua parola, il suo martirio sono dunque la
migliore spiegazione della divina liturgia. Perché la divina liturgia, cioè Cristo, era la sua vita. E la
sua vita era una continua liturgia ed Eucaristia che innalzava Dio.Nella divina liturgia noi viviamo
l’evento della nostra salvezza in Cristo. Nella divina liturgia si rivive – sotto i segni misterici –
l’intera economia; essa è <<la ricapitolazione di tutta l’economia>>. La divina Eucaristia è la
pasqua incessante della Chiesa. Nella divina liturgia coesistono le realtà vicine e quelle lontane, il
principio e la fine. Perché la divina liturgia è il mistero di Cristo. E come Cristo è <<l’Alfa e
l’Omega, il Primo e l’ultimo, il principio e la fine>> (Ap 22,13), così la divina liturgia è, in Cristo,
la sinassi dello spazio e del tempo e la loro trasfigurazione in spazio liturgico e in tempo liturgico.
La divina liturgia è una teofania trinitaria. Dall’inizio alla fine la liturgia eucaristica ci aiuta a vivere
il mistero della presenza trinitaria. Al termine della divina liturgia la nostra anima “portatrice di
Cristo” effonde la luce trinitaria. La presenza del Dio trinitario conferisce alla sinassi eucaristica le
sue reali dimensioni. Essa è convegno – sinodo – della terra e del cielo. Lo spazio dove si celebra la
santa oblazione diviene <<la tenda di Dio con gli uomini>> (Ap 21,3). Tutta quanta la creazione si
raccoglie in unità e ringrazia Dio. Ecco l’essenza della divina liturgia: il riunirsi, ovvero la sinassi,
dell’universo in uno stesso luogo e il suo mettersi in cammino verso il regno del Dio trinitario.
La divina liturgia è la presenza di Cristo. L’uomo riceve in sé Cristo e Cristo l’uomo. Cristo è al
tempo stesso abitazione dell’uomo e colui che inabita l’uomo. Tale fatto è una dimostrazione del
suo amore per l’uomo. Il fedele grazie alla divina comunione diviene un solo corpo con Cristo,
un’unica mistura, un unico amalgama, un unico impasto. Tra Cristo e il fedele non si frappone più
nulla. Offrendo a Dio pane e vino offriamo il mondo. E il mondo diventa Eucaristia. L’uomo
diviene, per grazia, Cristo e il mondo casa di Dio. Il mistero diventa la porta attraverso cui Cristo
entra nell’uomo e nel mondo. Nella festa dell’Eucaristia tutto si rinnova: il mondo torna a ricevere
la benedizione di Dio e l’uomo è cristificato.
Matsoukas afferma che l’eucaristia attua l’unità del corpo ecclesiale, è nutrimento dei suoi membri
fino alla risurrezione perché mistero che si ripete continuamente, attuando così il suo fine
escatologico. È un sacrificio che dà immortalità ed è anello di congiunzione dei membri del corpo
ecclesiale. Essa è un sacrificio che alimenta, edifica e dona la forza per camminare verso l’eschaton.
La tradizione ortodossa non ha mai spiegato il modo del cambiamento del pane e del vino nel corpo
e nel sangue del Signore. Solo la scienza si occupa della descrizione delle cose create, mentre la
teologia carismatica gusta e sperimenta gli eventi sacramentali. La teologia ortodossa non accetta in
nessun modo né la posizione scientifica del cambiamento né quella secondo cui l’eucaristia è un
simbolo nudo. Meyendorff: Egli fa notare come il conservatorismo rituale bizantino salva
l’originale lex orandi cristiana riaffermando, in questo modo, l’originario realismo sacramentale
nella teologia liturgica. Il cristianesimo primitivo e la tradizione patristica intesero l’eucaristia come
un mistero di vera e reale comunione con Cristo, sulla linea della cristologia e della soteriologia.
Infatti, attraverso di essa l’uomo partecipa dell’umanità glorificata di Cristo: riceve pienezza di vita,
viene trasfigurato attraverso le energie divine. L’eucaristia è un mistero che deve essere ricevuto
come cibo e bevanda e non per essere “visto”. Cristo non è mostrato ma DONATO! L’Eucarestia è
essenzialmente un pasto al quale si partecipa solo mangiando e bevendo. Essa non può rivelare
nulla al senso della vista, poiché è pane dal cielo. Alla vista è offerta un’altra via di rivelazione: le
icone. Il sacrificio si compie mediante una preghiera dell’intera Chiesa che attraverso il potere
ministeriale del sacerdote si compie nel culto. L’epiclesi è il compimento dell’azione eucaristica
proprio come la Pentecoste è il compimento della divina salvezza. È lo Spirito che rende Cristo
presente nel tempo che intercorre fra le due venute in cui l’azione divina non si impone all’umanità,
ma si offre all’accettazione della libertà umana e comunicandosi all’uomo lo rende totalmente
libero. Il tempio è un’immagine del cosmo trasfigurato. La Chiesa come comunità e come edificio è
un segno della nuova era, l’anticipazione escatologica della nuova creazione, il cosmo creato
reintegrato nella sua pienezza originaria. La chiesa si realizza pienamente come tale nell’eucaristia,
criterio ultimo e sigillo di tutti gli altri sacramenti. La chiesa, come corpo di Cristo, è comunione di
Dio e dell’uomo; Dio è presente e attivo e l’umanità diventa accetta a Dio. L’epiclesi è il
compimento dell’azione eucaristica proprio come la Pentecoste è compimento dell’economia
salvifica. L’eucaristia è la chiave dell’ecclesiologia perché la chiesa è il luogo dove Dio e uomo si
incontrano. La teologia bizantina insiste sull’unicità del corpo ecclesiale: tutti devono celebrare
insieme allo stesso altare, attorno allo stesso vescovo, nello stesso momento, perché unico è Cristo.
L’eucarestia è norma teologica suprema della struttura ecclesiastica. La discipline liturgica e il
diritto canonico bizantino cercano di proteggere questo carattere unificante e cattolico
dell’eucaristia: infatti, su ogni altare non si deve celebrare più di un’eucaristia al giorno.
L’episcopato è visto anzitutto nella sua funzione sacramentale, quale immagine di Cristo nel
mistero eucaristico. Non può esserci un ministero più alto di chi presiede l’eucaristia: questo è il
fondamento dell’opposizione bizantina ad ogni interpretazione teologica di primati sovra-
episcopali.
TEOLOG. CATTOLICA ORIENT.: Corbon afferma essere l’eucaristia il sacramento dei
sacramenti. Ci si riunisce nel giorno del Signore per vivere la sua Pasqua nella fede e nella gioia,
partecipando alla sua comunione nella liturgia eterna. Il grande liturgo è lo Spirito Santo, che apre i
nostri occhi e prepara i cuori per riconoscere il Signore; aumenta la nostra fame per essere saziati
dal Pane per morire a noi stessi. Egli parla di fasi del Teodramma, composto da: un preludio, in cui
lo Spirito Santo ci introduce nella liturgia della Parola che manifesta il Signore che viene; un
secondo movimento nell’Anafora che attua per noi la Pasqua del Signore nell’oggi della
celebrazione; un terzo movimento che consiste nella comunione al suo corpo; il finale che apre alla
liturgia da vivere. Nell’epiclesi lo Spirito Santo ci fa vivere Cristo, lo attualizza per noi. L’eucaristia
si svolge tra due Kenosi: quella del Verbo nel suo corpo personale e quella dello Spirito nel corpo
della Chiesa. I referenti Liturgici: Centro del culto cristiano è la celebrazione della Divina liturgia
che è il sacramento del corpo e sangue del Signore. La celebrazione nel suo complesso si divide in
Liturgia della parola e Liturgia eucaristica. Cristo è presente nella sua Parola; è lui, infatti, che parla
quando si legge la Scrittura; la predicazione, attingendo dalle fonti della Scrittura e della liturgia
annuncia le mirabili opere di dio nella storia della salvezza. Le Anafore della liturgia hanno tre
caratteristiche: la veneranda antichità, proclamano la lode e l’azione di grazie a Dio e invocano lo
Spirito. All’interno della celebrazione eucaristica si distinguono diversi ruoli: i vescovi e i presbiteri
hanno la potestà di celebrare la Divina liturgia e i diaconi vi partecipano più strettamente; i fedeli
partecipano attivamente al sacrificio di Cristo. Centro del culto cristiano è la celebrazione della
divina liturgia articolata dalle due parti: Parola di Dio e rito eucaristico. Cristo è presente nella sua
Parola, Lui che parla durante la proclamazione; la predicazione è parte integrante dell’azione
liturgica perché attinge dalla Scrittura e dalla liturgia; la comunione è coronamento; le anafore:
proclamano la lode e l’azione di grazie a Dio, con l’epiclesi invocano lo SS sui doni e sui celebranti.
Vescovi e presbiteri possono celebrare la divina liturgia, i diaconi vi partecipano strettamente uniti
al vescovo o al presbitero; i fedeli partecipano attivamente al sacrificio. La liturgia celebrata col
vescovo esprime la pienezza dell’unità ecclesiale. Si preferisce la concelebrazione piuttosto che le
celebrazioni individuali; anche i diaconi e i laici possono distribuire l’eucaristia, va data sotto le
due specie (sotto una specie è di influsso latino); solo agli infermi assenti e nella liturgia dei
presantificati è possibile ricevere l’eucaristia fuori dalla divina liturgia.L’eucaristia distribuita sia
quella consacrata nella stessa celebrazione.
LA PENITENZA

PARADIGMA: Con la Penitenza entriamo nel campo dei Sacramenti terapeutici; tocca e coinvolge
la dimensione spirituale dell’uomo. Per quanto riguarda il criterio del tempo/eternità, la Penitenza si
colloca nei Sacramenti nel tempo, dati per sostenerci nel nostro cammino storico, atto a realizzare la
conversione dello Spirito. È più corretto parlare di forma sacramentale della Penitenza, perchè
sarebbe troppo riduttivo restringere la realtà penitenziale al solo Sacramento: essa è qualcosa di più
ampio, dentro al quale si colloca anche la forma sacramentale.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID.: In Occidente si discute molto sulle
problematiche in cui verte il Sacramento della Penitenza. La chiesa nel promuovere il sacramento
della penitenza è forte del fatto che la confessione personale dei peccati fa parte della sostanza della
tradizione ecclesiale della chiesa. Nella nostra società, dove si è perso il senso della gravità del
peccato, la confessione è sentita come qualcosa di scomodo e gravoso e non come una liberazione. I
fedeli pensano che il peccato non esista, non trovano nel sacerdote una persona capace di rispondere
alle proprie domande e per questo si preferisce cercare nella scienza, e in particolar modo nella
psicologia, qualcosa che invece è già in noi. Ritornando al peccato dunque è necessario in primo
luogo ammetterne l’ esistenza e secondariamente considerare anche la sua ripercussione a livello
sociale ed ecclesiale. Bisogna passare da una valenza meramente quantitativa della confessione ad
una qualitativa, che permetta a ciascun uomo di mostrare se stesso davanti a Dio e alla comunità e
alla luce di questo ripensare anche la prassi celebrativa che attraverso gesti celebrativi che dicano
accoglienza si possa rispondere all’Uomo pentito che manifesta e confessa la sua miseria. La
confessione deve essere promossa quale gesto di accoglienza attraverso il quale l’uomo pentito
manifesta a Dio la sua miniseria e il suo peccato sperando di ottenere, tramite la grazia e la
mediazione della chiesa, il perdono di Dio che si manifesta come nuova vita dell’ uomo e
riconciliazione nella Chiesa
FONDAMENTI DOGMATICI: La penitenza è presa in esame dal Concilio di Firenze nella
Bolla Exultate deo. Il concilio di Firenze considera la penitenza nei suoi elementi essenziali:
materia, forma, ministro ed effetto. Materia = sono gli atti del penitente distinti in tre categorie: la
contrizione del cuore caratterizzata dal dolore del peccato e dal proposito di non peccare più; la
confessione orale atta a confessare i peccati integralmente e senza tralasciare nulla di ciò che si
ricorda; la soddisfazione dei peccati che avviene principalmente attraverso la preghiera, il digiuno e
l’ elemosina. La forma = parole del sacerdote che dà l’ assoluzione con la formula: io ti assolvo; il
ministro che può compiere la penitenza è il sacerdote ordinario o delegato dal superiore; effetto =
la remissione dei peccati. Il Concilio di Trento attribuisce paternità divina alla penitenza essendo
istituito come sacramento dal nostro Signore per riconciliare l’uomo a Dio ogni volta che cade nel
peccato, dopo il battesimo. In relazione al battesimo, da cui esso è distinto, si può considerare la
seconda tavola di salvezza. Il contesto è quello della risposta ai protestanti che negano il ruolo di
mediazione della Chiesa. La chiesa cattolica sin dall’ inizio ha attribuito a sé stessa il potere di
rimettere e ritenere i peccati sulla base delle parole di Gesù: “a chi rimetterete i peccati, saranno
rimessi a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. Affinché avvenga la remissione dei peccati
si richiedono la contrizione, la confessione e la soddisfazione. La contrizione si ottiene tramite
l’esame di coscienza seguito da un dolore capace di preparare all’ accoglienza della grazia. La
confessione avviene in forma individuale, secondo la tradizione della chiesa si attua in genere e
specie. Affinché il sacramento della penitenza sia amministrato correttamente è necessario che non
si ometta nella confessione nessun peccato volontariamente. Tutti i fedeli sono obbligati a
confessarsi almeno una volta l’anno e l’assoluzione sacramentale è un atto giudiziale. I sacerdoti
sono i soli ministri della confessione e sono idonei anche se in peccato mortale. I vescovi hanno
tuttavia la facoltà di riservarsi alcuni casi.
EREDITÀ PATRISTICA: Arranz Nella sua tesi ricorda che nell’epoca patristica non era in uso
la penitenza così come la conosciamo oggi. La forma sacramentale della Penitenza era destinata a
casi eccezionali, non era rivolta ai cristiani ordinari, ma ai grandi peccatori. Era quindi qualcosa di
eccezionale, i grandi legislatori della Penitenza come Basilio e Crisostomo probabilmente non si
sono mai confessati. Questi esposero la prassi sacramentale della Penitenza in risposta ad alcune
richieste di chiarimenti, ciò voleva dire che essa non era nota comunemente e che non era prassi
generale di tutta la Chiesa. Basilio non produce nulla di suo, ma è testimone di una prassi familiare
già a Gregorio Taumaturgo e resa ufficiale già dal concilio di Nicea. Le sue tre famose lettere
canoniche sono alla base della legislazione penitenziale orientale. Anche la chiesa di
Costantinopoli, a partire dall’ episcopato di Gregorio Nanzianzeno ha lasciato ai singoli la
decisione di partecipare o meno alla comunione, e anche Giovanni Crisostomo che lo seguì si pose
sulla stessa linea. Una volta che fosse trascorso il tempo che l’economo della penitenza aveva
stabilito, avendo controllato ciò il clero, il penitente era riammesso alla comunione, senza che ci
fosse stata un’ assoluzione. Le formule di assoluzione dei peccati erano presenti all’ interno della
messa in certe liturgie del V° sec. Nell’ età post patristica le tariffe penitenziarie sono state ridotte
dal Kanonarion, attribuite a Giovanni il Digiunatore nel VI° secolo, ma in realtà postume.
EREDITÀ BIZANTINA: J. Meyendorff nel testo “la teologia bizantina” afferma che la penitenza
è la riconciliazione della chiesa per i peccati commessi dopo il battesimo. La differenza della
teologia penitenziale bizantina rispetto a quella occidentale afferma l’autore, sta essenzialmente nel
fatto che l’Oriente non interpretò mai legalisticamente la salvezza apportata dal sacramento della
penitenza, non conoscendo ad esempio la dottrina anselmiana della soddisfazione. L’assoluzione
sacramentale era solo incoraggiata ma non richiesta per fare la comunione, anche se Giovanni
Crisostomo invita a entrare in chiesa e a confessarsi per ottenere la remissione dei peccati. Il
ministro era visto come un medico e non come un giudice che ti sottopone ad un’indagine. Nella
chiesa bizantina la figura del confessore non era ben distinta da quella del padre spirituale. Le forme
di assoluzione dei testi penitenziali bizantini sono tutte delle formule di preghiera; le formule
dichiarative, introdotte nel rito bizantino, sono frutto di una latinizzazione di formule di epoca post-
scolastica. Inoltre questa differenza si capisce meglio se si tiene presente la differente visione
antropologica dell’Uomo e la concezione del peccato e del peccato originale. Poiché il peccato è
visto come malattia e il peccatore come prigioniero di satana, la Penitenza è vista dai bizantini come
guarigione e come liberazione e non in termini giuridici. Nell’ antropologia cristiana-orientale il
peccato è innanzitutto una malattia, una passione, non un crimine legale da giudicare punire e
perdonare, il peccatore infatti è un prigioniero di satana mortalmente malato al quale la confessione
e la penitenza possono apportare la guarigione spirituale.
TEOLOGIA ORTODOSSA DELLA PSEUDOMORFOSI.: Nicodemo l’Aghiorita è un greco
che avendo studiato un autore occidentale lo ha poi tradotto e quindi introdotto in Russia come se
fosse un testo ortodosso. Questo testo è formato da quattro sezioni dedicate alla penitenza e alla
direzione spirituale: 1) sorta di manuale dedicata al padre spirituale spiega come bisogna confessare
con frutto: 2) riporta e spiega i canoni e le relative penitenze attribuiti a Giovanni il Digiunatore; 3)
dedicata al penitente, spiega i suggerimenti su come confessarsi convenientemente; 4) è un discorso
generale utile all’anima sulla penitenza. L’insegnamento teorico-pratico sul sacramento della
penitenza parte dal delineare le caratteristiche che deve possedere il padre spirituale (= virtù, santità,
una profonda vita spirituale governata dalla grazia e dal discernimento dello Spirito Santo,
incorruttibilità dinanzi all’ascolto dei tanti peccati dell’ uomo). Inoltre il padre spirituale deve essere
una persona che vive una profonda vita Spirituale nella quale vince e guarisce le sue stesse passioni
(incorruttibile: o come il Sole che attraversa i luoghi sporchi e non si insudicia o come la Colomba
di Noe che passa sui sudici corpi annegati e non si posa su nessuno), per poter ascoltare e
accompagnare coloro che confessano i loro peccati. Questo è necessario perchè il Padre spirituale
possa anche correttamente discernere ciò di cui ogni peccatore ha bisogno. Il Padre spirituale porta
in sé e vive in sé l’icona del Padre misericordioso (che accoglie a braccia aperte Figliol prodigo e
non rimprovera e non si indigna), del Medico (come il samaritano), del Giudice (per la rettitudine
del discernimento e della decisione non provocata da timore, doni, amicizia). Se pertanto pur
essendo passionale, chiedi di diventare Padre spirituale “Guai”… Il sacerdote deve tener presente
che il penitente cerca il perdono, non una punizione, quindi non deve interrogarlo, ma ascoltare la
sua confessione. Il testo continua con l’analizzare i peccati mortali, veniali, di omissione e contro i
10 comandamenti; poi si sofferma sulle circostanze in cui si commette il peccato e sulla presenza di
cattivi pensieri. In seguito tratta del sacramento della penitenza, della confessione sacramentale,
delle preghiere di assoluzione e del segreto confessionale. Per quanto concerne i consigli dati al
penitente su come deve confessarsi troviamo esortazioni e istruzioni sulla preparazione antecedente
al sacramento, sul modo più corretto circa l’ accusa dei peccati, sulla volontaria accettazione del
canone delle penitenze, sui mezzi indicati per un’ efficace prevenzione di ulteriori cadute. Esorta
inoltre il penitente ad approfittare del miracoloso medicamento della confessione per essere guarito.
TEOLOGIA ORTODODOSSA CONTEMP.: Karmiris ritiene che l’ occidente ha falsato la
confessione e la ha ridotta ad un atto giuridico, inoltre afferma il carattere pieno dell’ assoluzione.
Se la confessione è un sacramento medicinale ed è terapeutico e non di condanna, serve ad evitare
ke lo stesso peccato si commetta in seguito. Mediante la penitenza viene concessa da Dio la
remissione di tutti i peccati, essa è come un secondo battesimo. La penitenza degna scioglie tutti i
peccati. Il sacerdote annuncia la remissione dei peccati ma questi ultimi vengono perdonati da Dio
stesso. Il perdono è pieno e completo e non ha bisogno di nessun completamento. Le opere
soddisfattorie sono farmaci per il consolidamento della convalescenza e della guarigione morale
conquistata per lo sradicamento delle passioni: sono mezzi terapeutici pedagogici e correttivi, per il
miglioramento e per il consolidamento nella virtù. Le soddisfazioni non hanno carattere penale-
espiatorio; esse non vengono date dal padre spirituale a tutti i penitenti poichè hanno carattere
medicinale. La chiesa ortodossa respinge la dottrina latina sulle soddisfazioni, sulla distinzione di
pene e colpa (la confessione per gli occidentali rimette la colpa, ma non la pena che potrà essere
anche scontata nell’aldilà in purgatorio), sul fuoco del purgatorio e sulle indulgenze. Karmiris
afferma con forza che nella teologia ortodossa la penitenza è terapeutica e non di condanna.
Matsoukaz nell’ opera “ teologia dogmatica e simbolico ortodossa” mette in evidenza la
dimensione ecclesiale del Sacramento della Penitenza rifacendosi alla tradiz dei Padri. Il peccato e
quindi la conversione e la remissione non riguardano solo il singolo ma tutto il corpo. Storicamente
questo è evidente nella prassi dei primi sec in cui la confessione era pubblica, successivamente
quando divenne segreta la presenza del Vescovo significava tutto il corpo ecclesiale. Parla dei 2
aspetti del Sacraemnto, Conversione e Confessione che costituiscono un Sacramento ripetibile
perchè è continua la guarigione dalle malattie. Ponendo a confronto la fede ortodossa con la
cristianità occidentale spiega che nella chiesa ortodossa il sacramento della penitenza ha due aspetti:
la conversione personale dalle azioni contrarie alla divina volontà (cioè alla vita secondo la natura
di ogni membro e del corpo); la confessione che è il potere del corpo stesso di assolvere i peccati
dopo la loro confessione effettuando un evento terapeutico perchè dà alla penitenza carattere
curativo. Questi 2 aspetti sono un sacramento ripetibile e provoca una guarigione continua dalle
malattie di cui sono affetti i membri del corpo in modo efficace. Tale sacramento è fondamentale
per l’ ascesi e la vita monastica. Proprio per il suo risvolto comunitario nei primi anni la confessione
si faceva pubblicamente e comportava il raduno di tutto il corpo. Della prima confessione segreta ne
parla Origene nel quarto secolo, anche se in un primo momento l’ unico ministro del sacramento era
il vescovo, persona carismatica che rappresentava tutta la comunità.
TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE: La congregazione per le chiese orientali,
riprendendo i canoni del Codice per le chiese orientali al capitolo sulla penitenza, cerca di favorire
un recupero della prassi liturgica del sacramento. Il Sacramento della Penitenza si comprende in
riferimento al NT dove troviamo ricorrente l’invito alla conversione e la promessa della remissione
dei peccati e anche la missione e il mandato dato agli Apostoli di rimettere i peccati. La
predicazione alla conversione del Battista ripresa da Gesù, è continuata da Pietro; Cristo non solo
affida agli apostoli la missione di predicare la conversione e il perdono dei peccati, ma anche la
reale capacità di rimettere questi ultimi. La conversione comporta un cambiamento, porta a
rivolgersi al Signore e consta di: pentimento, penitenza e riparazione. Tutti possono ottenere la
remissione dei loro peccati, partecipando alla morte e resurrezione di Cristo, cioè morendo a se
stessi per vivere con Dio. L’orientamento penitenziale accompagna tutta la vita cristiana e appare in
ogni manifestazione del culto, richiede verità, il riconoscimento del proprio peccato e la necessità di
cambiare strada. Nell’ anno liturgico, nelle liturgie quotidiane e nel periodo di preparazione alla
Pasqua si usa pregare utilizzando spesso il Salmo 50, attraverso il quale si invoca perdono e si
chiede il dono dello Spirito Santo. Ciò ripresenta continuamente un atteggiamento penitenziale. Vi è
un atteggiamento penitenziale anche negli altri sacramenti: la beata purificazione dei peccati nel
battesimo, il culto spirituale per i peccati e le mancanze del popolo nella celebrazione dell’
Eucarestia, la remissione dei peccati nell’ unzione dei peccatori in svariate preghiere liturgiche e
nella penitenza. Inoltre, si ottiene la salvezza non soltanto dalla celebrazione del sacramento
specifico in ambito liturgico, ma anche con digiuni, l’elemosina e i pellegrinaggi in determinati
luoghi come monasteri o comunque luoghi isolati dove il dono ineffabile del penthos ovvero il lutto
per i propri peccati fa nascere a vita nuova nello spirito. Il sacramento della penitenza nella sua
celebrazione ordinaria permette alla chiesa di venire incontro all’ umana fragilità e consente una
nuova penitenza dopo il battesimo realizzando in pienezza le energie battesimali, l’adesione a
Cristo, disponendo a ricevere la divina eucaristia. Ordinariamente la remissione di un peccato grave
si ottiene con la confessione individuale integrale e con l’ assoluzione. Anche se non si sono
commessi peccati gravi si consiglia di ricevere questo sacramento. La penitenza ha un valore
comunitario perché la riconciliazione con Dio è anche riconciliazione con la chiesa. La penitenza è
sempre accompagnato da preghiere dichiarazioni ammonizioni davanti un’ icona di Cristo. La
confessione individuale ha valore e significato poiché l’ assoluzione non può essere impartita a più
penitenti senza che il confessore non abbia ascoltato i peccati.
TEOLOGIA ORIENTALE IN DIALOGO. Commissione teologica mista Orientali-cattolica
dichiara che previo un sincero pentimento, con cuore contrito, e la confessione dei peccati in
presenza di un sacerdote, privatamente, i fedeli attraverso il sacramento della penitenza ottengono il
perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Il Signore infatti ha prima promesso e dopo la
resurrezione conferito agli apostoli il potere di rimettere i peccati, questi a loro volta li hanno
trasmessi ai loro confessori. Questo sacramento è di origine divina, come testimoniano gli scritti dei
padri e la tradizione canonica e liturgica. I ministri del sacramento della confessione sono il vescovo
e i sacerdoti da lui autorizzati. Dio si serve del sacerdote per rimettere i peccati. Il sacerdote può
imporre pene ma non punitive al fine di migliorare spiritualmente il peccatore e di non farlo
ricadere nello stesso peccato. Non esiste peccato o colpa che non possa essere perdonato. I referenti
sono liturgici e mistagogici. Comparando i riti sacramentali romani e bizantini circa la penitenza
notiamo che per quanto riguarda i riti iniziali romani sono formati da: accoglienza del penitente,
saluto e orazione, quello bizantino inizia con una preghiera davanti in genere ad una icona. Nel rito
romano segue la lettura della parola di Dio e il rito della riconciliazione. Nella tradizione bizantina,
la penitenza si svolge così: di fronte all’ icona di Cristo avviene l’ accoglienza, segue la litania
iniziale in cui si invoca la misericordia, poi la preghiera dei penitenti, dove si chiede il perdono dei
peccati la guarigione delle infermità, poi le preghiere comuni, il salmo 50 con cui si chiede
misericordia a Dio attraverso la presa di coscienza del proprio peccato, la contrizione, il
rinnovamento spirituale, poi la confessione dei peccati durante la quale il confessore invita il
penitente a confessare le proprie colpe a Cristo senza paura per ricevere il perdono; ponendosi quale
testimone di fronte alla Sua santa icona. Nell’ assoluzione il confessore ricorda ai penitenti che
stanno ricevendo proprio da Dio il perdono non in virtù della soddisfazione ma per l’ infinita
misericordia di Dio e per la soddisfazione infinita che il Figlio dell’ uomo si meritò per i peccatori.
Il rito si conclude con il congedo e la preghiera di assoluzione dalle epitumie. Nel Codice Orientale
si ricorda che nella penitenza i cristiani che hanno commesso dei peccati dopo il battesimo, condotti
dallo spirito si convertono di cuore a Dio e mossi dal dolore dei peccati e con il proposito di una
vita nuova confessano al sacerdote i propri peccati e accettano la soddisfazione e ottengono da Dio
il perdono, vengono riconciliati con la chiesa, crescono nella vita cristiana e possono ricevere la
divina eucarestia. Chi sa di aver peccato gravemente riceva questo sacramento, e lo riceva
frequentemente specie nei tempi di digiuno e penitenza. La confessione, individuale e integrale che
prevede l’ assoluzione è il modo ordinario per ricevere l’ assoluzione dei peccati a meno che non vi
sia impossibilità fisica e morale. Il sacramento della penitenza è amministrato solamente da un
sacerdote. L’assoluzione può essere comune in questi casi: pericolo di morte, notevole numero di
potenziali penitenti a differenza dei presbiteri presenti in un particolare territorio. In ogni caso serve
una prescrizione generale da parte del vescovo. I fedeli devono essere animati da vero pentimento e
devono fare proposito di confessare prima possibile i loro peccati in una confessione personale; di
tutto ciò i fedeli devono essere istruiti in merito.
MATRIMONIO

PARADIGMA: Il paradigma tra i sacramenti di istituzione posiziona il sacramento del matrimonio


(l’altro è l’Ordine). Esso fa parte dei sacramenti per il tempo, ed è funzionale alla paternità naturale.
Bisogna oltretutto sottolineare che il matrimonio è una realtà naturale innalzata a sacramento.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: Gaudium et Spes 48-52 rivede la concezione
occidentale sul matrimonio mostra che nel tempo, il matrimonio è stato liberato da alcune
concezioni che alteravano la sua natura: ora si ha una concezione più personale del matrimonio
(valorizza l’amore tra i coniugi), allontanando la concezione di “cosa” che si aveva del matrimonio;
Le nozze sono il fondamento di questo sacramento. L’amore postula il sacramento: questo amore è
stato elevato a dignità di sacramento. Si propone una dinamicizzazione della concezione del
matrimonio che è considerato un cammino dei coniugi insieme a Cristo stesso; si promuove una
degerarchizzazione dei fini del matrimonio attraverso il riconoscimento della pluridimensionalità
dei fini e del senso del matrimonio liberandolo da una concezione “giuridica”, dando spazio ad una
concezione di indissolubilità come dono e amore reciproco che fonda unità. Infine si tenta una
storicizzazione della concezione del matrimonio, attraverso una visione più storica della attuazione
del matrimonio fatta del confronto della coppia, ossia delle persone che la compongono, con la
cultura e le coordinate socio-antropologiche del proprio tempo. Una vera e propria dimensione
incarnata dell’amore coniugale.
Il matrimonio costituisce una realtà profondamente umana, naturale, la rivelazione divina ne
fornisce una precisa risposta sacramentale: Dio stesso è l’autore del matrimonio. Si tratta di una
vera e propria vocazione, specificazione della vocazione battesimale, che coinvolge la singola
persona in tutta la sua esistenza. Il reciproco amore dell’uomo e della donna, fondato sulla
creazione della prima coppia umana, diventa immagine dell’amore assoluto di Dio verso l’uomo. I
protagonisti dell’alleanza matrimoniale sono l’uomo e la donna che esprimono liberamente il loro
consenso. Il Matrimonio si fonda proprio su questo consenso, su questa volontà di donarsi
mutuamente e definitivamente, Sono loro quindi, i ministri del matrimonio, in quanto sono loro a
realizzare il patto coniugale. Il concetto di ministro del sacramento, tuttavia, è da applicarsi in senso
analogo rispetto a quello che ha negli altri sacramenti. Gli sposi, infatti, sono ministri soltanto del
proprio matrimonio, non del sacramento del matrimonio in generale e non agiscono come i
presbiteri in persona Christi, ma in nome proprio, per realizzare la donazione delle loro persone.
L’unità, l’indissolubilità e l’apertura alla fecondità sono essenziali al matrimonio.
Rimangono, comunque, in occidente delle questioni “aperte” come il fatto che la Chiesa rivendica il
diritto di sciogliere il vincolo di matrimoni non consumati fra battezzati (ascrivendosi alla semplice
attualità del rapporto sessuale) attribuendosi la forza di fare un matrimonio condizionatamente
indissolubile. Inoltre se si può vivere un matrimonio indissolubile come dono ed esigenza solo nella
fede, possiamo esigere l’indissolubilità nello stesso modo anche nel caso di battezzati, i quali hanno
sì la volontà di contrarre matrimonio, ma per i quali la fede è una cosa estranea? Il loro matrimonio
è un matrimonio sacramentale in senso pieno? E ancora, se una volta fallito un matrimonio
sacramentale, non possiamo fare come se nulla fosse stato, in quale senso si può conciliare la
tolleranza o addirittura il riconoscimento ecclesiale di un nuovo rapporto coniugale, la cui
interruzione comporterebbe per gli interessati una nuova colpa (per i figli), anche se esso non è un
sacramento?
FOND. DOGMATICI: Il Concilio di Firenze, nella Bolla exultate Deo afferma che il settimo è il
sacramento del matrimonio, simbolo dell’unione di Cristo e della Chiesa, come dice l’apostolo:
“Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla chiesa”. La Causa efficiente del
sacramento del matrimonio è il mutuo consenso. Triplice è lo scopo del matrimonio: ricevere la
prole ed educarla al culto di Dio, la fedeltà che un coniuge deve conservare verso l’altro,
l’indissolubilità del matrimonio, che significa l’unione indissolubile di Cristo e della chiesa (tria
bona matrimonii). A causa dell’infedeltà è permesso separarsi, ma non contrarre un altro
matrimonio: il vincolo del matrimonio legittimamente contratto è eterno.
Il Concilio di Trento dinanzi ai protestanti, che negano la sacramentalità del matrimonio perché
manca il fondamento biblico e scritturistico, afferma che il vincolo del matrimonio fu dichiarato
solennemente perpetuo e indissolubile dal primo padre del genere umano quando disse, sotto
l’ispirazione dello Spirito santo: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa…
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una
sola carne”. Questo vincolo deve unire e congiungere due persone soltanto “Così che non sono più
due, ma una carne sola” (Mt 19,6) e immediatamente confermò la stabilità di quel vincolo,
affermata da Adamo tanto tempo prima, con queste parole:”Quello dunque che Dio ha congiunto,
l’uomo non lo separi”.Cristo con la sua passione ci ha meritato la grazia che perfeziona quell’amore
naturale, ne conferma l’indissolubilità e santifica gli sposi. “Voi, mariti, amate le vostre mogli,
come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei” “Questo sacramento è grande: lo dico in
riferimento a Cristo e alla chiesa”. Il matrimonio è uno dei sette sacramenti della legge evangelica,
istituiti da Cristo. Il concilio considera anatema chi avrebbe detto che solo i gradi di consanguineità
e di affinità enumerati nel Levitico possono impedire di contrarre il matrimonio e chi dice che la
chiesa non può dispensare da qualcuno di essi o costituirne in numero maggiore che lo impediscono
e lo sciolgono. La chiesa, infatti, può stabilire degli impedimenti dirimenti il matrimonio. Si afferma
che il matrimonio rato e non consumato si può sciogliere con la professione solenne di uno dei
coniugi, ma non si può sciogliere il vincolo del matrimonio per adulterio di uno dei coniugi.
Stabiliva possibile la separazione col venir meno della coabitazione tra i coniugi, a tempo
determinato o indeterminato e dice che i chierici costituiti negli ordini sacri o i religiosi che hanno
emesso solennemente il voto di castità non possono contrarre matrimonio. Ribadisce che lo stato
coniugale non è da preferirsi alla verginità o al celibato.
EREDITÀ BIZANTINA: Meyendorff, a proposito del Matrimonio afferma che la tradizione
bizantina sottolinea l’assoluta unicità del matrimonio cristiano. Il matrimonio,infatti, riflette
l’unione fra Cristo e la chiesa e in quanto tale può essere soltanto unico e eterno e la morte non lo
può distruggere. Nella sua natura sacramentale il matrimonio trasfigura e trascende l’unione carnale
e il contratto legale è proiettato nel regno eterno di Dio (questo è più che per la chiesa cattolica, per
la quale in vincolo sacramentale dura vita natural durante) Il tipo di amore coniugale è
pneumatoforo; è l’alleanza di Dio con gli sposi: Dio liberamente e per amore si unisce con questa
realtà della coppia e il suo amore è eterno e fedele e rimarrà per sempre nonostante il limite e le
difficoltà della coppia. L’indissolubilità riguarda Dio, che è fedele per sempre. L’uomo e la donna
sono naturalmente chiamati a vivere insieme; e questo legame naturale con la benedizione diventa
la materia per la dimensione sacramentale. La Chiesa orientale non ammette né la poligamia, né il
divorzio perché sono attentato alla dimensione cristologica ed ecclesiologica; infatti, se si
ammettesse il divorzio, sarebbe un’eresia cristologica, non un semplice fatto morale, perché
equivarrebbe ad ammettere che in Cristo la natura umana e quella divina sono separate, arrivando a
negare l’incarnazione stessa. Tuttavia viene riconosciuto un divorzio esistente di fatto perché
sarebbe assurdo proporre come icona del sacramento nuziale una coppia in cui non vi è amore.
L’idea delle seconde nozze si regge sulla visione della icone: i coniugi che hanno deturpato il
sacramento del matrimonio non possono essere riconosciuti dalla Chiesa come icona, perché la
scandalizzano, la offendono. Non si tratta più di una icone credibile.
È proprio in questo dinamismo che la tradizione bizantina inserisce la “possibilità” del divorzio e
delle “seconde nozze”. In realtà il divorzio non è concesso ma piuttosto constatato e riconosciuto
come realtà di fatto a delle precise condizioni: che ci sia la morte di uno dei coniugi, dell’amore, o
della fede (in caso di apostasia). Così come le successive nozze: la chiesa ha il potere di permettere,
secondo una oiconomia pastorale, a chi ha fallito il primo matrimonio, di ritentare una nuova
esperienza di vita comune. C’è in realtà una distinzione essenziale fra il primo matrimonio e quelli
successivi; per questi fu introdotta una cerimonia particolare di carattere penitenziale, separata
dall’Eucaristia. Quindi il secondo e terzo matrimonio non costituiscono la norma e come tali sono
sacramentalmente incompleti. La concezione ortodossa è una concezione profondamente
personalistica fondata sull’amore. Queste non sono un sacramento, ma soltanto un atto di
misericordia della Chiesa, che ammette la persona che non è chiamata a vivere la vita celibataria, a
vivere una vita sponsale in un cammino penitenziale. Hanno carattere penitenziale: tant’è che il
celebrante non può andarvi a pranzo. Non si può fare festa. Fino al X secolo nessun matrimonio sia
di vedovi che di divorziati era benedetto in chiesa. La tradizione bizantina considera il problema
delle seconde nozze nell’ambito della disciplina penitenziale. La possibilità del divorzio è parte
integrante della legislazione civile bizantina. Esso è un elemento inevitabile della vita umana nel
mondo decaduto in cui l’uomo può accettare la grazia e rifiutarla. Il compito della chiesa è di non
compromettere mai le norme del vangelo, ma di mostrare compassione e misericordia per la
debolezza umana. La chiesa conservò in linea di principio, una distinzione essenziale fra il primo
matrimonio e i successivi. Il secondo e il terzo matrimonio, infatti, sempre possibili, erano
sacramentalmente incompleti. I bizantini sottolineavano l’unicità e l’eternità del matrimonio e non
lo considerano un contratto legale automaticamente risolto dalla morte di uno dei contraenti. Le
seconde e terze nozze erano tollerate ma non approvate. Nella prassi bizantina il divorzio è solo
tollerato. La cerimonia delle nozze poteva svolgersi in chiesa ma anche in casa. Le seconde nozze
erano solo tollerate; le terze nozze potevano venire celebrate con espressa licenza del Vescovo.
Quanto alle seconde nozze, non concesse assolutamente ai chierici, erano tollerate, senza solenne
benedizione per i laici rimasti vedovi. Le terze nozze, le ultime ad essere ammesse, non potevano
venire celebrate senza espressa licenza del Vescovo e questa si concedeva solo in casi di vera e
comprovata necessità. Il matrimonio è un sacramento che deve proiettarsi come vincolo eterno nel
regno di Dio. Esso esige una libera risposta e implica la possibilità di un rifiuto umano e di un
errore umano. Il pentimento permette sempre un nuovo inizio.
TEOLOGIA ORTODODOSSA CONTEMP.: Matsoukas, nella Teologia dogmatica e simbolica
ortodossa. Esposizione della fede ortodossa in confronto alla cristianità occidentale, parla del
matrimonio e dice che il matrimonio è un sacramento istituito con la benedizione di Dio sin dalla
creazione. L’unione dell’uomo e della donna tramite un legame naturale e la benedizione sono a
fondamento del sacramento, come afferma Basilio Magno. Benché la teologia patristica consideri
l’unione tra l’uomo e la donna come un sacramento compiuto, essa non smette di sottolinearne le
conseguenze, ossia la procreazione, che costituisce l’antidoto contro la morte. Giovanni
Damasceno osserva che l’invenzione del matrimonio mira alla sconfitta dell’ultimo nemico
dell’uomo, cioè della morte. Il matrimonio costituisce una continuazione nel compimento del
cammino storico verso la perfezione. Ogni sacramento costituisce una cellula del corpo vivo che
cammina nella storia, ma l’incorporazione del matrimonio nella chiesa del Paraclito comporta un
suo perfezionamento. Paolo fa un parallelismo tra l’unione matrimoniale e l’unione chiesa-sposa
con Cristo. Tuttavia la teoria dell’indissolubilità del matrimonio ha un senso pedagogico e mai
dogmatico. La sollecitazione di Cristo fonda un comandamento: gli sposi non devono divorziare
poiché la loro unione è benedetta da Dio. Non significa un’unione magica, ci vuole una
cooperazione della volontà dell’uomo. Il non separarsi è un esigenza divina. Gli uomini possono
liberamente sciogliere il loro matrimonio e uccidere il loro prossimo, ma sono in grave peccato.
Stephanos Charalambidis, in Ministeri e carismi nella Chiesa ortodossa, parlando del Divorzio e
delle seconde nozze dice che trattare di divorzio è una cosa delicata poiché le prese di posizione
teoriche sono largamente determinate da presupposti confessionali o politici. Il tema dell’amore
umano attinge al mistero dell’esistenza personale e ancor di più bisogna seguire il precetto
evangelico di non giudicare. L’unicità del matrimonio cristiano è a immagine di Cristo e della
chiesa così da far comprendere che lo sposarsi più volte è determinato dai bisogni dell’uomo
vecchio e non da quelli del regno di Dio. Non è compito della chiesa dettare leggi allo Stato o
cercare di bloccarle come qualsiasi gruppo di pressione. La chiesa ispira e santifica, non costringe;
suo tentativo è, infatti, quello di cambiare i cuori. Anche per i suoi figli la chiesa deve essere una
madre misericordiosa e non un impersonale potere giuridico. I padri spirituali bisogna che adattino
con grande rispetto i precetti che riguardano l’amore umano ad ogni destino personale. L’ortodossia
insiste quanto il cattolicesimo sul mistero della monogamia, e forse è ancora più rigorosa visto che
non incoraggia il nuovo matrimonio del vedovo, matrimonio che, comunque sia, è accompagnato da
un rito penitenziale. La chiesa ortodossa, fedele al principio enunciato da san Paolo tollera le
seconde nozze come una deroga alla norma cristiana a causa dell’umana debolezza. San Basilio
Magno precisa che il secondo matrimonio, dopo vedovanza o divorzio, suppone uno o due anni di
penitenza, cioè di interdizione della comunione, mentre il terzo matrimonio quattro o anche cinque
anni di scomunica. Il rito delle seconde nozze è diverso dal comune rito del matrimonio. Non è
preceduto dall’ecfonesi e le abituali preghiere nuziali sono sostituite da altre a carattere
penitenziale. Pertanto, pur basandosi sulla parola di Cristo che vieta il divorzio al cristiano, salvo in
caso di porneia, vale a dire una situazione di adulterio e di fornicazione, capita a volte di constatare
la morte di una coppia, di registrare l’avvenuta modificazione e di ridare ad un divorziato il
sacramento del matrimonio. L’amore è un fatto che diviene comprensibile solo a chi ne fa
esperienza; non è compatibile con l’adulterio: in tal caso la chiesa non scioglie il matrimonio,
poiché il matrimonio quale unione d’amore non esiste più. Così l’uomo è privato della possibilità o
del desiderio di ricevere in lui il dono del sacramento e di conformare la sua vita alla grazia che gli
è stata donata. In questo caso la chiesa può portargli il suo aiuto pastorale e tollerare il secondo
matrimonio come un male minore oppure, se il primo matrimonio è stato un fallimento, anche come
un’ulteriore possibilità. La chiesa riconosce così che esistono casi in cui la vita coniugale è svuotata
della sua sostanza sacramentale e potrebbe portare alla perdizione dell’anima. L’indissolubilità
rischia di costringere alla menzogna; cercando di proteggere il bene comune si distrugge il bene
della persona. La grazia è nel matrimonio offerta a una coppia, cioè all’accordo della libertà di due
esseri umani. Se un comune pentimento e un reciproco perdono non sono più possibili, e la coppia
non esiste più e non può più inserirsi nella corrente d’amore che lega Cristo alla sua Chiesa, come è
possibile allontanare dalla comunione questi destini spezzati? Oserà la chiesa allontanare dalla
comunione l’adultera, la prostituta, la donna che ha avuto cinque mariti e che ora vive con un uomo
al quale non è unita in matrimonio? Chi siamo dunque noi per gettare la pietra del giusto? La chiesa
ortodossa, in apparente contraddizione con la sua natura escatologica, lascia ai divorziati la
possibilità di vivere la realtà dell’unicità del matrimonio cristiano in un quadro rifatto dopo il primo
fallimento e ciò malgrado pone fortemente l’accento sull’unicità del matrimonio cristiano autentico
e sulla continuità della comunità coniugale. Dopo aver stabilito la situazione reale, bisogna
esaminare e valutare il fatto che il matrimonio è il sacramento dell’amore e la via della theosis e ciò
nella prospettiva di un rinnovamento di cui tutte le cose sentono l’urgenza. Che cosa può significare
il divorzio religioso o ecclesiastico? Il divorzio non è religioso, non è una realtà che appartiene alla
chiesa una e santa. Il divorzio si collega alle condizioni della terrestre esistenza della chiesa, come
una continuazione del vecchio Adamo corrotto. Il cristiano è cittadino del cielo malgrado le sue
debolezze e il suo peccato, uomo escatologico, profeta e martire. La distinzione tra tolleranza e
legittimità non è solo una sottigliezza di linguaggio coniugale. La benevolenza pastorale deve
considerare la debolezza umana, l’immaturità psicologica e soprattutto spirituale di numerosi
contemporanei e inoltre situazioni assolutamente imprevedibili le quali s’abbattono talvolta sui
migliori.
TEOLOGIA ORIENTALE IN DIALOGO. La Commissione teologica mista ortodossa-
vecchio cattolica, nella dichiarazione sulla dottrina sacramentale afferma che il matrimonio è
un’istituzione fondata da Dio. È stata da lui stabilita, al momento della creazione, come comunità
d’amore e d’assistenza reciproca fra l’uomo e la donna. In seguito è stata benedetta dal Signore e
stabilita a Cana. Dio protegge e benedice la vita comunitaria dell’uomo e della donna. L’immagine
dell’uomo e della donna nella loro unione matrimoniale già nell’antico testamento rappresentava
l’unione di Dio con il suo popolo. Nel NT è un’immagine che esprime la relazione di amore e di
unità che esiste fra Cristo e la sua chiesa. Al matrimonio Dio ha collegato la procreazione.
Attraverso la creazione e la educazione dei figli l’uomo diventa collaboratore di Dio e continua
l’opera del creatore. Grazie i figli, con i quali i genitori costituiscono la vita domestica, i genitori
conoscono la bellezza della maternità e della paternità. Il sacramento del matrimonio è quello
dell’amore per eccellenza e l’unione nell’amore dei due sposi è il fine principale del matrimonio.
Altro fine del matrimonio come abbiamo detto è la procreazione dei figli. Il consenso del
matrimonio è necessario per il matrimonio che viene compiuto come sacramento nella celebrazione
da un membro canonico del clero. La sacralità del matrimonio e il carattere spirituale dell’unione e
della comunione delle persone, benedette nella celebrazione secondo il modello dell’unione di
cristo con la chiesa, costituiscono il fondamento della coscienza ecclesiale della perpetuità
dell’unione e dell’indissolubilità del matrimonio. L’apostolo Paolo parla della possibilità, per chi
resti nello stato vedovile di contrarre nuove nozze, anche se è preferibile il contrario. A rigore del
diritto canonico al matrimonio viene posto fine solo dall’adulterio o dalla morte di no dei due
coniugi. Ma l’indulgenza e la misericordia della Chiesa accordano il divorzio anche per la altre
ragioni analoghe. Gli sposi della responsabilità che hanno assunto di glorificare Dio insieme e nel
loro corpo rispondono allo tesso modo. Il matrimoni, infine, non è incompatibile con il sacerdozio.
La chiesa antica permetteva agli ordinandi di scegliere liberamente tra la vita celibataria e lo stato
matrimoniale, essa vietava solo agli ordinati di risposarsi nel caso fossero rimasti vedovi.
L’impossibilità di contrarre le nozze dopo l’ordinazione invece era data dal fatto che l’ordinando
pronunciava voto di castità. Matrimonio e continenza non si oppongo ma sono strade parallele per
crescere nella perfezione cristiana. I referenti. Liturgici Ponendo a confronto i riti orientali con
quelli occidentali si nota che in Oriente il sacramento ha come ministro il sacerdote e non gli sposi.
Il testo delle preghiere propone un’unione definitiva fra gli sposi come quella di Cristo con la
chiesa. Il Codice delle chiese orientali dice che il Matrimonio è il patto matrimoniale, fondato dal
Creatore, e strutturato di sue leggi. L’uomo e la donna stabiliscono il consorzio dell’intera vita. Esso
è ordinato al bene dei coniugi, alla generazione ed educazione dei figli. Per istituzione di Cristo il
matrimonio valido tra battezzati è un sacramento con il quale i coniugi sono uniti da Dio,sono
costituiti immagine dell’unione indefettibile di Cristo con la Chiesa, sono consacrati e irrobustiti
dalla grazia sacramentale. Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: l’apporto che la teologia orientale può dare è notevole per le
sue tre prospettive: la concezione personale che evidenzia l’unione nell’amore della coppia
cristiana, unita nel cammino insieme a Cristo; la pluridimensionalità dei suoi fini; diversa visione
dell’indissolubilità che fonda la legittima prassi del “divorzio” e delle seconde nozze. Il matrimonio
è un’alleanza asimmetrica: quando Dio stipula l’alleanza con Abram, è lui che passa in mezzo
all’animale; quando Dio si allea con l’uomo, lo prende dal polso, per simboleggiare la sproporzione
tra lui e l’uomo. L’indissolubilità del matrimonio sottolinea proprio quest’aspetto. C’è differenza tra
indissolubilità intrinseca (di Dio) ed estrinseca (degli sposi). Per gli orientali l’indissolubilità
riguarda Dio nei confronti della coppia, non gli sposi fra di loro.
Secondo la teologia occidentale, il matrimonio è un contratto che può essere ripetibile. Secondo la
teologia orientale, caratteristica del matrimonio è la sua unicità che è eterna, cioè persiste anche
dopo la morte (a differenza dell’occidente: finché morte non ci separa….). Il matrimonio è
indissolubile, sia dal punto di vista pedagogico che dogmatico, perché vuole sottolineare due
dimensioni: quella cristologica, in cui sono presenti la natura umana e divina (Calcedonia); quella
ecclesiologica, di chiesa “una” e indivisa corpo di Cristo. Il “divorzio” allora vuole esprimere il
fatto che non è possibile prostrarsi dinanzi ad un’icona, quale può essere un matrimonio in cui non
c’è più amore, perché diviene mistero deformato, quindi idolatria: il “divorzio” preserva la parte
sana dal contagio.
Per l’Occidente, ministri sono i due perché accento sul patto; per l’Oriente ministro è il sacerdote
perché al centro c’è la benedizione che fa il matrimonio: esso è un sacramento che dunque imprime
carattere.
La teologia bizantina: rileva che per gli occidentali è un contratto: tant’è che se uno dei 2 coniugi
muore, è ripetibile.
Per gli orientali, è un sacramento che viene donato all’uomo, il quale può custodirlo o svilirlo.
Occidente preferisce la dimensione pattuale e giuridica così la morte di uno dei due scioglie il patto;
invece, per l’Oriente esso non è patto ma sacramento e dunque va oltre la morte di uno dei due.
Chiesa d’Oriente tollera, non accetta il divorzio;
Occidente: No, nuove nozze: chi ha fallito non ha altre possibilità, per l’Oriente invece si, fino alla
terza volta. la Chiesa cattolica concede la dispensa solo ai matrimoni rati e non consumati, facendo
dipendere il principio dell’indissolubilità dinanzi alla consumazione del rapporto matrimoniale.
Invece, la Chiesa ortodossa non si sofferma così tanto sull’atto sessuale, e ammette il divorzio
anche per i matrimoni consumati. In modo particolare si ammette la rottura del vincolo
matrimoniale nel caso di: adulterio di uno dei due coniugi, apostasia Tutte le cause infatti si
riducono però a tre tipi di morte:
1. morte della materia stessa del sacramento, ossia l’amore, a causa dell’adulterio;
2. morte religiosa, per apostasia;
3. morte civile da condanna;
Per le seconde nozze è necessario avere compiuto le epitemie a carattere penitenziale, imposte dalla
Chiesa; il colpevole non può accedere al sacramento dell’ordine, in quanto ha già inferto alla chiesa
una ferita molto grave, se non dopo le epitumie.
Le terze nozze: L’interessato deve avere più di 40 anni, non deve avere figli, ed è privato della
comunione per 5 anni. Se ha 30 anni ed è con figli si può risposare dopo aver compiuto un’epitemia
di 4 anni.
In relazione alle seconde nozze, il divorzio concesso ai coniugi si limita a constatare e ratificare uno
stato di fatto. Non è ammesso il divorzio per mutuo consenso. Solo il vescovo può dichiarare
fallimentare il vincolo.
Il coniuge colpevole, poi, non è autorizzato a risposarsi.
Ci sono delle condizioni per contrarre le seconde nozze:
- la penitenza
- il sacerdote non può prendere parte al pranzo di nozze….
ORDINE

PARADIGMA: Nel paradigma collochiamo il sacramento dell’ordine (Sacerdozio) tra i sacramenti


per il tempo, che ha come fine la paternità spirituale, soprannaturale, e insieme al matrimonio
questo sacramento è un sacramento di istituzione. Il sacerdozio riguarda anche il governo della
chiesa; non è ripetibile.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: il sacerdozio, nel cristianesimo del NT, non
è la continuazione del sacerdozio veterotestamentario. Per gli occidentali il sacerdozio
neotestamentario significa partecipazione agli uffici di Cristo. Il prete è rappresentante di Cristo. Il
sacerdozio sarebbe l’autorizzazione ufficiale a rendere Cristo visibile e udibile come Signore della
chiesa soprattutto mediante la parola e il sacramento. È il rappresentante di colui che invia e di
coloro a cui è inviato; il ministero trova il suo ambito all’interno della stessa missione che fu di
Gesù Cristo (Greshake). Compito del sacerdote è quello di rendere visibile e udibile Cristo
mediante la parola e il sacramento dell’ordine. L’ordinazione imprime un sigillo, ovvero un
carattere indelebile. La chiesa cattolica romana ha legato il suo sacerdozio a una forma celibataria
dei vita, scelta che però non poggia su nessuna ragione dogmatica. Sempre la parte occidentale
presenta alcune questioni aperte, come l’interrogativo se il presbiterio sia solo rappresentante del
vescovo o anche rappresentante autonomo di Cristo; o come il presbitero partecipi al governo della
diocesi; o quale sia l’elemento specifico del diacono rispetto al presbitero e ai laici.
FONDAMENTI DOGMATICI: Il Concilio di Firenze (bolla Exultate Deo 22/11/1439) afferma
che il sesto sacramento è quello dell’ordine. Distingue materia (ciò con la cui consegna è conferito
l’ordine) e la forma (diversa per il presbiterato, il diaconato, il suddiaconato e gli altri ordini). La
materia consiste nel consegnare al presbitero il calice con il vino e la patena con il pane, la forma
consiste nel sottolineare il potere ricevuto di offrire il sacrificio di Cristo nella Chiesa, nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ministro risulta essere il vescovo e l’effetto è l’aumento della
grazia affinché si possa essere buoni ministri di Cristo.
Il Concilio di Trento (Decreto sull’ordine sacro 15/07/1563) definisce che il sacerdozio del N.T.
ha il potere di consacrare e offrire il vero corpo e sangue del Signore, rimettere i peccati, predicare
il vangelo. Oltre questo ordine sacerdotale ve ne sono di minori che tendono al sacerdozio. Rimane
di fondo che l’ordinazione è un sacramento istituito da Cristo (sacerdozio visibile ed esteriore nel
N.T.). Lo Spirito Santo imprime il carattere indelebile: una volta impresso non si può ridiventare
laico. La gerarchia è per disposizione divina: ai vescovi è dato il potere di confermare e di ordinare;
se assunti dal Pontefice sono legittimi e veri.
L’EREDITÀ PATRISTICA Sono prese in considerazione due tradizioni: secondo quella
antiochena al centro sta l’identità del presbitero e la missione (meno l’itinerario di formazione),
deve essere unito con Cristo, dedicarsi totalmente al gregge e deve dare testimonianza di Cristo e
della Chiesa; secondo invece l’alessandrina è importante l’ascolto della Parola, una vita integra e
pura, obbedienza al Signore e alla sua Parola, distacco dal “mondo”, fraternità con il popolo e
dedizione e servizio.
TEOLOGIA ORTODODOSSA CONTEMP.: Matsoukas mette a confronto i modelli di
sacerdozio giudaico e pagano con quello cristiano: la differenza principale sta nella funzione di
mediazione per la riconciliazione di Dio con l’uomo, che per i cristiani si lega al mandato
apostolico; Il sacerdozio di Cristo soltanto è la fonte del potere centrale e carismatico della Chiesa.
Il potere centrale e carismatico nella Chiesa appartiene al sacramento dell’Ordine come sintesi delle
funzioni del corpo ecclesiale. L’Ordine è così il centro che coordina tutte le altre funzioni, mette in
moto gli altri sacramenti per la perfezione del corpo ecclesiale, coordina tutte le funzioni senza
essere funzione di mediazione, bensì autorità carismatica che rinnova l’uomo. La suddivisione del
sacerdozio è in comune, carismatico e ministeriale. Mediante il sacerdozio comune tutti i battezzati
partecipano al potere di Cristo (re, sacerdote e profeta); è un carisma di governo che Cristo dona ai
membri della comunità cristiana; i battezzati partecipano al potere di Cristo; ufficio sacerdotale,
profetico e regale vengono posseduti unitariamente; mediante il sacerdozio carismatico si realizza
l’unione dei membri della chiesa con Dio, collegato organicamente con il corpo ecclesiale, si
distingue in comune e ministeriale, ricevuto quest’ultimo per mezzo dell’imposizione delle mani;
mediante il sacerdozio ministeriale che è funzione carismatica, si rende possibile la crescita e il
progresso del corpo: senza di esso il popolo non da i suoi frutti; non è un potere di dominio o
mediazione; si attua solo all’interno della Chiesa, presuppone la presenza del popolo per portare i
suoi frutti. CRITICA: La chiesa cattolica rende autonomo il potere gerarchico, le comunità
evangeliche riconosce come proprio del popolo il sacerdozio comune, la chiesa ortodossa esclude
entrambe le esagerazioni. Charalambidis analizza il matrimonio dei sacerdoti e parla di dualità,
reciprocità, tra la vita monastica e quella coniugale: nella tradizione della Chiesa Orientale la
dualità della vita monastica e coniugale non coincide assolutamente con quella del sacerdozio e del
laicato.
Così come è possibile scegliere un laico per la vocazione al celibato (monaco) allo stesso modo un
uomo sposato può esserlo per quella al sacerdozio. Come san Paolo però un sacerdote può rimanere
celibe per una più grande disponibilità apostolica. La Chiesa non dovrebbe pertanto clericalizzare il
celibato ne tantomeno screditare il matrimonio. La Chiesa dovrebbe scegliere i suoi sacerdoti
indifferentemente tra celibi e sposati, non discriminare, non clericalizzare il celibato e non
screditare il matrimonio. L’Oriente quindi non ha mai contrapposto matrimonio e sacerdozio, bensì
contrappone matrimonio e monachesimo.
TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE: Prendiamo in considerazione il discorso mai
pronunciato al C.V. II da Maximos IV Saigh, patriarca della chiesa greco-melkita e raccolto da
Congar quale invitato al CVII. Il patriarca affermava che il Concilio dovrebbe favorire un miglior
inserimento nelle trattazioni sul celibato non disprezzando la tradizione apostolica del sacerdozio
coniugato; Scrittura e Tradizione non considerano il celibato come una conditio sine qua non…
Maximos IVafferma che la consacrazione volontaria al celibato è il distintivo più elevato di una vita
interamente donata a Dio; però tale sottolineatura della bellezza del celibato, non deve distruggere e
disprezzare la tradizione apostolica del sacerdozio coniugato. Il celibato resta vocazione specifica
del monaco-religiosa mentre il sacerdozio è una funzione ancor prima che un modo di vita. Si può
essere chiamati al monachesimo e al sacerdozio senza essere chiamati all’altro… in caso di bisogno
il celibato deve essere sacrificato al sacerdozio. Maximos IV fa riferimento anche al I concilio di
Nicea, all’intervento di Pafnuzio, un confessore della fede, che nonostante fosse celibe difende il
clero uxorato e si oppone alla formazione di un canone: ricordò secondo la tradizione antica della
chiesa, che quelli che non erano sposati quando presero parte alla comunione dell’ordine sacro,
veniva no invitati a rimanere nel loro stato e che quindi agli sposati era permesso rimanere con le
loro mogli. Il celibato nella chiesa d’oriente è favorito ma non imposto. La tradizione che l’oriente
ha conservato, può divenire modello di appoggio per una possibile svolta, ritenuta forse necessaria:
scrittura e tradizione non vedono nel celibato una condizione indispensabile (celibato è vocazione
specifica del monaco, sacerdozio è funzione ancora prima di essere modo di vita). In oriente c’è
distinzione netta tra monachesimo (al quale compete il celibato volontario) e sacerdozio. Non può
imporsi il celibato ai sacerdoti perché non tutti sono capaci di una castità perfetta, a differenza
dell’occidente che a poco a poco ha imposto il celibato. Nella Chiesa d’occidente l’adozione del
clero celibe si ha solo a partire dal 1123. Al discorso non pronunciato segue una lettera di Maximos
al papa nella quale espone e spiega la consuetudine orientale e suggerisce per il clero latino di
costituire una commissione speciale, per affrontate il problema con coraggio e serenità. Il celibato
rimarrà sempre l’ideale di una elité e non si estinguerà mai. Il celibato non sarà mai indispensabile
per il sacerdozio.
TEOLOGIE ORIENTALI IN DIALOGO: La Commissione mista ortodossa-vecchiocattolica
afferma che il sacerdozio è un’istituzione fondamentale della vita della chiesa, trova la sua origine
nella missione che Cristo ha affidato agli apostoli, perché continuasse la sua opera salvifica,
trasmettendo ad altri il potere che era stato loro conferito attraverso la preghiera e l’imposizione
delle mani. Attraverso la preghiera, l’imposizione delle mani e nell’assemblea eucaristica si può
accedere al sacerdozio per chi ne è degno. Non è accettata l’ordinazione delle donne.
Il sacerdozio da sempre è presente nella Chiesa nella triplice forma del: vescovo, quale pastore della
chiesa locale, guardiano e difensore della verità e dell’insegnamento, celebra tutti i sacramenti nella
pienezza del sacerdozio; il sacerdote assiste il vescovo nella direzione spirituale e nell’annuncio del
vangelo celebrando i sacramenti e gli uffici; il diacono è colui che aiuta nella celebrazione dei
sacramenti, nel servizio sociale della chiesa. Le tre espressioni del sacerdozio hanno forma e
missione diversa ma è sempre realizzato il ministero del Signore di re, sacerdote e profeta. Il
sacerdote rimane pur sempre un mezzo di trasmissione della grazia ai fedeli, indipendentemente
dalla sua condizione spirituale e indegnità personale: l’azione santificatrice nel sacramento è di Dio.
Le tre ordinazioni nei rituali della chiesa di Oriente, hanno elementi mistagogici comuni:
presentazione del candidato, triplice giro intorno all’altare, inginocchiamento dinanzi all’altare,
imposizione delle mani da parte del vescovo, preghiera anamnetica-epicletica, supplica delle litanie,
preghiera di petizione e ringraziamento (alla fine si acclama “è degno”), presentazione al popolo
con la relativa vestizione. Le preghiere di petizione sono: per il diacono Si chiede la fede e la forza
dallo Spirito perché il peccato venga allontanato; per il presbitero si prega perché possa
amministrare bene all’altare, essere fedele al vangelo, rivelare in maniera sacra la Parola, offrire
sacrifici, battezzare, avere la ricompensa nel giudizio; per il vescovo si prega perché possa imitare
Dio, guidare i ciechi, essere luce, essere precettore, essere maestro, essere fiaccola, lavorare per
l’unità, soffrire per l’evangelo, essere degno della gloria futura.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: per affrontare il problema del sacerdozio non si può non
partire dal punto di vista cristologico, poiché a Cristo, nella scrittura, è stato dato ogni appellativo:
apostolo, maestro, sacerdote, vescovo, diacono; egli è colui che ha il primato su tutte le cose. Il
ministero sacerdotale della chiesa, diviene parallelo a quello di Cristo ma non coincidente con esso:
diviene una proiezione della presenza di Cristo nella chiesa fino alla sua parusia, il quale continua
ad essere presente per mezzo dello Spirito che opera comunione tra gli uomini e Dio, a partire dal
giorno di pentecoste. Non è possibile dire se l’ordinazione conferisca all’ordinato una grazia
oggettiva o si tratta solo di una delega di autorità per l’esercizio di una funzione nella chiesa. Di
certo ciò che deve contraddistinguerlo è la carità (paolina), in ordine alla comunione che deve
garantire, quale missione della chiesa.
Il matrimonio dei sacerdoti: La Chiesa d’Oriente è rimasta fedele a questa tradizione che
favorisce il celibato dei presbiteri, ma non lo impone. La tradizione orientale conserva e favorisce
vocazioni sacerdotali più numerose, di cui la chiesa ha un gran bisogno soprattutto oggi. L’oriente
cristiano consiglia di non imporre ai presbiteri più di quello che Cristo ha imposto. Vi sono persone
incapaci di conservare la castità perfetta. La disciplina orientale non ha fatto scomparire il celibato
ecclesiastico. Afferma il codice delle chiese Orientali: il celibato dei chierici deve essere tenuto
ovunque in grandissima stima, secondo la tradizione della Chiesa universale; così pure deve essere
tenuto in onore lo stato dei chierici uniti in matrimonio, sancito attraverso i secoli dalla prassi della
Chiesa primitiva e delle Chiese orientali. La Chiesa d’occidente ha seguito una tradizione diversa
che l’ha condotta a poco a poco a imporre definitivamente e universalmente il celibato ecclesiastico
nel concilio lateranense I nel 1123: tradizione che resta dunque, malgrado tutto, abbastanza tardiva.
Afferma a tal proposito il CIC 277: I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza
perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare
di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e
sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.
L’ordinazione delle donne al sacerdozio: Uomo e donna si completano reciprocamente ma non
sono interscambiabili. La Chiesa Ortodossa onora una donna, la santa vergine Maria, Theotokos,
come la persona umana più vicina a Dio. L’impossibilità dell’ordinazione delle donne al sacerdozio
speciale così come è fondato nella tradizione della Chiesa, è stata espressa in queste posizioni,
radicate nella tradizione ecclesiastica:
a) sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo che non ha scelto alcuna donna come apostolo;
b) sull’esempio della Theotokos, che non ha esercitato, nella Chiesa, la funzione sacerdotale
sacramentale, anche se era stata fatta degna di diventare la Madre del Figlio e Verbo incarnato
di Dio;
c) sulla tradizione apostolica, secondo la quale gli apostoli, seguendo l’esempio del Signore, non
ordinarono mai delle donne a questo sacerdozio speciale della Chiesa;
d) su alcuni insegnamenti paolini che riguardano il ruolo delle donne nella Chiesa;
Forme di ministeri femminili nella Chiesa:
a) educazione e formazione cristiana a tutti i livelli, dalle scuole all’educazione teologica nei
seminari;
b) consulenza pastorale per coppie sposate, famiglie, preparazione al matrimonio, preparazione al
battesimo, cura delle persone in situazioni di bisogno;
c) amministrazione della Chiesa, partecipazione agli organi decisionali a livello di parrocchia,
diocesi e chiesa nazionale;
d) servizio sociale comprendente l’attività a favore degli anziani, quella ospedaliera e quella verso
i poveri e gli emarginati;
e) direttrici del coro, lettrici, membri del coro;
f) iconografia;
g) attività in favore dei giovani;
h) rappresentanza nei diversi aspetti ed aree del movimento ecumenico;
i) pubblicazioni / comunicazione.
Tutti questi ruoli devono essere considerati come una diaconia di sostegno, una dimensione
pastorale complementare in armonia col ministero pastorale specifico del clero.
MONACHESIMO

PARADIGMA: Il monachesimo è uno stato di vita fortemente considerato in oriente, alla stregua
di un sacramento; è uno stato incompatibile con il matrimonio, perché è una forma di vita in cui si
attua una forma di amore esclusivo per Dio; è considerato sacramento per il tempo (al pari del
sacerdozio e del matrimonio), che finirà solo dinanzi a Dio; si affianca ai sacramenti di istituzione
(matrimonio e ordinazione); tale stato di vita è fecondità per il regno dei cieli, getta un seme per il
regno, è una forma battesimale vissuta nella radicalità nel processo di cristificazione.
PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEO OCCID: Nelle chiese cristiane (non cattoliche) c’è
oggi la riscoperta dei valori della vita religiosa, e ciò ha i suoi effetti nella vita religiosa cattolica: si
apprezza di nuovo la solitudine (eremitismo). C’è anche una nuova idea dei voti religiosi: i voti, nel
loro aspetto di rinuncia volontaria, sono segni della solidarietà con gli uomini che subiscono
involontariamente la stessa rinuncia. C’è come un risveglio del monachesimo a fronte di una crisi
degli antichi ordini religiosi. Mentre gli antichi ordini religiosi cercano una loro collocazione fra
tradizione e nuovo orientamento e molte comunità religiose vanno incontro ad una minacciata crisi
di esistenza, sorgono comunità nuove che alla loro maniera portano avanti la tradizione monastica
per dare testimonianza di questa “modalità di vita cristiana. La tradizione monastica cerca di dare
testimonianza con la sua modalità di vita cristiana.
FOND. DOGMATICI: Il riferimento è ad Orientale lumen (1995), lettera di Giovanni Paolo II.
L’Orientale Lumen afferma essere il monachesimo l’esemplarità di vita battesimale. In Oriente il
monachesimo ha mantenuto una grande unità, perché non ha conosciuto i diversi tipi di vita
religiosa apostolica dell’Occidente. Le sue diverse espressioni corrispondono a stadi diversi del
cammino spirituale, diversità nel cammino di fede, piuttosto che alla scelta tra diversi stati di vita.
Esso si configura come punto di riferimento per tutti i battezzati (è una sintesi del cristianesimo, e
non una condizione a parte), “luogo” profetico che diventa voce del creato, che sale come lode a
Dio, ove si vive in concreto il precetto della carità e si cerca Dio senza alcun impedimento.
Il monachesimo è una vita vissuta su due punti di riferimento: la parola di Dio e l’eucaristia,
evidenziando come tale scelta sia, anche se individuale, una risposta personale ad un evento
ecclesiale, divenendo consanguineo di Cristo nell’anticipare la divinizzazione. Cristo è l’ideale del
monaco, verso cui egli tende, cercando per tutta la vita di divenirgli consanguineo per mezzo della
partecipazione ai santi Misteri, anticipando l’esperienza della theosis. La vita del monaco è sospesa
tra la Parola di Dio e l’Eucaristia; egli è voce della Chiesa che grida “Marana tha” al suo Sposo, in
cammino verso la trasfigurazione e la pneumatizzazione. In questo cammino non si ha solo uno
sforzo personale, ma il riferimento necessario al padre spirituale, che è immagine della tenera ed
esigente paternità di Dio. Per questo riferimento, il cammino di ogni monaco è fortemente
personalizzato nei tempi circa la ricerca di Dio.
EREDITÀ PATRISTICA: Antonio il Grande (è l’iniziatore della vita monacale di stile
eremitico) parla di 4 fughe che comportano ciascuna una lotta e altrettante ricompense: la lotta
contro il sesso che comporta l’apathia; il combattimento contro i pensieri (i diavoli) che produce la
visione di Dio; la lotta contro la superbia, vinta con il confronto con il padre spirituale; la lotta
contro la fama che diventa segno di salvezza. Pacomio (iniziatore della vita in comune, condotta
tutti insieme; cenobio=vita comune) parla del monachesimo paragonandolo ad un recinto della vita
claustrale come una famiglia la cui mensa è comune, in cui è presente un’unica regola sotto un
superiore, ossia di una vita uniforme per tutti, con un’unica regola che obbliga lo stesso superiore.
Paragona il monaco a grandi figure bibliche facendone Figure bibliche dell’ascetismo monastico:
Abramo, che lascia la sua patria e va verso la terra promessa; Giacobbe, che lascia il padre e vede la
scala; Mosè, che vive nel deserto e fa una mistica salita fino al roveto e rende partecipe il popolo
della sua contemplazione; Elia, modello insuperabile di Ascesi; il Battista, che ha le ali come un
angelo. Gregorio di Nazianzo il teologo parla delle tre nascite: nascita corporale (biologica),
nascita battesimale (vita cristiana), nascita della risurrezione (più radicale del monachesimo)
paragonata alla vita angelica qui in terra riproposta nell’esemplarità del monaco, il quale attraverso
la preghiera spirituale giunge alla luce divina della gloria di Dio.
EREDITÀ BIZANTINA: Il monachesimo, fin dalle sue origini, si diversifica nelle sue forme: va
dall’eremitismo estremo di Antonio d’Egitto, al cenobitismo assoluto di Pacomio. L’intero
movimento monastico orientale rimase unito nella sua fondamentale estraneità al « mondo » e nella
convinzione che la preghiera, qualunque fosse la sua forma, era il contenuto fondamentale e
permanente della vita monastica.
Come detto vi è un monachesimo cenobitico e urbano (di Basilio e di Teodoro), in contatto con la
vita ecclesiale e culturale delle città, e un monachesimo eremitico chiamato sabaitico, da S. Saba.
Oggi nell'Oriente bizantino predominano i monaci di stampo sabaitico, che si possono chiamare
sabaiti "della nuova ondata", ossia "neo-sabaiti"; la loro spiritualità è quella del palamismo, cioè
della contemplazione, praticamente senza nessuna attività pastorale.
Il ruolo dei monaci nel trionfo dell’ortodossia sull’iconoclastia mette in luce il loro tradizionale
coinvolgimento nei dibattiti teologici a Bisanzio; il monachesimo bizantino appare così non soltanto
una scuola di perfezione spirituale, ma anche un corpo che sente la responsabilità per il contenuto
della fede e per il destino della chiesa nella sua totalità. Nello stesso tempo la particolarità del
regime e dell’ideologia monastici, il suo fondarsi sulla nozione che «il regno di Dio non è di questo
mondo » e la sua opposizione a tutti i compromessi con le esigenze di « questo mondo » diedero
origine in Bisanzio ad una teologia che si può propriamente chiamare « monastica ».
Teodoro Studita rappresenta il rafforzamento del monachesimo dopo il periodo dell’iconoclasmo
ed è un teologo che parla di vita monastica intesa come comunità escatologica che si basa su
preghiera-liturgia-lavoro; è una testimonianza nei confronti dello Stato. Nella lotta iconoclasta il
ruolo dei monaci evidenzia un movimento contrario al conservatorismo ufficiale. Il suo messaggio
consiste nell’identificazione di vita cristiana e deificazione.
Il pensiero monastico propriamente bizantino inizia con Evagrio Pontico (+399) dei Padri del
Deserto. Il primo dà un apporto originale sulle passioni e sulla preghiera (e stila il famoso catalogo
dei vizi, i peccati capitali). Il primo scopo della « pratica » monastica è soggiogare le passioni e
raggiungere uno stato di « apatia » — un distacco dai sensi e dai « pensieri » — che rende possibile
ristabilire la vera relazione originaria fra l’intelletto e Dio. In questo « stato » di preghiera,
l’intelletto è totalmente liberato da ogni « molteplicità »; è « sordo e muto » ad ogni percezione dei
sensi.
Macario (maestro di Evagrio) salva la spiritualità di Evagrio dall’eccessivo intellettualismo,
proponendo una visione dell’uomo come unità psicosomatica destinata alla « deificazione ». per la
quale ha grande importanza la “preghiera del cuore”. In Macario la «preghiera dell’intelletto» di
Evagrio diventa così la « preghiera del cuore»; il centro della vita psicosomatica dell’uomo, il
cuore, è la « tavola su cui la grazia di Dio incide le leggi dello Spirito »; ma può anche essere un «
sepolcro » dove «il principe del male e i suoi angeli trovano rifugio ». In tal modo il cuore umano è
il campo di battaglia fra Dio e Satana, fra la vita e la morte.
Nel periodo dei grandi monaci-autori spirituali si riscontrano Diadoco di Fotice, Giovanni
Climaco (che classifica dettagliatamente le passioni, forse eccessivamente, e propone l’esicasmo
quale mezzo per giungere alla deificazione, cioè – dice – alla comunione di tutto l’uomo con Gesù
trasfigurato, salendo verso Dio di gradino in gradino nella scala della perfezione) e Massimo il
Confessore, uomo profondamente spirituale e grandissimo teologo.
Alla fine del primo millennio, Simeone il nuovo Teologo non parla né di preghiera intellettuale né
della distinzione essenza-energia di Dio, ma costruisce una teologia dell’esperienza, che porta il
monaco alla visione “sensibile”, tuttavia non automaticamente condizionata dalla pratica ascetica.
Simeone non parla ne di preghiera intellettuale ne di distinzione tra essenza ed energia di Dio, parla
di teologia dell’esperienza per non dare l’esclusività alla pratica ascetica.
Gregorio Palamas è il rappresentante della teologia dell’esicasmo, da molti ritenuta l’espressione
classica della teologia bizantina. La sviluppa a partire dalla polemica con Barlaam il Calabro (che
già conosciamo dai corsi precedenti). Gregorio Palamas afferma che la conoscenza di Dio è
esperienza accessibile a tutti nei sacramenti, soprattutto nel battesimo e nell’eucaristia, poiché Dio
nella sua essenza è inaccessibile se non nella sua energia, cioè per grazia conferita al cristiano per
mezzo dei sacramenti.
TEOLOGIA ORTODODOSSA CONTEMPORANEA: Riferimento a Matsoukas e alla sua
Teologia dogmatica e simbolica ortodossa. Il sacramento del monachesimo introduce il battezzato
ad una conversione continua e a una memoria Dei incessante. La tonsura è assimilabile al
battesimo, e dà al monaco lo “schema angelico”, una nascita nell’ambito della gloria divina che,
unita alla preghiera spirituale e alla penitenza, fissa cuore e mente in Dio, realizzando una vera
trasformazione del battezzato, aiutandolo a vincere le forze del male. Il monaco entra nel contesto
della preghiera spirituale (che richiede autoconcentrazione della mente e del cuore in Dio, e
penitenza attraverso la preghiera e la concentrazione). Questo carisma monastico porta luce e forza
a tutti i membri del corpo ecclesiale, arricchisce il cammino storico della chiesa, la rende capace di
vincere le potenze del male.
TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE: Riferimento al Typikon [una sorta di Costituzioni]
dei monaci brasiliani di santa Maria di Grottaferrata. La vita eremitica individuale fu l’origine
stessa della vita religiosa. L’occidente ha costruito i propri quadri della vita religiosa in
considerazione della vita comune. E poiché l’eremitismo non quadrava più con queste categorie,
l’ha escluso dalla nozione di vita religiosa. Il monachesimo come esemplarità della vita battesimale:
La dinamica della vita cristiana scaturisce dalla grazia del Battesimo e si protende verso l’attesa del
ritorno del Signore. Il monaco risponde all’appello di Dio che lo chiama nel deserto e dà
testimonianza al mondo con l’offerta della sua vita. Esempi della testimonianza monastica sono la
Madre di Dio, il Battista, Maria di Betania, il discepolo prediletto. Vita monastica è una vita
cristiana nella sua radicalità, non già condizione a parte di una categoria cristiana; è pure punto di
riferimento per tutti i battezzati e una emblematica sintesi del cristianesimo. La preghiera è la sua
essenziale caratteristica: è manifestazione dell’attesa della venuta del Signore, e occupa uno spazio
centrale nella giornata monastica. La fedeltà alla chiamata di Dio esige un cuore docile all’invito
alla conversione e al cambiamento profondo, attraverso le pratiche ascetiche, l’obbedienza e i
digiuni. È necessario custodire il cuore, senza il quale non si dà autentica preghiera, e l’impegno
attivo comprende tutte le virtù (combattimento contro i pensieri negativi, umiltà, obbedienza,
castità, povertà, meditazione, compunzione, rinuncia all’egoismo, dolore per i propri peccati,
lacrime di compunzione). L’amore per il prossimo si manifesta nella delicatezza del servizio
comune e nella generosità verso tutti. La vita monastica si realizza nel cenobio.
TEOLOGIE ORIENTALI IN DIALOGO: I REFERENTI
Referenti liturgici: Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del CCEO, c. 7. Dalla
liturgia della vestizione monastica si comprende che l’abito immedesima con il Signore risorto e la
sua novità di vita, e pure è segno dell’inizio della lotta contro le potenze del male. Il rituale è una
fonte preziosa per illustrare il senso ultimo del monachesimo cristiano. A tal scopo è necessario
conservarlo e utilizzarlo per le professioni monastiche, nonché ispirarsene per le professioni degli
ordini e congregazioni religiose delle Chiese orientali. I riti monastici si sviluppano in tre tappe:
1- Presa di abito dei principianti;
2- Piccolo schema ossia il mandyas, ed è lo stato della più grande parte dei monaci;
3- Grande schema ossia l'abito angelico. Questo lo ricevono soltanto i monaci anziani.
'Tutti e tre comportano la tonsura e la vestizione. I voti si emettono due volte: nel "piccolo" e nel
"grande" abito.
Referenti mistagogici: Ufficio del grande abito angelico. Evidenzia alcuni caratteri simbolici
dell’abito monastico (tunica=giustizia; cintura=mortificazione del corpo e temperanza; velo=elmo
di salvezza; anàvalos= la croce e la fede; mantello=veste di incorruttibilità; sandali= cammini sulla
via della pace e della salvezza). Referenti canonici: CCEO, can. 410: Lo stato religioso è un modo
stabile di vivere in comune in un istituto seguendo più da vicino Cristo sotto l’azione dello Spirito
con un nuovo e speciale titolo. La consacrazione avviene per mezzo dei voti pubblici da osservare
sotto un superiore, con i quali rinunciano al secolo e si dedicano a conseguire la perfezione della
carità a servizio del Regno di Dio, per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo.
Referenti catechetici: Dio è vivo. Catechismo per tutti scritto da un gruppo di cristiani ortodossi.
Sull’esempio del Battista e di Antonio, alcuni uomini non sono stati indifferenti alla sete di Dio, che
cercano nella solitudine e nel silenzio. Ai monasteri la Chiesa attinge, si alimenta di energie divine.
Il matrimonio e la vita monastica sono due modi diversi e complementari di entrare in comunione
con l’amore di Dio; entrambi sono uno stato religioso.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: l’esperienza monastica è stata da sempre considerata da ogni
religione, perché da sempre considerata una forma radicale di consacrazione a Dio. Ogni forma di
monachesimo è accomunata da un aspetto antropologico che media il rapporto con il totalmente
Altro; la differenza tra le altre religioni e il cristianesimo sta nel fatto che mentre nelle religioni è
l’uomo che si consacra a Dio, nel cristianesimo è Dio che consacra l’uomo. Il problema di sempre è
quello di come inserire il monachesimo all’interno della chiesa, poiché da sempre si è dibattuto sul
ruolo il valore e lo status della scelta religiosa. Lo stesso Vat II non ha risolto il problema. Ad ogni
modo, la chiesa considera il monachesimo come esperienza ecclesiale offerta al battezzato come
cammino di continua conversione a Dio, per essere primizia della realtà futura. L’esemplarità
battesimale del monaco si realizza in tre dimensioni: rapporto con il creato diventa lode a Dio (Dio
che passeggia nell’eden con Adamo, il monaco restaura l’antico rapporto fra Adamo e Dio e
creato;); la carità evangelica viene incarnata nella convivenza umana; la ricerca di Dio oltre le
naturali barriere. La chiesa del primo millennio ha sempre riconosciuto un particolare posto al
monachesimo in seno ad una planimetria sacramentale; successivamente esso venne visto come
un’esperienza autenticamente ecclesiale offerta al battezzato quale cammino di continua
conversione; il monaco è colui che vede tutto ciò che lo circonda alla luce dell’esperienza taborica
(Palamas). Il monachesimo è esemplarità di vita battesimale (Orientale lumen), luogo profetico ed
esperienza mistagogica. In Oriente, a differenza dell’occidente, è stata conservata una grande unità
teologica, non solo canonica: proprio perché esemplarità battesimale il monaco, nell’esperienza
spirituale, diviene un nuovo autentico luogo teologico in cui profeticamente si realizzano tre
dimensioni: il creato diviene lode a Dio, il comandamento della carità viene vissuto concretamente,
l’essere umano cerca Dio oltre le naturali barriere esistenziali. Il monaco è prolessi della
divinizzazione…
L’ALTRO CORPO CRISMATO

PARADIGMA: facendo riferimento al paradigma generale della teologia orientale, trova il suo
spazio nella chiesa, nella liturgia, nei sacramenti e nell’icona. Oltre al corpo crismato del cristiano,
e della comunità dei cristiani battezzati, l’altro corpo crismato sono l’insieme dei luoghi liturgici
che formano il tempio che appunto perché crismati diventano luoghi teologici del dirsi di Dio
all’uomo.
PUNTI DI NON RITORNO (OSSIA ACQUISIZIONI) DELLA TEO OCCID : C. Valenziano,
Luoghi liturgici cattedrale Trapani. L’altare è Cristo (aggettivo più sostantivo: alta-ara, un’ara che
sta in su perché all’altare si va salendo e si guarda come punto focale); non è mai sotto la cupola ma
il suo posto è sotto l’arco trionfale, avanzato verso la cupola; l’arco trionfale è quell’arco posto tra i
pilastroni di Giovanni e Matteo (apostoli evangelisti) che immette verso le parti del presbiterio.
L’altare, Cristo, è mensa (si mangia il suo pane), luogo del suo sacrificio, entrambe le cose insieme:
mensa e luogo del sacrificio. L’altare cristiano non è come quello pagano (rotondo); esso è quadrato
perché deve dire che sacrificio e mensa sono aperte alle quattro parti del mondo (dimensione
cosmica dell’Apocalisse), al centro c’è l’Agnello e intorno i quattro esseri viventi; il ciborio è
quell’elemento architettonico che sovrasta l’altare; forse da orion e kib, “mi incurvo sopra”. Il
ciborio fa da movimento contrario a ciò che l’altare rappresenta (e cioè memoria, evocazione, tende
verso l’alto) e quindi è la tendenza divina verso il basso; è lo Spirito Santo! Mentre l’altare è
evocazione, il ciborio è invocazione. Il battistero è la tomba (come anche l’ambone, tomba vuota da
cui si proclama la risurrezione).
FOND. DOGMATICI: Sacrosanctum Concilium 7 afferma, in riferimento al suo stile artistico,
che la chiesa non ha mai avuto un proprio particolare stile artistico, ma si è sempre adattata alla
condizione dei popoli e alle esigenze dei riti, ottenendo così un vero e proprio patrimonio da
conservare con cura. La costruzione degli edifici di culto dev’essere degna ed appropriata,
regolando forma ed erezione degli altari, la nobilità, la disposizione e la sicurezza del tabernacolo
eucaristico, la funzionalità e la dignità del battistero, la disposizione delle immagini sacre…
EREDITÀ PATRISTICA: Taft parla della chiesa terrena come della raffigurazione del santuario
del cielo, e la liturgia terrena è vista come una concelebrazione con il cielo, con l’Agnello di Dio e i
cori angelici, davanti al trono di Dio.
EREDITÀ BIZANTINA: Massimo il Confessore, in Mistagogia, afferma che la chiesa è
impronta ed immagine di Dio in quanto porta avanti la stessa unione che Dio realizza tra gli esseri
creati; la chiesa è riproduzione, immagine del mondo composto di esseri visibili e invisibili ma pur
essendo una sola casa per la sua costruzione ammette una certa diversità per la particola
disposizione della sua struttura. È divisa in una parte separata riservata ai soli sacerdoti e liturghi
(santuario) e un’altra accessibile a tutto il popolo credente (navata); è essenzialmente UNA, non è
divisa per differenza ma solo per denominazione. La navata è il santuario in potenza, il santuario è
navata in atto. La chiesa è immagine del mondo sensibile che ha per cielo il santuario e per terra la
bellezza della navata; il mondo, invece, è una chiesa che ha per santuario il cielo e per navata
l’ornamento della terra. La chiesa è immagine dell’uomo: per anima ha il santuario, per mente
l’altare, per corpo la navata; l’uomo è una chiesa mistica con la navata che è il suo corpo, con il
santuario che è la sua anima…Paragonata all’anima in contemplazione la chiesa è con il santuario
tutto ciò che si manifesta nella mente ed esce da essa; con la navata fa conoscere le cose che
appaiono nella ragione.
TEOLOGIA ORTOD. CONTEMP.: Evdokimov parla del Tempio come del cielo terrestre, come
spazio di Dio in cui vi abita e vi passeggia; l’arte sacra del Tempio è antropocentrica e al tempo
stesso teocentrica. I bizantini hanno lavorato sullo spazio come luogo e dimora di Dio, cercano
l’accordo tra la scala dell’umano e la scala trascendente dell’infinito. E’ un’architettura
antropocentrica che esprime l’uomo con le sue emozioni e le sue ricerche estetiche di espressioni e
di forme. Al tempo stesso il Tempio esprime la discesa di Dio nella creazione; il Mistero liturgico
stabilisce regole architettoniche ed iconografiche conformi alla sua essenza. I costruttori moderni
non devono dimenticare l’arte sacra teocentrica, la discesa di Dio nella sua creazione, l’Architetto
supremo è l’Angelo del tempio (Ap 21,15). La stessa icona rappresenta qualcosa non fatta da mani
d’uomo.
La bellezza di Dio, che non è misurabile e trascende tutto, orienta il dinamismo interiore dell’uomo
verso l’infinito che è il divino stesso: così il tempio, con le sue forme, diviene rappresentazione del
mistero dell’uomo che cerca Dio e di Dio che si dona all’uomo, cercando di esprimere la bellezza di
Dio e del suo amore che discende sull’uomo, per esempio la sfera (cupola) che si interseca con un
cubo; a santa Sofia tutto si ordina intorno ad un asse centrale incoronato dalla maestà della cupola
ed esprime una bellezza che discende sull’uomo e lo riempie di pace trascendente.
Certamente la Bellezza di Dio non è misurabile; ma l’architettura esprime una teologia, le cattedrali
gotiche dicono lo slancio verso l’infinito, a Santa Sofia invece la cupola che fa da regina dice
l’amore di Dio sceso tra noi, è sferica perché riunisce tutti gli uomini, ci sentiamo protetti, cupola
che si monta su una croce i cui assi si prolungano all’infinito a testimonianza della totalità dello
spazio. Un tempio non è affatto una costruzione dell’architettura strana, intercalata nel caseggiato, è
invece l’immagine plastica di un evento divino-umano misterioso, quello del Regno e rivolge a tutti
l’invito pressante a diventare pietre vive del tempio cosmico. L’arte muta sa parlare dice S.
Gregorio di Nissa: Ogni pietra, ogni forma incominci a parlare, affinché tutto diventi un canto, una
liturgia, bisogna cogliere la sua vita misteriosa, il suo disegno e il principio stesso del suo spazio
organizzato che lo differenzia dall’ambiente circostante. L’orientamento stesso del tempio è
funzionale: la navata rappresenta una nave che va verso oriente, stessa direzione dell’altare; la porta
di uscita è verso ponente, luogo di oscurità, terra non evangelizzata. L’orientamento, verso oriente,
contempla il sole che sorge (Cristo) che non conosce tramonto.
Il tempio, immagine dell’universo e centro cosmico, ha uno spazio costruito e ordinato, centrato e
orientato e testimonia il sacro. La chiesa si divide in tre parti: santuario ad oriente, nartece ad
occidente, navata tra i due. Il santuario è diviso dalla navata attraverso l’iconostasi e le tre porte
regali o sante; l’iconostasi è ricoperta da immagini smaglianti. In ogni chiesa orientale nelle porte
regali (cioè nella porta centrala dell’iconostasi) è raffigurata sempre l’annunciazione: infatti appena,
Maria ha detto il suo fiat, le porte si sono aperte. La funzione delle porte regali è quella di far
entrare il divino nella storia e l’uomo nel divino.
LA TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE Congregazione per le Chiese Orientali, Istruzione
per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. La
preghiera liturgica coinvolge la persona nella sua totalità Dio ci chiede di amarlo con tutto il cuore,
con tutta l’anima e con tutte le forze. Ogni parte è solidale con le altre: anima, spirito, cuore, mente
e corpo concorrono a costituire l’edificio spirituale innalzato per il Signore.
Referenti Liturgici Congregazione per le Chiese Orientali, Istruzione per l’applicazione delle
prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. I Sacrifici e le oblazioni sono
graditi al Signore se fatti con cuore puro, secondo la regola che percorre tutta l’economia della
salvezza. Un posto importante occupa l’offerta dell’incenso, “ si è offerto a Dio in sacrificio di
odore soave” (Ef 5,2). Le chiese orientali cattoliche conservano gelosamente l’uso dell’incenso
nelle celebrazioni. La chiesa è il nuovo tempio, edificato con pietre vive; Cristo ha abbattuto il
muro di separazione che divideva gli uomini e li ha edificati per farli diventare dimora di Dio per
mezzo dello Spirito. Il tempio: ci trasferisce in un mondo diverso alla presenza di Dio e pone
relazione tra universo celeste e terrestre.
L’altare è legato all’offerta del sacrificio a Dio. Uscendo dell’arca Noè edifica un altare e vi offre
un sacrificio; è mensa, sepolcro, luogo della resurrezione, fonte di ogni grazia sacramentale. Il
santuario è il luogo più santo, spazio sacro diviso in più luoghi funzionali collegati; separato dalla
navata mediante cancelli, veli e iconostasi; in esso è collocato l’altare su cui si celebra la divina
liturgia e si offre l’Oblazione. L’ambone corrisponde al bema delle chiese siriache, è la tomba
vuota e il diacono proclama il Vangelo della Resurrezione e vi si può tenere l’omelia; domina la
navata della Chiesa. Nel nartece - all’entrata della chiesa - si svolgono varie celebrazioni tra cui
quelle riservate ai catecumeni e ai penitenti e vi si celebrano le sante ore liturgiche. Per quanto
riguarda i battisteri sono di diverse forme, comunque dice la tomba i cui si è con-sepolti e con-
risorti in Cristo. Normalmente il battistero è ubicato fuori dalla chiesa. Dio è luce, il Signore messo
in croce guardava ad occidente e allora noi quando preghiamo guardiamo ad oriente.. Referenti
Mistagogici Cabasilas, La vita in Cristo Il rito della consacrazione dell’altare Il vescovo vestito di
lini bianchi, prega, lava la mensa con acqua calda per purificarla, la profuma versando ottimo vino e
profumo stillato dalle rose. Col myron unge la mensa e poi la copre di lino bianco, ora la casa è
casa di preghiera e la mensa è vero altare pronto per il sacrificio.
hanno importanza le vesti e gli atteggiamenti del vescovo: la veste bianca indica la purezza; l’essere
raccolto e piegato significa contrizione del cuore. L’uomo diviene tempio e altare di Dio da cui si
loda Dio per l’amore che ha donato agli uomini e per aver compiuto l’opera di salvezza. Il vescovo
è modello dell’altare non solo perché ne è l’artefice, ma anche perché tra tutte le cose visibili solo la
natura umana può essere veramente tempio e altare di Dio, infatti il tempio edificato dalle mani
degli uomini è un’immagine di quello celeste.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE: per la tradizione ortodossa l’eucarestia, vissuta nella chiesa e
per mezzo del quale essa stessa vive, assume la forma del tempio nel quale viene celebrata
l’eucarestia. Va considerato però il fatto che la chiesa, nell’usare ancora un linguaggio legato al
passato, sembra non essere in grado di raggiungere gli uomini di oggi: la separazione tra sacro e
profano non fa altro che divaricare la distanza esistente. È necessario un reinserimento della vita
liturgica nella vita, perché la sua visione del mondo creato, in particolare la sua visione dell’uomo, è
di aiuto al giorno d’oggi perché vede nell’eucarestia non un pietismo individuale, bensì un’azione di
tutta la chiesa, di un’assemblea in relazione con Dio: l’eucarestia va compresa in senso cristologica,
è Cristo stesso che salva l’uomo riconciliandoci con Dio, secondo un’azione tutto viene ricapitolato
nel suo mistero di salvezza. Così, quanti si accingono alla liturgia, portano con se tutto il mondo,
pregando per quanti necessitano di preghiere e sostegno poiché, a causa del peccato, c’è la
consapevolezza che il mondo non è più la realtà “molto buona” genesiaca. Questo sembra diventare
un paradosso, da un lato l’affermazione del mondo, dall’altro la sua negazione, portando quasi
l’uomo di oggi a rifiutare il soprannaturale perché incapace di coniugarlo al naturale, vivendo in
modo dicotomico le due realtà. La visione liturgica del mondo con il soprannaturale è unica, è
incontro completo, identità tra il celeste e la realtà terrena, tra tempo ed eternità. Per questo motivo
l’uomo può essere certo che nella liturgia si realizza l’incontro con Dio, nella materia del pane e del
vino, ma anche nei colori, nel legno, nelle reliquie. L’Eucarestia dona al mondo il sapore della
realtà escatologica, che penetra nella storia e rende possibile nel tempo e nello spazio la nostra
divinizzazione.
L’ICONA

PARADIGMA. Nel Paradigma generale della theo Orientale, l’icona si trova insieme ai Sacramenti
nell’ambito della Liturgia. L’icona infatti appartiene alla tradizione viva della Chiesa che si
tramanda nella forma scritta e non scritta e nel vissuto delle comunità in particolare nel vissuto
liturgico. Nella chiesa orientale, tradizione orale, tradizione scritta, liturgia, Icona, sono riverbero
dell’unica parola del Padre che dicendosi in parole umane si serve di tutte queste mediazioni
lasciandosi circoscrivere in esse senza mai poter essere esaurito in esse stesse. Le Icone sono una
ulteriore forma di percezione e partecipabilità dell’essenza divina che diviene grazia. Insieme ai
Sacramenti intervengono nella liturgia divina per santificare il mondo e il creato.
I PUNTI DI NON RITORNO DELLA TEOLOGIA OCCIDENTALE:
Ionesco: Attendo che la bellezza venga ad illuminare un giorno i muri sordidi della mia quotidiana
prigione. Marcuse: i giovani devono capire che bisogna recuperare al più presto i valori estetici.
Non si devono rifiutare, in nome di una violenza astratta e feroce, l’amore e la visione poetica,
qualificando l’arte, la cultura, lo spirito come cose reazionarie. È una vera e propria aberrazione.
Von Balthasar: Fin dalla prima pagina di Gloria ho annunciato che ci sarebbero state tre parti, a cui
ho dato il nome di estetica, drammatica e logica. La divisione si basa sui tre concetti trascendentali:
bellezza, bontà e verità. Penso che questa trilogia sia necessaria per una visione completa della
teologia. Ho incominciato con il “bello” perché lo splendore dell’essere è la prima cosa che vede un
bambino o che capisce un uomo semplice. Per trasferire questo concetto alla teologia, la prima cosa
che io vedo è lo splendore di Dio nel Cristo: la manifestazione del divino che è del tutto diversa da
tutte le cose terrene e umane. Valenziano: per la cristianità la via della bellezza è non tanto scelta di
comodo quanto aderenza di necessità. Cristologia: referente è il Verbo di Dio che ha circoscritto la
sua divinità nell’ambito della sensibilità umana; referente dello statuto d’interpersonalità teandrica
nello spazio-tempo, mondano e referente dello statuto di trascendenza iconica dell’opera d’arte
liturgica. Ecclesiologica: referente è la memoria del suo Sposo che la Chiesa coltiva nella santità,
nella trascendenza immanente di lui a lei. Liturgica: referente è luce-teologia cristiana della bellezza
– simbolizzazione sacramentale e rivelativi, matrice e conclusione. La semantica del senso estetico
è permanente condizione che determina l’autenticità e la riuscita dell’arte liturgica. Pneumatologica:
referente è la poetica “spirituale” della stessa vita cristiana, che non si esaurisce nell’azione
liturgica, anche se ha nella liturgia il suo culmine e fonte. Si tratta di maturazione innescate da tutte
e quattro le Costituzioni del Concilio Vaticano II sulla liturgia sulla Parola di Dio sulla Chiesa nel
Mondo. Ecumenica: referente è il criterio antropologico e teologico correttivo/integrativo per cui,
dopo due millenni di cristianità, a nessuna professione cristiana mancano i titoli per donare e
ricevere all’altra e dall’altre professioni cristiani le prospettive che il Dono grazioso e
munificentissimo ha suscitato e incrementato per l’edificazione syn-bolica del corpo ecclesiale in
intero. È nell’ambito dell’eucaristia totale che l’ecumene cristiana si ritroverà; l’arte ecclesiale ne
profetizzi l’iconismo come eucharistein. Pastorale: referente è il senso di responsabilità circa tutti e
singoli i valori teologici e antropologici.
I FONDAMENTI DOGMATICI. Il VII sinodo ecumenico di Nicea del 787 custodisce
gelosamente intatte tutte le tradizioni ecclesiastiche, sia scritte che orali. Una di queste, in accordo
con la predicazione evangelica, è la pittura delle immagini, che giova senz’altro a confermare la
vera e non fantastica incarnazione del Verbo di Dio. Seguendo in tutto e per tutto l’ispirato
insegnamento dei nostri santi padri e la tradizione della chiesa cattolica a somiglianza della preziosa
e vivificante Croce, riconosciamo le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico, di
qualsiasi altra materia adatta, che debbono essere esposte nelle case e nelle vie; siano esse
l’immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora
nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto
più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al
ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione.
Non si tratta, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria (adorazione), che è riservato solo alla
natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri,
onorandoli con l’offerta di incenso e di lumi (venerazione). L’onore reso all’immagine passa a colui
che essa rappresenta. Chi oserà pensare o insegnare diversamente o inventare delle novità, o gettar
via qualche cosa di ciò che è consacrato a Dio, nella Chiesa, come il Vangelo, l’immagine della
croce, immagini dipinte, o le sante reliquie dei martiri, in questo caso, quelli che sono vescovi o
chierici siano deposti, i monaci e i laici, vengano esclusi dalla comunione. Se qualcuno non
ammetta che Cristo, nostro Dio, possa esser limitato, secondo l’umanità, sia anatema. Se qualcuno
rifiuta che i racconti evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema. Se qualcuno non saluta
queste immagini, fatte nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema. Se qualcuno rigetta ogni
tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema. Se qualcuno non saluta queste
immagini fatte nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema; se qualcuno rifiuta che i racconti
evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema.
L’EREDITÀ PATRISTICA Giovanni Damasceno, riprendendo Basilio dice che l’onore dato
all’immagini si trasferisce al prototipo. È prototipo ciò che viene rappresentato nell’immagine, dal
quale ciò che è derivato trae origine. Tentare di raffigurare la divinità sarebbe scandaloso ma Dio,
facendosi uomo per noi, visse sulla terra e assunse in sé tutto ciò che ora è stato redento; poiché tutti
non sono in grado di leggere o non hanno avuto tempo di dedicarsi alla lettura, i Padri ritennero
opportuno che questi eventi fossero presentati sinteticamente in immagini per essere “ricordati”. In
esse veneriamo non la materia ma ciò che vi è rappresentato. Prostrandoci, veneraiamo, non la
materia, ma ciò che viene presentato nell’immagine. L’onore tributato all’immagine viene rivolto al
prototipo.
L’EREDITÀ BIZANTINA Meyendorff: nella sua opera “La Teologia bizantina”, al capitolo
tratta della crisi iconoclasta. Un movimento durato poco più di un secolo volle per vari motivi
abolire le icone dalla vita cristiana. Il problema sulle immagini scaturì in contesti delicati. Esso
tratta di un problema di cultura religiosa (es. monofisismo che insisteva sulla sussistenza di
un’unica natura in Cristo), di un confronto con l’Islam, l’eredità dello spiritualismo ellenico (AT
vietava immagini, gli origenisti iniziarono a spiritualizzare la questione). Il Monofisismo, l’eresia
che insistendo sull’unità sostanziale del Verbo supponeva nello stesso Verbo incarnato una nuova
natura sola, era contraria alle immagini perché Dio non si può raffigurare. Questa teologia cercava
una base nelle discussioni cristologiche dei secoli passati. Raffigurare Gesù sarebbe ripristinare
l’eresia nestoriana e monofisita. Calcedonia affermò che “ogni natura in Cristo conserva il proprio
modo di essere” si ritenne giusto che Cristo può essere raffigurato perché la natura umana, assunta
nell’ipostasi del Logos, conserva la sua identità senza fondersi con la natura divina e scomparire in
essa. L’immagine di Cristo è quindi un atto di fede nell’incarnazione storica. Per gli iconoclasti
ogni icona, tranne la croce, era idolatrica. Per questo la festa dell’ortodossia celebra l’icona di
Cristo contro quelli che, avendo come unica icona l’Eucaristia, non credono effettivamente
nell’Incarnazione. Giovanni Damasceno giustificò teologicamente l’uso delle immagini
restringendo la proibizione delle immagini veterotestamentarie alla raffigurazione del Dio invisibile
in se stesso. La proskynesis davanti alle immagini non è una adoratio, nel senso di latria, riservato al
solo Dio. Per gli iconoclasti, ogni icona, tranne la croce, era idolatrica. Per questo la festa
dell’ortodossia celebra l’icona di Cristo, vittoriosa degli avversari della fede nell’incarnazione, per i
quali l’unica icona valida di Cristo è l’eucarestia. Invece per gli iconoduli l’incarnazione coinvolge
tutto l’uomo, che può essere raffigurato, dal momento che la venerazione s’indirizza non alla
materia dell’icona, ma alla persona rappresentata.
TEOLOGIE ORIENTALI DELLA PSEUDOMORFOSI. Metrophane Critopoulos: Sembra
che la Chiesa abbia appreso dalla stessa Sacra Scrittura di fare delle icone sacre. Infatti, si sa che
Dio ordinò a Mosè di fare i cherubini, cioè l’icona dei cherubini. Bisogna usare quelle icone non
come piace a qualcuno, ma con riverenza e devotamente. Anche la sinagoga dei giudei trattò con
riguardo, non come piacque, tutte le cose consacrate a Dio, sia l’arca, sia gli strumenti del sacrificio
perché la legge ordinava di non toccarle. Anche Dio approvò, e spesso si adirò con quelli che non si
comportavano così verso le cose sacre. La Chiesa antica cominciò a riprodurre icone, sia quelle che
sono vestite di corpi, sia quelle che non sono fornite di corpo, apparvero tuttavia in alcuni corpi, per
il fatto che non potrebbero essere visti diversamente, gli angeli, per persuase a rappresentare le
icone di una essenza divina e priva di aspetto. Né infatti, è lecito riprodurre con una icona
circoscritta l’incomprensibile Dio. È però possibile rappresentare la carne assunta del Verbo Dio.
Anche gli uomini a lui graditi e perciò detti santi, dei quali stimiamo lo zelo, quanto per la
perfezione morale di colui che fu crocifisso. Più di tutti gli altri santi della stessa signora nostra
Madre di Dio e sempre Vergine Maria.
LA TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA Yannaras: Negli ultimi decenni la
teologia russa della diaspora ha offerto interessanti testimonianze di interpretazione del simbolismo
teologico delle icone dell’oriente ortodosso, sottolineando anche le differenze rispetto alla pittura
religiosa occidentale. Fin dal secolo XIII non possiamo più parlare di iconografia ecclesiale in
Europa ma solo di pittura religiosa. Ciò significa che nell’ambito della chiesa occidentale
l’espressione figurativa cessa di essere studiata secondo i presupposti della teologia figurativa
formulati dal VII concilio ecumenico di Nicea del 787. Nella pittura religiosa d’Europa domina la
riproduzione naturalistica delle persone sante, dei luoghi e degli oggetti sacri. La “sacralità” delle
realtà rappresentate consiste esclusivamente nel significato tradizionale della tematica
nell’interpretazione allegorico-analogica che l’osservatore ne farà.
La pittura religiosa occidentale non ambisce a trascendere la fenomenicità occasionale ed effimera
dell’individualità ontica, la sua sottomissione alle leggi della corruzione e della morte. Perciò
qualsiasi donna giovane può essere il modello per dipingere la Vergine, qualsiasi uomo giovane può
rappresentare il Cristo o un santo, qualsiasi luogo può prendere il posto dello spazio della
rivelazione biblica. La pittura funziona solo come ornamento e come insegnamento ma non come
rivelazione. Riproduce il mondo decaduto, al quale tenta di dare significato “religioso”, cioè un
contenuto emozionale, senza questione della possibilità dell’esistenza e della vita al di là
dell’individualità ontica. Esistono però nella pittura occidentale più recente capolavori creativi che
esprimono la ricerca della possibilità della forma al di là della “onticità”.
Il problema che dovette affrontare l’iconografia bizantina era lo stesso dell’architettura ecclesiale:
come è possibile rappresentare con il disegno ed il colore non la natura, le individualità ontiche
corruttibili e mortali, ma l’ipostasi delle persone e delle cose, quel modo d’esistenza che fa
sussistere gli enti nella vita vera. Certo, l’icona bizantina non è una creazione ex nihilo. Tuttavia per
la formulazione della verità teologica così come per le manifestazioni della sua arte la chiesa ha
assunto la concreta carne storica dell’epoca trasfigurandola in rivelazione dell’evento della
salvezza. Carne storica dell’icona bizantina è la pittura romana dei primi secoli della chiesa e
principalmente le sue radici greche. Queste radici dell’arte greca classica danno forma ad una
tecnica che consente l’astrazione dalle caratteristiche individuali e circostanziate della persona o
dell’oggetto rappresentati per riuscire a ricondurre il particolare concreto all’immediata visione del
suo senso o della sua essenza. L’arte greca classica “prepara la strada” all’iconografia bizantina.
L’icona bizantina esprime un’ontologia ed una cosmologia completamente diverse da quelle della
grecità classica. In ogni caso attraverso la tradizione tecnica greca anche l’iconografo bizantino
perviene al superamento dell’onticità sensibile, delle caratteristiche individuali e circostanziate della
persona o dell’oggetto rappresentato. La tecnica dell’icona conduce l’“astrazione” greca ad un
livello sorprendente di espressività, ove il particolare concreto funziona come simbolo delle
dimensioni universali della vita. L’icona bizantina non è così solo una proposizione pittorica. È
principalmente espressione e manifestazione di una comune attitudine di vita, di una liturgia della
vita che l’artista prende ad esprimere astraendo quanto più possibile dagli elementi del suo
intervento individuale. La sottomissione individuale ad un dato tipo iconografico non concerne solo
l’artista ma anche l’osservatore dell’icona. Essa non propone una visione ideale e “logicamente”
completa dell’ente ma chiama alla comunione e ad una relazione all’ipostasi di ciò che è raffigurato.
Questo passaggio presuppone la sottomissione delle resistenze individuali perché sia liberata la
possibilità di una relazione e di una partecipazione personali. L’icona bizantina esprime
un’ontologia e una cosmologia completamente diverse da quelle della grecità classica; l’icona
esprime ontologia e cosmologia superando di gran lunga l’arte classica. Filosoficamente nell’icona
avviene una partecipazione del particolare concreto non ad un’universalità astratta ma alla “vera
vita”. Il superamento dell’onticità sensibile, delle caratteristiche individuali e circostanziate della
persona o dell’oggetto rappresentato non mira alla manifestazione dell’idea dell’ente e alla
riduzione dell’esistenza reale all’“universale” ideale. Per il bizantino la sola realtà esistenziale al di
là della corruzione e della morte è la persona, il trascendimento dinamico dell’individualità che
costituisce una trasformazione del modo di esistenza. Non si tratta di riduzione del particolare
concreto all’universalità astratta di una data “metafisica”, di un’idea solo intellettualmente
accessibile. Si tratta della possibilità di partecipazione del particolare concreto alla “vera vita”
dell’alterità personale e della libertà da ogni determinazione naturale. La tecnica dell’“astrazione”
nell’iconografia bizantina è ben qualcosa di più di una maniera artistica: esprime ed attua l’ascesi
della chiesa. Tanto l’artista quanto l’osservatore dell’icona, mentre sono determinati dai canoni
dell’ascesi sono però resi liberi senza limitazione dalle possibilità di astrazione che offre questo
stesso tipo, cioè dalle possibilità di rinuncia dinamica alla visione individuale degli enti e dalle
possibilità di riconduzione e di accordo con la visione universale delle persone e delle cose da parte
di tutta la chiesa. Esistono canoni oggettivi che stabiliscono come l’iconografo deve preparare
l’“abbozzo” nelle “ombre”; come deve fare gli occhi, la bocca e come infine deve aggiungere le
“luci”. Sono canoni non scritti e tuttavia assolutamente precisi, che non sono insegnati teoricamente
ma sono trasmessi come esperienza di vita e di ascesi dal maestro ai suoi discepoli. I canoni
oggettivi e il tipo consacrato dell’icona sottomettono la visione individuale che il pittore ha della
verità iconografica, la sua idea e concezione individuale, ad una visione che è evento di comunione.
Non presenta la realtà come egli la vede con i suoi occhi fisici ma con l’aiuto di simboli che sono
modelli comuni della coscienza ecclesiale. “Infatti la creazione delle icone non è invenzione del
pittore, dice il VII concilio ecumenico, la legislazione e tradizione approvata della chiesa
universale”. Il paradosso è che la sottomissione dell’artista ai tipi iconografici dati non limita
l’ispirazione e l’iniziativa creative, non è una specie di “censura” e di castrazione spirituale imposta
al talento e alla capacità dell’artista. Al contrario, quanto più egli è liberato dai suoi impulsi estetici
individuali tanto evidente si rivela l’alterità personale la sua propria verità universale. L’iconografia
ecclesiale presuppone la conoscenza perfetta ed accurata da parte del pittore della pittura
“mondana”. È noto che i candidati all’iconografia passavano per lunghi e faticosi “studi” di
composizioni paesaggistiche e di ritratti prima di giungere all’icona.
LA TEOLOGIA CATTOLICA ORIENTALE Le immagine sacre hanno grande importanza, esse
offrono la visione delle meraviglie che Dio ha compiuto sulla terra per opera del Verbo incarnato,
per mezzo dei santi e della Chiesa; esse rivestono grande importanza nella vita liturgica. Una delle
caratteristiche della liturgia; celebrare, ricordare, rendere presenti i momenti nei quali si realizza la
nostra salvezza, è fatta propria dalle icone. L’iconografia bizantina non adorna le chiese ma celebra
liturgicamente nella polifonia eucaristica la riconduzione dell’esistenza al compimento ipostatico
della vita. La rappresentazione attraverso le immagini può contribuire grandemente a evocarli,
fissarli nella mente, nel cuore di chi li contempla. Mentre l’arte cristiana occidentale si muove su
via naturalistica, quella orientale evoca e rappresenta le realtà celesti. Il significato delle icone:
evocare, rappresentare l’assoluta novità cristiana, esprimere la dimensione celeste dei personaggi
che rappresentano un carattere sacro partecipe del divino. Le icone, oggetti diretti di culto venerate
come le immagini del Signore, le sue opere, i santi. Le Chiese orientali cattoliche hanno abitudini
occidentali, sono estranee alle esigenze e al significato delle loro tradizioni proprie; vi è un recupero
organico; si cerca di evitare ibridismi e contraddizioni e si cerca di corrispondere ad esigenze
intrinseche e coerenti. Le Chiese orientali cattoliche esposte all’influsso di stili di arte sacra
completamente estranei al loro patrimonio: la forma esterna degli edifici sacri, la distribuzione degli
spazi interni, le immagini sacre. L’unità armonica di parole, gesti, spazi, oggetti. Percepire la
ricchezza dei segni. Fedeltà non fissismo anacronistico. Sviluppo in piena coerenza con il
significato profondo, immutabile di quanto celebra.
TEOLOGIE ORIENTALI IN DIALOGO Il secondo concilio di Nicea del 787, che ha rigettato
l’iconoclastia e riabilitato la venerazione delle icone nelle chiese, non ha fatto parte della tradizione
ricevuta dalla Riforma. Tuttavia i luterani hanno rigettato l’iconoclastia del secolo XVI e affermato
la distinzione tra l’adorazione dovuta alla sola Trinità e ogni altra forma di venerazione. Il valore
delle icone sacre non ha tuttavia lo stesso significato per i luterani e per gli ortodossi. Eppure, sia
luterani che ortodossi concordano sul fatto che il secondo concilio di Nicea conferma gli
insegnamenti cristologici dei concili precedenti e, nel proporre il ruolo delle immagini nella vita dei
fedeli, riafferma la realtà dell’incarnazione del Verbo eterno di Dio.
I referenti liturgici: Evdokimov, Teologia della bellezza. L’arte dell’icona. L’icona e la liturgia
Nelle case dei fedeli l’icona è posta in alto e nel punto dominante della stanza; essa guida lo
sguardo verso l’alto, verso l’Altissimo. La contemplazione orante attraversa l’icona e non si ferma
che al contenuto vivente che essa traduce. Nella sua funzione liturgica essa consacra i tempi e i
luoghi; di una abitazione neutra fa una “chiesa domestica”, della vita di un fedele fa una vita orante.
Il visitatore, entrando, s’inchina davanti all’icona, raccoglie lo sguardo di Dio e poi saluta il padrone
di casa. L’icona svela, nella liturgia stessa, una funzione iconografica, una rappresentazione scenica
espressa in immagini di tutta l’economia della salvezza. Durante il saluto valichiamo il terrestre e
partecipiamo “misteriosamente” alla liturgia eterna celebrata dal Cristo stesso nel cielo. CCEO
Can886: rimanga ferma la prassi di proporre nelle chiese le sacre icone o immagini alla venerazione
dei fedeli cristiani, nel modo e nell’ordine da stabilire per diritto particolare della propria Chiesa sui
iuris. Can888: le reliquie, le icone o immagini che sono onorate in qualche Chiesa da grande
venerazione del popolo non possono in alcun modo essere alienate. Catechetici: è interessante
leggere l’icona. Tuttavia non bisogna voler attribuire un significato a tutti i tratti e a tutti i colori,
perché un’icona esprime il mistero della fede. L’icona può esistere soltanto perché Dio si è
incarnato: per questo trasfigura la realtà. Lo scopo dell’icona è di insegnarci, di aiutarci a pregare e
a vivere la nostra fede nella vita quotidiana.
PROSPETTIVE SISTEMATICHE. Enciclica di Dimitrios I, patriarca di Costantinopoli:
Concilio di Nicea II e la teologia delle icone. La tradizione ortodossa dichiara che attraverso
l’icona viene svelata la manifestazione della presenza, dell’ipostasi divina e vengono posti da parte
o nell’ombra tutti i dettagli esteriori. La persona rappresentata nell’icona è un essere appartenente
alla natura ma ormai non più sottomesso ad essa. L’icona presenta la persona sacra non nelle sue
proporzioni naturali o nelle sue sembianze umane ma nella sua dimensione celeste. La realtà
dell’icona armonizza l’elemento della materia e quello dello spirito; l’immagine così è una potente
forma espressiva. È il Verbo che si offre misticamente alla teologia della vista! È il Signore
l’immagine di ogni immagine. L’icona di Cristo non è Cristo stesso, come nell’Eucaristia, ma in
essa abbiamo la presenza della sua ipostasi (proiettata) che non mortifica la materia o i colori. Il
mistero dell’icona è contenuto nella rassomiglianza dinamica e misteriosa che rimanda all’originale,
all’essere divino e umano del Signore. Ogni icona del Cristo rappresenta e comprende l’ipostasi del
Signore e questa ipostasi è proprio l’elemento che, attraverso di essa, irradia verso l’esterno (è
proiezione dell’ipostasi). Per quanto riguarda le icone di Maria e degli angeli l’impostazione è
pneumatocentrica perché proiettano davanti a noi il vero volto della loro ipostasi glorificata dallo
Spirito Santo.

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