L’evoluzione di un’innovazione tecnologica nel tempo viene descritta da una
traiettoria tecnologica, che viene si usa per rappresentare il suo miglioramento o l’adozione da parte del mercato. È possibile identificare particolari modelli evolutivi per classificare l’innovazione, non di meno dipenda da molti fattori. TIPOLOGIE DI INNOVAZIONE INNOVAZIONI DI PRODOTTO E DI PROCESSO (NATURA DELL’INNOVAZIONE) Le innovazioni di prodotto sono relative ai beni e ai servizi realizzati da parte di un’azienda; quelle di processo alle variazioni relative alle modalità in cui un’azienda svolge le sue attività (strategie e tecniche di produzione). Le seconde, in molti casi, sono orientate a migliorare le prime (lavorazione metallo ruote dentate e catene bicicletta) e viceversa (computer software CAM). Un’innovazione di prodotto può essere un’innovazione di processo per un’altra. INNOVAZIONI RADICALI E INCREMENTALI (INTENSITÀ E GRADO DI AMPIEZZA) Un’innovazione radicale è data da un insieme di novità e differenziazione rispetto ai prodotti già presenti sul mercato. Poiché le innovazioni radicali sono generalmente introdotte da nuove competenze, vengono spesso definite anche in termini di rischio. Può essere radicale solo per un determinato lasso di tempo (lampadina ad incandescenza). Può essere radicale per un’azienda (Kodak, fotocamera digitale, 1975) e incrementale per un’altra (Sony, Sony Mavica, 1981). COMPETENCE ENHANCING E COMP. DESTROYING (EFFETTO SULLE COMPETENZE) Nel primo caso l’innovazione è rappresentata da un accrescimento delle competenze di base già possedute dall’azienda (Sony era già immessa nel digitale); nel secondo caso no (Kodak prima realizzava pellicole per fotocamere). INNOVAZIONI ARCHITETTURALI E MODULARI (AMBITO DI DESTINAZIONE) Quando ad essere migliorato è un componente che non altera la composizione di cui fa parte si parla di innovazione modulare (CPU); quando viene alterato il modo in cui i vari dispostivi facenti parte dello stesso complesso comunicano (architettura), allora si parla di innovazione architetturale (MoBo). Spesso le seconde alterano anche le prime non solo per i meccanismi di comunicazione. CURVE TECNOLOGICHE AD S Se rappresentassimo su un grafico il tasso miglioramento (Impegno – performance) di una tecnologia o il tasso di diffusione di mercato, vedremo un andamento associabile ad una curva a S. All’inizio il miglioramento è lento perché molte energie saranno indirizzate alla ricerca di percorsi alternativi e, poiché la tecnologia non risulta appetibile, i ricercatori e gli investitori saranno difficilmente avvicinabili. Il cliente difficilmente acquisterebbe un prodotto dal costo elevato e poco diffuso o/e conosciuto. Minore è il costo, maggiore è l’adozione. Nella fase intermedia, per via della conoscenza più approfondita, l’impegno sarà più facilmente ripagato: il miglioramento è rapito. Il prodotto sarà sempre più presente sul mercato grazie anche alla riduzione dei costi di produzione. Nella fase finale, i miglioramenti diventeranno sempre più costosi per via del limite naturale della tecnologia stessa e l’adozione si arresterà poiché i potenziali clienti si ridurranno sempre di più. Può capitare che la tecnologia non raggiunga il suo limite naturale e venga sostituita da una tecnologia anzitempo (tecnologie discontinue). Le curve a S posso essere utilizzate come strumento di pianificazione, sebbene difficilmente sia possibile prevedere i limiti di una nuova tecnologia, anche perché la S non è una regola matematica! Tramite la legge di Rogers possiamo descrivere gli adottanti (5 categorie) delle tecnologie con una curva a campana: innovatori (3%), primi adottanti (14), maggioranza anticipatrice (34), magg ritardataria (34), ritardatari (16). CICLI TECNOLOGICI Le curve ad S lasciano capire che i cambiamenti tecnologici sono ciclici: raggiunto il limite naturale vengono sostituite. Una discontinuità, però, potrebbe anticipare la fine di una tecnologia (processo di distruzione creativa). Il MODELLO ABERNATHY- UTTERBACK suddivide l’IT in due fasi: nella fase fluida, descritta da una forte incertezza sulla tecnologia e sul mercato, i produttori sperimentano differenti varianti di prodotto in modo tale da valutare il feedback; in quella specifica, invece, il disegno e le caratteristiche del prodotto vengono affermate. Le discontinuità tecnologiche generano differenti ere del fermento (periodo di turbolenza in cui avviene la sostituzione). Superata la sostituzione si entra nell’era di cambiamento incrementale, dove si cerca di ottimizzare la tecnologia a piccoli passi fino alla successiva era del fermento. I produttori, in questa fase, indirizzando i loro sforzi a comprendere al meglio la nuova tecnologia, cercando di captare solamente le informazioni per la sua ottimizzazione. --DEFINIZIONE DELL’ORIENTAMENTO STRATEGICO (SCHELLING 6) Per intraprendere una strategia di innovazione tecnologica, il PM deve considerare la posizione attuale dell’azienda e scegliere l’orientamento strategico per il futuro, studiando anche l’ambiente esterno ed interno all’impresa. VALUTAZIONE COMPETITIVA DELL’AZIENDA ANALISI DELL’AMBIENTE ESTERNO. Vengono prese in considerazione le 5 forze competitive (di Porter) e la teoria degli stakeholder. Si analizzano prima le forze. 1) Grado di rivalità competitiva: è influenzato principalmente da numero e grandezza dei concorrenti; poi dalla differenziazione dei prodotti esistenti (più sono più è bassa la rivalità); anche il livello della domanda, se basso, aumenta la rivalità. Altri fattori da tenere in considerazione sono barriere all’uscita come il fattore emotivo, investimenti a capitale costante… 2) Minaccia di potenziali aziende entranti nel mercato: l’attrattiva del mercato aumenta la minaccia. 3) Il potere contrattale dei fornitori: il numero di fornitori può far aumentare o diminuire il potere dei fornitori. Anche il numero di prodotti acquistati, se è basso, può aumentare il potere contrattuale dei fornitori, cosi come la presenza di switching cost. 4) Il potere contrattuale de clienti (stessa cosa dei fornitori solo che è l’opposto). 5) La minaccia di prodotti sostitutivi: maggiore è la presenza di prodotti che svolgono funzioni simili a quella del nostro prodotto, maggiore è la minaccia degli stessi. 6) Prodotti complementari (aggiunta all’inizio del 2000 – es. spazzolino e testine). Analisi degli stakeholder. Gli stakeholder rappresentano i soggetti, interni ed esterni all’azienda (fornitori, clienti, azionisti, collaboratori, residenti di aree prossime all’azienda…), che potrebbero assumere un ruolo rilevante nelle prospettive di un’impresa. Il primo passo consiste nell’individuazione di ogni singolo stakeholder: per ognuno, il management team deve conoscere gli interessi, ciò che si aspetta, le risorse, le possibili rivendicazioni… Poi bisogna capire quali di questi potrebbe assumere un ruolo particolare per quanto concerne la strategia dell’azienda. Si può procedere concentrandosi solamente sugli stakeholder che potrebbero influenzare le performance economiche o finanziare dell’azienda (approccio strategico) oppure considerando anche (o solamente) gli aspetti ecologici e morali. ANALISI DELL’AMBIENTE INTERNO. Tale analisi vuole individuare quelli che sono i punti di forza e le debolezze dell’impresa, valutando, singolarmente, quanto ogni attività contribuisce all’accrescimento del valore complessivo dell’impresa. Si valutano quelle che sono le risorse, che per essere valide devono risultare rare, durature, preziose e difficilmente riproducibili da altri, come ad esempio il talento e la capacità di collaborare. Il talento è una risorsa particolarmente preziosa e irriproducibile anche perché spesso è nascosto alla concorrenza. INDIVIDUAZIONE DELLE CAPACITA’ E DELLE COMPETENZA CHIAVE Le competenze distintive (core competence) sono trasversali a un'attività o a un settore, e possono riguardare una predisposizione a costruire, progettare, realizzare un prodotto o anche a organizzare, gestire o programmare. Esse sono importantissime per l’accrescimento di un’impresa, in quanto la differenziano dal punto di vista strategico rispetto ad altre. Combinare più CC rende ancora più difficile l’imitazione da parte di altri. Per Prahalad e Hamel (coloro che posero le basi per questa visione di strategia aziendale) le CC sono rappresentabili dalle radici di un albero. Le competenze chiave non devono essere molte: un’impresa ne può controllare al meglio 6; se ce ne sono di più risulta necessario capire quali effettivamente sono le vere CC. Le CC potrebbero infatti rappresentare un problema nel caso in cui ci si irrigidisce troppo (core rigidity): le competenze devono essere flessibili. Vengono infatti premiate anche le capacità dinamiche, che permettono all’azienda di adattarsi nel migliore dei modi al mercato (a differenza delle CC che sono legate a particolari prodotti chiave), specie quando vengono introdotte discontinuità tecnologiche o si vuole entrare in un nuovo mercato (es. l’arrivo dell’informatica). INTENTO STRATEGICO Uno dei principali obbiettivi delle aziende è quello di aumentare il proprio valore in modo tale da attirare azionisti e investitori, garantendo loro maggiore ricavo. Bisogna quindi realizzare piani strategici a lungo termine (10-20 anni), lasciandosi guidare da un intento strategico ambizioso, ponendosi anche obbiettivi intermedi. Bisogna conoscere ciò verso cui si è orientati in modo tale da focalizzare il proprio impegno verso lo sviluppo di tecnologie innovative. --MECCANISMI DI PROTEZIONE DELL’INNOVAZIONE (SCHEL. 9) La capacità di un’azienda di trattenere a sé o acquisire innovazioni a fine strategico è detta appropriabilità: più un’innovazione è facile da imitare o acquisire per i concorrenti meno è appropriabile. Utilizzare meccanismi di protezione delle innovazioni (wholly proprietary systems), non sempre risulta producente: spesso non proteggere le proprie innovazioni (wholly open strategy) favorisce l’espansione della tecnologia, facilitando la diffusione. BREVETTI Colui che vuole depositare il brevetto deve recarsi all’ufficio brevetti e marchi e a quello della camera di commercio. Se è dipendente, allora la proprietà sarà dell’azienda; se è un ricercatore universitario, il brevetto è del depositante. Garantisce l’esclusività sullo sfruttamento commerciale fino ad un massimo di 20 anni. I requisiti per brevettare sono: novità, possibile applicazione industriale, non deve essere qualcosa di ovvio e non essere stata già brevetta (l’EPO realizza una ricerca di anteriorità). Si possono brevettare: disegni e modelli, metodi o processi di lavorazione, modelli di utilità… La richiesta di deposito deve contenere: titolo, riassunto, descrizione, rivendicazioni, disegni. Prima del deposito viene effettuata un’analisi di merito e, in caso, si può annullare l’operazione. Non sempre conviene brevettare a livello internazionale: a volte ci si può limitare alla nazione in cui ci sono concorrenti. Non sempre conviene brevettare per via dei i costi di scrittura, di deposito, di mantenimento, per l’esame di merito… I brevetti possono essere utilizzati come strumenti di difesa, di negoziazione (es. cross-licensing) oppure al fine di incrementare le risorse vendendolo, dandolo in licenza oppure utilizzandolo come strumento finanziario. Esistono 3 tipi di licenza: licenza esclusiva, condivisa (col depositante) o non esclusiva. Non conviene brevettare quando non esiste un solo modo per risolvere un problema o per realizzare un prodotto, oppure quando sono presenti differenti concorrenti. Conviene brevettare un’innovazione di prodotto oppure se si vuole dare in licenza. SEGRETO INDUSTRIALE Si usa quando non si vuole far trapelare nessuna informazione fuori dall’azienda. Per via dei costi di brevetto, spesso risulta conveniente far uso del solo SI. Inoltre, i tempi di deposito del B, spesso risultano lunghi e, circa dopo 18 mesi dal deposito, il brevetto viene pubblicato (trapelano informazioni). Il SI ha diritto immediato e non necessita di richieste o depositi. Si ricorre al SI nel caso in cui non si può brevettare (es. ricette). A differenza del B o di altri sistemi di protezione ha durata infinita. Spesso si fa firmare un accordo di riservatezza ai dipendenti. Per un’innovazione di processo conviene il segreto industriale. COPYRIGHT è per le opere soggette ai diritti di autore. L’autore è il solo ad avere il diritto ad utilizzare la propria opera a fini economici. Non è richiesta alcuna registrazione: la protezione è automaticamente garantita dal momento in cui l’opera viene realizzata. In Italia è associato ad oggetti a carattere creativo (arti figurative, musica, videografia…). MARCHI è un qualsiasi elemento che viene percepito sensorialmente (jingle, loghi, profumi…). Colui che registra detiene l’uso esclusivo del marchio per almeno 10 anni, poiché è rinnovabile. Non possono essere realizzati marchi simili a quelli registrati. Il marchio, in genere, è costituito da una parola, una frase, un simbolo o altri elementi che un’impresa usa per distinguersi e per garantire al produttore la provenienza di un prodotto da essa realizzato. I marchi vengono registrati in uffici nazionali, sebbene esista la WIPO (organizzazione mondiale per la tutela della proprietà intellettuale). I marchi devono essere originali e non devono dare informazioni eccessive sulle caratteristiche del prodotto. Non possono essere utilizzati come marchi l’accostamento di colori (RedBull) o suoni provenienti da determinate macchine (Harley Davidson). MODELLI E DISEGNI Per la loro tutela bisogna presentare una domanda di registrazione, che può essere rinnovata ogni 5 anni fino a max 25. Modelli e disegni, per essere utilizzati in maniera esclusiva, devono rispettare requisiti di novità e di impronta individuale. Per un modello sono sufficienti i disegni in BeN, con le viste necessarie. Nel caso in cui si vuole tutelare l’accostamento cromatico relativo al modello, sono richieste immagini a colori. --GESTIONE DEL PROCESSO DI SVILUP DI UN NEW PRODOTTO (SCHIL 12) OBBIETTIVI DEL PROCESSO DI SVILUPPO DI UN NUOVO PRODOTTO Bisogna considerare importanti principalmente le caratteristiche che lo sono per il cliente. Il prodotto deve conquistare il mercato, di conseguenza deve avere una maggiore qualità o un prezzo più basso rispetto alla concorrenza. Molto spesso i prodotti risultano insoddisfacenti perché viene data priorità alle caratteristiche meno richieste. (es. NFC). Non sempre il cliente è disposto a spendere molto: spesso i costi di sviluppo possono essere abbattuti migliorando i processi di sviluppo. È molto importante ridurre le tempistiche di sviluppo: entrare nel mercato troppo tardi incrementa il rischio di perdere attrattiva da parte della clientela, orientata già orientata verso altri marchi; inoltre, i produttori terzi hanno meno tempo per produrre beni complementari. Le imprese più abili e rapide ottengono i vantaggi sia del first mover che dei follower. PROCESSI DI SVILUPPO SEQUENZIALI E PARALLELI Nella tipologia sequenziale lo sviluppo del progetto è intervallato da momenti dove il prodotto viene valutato dal lato manageriale, in modo da considerare modifiche o, in non pochi casi, la chiusura. Nel parallelo (simultaneous engineering) alcuni task del processo produttivo si sovrappongono: i tempi si comprimono e si riducono le iterazioni. Per via dell’elevata coordinazione richiesta, non sempre tale modalità conviene poiché si hanno più costi e possibilità di sbagliare. PROJECT CHAMPION ha il compito di sostenere un progetto affinché venga realizzato. È una figura che ha l’autorità di influenzare l’allocazione delle risorse finanziare, affinché il progetto non venga abbandonato prematuramente o non si allunghino le tempistiche. La sua visione può però offuscare gli obbiettivi e il valore del progetto, specie se detiene una visione particolarmente ottimistica, influenzando in maniera negativa i giudizi del team; il rischio è quello di cadere in un’escalation of commitment (si va avanti invece di cambiare rotta). A tal proposito nasce la figura del Project Antichampion. COINVOGLIMENTO DEI CLIENTI E DEI FORNITORI è importante poiché il cliente è la persona che più sa come deve essere soddisfatto. Tramite l’accesso a versioni incomplete (beta testing), viene introdotto alle caratteristiche del prodotto e l’azienda riceve feedback e consigli prima del rilascio ufficiale. Inoltre, l’impresa favorisce l’acquisto del prodotto da parte del cliente (dato che sta acquisendo familiarità). I beta test anticipano le richieste da parte della clientela di qualche mese. Coi fornitori si può instaurare un rapporto di consulenza: può suggerire quale risorsa scegliere per la fornitura; inoltre, la coordinazione con essi, può portare a ridurre i tempi di sviluppo e ad ottenere risultati migliori (es. software hardware). STRUMENTI PER LA MISURAZIONE DELLA PERFORMANCE DI NUOVI PRODOTTI Realizzare controlli progressivi al raggiungimento degli obiettivi scelti o effettuare verifica periodiche generali a cadenza regolare, può favorire la riuscita di un progetto. Bisogna eseguire dei paragoni con progetti simili già realizzati in modo tale da avere un’idea delle tempistiche e dei costi richiesti e valutare i possibili benefici ottenibili. STRUMENTI X IL MIGLIORAMENTO DEL PROCESSO DI SVILUPPO DI NEW PRODOTTI STAGE-GATE. È un processo produttivo in cui un team leader, tramite le informazioni tecnico-economiche raccolte tra un decision point (DP) ed un altro, valuta se portare avanti, terminare, modificare o sospendere il progetto. I DP corrispondo a punti di sbarramento che servono ad evitare, in particolare, di cadere in escalation of commitment (si va avanti invece di cambiare rotta). Le fasi (separate da un DP) di tale processo produttivo sono le solite: 1) analisi generale e pianificazione; 2) definizione, analisi di mercato e pianificazione dettagliata; 3) design; 4) testing, certificazione e pianificazione marketing; 5) produzione e vendita. CAD E CAM. L’introduzione di processi computerizzati e automatizzati ha incrementato l’efficienza della produzione. DESIGN FOR MANUFACTURING. La progettazione in funzione della facilità di fabbricazione ha aumentato la produttività, l’economia a in larga scala e i costi in generale. I costi di progettazione potrebbero leggermente aumentare poiché si cerca di minimizzare il numero dei componenti e delle parti fisse. Inoltre, è richiesta l’ottimizzazione delle proprietà fisico - geometriche dei componenti che incidono sui tempi di assemblaggio e dei sistemi di giunzione. QUALITY FUNCTION DEPLOYMENT (QFD). Metodo che dà molta importanza al cliente. Al centro di tale modello è presente una matrice in cui vengono classificate e confrontate le esigenze del cliente con le caratteristiche del prodotto da realizzare e quello della concorrenza. Per via dell’approccio schematico, risalta la capacità di questo metodo di essere universale. Fasi: 1) individuare le esigenze e preferenze del cliente; 2) valutazione; 3) identificazione caratteristiche principali del prodotto da realizzare; 4) trascrizione su matrice con le rispettive classi di importanza; 5) stesura tabella; 6) calcolo: per ogni cella si moltiplicano gli elementi con l’importanza riportata nella prima colonna; vanno successivamente sommati tali risultati e la somma va riportata nell’ultima riga in modo tale da valutare l’importanza per colonna; 7) confronto con la concorrenza; 8) scelta di valore target per ogni colonna (elemento di design); 9) valutare il risultato col valore target ed in caso riprogettare per soddisfare i target. --ANATOMIA DI UN PROGETTO (SAMPIETRO 1) Un progetto è l’ideazione di un qualcosa accompagnata da attente analisi. Sono caratterizzati da temporaneità, hanno inizio e fine, e unicità, sono tutti diversi. Gestire progetti significa gestire risorse; ciò è possibile solamente grazie ad un coordinamento spinto. Si identificano obbiettivi intermedi per raggiungere lo scopo finale: spesso la cattiva definizione degli obbiettivi porta al fallimento dei progetti. INCERTEZZE Tante all’inizio, poi diminuiscono. A tal proposito si effettuano stime (durata, budget, risorse necessarie…). L’incertezza porta a commettere errori: è necessario che i team member cerchino di effettuare errori tollerabili inerenti alle stime. La tolleranza è relativa: nei processi fortemente innovativi le stime possono portare a grossi errori; nel caso di progetti standard (costruzione di edifici) l’incertezza (e quindi la possibilità di sbagliare) deve essere bassa. Gli investitori si attendono ritorni più o meno elevati in funzione del rischio assunto. Copiare (riutilizzare), oltre a pianificare correttamente, può essere un’ottima soluzione per ridurre gli errori: l’uso di soluzioni esistenti già validate può ridurre l’incertezza (es. prodotti che devono rispettare strette normative); progettare qualcosa da zero potrebbe dare risultati qualitativamente inferiori a quelli già conosciuti. La gente è restia alla copia o al riutilizzo in quanto si crede che abbassi l’innovazione o viene considerata come un abbassamento dell’autostima. Al contrario, riutilizzare tecniche fa sì che ci si concentri su nuove attività che potrebbero incrementare il valore del progetto (aumento di innovazione), evitando di sprecare risorse a reinventare l’esistente. STRUTTURA ORGANIZZATIVA PROGETTO (LEZIONE 4 SLIDE PROF NO LIBRO) Tramite la SO si organizzano i compiti, le responsabilità ed il coordinamento dei membri del team. La suddivisione del lavoro avviene in funzione della specializzazione di ogni singolo membro, delle capacità di collaborazione e tiene conto della classificazione gerarchica. La SO rappresenta le pratiche che valorizzano l’azione coordinata dei membri. La divisione aziendale può essere di differenti tipi. Nella STRUTTURA FUNZIONALE, l’azienda è divisa in funzione della tipologia di attività; in questa struttura l’efficienza deve essere ripartita equamente in ogni reparto (Dir as qual amm e pian, ReD, magazzino forniture, reparti produttivi, vendite). Nella STRUTTURA DIVISIONALE, l’impresa viene segmentata in funzione, ad esempio, di differenti linee di prodotto [Dir as qual amm e pian, sistemi informativi, div prog A (ReD, magazzino forniture, reparti produttivi, venite), div prog B (=)]. Nella STRUTTURA A MATRICE si ha una divisione ibrida [Dir Ass qual amm e pian (PM1, PM2, PM3), ReD, reparto forniture, reparto produttivo, vendite]. SOTTO SONO COLLEGATI A GRIGLIA! I vantaggi sono dati dal superamento degli svantaggi delle altre due: si cerca di unire i vari reparti in modo tale da farli collaborare meglio (poiché nella prime due SO la coordinazione è scarsa per via della divisione). Lo svantaggio principale è la maggiore organizzazione richiesta (non sono ben definiti i ruoli, le responsabilità e si possono generare conflitti tra gli stessi livelli gerarchici). La matrice può essere di tre tipi. DEBOLE. Il PM ha minore autorità e spesso è subordinato ad un manager funzionale sia per la gestione del budget che dal punto di vista funzionale. EQUILIBRATA. Il PM ha il potere di gestire il budget anche se, a livello decisionale, deve trattare con il MF. MATRICE FORTE. Il PM è il boss. CICLO DI VITA DI UN PROGETTO Graficamente si può descrivere il ciclo di vita di un progetto tramite 3 curve. La curva delle risorse (campana) quantifica le risorse utilizzate durante ogni singola fase del progetto. La curva dei costi di modifica (esp) evidenzia come modificare alla fine del progetto (riparare un errore) sia molto più costoso: è meglio anticipare i problemi invece di risolverli quando si verificano. L’ultima curva è quella dell’opportunità di aggiungere valore (esp decr): inizialmente bisognerebbe ascoltare e valutare tutte le possibili idee per incrementare il valore del progetto poiché col tempo potrebbero perdere valore. Il team non deve scegliere subito le idee senza valutare completamente altre, devono essere capaci di mettere in discussione e di non tenere nascoste considerazioni che potrebbero migliorare la riuscita del progetto. Le fasi di un progetto non devono essere per forza sequenziali: possono sovrapporsi o scambiarsi (specie le centrali) quando l’incertezza è alta. IDEAZIONE. (meno strutturata) Si cerca di riconoscere quale siano le necessità del progetto, analizzando le problematiche che hanno richiesto l’intervento. Si valutano le prime idee: alcune vengono rapidamente scartate, altre, che sembrano valide, vengono inizialmente accettate per poi essere accantonate. Il documento formale in uscita è il Business Case, dentro cui sono riportati gli obbiettivi di massima, le prime valutazioni economiche e i motivi per cui bisogna realizzare il progetto. Ancora non si è decisa precisamente la strada da percorrere. FATTIBILITÀ. Viene scelto il percorso da intraprendere e viene effettuata un’accurata analisi di fattibilità, che verrà trascritta nel DPU, il Project Charter. In seguito all’accettazione del documento, il PM verrà autorizzato a utilizzare e richiedere le risorse necessarie. PIANIFICAZIONE. Si approfondiscono le analisi, si realizza una scaletta dettagliata degli gli obiettivi che ogni persona coinvolta nel progetto deve svolgere, vengono definite le tempistiche di ogni operazione e vengono indicati i risultati attesi. In questa fase potrebbe essere necessario rivalutare le risorse già esistenti o richiederne nuove. Il Project Management Plan è il DPU. ESECUZIONE. (uso maggiore di risorse) Durante la fase di esecuzione sono presenti anche momenti di pianificazione. Questa fase è la più semplice dal punto di vista comprensivo ma la più complessa a livello pratico. CHIUSURA E TRASFERIMENTO. Si valuta l’accettazione dei risultati ottenuti da parte del cliente; si dismettono o si orientano le risorse su progetti differenti; si organizzano le informazioni e i documenti per facilitarne l’accesso in caso di riapertura, controlli, manutenzione…; si svolgono riunioni di chiusura, comunicando con i vari stakeholder. Il trasferimento consiste nel gestire il passaggio dal progetto ai processi che ha creato (spiegare l’uso di un programma per PC a chi lo ha richiesto): la conclusione della parte di esecuzione consegna i risultati ottenuti ad altre persone che spesso vengono considerate molto distaccate dal team, e di conseguenza irrilevanti. A tal proposito, ultimamente viene esteso il ciclo di vita del progetto ben oltre la chiusura della fase di esecuzione. VALUTAZIONE POST-ESECUZIONE. Si valutano i benefici del progetto: è bene rendere i team member consapevoli dei risultati ottenuti, per far accrescere la loro esperienza. --L’AMBIENTE DI PROGETTO E GLI ATTORI PRINCIPALI (SAMPIETRO 2) PROJECT MANAGER ha la responsabilità e l’autorità da esercitare su un team coordinato da lui. Può essere incaricato a tempo pieno o part time e può essere assunto anche per svolgere il progetto in parte. Il PM deve utilizzare al meglio tutti i metodi e gli strumenti ottenuti mediante lavori precedenti, deve avere elevate competenze di natura strategica, anche per quanto concerne la gestione del team, che non sempre è disposto a collaborare. Il PM deve interessarsi, in senso lato, alle metodologie applicate dall’azienda e cercare di utilizzarle, al di là degli obiettivi del singolo progetto. Inoltre, deve concentrarsi a coordinare il gruppo cercando di essere poco pignolo ed evitando di entrare spesso in dettagli troppo tecnici: spesso non possiede le conoscenze che un membro del team ha nel suo campo, di conseguenza deve lasciare dare il contributo specialistico al team, evitando di creare tensione interna. Il PM ha una visione complessiva del progetto: riesce a prendere decisioni anche in tema tecnico quando il team non riesce. Il PM deve adattarsi al meglio al progetto e al team, deve essere costante ed equilibrato (sia caratterialmente che professionalmente) e deve infondere energia, esperienza e stimolo al gruppo. Un buon PM deve anche far concentrare il gruppo sul progetto, evitando di allontanarlo troppo dall’esterno o di caricarlo di ansie e preoccupazioni. Il PM devo collaborare al meglio fuori dal team come, ad esempio, coi manager funzionali, poiché potrebbero rappresentare grandi risorse o essere di ostacolo al progetto. IL GRUPPO DI PROGETTO è composto dai membri del team di progetto; se l’azienda è molto grossa può essere presente un Project Management Team. I membri devono essere: professionali (dal punto di vista etico, comportamentale e tecnico); capaci di adattarsi al progetto e al resto del team; avere capacità di iniziativa: quando necessario (specie in assenza di direttiva) devono essere capaci di prendere decisioni da soli senza aspettare che gli si venga ordinato qualcosa o assegnato qualche compito specifico. La capacità di prendere decisioni da soli dipende dalla capacità del team di avere una visione d’assieme. I membri del gruppo devono anche essere aperti a osservazioni altri, al confronto e a possibili ribaltamenti delle idee proprie. LO SPONSOR MANAGER è una persona o un’azienda che da potere al PM affinché possa gestire il progetto. È lo SM a definire gli obbiettivi globali del team, a guidare il PM durante la formulazione strategica (il PM spesso deve utilizzare approcci affini all’azienda) e a richiedere la realizzazione di un progetto. Lo SM deve rintracciare le risorse e reperirle inizialmente o su richiesta del PM, anche in seguito all’inizio delle fasi avanzate. Inoltre, deve risolvere le problematiche al di fuori del team (fuori dalla competenza del PM). Non deve limitarsi a comunicare tramite mail ma deve essere presente all’interno del team, stimolando e chiedendo aggiornamenti dal vivo. La presenza di un buon SM può sopperire alle problematiche di un team mal gestito. CLIENTI E FORNITORI (CITARE IL BETA TESTING ED IL SOFTWARE- HARDWARE) Bisogna rendere partecipi i clienti e considerare il loro feedback affinché i deliverable prodotti siano accettati al meglio. Ciò è rilevante quando gli obiettivi da raggiungere sono poco chiari. È bene scegliere quei fornitori che, a parità di caratteristiche più rilevanti, partecipano attivamente alle scelte decisionali inerenti a prodotti da richiedere, per ridurre le tempistiche decisionali del team e concentrarsi su altro. PROJECT CHAMPION ha il compito di sostenere un progetto affinché venga realizzato. È una figura che ha l’autorità di influenzare l’allocazione delle risorse finanziare, affinché il progetto non venga abbandonato prematuramente o non si allunghino le tempistiche. La sua visione può però offuscare gli obbiettivi e il valore del progetto, specie se detiene una visione particolarmente ottimistica, influenzando in maniera negativa i giudizi del team; il rischio è quello di cadere in un’escalation of commitment (si va avanti invece di cambiare rotta). A tal proposito nasce la figura del Project Antichampion. --MONITORAGGIO E CONTROLLO (SAMPIETRO 14) La fase di pianificazione (GPS) non termina in un momento preciso, è quasi sempre presente anche durante la fase di esecuzione (dove si verificano i maggiori scostamenti), in cui è richiesto l’uso di maggiori risorse. Comunemente si dà poca importanza alla pianificazione iniziale; di conseguenza l’incertezza sarà molto elevata e si faranno errori. Lungo tutta la durata del progetto è necessario svolgere attività di monitoraggio, in cui si visualizzano continuamente i risultati e le risposte ottenute, e di controllo, in cui si valutano i dati provenienti dal monitoraggio e si decide intervenire o meno, correggendo in parte (o completamente) la PI realizzata. Nelle fasi iniziali, l’applicazione di azioni correttive risulta meno costosa, sia dal punto di vista dei costi che del lavoro, perché molti compiti non sono ancora stati svolti. Invece, quando il progetto è già avviato, la flessibilità tende a diminuire in quanto la baseline e ben definita, quindi le azioni correttive richiedono maggiore tempo e risorse (spesso si procede in maniera incisiva: riduzione della qualità, eliminazione di contenuti meno importanti…). Bisogna anche scegliere le modalità di approvvigionamento dei dati in funzione di alcuni parametri: frequenza di aggiornamento; addetti al reperimento; strumenti, modalità e precisione di reperimento. Per stimare l’avanzamento del lavoro svolto ci si accontenta di approssimazioni poiché dare percentuali di completamento esatte risulta impossibile e a volte controproducente. In ogni caso sono presenti delle tabelle e dei metodi per quantificare al meglio ciò. È anche molto importante definire una baseline, ovvero una linea di previsione che serve a confrontare lo stato dei parametri principali scelti: si rapportano i costi, l’uso di risorse, le tempistiche… scelti e stimati in fase di pianificazione con quelli in corso. Così, in caso di scostamenti rilevanti, si apportano azioni correttive. Una possibile baseline temporale è il Diagramma di Gantt. La baseline, se necessario, può anche essere modificata. IL METODO DELL’EARNED VALUE (MONITORAGGIO) FARE GRAFICO La curva effettiva mostra che i costi sono stati più bassi rispetto alle previsioni, ciò non tiene però conto del fatto che si può aver lavorato meno. A tal proposito nasce il metodo Earned Value, che considera differenti variabili. FARE GRAFICO STESSO DI SOPRA CON ORDINE PV-AV-EC Ad una data fissata si ha: PV (Planned Value), ovvero la previsione della spesa in funzione di del lavoro previsto; EV, indica la spesa stimata in funzione del lavoro effettivo; AC (Actual Cost), indica la spesa reale in funzione del lavoro reale. Vengono definiti altri indici per monitorare l’efficienza del progetto: (Schedule Variance) SV = EV – PV, a parità di costi, < 0 vuol dire che si è svolto meno lavoro del previsto; (Cost Variance) CV = EV – AC, a parità di lavoro, < 0 vuol dire che si è speso di più rispetto alla previsione; (Indice di performance dei costi) CPI = EV/AC, >1 vuol dire che si sta risparmiando; (Indice di performance lavorativa) SPI = EV/PV, >1 indica che si sta lavorando di più; (Stima del costo tot di progetto) EAC = BAC/CPI dove BAC è il budget del progetto oppure EAC = BAC – EV + AC; (stima dei costi rim) ETC = EAC – AC; (indice di risparmio) VAC = BAC – EAC, se è positivo indica che rispetto ai costi previsti si è speso meno. -- APPROCCIO AGILE (SAM 17) (utile per software e R&D) – 2001 Non sempre nei progetti è richiesta una pianificazione spinta. Tale processo è di tipo iterativo incrementale e si adatta particolarmente ai progetti caratterizzati da elevata incertezza dove la pianificazione richiederebbe molto tempo e darebbe scarsi risultati. Con l’Agile si aspetta a priori di apportare differenti modifiche al progetto in tutta la sua interezza. In questo caso il cliente è posto al centro di tutto il metodo, poiché l’incertezza deriva anche dalla sua incapacità di comprendere al meglio le proprie richieste. Si realizzano prodotti molto più affini alle richieste. Nell’Agile bisogna consegnare continuamente prodotti funzionanti così da misurare il progresso e valutare il feedback. Non bisogna utilizzare l’Agile quando non serve e non è corretto pensare che i metodi più tradizionali utilizzino approcci a cascata (fasi non ripercorribili). L’Agile è ciclico e suddiviso in più fasi: generazione del product backlog, ovvero un documento in cui è presente tutto ciò che deve essere svolto; seguono successive fasi di organizzazione dell’iterazione (ovvero la parte del progetto in cui si realizza il deliverable) e riunioni, sia tra il team che con il cliente in modo tale da perfezionare sempre di più il prodotto o il software da realizzare. L’iterazione dura poche settimane e al suo finire non sempre si deve consegnare un prodotto funzionante: l’importante è far capire al cliente se ciò che si sta realizzando corrisponda alle sue richieste. VARIANTI KANBAN E’ una tecnica sviluppata in Giappone da Toyota Motor Corporation in ambito Operations Management. In ambito progettuale, si basa sull’utilizzo di strumenti visuali (Kanban, board) per gestire il flusso di lavoro. Le carte Kanban mostrano il lavoro programmato, il lavoro in progress e il lavoro completato. Può essere integrato nell’approccio Scrum. LEAN DEVELOPMENT, in ambito sviluppo software e nuovi prodotti, è basato su 7 punti chiave e riprende e adatta concetti chiave dell’approccio “Produzione Snella”, nato in Toyota e Honda in Giappone. Il cuore dell’approccio si concentra sulla riduzione degli sprechi e sul miglioramento continuo del flusso di valore. --SCRUM (per la descrizione guarda l’AGILE) RUOLI Il PRODUCT OWNER definisce e organizza il lavoro da svolgere, comunica con gli stakeholder e stabilisce le priorità di sviluppo per il Team Scrum. Ha le responsabilità organizzative. Lo SCRUM MASTER è il responsabile del processo e dei daily scrum; all’interno del gruppo cerca di favorire il coordinamento ed il lavoro eliminando ostacoli, organizzando riunioni di confronto, applicando la metodologia Scrum poiché esperto. Lo SCRUM TEAM, composto in genere da 4-9 persone, porta a termine gli Sprint (dura max 1 mese). Ogni membro dello SM è responsabile dello sviluppo, anche perché generalmente il team è autogestito, ovvero decide in autonomia come sviluppare le funzionalità proposte dal PO. ARTEFATTI Il PRODUCT BACKLOG, creato dal PO, è la fonte di requisiti che servono per realizzare il prodotto. Al suo interno ci sono le caratteristiche, le priorità… e una stima del tempo rimanente per completare compiti legati ad ogni utente. Le descrizioni contenute sono semplici (seguono il formato delle user stories) e vengono aggiornate durante lo sviluppo. Nel BURNDOWN CHART è riportato ciò che deve essere realizzato per completare lo sprint giorno per giorno. All’interno dello SPRINT BACKLOG sono riportati i documenti presenti nel PB riguardo il singolo sprint. Anche qui le varie descrizioni possono variare: possono essere modificate, aggiunte o rimosse solo dal team. È presente anche un piano di incremento dove sono contenuti i task completati nei precedenti sprint. EVENTI SPRINT PLANNING SESSION: riunione in cui viene pianificato il lavoro da svolgere durante uno sprint (6-8 h). DAILY SCRUM: riunione rapida in cui si commentano i progressi realizzati e si organizza il lavoro del giorno successivo (ca 15 m). SPRINT REVIEW: incontro con il cliente in cui viene mostrato ciò che è stato realizzato nello sprint (max 4 h). SPRINT RETROSPECTIVE: incontro post sprint review in cui si commenta il feedback del cliente e si pianificano come migliorare il prodotto (max 4 h).