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IRLANDA
Secoli da fine XVI a prima metà XVII. In questo periodo della storia essa non esiste come
terra che ha prodotto una tradizione letteraria o come solido oggetto letterario. Essa ha
delle caratteristiche culturali estremamente particolari. Gli scrittori che analizzeremo sono
inglesi ed irlandesi: al primo gruppo appartengono Spenser e Shakespeare, mentre al
secondo McGuinness. Quest’ultimo è un drammaturgo contemporaneo vivente, ed è lui
che proporrà una visione contemporanea degli eventi che coinvolgono Shakespeare e
Spenser nei contesti irlandesi nel XVI e XVII secolo.
McGuinnes, 1997. Ha come centro tematico l’incontro fittizio in Irlanda tra Spenser e
Shakespeare. Abbiamo un’altra figura importante, Fili, una figura di poetessa irlandese,
che raccoglie in sé molti ruoli: maga, giudice, poetessa, consigliera. È il simbolo della
cultura celtico-irlandese autoctona e che fungerà da trait d’union tra la conquista e il
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rispetto dell’identità irlandese. Grazie a lei nascerà una nuova tradizione scaturita
dall’incontro tra queste due culture opposte.
“A VIEW OF THE PRESENT STATE OF IRELAND” Nel 1596 scrisse il pamphlet in cui
egli sostiene che l’Irlanda non avrebbe potuto essere pacificata dagli inglesi finché fossero
rimasti vivi la lingua e la cultura. Dovevano scomparire i costumi locali, quindi il testo fu
molto scottante e la pubblicazione venne rimandata a momenti in cui prese di posizione
così drastiche venissero accettate. Per Spenser bisognava indurre una carestia in Irlanda
per dimezzare la popolazione. Propone una visione pregiudizievole dell’irlandese. Dal
punto di vista storico l’opera è stata considerata una fonte storiografica essenziale per
molto tempo perché propone l’uso delle leggi ecc. Il testo inneggia al genocidio, che lo
teorizza come soluzione ai mali politici/sociali del paese. Spencer però ama il paesaggio
irlandese e soprattutto si sofferma sulla tradizione dei bardi, apprezzando la tradizione
poetica gaelica per invidia. I bardi erano coloro che avevano la sapienza ed erano stimati,
cosa che a lui non era successa. Dice anche che erano però bravissimi contastorie che
raccontavano però storie di fuorilegge, briganti e dunque per quanto riguarda i contenuti
non potevano essere apprezzati. Spenser vuole dimostrare che gli irlandesi sono
discendenti dagli sciiti, noti per barbarie e lotte sanguinarie, dunque è impossibile che essi
abbiano raggiunto l’Irlanda ma questo è un altro modo di manifestare e giudicare il
pregiudizio contro gli irlandesi.
“THE FAERIE QUEENE” è un poema epico incompiuto di 6 volumi. I primi tre libri sono
stati pubblicati nel 1590, mentre gli altri 3 nel 1596. La lettera dedicatoria è a Sir Water
Raleigh. Definisce questo testo poetico come un’allegoria, usando un termine
interessante, ossia “Full of dark conceits”, pieno di concetti oscuri. Il testo è una lunga
allegoria che descrive le virtù cristiane calandole nel contesto della leggenda di Re Artù,
quindi in un contesto inglese. L’idea originale era quella di scrivere 12 libri, come l’Eneide
di Virgilio (ispirazione classica), che dovevano essere suddiviso in 12 canti. Il castello però
venne dato alle fiamme quindi molte cose si persero e in più la morte prematura gli impedì
di completare l’opera. Ogni libro rappresenta una virtù e il protagonista di ogni libro è il
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cavaliere che la incarna. È anche un testo avventuroso e cavalleresco a suo modo, e
l’opera risente dell’influsso dell’Ariosto, dell’Orlando Furioso, apertamente dichiarato da
Spenser, soprattutto perché l’opera ariostesca ha un tono giocoso.
L’altro esempio italiano è Tasso con La Gerusalemme liberata, per quanto riguarda il clima
morale. Il poema è scritto in strofe, di invenzione spenseriana; egli si ispira all’ottava
ariostesca ma la modifica attraverso l’aggiunta di un verso. 8 pentametri giambici e 1
alessandrino conclusivo, composto da 12 sillabe. Il verso finale è il verso che conclude il
discorso fatto negli 8 versi precedenti, e la rima è ABAB BCBC C. Il linguaggio è
particolare e volutamente arcaico, che richiama opere precedenti come Canterbury Tales
(1387-1400) di Chaucer per dimostrare un tradizionalismo. È il poeta inglese che meglio di
tutti incarna il proposito di fondere le componenti inglesi con quelle europee e con i testi
classici. Cerca di modernizzare la poesia inglese attraverso questi usi e prestiti
essenzialmente di derivazione italiana e classica. L’intento era quello di creare un
rinascimento inglese. La Faerie queene è la rappresentazione della regina Elisabetta,
proposta come regina delle fate, avente il nome Gloriana (si celebrano le glorie della
nazione). Per 12 giorni ogni giorno riceve un cavaliere al quale offre la possibilità di
distinguersi quindi ogni canto narra le gesta di un cavaliere in questione che rappresenta
una virtù. Il cavaliere della rossa croce rappresenta la SANTITà e la chiesa anglicana. Red
Crosse si cimenta nella lotta contro un drago, chiamato Una, che sarebbe la religione
vera. Nel 2° libro vengono narrate le avventure di Sir Guyon, simbolo della
TEMPERANZA. Il 3° libro è dedicato a Britomart simbolo della CASTITà e del POTERE
MILITARE BRITANNICO (brit= britannia e mart=guerra). Il 4° libro sviluppa il tema
dell’AMORE. Il 5° ha come protagonista Artegal che rappresenta la GIUSTIZIA. Il 6° libro
ha come protagonista Sir Calidore, che rappresenta la CORTESIA. Spenser scrive che il
fine ultimo di tutto il libro è quello di formare il gentiluomo con una formale ma allegra
disciplina. È un poema vario proprio perché è ricco di toni e situazioni diverse in qui di
fondono temi cavallereschi, patriottici, religiosi e filosofici. Si fondono le componenti
medievali con quelle più moderne per creare una nuova tradizione.
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13/11/18
“THE TEMPEST” Shakespeare. A partire dagli anni ’60 del ‘900 i critici che si
interessavano agli studi postcoloniali si sono interessati all’aspetto del potere e
dell’usurpazione e hanno visto in Calibano colui che vuole opporsi agli usurpatori. Ai tempi
di Shakespeare buona parte del mondo era stata già scoperta e tuttavia circolavano storie
che parlavano di personaggi strani, isole lontane e una di queste era quella dei cannibali
dei Caraibi. Attraverso il personaggio Shakespeare presenta una riflessione profonda sulla
moralità del colonialismo e rappresenta una voce alternativa a quella del colonizzatore.
Nel testo sono proposti diversi punti di vista: quello di Calibano, ma anche visioni utopiche
riguardo al futuro dei regni, proposto dal personaggio Gonzalo. Calibano è presentato
come uno dei personaggi più legati alla natura e appare più nobile di tutti gli altri
personaggi. Shakespeare sembra che prenda posizione nei confronti del colonialismo
perché presenta questo personaggio come unico vero personaggio naturale.
Guerra di religione, guerra civile, conflitto tribale, sono definizioni che sono state affibbiate
alla difficile situazione irlandese, ma travisano la realtà. Le popolazioni sottomesse a
sterminio sono state numerosissime ma quello dell’Irlanda è un caso unico di un paese
sfruttato da una potenza coloniale vicina geograficamente che nei secoli ha schiavizzato e
oppresso la popolazione con scientifica regolarità. Fin dall’età tardomedievale gli irlandesi
hanno sempre cercato di difendere il proprio territorio e allontanare la concezione di
essere barbari sanguinari e che potessero essere educati soltanto usando le armi o le
maniere forti. Il pregiudizio inizia a essere creato nel medioevo e ha contribuito alla nascita
e sviluppo di un razzismo molto forte. L’immagine dell’irlandese sanguinario ha consentito
alla classe dirigente inglese di giustificare il proprio operato. Se pensiamo a Cromwell, egli
fu il capo di una missione civilizzatrice nella metà del VII secolo sbarcando in Irlanda per
dare la lezione ai barbari nativi; missione molto simile a ciò che accadde nel 1969
(esercito irlandese uccide un gran numero di cattolici). L’intervento inglese servì solo a
sedare le rivolte di coloro che chiedevano uguaglianza e pari opportunità. Questo
disprezzo nei confronti della presunta inferiorità degli irlandesi affonda le sue radici molto
prima di Cromwell e costituisce da sempre l’alibi dell’esperienza coloniale fatta in Irlanda.
Risale al XII secolo, in epoca normanna.
PLANTATIONS La fase dell’incancrenimento del conflitto può essere individuata
all’inizio dell’era elisabettiana, dove vengono ideate delle campagne, plantations, con le
quali si cacciano i cattolici e si fa diventare l’Irlanda un paese protestante. Occupazione
elisabettiana dell’Irlanda. Da allora il controllo sull’isola venne affidato a una nuova classe
dirigente che si creò, sostituendosi alla classe locale.
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L’Irlanda viene occupata sulla base di un discorso legato alla religione; questo è il periodo
della riforma anglicana che coincide con una svolta decisiva nella politica inglese nei
confronti dell’Irlanda. Visto che gli inglesi diventano protestanti non hanno più il sostegno
del papato che si rivolgerà a chi è cattolico, ossia gli irlandesi, identificandosi con gli
oppressi. Nasce l’identificazione tra religione cattolica e cultura irlandese che contribuirà a
introdurre l’elemento religioso nella lotta. La definizione guerra di religione però è
inadeguata perché l’Irlanda è sempre stata una colonia atipica, vicinissima al colonizzatore
e in alcuni casi la mescolanza tra i due popoli ha fatto sì che molti irlandesi abbiano
contribuito allo scontro e al mantenimento del potere inglese. I pregiudizi anti-irlandesi
emergono in ogni occasione: quando i soldati della corona sbarcarono in Irlanda nel 1969
gli inglesi credevano davvero che gli irlandesi fossero ancora dei ribelli da sottomettere e
non ebbero alcun interesse a pacificare la popolazione, e si macchiarono di delitti
profondamente ingiusti. Anche oggi gli irlandesi sono considerati inferiori, violenti,
irrazionali e molte volte nelle televisioni locali e nelle conversazioni quotidiane si trovano
esempi di razzismo umoristico. È dunque un pregiudizio che è ancora presente. Per capire
com’è nato bisogna risalire alle cronache tardomedievali, che servono per ricostruire le
origini.
Fine del XII secolo gli inglesi per la prima volta invadono l’Irlanda ed è un’invasione
“favorita” dal papa Adriano IV (unico papa inglese della storia della chiesa) che promulgò
una bolla papale chiamata LAUDABILITER (1155). Essa autorizzava la missione
colonizzatrice di Enrico II, l’allora sovrano d’Inghilterra. La veridicità di questa bolla è stata
spesso messa in discussione, ma non esistono neanche elementi seri per contraddire la
sua originalità. In quell’occasione, John di Salisbury riuscì a ottenere un documento
ufficiale nel quale il papa medesimo dava il via libera agli eserciti di Enrico II. Il papa dona
l’Irlanda al re di Inghilterra e lo fece in virtù di un antico diritto che si pensava derivasse
dalla DONAZIONE DI COSTANTINO, un documento del 315 d.C. Questo documento
antichissimo prevedeva che tutte le isole del mondo appartenessero alla chiesa di Roma.
L’Irlanda in quel periodo era divisa in tantissimi piccoli regni ed era piena di guerre tra
regno e regno. Secondo le cronache dell’epoca più attendibili furono le divisioni della
società irlandese a favorire questa prima invasione anglonormanna. Il tessuto sociale e
politico irlandese era frammentato. Essendo debole politicamente, Enrico II approfittò del
papa che glielo consentiva e della situazione irlandese. Non subito si ebbero queste
invasioni, ma nel 1167, che fu la prima parziale conquista dell’Irlanda che fu portata a
termine nel 1172. Alla fine di quest’impresa i normanni riuscirono a impadronirsi delle città
sulla costa orientale, poi si impossessarono di tutti i porti strategici a sud di Dublino. Nel
1171 Enrico si recò per la prima volta in Irlanda per ricevere la sottomissione dei sovrani
irlandesi.
1171 segna quindi l’inizio delle condizioni per un’amministrazione permanente dell’isola
e da qui cambia la natura dell’invasione anglonormanna: da semplice campagna
espansionistica, si gettarono le basi di un legame inscindibile tra le due isole.
1172 l’Irlanda diventa la prima colonia inglese.
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Fino a quel momento in Irlanda aveva funzionato un sistema tribale primordiale; una sorta
di federalismo tra i singoli regni che però non era molto solido e quindi gli invasori lo
modificarono per introdurre il sistema feudale normanno, totalmente sconosciuto agli
irlandesi. Essi erano fedeli al loro capo, ma dopo l’invasione ci fu una totale sottomissione
al re inglese, quindi il sovrano non era più il punto di riferimento. Secondo le strutture
feudali normanne il re era proprietario per investitura divina di tutte le proprietà fondiarie, e
ne poteva disporre a proprio piacimento. I piccoli feudatari erano costretti a prestare
giuramento di fedeltà al re diventando suoi vassalli e obbligati a versare tasse e tributi
personali. La concezione del diritto feudale di Enrico risulta inconciliabile con la tradizione
gaelica, perché le terre costituivano il bene comune della tribù. Esistevano delle usanze
molto particolari tipiche dell’Irlanda gaelica: ad esempio il divorzio era consentito, era
possibile sposarsi con la moglie del fratello qualora egli morisse. Per questo erano
considerati barbari e indisciplinati. La società era organizzata con classi sociali distinte
sacerdoti, guerrieri, giudici e proprietari terrieri. I sacerdoti potevano sposarsi, e questa fu
un’usanza censurata, insieme al controllo dei monasteri che passò agli inglesi. Adriano IV
essendo l’autore della bolla è considerato dagli irlandesi il colpevole della loro situazione.
Nel 1172 riconobbe a Enrico II il titolo di DOMINUS HIBERNIE (re d’Irlanda), con la
missione di spiegare la fede cristiana a un popolo di barbari. Quest’autorizzazione papale
serviva anche dunque a riformare e ad ampliare il dominio della chiesa di Roma. La
missione di Enrico II fu considerata quindi anche religiosa oltre che civilizzatrice. Questo
fece sì che il re fu paradossalmente considerato come pacificatore e gli scontri furono
alimentati il più possibile per conquistare la maggior parte dell’isola tranne una parte
dell’Irlanda del nord dove rimase viva una tradizione gaelica.
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Il cuore della cultura gaelica rimane circoscritto al nord dell’Irlanda. Ad Adriano IV succede
Alessandro III, il quale con l’avvallo della nobiltà feudale irlandese conferma quello che
Adriano aveva proposto con la sua bolla e quindi il diritto di conquista anglonormanna
sull’isola. La propaganda sosteneva che gli invasori fossero decisi a moralizzare il paese;
la spedizione aveva uno scopo moralizzatore ma in realtà essa costituiva un affare
particolarmente redditizio per la chiesa di Roma. La bolla papale non si faceva scrupoli a
citare le decime che doveva essere pagato al papato dai singoli re irlandesi. Enrico II fu
molto attento a tenere buoni i rapporti con l’episcopato irlandese. Il pontefice aveva
ratificato la signoria inglese sull’Irlanda ordinando ai vescovi di collaborare e a
riconoscerne la sovranità: Enrico II doveva essere il sovrano dell’isola. Negli anni
successivi al 1171 gli anglonormanni esportarono il proprio sistema giuridico in Irlanda,
tanto che fu emesso un decreto che diceva che tutte le leggi dovevano essere controllate.
Viene anche creato un parlamento coloniale che replicava in scala ridotta quello inglese
il controllo da parte della corona divenne totale e costante. Le leggi vennero adattate al
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sistema legislativo inglese. Enrico II dopo essere diventato sovrano dell’isola, per
controllarla meglio confidò nella fedeltà dei coloni, e Dublino sarà il cuore del potere
anglonormanno. Intorno alla città venne creata una zona franca in cui la lingua, tradizione
e leggi irlandesi vennero proibite. Questa zona viene chiamata PALE recinto: gli inglesi
avevano recintato l’area che serviva per iniziare una colonizzazione profonda e
un’anglicizzazione della cultura e della lingua. Fu un processo parziale, non si riuscì subito
a sottomettere l’intero paese, ma quest’area divenne il centro propulsore di ogni iniziativa
volta alla colonizzazione. Compresenza di 2 nazioni: una inglese e una gaelica, arroccata
aldilà dei confini del Pale. Oltre il “recinto” cominciarono a crearsi matrimoni o rapporti
sociali che permisero la commistione dei costumi e col passare degli anni, i normanni si
inserirono sempre più nella vita gaelica. Avviarono un processo di assimilazione strano:
alcuni degli oppressori diventano amici degli oppressi. Per molto tempo gli inglesi si
accontentarono di rimanere nel Pale. Si parla di normanni che diventarono più irlandesi
degli irlandesi stessi “HIBERNIORES HIBERNIS IPSIS” (1155-1200). È in questo
periodo che comincia a ricorrere il tema dell’inferiorità del popolo irlandese.
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a quel momento, causati dalla Natura “stanca delle sue attività vere e serie”.
Abbiamo quindi un’aura di mistero e segretezza perché la Natura si è stancata di
creare le cose come devono essere fatte, creando invece un paese strano. Il testo
ebbe un successo strepitoso, e venne più volte ristampato e ritrascritto. Furono
organizzate 3 giornate di lettura pubblica del testo di Giraldo a Oxford. Fino al ‘700
è un testo che troviamo molto presente nella storiografia. La prima edizione a
stampa è del 1602. Scrive in latino e abbiamo 3 sezioni:
1) DE SITU HIBERNIAE descrizioni della natura e della fauna irlandesi. Viene
descritto il paesaggio e il clima irlandese. Giraldo li definisce eccessivi perché
c’è troppa acqua e piove sempre. Si sofferma su pesci, uccelli, mammiferi ecc.
ed è interessante notare come sia capace di osservare la natura e riprodurla. Si
tratta di una descrizione però infiorettata da aggiunte del tutto improponibili. Qui
Giraldo dice che per mostrare la propria indipendenza di giudizio dagli altri
cronachisti dice che lui l’ha visitato il paese mentre gli altri no, quindi la sua
osservazione si basa sulla verità. Subito dopo parla di un fatto che lui considera
vero, dicendo che il primo uomo giunto sull’isola dopo il diluvio universale aveva
creato nuovi fiumi. La Natura fa nascere le oche da stille di resina che
assumono l’aspetto di piccole conchiglie, che assumono piume e spiccano il
volo.
Ovviamente qui il dato storiografico si annulla con quello fantastico, ed è
interessante la sua presunzione di dire la “verità”. Poi descrive altri animali, in
particolare il falco pescatore a cui la natura ha procurato una zampa con artigli e
l’altra destinata a nuotare, e il martin pescatore che ha la prerogativa di
rimanere dopo la morte con le penne integre che si rinnovano ogni anno. Questi
“abbagli” di Giraldo sono totalmente in contrasto col suo presupposto di riferire
la verità. Era convinto che tutti i fenomeni naturali, anche quelli più strani,
devono portare un messaggio teologico, quindi aggiunge alla descrizione
naturalistica dei simboli e segni religiosi. È un messaggio per gli uomini la
generazione asessuata delle oche è metafora del concepimento verginale di
Gesù. Le zampe diverse del falco sono metafora delle azioni astute del diavolo.
Il martin pescatore è simbolo del rinnovamento morale che si può ottenere ed è
metafora dei santi, che come l’animale mai si decomporrà. C’è un’idea di
contrapposizione tra Oriente e Occidente, un confronto quindi tra le due parti
opposte del mondo Oriente arido e che è fonte di ogni malattia e veleno,
mentre in Occidente abbiamo l’Irlanda che è un paese massivamente umido, in
cui l’aria è benefica e nessun morbo può venire dal clima come nessun veleno
può agire.
Le due opere sono state scritte col proposito di trovare delle giustificazioni a quest’impresa
di conquista. Spenser si ispira moltissimo a Cambrense.
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“Il gran numero di deformi in questa nazione” la maggior parte degli irlandesi sono
ciechi e deformi. La natura si ribella alla loro ignoranza e li riduce deformi. È Dio che si
vendica perché non c’è fede. Giraldo eredita lo stereotipo dell’Irlanda incivile da una
tradizione che è ancora più antica e che deriva da Strabone geografo storico greco che
aveva prodotto delle descrizioni sugli irlandesi come dediti all’incesto e al cannibalismo.
Giraldo la usa amplificandola ed estremizza alcuni dati per sottolinearne alcuni che gli
servono a scopo propagandistico: il PAGANESIMO e la loro BRUTALITA. Giraldo ha
un’esperienza dei modi di vita limitata perché era filtrata attraverso gli occhi di chi gli ha
raccontato queste cose. Trae le sue descrizioni dai racconti che gli vengono fatti dai nuovi
conquistatori normanni, e dal clero, che voleva riorganizzare la chiesa irlandese secondo il
modello romano e non mantenere la struttura legata al monachesimo. Nel testo Giraldo
non menziona però i monaci irlandesi, perché sono esponenti di un momento nella cultura
religiosa altissimo; essi stavano nei conventi ed erano impegnati nella raccolta e
trasmissione del patrimonio letterario. Copiavano i testi per preservare la tradizione e molti
testi sono arrivati a noi grazie all’attività dei monaci. Furono anche capaci di produrre
opere creative originali che sono rimaste nel patrimonio culturale irlandese, come la BUILE
SUIBHNE (la follia di Suibhne) è una leggenda quella di Suibhne, ed è un testo che
anche nella contemporaneità continua ad essere rivisto. Giraldo però è il colpevole: con le
sue opere è una cassa di risonanza influentissima negli anni successivi per quanto
riguarda il razzismo verso gli irlandesi, e verrà citato da tantissimi autori, come Spenser.
Fu in epoca elisabettiana che le opere di Giraldo vengono tradotte in inglese, e questa
traduzione fomentò il sentimento anglo-irlandese.
“CAMBRENSIS EVERSUS” opera scritta da John Lynch nel 1662, ed è un attacco alle
teorie di Giraldo, che viene definito come uno scrittore indecente. Egli attacca le teorie di
Giraldo citando prove raccolte anche da altri storici demolendo le ricostruzioni delle sue
due opere. Lynch è un punto di riferimento importante nell’ambito della storiografia anti
cambense perché è il primo che apre gli orizzonti alla cultura irlandese. Egli approva il
processo di gaelicizzazione perché l’unico modo affinché si formi un’unità politica e
religiosa è quello di una mescolanza tra i due popoli. Giraldo è responsabile di tutto ciò
che è successo in Irlanda. In inglese moderno abbiamo un’espressione, “Beyond the Pale”
che vuol dire oltre il Pale, quando si vuol far riferimento alla terra di nessuno o ad un’area
priva di controllo e di legge. Quindi la storia di questa nazione ha ancora riflesso sulla
lingua.
Gli anglonormanni nel corso del tempo capirono che il tentativo di trasformare l’Irlanda da
regime tribale a feudale era molto difficile: gli irlandesi non pagavano i tributi al sovrano e
non si liberavano delle loro tradizioni gaeliche. I matrimoni misti aumentavano e i
discendenti degli anglonormanni adottavano le usanze celtiche, quindi paradossalmente
gli anglonormanni stavano diventando gaelici. La pratica del “Fosterage” prevede che i figli
dei nobili venivano dati in adozione alle famiglie con cui si voleva fare un’alleanza. Gli
anglonormanni dunque grazie a questi legami sempre più stretti cominciavano a parlare la
lingua gaelica. La common law piano piano perse forza e venne rimpiazzata da quella che
era la legge irlandese che ritornò in auge, le BREHON LAWS (breitheamh = giudice).
BREHON LAWS sistema formato da una serie di regole scritte che disciplinavano ogni
sorta di rapporto. Fanno ben capire come in Irlanda abbiamo sempre una commistione tra
paganesimo e influenza cristiana. Queste leggi, estremamene progressiste, sono un
insieme di norme civili e non sono volte alla criminalizzazione. Si occupano in particolare
di regolare la trasgressione con multe e non punizioni gravi. Attraverso questo sistema
quindi si regolavano pacificamente tutte le questioni. Elisabetta all’inizio le considerò
inopportune e a causa sua furono abolite. La donna aveva una grande autonomia sia nella
coppia sia nella società; in queste leggi si dice che la donna ha gli stessi diritti dell’uomo.
Le donne potevano possedere terre, animali ecc., e nel caso di divorzio la donna poteva
tenere la sua parte di beni. Una parte di queste leggi riguardava anche gli anziani: era
previsto che tutti dovessero avere una razione di cibo quotidiana (dovevano essere
considerati ancora parte viva della società), la famiglia doveva prendersi cura dell’anziano
provvedendo anche a lavargli il corpo. L’anziano deve essere rispettato come figura
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simbolica e chi non seguiva queste leggi veniva multato. L’ospitalità era sacra, e vi era
l’obbligo di fornire cibo e cure a chiunque bussasse alla porta. Era regolata anche la
quantità di alcol che si poteva bere: un uomo 6 birre al giorno mentre un monaco solo 3.
Questi aspetti rappresentano bene quanto avanti fossero le leggi irlandesi nonostante le
descrizioni storiche. La legge irlandese diventa sempre più applicata, e gli inglesi pensano
che sia giunto il momento di operare la popolazione irlandese e gli occupanti, per evitare
problemi alla corona.
Il duca di Clarence, figlio di Edoardo III re d’Inghilterra, per interrompere questo graduale
processo di unificazione tra le due popolazioni nel 1366 riunì il parlamento coloniale e
vennero promulgati gli STATUTES OF KILKENNY.
- Poiché gli inglesi in Irlanda stanno abbandonando le tradizioni inglesi e vive come
gli irlandesi si proibisce ogni tipo di cedimento alla tentazione di irlandesizzarsi.
- Agli inglesi fu proibito di tenere con sé artisti irlandesi perché “spiano i nostri
segreti”.
Gli statuti formalizzano la discriminazione come arma politica ufficiale. Essi operano
attraverso una prospettiva etnica e non religiosa, ai fini di un totale annullamento di una
cultura. Si tratta di una vera e propria forma primordiale razzismo. Gli storici hanno
proposto anche una giustificazione, definendo gli statuti come un testo razzista
estremamente difensivo. Per non erodere la tradizione inglese però fanno tabula rasa di
quella irlandese. Nonostante la loro durezza queste norme nel tempo si rivelarono
fortunatamente un fallimento perché gli irlandesi sono una popolazione estremamente
combattiva. Nessuna sanzione avrebbe potuto impedire ai coloni di sentirsi diversi dagli
irlandesi e già gli stessi irlandesi operavano una distinzione: chiamavano GALL gli
anglonormanni che ormai facevano parte della loro cultura e SASANACH gli inglesi.
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Alla fine del ‘300 e l’inizio del ‘400 questa prima fase dell’intervento inglese in Irlanda si
conclude con una conquista che non è stata portata a termine, perché molti erano “amici”
degli irlandesi.
1494 POYNINGS’ LAW. Stabiliva che le leggi inglesi valevano anche per l’Irlanda che
non aveva più libertà legislativa. Questa legge rimane in vigore fino al 1800, fino all’Act of
Union, che sancisce l’entrata dell’Irlanda nel Regno Unito.
La Reconquest pose fine al governo relegato, che adesso viene direttamente da Londra,
che controllava ogni aspetto tra cui l’esercito. Una svolta coincise con la riforma anglicana
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che in Inghilterra creò una monarchia assoluta e quindi uno stato centralizzato. La chiesa
era parte dello stato centralizzato; il protestantesimo divenne sinonimo di sovranità inglese
in Irlanda e da quel momento in poi il papato cessò di essere alleato alla corona
britannica. I sacerdoti cattolici irlandesi divennero i più acerbi nemici degli inglesi. L’Irlanda
diviene fortemente cattolica subito dopo la riforma, e questo dura fino ai giorni nostri.
Enrico VIII si fece proclamare re d’Irlanda e quindi il dominio era assolutamente diretto. È
da questo momento che la questione angloirlandese assume una coloritura soprattutto
religiosa; finora si trattava di una questione etnica e linguistica mentre ora diventa
essenzialmente religiosa. Enrico VIII si rifece alle leggi e precedenti statuti: vennero
proibiti di nuovo la lingua, abiti, acconciature, musica e poesia irlandesi. Inoltre, impose
pesanti tributi agli irlandesi. Anche i suoi successori confermarono questa scelta
repressiva; Edoardo VI ordinò che la religione riformata fosse imposta a tutti gli eretici
irlandesi. Succede a lui Mary I (Bloody Mary persona estremamente violenta), e sotto il
suo regno le terre dei proprietari irlandesi furono
consegnate ai colonizzatori, e inaugurò la politica delle PLANTATIONS politica che
vede il trasferimento forzato di anglicani in Irlanda di modo da togliere terre ai cattolici e
stabilire territori protestanti. Gli Irlandesi venivano privati dei loro diritti fondiari.
Nel periodo di Elisabetta I un numero crescente di affaristi vede nell’Irlanda un paese che
offre opportunità di guadagno; il paese va sfruttato e la scusa della religione diviene un
alibi per l’appropriazione. L’obiettivo di Elisabetta era quello di creare una vera e propria
colonia in quest’isola e nel ‘570 diede avvio ad un’altra pulizia etnica nel nord (dove
dovevano arrivare i protestanti) e al sud, vicina alla Spagna. Al nord questo progetto
coloniale non ebbe molto successo, al contrario del sud, grazie a uno schema capillare
ispirato alla proposta di Sir Walter Raleigh sarà il mecenate che permetterà a Spenser
di scrivere la sua FAERY QUEENE. Per anni gli irlandesi si opposero a questa
colonizzazione guerre e rivolte costanti, brutalità dei metodi utilizzati dai colonizzatori. Il
tentativo di imporre la riforma protestante in Irlanda fu potente e rappresentò il primo
elemento di discriminazione religiosa a cui l’isola fu sottoposta. Da questo momento i
nativi cattolici furono perseguitati sistematicamente. I cattolici si uniscono e si alleano tra di
loro, è un momento unificante. Nell’era Tudor i discendenti dei primi conquistatori
anglonormanni finirono per avere un ruolo sempre più ambiguo gli anglonormanni
erano cattolici ma erano anche leali alla corona. Questi anglonormanni non erano del tutto
irlandesi ma nemmeno completamente inglesi. Vennero denominati OLD ENGLISH. La
riforma contribuì a produrre una divisione netta tra OLD ENGLISH e i NEW ENGLISH
(quelli che Elisabetta aveva mandato in Irlanda). I primi cattolici e i secondi protestanti
situazione sociale estremamente complessa. Con la sistematica confisca delle terre
cattoliche fu sancita l’esclusione degli old english da qualsiasi politica e subirono il
trattamento riservato agli IRISH. Abbiamo dunque una politica di anglicizzazione e
protestantizzazione dell’Irlanda, i cui intenti sono pseudostabilizzatori. Anche Spenser non
propone più alcuna distinzione tra gli old english e gli irish. Gli old english secondo
Spenser non possono partecipare al processo di riforma perché sono cattolici, e propone
di sopprimere questa comunità insieme agli Irish. Da questo momento in poi i due gruppi
saranno legati indissolubilmente per via della religione.
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“VIEW OF THE PRESENT STATE OF IRELAND” 1596. Spenser visse a lungo in
Irlanda e fu segretario personale del governatore inglese Lord Grey e quindi come
membro importante del governo inglese in Irlanda. L’opera venne scritta negli anni in cui
Spenser stava pubblicando la seconda edizione della Faery Queene. La parola
DEGENERATION viene ripetuta costantemente nel testo, e fa riferimento alla situazione
irlandese. Viene iscritta nello Stationers’ Register nel 1598 elenco in cui venivano
registrati i titoli dei testi prodotti ed era l’unico modo per ottenere una licenza e pubblicare
il testo. Il trattato circolò a lungo in versione manoscritta e fu letto da molte figure
importanti dell’epoca. ANCIENT IRISH CHRONICLES (1633) di James Ware, raccolta
in cui l’opera di Spenser fu inserita; edizione con molte censure e mancanze. Alcuni critici
sostengono che il testo sia stato censurato perché il pregiudizio espresso nel testo era
davvero troppo offensivo, netto e violento. Altri critici sostengono invece che l’opera di
Spenser è un testo che descrive l’Irlanda in maniera molto dettagliata e precisa, dunque
poteva contenere informazioni utili ai nemici della corona, riferendosi agli spagnoli. Nella
versione di Ware vennero tolti infatti molti giudizi netti e pesanti sugli abitanti dell’isola e le
parti che parlavano di calunnie e falsità. Il testo che abbiamo nella dispensa è il testo
integrale. Esso fu scritto tra il ’96 e ’98,
gli anni delle ribellioni inglesi che costringono Spenser ad andarsene a Londra (1593-
1603): Spenser biasima l’utilizzo della Commonlaw inglese in Irlanda ritenendola
inappropriata perché adottata in un contesto corrotto. Al posto di questa propone
l’introduzione delle leggi marziali invasione militarizzata del paese. Egli scrive che “la
legge non si fa scrupoli di coscienza nell’emettere verdetti contrari agli inglesi, un
inconveniente che si potrebbe rimediare se i giudici stessero attenti a designare gli
irlandesi con un’indole più affidabile”. Per il fatto della religione egli dice che alcune delle
pratiche religiose dell’isola dovevano essere disprezzate: i cattolici praticano il loro
cattolicesimo in maniera impropria, ossia non seguendo i dettami di Roma. Oltre il recinto
in alcune aree vigevano ancora le tradizioni irlandesi e la violenza di resistere all’invasore.
La soluzione secondo lui è che non bastava sottomettere gli irlandesi alla legge inglese,
ma dice che è molto più efficace procedere alla distruzione della loro identità nazionale,
facendo in modo che essi si “dimentichino” di essere stati irlandesi, così da assimilarsi agli
inglesi. Quindi dovevamo avere una completa fusione tra i due popoli. Nella seconda parte
della sua opera propone infatti un piano rigoroso di assimilazione dell’isola. Gli old english
venivano considerati traditori e il piano di riconquista teorizzato dall’autore è un piano
violento, basato su leggi marziali, e fa un conto esatto dei soldati che servivano. Gli
irlandesi dovevano essere rieducati ai valori cristiani del protestantesimo e protetti da ogni
velleità di ribellione in futuro. Il caposaldo di questo tentativo di assimilazione è
“l’incivilimento protestante”, ossia la diffusione della religione riformata che avrebbe
eliminato il cattolicesimo. Per impiantare la religione non bisogna però usare la violenza
perché “va inculcata senza pesanti sanzioni, ma con garbo e con dolcezza, perché non
possa essere odiata prima ancora di essere capita”. Una parte dell’opera cita le barbarie
degli irlandesi e certe descrizioni si basano su Giraldo. Anche Spenser dice con
convinzione che gli irlandesi provengono dagli Sciiti, cosa assolutamente falsa, e
quest’idea ricorre, perché questo popolo era estremamente barbaro e violento. Nella parte
che riguarda questo dato gli irlandesi sono descritti come cannibali e selvaggi. In certe
parti dell’opera vengono riprese delle narrazioni coeve che proponevano una storia
interessante: re Artù dopo il matrimonio con Ginevra avrebbe allargato il suo impero fino a
15
sottomettere l’Irlanda, che quindi doveva appartenere all’Inghilterra. La leggenda arturiana
del possesso presunto dell’Irlanda la troveremo nella Faery Queene.
1601 sconfitta dei nobili gaelici. In parte quello che propose Spenser quindi si avverò.
21/11/18
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DELLA CIVIL CONVERSAZIONE uno dei testi più importanti della cultura
dell’epoca rinascimentale, insieme al “Galateo” di della Casa del 1558 e “Il libro del
Cortegiano” di Castiglione del 1528. I trattati sono in forma dialogica e sono dedicati
alla formazione del nobile, e in alcuni casi del privato gentiluomo. Il testo di Guazzo
ebbe un enorme successo ed è anch’esso un dialogo tra due personaggi, diviso in
4 libri. L’ambientazione è serale, l’autore non partecipa alla scena del dialogo, e
tutto ciò ci fa capire che Guazzo si rifà al Cortegiano di Casteglione. La differenza
tra i due è che guazzo ha solo 2 interlocutori, mentre Castiglione ne ha di più.
L’importanza del testo è data anche dal fatto che per la prima volta il termine
CIVILE non significa solo uomo cittadino, ma è inteso come lo intendiamo oggi,
quindi civile nelle maniere e nei costumi degli uomini, diventando un attributo
emotivo e caratteriale. Per Guazzo è consentito a tutti diventare civili attraverso la
conversazione e l’educazione. Il 1° libro del testo di Guazzo tratta un argomento
specifico che è “i frutti del conversare”, quindi cosa porta fare delle conversazioni
adatte, e nel libro l’autore distingue le buone dalle cattive conversazioni. Nel 2°
libro c’è un elenco delle maniere convenevoli di conversare e si stabiliscono
regole particolari a seconda della categoria di persone con cui ci si trova a
conversare, soprattutto tra uomini e donne. Il 3° libro fissa le modalità della
conversazione domestica. Nel 4° e ultimo libro è una rappresentazione teatrale
delle cose dette nei precedenti e la conversazione che intercorre tra queste
persone è esemplificativa di ciò che è stato detto in precedenza. Abbiamo un
passaggio importante tra la metafisica medievale alla concretezza, quindi abbiamo
una ricerca di raffinatezza ed eleganza sempre però legate alla razionalità. Nel
dialogo spensieriano emerge soprattutto questa ricerca di concretezza razionale.
L’opera serviva a capire come le società diventate civili negoziano le interazioni con
gli altri. Nel Rinascimento serve a capire come avvengono le interazioni pubbliche e
private. Spenser nel VI libro della Faery Queene dedicato alla cortesia, spiega che
la cortesia nella vita concreta di corte è il terreno fertile della conversazione civile.
L’interesse di Spenser alla Civil Conversazione è un modo per distrarsi dalla pesantezza
di ciò che accade in Irlanda. Il concetto di civil conversazione applicato all’Irlanda propone
una separazione tra la vita sociale e quella politica, e Guazzo privilegia la vita sociale a
quella politica se pur la conversazione possa essere anche su argomenti politici. In Irlanda
e per Spenser il concetto di civil conversazione era più utile politicamente e non
socialmente perché il problema della lingua è al centro della visione di Spenser. La
conversazione è centrale nella View perché è mezzo di espressione del conquistatore e
sottolinea la differenza tra il conquistatore che parla civilmente e il nativo che non è civile.
Nel testo si dirà che gli irlandesi hanno conversazioni sporche e non civili. La civile
conversazione può esistere soltanto in inglese. Il civile EUDOXUS conversa civilmente
con il civile IRENIUS e quindi la parola “conversation” ha un significato instabile in Irlanda,
perché oscilla tra civil quando è in english ed è incivil quando è in irish ruolo
importantissimo della lingua. Per Spenser ovviamente la conversazione può avere luogo
solo in inglese e lo mostra nel testo ritraendo persone inglesi che conversano civilmente.
Spenser non dà un valore metafisico alla lingua perché in Irlanda la lingua inglese non può
avere il potere di trasformare in civile quella irlandese, che quindi deve essere annientata
attraverso un’assimilazione non solo sociale ma anche linguistica, che si otterrà attraverso
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la violenza. Come dice l’autore “solo la spada potrà portare a una fusione”. Nella colonna
B, IRENIUS dice che bisogna tradurre gli irlandesi e con la conversazione quotidiana in
inglese essi saranno meno cattivi. L’efficacia della civil conversazione sta nel potere di chi
la possiede e che può imporla in maniera coercitiva con la spada per diritto di conquista.
La conversazione civile non ha potere di convertire, ma va imposta, quindi è possibile solo
tra chi è già convertito. Il discorso linguistico va quindi tenuto presente perché
estremamente importante. È interessante notare che nella parte seconda del testo
Spenser muove delle critiche al suo governo e ne critica la politica promissoria; mancano
di decisione, sono poco intransigenti in questa coercizione militare, e i comandi militari
sono corrotti. La critica più profonda però va agli Old english, traditori che si sono lasciati
assimilare e si sono adattati alla cultura irlandese. Spenser non fa nomi di autorità precise
però si tratta di critiche importanti. Spenser si mostra consapevole della superiorità
dell’Inghilterra perché ha avuto una forte influenza dai romani e normanni (francesi). La
cultura raffinata inglese quindi deriva da queste due popolazioni e viene messa a
confronto con la barbarie e la selvatichezza degli irlandesi. Rispetto alla Faery Queene
dove c’è un forte orgoglio nazionalistico, nella View non c’è, ma ci si limita a sottolineare la
differenza con gli irlandesi grazie a queste influenze continentali. Spenser non concepisce
la possibilità di demolire gli irlandesi ma vuole una “mescolanza dei sangui” come dice lui,
che è un fatto provvidenziale è la Provvidenza che dovrebbe aiutare gli inglesi e gli
irlandesi a mescolarsi, e che questi ultimi si dimentichino di appartenere all’Irlanda
(OBLIO).
La prima parte del testo è più analitica e l’immaginazione poetica di Spenser è più
evidente perché parla delle origini etniche e geografiche dell’Irlanda nel testo, dei costumi
e del paesaggio in cui gli irlandesi vivono, delle leggi e delle istituzioni che vengono
esaminate con curiosità ed erudizione. La seconda parte del testo è quella programmatica
dell’opera perché in questa parte l’autore delinea un piano capillare di invasione; è un
trattato militare in pratica, quasi poliziesco in alcune sue parti, per assoggettare il paese al
controllo politico inglese. Gli obiettivi principali erano:
- Riorganizzazione amministrativa
- Convincere gli irlandesi ad andare dalla parte degli inglesi, Decime e tasse.
Una volta “pacificata” l’isola con l’intervento militare, la regina Elisabetta avrebbe ricavato
risorse per uso esterno ma anche interno per l’Inghilterra. Per Spenser la militarizzazione
è assolutamente importante perché le guarnigioni sarebbero servite a tenere a bada i
ribelli e a proteggere l’isola dalle invasioni spagnole che gli inglesi temevano. L’interesse
della prima sezione è un interesse prevalentemente letterario più poetica che tecnica.
Si parla dei primi insediamenti nell’isola e delle cause della barbarie irlandese, insieme al
carattere anacronistico delle leggi in vigore. Sono dati che letterariamente sono validi; la
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cultura storica di Spenser abbraccia citazioni di varia natura da altri testi che lui ha
consultato, come Cesare, Tacito, Strabone, Piccolomini e Giraldo Cambrense soprattutto.
Il testo affonda radici quindi anche in fonti storiche reperibili. Si parla inoltre del suo
rapporto con Lord Grey che viene citato spesso come un eroe e viene quasi venerato nel
testo. Il castello viene chiamato HAP HAZARD vuol dire confuso, disordinato, quindi
possiamo ipotizzare che il rapporto dell’autore con il paese sia un confuso odio-amore. Per
quanto riguarda lo stile, molte parti del testo si avvicinano alla narrativa picaresca
elisabettiana, che presenta un eroe povero (picaro) che procede in un viaggio per ritrovare
le sue origini. Questo si nota nelle parti che descrivono i fuorilegge irlandesi (“SANLOI”
pronunciato sanluà), che sono ritratti come se fossero eroi picareschi, con ampie mantelle,
il volto schermato da ciuffi alla bravo manzoniano (maschera creata dai capelli). Poi parla
delle donne sanloi che si chiamano MONASHUL, che sarebbero le prostitute, le quali
girano per i paesi con un grande mantello che serve loro per lavorare. Poi parla dei bardi
(poeti della tradizione irlandese) che apprezza da un lato perché sono molto rispettati dalla
comunità irlandese, ma sono da censurare perché nelle loro storie esaltano i sanloi, che
diventano eroi romantici, e quindi il modello trasgressivo da imitare. Questa condanna dei
bardi si rifà ad una dottrina rinascimentale che viene discussa da Giraldi Cinzio nell’opera
HECATONMITHI del 1565. In quest’opera, amatissima dall’Inghilterra, si dichiara che la
poesia deve educare, deve essere un veicolo di istruzione e disciplina morale. Nel testo di
Spenser abbiamo anche riferimenti a Chaucer, al teatro elisabettiano coevo e alla tragedia
di ispirazione senechiana. In ultima istanza un’altra fonte di ispirazione è il romanzo
arturiano.
26/11/18
La seconda parte della View si concentra sul processo di riconquista dell’isola e propone:
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educativa e spirituale. Nel testo inoltre Spenser appare indignato dal comportamento della
sua stessa religione e ne critica
- FIACCHEZZA MORALE
La parte più poetica e sensibile del testo si esprime soprattutto nella prima parte che
riguarda il paesaggio dell’Irlanda, che rimanda alla tradizione letteraria pastorale. Abbiamo
descrizioni che hanno al loro centro boschi, foreste e ricchezza di terre. Spenser nella
Fairy Queene il Munster viene citato più volte e viene personificato come un luogo ameno
e meraviglioso, dove vivono gli dei. Spenser professa il diritto della spada per quanto
riguarda il dovere degli irlandesi di sottostare al volere dei conquistatori, però emerge in
alcune parti del testo la pietà di fronte a tutti gli spettacoli macabri che vede. Sono pagine
in cui si parla della repressione militare del Munster, eventi a cui aveva assistito di
persona: donne, vecchi e bambini ridotti a essere scheletri e al cannibalismo. Sono
descrizioni veritiere e il dialogo spenseriano rappresenta un documento veritiero di valore
storico ma anche letterario.
La situazione irlandese viene descritta in maniera reale. Particolarmente interessante è la
schietta rappresentazione del piano espansionistico che i colonizzatori avevano in mente,
ed emerge la realtà di questi dati.
MACCHIAVELLI IL PRINCIPE è un altro testo che Spenser aveva letto.
Spenser propone come dato importantissimo nell’opera di colonizzazione la formazione di
un ceto colto, che pensi e che possa governare il paese. Sarà una classe colta e
addestrata alla civil conversazione che può essere solo in inglese.
Estratto n° 1 comincia con BUT, che ci fa intuire che la conversazione sia iniziata da
tempo. EUDOXUS è stupito e dice che non si adottano misure per convertire la nazione
da savage a civil. Nell’incipit quindi sono stabilite le coordinate di tutto il testo l’Irlanda è
un bel paese dal punto di vista paesaggistico e fertilità, ma è un paese di selvaggi e va
sfruttata la sua ricchezza con un governo migliore, con lo scopo di civilizzazione. La
risposta di IRENIUS stabilisce coordinate narrative e conversazionali, che vengono poi
ripetute in molte altre parti del testo. Dice “Marry” (diamine, accidenti), che deriva da Maria
Vergine: per la sua etimologia anticipa l’intervento di Dio. È posta da Spenser proprio
perché l’intenzione è quella di prospettare la Provvidenza che deve intervenire per sanare
la situazione presentata nella parte precedente. Dice che il destino dell’Irlanda è fatale e il
paese è un flagello per l’Inghilterra. EUDOXUS dice che bisogna trovare il modo di far
guarire l’Inghilterra e IRENIUS risponde che sono 3 i tipi di modalità per farla guarire:
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Laws Costumes Religion
IRENIUS spiega che la Common law introdotta in Irlanda è adatta all’Inghilterra e non
all’Irlanda perché: l’isola è refrattaria e anche se un tempo è stata domata tuttavia
recentemente ha rotto i legami di obbedienza perché l’Irlanda è una nazione di uomini
perennemente avvezzi alla guerra e anche tra loro stessi, dice IRENIUS, visto che sono
addestrati fin dalla giovinezza a combattere e non è stato mai possibile insegnare loro ad
obbedire alla legge. A stento conoscono cosa significa la legge perché al posto della
Common law hanno sempre osservato la loro Brehon law.
Estratto n° 5 da qui in poi inizia la descrizione delle tradizioni e dei costumi, che sono il
secondo motivo per cui l’Irlanda è in una situazione disgraziata. EUDOXUS parla di abusi
dei costumi, però chiede comunque ad IRENIUS di riportare alla mente ricordi del suo
soggiorno irlandese; IRENIUS è quello che sa perché ha visto e ha vissuto, mentre
EUDOXUS è quello che chiede. IRENIUS dice che racconterà alcune cose ma prima è
importante stabilire le origini di quel popolo e le individua tra gli Sciiti (popolazione iranica
ricordata per essere estremamente violenta). A questo proposito inventa un’etimologia
arditissima per la parola Scozia secondo lui deriva da SCUTLANDE ossia terra degli
Sciiti. È una stupidaggine, ma ci fa capire come la lingua ci serva per dare false notizie dal
punto di vista storico. IRENIUS sostiene che le influenze degli originari abitanti dell’Irlanda
sono i britanni, i galli, i sassoni e gli anglonormanni. L’influenza sciita è utilizzata nel testo
originale per giustificare la presenza sul territorio degli Old english, quindi essi sono
violenti come gli Sciiti. I mali costumi vengono poi elencati nel testo con una precisione
quasi enigmistica e vengono attribuite proprio a queste influenze. Gli irlandesi come gli
sciiti vivono in branco come gli animali e si nutrono solo di latte e di prodotti della
pastorizia. Si rubano il bestiame tra loro e sono senza legge per la maggior parte. Hanno
lunghe mantelle e ciuffi di capelli che scendono per coprire la faccia e vivono in caverne
come gli esseri primitivi; la mantella così ampia serve a ripararsi dal freddo in queste
grotte ed è ottima anche per nascondersi. Le donne sono fannullone.
27/11/18
Estratto n°6 EUDOXUS prova stupore quando IRENIUS dice che molti english sono
diventati irish, quindi la sua domanda è “che vuoi dire con quanti di loro sono rimasti
inglesi? Perché non rimangono inglesi coloro i quali lo furono una volta?”. IRENIUS
risponde “no, perché la maggioranza di loro è degenerata e si è fatta quasi del tutto
irlandese” il cambiamento etnico è una degenerazione. EUDOXUS dice “cosa sto
sentendo? Possibile che un inglese cresciuto in una comunità così civile come l’Inghilterra
possa provare piacere a stare tra quelle barbarie così da dimenticare le sue origini?”.
Stimolato da questa domanda IRENIUS parla della pratica perversa del matrimonio misto
e secondo lui quest’usanza deriva dagli Sciiti e serviva ad accelerare l’imbarbarimento del
popolo e degli Old english. EUDOXUS dice che rimangono da considerare i costumi degli
old english che stanno tra gli irlandesi. IRENIUS si arrabbia e afferma che gli abusi più
gravi sono dovuti alla classe degli old english, divenuta sempre più fuorilegge e licenziosa,
che ha permesso la degenerazione in persone disoneste. Hanno dimenticato addirittura la
loro lingua e i loro nomi. A pag. 134 IRENIUS spiega come siamo giunti a questa
situazione in Irlanda le famiglie inglesi che avevano occupato il posto litigavano per il
dominio e si alleavano di volta in volta per essere i capi di questo ambito territoriale con gli
irlandesi e quindi la pratica di alleanza ha portato ad un rafforzamento degli irlandesi.
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Quando una delle due parti era debole assoldava gli irlandesi che riuscirono ad attirare
nelle loro grinfie gli inglesi che si irlandesizzarono; hanno perso dignità diventando
irlandesi. Si torna alla questione della lingua abuso della lingua, cioè parlare l’irlandese
tra gli inglesi, cosa innaturale che un popolo ami la lingua di un altro popolo più della
propria. Riguardo ai matrimoni misti anche qui la questione della lingua esce
prepotentemente. Secondo IRENIUS le donne irlandesi allattando i figli nati dai coloni
inglesi tramandano la lingua madre (attraverso il latte). Crescendo i bambini imitano quello
che sentono poiché sono scimmie e quindi si affezionano alla parlata irlandese. I figli oltre
alla lingua dalla madre prendono anche i modi di fare e le inclinazioni vanno vietati
quindi tutti i tipi di contatto con questa cultura. IRENIUS si lancia poi in un lungo racconto
riguardo ai bardi, e abbiamo un dato ambiguo rispetto alla concezione di Spenser: “tra gli
irlandesi esistono i bardi che presso di loro tengono il luogo dei poeti la cui professione è
proclamare le lodi o censure degli uomini in poesie e ballate. Essi sono tenuti in grande
considerazione e stima che nessuno osa criticarli; i loro versi sono accolti da applausi
generali e cantati di solito in tutti i convivi e riunioni da altre persone e ricavano grandi
ricompense oltre che prestigio”. IRENIUS però li biasima perché non istruiscono i giovani
all’onore ma i loro versi “sono cosparsi con alcuni fiori graziosi di loro invenzione che
conferiscono grazia e bellezza alle loro composizioni. Pur avendo questa grande abilità
usano argomenti negativi perché propongono come eroi i delinquenti e quindi non
possono essere considerati come esempio per i giovani”. Questa sezione prova che
Spenser era interessato alla cultura poetica irlandese ma anche una certa invidia nei
confronti dei bardi perché erano rispettati al punto di essere venerati dalla popolazione
locale, mentre lui non fu mai accettato in maniera definitiva alla corte di Elisabetta I. La
situazione del bardo appare in contrasto con quella del poeta britannico. La descrizione di
IRENIUS può essere ispirata a Sidney, che critica gli inglesi perché trascurano i poeti e la
poesia, cosa che risalta se posta in paragone al valore che hanno i poeti tra razze
barbare.
Estratti n°7/8 si parla di politiche agricole e di proprietari terrieri che affittano le terre a
cifre troppo alte crisi agricola che ciò comporta. Si critica l’eccessivo potere concesso in
ambito agricolo agli old english. Ci si sofferma poi sulla questione religiosa e IRENIUS
dice che ha poco da dire su di essa perché non ha molta dimestichezza con quella
professione però racconta che gli irlandesi recitano il pater nostro senza davvero
conoscerne il significato. Afferma che gli irlandesi sono rozzi papisti e si potrebbero
considerare atei; l’opera di San Patrizio era stata fallimentare e da allora la religione fu
corrotta dall’immondizia papista. Il popolo si comporta in maniera immonda e ciò ha
causato questa malattia che può essere rimosso solo attraverso purghe drastiche.
Nonostante siano così poco affidabili lottano per la religione. Nell’implantare la religione
non si deve cercare di inculcarla negli irlandesi forzatamente o con terrore, ma piuttosto va
presentata con garbo in modo che non possa essere odiata prima di essere compresa. I
pastori irlandesi dovranno operare una mansueta persuasione e distruzione. Alla fine del
testo IRENIUS dice che le parrocchie vanno riunite per arricchire il paese (decime), e
dimostra che il testo poteva essere studiato e diventare pericoloso.
Estratti n°9/10 IRENIUS vuole trovare i rimedi a questa incresciosa situazione. Si può
risolvere con la forza di un maggior potere, molto più violento rispetto a quello attuale.
Questa riforma deve avere inizio con la spada; andranno così stroncati tutti i mali e “pulito
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il muschio fetido prima che l’albero produca buoni frutti”. Il testo ci propone alcuni dati: per
sistemare ogni cosa servono 10.000 fanti e 1000 cavalieri. Quindi Spenser attraverso
IRENIUS sa benissimo qual è il numero di soldati necessari che costringeranno
all’obbedienza quei vagabondi costi quel che costi. Grazie a questo grosso numero di
cavalieri molti capi irlandesi si arrenderanno, altrimenti sarà necessario stroncarli. Per
questo motivo coloro i quali successivamente rimarranno fuori sono ribelli incalliti che non
si lasceranno mai sottomettere. La civil conversazione qui diventa un comportamento
civile. Dopo aver conosciuto le violenze saranno sempre pronti ad approfittare delle
occasioni favorevoli a ribellarsi quindi vanno per forza stroncati. Emerge il lato “umano” di
Spenser quando descrive le conseguenze di quest’azione così drastica. “Da ogni angolo
dei boschi uscivano fuori a carponi poiché le gambe non li reggevano. Poveri sembravano
scheletri, parlavano come spettri, mangiavano le carni dei morti e si mangiavano l’un
l’altro, al punto che non si trattenevano dal raschiare dalle tombe i resti dei cadaveri. Si
assiepavano attorno a un cespuglio come a un festino. Eppure, in tutta quella guerra non
furono molti che morirono per la spada ma semmai dalla carestia da loro provocata”. Il
tema della CARESTIA è un tema che ricorre e che fu causa di molte morti.
“THE FAERIE QUEENE” è stato scritto e riscritto, ed è quindi un testo arduo dal punto
di vista della ricerca filologica. È dedicata a Elisabetta Tudor che nella dedica è definita
sovrana della Virginia, colonia nelle Americhe che Sir Raleigh aveva tentato di fondare.
Egli era il protetto di Elisabetta I e il protettore di Spenser, il cui debito di riconoscenza nei
confronti di Raleigh lo porta a sottolineare il loro legame attraverso l’inclusione nell’opera
di una lettera datata 23 gennaio 1589 rivolta a lui. Raleigh ha un ruolo importantissimo
nella carriera di Spenser e nella stesura di The Faerie Queene. La lettera dedicatoria
compare nella prima edizione dell’opera contenente i primi 3 libri e pubblicata nel 1590. La
lettera scompare nell’edizione successiva del 1596 in cui vengono aggiunti i libri 4,5 e 6.
Nella lettera si propone fonti, ispirazioni e suggerimenti che stabiliscono le coordinate del
poema: a cosa serve, com’è scritto, quali figure retoriche sono usate maggiormente ecc. Il
progetto però non venne mai portato a termine visto che dei 12 libri furono pubblicati solo
6. È un poema molto complesso e la lettera ci è solo d’aiuto per chiarirci l’intenzione che
Spenser aveva nel comporre questo poema epico. Egli voleva diffondere un insegnamento
attraverso un’opera dilettevole, ciò che aveva fatto anche Castiglione. Quest’opera doveva
saper insegnare e celebrare la potenza dell’Inghilterra; doveva ovviamente contenere le
lodi della regina e del suo protetto. Spenser intendeva presentare la lotta del bene contro
il male, del vizio contro la virtù, ispirandosi così alle Moralities medioevali. Il materiale che
l’autore usa per dar vita a questa costruzione è:
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- Gli aspetti buoni e cattivi della vita.
La narrazione è colorata di riferimenti alla storia dei quali la maggior parte degli uomini
ama leggere. Lo scopo di Spenser è pratico: il poeta deve raggiungere il lettore e fargli
arrivare il suo messaggio senza annoiarlo, e sarà l’allegoria storica che utilizzerà nel testo.
Nella lettera si insiste a mostrare gli esempi che Spenser ha seguito tra i poeti antichi e
moderni: Omero, Virgilio, Ariosto, Tasso e il ciclo arturiano Artù è il cavaliere ideale che
è dotato di tutte le 12 virtù morali che Aristotele enumera nella sua etica.
28/11/18
Il testo illustrerà le 12 virtù nei singoli libri dell’opera. Arturo vede in sogno, ci spiega
Spenser nella lettera, la regina delle fate e se ne innamora e decide di andare a cercarla
nel paese delle fate da lei governato. La regina rappresenta Elisabetta I, e rappresenta
una virtù, la GLORIA, visto che si chiama Gloriana nel testo. La regina come la luna ha
tanti volti per chi la guarda, quindi nell’opera ci appare con varie personalità:
- Belphoebe/Belfebe
- Gloriana
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- Britomart guerriera britannica
Cosa dice la lettera? Nell’intestazione c’è scritto che è una lettera che dà utilissimi lumi al
lettore e può essere d’aiuto per capire meglio. L’allegoria è la figura retorica che domina e
può essere interpretata in vari modi e l’opera è un’allegoria continua o un oscuro concetto,
cioè che il testo non è di facile interpretazione. È un testo didattico che serve a formare il
gentiluomo nella virtù e cortesia. Sceglie la finzione storica perché il lettore si diverte a
leggere e si concentra sulla varietà e la bellezza del testo.
Agamennone, Ulisse, Enea epica classica altra fonte importante. L’Eneide (12 libri)
parla della creazione di Roma e della nascita di un impero, quindi l’esempio Virgiliano è
quello di trasferire questo senso di potenza all’Inghilterra. L’Orlando Furioso è un altro
esempio di personaggio che racchiude tutte le qualità, e con Ariosto si rivolge all’epica dei
tempi di Spenser. Tasso propone la virtù di Rinaldo e Goffredo di Buglione. Tutti loro
rappresentano le parti di re Artù, che ha in sé tutti gli eroi dell’epica classica e moderna.
L’inizio della storia secondo Spenser dovrebbe partire dalla fine del testo, e quindi non è
uno storiografo. Alla fine, la lettera è datata 23 gennaio 1589 e firmata:
La regina riceve a corte per 12 giorni le persone e affida a un cavaliere la difesa di un torto
che viene da esse lamentato. Nel primo libro l’allegoria storica è la lotta tra la chiesa
anglicana e il cattolicesimo, impersonati dai personaggi ORGOGLIO, nel quale è facile
rintracciare Filippo di Spagna, e DUESSA che rappresenta la chiesa di Roma (falsità della
chiesa romana). Nei libri successivi l’allegoria è più difficile da interpretare. L’allegoria
storica è qualcosa di esteriore mentre quella morale è presente in tutto il testo e come
afferma Spenser è la spina dorsale dell’opera.
Organizzazione dell’opera:
- 2° libro SIR GUYON, che riesce a resistere alle tentazioni nei giardini di Acrasia.
È il libro della leggenda della Temperanza, e lui ne è l’esempio.
- 3° libro dedicato alla Castità, che per Spenser significa anche amore e
maternità, impersonata da BELFEBE, BRITOMART, AMORETTA e BUSIRANE.
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- 6° libro ultimo pubblicato. Ci riporta all’Arcadia ed è dedicato alla Cortesia; è il
più ricco di scene campestri e descrizioni naturali, qui l’allegoria si scioglie e
l’interpretazione del testo è più semplice.
Spenser molto lavorò sui problemi metrici leggendo i classici antichi e moderni, offrendo
una nuova sintesi metrica e musicale dei versi che i suoi predecessori avevano proposto
Inventa la stanza spenseriana, ispirandosi ad Ariosto e all’Ottava ariostesca. È una
tipologia metrica che vede 8 endecasillabi a rima alternata e baciata con uno schema
rimico ABABABCC. Spenser cerca di adattare la stanza ariostesca alla lingua inglese ricca
di bisillabi e monosillabi.
Le poetiche del tempo imponevano che il poema epico avesse una struttura lineare nella
quale i singoli episodi fossero legati in maniera logica e alla fine si doveva arrivare a capire
il senso, l’ideologia e la morale del testo. Nell’opera di Spenser il fine etico è Gloriana
(Elisabetta) intorno alla quale e per la quale i cavalieri mettono alla prova le virtù che
rappresentano. La FAERIE QUEENE è anche Romance, in cui la narrazione a differenza
dell’epica classica procede per episodi, venendo incontro all’aspettativa del lettore di
meraviglia, varietà e diletto. Il Romance fu molto attaccato dalla Riforma e dalla
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Controriforma, quindi l’atto di inserirlo nell’opera fu un atto eroico da parte di Spenser, che
riesce a conciliare l’uso morale dell’epica con il piacere del Romance, la nobiltà dell’epica
con la popolarità del Romance. Nell’opera troviamo una tensione tra unità (ordine e
potere) e varietà (libertà e godimento), che potremo riferire alla perplessità di Spenser nei
confronti della monarchia assoluta di Elisabetta I, che era troppo orientata verso l’ordine e
il potere.
Le imprese delle dame e cavalieri di Spenser si svolgono nelle foreste e castelli fatati. Ci
imbattiamo nel testo in alberi magici, giardini lussureggianti, draghi ecc., tutto secondo la
migliore tradizione cavalleresca. Tutti questi personaggi pur essendo magici potrebbero
nascondere il nemico, contenenti il vizio che il cavaliere combatte. Il cavaliere che viene
sottoposto alla prova della sua virtù deve prima superare un’altra prova, ossia
comprendere bene i segni che gli stanno attorno e che gli si fanno incontro. Quindi nel loro
percorso i cavalieri sono innanzitutto alla ricerca dei significati delle loro virtù per poterle
poi trovare e conquistarle. L’allegoria non è mai univoca ma il lettore deve fare esercizio
per capire il senso di questo mondo allegorico parallelamente al personaggio.
03/12/18
I cavalieri sono alla ricerca del vero significato della virtù che rappresentano. All’inizio
Spenser definisce il suo poema come continued e dark, e il lettore deve interpretare. Ogni
interpretazione può essere diversa oppure più di una di queste interpretazioni in uno
stesso personaggio.
Nel primo libro il protagonista è il cavaliere della Santità che potrebbe rappresentare
Cristo o un soldato di Cristo, ma potrebbe essere anche San Giorgio, il santo patrono
dell’Inghilterra. Questo cavaliere della Santità viene incaricato dalla dama UNA, che è
allegoria della verità della chiesa d’Inghilterra perché appunto una oppure di Elisabetta
stessa. Chiede al cavaliere di liberare i genitori di Una imprigionati da un drago, allegoria
del demonio o della chiesa cattolica. Alla fine del primo libro dopo numerose avventure
Red Cross uccide il drago e sposa Una. Il cavaliere deve interpretare gli ostacoli che
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supera. Nel primo libro c’è la presenza di DUESSA, che è anch’essa allegoria, perché
rappresenta la duplicità della chiesa di Roma, mentre UNA è la rappresentazione
allegorica della verità. Abbiamo poi ARCIMAGO mago che produce false immagini che
sono capaci di ingannare e infatti il cavaliere e Una vengono ingannati da esse. Le
immagini colpiscono e attraggono, sono seducenti e piacevoli e si equivalgono sul piano
narrativo alla poesia stessa che Spenser produce.
FALSITA’ concetto alla base del primo testo; colui che produce immagini può essere
tanto il personaggio che incarna la chiesa cattolica quanto il poeta stesso perché
quest’ultimo avvolge tutto nel velo dell’allegoria che annebbia le immagini. Bisogna quindi
anche diffidare del poeta. Il poema spenseriano pullula di queste immagini; Spenser è
capace di far assumere ad ogni concetto una forma visibile e attinge per questo suo scopo
a simbologie varie:
- Tradizione cristiana.
- Tradizione pagana.
- Liturgia popolare.
- Libri di emblemi libri che propongono un’immagine con una breve spiegazione.
Erano utilizzati con intento morale ed erano diretti a chi non era capace di leggere
testi difficili.
Il tutto con il ritmo della stanza da lui creata. Spenser fu il primo ad utilizzare il termine
CANTO con la grafia italiana e lo introduce nella lingua inglese.
Spenser è un attento osservatore delle vicende umane, della vita e della forza generatrice
della Natura, insistendo spesso nel testo sul ciclo naturale nascita-morte. Viene definito
come “il poeta della transitorietà delle cose umane”; è il poeta della maschera, della
metamorfosi e desidera la stabilità delle cose che però sulla Terra è impossibile ma è
possibile solo in una dimensione ultraterrena. Nei poemi di Ariosto e Tasso Spenser fu
affascinato da:
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tra il mondo cavalleresco e la realtà politica dell’Italia del ‘500, anch’essa poco
solida e mutevole. In Spenser il riflesso di tutto questo lo si ritrova nella struttura del
testo, che è aperta, frammentaria, non lineare, con una lingua esuberante ed è
un’opera incompiuta, perché appunto è continuamente mutevole. L’influsso di
Ariosto appare nei libri III, IV e VI. Il libro III della Faerie Queene è incentrato sulla
ricerca amorosa di Britomart, una donna guerriera che è modellata sulla
Bradamante dell’Orlando Furioso. L’inchiesta nel libro però non trova la sua
conclusione nell’ultimo canto e prosegue nel IV. I due libri sono legati dalla tecnica
ENTRELACEMENT intreccio di vicende che si sospendono, riprendono e si
intrecciano ad altre. Tecnica tipica dei romanzi francesi medievali e del ciclo
arturiano. I due libri vanno letti insieme perché uno non avrebbe senso senza l’altro.
Il VI libro è il più particolare. Il protagonista è Sir Calidore, paladino della Cortesia,
che deve catturare la “Blatant Beast” (bestia berciante), allegoria della maldicenza e
dell’invidia sociale. Dopo varie avventure nel 9° canto arriva nel bosco e incontra un
gruppo di pastori, si innamora di Pastorella e il suo amore fa scordare al cavaliere il
senso della sua imprese similitudine con ERMINIA. Il poema epico in
quest’ultimo libro diventa pastorale. Il mondo di Pastorella cadrà per mano di
briganti, la bestia verrà uccisa ma il testo dice che tornerà ad affliggere l’umanità.
- TASSO Spenser trova una linea narrativa più organizzata in senso teoleologico
(visione organizzata del mondo) e teologico (il poema di Tasso si rivolge in qualche
modo a Dio). L’arte deve essere fondata su una fede profonda. L’influsso di Tasso
appare evidente nel I, II e V libro della Faerie Queene. La Gerusalemme Liberata
inizia con una dichiarazione che dice tutto e contiene già la conclusione (liberò il
gran sepolcro). Goffredo combatte per liberare Gerusalemme dalla mano dei fedeli,
e i primi versi contengono il succo della storia. Similmente nell’opera di Spenser,
Red Cross parte dalla corte di Gloriana per liberare la terra di Una, quindi anche lui
fa un percorso che assomiglia a quello di Goffredo. Dopo aver a lungo errato
(vagabondare ma anche sbagliare), il cavaliere uccide il drago e libera la terra di
Una. Abbiamo lo stesso pattern dell’opera di Tasso. Nel II libro Sir Guyon, cavaliere
della Temperanza, ha il compito di distruggere il giardino del piacere dove vive
Acrasia che incarna il piacere. Anche qui, egli giunge dopo aver errato nell’isola e
distrugge il giardino.
Il V libro presenta lo stesso schema: Artegall, che rappresenta la Giustizia, riceve
da Gloriana l’incarico di liberare il regno di Irena (Irlanda) da un gigante che si
chiama Grantorto (allegoria). È un’impresa che il cavaliere compie nell’ultimo canto
del V libro. Come in Tasso il cavaliere ogni tanto fa qualche deviazione dal retto
sentiero, che però poi ritrova compiendo la sua azione.
- 3 l’universo era visto come una serie di triadi, e con esse Dio rivelava la sua
creazione. Personaggi scissi in personalità diverse. Tuesday
- 7 giorno di Saturno Saturday. Saturno è il Dio della vecchiaia, del tempo che
scorre, e infatti ciò che ci rimane del libro viene chiamato Mutability Cantos.
In Inghilterra si riteneva che il regno avesse una missione conferitale da Dio combattere
e sconfiggere gli spagnoli per stabilire una fede unica nel mondo. Lo scopo di Spenser è
quello di uguagliare e superare l’epica greca e latina. Alle fonti indicate da Spenser nella
lettera si può aggiungere l’ARCADIA di Sidney (1590) perché è un romance che combina
elementi pastorali con una serie di riferimenti filosofici. È un’opera che idealizza la vita
pastorale alla quale sono collegate però anche storie del romance classico. L’allegoria è
continua perché è strutturale e non viene utilizzata in maniera intermittente come accade
invece in Ariosto. L’istruzione al gentiluomo si porta avanti con l’esempio e il diletto. Le
allegorie morali e storiche possono essere suddivise ulteriormente in altri gruppi:
- Significati di tipo morale gli eroi rappresentano l’uomo che lotta per
raggiungere la virtù. Spenser mette alla prova i suoi eroi ma anche noi e le nostre
reazioni di uomini che si identificano con quegli eroi, inducendoci anche a noi in
tentazione. Il senso psicologico spesso si accompagna a quello morale,
specialmente nei primi 2 libri, perché i cavalieri incontrano e sconfiggono le loro
tendenze malefiche.
04/12/18
I personaggi ricorrono perché il testo vorrebbe essere unitario. Gloriana ha forme diverse
e la incontriamo in varie parti del testo: appare come Belphoebe ma anche come Una.
Tutte queste forme in cui si manifesta sono collegate a Venere, che è l’esempio di
bellezza celestiale. Alcune personificazioni spesso formano delle triadi e spesso
rappresentano l’unità nella diversità. Il Blatant Beast si divide in 3 manifestazioni:
DECETTO, DESPETTO e DEFETTO. Nel poema ricorrono anche azioni e immagini e
attraverso il loro contrasto ma anche paragone ci viene fornita un’idea del concetto che
Spenser vuole proporci. Per esempio, nel testo i giovani vengono catturati dai giganti e poi
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liberati esiste sempre una liberazione dal male. Inoltre, più volte gli eroi discendono
nell’Ade, nel mondo degli inferi, ma ne escono sempre vincitori e purgati dai loro peccati.
CAMBIAMENTO la mutabilità è estremamente presente nell’opera. Spenser guarda
sempre al passato e vorrebbe un ritorno alla Golden Age. CONFLITTO amore-odio,
ombra-luce, ordine-disordine, vita-morte. Per Spenser il male viene sconfitto ma poi
rinasce, ed è difficile giungere ad una pacificazione. Si arriva forse alla riconciliazione degli
opposti nel canto VII, che viene chiamato appunto Mutabilitie Cantos. Spenser considera
la regina Elisabetta come la copia terrena di Dio, e la sua nazione come la copia terrena
del regno dei cieli. MERCILLA è un’altra delle personificazioni di Elisabetta, che è quindi
una donna caritatevole; i 12 cavalieri dovevano essere i cavalieri a servizio della regina
Elisabetta. Nel I libro si celebra il matrimonio tra Una e Red Cross è quello che Spenser
aveva in mente scrivendo l’opera, ossia la gloria nazionale che si unisce con la gloria
divina. Grazie a quest’unione si potrà accedere alla visione della città celeste, che nel
testo ha il nome di Cleopolis, che è considerata la nuova Gerusalemme. Il corrispondente
terreno di Cleopolis è Londra.
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1° LIBRO ogni canto è introdotto da un argomento che è sempre di 4 versi rimati e
sintetizza il tema, proponendone anche un’interpretazione. Il tema è la lotta tra il VERO e il
FALSO, tra la santità e il peccato. L’eletto cavaliere è Red Cross che incarna la santità e
destinato a diventare San Giorgio. I suoi avversari sono IPOCRISIA ed ERRORE.
Vediamo applicato alla lettera lo schema della stanza spenseriana. Si parla di uno scudo e
nella lettera a Raleigh si identifica lo scudo con quello descritto da San Paolo nella lettera
agli Efesini. Poi si parla di antichi colpi lo scudo ha ammaccature che possono
rappresentare il peccato originale e i colpi della tentazione che il cavaliere è riuscito a
schivare. Il cavaliere è giovane e deve capire bene come affrontare questo percorso della
quest. Il cavallo è simbolo in questo contesto delle passioni più basse. Il testo inizia in
medias res, e questo è tipico dell’epica classica. L’inserimento dell’inglese antico serve a
ricordarci che la cultura inglese ha un passato glorioso Chaucer è un maestro che va
ricordato. Uso delle allitterazioni molto forte nella prima stanza: l’allitterazione serviva
esteticamente a dare bellezza al verso ma soprattutto a mantenere l’attenzione del lettore
e la memorizzazione dei concetti espressi attraverso la ripetizione del suono. Al penultimo
verso abbiamo il verbo “seem”, il verbo più utilizzato nell’opera e stabilisce le coordinate
dell’opera: si parla infatti di APPARENZA.
Nella seconda stanza si presenta Red Cross che porta in petto una sanguigna croce
riferimento al sangue versato da Cristo sulla croce. Si parla del cavaliere come di una
persona affettuosa, fedele e a suo modo ingenua. “Vivo e morto amava” è Cristo, che è
nato, morto e risorto. Il cavaliere è un uomo semplice e onesto, stesse qualità attribuite a
Cristo nell’Apocalisse di San Giovanni. Il verso finale dice che era sì un semplice e onesto,
ma era anche un uomo coraggioso perché “nulla temeva” ma anzi era temuto dagli altri.
La stanza comincia con “But”, una delle congiunzioni avversative che ricorrono e fanno
capire che esiste una contraddizione, che c’è qualcosa che non va. Nella seconda stanza
la “u” e la “v” sono spesso presentate in maniera simile ma è la grafia dell’epoca. A
differenza della stanza precedente abbiamo dei simple past con l’apostrofo trucchi che
servono alla scansione metrica. L’ultima parola presenta una “y” iniziale che rimanda
ancora alla tradizione arcaica di Chaucer. Red Cross è un uomo terreno ed è un
personaggio che rimanda alla “Leggenda aurea” di Jacopo da Varazze. In questo libro è
presente San Giorgio che è ritratto come un uomo legato alla terra, agricoltore.
Nella terza stanza emerge il fatto che è la regina Gloriana a imporre queste gesta, quindi
il cavaliere cerca la gloria sia per sé sia per l’umanità. Il drago è il classico nemico che
simboleggia il male ed è un riferimento sia alla Leggenda aurea sia all’Apocalisse, dove si
parla di un drago che è la personificazione di Satana. Prevalenza della G, che serve a chi
legge di ricordarsi di Gloriana.
05/12/18
Nel primo libro i canti da 1 a 6 sono di argomento morale, che viene presentato nel testo
attraverso i combattimenti cavallereschi. Le virtù presentate nel testo sono:
Emergerà la figura di uomo comune, ma San Giorgio è simbolo di tutti gli uomini (è
“l’everyman”). Grazie alla sua fede ha una visione del cielo e cerca in ogni modo di
guadagnarsi la benedizione. Mummers plays rappresentazioni di virtù morali che si
combattevano tra loro.
Nella quarta strofa compare Una, una dama gentile, rappresentazione dell’unicità della
chiesa protestante. Da questo momento cominciano le sue avventure che sono altrettanto
importanti come quelle di Red Cross. Una rappresenta la regina Elisabetta. È gentilezza,
in sella a un umile e bianco ciuco, e lei ancora più bianca e candida dell’animale umiltà
e innocenza di Una; è quindi la rappresentazione della verità. La sua unione con Red
Cross assomiglia a quella dell’agnello e della sposa di Cristo. L’agnello che compare alla
fine della strofa è un simbolo più complesso di quanto si può credere: è ovviamente
connesso all’innocenza, ma anche alla vulnerabilità. Nuovamente troviamo un richiamo
alla “Leggenda aurea”: la parte che riguarda San Giorgio in una città della Libia c’era un
drago che uccideva tutte le persone che si avvicinavano alla città. Le persone per placarlo
gli offrivano gli agnelli, e quando essi finirono, furono costretti ad offrire le figlie degli
abitanti della città. Proprio in quel momento arriva San Giorgio che promette di sconfiggere
il drago, e infatti lo trafiggerà con una lancia. L’associazione è anche quella dell’agnello
sacrificale della Bibbia. Il linguaggio è volutamente arcaico, non contiene francesismi o
latinismi, e si basa sulle radici anglosassoni della lingua inglese.
All’inizio della quinta strofa l’agnello viene nuovamente ripetuto. È rappresentata Una
come una Venere celeste, la quale apparirà in altre forme nei libri della Faerie Queene.
Qui si parla della genealogia di Una: ella è figlia di Adamo ed Eva prima dell’arrivo del
serpente. L’arrivo del demone provoca la cacciata dei genitori di Una dall’Eden, quindi la
dama è identificata con la vera chiesa, che purgherà i peccati di Adamo ed Eva
recuperando la purezza e la santità che i genitori hanno perso grazie all’aiuto del
cavaliere. Ha un velo nero perché adesso non è pura; il demone di inferno ha coperto la
sua purezza con la sua presenza. I protestanti pensavano che l’apocalisse fosse la fine
della chiesa cattolica. Il drago è figura di Satana, e in questa strofa il tema è la cacciata
dall’Eden. Spenser però ancora non dice che la dama si chiama Una, ma la nominerà solo
alla fine del canto quando la santità e la verità saranno raggiunte, e quando sarà chiaro il
vincitore.
Le strofe 1-5 hanno stabilito il tono generale del testo; la sesta stabilisce invece l’inizio
dell’avventura del cavaliere. Il primo personaggio che incontriamo è il nano, che è allegoria
della ragione, prudenza e buonsenso. Lo ritroveremo più volte nel testo in momenti in cui
dà buoni consigli. Il cielo si sta oscurando e una tempesta si sta avvicinando. La tempesta
è l’allegoria del caos, di qualche complicazione che li sta per cogliere. In questa stanza
troviamo echi virgiliani l’immagine di Giove che riversa l’acqua alla sua amata è tratta
dalle “Georgiche”. La concubina è la Terra, e Giove è arrabbiato.
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Nella 7 strofa la tempesta sta per arrivare e per trovare rifugio cercano un fitto bosco.
Contrasto tra luce ed ombra la luce è quella del cielo che però le nuvole piano piano
coprono. Il bosco nasconde la luce del cielo e porterà alla prima caverna. Un’altra delle
fonti di Spenser è la TEBAIDE di Stazio (I sec. D.C), un’altra fonte latina che vede come
argomento la guerra, e quindi anche questo è un segnale di conflitto. L’ingresso nel bosco
oscuro è allegoria dell’ingresso nell’errore. Rimanda alla selva oscura di Dante.
Percorrono dei sentieri già battuti, e ciò vuol dire che molta gente li ha percorsi prima di
loro molta gente ha sbagliato. I sentieri più difficili sono quelli meno battuti perché
nessuno ci è passato. YCLAD ripresa del linguaggio Chauceriano.
Nella stanza 8 la prima parola PLEASURE (diletto) indica che sono distratti, non sono più
concentrati sulla meta. Provano svago nell’ascoltare gli uccelli, quasi che non si curassero
della tempesta. Al verso 4 comincia un elenco naturalistico di alberi, che è ispirato a
Chaucer che lo usa in maniera molto simile nell’opera “The Parliament of Foules”, e anche
ne “Le Metamorfosi” di Ovidio. Gli alberi sono accompagnati da epiteti che li descrivono e
intendono mostrare l’uso sociale che viene fatto dei singoli alberi. Il pino è marinaio perché
serve per costruire navi, l’olmo sostiene la vite, il pioppo che cresce bene accanto ai corsi
d’acqua, la quercia operosa perché con essa si costruisce tutto, e il cipresso funebre, che
è legato alla morte perché si trova nei cimiteri. L’immagine è variegata, miniaturizzata di
un mondo pieno di diversità tanti alberi e ognuno con una funzione diversa. Il diletto,
insieme alla varietà degli alberi, fa perdere la direzione giusta a Red Cross e Una, come la
selva fa con Dante.
Nella 9 strofa abbiamo ancora una serie di alberi: il lauro è simbolo della conquista e dei
poeti, l’abete ha la resina quindi è lacrimoso, il salice è piangente per i tristi amanti, la
betulla serviva per fare i dardi. La mirra è un riferimento a Le Metamorfosi di Ovidio, donna
le cui lacrime diventarono resina che poi si solidifica. Il frassino dai molti usi, il platano
fronzuto, il leccio che è buono per l’intagliatore, il faggio bellicoso che serviva per fare le
frecce. Riferimento all’Eneide il legno d’acero secondo Virgilio era servito per costruire il
cavallo di Troia, e quindi è un legno insidioso, visto che il cavallo era stato il trucco per
distruggere i troiani. Allo stesso modo è insidioso per Red Cross e Una che stanno
attraversando il bosco.
Nella 10 strofa emerge come parola chiave DOUBT, il dubbio. Il bosco con questa
pluralità di scelta pone in stilla dei dubbi nei due avventurieri, ed è metafora di una fede
che traballa, non è stabile e profonda. Sembra quasi che venga rappresentato un labirinto,
e lo spazio del bosco che diventa labirintico sarà dove si nasconde Errore. Il topos del
labirinto era usato come metafora della vita umana.
Nella stanza 11 trovano la retta via fino a giungere ad una foce. Arrivano alla prima
caverna delle diverse caverne che ricorrono nel poema. Il buio di sta ancora più infittendo,
e quindi il pericolo è sempre più vicino. Il cavaliere scende dal cavallo incautamente e dà
la sua lancia al nano.
Nella stanza 12 la mite dama parla ed è maestra di temperanza, perché è cauta e dà dei
consigli al giovane cavaliere, che però è audace ed impetuoso e dice che non si può tirare
indietro perché proverebbe gran vergogna. La vergogna è legata nel testo all’ombra,
mentre nell’ultimo verso la virtù alla luce di nuovo abbiamo il contrasto tra luce ed
ombra.
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Nella strofa 13 abbiamo l’incontro fatale con Errore, e le parole di Una sono nuovamente
di prudenza e temperanza verso Red Cross. Errore è un mostro orrendo ed è il primo
nemico che il cavaliere deve affrontare. Il nano gli dice di scappare ma lui rimane e lo
sconfigge. La vittoria però non gli fa ancora capire bene cosa significhi cadere in errore.
Errore è l’allegoria dell’errore intellettuale, si riferisce agli errori della dottrina cattolica, e
“l’insano” è la chiesa di Roma. Il testo inglese continua a presentare la griglia di
allitterazioni.
Nella strofa 14 abbiamo un uso insistito del suono F, che rappresenta il tentativo di Red
Cross di entrare nella caverna attraverso il bosco. Il giovane campione vuole affrontare il
mostro e ancora notiamo il contrasto tra luce ed ombra. La sua armatura risplende ed è in
contrasto con la caverna tenebrosa. La luce è opaca perché evidentemente il cavaliere
deve ancora percorrere molta strada prima di raggiungere alla vera luce che non sarà più
opaca. Errore è la bestia, allegoria del male, e viene descritto come una mostruosità ibrida
è un serpentone (riferimento a quello dell’Eden) e per metà è una donna. Se la prima
parte è un animale (mondo naturale) l’altra parte è la donna (il mondo degli umani gli
esseri umani sono in parte colpevoli dei mali che li affliggono) e rappresenta Eva, la donna
corruttrice e madre di Una. Fonte TEOGONIA di Esiodo. La doppia natura del mostro
rappresenta ancora la duplicità.
Nella strofa 15 abbiamo la descrizione del mostro, e ci si riferisce a lui con SHE, quindi è
caratterizzato al femminile. Serie di sostantivi ed aggettivi negativi. Riferimento alla Bibbia
e all’Apocalisse 9-10. Si parla di 1000 nati di lei sono i peccati generati dal mostro che
si cibano dalle sue mammelle di veleno. La luce è veleno per il mostro, mentre per Red
Cross e Una è vitale. La luce che viene citata è quella dell’armatura del cavaliere, che pur
essendo flebile è insopportabile per Errore ed è un segno di qualcosa che sta cambiando.
Chi vive nell’errore non può riconoscere la luce della fede. Spenser usa un linguaggio
arcaico anche per far capire che in Europa stavano prendendo piede le lingue vernacolari
e questo tentativo può essere riferito a questo dato.
10/12/18
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Nella strofa 16 l’ugly monster non tollera la luce, la luce della fede. Ricerca di parole
arcaiche da parte di Spenser e rifiuto di parole che derivano dal latino. La luce è
l’argomento centrale ed è nuovamente l’armatura di Red Cross.
Nella strofa 17 Red Cross è valoroso e ha trovato il coraggio di agire in maniera diretta. È
paragonato ad un leone.
Nella strofa 18 Red Cross sta tentando di combattere con il mostro ma esso lo riavvolge
tra le spire. L’uomo è avvolto dall’errore, dalla non fede e lo aiuti Dio allora a liberarsi,
l’errore è infinito ed è ovunque. Spenser esplicita il valore allegorico dell’incontro con il
mostro e si concretizza qui l’allegoria della sezione. Uso insistito della “u” al posto della
“v”.
Nella strofa 19 nuovamente abbiamo riferimenti alla forza non solo fisica del cavaliere; la
sua è anche una forza d’animo. Una finalmente si mostra come la vera fede e parla
incoraggiando il cavaliere con parole semplici, dette in un inglese colloquiale. Mediante
queste parole di Una Spenser afferma che la forza fisica non è sufficiente perché deve
essere accompagnata da quella spirituale della fede. Dal punto di vista linguistico notiamo
la 4 verso THEE, il complemento di YOU seconda persona singolare. Abbiamo poi il
rispettivo possessivo THY (YOUR).
Nella strofa 20 si descrive il mostro in modo disgustoso e orribile. La rana rappresenta la
dottrina menzoniera della chiesa cattolica; essa vive nel fango e quindi è associata alla
triade ACQUA - LUNA - NOTTE. È un anfibio e quindi può attraversare sia l’acqua che la
terra, ed è inoltre una delle 7 piaghe d’Egitto (Esodo e Apocalisse). Le rane escono dalla
bocca del falso profeta. Le rane sono anche emblema di lussuria, e sono legate alla
personificazione della morte. La personificazione della donna serpente chiamata Errore
rappresenta la falsa della dottrina cattolica e abbiamo il riferimento all’eucarestia. Inoltre, il
riferimento al vomito pieno di libri e di carte sono i trattati religiosi cattolici, le bolle
papali antiriforma, le controversie religiose dell’epoca. Anche qui il riferimento è sempre
biblico.
Nella strofa 21 il Nilo è considerato padre perché la tradizione dice che era il fiume più
antico della Terra. I nomi geografici in questi poemi vengono lasciati quasi sempre in
forma latina. Si parla qui del procedimento che porta alla nascita delle rane. Il riferimento è
nuovamente biblico, alle piaghe d’Egitto. Abbiamo anche un verbo strano alla fine del
testo: REED è una versione arcaica del verbo SEE.
Nella strofa 22 nuovamente Red Cross è in difficoltà perché il mostro fa fuoriuscire
serpenti, ma la sua santità è così forte che essi non lo feriscono. Presenza del NERO
velo nero di Una all’inizio, e qui il nero simboleggia la non fede. C’è anche al terzultimo
verso un dato interessante: è la prima occorrenza nel testo di un riferimento alla deformità,
che sarà in tutto il libro uno dei temi chiave. Molte parole aggiungono una vocale e
servono a rendere più armonica la scansione metrica.
Nella strofa 23 abbiamo Febo Sole, in contrasto con l’oscurità della stanza precedente.
Ci sono moscerini molesti che tentano di pungere il cavaliere, e sono allegoria dei tormenti
di Red Cross. Similitudine tra il cavaliere e il “buon pastore”, Gesù. La pericope del buon
pastore dice che Gesù si descrive come il pastore che dona la vita per le sue pecore, e
Red Cross fa lo stesso con il suo popolo, lo ama e non lo abbandona fuggendo, ma
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affronta il male. Non è un mercenario come dice il vangelo secondo Giovanni, ma gli
importa delle “pecore”. Abbiamo inoltre un riferimento all’Orlando Furioso (canto XIV,
stanza 109) dove ritroviamo ancora i moscerini che tentano di pungere.
Nella strofa 24 si dice che il cavaliere si mette all’opera per concludere il suo percorso. Se
pur vergognoso per non avercela fatta alla prima occasione, affronta il nemico
conservando la padronanza di sé. Anzi la sua forza è divenuta sovrumana; il percorso di
crescita è evidentemente arrivato al punto di arrivo. Egli taglia la testa al mostro, e il suo
sangue scorre più nero del carbone. Questo è il primo momento in cui Red Cross dà prova
della sua maturazione.
Nella strofa 25 i serpentelli si cibano del sangue della madre. Riferimento alla Bibbia dove
si parla di un drago dalle 7 teste, 10 corna e una corona su ogni testa. Nuovamente
abbiamo il riferimento a Satana.
Nella strofa 26 i serpenti non solo succhiano il sangue della madre ma se la mangiano
pure, e Red Cross osserva inorridito tutto ciò.
Nella strofa 27 Una si avvicina per salutare il vincitore ed è fiera del cavaliere che
finalmente è un uomo. Ha dimostrato il suo valore e la sua forza nella prima impresa di
una serie di avventure che seguiranno. Una si augura che tutte vadano a buon fine.
Nella strofa 28 il cavaliere cerca con la dama il ritorno. Riprende il suo cammino,
nuovamente a cavallo e si attiene al sentiero più battuto l’episodio concluso gli ha
insegnato che non bisogna mai prendere vie sconosciute, e finalmente escono dal bosco
dell’errore. Dalla stanza 29 in poi Red Cross continuerà ad incontrare ostacoli sulla sua
via.
La seconda parte del canto è quella in cui è presente Arcimago che rappresenta l’ipocrisia
della chiesa cattolica romana. Dopo la vittoria Una e Red Cross incontrano questo mago
cattivo che evoca spiriti maligni affinché si impadroniscano delle loro menti. In un sogno
Red Cross si innamora di Duessa, ma poi viene rinchiuso in un castello. Il nano racconta a
Una l’accaduto; per caso incontrano Artù che libera Red Cross uccidendo Orgoglio e
smascherando Duessa. Alla fine, Red Cross libera il regno e sposa Una.
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MUTABILITIE CANTOS detti anche canti della mutevolezza furono pubblicati nel
1609, 10 anni dopo la morte di Spenser. La divisione in canti 6,7,8 potrebbe non essere
opera di Spenser ma dell’editore. L’uso della stanza spenseriana, il tema e il tono dei canti
suggeriscono che siano una parte del poema principale. Forse sono i canti centrali di un
ipotetico 7° libro mai pubblicato. Rispetto agli altri libri della FAERIE QUEENE qui non ci
sono cavalieri, quindi non sono canti romanzeschi.
I canti hanno quindi 2 narrazioni: tentativo di sfidare la gerarchia degli dei e il processo.
Inoltre, abbiamo una sottotrama comica legata alla descrizione dell’Irlanda, dalla stanza 36
alla 55 del 6° libro. In questa sezione in fauno promette alla dea dei fiumi di farle avere
l’amore di un altro fauno se lei lo aiuterà a vedere Diana nuda mentre fa il bagno. Fauno si
avvicina al fiume dove c’è Diana ma viene scoperto perché scoppia a ridere e viene
scacciato ma salvato dalla castrazione. La dea dei fiumi invece viene punita diventando di
pietra.
I Mutabilitie Cantos, pur essendo dei frammenti, sono completi in sé, hanno un senso
narrativo e poetico. Gli episodi che vengono raccontati sono omogenei. Sono testi che
celebrano lo scorrere del tempo, in particolare la celebrazione finale del poeta che
essendo brevissima unisce l’insieme. Essi vengono considerati come un commento finale
di ciò che Spenser aveva scritto finora.
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11/12/18
7° libro Commento alla capricciosità e all’incostanza di Elisabetta. Cinzia era uno degli
appellativi con cui ella era chiamata dopo che aveva sconfitto l’Invencible Armada. La luna
è la dominatrice dei movimenti del mare ed aveva quindi assunto questo soprannome. La
visione che avevano gli inglesi sovrana incapace di regnare dopo un momento di
grande splendore perché era stata incapace di fronteggiare il fatto che era stata fonte di
dolore per il suo popolo perché prediligeva lo Stato. Anche Elisabetta è soggetta alle
devastazioni e alla mutevolezza del tempo.
Nel canto 6° i protagonisti si incontrano per processare Mutabilitie sulla collina di Arlo. La
contesa per il trono degli dei viene ambientata in Irlanda. Nel canto Giove sostiene che ha
conquistato l’universo ed è stato lui a stabilire l’ordine, quindi è lui che deve regnare. Il
mito classico dell’Olimpo passa alla verde Irlanda. L’atteggiamento di disprezzo che
abbiamo notato essere il filo conduttore della View in questi testi si stempera, in una
visione meno negativa.
- Strofa 37 dice che in questo canto lui non parla di guerre e cavalieri ma canta di
colline, boschi e colli. Arlo era un tempo la più leggiadra tra le colline dell’isola, ma
fu trasformata nella più spiacente ed aspra, cioè in ciò che abbiamo letto nella
View. Si rivolge infine a Clio, musa della storia, e a Calliope, musa della musica.
- Strofa 39 Arlo è un luogo piacevole dove Diana ama recarsi per bagnarsi
quando fa caldo e per cacciare quando vuole. Paragonandolo col primo canto del
primo libro, che presenta un tono guerresco, qui abbiamo invece un tono pastorale.
- Strofa 41 descrizione del corso del fiume e dell’Irlanda fiori, vallette e ombrosi
anfratti.
- Stanze 46-49 Fauno chiede a Molanna di trovare un modo per guardare Diana
nuda. Ma Diana lo scopre e si ribella; lei e le sue ancelle lo deridono. Egli sopportò
tutto con pazienza perché non poteva opporsi al loro volere.
- Strofa 52 diedero la caccia a Fauno, ma egli più veloce dei segugi scappò
rapido.
- Srofa 54 Diana però furiosa da quel giorno abbandonò il luogo dove aveva fatto
il bagno fino ad allora.
Gli altri 2 canti cercano di spiegare dei fatti per cui non riusciamo a dare una spiegazione
scientifica, per esempio la MUTEVOLEZZA DEL TEMPO. Perché il tempo scorre? Nel
Parliament of Foules di Chaucer, il poeta vuole scoprire cosa sia l’amore leggendo vecchi
libri, ma si addormenta su uno di Cicerone. Fa un sogno in cui viene condotto da Scipio
nel giardino dell’amore dove gli uccelli si sono riuniti nella stagione degli accoppiamenti.
L’8° canto si conclude con due stanze che vengono dette VNPERFITE. Queste due strofe
sembrano suggerire che il principio sotteso nell’universo non è tanto il mutamento ma
COSTANZA, la virtù a cui è dedicato il libro. I testi del 6° e 7° canto sono pastorali mentre
qui abbiamo un altro approccio:
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Questo brano è interessante anche dal punto di vista numerologico:
- 8° canto l’8° giorno che segue il sabato, porta alla resurrezione, quindi ad una
nuova resurrezione. Canto che prelude ad una nuova vita essa è quella che il
cattolicesimo vede nel battesimo. I battisteri per molto tempo in Occidente hanno
avuto una forma ottagonale, quindi il numero 8 è fondamentale. L’8° giorno dopo il
riposo Dio dà inizio ad una nuova creazione. L’opera della creazione culmina con
una ancora più grande, quella della redenzione. Si pone come compimento del
tempo divino, ed è quello a cui anela Spenser. Egli cerca disperatamente il senso di
resurrezione, e quindi il ritorno alla vita. Altri critici pongono maggiore enfasi
sull’ambientazione irlandese e leggono i frammenti come la rappresentazione di un
uomo assediato, che ha visto tutto quello che ha costruito crollargli addosso.
Anche nel libro 5° dell’opera il bersaglio di Spenser è sempre la chiesa cattolica e tutti i
suoi rappresentanti. In questi Mutabilitie Cantos è difficile separare il giudizio politico da
quello estetico, anche perché il significato dei canti (Costanza sconfigge il Cambiamento)
appare un po’ improbabile perché a livello narrativo siamo testimoni che Giove governa
come un tiranno, fatto che mina all’ordine. Giove era diventato capo perché aveva
cacciato il padre Saturno prima di sfidare e sconfiggere i titani. Il mito di Giove appare
nuovamente all’inizio del libro 5°. La spada che Giove ha usato per sconfiggere Saturno la
regala ad Artegal. È quindi associato alla ribellione e alla violenza. Sembra che Mutabilitie
abbia ragione e che il governo degli dei non sia in mani tranquille. Nel libro 5° Giove è
associato al parziale fallimento della quest di Artegal. Egli pur uccidendo il mostro non
compie fino alla fine la sua impresa perché distratto e abbandonato così l’Irlanda
lasciandola “con un cuore pesante”. Mutabilitie potrebbe essere la rappresentazione di
Maria di Scozia. La decisione di Diana di abbandonare l’Irlanda e farla diventare la
peggiore delle isole britanniche riflette probabilmente la politica di Elisabetta che voleva
arginare la lotta di successione. L’Irlanda è abbandonata al suo destino, e Spenser cambia
atteggiamento nei suoi riguardi, essendo più dolce e quasi nostalgico, ricordando
affettuosamente i suoi tempi passati nell’isola. Dopo la morte di Spenser irlandesi e
spagnoli si allearono ma vennero sconfitti nel 1601 nella Battaglia di Kinsale.
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12/12/18
Il tema della mutevolezza e dello scorrere del tempo è ampliamente trattato dagli
elisabettiani in opere elegiache e celebrative, soprattutto da Shakespeare nei sonetti.
Sonetto 12 propone per la prima volta nel canzoniere la lotta contro il tempo. È un
sonetto in cui il tempo viene immediatamente chiamato in causa anche dalla prima parola
WHEN, poi TIME alla fine del primo verso. Ricorre la decadenza della Natura, vista
parallelamente a quella dell’uomo. È un’interrogazione sul destino della bellezza
attraverso il tempo. Il verso più interessante è “Borne on the bier with white and bristly
beard”. Bier è il carro per il fieno ma anche quello funebre, quindi vita e morte sono
entrambe presenti e collegano metaforicamente il trasporto del grano a quello funebre. Il
tempo porta la mietitura e il rinnovamento ma anche la morte. Sembra un paradosso, ma
esso fa parte della tradizione che Shakespeare ha ereditato da Ovidio.
Boezio nel “De Consolatione Philosophiae” sostiene che l’idea del cambiamento, muta a
seconda della prospettiva dalla quale viene vista. Ai mortali che sono all’inizio del loro
cammino tutto appare bello, mentre a quelli che sono a metà del flusso, tutto appare
capriccioso. Boezio insegna che la filosofia insegna a guardare oltre proponendo una
prospettiva diversa il destino e la Provvidenza possono trasformare il flusso del tempo
in un percorso preciso guidato da Dio provvidenzialmente. Vista in questo modo, la
mutevolezza non è più dunque una minaccia all’ordine, ma è la fonte dell’abbondanza e la
felicità, perché il flusso della mutevolezza rivela l’infinita bellezza di Dio. Non è più un
percorso disordinato: nell’8° frammento Spenser si rivolge a Dio ben 3 volte affinché
proprio questo avvenga. Abbiamo quindi una fiducia in Dio che può trasformare il tempo
da finito a infinito.
La mutevolezza è uno dei grandi argomenti della letteratura occidentale, e nella sua opera
Spenser trae materiale, immagini e motivi da varie fonti, e le utilizza trasformandole, così
come fa Eliot per la sua Wasteland. La fonte principale per quest’idea dei canti della
Mutevolezza è OVIDIO con le sue Metamorfosi che propongono una serie di mutazioni e
cambiamenti. Il simbolo è Proteo, e di questo dato Ovidio fa parlare Pitagora che dice che
niente al mondo è costante, tutto scorre e ogni immagine che si forma è instabile. La
mutevolezza è incessante, in cui tutto è incluso.
Nella loro complessità i Mutabilitie Cantos sono un’opera estremamente bella dal punto di
vista letterario, che però viene lasciata imperfetta: è solo nella tranquillità del Dio del
Sabbaoth può trovare pace. Il mondo della divinità è assai più piacevole di quello terreno.
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SHAKESPEARE La prima notizia di una rappresentazione di “THE TEMPEST” è
quella di uno spettacolo offerto a corte in occasione della festività di Ognissanti nel 1611.
Si pensa che sia un’opera destinata alla corte. Le reminiscenze nel testo di viaggi nel
nuovo mondo ci fanno capire che il testo è stato scritto tra il 1610 e 1611. Venne registrata
nel 1623 in FOLIO. The Tempest è inserita al primo posto tra le commedie, e ciò ci fa
capire che il testo è quello più accurato del volume. È tra i più precisi dal punto di vista
formale; ha una divisione in atti e scene ed è presente una lista di personaggi insieme a
lunghe didascalie precise e la punteggiatura è eccezionalmente corretta. È un testo quasi
definitivo e si basa su una trascrizione fatta apposta per la pubblicazione. Sembrerebbe
che vengano tenute in conto anche le vicende del lettore oltre che quelle del pubblicatore.
Uno dei tratti distintivi dell’opera è la quasi assenza di fonti precise: ogni personaggio e
situazione presenta analogie con altri di altre opere. Non ha fonti dirette vere e proprie, ma
solo stimoli presi da altre opere. Alcune di esse però sono rintracciabili.
Fonti:
- LI TRE SATIRI testo di che circolava nella Londra dell’epoca. In questo scenario
abbiamo due personaggi, Zanni e Burattino, che sono marinai naufragati su un’isola
dominata da un mago ma popolata dagli spiriti che qui sono dei satiri. Fonte sicura.
Trama:
Nella Tempesta quello che accade è opera di Prospero ed è effetto o ripetizione di ciò che
è accaduto prima dell’inizio del play. 12 anni prima, Prospero duca di Milano è stato
deposto da Antonio, fratello geloso che l’ha costretto all’esilio. Prospero fugge aiutato da
Gonzalo e approda su un’isola insieme alla figlia Miranda che ha 3 anni. Viene esiliato per
il suo matto e disperatissimo amore per la magia bianca. Appena gli si presenta
l’occasione, Prospero organizza la sua vendetta; sta per passare nell’isola la nave di
Antonio, quindi egli scatena anche grazie ad Ariel (liberato da Prospero da un albero dopo
che era stato imprigionato da Sycorax) una tempesta che causa il naufragio della nave. La
strega aveva lasciato l’isola al figlio Calibano, che all’inizio si era affezionato a Prospero,
ma poi si infatua di Miranda e Prospero lo rende suo schiavo. Sulla nave naufragata
viaggiano anche altri personaggi, Alonzo e Ferdinando (figlio di Antonio); Prospero fa si
che nel naufragio padre e figlio vengono separati e fa credere all’uno che l’altro sia morto.
Nonostante i tentativi di Prospero di controllare la vita degli abitanti, la vicenda grazie
all’intervento di spiriti e divinità benigni si conclude in modo felice, con il matrimonio tra
Ferdinando e Miranda. Il matrimonio è causa della riappacificazione tra Antonio e
Prospero, il quale lascia l’isola, riprende il suo ducato e rinuncia alla magia.
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“The Tempest” è un esperimento nel campo dello spettacolo, perché come in nessun altro
play shakespeariano, qui egli mette insieme tutte le abilità di teatrante e mette in atto tutte
le risorse della scena. Fa anche uso profondo della musica gli effetti sonori sono una
struttura portante del dramma, dall’inizio alla fine. Questa era già una tendenza che
Shakespeare aveva mostrato in altri testi, ma qui è assolutamente intensificato e
predominante. Altro dato interessante è che il testo della Tempesta applica le unità
aristoteliche di LUOGO, TEMPO e SPAZIO. Nel testo si sottolinea ripetutamente che la
rappresentazione dura circa 3 ore, e questa durata coincide esattamente con il periodo
che trascorre tra il naufragio e la riconciliazione dei due fratelli. Tutto si svolge sull’isola, e
non ci sono cambi di ambientazione, tranne la prima parte dove abbiamo la scena a bordo
della nave. Il teatro dimostra che nel suo spazio ristretto è capace di essere un mondo, un
universo a parte, ed è anche una rivendicazione di autonomia da parte dell’autore. L’opera
è un’opera vitale, e ha la sua finitezza in quest’ambientazione. È un’isola disabitata, piena
di rumori, di voci e suoni, quasi fosse un’isola al di fuori dello spazio e tempo. È un testo
difficile da interpretare con una sola chiave, perché come dice Lombardo “significherebbe
chiuderla in una gabbia, cosa che l’opera non sopporta”.
17/12/18
Interpretazioni:
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vita; la ragazza ha 15 anni, quindi 15x3=45. È un’interpretazione quindi che non si
può più accettare quella biografica.
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- INTERPRETAZIONE PRE-COLONIALE sono presenti istanze di ribellione
all’autorità regale. La scena iniziale del play vede messo in discussione il potere e
l’autorità. Lo schiavo Calibano si rivolta contro il suo padrone, ma già nella prima
scena la rivolta è più ampia perché vede gli inferiori che si rivoltano ai superiori. La
Tempesta quindi comincia con questa tempesta, in cui un nostromo mette in
discussione l’autorità del re. Shakespeare si rivela qui un drammaturgo
politicamente impegnato. La Tempesta era stata rappresentata a corte nel 1611 e
nel 1613 sempre davanti a Giacomo I, il sovrano che più di ogni altro pretendeva
che i sudditi riconoscessero la sua autorità divina. Il 1611 è anche l’anno in cui
politicamente e storicamente Giacomo I fu costretto a chiudere il Parlamento ribelle
dopo che lui stesso con le sue rivendicazioni dell’autorità divina aveva suscitato
scalpore. Il re si era impegnato in una linea politica fallimentare che avrebbe poi
portato alla guerra civile. La scena iniziale è quindi emblematicamente
prerivoluzionaria, perché tutto ciò che poteva essere regolamento riferito all’ordine
monarchico viene a mancare. Il diritto divino crolla, perché il re non riesce a fornire
prove convincenti di essere davvero Dio in terra, quindi tutti si chiedono perché
devono sottostare a chi dice di avere rapporti con Dio e poi invece non è vero. Il
nostromo per la sua arroganza viene definito “cane blasfemo”. Le possibilità che il
re e i cortigiani riescano a governare una nave durante la tempesta solo con la
propria aristocrazia è esigua. Di fronte alle insolenze del nostromo, Antonio ribatte
che loro hanno meno paura di lui di annegare; secondo questo discorso gli
aristocratici meriterebbero sottomissione perché hanno più coraggio. Guarda caso
però nella scena seguente Ariel ci informa che tutti gli aristocratici tranne i marinai
hanno abbandonato la nave, quindi la cruciale prova del coraggio dei nobili non sia
stata molto convincente. La prima scena assomiglia molto al paradigma con cui
Platone illustra nel libro VIII della Repubblica il corrompersi ciclico dell’oligarchia in
democrazia, perché egli utilizza le stesse immagini l’abile capitano della nave è
una delle immagini a cui è necessario paragonare i governanti regi. La nave è
simbolo della validità dell’ordinamento vigente nello Stato e delle leggi. Se i piloti di
navi fossero scelti secondo il censo, cosa succederebbe? Sarebbe una ben triste
navigazione, perché la nave deve essere guidata da chi sa farlo e non da chi
pretende di saperlo fare. I difetti dell’ordinamento oligarchico però non finiscono qui;
quando in uno Stato di questo tipo vengono a contatto governanti e governati come
nel caso della Tempesta allora può avvenire che un uomo povero posto a fianco di
uno ricco, il primo vede che il secondo è grasso, pieno di affanno e di imbarazzo, e
potrebbe quindi instaurare la democrazia scacciando l’oligarchia. La situazione
creata da Giacomo I sarebbe sfociata in una democrazia solo con la guerra civile
dopo il suo abbandono. Shakespeare ha storicamente una sensibilità notevole e
forse in questa prima scena prevede ciò che accadrà dopo. Potremo considerare
Shakespeare come un grosso conoscitore anche di Platone, e colui che prevede i
fermenti politici attraverso la prima scena della Tempesta, ultima opera che lui ha
scritto.
Dagli anni ’70 del ‘900 quella che abbiamo definito la lettura cannibalesca cambia
radicalmente. Il ventennio che va dal 1950 al 1970 è caratterizzato da cambiamenti
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epocali dal punto di vista del colonialismo. Le potenze europee vedono i loro imperi
coloniali che si sgretolano e in gran parte delle colonie si erano sviluppate delle élite
culturali indipendentiste. I movimenti anticolonialisti si intensificano, e nel giro di 15 anni un
impero coloniale crolla. Abbiamo inoltre la Rivoluzione Cubana che porta all’istituzione di
un regime comunista, la Rivoluzione Algerina, le Rivolte studentesche in Europa. È proprio
in questo periodo che le valutazioni su The Tempest muta; moti critici rintracciano elementi
per elaborare le loro teorie e riferimenti personali di colonizzati nel plot dell’opera, che
diventa una sorta di manifesto anticoloniale.
I critici sradicano i personaggi dal loro contesto e li utilizzano come simboli del post
colonialismo. Il testo di Octave Mannoni (leggerlo con la pronuncia francese),
“Psychologie de la colonization” del 1950 viene tradotto in inglese con “Prospero and
Caliban”. Riflette sui motivi che portano alla colonizzazione ed è un testo metafora per la
relazione tra colonizzato e colonizzatore. Prospero viene visto come un uomo desideroso
solo di potere.
Mannoni è un critico ma soprattutto psicanalista. È uno studioso che ha avuto
responsabilità di governo anche in Madagascar, dove era esponente del governo
francese. Proprio pensando ai due personaggi di Shakespeare Mannoni poté capire i tratti
del colonialismo. Un giorno regalò un paio di scarpe a un ragazzino, che i giorni dopo gli
chiese anche camicia, pantaloni e borsa. Evidentemente il testo vuole dimostrare che tra il
colonizzato e il colonizzatore esiste sempre un complesso di indipendenza difficilissimo da
sciogliere. Prospero e Calibano sono proprio esempio di questa interdipendenza. Socrate
illustra in forma nautica le dinamiche della genesi della democrazia.
18/12/18
- Illetterata Calibano
Letterato che possiede la cultura e un selvaggio che non possiede nulla. Il selvaggio
Calibano non possedeva alcun tipo di capacità espressiva prima che l’europeo arrivasse.
Quando nell’atto III, scena II, Calibano parla con Stefano e Trinculo per organizzare una
rivolta contro Prospero, egli dice che va ucciso dopo avergli preso i libri, perché senza di
loro è uno sciocco e non può comandare. Senza la lingua e la sua imposizione non è
possibile comandare. I libri vanno bruciati per Calibano perché essi rappresentano il
potere. Nel creare Prospero, Shakespeare ha prodotto un personaggio che ritrae il
classico colonizzatore.
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19/12/18
Greenblatt afferma anche che The Tempest è lo specchio dell’impero: il testo rispecchia le
idee britanniche sull’impero. Egli nota che Prospero inizialmente aveva instaurato un buon
rapporto con Calibano, il quale però nella II scena del I atto si lamenta dicendo che egli è
l’unico suddito che Prospero ha, mentre prima egli era il suo unico re di sé stesso.
Prospero gli risponde con rabbia dicendo che lo aveva trattato con “human care” finché
Calibano aveva tentato di violentare Miranda per creare una nuova razza. Ella entra in
scena e pronuncia parole che Greemblatt trova inquietanti e poco consoni alla voce
femminile. Calibano risponde facendo suo il linguaggio di Prospero dicendo che ciò che ha
guadagnato dall’insegnamento di Miranda è che ha imparato a maledire (maledizione
“che vi roda la peste rossa”). La risposta di Calibano potrebbe essere considerata come
un’autoaccusa, perché dice che la sua natura è così bassa che ha imparato solo a
maledire. Caliban è bruto, rude, selvaggio, ma raggiunge nel momento in cui si ribella una
vera e propria vittoria morale perché ha imparato come dar conto al suo padrone. Caliban
appare come un nobile selvaggio che si ribella alla schiavitù. Calibano secondo Greenblatt
è una figura estrema che tenta di rompere le fantasie sui selvaggi non europei.
Shakespeare rifiuta la visione egualitaria della razza umana che in quel periodo stava
nascendo come trand filosofico che poi trionferà con l’Illuminismo. Secondo il critico poi,
questo testo suggerisce che tutti gli uomini non sono uguali all’epoca essere umano era
essere inglese. Greemblatt sostiene che Calibano ottiene una vittoria momentanea ma
anche una dichiarazione di inconsolabile dolore e rancore che non si può sopire. V atto
scena I. Prospero dice, poco prima dell’epilogo, che questo essere del buio (Calibano) la
riconosce sua, e Greemblatt dice che è un’affermazione molto ambigua; queste parole
potrebbero essere considerate come una dichiarazione che Calibano sia davvero lo
schiavo di Prospero. Ad una lettura più attenta si nota che Prospero vuole sottolineare un
rapporto più stretto con Caliban, che è entrato a far parte della famiglia dell’uomo ma in
una posizione più incerta. È un legame che implica una responsabilità morale ossia il
possesso. Calibano è destinato a un destino incerto.
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CARAIBI hanno sofferto contemporaneamente tutti i peggiori aspetti del colonialismo
europeo. E un’area geografica in cui tutte le potenze si sono scatenate alla conquista; è
socialmente, etnicamente e linguisticamente un’area di culture che si incontrano e si
scontrano. La cosa che hanno in comune le popolazioni è che sono state sterminate per la
tratta degli schiavi. Sono in una condizione di esilio perenne, e nella loro vicenda di
oppressione la lingua è un aspetto fondamentale. Quando gli africani giunsero nei Caraibi,
i mercati di schiavi li mandavano in piantagioni diverse di modo che non potessero parlare
tra loro, dimenticare la propria lingua ed erano costretti ad imparare la lingua del
colonizzatore, e veniva imposta la cultura europea. A partire dagli anni ’60 i caraibici
considerarono questo come l’ostacolo più grosso all’indipendenza.
La prima appropriazione caraibica di The Tempest è una raccolta di saggi del ’60 di
George Lamming, “The Pleasures of Exile”, che spiega i rapporti tra i colonizzatori e il
colonizzato. è anche un’autobiografia perché parla anche di sé stesso nella sua
situazione. Egli vede la necessità di ricreare una cultura indigena che sia in grado di
contestare quella europea; inoltre denuncia il fatto che l’Europa e gli Stati Uniti si
considerino gli unici detentori della cultura. Usa quindi Prospero e Calibano come
metafora di tutto ciò, colonie caraibiche sottomesse all’Inghilterra. Lamming ritiene
possibile un cambiamento attraverso Calibano che è simbolo di una tradizione, e deve
essere abbracciato come una possibilità per la rivoluzione. Un evento avvenuto
precedentemente, la Rivoluzione Cubana, aveva già accennato alla rivoluzione, che diede
un ordine nuovo alla nostra storia, dice Lamming, e fu la risposta alla missione
civilizzatrice di Prospero. Secondo Lamming Caliban usa la lingua del colonizzatore, e
quindi la lingua è un ostacolo a questa emancipazione. L’autore è convinto che
Shakespeare ha scritto The Tempest pensando alla colonizzazione, e per lui l’opera
predice il futuro politico dei Caraibi capitolo di The pleasure of exile in cui esamina il
rapporto tra Prospero e Caliban. Prospero è il mercante di schiavi, e l’autore immagina la
situazione degli uomini sulla nave durante la tempesta, paragonandola a quella degli
schiavi. Quando Ariel descrive a Prospero la descrizione di coloro che si trovano sulla
nave, si sottolinea la freddezza dello schiavista. L’isola in The Tempest è governata da
Prospero che non ha bisogno di un esercito, perché ha Caliban, che potrebbe rivoltarsi
quindi Prospero deve esercitare costantemente il suo potere su di lui. Lamming riconosce
così in Prospero lo stesso tipo di sadismo dello schiavista. A differenza dello schiavista
però Prospero non può uccidere Caliban, perché sarebbe stato un atto di suicidio. Anche
Ariel è schiavo di Prospero però è un servo privilegiato ed è l’archetipo della spia secondo
Lamming. Ogni volta che è possibile Prospero ricorda ad Ariel il suo passato e lo minaccia
di tortura, convincendolo ad arrendersi. Ariel non ha una coscienza mentre Calibano sì.
Prospero rimprovera Calibano per il suo tentativo di stupro e secondo Lamming egli dà
una risposta insolente essendo uno schiavo “magari l’avessi fatto, tu me lo hai
impedito, a quest’ora avrei popolato l’isola di tanti Calibani”. Secondo Lamming Calibano
rimpiange di non averla violentata per le conseguenze che l’azione avrebbe potuto avere,
ossia creare una nuova razza non schiava. In Caliban esiste il seme della rivolta, che è
ostacolata dalla lingua di Prospero. Secondo Lamming il linguaggio è “l’unico modo che
l’uomo ha di catturare le idee e la parola è l’intero linguaggio del pensiero cognitivo, quindi
il linguaggio è uno strumento della colonizzazione”. Lamming prosegue dicendo che
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Prospero vede nella deformità di Calibano una sfida, e ha l’ambizione di realizzare
l’impossibile per civilizzarlo. “Solo l’applicazione della parola all’oscurità del mondo di
Calibano riuscirebbe a controllare la bestia che risiede dentro questo cannibale. Dopo
questo processo Caliban sarà una nuova persona, alla quale Prospero ha insegnato il
linguaggio. Caliban secondo Lamming non può però appropriarsi in maniera completa del
linguaggio, perché il suo uso di questo linguaggio è per servire. Caliban non è solo privato
della sua libertà fisica (è schiavo) ma è anche oppresso culturalmente. Lamming dice che
nelle isole caraibiche attraverso la colonizzazione si è creata una situazione identica a
quella presentata in The Tempest. È come se l’Inghilterra avesse avuto il diritto divino di
decidere sulla cultura di questi caraibici. Caliban è simbolo dello scrittore caraibico e
dell’intellettuale colonizzato, il quale è costretto ad adottare la lingua del padre e spesso
emigra. Lamming dice di essere quindi un diretto discendente di Calibano e in parte di
Prospero; nel suo saggio vuole ricordare agli oppressori e agli oppressi che non è
possibile cambiare il passato ma si può vedere come punto di partenza per il futuro.
Grazie all’esilio lo scrittore ha ritrovato le proprie radici.
Secondo Aime Cesaire (francese), Calibano è stato fatto prigioniero in Africa ed è stato
trasportato nei Caraibi. La NEGRITUDE designa il rifiuto dell’assimilazione della cultura
europea e della lingua da parte dei neri. Processo di riscoperta della propria identità. Se
noi rompiamo tutte le costrizioni e se ci immergiamo profondamente allora troviamo il nero
e quindi la negritude. Il mondo era diviso in due parti quello civilizzato e quello barbaro.
I francesi tentavano di fare dell’indigeno un francese con la pelle nera. La personalità
dell’indigeno viene cancellata, ed egli si vergognerà del colore della sua pelle. L’autore
ricorda anche la situazione precedente alla Negritude che spronava i neri ad essere fieri di
loro stessi “vivevamo in un’atmosfera di rifiuto ed abbiamo sviluppato un complesso di
inferiorità quindi dovevamo lottare contro i dettami della cultura occidentale”. Attraverso la
riscrittura della Tempesta che critica il processo di assimilazione (“Une tempete après de
la tempete de Shakespeare, adaptation pour un teatre nègre”). È ispirata alla Tempesta ed
è indirizzata al nero, quindi è un testo che sfida l’etnocentrismo europeo. Il Caliban di
Shakespeare è la rappresentazione dell’altro visto dal punto di vista europeo, mentre
quello di Cesaire serve per parlare del colonizzato per il colonizzato. Cesaire riduce i ruoli
di Ferdinando e Miranda ad uno ma Calibano diventa il personaggio principale dell’opera.
Nell’opera di Cesaire Caliban è uno schiavo nero ed Ariel è uno schiavo mulatto (tramite
con la cultura europea) e aggiunge un Dio nero, ESHU. Inoltre, Prospero decide di
rimanere nell’isola, e Ariel che in Shakespeare è ostile a Caliban, qui egli lo considera
come un compagno, dicendo che sono “fratelli nella sofferenza e nella schiavitù”. Il colore
della pelle di Ariel e Caliban indica che la ragione della loro schiavitù è la razza ed
entrambi sono oppressi razzialmente. Caliban è un nero, e si appoggia alla sua cultura,
quindi è un uomo molto più sicuro di sé rispetto a quello di Shakespeare e rifiuta ciò che
Prospero ha in mente. Dice che Prospero non gli ha insegnato nulla a parte balbettare la
sua lingua così da capire i suoi ordini, e non gli ha mai dato il modo di compartire la sua
cultura con lui. Tutta la sua scienza se la tiene per sé chiusa nei suoi libri. Calibano
riconosce anche l’offesa implicita che gli è stata data nel nome e decide di cambiarlo,
dandosi una nuova identità cambiandolo in X. Preserva un carattere ribelle fino alla fine e
dice di voler attaccare Prospero senza ucciderlo; ha un momento di pietà perché
riconosce che Prospero era un colonizzatore ancor prima di arrivare sull’isola.
L’assimilazione è qualcosa di assolutamente negativo perché le persone vengono
costrette a riconoscersi come inferiori. Alla fine del play troviamo Prospero con un’aria da
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vecchio e stanco, mentre Calibano conclude cantando la sua canzone della libertà,
ottenuta perché crede nella cultura indigena della sua anima, rifiutando di essere
assimilato.
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