LA SINCRONICITA'.
Indice.
Avvertenza.
Prefazione.
1. Esposizione.
2. Un esperimento astrologico.
3. I precursori dell'idea di sincronicità.
4. Conclusione.
Cronologia.
Avvertenza.
Edito nel 1952, e incluso in un volume intitolato "Naturerklarung und Psyche", comprendente una
monografia del fisico austriaco, premio Nobel, Wolfgang Pauli (1900-58) dal titolo "Der Einfluss
archetypischer Vorstellungen auf die Bildung naturwissenschaftlicher Theorien bei Xepler", il Saggio
sulla Sincronicità come principio di nessi acausali ("Synchronizität als ein Prinzip akausaler
Zusammenhänge") che costituisce il presente volumetto illumina la fase conclusiva dell'opera e della
vita di Carl Gustav Jung, volto nell'ultimo decennio della sua esistenza alle grandi sintesi.
La riflessione specifica sul tema della sincronicità era iniziata un trentennio prima, ma già nel
1916 nella prefazione alla prima edizione dei 'Collected Papers on Analytical Psychology' Jung aveva
riconosciuto l'opportunità di affiancare al principio di causalità quello finalistico "'La causalità è solo
un principio, e la psicologia non può venir esaurita soltanto con metodi causali, perché lo spirito
[uguale la psiche] vive egualmente di fini'... La finalità psichica si fonda su un senso 'preesistente' che
diventa problematico solo in seguito, quando si tratta d'un arrangiamento inconscio. In questo caso
infatti bisogna supporre una specie di 'sapere' anteriore ad ogni coscienza: conclusione cui è giunto
anche Driesch (vedi nota 32). L'osservazione clinica e l'esperienza personale d'introspezione
sembravano indurre Jung a supporre l'inconscio come depositario d'un sapere anteriore ad ogni
elaborazione cosciente e a concordare con la posizione dello scienziato vitalista Hans Driesch.
Intorno al 1925, poi, si collocano le prime formulazioni esplicite e compiute di Jung sulla
questione della sincronicità, che egli avrebbe in seguito approfondito attraverso il contatto con il
pensiero filosofico orientale, oltre che con la riflessione su sorprendenti avvenimenti della sua stessa
vita, sfuggenti ad ogni interpretazione razionale (gran parte dei quali sono raccontati nell'autobiografia).
(1)
Alla fine del 1934 inizia un interessante scambio epistolare con Wolfgang Pauli e con Ernst
Pascual Jordan, insigne fisico tedesco, che testimonia il fervore di Jung nell'indagine sul parallelismo
tra fisica e psicologia analitica e, in particolare, sulla relatività delle categorie di spazio e tempo. Pauli
aveva sottolineato l'affinità esistente tra il concetto d'inconscio collettivo di Jung (2) e i manoscritti di
Pascual Jordan intorno a fenomeni parafisici e parapsicologici. Jordan, a sua volta, aveva letto, per
iniziativa di Pauli, il saggio di Jung su "Anima e morte" (1934), (3) in cui Jung esaminava il mondo dei
presentimenti inconsci di tipo telepatico. Nelle osservazioni di Jordan intorno alla chiaroveggenza nello
spazio, Jung coglieva una conferma all'ipotesi della relatività delle nozioni di spazio e tempo,
costitutiva della nozione d'inconscio.
Al di là di quanto aveva formulato nella Struttura della psiche (1927/1931) Jung era allora
impegnato a lavorare in modo sistematico sui fenomeni sincronistici, e in tale luce guardava con
interesse agli studi di John Dunne sul tempo e alla microfisica in generale: egli sentiva di non poter
accettare l'ipotesi interpretativa propria del pensiero occidentale, di cui era rappresentante Paul
Kammerer, che mirava a ricondurre i fenomeni sincronistici alla ripetizione e alla serialità, e si apriva al
pensiero orientale, fondato da secoli sul riconoscimento della realtà della psiche umana nell'ambito
della totalità del pensiero. Nella lettera a Jordan del 10 novembre 1934 Jung ricordava, a tale riguardo,
l'importanza del Segreto del fiore d'oro e dell'I Ching, tradotti in tedesco dal sinologo Richard Wilhelm,
due libri dai quali aveva tratto ulteriore convalida alla sua teoria dell'inconscio come non
esclusivamente fondato sul solo principio di causalità.
Nell'opera del 1952 confluisce una materia multiforme, arricchita da circa un trentennio di
osservazioni, nella quale è possibile distinguere un aspetto tematico e uno metodologico. Il primo fa
trasparire l'interesse di Jung verso studi, esperimenti, memorie scientifiche perlopiù trascurati dalla
cultura accademica, il secondo offre squarci epistemologici imprescindibili per la storia della psicologia
analitica e delle discipline ad essa affini.
Oggetto della riflessione di Jung è il fenomeno della sincronicità, che secondo la sua definizione è
la risultante di due fattori: 1) un'immagine inconscia che si presenta direttamente (letteralmente) o
indirettamente (simboleggiata o accennata alla coscienza come sogno, idea improvvisa, presentimento);
2) un dato di fatto obiettivo che coincide con questo contenuto. L'evento esterno può svolgersi fuori
della percezione dell'osservatore, ed essere quindi distante nello spazio, o può essere distante nel
tempo, può cioè verificarsi in un tempo futuro rispetto al momento dell'evento psichico manifestatosi al
soggetto.
Movendo da tale base, Jung dispone le sue formulazioni, unendo, com'è possibile notare in ogni
suo saggio, una dettagliata cornice culturale al racconto dell'esperienza diretta di eventi occorsigli e
rimasti razionalmente inspiegabili, implicanti perciò l'ipotesi della coincidenza sincronistica. Un'ipotesi,
che - come precisa Jung - presuppone, naturalmente, la percezione oscura d'un senso latente. 'Il
concetto generale di sincronicità, nell'accezione speciale di coincidenza temporale di due o più eventi
non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso o un analogo contenuto significativo' si
differenzia, infatti, dal concetto di 'sincronismo,' che rappresenta la semplice contemporaneità di due
eventi' (vedi oltre in Esposizione). Quanto all'esperienza diretta, Jung ricorda un singolare fenomeno
accaduto nell'ambito di una seduta analitica: la corrispondenza tra l'evocazione d'uno scarabeo apparso
in sogno e l'apparizione reale d'uno scarabeide, la Cetonia aurata, alla finestra della stanza nella quale la
seduta era in corso. L'emergenza simbolica aveva avuto il potere di sbloccare una situazione psichica
irrigidita nelle maglie del razionalismo esasperato della paziente. In un secondo caso l'apparire d'uno
stormo d'uccelli alla moglie d'un suo paziente (la quale aveva poi narrato l'accaduto a Jung) aveva
preceduto di poco la morte del marito. Jung racconta inoltre come gli fosse accaduto di trovarsi di
fronte, in varie forme concrete, dei pesci, in un periodo in cui era vivamente attratto dal simbolo del
pesce, sul quale evidentemente convergevano sia l'impegno dello studio, sia una più profonda attività
psichica, straordinariamente coeva al concretizzarsi di apparizioni apparentemente occasionali eppur
pertinenti al corso interiore della sua vita in quella fase.
Al di là delle esperienze personali Jung si sofferma anche sulle osservazioni compiute dallo
statunitense J. B. Rhine, già professore di psicologia e fondatore dell'Istituto di parapsicologia
dell'Università di Durham (Carolina del Nord). Tra i numerosi fenomeni citati da Rhine Jung ricorda in
particolare la lettura a distanza di carte con figure geometriche e la percezione extrasensoriale delle
combinazioni numeriche dei dadi, fenomeni interpretabili - afferma Jung - non tanto come originati da
una forma d'intuizione psichica capace di relativizzare lo spazio e il tempo sino ad annullarli, ma come
una forma di conoscenza interiore, coincidente con l'affiorare delle immagini a distanza. 'La risposta del
soggetto dell'esperimento - afferma Jung riferendosi agli esperimenti di Rhine - scaturisce non dalla
visione delle carte fisiche, ma da una pura immaginazione, da idee spontanee, nelle quali si manifesta la
struttura dell'inconscio che le produce' (vedi oltre in Esposizione). La ricerca sulla sincronicità giunge
così a saldarsi con le radici della teoria junghiana: gli archetipi vengono in tal senso postulati da Jung
come fattori formali producenti una numinosità così carica di affettività da irrompere, fuori e contro
ogni categoria conoscitiva causale, nel soggetto. 'La sincronicità - sostiene Jung - consiste
essenzialmente in omogeneità 'casuali'. Il suo "tertium comparationis" si basa su dati psicoidi che
definisco col termine di archetipi. Gli archetipi sono indistinti, cioè possono essere riconosciuti e
definiti solo in maniera approssimativa. Sono sì associati ai processi causali, o 'portati' da questi, ma
incorrono in una sorta di valicamento di confini che definirei come trasgressività, poiché non vengono
individuati univocamente ed esclusivamente solo nell'ambito psichico, ma possono comparire anche in
circostanze non psichiche' (vedi oltre, in Conclusione). Già nelle Riflessioni teoriche sull'essenza della
psiche (1947/1954) Jung aveva postulato la compresenza della natura fisica e psichica nella realtà
archetipica, riflettente la dualità della natura; nello studio qui accolto egli prosegue nella formulazione
teorica, sottolineando il carattere eccezionale e non generalizzabile della correlazione tra mondo
interiore e mondo esterno quale appare al soggetto. Nell'ultima monumentale opera, il "Mysterium
coniunctionis" (1955-56), egli tratterà a fondo della natura radicale del mondo psichico, postulando
l'unità di psiche e materia, l'"unus mundus".
Nel tracciare il profilo storico-culturale dell'idea di sincronicità, che nell'Ottocento era stata presa
in considerazione da Schopenhauer, Jung muove dai pensatori occidentali del Medioevo (Alberto
Magno, ad esempio), descrivendo in modo puntuale i possibili accostamenti tra la sua formulazione
personale e il pensiero di Leibniz, fecondo precursore delle ipotesi di Schopenhauer e dello stesso
Schopenhauer. Guardando all'Oriente, poi, Jung indica nel libro oracolare "I Ching" un modello di
pensiero costituito da una base millenaria a cui furono aggiunte integrazioni commentarie in particolare
nel Medioevo, fondato sul pieno riconoscimento della sincronicità. Nella consultazione dell'"I Ching"
l'adesione empatica dell'interrogante lascia emergere la correlazione tra le possibilità condensate nel
casuale disporsi dei gambi di achillea, o delle monete, e l'aspettativa dell'interrogante stesso. Jung
indica, accanto al sapere in certo modo mantico dell'"I Ching", altre due vie culturali, più consone al
mondo occidentale: la geomanzia, incentrata sulla misurazione dei punti, tipica dell'età classica, e
l'astrologia, scienza gravata da forti pregiudizi. Tali fenomeni culturali ricordati da Jung rinviano tutti
alla casualità e sono tutti radicati nella realtà del numero, pur presentando "I Ching" una struttura
ternaria e gli altri due metodi una struttura quaternaria. Il numero - ritiene Jung - è un 'archetipo
dell'ordine fattosi cosciente'. E a calcoli e numeri egli infatti ricorre, utilizzando l'astrologia, per
presentare un esperimento che s'affianca ai racconti di avvenimenti della vita prodotti all'inizio del
saggio. Con linguaggio accessibile e abbondanza di particolari viene dunque esposto un sondaggio
sugli 'aspetti' astrologici tra persone unitesi in matrimonio. Benché ispirata a una base riconosciuta
come non del tutto rappresentativa sul piano quantitativo, la ricerca di Jung e dei suoi collaboratori,
Liliane Frey-Rohn e Markus Fierz, offre un ricco campione umano; essa sfocia in una conferma di
quanto l'astrologia stessa suggeriva da secoli: affiorano, cioè, le classiche congiunzioni lunari. 'I nostri
migliori risultati... sono in pratica piuttosto improbabili, sì, ma teoricamente... così probabili che non c'è
quasi ragione di concepire i risultati immediati della nostra statistica altro che come casuali' (vedi oltre,
in Un esperimento astrologico). Così si esprime Jung, privilegiando l'assoluta straordinarietà della
coincidenza astrologica tra coppie di persone sposate (e anche non sposate), sottolineando la natura
eminentemente psicologica dell'esperimento.
Nell'ultima parte del saggio Jung riflette su alcuni momenti della storia culturale, avanzando
alcune ipotesi euristiche. Traendo spunto, ad esempio, dalle osservazioni compiute dall'etologo
austriaco Frisch sulle api, egli perviene a postulare l'origine dell'attività onirica come insita non
nell'attività cerebrale, ma nel simpatico, 'non coinvolto nel sonno'. 'I sogni - sostiene Jung - potrebbero
essere di natura transcerebrale.'
Analogamente Jung si volge a campi quali la biologia (supponendo la possibilità d'una prospettiva
fondata sul riconoscimento della sincronicità nello studio della morfogenesi biologica) e le scienze
chimiche (sulla scia del fisico, astronomo e matematico inglese James Hopwood Jeans, Jung ricorda
come la disintegrazione del radio, presentatasi come un effetto senza causa, abbia spinto pensatori e
scienziati a prendere in considerazione l'acausalità). Nella conclusione, benché in via di prudente
congettura, Jung affianca alla triade classica del pensiero scientifico contemporaneo (spazio-tempo-
causalità) la sincronicità, intesa appunto come nesso di princìpi acausali.
In tal modo Jung abbozza alcune proposte di notevole portata epistemologica e le affida
all'attenzione non solo degli psicologi del profondo, ma degli studiosi d'ogni disciplina scientifica. Il
saggio sulla sincronicità apre la via, già inaugurata dalle Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche
(1947/1954) alla concreta disamina della prospettiva denominata da Jung 'archimedea', secondo cui
occorreva considerare i fenomeni inconsci anche da un punto di vista estraneo ai presupposti della
psicologia del profondo. Il non-psichico e lo psichico concorrono a illuminare, grazie a un prudente
accostamento comparativo di dati sperimentali tratti da discipline diverse, il mondo tutto della psiche,
la cui realtà rimane perno dell'impegno esistenziale e teorico di Jung. Ben prima dell'inizio d'un
dibattito deliberatamente e specificamente epistemologico, Jung produce reperti teorici perlopiù
ignorati o sottovalutati dal mondo della cultura accademica occidentale, che vengono da lui registrati
come dotati di valore intrinseco, con il riferimento alla sincronicità come quarto elemento del sapere in
fisica, egli mira a offrire un esplicito stimolo all'indagine intorno alla natura del modello teorico nelle
discipline scientifiche.
Si conclude così la parabola apertasi con i "Simboli della trasformazione" (1912/1952). Dal
superamento del modello sessualistico della libido formulato da Freud, con cui Jung aveva aperto la sua
produzione teorica, sono trascorsi ormai cinquant'anni. Già nel 1928, nell'"Energetica psichica", Jung
aveva esaminato a fondo la contiguità tra fisica e psicologia analitica, postulando una stretta contiguità
tra la nozione di energia nell'uno e nell'altro ramo del sapere. Nelle Riflessioni teoriche sull'essenza
della psiche, poi, egli aveva tradotto un trentennale lavoro sull'astrologia e sull'alchimia in una disamina
che rafforzava il postulato d'una stretta contiguità tra fisica e psicologia del profondo. Nella
conclusione delle Riflessioni infine, basandosi anche sull'appoggio offertogli da Pauli, egli aveva
additato nell''identità relativa o parziale tra psiche e "continuum" spaziotemporale oggettivo' un
cospicuo problema teorico. Nel saggio sulla sincronicità Jung prosegue sulla via intrapresa,
sottolineando la fecondità del principio sincronistico, tanto improbabile a verificarsi statisticamente,
quanto reale e dotato di senso per chi sappia aderirvi come individuo teso a diventare consapevole
dell'inestricabilità di psiche e materia, di spirito e corpo, della dualità, cioè, costitutiva della natura.
Quella dualità inerisce all'"unus mundus", di cui le immagini archetipiche celano, in modo oscuro e
difficilmente comprensibile, la forma. Spetta all'individuo, movendo dalla propria condizione
soggettiva, penetrare la sfera delle immagini e svelarne, con l'approdo a una coscienza incentrata
nell'inconscio, il senso, meta individuale che unisce nella vitalità del conoscere la dimensione razionale
e quella irrazionale, il mondo esterno e il mondo interiore.
ANTONIO VITOLO.
LA SINCRONICITA'
COME PRINCIPIO DI NESSI ACAUSALI.
1952.
Prefazione.
Redigendo questo scritto mantengo per così dire una promessa che per
molti anni non ho ardito adempiere. Le difficoltà del problema e della sua
esposizione mi sembravano troppo grandi; e troppo grande la responsabilità
intellettuale, senza la quale un argomento del genere non può essere trattato.
Infine, mi sembrava troppo inadeguata la mia preparazione scientifica. Se ora
mi sono deciso a passare oltre i miei timori e ad affrontare questo tema, L'ho
fatto specialmente per questo: anzitutto perché le mie esperienze relative al
fenomeno della sincronicità si sono andate accumulando di anno in anno;
secondariamente, perché le mie ricerche sulla storia della simbologia, e in
particolare quelle sul simbolo del pesce, mi hanno avvicinato sempre più al
problema; e infine perché sono già vent'anni che accenno nei miei scritti
all'esistenza di questo fenomeno senza descriverlo più da vicino. Vorrei porre
un termine - provvisorio - a questo stato insoddisfacente del problema,
tentando di sintetizzare tutto ciò che sono in grado di addurre in proposito.
Non mi si accusi di presunzione se nelle pagine che seguono impongo pretese
inconsuete all'apertura di idee e alla disponibilità dei miei lettori. Il lettore si
vedrà richiedere non solo escursioni nelle sfere oscure, problematiche e
pregne di pregiudizi dell'esperienza umana, ma gli s'imporranno altresì
difficoltà di pensiero implicite nella trattazione e nel tentativo di elucidazione
di una materia così astratta. Non si tratta affatto, come apparirà evidente a
chiunque dopo poche pagine, di una descrizione e di un chiarimento
completo dell'intricata situazione di fatto, ma semplicemente di un tentativo
di porre i termini del problema in modo che, se non tutti, almeno molti dei
suoi aspetti e rapporti diventino visibili e, almeno spero, si apra una strada
verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto
riguarda la nostra concezione del mondo. Nella mia veste di psichiatra e di
psicoterapeuta sono venuto spesso a contatto con i fenomeni in questione e
ho potuto in particolare accertarmi della loro importanza ai fini
dell'esperienza interiore dell'uomo. Si tratta perlopiù di cose delle quali non si
parla a voce alta per non esporsi al rischio di un'irrisione sconsiderata. Non
ho mai smesso di stupirmi nel vedere quante persone hanno fatto esperienze
di questo genere, e con quanta cura si è custodito ciò che è inspiegabile. La
mia partecipazione a questo problema ha quindi radici non solo scientifiche,
ma anche umane.
Nel compiere questo lavoro ho potuto valermi dell'interessamento e
dell'attivo sostegno di parecchie personalità, che sono citate nel testo. In
questa sede tengo a esprimere il mio ringraziamento particolare alla
dottoressa Liliane Frey-Rohn, che ha elaborato con grande dedizione il
materiale astrologico.
C. G. JUNG.
Agosto 1950.
1. Esposizione.
I risultati conseguiti dalla fisica moderna hanno provocato, com'è noto, un
mutamento significativo della nostra immagine scientifica del mondo: essi
hanno scosso la validità assoluta delle leggi naturali e l'hanno trasformata in
una validità relativa. Le leggi naturali sono verità statistiche, cioè sono per
così dire interamente valide soltanto quando si tratta di grandezze
macrofisiche. Nella sfera di grandezze minime invece predire ciò che avverrà
diventa incerto o impossibile, poiché grandezze molto piccole non si
comportano più in modo conforme alle leggi naturali conosciute.
Il principio filosofico che sta alla base della nostra concezione della
regolarità delle leggi di natura è la causalità. Se il rapporto tra causa ed
effetto dimostra di aver solo validità statistica e soltanto una verità relativa, in
ultima analisi anche il principio causale può essere applicato solo in misura
relativa nell'interpretazione di processi naturali, e presuppone quindi
l'esistenza di uno o più fattori diversi che sarebbero necessari ai fini della
spiegazione di tali fenomeni. Ciò significa che il legame tra eventi è in certe
circostanze di natura diversa da quella causale, ed esige un diverso principio
interpretativo.
Naturalmente è impresa vana cercare nel mondo macrofisico eventi
acausali, se non altro perché è impossibile rappresentarsi eventi non
spiegabili, legati da un rapporto non causale. Ciò non significa affatto, però,
che eventi del genere non si verifichino. La loro esistenza procede
logicamente - se non altro come possibilità - dalla premessa della verità
statistica.
Nelle scienze naturali la formulazione di un problema mira a eventi
regolari e, nella misura in cui il problema è di ordine sperimentale, a eventi
riproducibili. In tal modo eventi che si verificano una sola o poche volte non
vengono presi in esame. Inoltre l'esperimento impone alla natura condizioni
restrittive, perché vuole indurla a rispondere a domande formulate dall'uomo.
Di conseguenza ogni risposta della natura è gravata dal modo in cui si pone la
domanda, e il risultato rappresenta un prodotto ibrido. La concezione del
mondo fondata su questo criterio, la cosiddetta concezione scientifica, non
può quindi essere se non un punto di vista parziale pregiudicato in senso
psicologico, che trascura tutti gli aspetti - tutt'altro che irrilevanti - che non è
possibile cogliere statisticamente. Ma per cogliere in qualche modo queste
unicità o rarità sembra non ci sia altra strada, a prima vista, che ricorrere a
descrizioni singole altrettanto 'uniche'. Ne risulterebbe una caotica raccolta di
curiosità che ricorderebbe i vecchi gabinetti naturalistici, dove accanto a
fossili e a malformazioni anatomiche si trovano anche il corno dell'unicorno,
lo gnomo-mandragora e una sirena disseccata. Le scienze naturali descrittive,
in primo luogo la biologia nella sua massima estensione, conoscono
benissimo tali 'unicità', e in questo ambito basta per esempio un solo
esemplare accertato di un essere vivente, che di per sé lascerebbe
estremamente increduli, per dimostrarne l'esistenza. In questo caso però sono
gli osservatori che hanno occasione di convincersi con i propri sensi
dell'esistenza di un simile essere. Ma se si tratta di eventi passeggeri che non
si lasciano dietro nessuna traccia dimostrabile all'infuori di qualche brandello
di memoria nella testa di alcune persone, un singolo testimone non basta più,
né sono sufficienti parecchi testimoni per far apparire assolutamente credibile
un evento unico. Si sa bene quanta fiducia meritano le affermazioni dei
testimoni oculari! In questo caso s'impone imperiosamente la necessità di
cercare se l'evento apparentemente unico è veramente tale in base
all'esperienza, o se esistono da qualche parte eventi uguali o almeno simili. In
questo quadro il "consensus omnium" ha un ruolo psicologicamente
significativo, certo, ma empiricamente un po' scabroso; e si rivela utile solo
in via eccezionale al fine della costatazione di fatti. L'empiria non lo
trascurerà, d'accordo, ma farà meglio a non fondarsi su di esso. Eventi
assolutamente unici, transitori, la cui esistenza è irrefutabile con qualunque
mezzo, ma non può neanche essere provata, non possono mai essere oggetto
di una scienza sperimentale, eventi rari invece sì, se esiste un numero
abbastanza consistente di osservazioni singole degne di fede. La loro
cosiddetta possibilità non ha la minima importanza in tale contesto: perché il
criterio della possibilità discende a volte solo da una premessa condizionata
dal tempo, intelligibile. Non vi sono leggi naturali assolute alla cui autorità
appellarsi per sostenere i propri pregiudizi. Si può, più modestamente, esigere
soltanto un numero quanto più alto possibile di osservazioni singole. Se
questo numero, considerato statisticamente, resta nell'ambito della probabilità
casuale, ciò basta a dimostrare statisticamente che si tratta di un caso; ma non
basta a spiegarlo. La regola ha subìto un'eccezione. Per esempio, se il numero
dei sintomi che definiscono un complesso è inferiore al numero probabile dei
disturbi previsti nell'esperimento dell'associazione, ciò non autorizza affatto a
supporre che in questo caso non vi sia alcun complesso. Il che non ha
impedito di considerare in passato i disturbi della reazione come fatti casuali.
Benché proprio parlando di biologia ci moviamo su un terreno in cui le
spiegazioni causali sono spesso assai insoddisfacenti o sembrano quasi
impossibili, non vogliamo però occuparci qui del problema della biologia, ma
domandarci invece: esiste, in maniera assolutamente generale, non solo una
possibilità, ma anche una realtà di eventi acausali?
La nostra esperienza ci offre un campo smisurato, la cui estensione fa per
così dire da contrappeso al dominio della causalità: è il mondo del caso, (1)
che sembra non legato da rapporto di causa col fatto coincidente. Nelle
pagine che seguono approfondiremo quindi anzitutto la natura e la
concezione della casualità. Si è avvezzi a presupporre, a proposito del caso
che esso sia ovviamente suscettibile di spiegazione causale, e che sia definito
'caso' o 'coincidenza' solo perché la sua causalità non è o non è ancora stata
scoperta. Essendo persuasi per forza d'abitudine, della validità assoluta della
legge causale la si considera una spiegazione sufficiente del caso. Ma se il
principio causale ha soltanto validità relativa, ne risulta che - sebbene la
stragrande maggioranza dei casi possa essere spiegata in senso causale -
tuttavia deve esservi un residuo che è acausale. Ci troviamo quindi di fronte
al compito di vagliare gli eventi casuali e di separare i fenomeni acausali da
quelli suscettibili di spiegazione causale. Naturalmente è supponibile che il
numero dei fatti spiegabili in base al principio di causa superi di parecchio il
numero di quelli sospetti di acausalità; e quindi la superficialità o la
prevenzione da parte dell'osservatore potrebbe lasciarsi facilmente sfuggire i
fenomeni acausali, che sono relativamente rari. Non appena si incomincia a
discutere sul caso, s'impone la necessità d'un inquadramento numerico degli
eventi in discussione.
Il vaglio del materiale sperimentale non può avvenire senza criteri di
distinzione. In base a che cosa possiamo riconoscere nessi acausali di eventi,
dal momento che è impossibile analizzare la causalità di tutti i casi? La
risposta è che eventi acausali sono rintracciabili più frequentemente là dove, a
un'accurata riflessione, un rapporto causale sembra impensabile. Prendiamo
ad esempio un fenomeno ben noto ai medici, la 'duplicità dei casi '. Può
trattarsi anche di una triplicità o più, tanto che Kammerer ha potuto parlare di
una 'legge della serie', adducendo una sequela di eccellenti esempi. (2) Nella
massima parte dei casi in questione non esiste la più remota probabilità di un
rapporto causale tra gli eventi coincidenti. Se per esempio sono costretto a
costatare che il mio biglietto del tram ha lo stesso numero del biglietto del
teatro che compro subito dopo, e se nel corso della stessa serata ricevo ancora
una chiamata telefonica in cui mi si nomina quello stesso numero come
numero telefonico, un rapporto causale mi sembra quanto mai improbabile, e
anche la più ardita fantasia non mi permetterebbe di pensare che possa
sussistere una relazione, benché ogni caso preso di per sé possegga altrettanto
evidentemente la sua causalità. D'altra parte io so che l'evento casuale mostra
una tendenza al raggruppamento aperiodico, e non può essere altrimenti,
perché se no dovrebbe risultare soltanto una disposizione periodica e regolare
degli eventi, la quale appunto escluderebbe il caso.
Kammerer però è del parere che le concentrazioni, (3) o serie di casi, non
siano soggette all'effetto di una causa comune, (4) che siano cioè acausali, ma
che siano tuttavia espressione dell'inerzia, della generale capacità di
persistenza. (5) La contemporaneità della 'concentrazione dello stesso
fenomeno nella successione' si spiega mediante 'imitazione'. (6) Ma così
scrivendo si contraddice, perché la concentrazione casuale non è affatto 'al di
fuori della sfera della spiegabilità' ma, conformemente ad ogni aspettativa,
rientra nell'ambito dello spiegabile e quindi è riconducibile a più cause, anche
se non a una causa comune. (7) I suoi concetti di serialità, imitazione,
attrazione e inerzia rientrano in un'immagine del mondo pensato in maniera
causale e non esprimono niente di più che la concentrazione casuale, la quale
corrisponde alla probabilità statistica e matematica. Il materiale di fatti
raccolto da Kammerer contiene soltanto concentrazioni casuali la cui unica
'legge' è la probabilità, ossia non c'è alcun motivo visibile di cercare se vi sia
dietro qualcos'altro. Egli però cerca, per un oscuro motivo, ancora più in là di
quanto è garantito dalla pura probabilità, cerca cioè una legge della serialità
che vorrebbe introdurre come principio accanto alla causalità e alla finalità.
(8) Ma, come abbiamo detto, questa tendenza non è affatto giustificata dal
suo materiale. Non riesco a spiegarmi questa evidente contraddizione se non
col fatto che Kammerer ha avuto un'intuizione, oscura ma affascinante, di un
nesso e di un ordinamento acausale degli eventi, dovuta alla circostanza che
egli, come ogni natura riflessiva e sensibile, non è riuscito a sottrarsi alla
particolare impressione che fanno di solito le concentrazioni casuali, e quindi
obbedendo alla sua inclinazione scientifica, ha compiuto l'ardito tentativo di
postulare una serialità acausale in base a un materiale sperimentale che si
muove dentro i limiti della probabilità. Purtroppo Kammerer non ha tentato
d'inquadrare numericamente la serialità. Comunque un tentativo del genere
avrebbe suscitato problemi di difficile risposta. L'investigazione di casi
singoli può rendere buoni servigi all'orientamento generale rispetto al caso
solo l'inquadramento numerico, ossia il metodo statistico, promette di
raggiungere il successo.
Raggruppamenti o serie casuali sembrano assurdi, almeno per la nostra
comprensione attuale, e inoltre sembrano porsi tutti quanti entro i limiti della
probabilità. Vi sono tuttavia casi la cui casualità potrebbe dare origine a
dubbi. Per citare un esempio fra molti, ho annotato il caso seguente in data 1
aprile 1949. Oggi è venerdì. Abbiamo pesce a pranzo. Tutti ricordano "en
passant" l'uso del 'pesce d'aprile'. Nel corso della mattinata avevo annotato
un'iscrizione: 'Est homo totus medius piscis ab imo.' Al pomeriggio una ex
paziente che non vedevo da mesi mi mostra alcuni quadri singolarmente
suggestivi di pesci, che ha dipinto nel frattempo. Alla sera mi mostrano un
ricamo che rappresenta mostri marini in forma di pesce. Il 2 aprile, al mattino
presto, una ex paziente che non vedevo da parecchi anni mi racconta un
sogno nel quale, trovandosi sulla sponda di un lago, scorge un grosso pesce
che nuota decisamente alla sua volta e 'approda', per così dire, ai suoi piedi.
In questo periodo sono occupato da una ricerca che ha per tema il simbolo
storico del pesce. Solo una delle persone sopra citate lo sa.
E' ovvio il sospetto che in questo caso possa trattarsi di una coincidenza
significativa, di un rapporto acausale. Devo ammettere che questa
concentrazione mi ha impressionato. Essa aveva per me un certo carattere
numinoso. In casi del genere si dice notoriamente: 'Non può essere un puro
caso!' e non si sa che cosa si dice parlando così. Kammerer in questo caso mi
avrebbe certamente ricordato la sua 'serialità'. Ma l'intensità dell'impressione
non prova niente contro la coincidenza casuale di tutti questi pesci. Certo, è
quanto mai singolare che nel giro di 24 ore il tema 'pesce' si sia ripresentato
non meno di sei volte. Ma non bisogna dimenticare che il pesce al venerdì è
una cosa ordinaria. Il primo aprile è facile ricordarsi del pesce d'aprile. A
quell'epoca mi occupavo da parecchi mesi del simbolo del pesce. I pesci
emergono spesso come simboli di contenuti inconsci. Non c'è quindi nessuna
possibilità legittima di scorgervi altro che, per l'appunto, una serie casuale.
Concentrazioni o serie composte da cose che si presentano spesso devono
essere considerate casuali fino a prova contraria. (9) Esse non valgono quindi
come nessi acausali, quale che sia la loro entità, perché non si riesce a vedere
come si potrebbe dimostrare che lo sono. Di conseguenza si ammette
generalmente che tutte quante le coincidenze siano come bersargli centrati
casualmente e quindi non richiedano nessuna spiegazione non causale. (10)
Questa ipotesi può e deve anzi essere considerata valida fin quando non si sia
provato che la frequenza del suo verificarsi supera i limiti della probabilità.
Ma se questa prova fosse addotta, sarebbe dimostrato al tempo stesso che
esistono autentici rapporti acausali di eventi, la cui spiegazione o concezione
dovrebbe postulare un fattore incommensurabile con la causalità. In tal caso
bisognerebbe infatti supporre che eventi in genere siano in relazione l'uno con
l'altro da un lato come catena causale, ma dall'altro, a volte, anche mediante
una specie di collegamento trasversale significativo.
Vorrei citare qui il saggio di Schopenhauer dal titolo "Speculazione
trascendente sull'apparente disegno intenzionale nel destino dell'individuo"
(1891) ll che inizialmente ha per così dire tenuto a battesimo le concezioni
che intendo sviluppare qui. Il saggio tratta il problema della 'simultaneità... di
termini non connessi causalmente chiamata caso...' (pag. 282). Schopenhauer
evidenzia questa simultaneità con l'immagine di "cerchi paralleli" che
raffigurano un rapporto trasversale tra i meridiani intesi come catene causali
(pagine 281 sg.). 'Tutti gli avvenimenti nella vita di un uomo starebbero
quindi tra loro in due diversissimi generi di connessione: anzitutto nella
connessione oggettiva e causale del corso della natura, in secondo luogo in
una connessione soggettiva - sussistente soltanto in rapporto all'individuo che
vive tali avvenimenti e soggettiva quanto lo sono i suoi sogni... Il fatto poi
che quelle due specie di connessione esistano contemporaneamente e che lo
stesso avvenimento, in quanto termine di due catene assolutamente differenti,
pure si adatti con precisione a entrambe, tanto che ogni volta il destino di un
individuo si conforma al destino dell'altro, e ciascuno è l'eroe del proprio
dramma, pur intervenendo al tempo stesso come comparsa nel dramma altrui,
tutto ciò indubbiamente è qualcosa che supera ogni nostra facoltà di
comprensione e può esser pensato come possibile solo per opera della più
meravigliosa "harmonia praestabilita"' (pagine 287 sg.). Stando alla sua
concezione, 'il soggetto del gran sogno della vita... è uno soltanto', cioè la
volontà trascendentale, la prima causa, dalla quale tutte le catene causali si
irraggiano come i meridiani dal polo e, grazie ai cerchi paralleli, si trovano in
una reciproca, significativa relazione di contemporaneità. (12) Schopenhauer
crede nel determinismo assoluto del decorso naturale, e oltre a ciò anche a
una causa prima. Quest'ultima ipotesi, al pari della prima, non è suffragata da
niente. E' un mitologema filosofico che diventa credibile solo quando affiora
nella forma dell'antico paradosso "en to pan"; cioè come unità e molteplicità
al tempo stesso. La prima supposizione, che i punti simultanei nelle catene
causali, o meridiani, rappresentino coincidenze significative, avrebbe qualche
possibilità di successo solo se l'unità della prima causa fosse realmente certa.
Ma se la prima causa fosse, e potrebbe esserlo con pari probabilità, una
molteplicità, tutta la spiegazione di Schopenhauer crollerebbe, prescindendo
completamente dalla validità puramente statistica - come si è costatato solo in
tempi recenti - della legge naturale, che tiene aperta una possibilità
all'indeterminismo. Né la riflessione filosofica né l'esperienza assicurano
perciò l'esistenza regolare di quei due tipi di relazione in cui un'unica cosa è
soggetto e oggetto. Schopenhauer pensava e scriveva in un'epoca in cui la
causalità intesa come categoria a priori aveva validità assoluta, e quindi
doveva essere impiegata per spiegare la presenza di coincidenze significative.
Ma come abbiamo visto, la causalità rende questo servizio con una certa
probabilità solo qualora si ricorra all'ulteriore, arbitraria supposizione di
un'unità della prima causa. Ma allora ne deriva anche la necessità che ogni
punto della meridiana immaginata abbia un rapporto di coincidenza
significativo con ogni altro punto posto alla stessa latitudine. Questa
conclusione supera però ogni possibilità empirica, ossia attribuisce alla
coincidenza significativa un'esistenza o una presenza così regolare e
normativa che stabilirla sarebbe o del tutto superfluo o la cosa più semplice
del mondo. Gli esempi addotti da Schopenhauer sono tanto (o tanto poco)
convincenti quanto tutti gli altri. E' un grandissimo merito però che egli abbia
scorto il problema e abbia compreso assai bene che non esistono facili
spiegazioni "ad hoc" per venirne a capo. Poiché questo problema tocca i
fondamenti della nostra conoscenza in generale, egli lo ha dedotto, in
armonia con la sua filosofia, da una premessa trascendentale, ossia dalla
volontà che crea la vita e l'essere ad ogni livello e sintonizza ognuno di questi
livelli in modo tale che esso non solo corrisponde armonicamente ai suoi
paralleli simultanei, ma predispone e ordina anche di volta in volta il futuro
"fatum o Provvidenza".
Questa concezione, in antitesi col pessimismo schopenhaueriano, ha
un'intonazione quasi serena e ottimistica che oggi non possiamo più
condividere. Uno dei secoli più ricchi di contenuto e al tempo stesso più
pericolosi della storia universale ci separa dall'era ancora medievale in cui lo
spirito filosofeggiante credeva di poter stabilire e affermare qualcosa al di là
di ogni esperienza. Ma quella stessa epoca aveva ancora una visuale più
ampia, più spaziosa, che non si arrestava e non credeva di aver raggiunto i
confini della natura solo perché la scienza aveva toccato provvisoriamente il
fondo della sua strada. Schopenhauer ha quindi dischiuso alla riflessione, in
una prospettiva veramente filosofica, un campo di cui non colse a sufficienza
la singolare fenomenologia, ma che seppe circoscrivere in maniera
approssimativamente esatta. Schopenhauer si rese conto che gli "omina" e i
"praesagia", l'astrologia e gli svariatissimi metodi intuitivi dell'interpretazione
del caso posseggono un denominatore comune che egli cercò di mettere in
luce per mezzo di una 'speculazione trascendente'. Così facendo si rese anche
conto che si tratta di un problema di principio di primaria importanza, al
contrario di tutti coloro che prima e dopo di lui operarono con
rappresentazioni inadeguate di trasmissione della forza a distanza o, più
comodamente, cercarono di liquidare tutta questa sfera d'indagine come pura
assurdità, per scansare un compito troppo difficile. (13) Il tentativo di
Schopenhauer è tanto più notevole in quanto cade in un'epoca in cui l'enorme
balzo innanzi delle scienze naturali aveva persuaso tutti quanti che la
causalità fosse l'unico principio esplicativo definitivo. Anziché trascurare
semplicemente tutte le esperienze che ricusavano di piegarsi senz'altro alla
tirannia della causalità, egli ha cercato, come abbiamo visto, di includerle
nella sua visione deterministica. Così facendo però costrinse nello schema
causale ciò che da sempre, e parecchio tempo prima di lui, era alla base
dell'interpretazione del mondo, in veste di altro ordine universale esistente
accanto a quello causale, ossia quello della prefigurazione, della
corrispondenza e dell'armonia prestabilita. Egli era certo mosso dalla
sensazione esatta che l'immagine del mondo fondata sulle leggi naturali, della
cui validità non dubitava, lasciava però fuori campo qualcosa che svolge un
ruolo considerevole nella concezione del mondo propria all'antichità e al
Medioevo (come nel sentimento intuitivo dell'uomo moderno).
Spinti dalla grande raccolta di fatti di Gurney, Myers e Podmore, (14)
altri studiosi - Dariex, (15) Richet (16) e Flammarion (17) - hanno affrontato
il problema servendosi del calcolo delle probabilità. Dariex ha indicato una
probabilità di 1:4114545 per percezioni 'telepatiche' di morte; interpretare un
fenomeno del genere come un caso è quindi oltre quattro milioni di volte più
improbabile che non spiegarlo in senso 'telepatico', ossia come coincidenza
acausale, significativa. L'astronomo Flammarion ha calcolato, per un caso di
'phantasms of the living' ch'è stato oggetto di osservazioni particolarmente
accurate, una probabilità addirittura di 1 su 804622222. (18) Inoltre egli
mette per la prima volta altri eventi 'sospetti' in relazione con le percezioni di
morte ch'erano allora al centro dell'interesse. Egli racconta per esempio che
quando, occupato dal suo libro sull'atmosfera, stava scrivendo proprio il
capitolo sulla forza dei venti, un improvviso, violento colpo di vento spazzò
via dallo scrittoio tutti i suoi fogli sparpagliati trascinandoli verso la finestra.
(19) E ricorda pure la deliziosa storia della triplice coincidenza tra Monsieur
de Fontgibu e il "plumpudding". (20) La citazione di queste coincidenze in
rapporto con il problema telepatico dimostra che in Flammarion si configura
già, sebbene ancora inconsciamente, l'intuizione di un principio molto più
esteso.
Lo scrittore Wilhelm von Scholz ha raccolto una serie di casi (21) che
mostrano in quale strana maniera oggetti perduti o rubati ritornino in mano ai
loro proprietari. Tra gli altri ricorda il caso di una madre che, nella Foresta
Nera, aveva fatto una fotografia al figlioletto di quattro anni. Consegnò la
pellicola da sviluppare a Strasburgo. Subito dopo scoppiò la guerra (1914), e
la donna non fu più in grado di ritirare la pellicola. La diede per persa. Nel
1916 comprò a Francoforte sul Meno un'altra pellicola per fare una foto alla
figlia che le era nata nel frattempo. All'atto dello sviluppo la pellicola si
rivelò impressionata due volte: la seconda immagine era la foto che aveva
fatto al figlioletto nel 1914. La vecchia pellicola non sviluppata era capitata
non si sa come tra le pellicole nuove e quindi era stata rimessa in vendita.
L'autore giunge alla conclusione, comprensibile, che tutti gli indizi
indicavano una 'forza d'attrazione delle cose in rapporto fra loro'. Egli
suppone che gli eventi siano ordinati come se fossero il sogno di una
'coscienza inconoscibile, più grande e più vasta'.
Il problema della causalità è stato trattato dal punto di vista psicologico da
Herbert Silberer. (22) Egli mostra che coincidenze apparentemente
significative sono in parte aggiustamenti inconsci, in parte inconsce
interpretazioni arbitrarie. Egli non prende in considerazione né fenomeni
parapsichici né la sincronicità, e sul piano teorico non va oltre il causalismo
di Schopenhauer. A prescindere dalla critica psicologica della valutazione
della casualità, critica necessaria quanto raccomandabile, la ricerca di
Silberer non contiene nessun cenno alla presenza di vere e proprie
coincidenze significative.
La prova decisiva dell'esistenza di nessi acausali tra eventi è stata data
solo in tempi recentissimi, in maniera scientificamente adeguata, dagli
esperimenti di Rhine, senza però che gli autori di queste ricerche abbiano
visto tutta l'ampiezza delle conclusioni che occorreva trarre dai risultati
ottenuti. (23) Fino a oggi non è stato portato contro questi esperimenti nessun
argomento critico irrefutabile. L'esperimento consiste in linea di principio in
questo: uno sperimentatore scopre una dopo l'altra una serie di carte numerate
e contraddistinte da semplici motivi geometrici. Contemporaneamente si
chiede al soggetto dell'esperimento, che è materialmente separato dallo
sperimentatore, di indicare i segni corrispondenti. Nell'esperimento si è usato
un mazzo di venticinque carte che recavano a cinque a cinque lo stesso
contrassegno. Cinque carte erano contrassegnate da una stella, cinque da un
rettangolo, cinque da un cerchio, cinque da due linee ondulate e cinque da
una croce. Le carte venivano scoperte una dopo l'altra dallo sperimentatore, il
quale naturalmente non conosceva l'ordine di successione del mazzo che gli
stava davanti. Il soggetto dell'esperimento, che non aveva nessuna possibilità
di vedere le carte, doveva indicare le carte che venivano via via scoperte, così
come gli veniva in mente. Molti tentativi ebbero naturalmente esito negativo
poiché il risultato non superò la probabilità di cinque 'centri' azzeccati a caso.
Ma alcuni risultati superarono nettamente le probabilità. E' quanto accadde
con alcuni soggetti. La prima serie di prove consistette nel tentativo, ripetuto
ottocento volte con ogni soggetto, di indovinare la carta. Il risultato medio
diede 6,5 centri su 25 carte, ossia 1,5 in più della probabilità matematica, che
prevede 5 centri. La probabilità che si verifichi una deviazione casuale di 1,5
dal numero 5 è di 1:250000. Questa proporzione indica che la probabilità di
una deviazione casuale non è affatto grande, poiché sui 250000 casi c'è da
prevedere che si verifichi una sola volta una deviazione casuale da questa
media. I risultati individuali variano a seconda delle doti specifiche dei
soggetti. Un giovane che nel corso di numerose prove arrivò a una media di
dieci centri su 25 carte (quindi il doppio delle probabilità) lesse una volta
esattamente tutte le 25 carte, il che corrisponde a una probabilità di
1:298023223876953125. La possibilità che il mazzo di carte fosse mescolato
in maniera arbitraria era esclusa da un apparecchio che le mescolava
automaticamente, ossia indipendentemente dall'intervento dello
sperimentatore.
Dopo le prime serie di esperimenti, la distanza nello spazio tra
sperimentatore e soggetto fu estesa, e in un caso raggiunse 350 chilometri. Il
risultato medio di numerose prove diede qui 10,1 centri su 25 carte. In
un'altra serie di prove, in cui sperimentatore e soggetto erano nella stessa
stanza, si ottennero 11,4 centri su 25; quando il soggetto era nella stanza
accanto a quella dello sperimentatore, 9,7 su 25; se i due erano separati da
due stanze, 122,0 su 25. Rhine cita gli esperimenti di Usher e Burt, (24) che
si svolsero - con risultati positivi - fino a 960 miglia di distanza. Facendo
ricorso a orologi sincronizzati, si condussero esperimenti anche tra Durham
(Carolina del Nord) e Zagabria in Jugoslavia (circa 4000 miglia di distanza) e
anche in questo caso i risultati furono positivi. (25)
Il fatto che la distanza non abbia, in linea di principio, alcun effetto,
dimostra che non può trattarsi di un fenomeno di forza o energia, perché in tal
caso il superamento della distanza e la diffusione nello spazio dovrebbero
provocare una diminuzione dell'effetto, e non dovrebbe riuscire difficile
stabilire che il numero dei 'centri' azzeccati diminuisce proporzionalmente al
quadrato della distanza. Poiché è evidente che le cose non stanno così, non
rimane se non supporre che la distanza si dimostra psichicamente variabile, e
che, per esempio, in determinati casi può essere ridotta a zero grazie a una
certa condizione psichica.
Ancora più strano è che anche il tempo non esercita in linea di principio
un effetto ostacolante, che cioè la lettura di una serie di carte che saranno
scoperte solo in un momento successivo dia un numero di centri superiore
alla pura e semplice probabilità. La probabilità dei risultati di Rhine con
l'esperimento sul tempo è di 1:400000, il che significa una probabilità
notevole per l'esistenza di un fattore indipendente dal tempo. Il risultato degli
esperimenti sul tempo indica una relatività psichica del tempo, dal momento
che si tratta di percezioni di eventi che non si sono ancora realizzati. In casi
del genere il fattore tempo sembra escluso; escluso da una funzione psichica
o meglio da una condizione psichica che è in grado di eliminare anche il
fattore spazio. Se già nel caso degli esperimenti sullo spazio abbiamo dovuto
costatare che l'energia non fa registrare alcuna diminuzione con la distanza,
negli esperimenti sul tempo diventa assolutamente impossibile anche solo
pensare a un qualche rapporto energetico tra la percezione e l'evento futuro in
generale. Dobbiamo quindi rinunciare fin dall'inizio a tutte le interpretazioni
energetiche, il che significa che eventi di questo tipo non possono essere
considerati dall'angolo visuale della causalità, perché la causalità presuppone
l'esistenza di spazio e di tempo, dato che in ultima analisi alla base di ogni
osservazione si trovano corpi in movimento.
Tra gli esperimenti compiuti da Rhine vanno ricordate anche le prove con
i dadi. Il soggetto dell'esperimento ha il compito di gettare i dadi
(l'operazione viene compiuta con uno strumento apposito) formulando il
desiderio che, per esempio, escano quanti più tre possibili. I risultati di questo
esperimento cosiddetto psicocinetico (PC) furono positivi, anzi tanto più
positivi quanto maggiore era il numero di dadi impiegati. (26) Se spazio e
tempo si dimostrano psichicamente relativi, anche il corpo in movimento
deve possedere la relatività corrispondente, o esservi soggetto.
Un'esperienza ricorrente in questi esperimenti sta nel fatto che, dopo la
prima prova, il numero dei 'centri' azzeccati incomincia a diminuire e quindi i
risultati diventano negativi. Ma se per un qualunque motivo esteriore o
interiore l'interesse del soggetto dell'esperimento si ridesta, il numero dei
'centri' torna a salire. La mancanza d'interesse e la noia fungono da ostacolo;
la partecipazione, l'aspettazione positiva, la speranza e la fede nella
possibilità delle ESP [extra-sensory perceptions] migliorano i risultati e
sembrano perciò le vere condizioni per la loro riuscita in generale. Sotto
questo aspetto è interessante il fatto che la nota medium inglese Eileen J.
Garrett abbia ottenuto cattivi risultati negli esperimenti di Rhine, proprio
perché - come ammise essa stessa - non riuscì a creare nessun tipo di rapporto
emotivo con le carte inanimate usate negli esperimenti.
Basteranno questi pochi cenni per dare al lettore un'idea sia pure
superficiale di questi esperimenti. Il sopraccitato libro di G. N. M. Tyrrell, a
quell'epoca presidente della Society for Psychical Research, contiene
un'eccellente raccolta di tutte le esperienze compiute in questo settore.
L'autore ha acquisito grandi meriti personali nell'indagine relativa alla ESP.
Sotto l'aspetto fisico, gli esperimenti ESP sono stati discussi da Robert A.
McConnell in un saggio dal titolo "E.S.P. - Fact or Fancy?" (27) Le
conclusioni a cui perviene l'autore sono positive. Si è cercato in tutti i modi, e
la cosa è comprensibile, di contestare questi risultati, che sembrano stare ai
confini del miracoloso e dell'impossibile tout court. Tutti questi tentativi però
sono naufragati nel confronto con i fatti, che fino a oggi non hanno potuto
essere contestati. Gli esperimenti di Rhine ci mettono di fronte a un fatto: ci
sono eventi che stanno tra loro in rapporto sperimentale, cioè in questo caso
significativo, senza che si possa dimostrare che questa relazione è causale,
dal momento che la 'trasmissione' non permette d'individuare alcuna delle
proprietà a noi note dell'energia. Esiste quindi il fondato dubbio che non si
tratti affatto di una 'trasmissione'. Gli esperimenti sul tempo lo escludono
infatti per principio, perché sarebbe assurdo supporre che un fatto non ancora
presente, e che si verificherà solo in futuro, possa trasmettersi come un
fenomeno energetico a un 'ricevitore' presente. (2)8 Sembra piuttosto che la
spiegazione vada cercata da un lato in una critica del nostro concetto di
spazio e tempo, dall'altro nell'inconscio. Con i mezzi di cui disponiamo
attualmente è impossibile, lo abbiamo già detto, spiegare l'extra-sensory
perception (ESP), ossia la coincidenza significativa, come un fenomeno
energetico. Con ciò cade anche l'interpretazione causale, perché 'l'effetto' non
può essere inteso che come fenomeno energetico. Non può quindi trattarsi di
causa ed effetto, ma d'una coincidenza nel tempo, d'una specie di
contemporaneità. Per sottolineare l'elemento della contemporaneità ho scelto
il termine 'sincronicità', allo scopo di definire un ipotetico fattore esplicativo
che sta a fronte della causalità con pari legittimità di questa. Nel mio saggio
"Der Geist der Psychologie" (29) ho presentato la sincronicità come una
relatività di tempo e spazio condizionata psichicamente. Negli esperimenti di
Rhine spazio e tempo assumono un comportamento in certo modo 'elastico'
nei confronti della psiche, visto che in apparenza possono essere ridotti a
piacere. Nella serie di prove sullo spazio e in quella sul tempo, spazio e
tempo vengono in una certa misura ridotti circa a zero; si direbbe che spazio e
tempo siano in rapporto con condizioni psichiche, o che in sé e per sé non
esistano affatto e siano 'posti' solo dalla coscienza. Nella concezione
originaria (cioè presso i primitivi), spazio e tempo sono cose quanto mai
incerte. Sono diventati concetti 'stabili' solo con il procedere dell'evoluzione
spirituale, e precisamente con l'introduzione della misurazione. Di per sé
spazio e tempo non consistono in nulla. Emergono come concetti ipostatizzati
solo dall'attività discriminante della coscienza, e formano le coordinate
indispensabili per la descrizione del comportamento di corpi in movimento.
Sono quindi sostanzialmente di origine psichica, ed è certo questa la ragione
che ha indotto Kant a concepirli come categorie a priori. Ma se spazio e
tempo sono proprietà apparenti di corpi in movimento prodotte dalle
necessità intellettive dell'osservatore, la loro relativizzazione ad opera di una
condizione psichica non è più in ogni caso un che di prodigioso, ma rientra
nell'ambito del possibile. Questa possibilità sorge però quando la psiche
osserva non già corpi esterni ma sé stessa. E' quel che succede negli
esperimenti di Rhine: la risposta del soggetto dell'esperimento scaturisce non
dalla visione delle carte fisiche, ma da una pura immaginazione, da idee
spontanee nelle quali si manifesta la struttura dell'inconscio che le produce.
Voglio semplicemente accennare qui che sono i fattori decisivi della psiche
inconscia, gli archetipi, che fanno la struttura dell'inconscio collettivo. Questo
inconscio però rappresenta una 'psiche' che è identica a sé in tutti gli uomini,
e che, al contrario dell'elemento psichico a noi noto, e imperscrutabile, per
cui l'ho definita con il termine 'psicoide'.
Gli archetipi sono fattori formali che coordinano processi psichici
inconsci: sono 'patterns of behaviour'. Al tempo stesso gli archetipi hanno una
'carica specifica': sviluppano effetti numinosi che si manifestano come affetti.
L'affetto provoca un parziale "abaissement du niveau mental", elevando un
determinato contenuto a un livello di chiarezza superiore al normale ma
sottraendo anche in pari misura agli altri possibili contenuti della coscienza
tanta energia che essi si oscurano, diventano inconsci. In conseguenza
dell'effetto restrittivo esercitato sulla coscienza dall'affetto, si manifesta un
calo dell'orientamento cosciente corrispondente alla durata dell'affetto, calo
che a sua volta offre all'inconscio un'occasione favorevole per inserirsi nello
spazio lasciato vuoto. E' quindi un'esperienza quasi regolare che nell'affetto
erompano e giungano a manifestarsi contenuti inattesi, che di norma sono
inibiti o inconsci. Tali contenuti sono non di rado di natura inferiore o
primitiva e tradiscono quindi la loro origine archetipica. Come chiarirò più
avanti, è mia opinione che agli archetipi siano legati in certe circostanze
fenomeni di contemporaneità, cioè di sincronicità. Questo è il motivo per cui
cito qui gli archetipi.
I casi di straordinario orientamento nello spazio proprio di certi animali
sono forse un argomento a favore della relatività psichica spaziotemporale. Il
misterioso orientamento nel tempo del verme palolo, del quale compaiono
sulla superficie del mare, il giorno prima dell'ultimo quarto di luna a ottobre e
novembre, segmenti di coda carichi di prodotti sessuali, potrebbe rientrare in
questo quadro. (30) La causa di questo fenomeno è stata indicata
nell'accelerazione della Terra, che si verifica in quel periodo a causa della
gravitazione lunare. E' impossibile però, per ragioni astronomiche, che questa
spiegazione sia esatta. (31) Il rapporto di per sé indubitabile tra il periodo
mestruale della specie umana e la lunazione coincide con quest'ultimo solo
quanto al numero, senza coincidere in realtà. E non è provato che abbia mai
coinciso.
Il problema della sincronicità mi tiene occupato ormai da parecchio
tempo. Ho cominciato a dedicarmici seriamente intorno al 1925 circa, (32)
quando durante le mie ricerche sui fenomeni dell'inconscio collettivo
continuavo a urtare contro nessi che non potevo più spiegare come
raggruppamenti casuali o come effetti di accumulazione. Si trattava infatti di
'coincidenze' legate tra loro quanto al significato in modo che il loro
coincidere 'casuale' comporta un'improbabilità che andrebbe espressa
mediante una grandezza incommensurabile. Mi limiterò a citare a titolo
d'esempio un caso che ho osservato personalmente. Una giovane paziente
fece un sogno, in un momento decisivo della cura. Nel sogno essa riceveva in
dono uno scarabeo d'oro. Mentre mi raccontava questo sogno, io stavo seduto
voltando la schiena alla finestra chiusa. D'un tratto udii alle mie spalle un
rumore, come se qualcosa bussasse piano contro la finestra. Mi voltai e vidi
un insetto alato che dall'esterno, urtava contro la finestra. Aprii la finestra e
presi al volo l'insetto. Era l'analogia più prossima a uno scarabeo d'oro che si
possa trovare alle nostre latitudini, ossia uno scarabeide, una Cetonia aurata,
il comune coleottero delle rose che evidentemente proprio in quel momento si
era sentito spinto a penetrare, contrariamente alle sue abitudini, in una camera
buia. Devo aggiungere che un caso del genere non m'era mai successo prima
né mi successe in seguito; anche quel sogno della paziente è rimasto un fatto
unico nella mia esperienza.
A questo proposito vorrei citare ancora un caso tipico di una certa
categoria di eventi. La moglie di uno dei miei pazienti, il quale aveva ormai
passato i cinquant'anni, mi raccontò una volta, tanto per discorrere, che alla
morte di sua madre e della nonna s'era radunato davanti alle finestre della
stanza delle due moribonde un gran numero di uccelli. E' un racconto che
avevo già sentito fare più di una volta da altre persone. La cura a cui s'era
sottoposto il marito stava per concludersi, poiché la sua nevrosi era stata
eliminata, quando vennero alla luce sintomi inizialmente lievi che attribuii a
una malattia di cuore incipiente. Lo mandai da uno specialista che però, a un
primo esame (come mi comunicò per iscritto) non era riuscito a individuare
niente di preoccupante. Tornando a casa da questa consultazione (col referto
medico in tasca), il mio paziente stramazzò improvvisamente al suolo.
Quando fu portato a casa morente, sua moglie era già inquieta e angosciata,
perché subito dopo che il marito s'era recato dal medico un intero stormo
d'uccelli s'era posato sulla sua casa. Naturalmente le erano tornati
immediatamente alla memoria gli eventi analoghi che s'erano verificati alla
morte delle sue parenti, e temeva il peggio.
Pur conoscendo perfettamente le persone coinvolte in questi eventi, e
benché sappia quindi che il loro resoconto dei fatti è autentico, non
m'immagino neppure lontanamente che qualcuno che sia deciso a considerare
queste cose alla stregua di eventi casuali si sentirà indotto a cambiare idea.
Nell'esporre i due fatti precedenti non miro ad altro che a dare un'idea del
modo in cui si presentano di solito nella vita pratica le coincidenze
significative. Nel primo caso il rapporto significativo è illuminante, tenuto
conto dell'identità approssimativa degli oggetti principali (i due scarabei); nel
secondo caso invece morte e stormo d'uccelli sono apparentemente
incommensurabili. Ma se si riflette che già nell'Ade dei babilonesi le anime
portano un 'abito di piume', e che nell'antico Egitto il "ba", l'anima, è
immaginato in forma di uccello, non siamo troppo lontani dall'ipotesi di un
simbolismo archetipico. (33) Se un evento di questo tipo fosse stato sognato,
un'interpretazione psicologico-comparativa del genere cadrebbe senz'altro a
proposito. Anche nel primo caso sembra esistere una base archetipica. Come
ho già detto, si trattava di una paziente eccezionalmente difficile che, fino al
momento del sogno che ho riferito, non aveva fatto un solo passo avanti. Il
motivo principale di questo insuccesso - devo ricordarlo per far comprendere
la situazione - era l'Animus della mia paziente, educato alla filosofia
cartesiana, e talmente radicato nel suo rigido concetto di realtà che non erano
bastati gli sforzi di tre medici (io ero appunto il terzo) per ammorbidirlo. Ci
voleva evidentemente, per ottenere un risultato del genere, un evento
irrazionale, che io però non potevo ovviamente produrre. Il sogno stesso era
già riuscito a scuotere leggermente l'atteggiamento razionalistico della mia
paziente. Ma quando lo scarabeo entrò realmente dalla finestra, la sua essenza
naturale riuscì a infrangere la corazza costituita dall'ossessione dell'Animus, e
anche il processo di trasformazione che accompagna la cura poté per la prima
volta mettersi in moto. Mutamenti sostanziali dell'atteggiamento significano
rinnovamenti psichici, che quasi sempre sono accompagnati da simboli di
rinascita espressi in sogni e in fantasie. Lo scarabeo è un simbolo classico di
rinascita. Secondo la descrizione dell'antico libro egiziano "Am-Tuat", il
defunto dio del sole si trasforma alla decima stazione in "khepera", lo
scarabeo, e in questa forma sale alla dodicesima stazione nella barca che
trasporta il sole ringiovanito nel cielo mattutino. L'unico punto difficile in
questo caso è che (sebbene il simbolo non fosse noto alla mia paziente) nel
caso di persone colte è spesso impossibile escludere con sicurezza l'esistenza
di criptomnesie. Sia detto di passaggio, l'esperienza psicologica s'imbatte
costantemente in casi in cui l'affiorare di parallelismi simbolici non può
essere spiegato senza ricorrere all'ipotesi dell'inconscio collettivo. (34)
I casi di coincidenze significative - che vanno distinti da semplici gruppi
casuali - sembrano basarsi su un fondamento archetipico. O almeno tutti i
casi che ho sperimentato - e sono un bel numero - presentano questo segno
distintivo. Ho già detto prima che cosa significhi questo fatto. (35) Benché
chiunque possa vantare un'esperienza diretta in questo campo riconosca senza
difficoltà il carattere archetipico di tali eventi, non riuscirà però a metterli
senz'altro in relazione con le condizioni psichiche dell'esperimento di Rhine,
perché a prima vista non si scorge qui una costellazione dell'archetipo. E poi
non si tratta, nel caso di Rhine, di situazioni così spiccatamente emotive come
quelle riferite nei miei esempi. Occorre tuttavia rilevare che in Rhine è in
media la prima serie di prove quella che fornisce i migliori risultati, che poi
diminuiscono rapidamente. Ma se si riesce a suscitare un nuovo interesse per
l'esperimento (in sé noioso), anche i risultati riprendono a migliorare. Ne
risulta che il fattore emotivo svolge un ruolo considerevole. L'affettività si
basa però in larga misura sugli istinti, dei quali l'archetipo è appunto l'aspetto
formale.
C'è però anche un'analogia psicologica tra i miei due casi e l'esperimento
di Rhine, analogia che a prima vista non è evidente. Queste situazioni
apparentemente diversissime hanno infatti una caratteristica comune: una
certa impossibilità. La paziente dello scarabeo si trovava in una situazione
'impossibile', in quanto la sua cura languiva e non si riusciva a vedere una via
d'uscita. In situazioni del genere, quando sono abbastanza serie, subentrano di
solito sogni archetipici che mostrano una possibilità di progresso alla quale
non avremmo pensato. Sono proprio situazioni del genere a costellare con
grande regolarità l'archetipo. In certi casi lo psicoterapeuta si vede quindi
costretto a scovare il problema razionalmente insolubile verso il quale si
dirige l'inconscio del paziente. Quando il problema è posto, gli strati più
profondi dell'inconscio, cioè le immagini primitive, ne sono ridestate, e si
avvia la trasformazione della personalità.
Nel secondo caso sono state da un lato l'apprensione a metà inconscia e
dall'altro la minacciosa possibilità di un esito letale a impedire una
conoscenza adeguata della situazione. Nell'esperimento di Rhine infine è
'l'impossibilità' del compito a dirigere l'attenzione sui processi interiori e a
fornire con ciò all'inconscio una possibilità di manifestarsi. Il modo di porre il
problema implicito nell'esperimento ESP contiene già in sé un effetto
emotivo, perché suppone che qualcosa d'irriconoscibile e anzi d'inconoscibile
possa essere riconoscibile e conoscibile, e quindi contempla seriamente la
possibilità di un miracolo. Senza tenere conto dell'eventuale scetticismo del
soggetto dell'esperimento, questo cenno fa appello alla disposizione sempre e
dovunque presente, a livello inconscio, a vivere un miracolo e alla speranza
che dopotutto qualcosa del genere sia possibile. Anche negli spiriti più
illuminati si cela subito sotto la superficie la superstizione primitiva, e
proprio coloro che la respingono più recisamente sono i primi a soggiacere
alla sua forza di suggestione. Ora, se un esperimento serio, con tutta la sua
considerevole autorità scientifica, tocca in qualche punto questa disposizione,
nasce inevitabilmente un'emozione che accetta o rifiuta in maniera affettiva.
In tutti i casi ne risulta un'aspettativa affettiva che è presente anche quando
viene negata.
E' indubbiamente opportuno accennare alla possibilità di un malinteso che
potrebbe sorgere dall'uso del termine 'sincronicità'. Ho scelto questo termine
perché la contemporaneità di due eventi connessi quanto al significato, ma in
maniera acausale, mi è sembrata un criterio essenziale. Io impiego dunque in
questo contesto il concetto generale di sincronicità nell'accezione speciale di
coincidenza temporale di due o più eventi non legati da un rapporto causale,
che hanno uno stesso o un analogo contenuto significativo. Uso quindi il
termine 'sincronicità' in opposizione a 'sincronismo', che rappresenta la
semplice contemporaneità di due eventi.
Sincronicità significa allora anzitutto la simultaneità di un certo stato
psichico con uno o più eventi esterni che paiono paralleli significativi della
condizione momentaneamente soggettiva e - in certi casi - anche viceversa. I
miei due esempi chiariscono questo caso in maniera diversa. Nel caso dello
scarabeo, la contemporaneità è immediatamente evidente, mentre non lo è nel
secondo caso. Lo stormo di uccelli provoca una vaga apprensione, d'accordo,
ma questo può essere spiegato in senso causale. In precedenza tuttavia la
moglie del mio paziente non aveva avuto coscienza di nessuna ansietà
paragonabile alla mia apprensione, perché i sintomi (dolori al collo) non
erano di natura tale che un profano pensasse subito a qualcosa di grave.
Spesso però l'inconscio la sa più lunga della coscienza, e mi sembra quindi
possibile che l'inconscio fiutasse già il pericolo nel cuore della donna. Non è
possibile provarlo, certo, ma esiste pur sempre la possibilità e forse
addirittura la probabilità che le cose stessero così. Se quindi escludiamo un
contenuto psichico cosciente quale è quello della rappresentazione di un
pericolo mortale, c'è in questo caso un'evidente contemporaneità tra lo stormo
di uccelli, nel suo significato tradizionale, e la morte dell'uomo. Lo stato
psichico pare dipendere dall'evento esteriore, se prescindiamo dall'eccitazione
possibile, ma non dimostrabile, dell'inconscio. La psiche della donna è
comunque implicata in quanto lo stormo d'uccelli si era posato sulla sua casa
ed era stato osservato da lei. Anche per questo motivo ritengo probabile che
l'inconscio della donna fosse costellato. Lo stormo di uccelli ha in sé un
significato mantico tradizionale. (36) Questo significato compare anche
nell'interpretazione della donna, e si configura perciò come se gli uccelli
avessero rappresentato un inconscio presagio di morte. I vecchi medici
romantici avrebbero parlato in questo caso di 'simpatia' o di 'magnetismo',
ma, come abbiamo già ricordato, fenomeni di questo genere non sono
suscettibili di spiegazione causale, a meno che ci si creda autorizzati a ipotesi
fantasiose "ad hoc".
L'interpretazione dello stormo di uccelli come "omen" si basava, come
abbiamo visto, su due coincidenze precedenti di genere simile. Alla morte
della nonna il presagio non esisteva ancora. In quel caso infatti la coincidenza
era stata rappresentata soltanto dalla morte e dall'affollamento di uccelli. Nel
secondo caso fu immediatamente evidente. Nel terzo caso la coincidenza poté
essere verificata come tale solo quando il morente fu condotto a casa.
Se cito queste complicazioni è perché sono importanti per chiarire la
portata del concetto di sincronicità. Consideriamo ora un altro caso. Un mio
conoscente vede e vive in sogno la morte improvvisa e violenta del suo
amico, con dettagli caratteristici. L'autore del sogno si trova in Europa e il
suo amico è in America. Al mattino seguente un telegramma conferma
l'avvenuta morte, e una lettera che giunge circa dieci giorni dopo conferma i
dettagli della morte. Confrontando l'ora europea con quella americana, risulta
che la morte si è verificata almeno un'ora prima del sogno. Il mio conoscente
era andato a letto tardi e non aveva preso sonno fino all'una. Il sogno si
verificò intorno alle due del mattino. L'evento raffigurato nel sogno non è
sincrono rispetto alla morte. Esperienze di questo tipo avvengono spesso o
dopo o prima dell'evento critico. J. W. Dunne (37) ricorda un sogno
particolarmente istruttivo fatto da lui nella primavera del 1902, all'epoca in
cui partecipava alla guerra dei Boeri. Gli sembrava di stare su un monte
vulcanico. Era un'isola che aveva già sognata in precedenza, e sapeva che era
minacciata a breve scadenza da un'eruzione vulcanica catastrofica (come il
Krakatau!) Angosciato, voleva salvare i quattromila abitanti dell'isola. Cercò
d'indurre le autorità francesi di un'isola vicina a mobilitare immediatamente
per il salvataggio tutti i battelli disponibili. A questo punto il sogno cominciò
a evolversi, passando per il motivo della fretta, della furia e del non-giungere,
nel tipico incubo notturno, mentre davanti agli occhi del dormiente
volteggiava costantemente la frase: 'Quattromila uomini saranno uccisi, a
meno che...'. Alcuni giorni dopo Dunne ricevette con la posta un numero del
'Daily Telegraph', e il suo sguardo cadde sulla notizia seguente:
AN AVALANCHE OF FLAME.
Il sogno non s'era verificato nel momento in cui ebbe luogo la catastrofe,
ma solo quando il giornale con la notizia viaggiava alla sua volta. Inoltre gli
sfuggì un errore di lettura: 4000 invece di 40000. L'erronea percezione si
fissò nel nostro uomo come paramnesia, così che ogni volta che raccontava il
sogno diceva sempre 4000 invece di 40000. Solo quindici anni dopo, al
momento di ricopiare per sé l'articolo di giornale, scoprì l'errore: il suo sapere
inconscio fece per così dire lo stesso errore di lettura in cui incappò lui stesso.
Che una notizia venga sognata poco prima del suo verificarsi è
un'esperienza relativamente frequente, come quando per esempio il sogno
cita persone di cui riceviamo una lettera con la posta del mattino successivo.
Ho avuto occasione più volte di costatare che nel momento in cui si svolgeva
il sogno la lettera era già nell'ufficio postale del destinatario. E posso
confermare per esperienza diretta anche l'errore di lettura. Nelle vacanze di
Natale del 1918 mi occupavo dell'orfismo e in particolare del frammento
orfico citato in Malala, nel quale la luce primordiale è definita 'trinitaria'
come Metis, Phanes e Ericepaeus. Nello studiarlo leggevo ostinatamente
"Erikapàios" invece di "Erikepàios", come riporta il testo. (Di per sé esistono
entrambe le lezioni.) Questa svista si fissò poi come paramnesia, e in seguito
non sono riuscito a ricordare questo nome che come "Erikapàios", e solo
trent'anni dopo ho scoperto che il testo di Malala porta "Erikepàios". Proprio
in quel periodo una mia paziente che non avevo più vista da quattro
settimane, e che non aveva la più pallida idea di quanto andavo studiando,
fece un sogno in cui uno sconosciuto le tendeva un foglio sul quale era notato
un inno 'latino' a un certo dio Ericipaeus. Al suo risveglio la paziente era stata
in grado di riscrivere questo inno. La lingua in cui era redatto era una
mescolanza singolare di latino, francese e italiano. La signora in questione
aveva qualche nozione elementare e scolastica di latino, conosceva un po'
meglio l'italiano e parlava il francese correntemente. Il nome Ericipaeus le
tornava completamente ignoto, com'è comprensibile, dato che non aveva
conoscenze classiche di nessun genere. Le due località in cui abitavamo
distano circa novanta chilometri l'una dall'altra, e da un mese non c'era stata
nessuna comunicazione tra noi. E' da notare che la variazione del nome, cioè
la 'svista', interviene proprio nella vocale sulla quale anch'io m'ero sbagliato
leggendo "a" invece di "e". Ora l'inconscio della signora si sbagliò nell'altra
direzione, leggendo "i" invece di "e". Suppongo perciò che essa abbia 'letto'
inconsciamente non il mio errore ma piuttosto il testo in cui compare la
traslitterazione latina Ericepaeus, e che nel far così la mia svista l'abbia
evidentemente solo disturbata.
Eventi sincronistici si basano sulla contemporaneità di due stati psichici
diversi. Uno è lo stato normale, probabile (cioè sufficientemente spiegabile in
senso causale), l'altro è lo stato non deducibile dal primo per via causale,
ossia l'evento critico. Nel caso della morte improvvisa questo evento critico
non è immediatamente riconoscibile come extra-sensory perception (ESP):
può essere verificato come tale soltanto in seguito. Ma anche nel caso dello
scarabeo ciò che viene sperimentato direttamente è uno stato psichico o
un'immagine psichica, distinta dall'immagine onirica solo perché può essere
verificata immediatamente. Nel caso dello stormo d'uccelli si tratta, nella
donna, di un'alterazione o apprensione inconscia di cui io tuttavia ero
consapevole e che mi aveva indotto a mandare il paziente dal cardiologo. In
tutti questi casi, si tratti di ESP spaziale o temporale, esiste una
contemporaneità tra lo stato normale o abituale e un altro stato o esperienza
non deducibile per via causale, la cui obiettività può essere di norma
verificata solo a posteriori. Bisogna tenere particolarmente d'occhio questa
definizione quando entrano in gioco eventi futuri. Essi infatti non sono
evidentemente sincroni, ma sincronistici, poiché vengono vissuti al presente
come immagini psichiche, quasi che l'evento obiettivo fosse già presente. Un
contenuto inatteso in relazione immediata o mediata con un evento esterno
oggettivo coincide con lo stato psichico abituale: è questo fatto che chiamo
sincronicità, e sono del parere che si tratti esattamente della stessa categoria
di eventi, anche se la loro obiettività sembra separata dalla mia coscienza
nello spazio o nel tempo. Questa opinione è confermata dai risultati di Rhine,
in quanto né spazio né tempo influiscono - almeno in linea di principio - sulla
sincronicità. Spazio e tempo, le coordinate mentali del corpo in movimento,
sono in fondo una stessa e unica cosa: perciò si parla di 'spazi di tempo', e già
Filone l'Ebreo nel "De opificio mundi" dice: "diástema tes tou Kósmon
kinéseos estin o chrónos" [estensione del moto celeste è il tempo]. E'
possibile ugualmente concepire la sincronicità spaziale come un percepire nel
tempo, ma va notato che non è altrettanto facile intendere la sincronicità
temporale come spaziale, perché non siamo in grado di rappresentarci uno
spazio in cui eventi futuri sarebbero già obiettivamente presenti e potrebbero
venir recepiti come attuali mediante riduzione di questa distanza spaziale Ma
poiché, stando all'esperienza, spazio e tempo sembrano in determinate
circostanze ridotti approssimativamente a zero, cade con ciò anche la
causalità, legata all'esistenza di spazio e tempo e di mutazioni dei corpi, dal
momento ch'essa consiste nella successione di causa ed effetto. Per questo
motivo il fenomeno della sincronicità non può essere per principio posto in
relazione con alcuna rappresentazione causale. Il legame tra fattori
coincidenti quanto a significato deve quindi essere pensato necessariamente
come acausale.
A questo punto tuttavia rischiamo di accogliere una causa trascendentale
per mancanza di una causa definibile. Ma solo una grandezza definibile può
essere 'causa'. Una causa 'trascendentale' infatti è una "contradictio in
adiecto", dal momento che è per definizione impossibile definire qualcosa di
trascendentale. Se non vogliamo rischiare l'ipotesi dell'acausalità, non resta
che spiegare i fenomeni sincronistici come puri e semplici casi, il che ci pone
però in contraddizione con gli esperimenti ESP di Rhine e con altri fatti ben
degni di fede. Oppure siamo costretti a fare riflessioni del tipo succitato e a
sottoporre a critica i princìpi della nostra interpretazione del mondo, nel senso
che spazio e tempo sono grandezze costanti in un sistema definito solo se
vengono misurati prescindendo da condizioni psichiche. E' quanto accade di
regola negli esperimenti che hanno per oggetto le scienze naturali. Ma se
l'evento viene osservato senza limitazioni sperimentali, può sorgere
nell'osservatore un certo stato emotivo che modifica spazio e tempo nel senso
d'una contrazione. Ogni stato emotivo causa una modificazione della
coscienza, modificazione che Pierre Janet ha definito 'abaissement du niveau
mental': ciò significa che subentra un certo restringimento della coscienza e al
tempo stesso un rafforzamento dell'inconscio, come anche i profani della
materia possono facilmente costatare specialmente in presenza di affetti
intensi. Il tono dell'inconscio si alza in una certa misura, il che provoca
facilmente un gradiente dall'inconscio nella coscienza. Di conseguenza la
coscienza cade sotto l'influenza di impulsi e contenuti inconsci istintivi.
Questi contenuti sono di regola complessi fondati in ultima analisi sugli
archetipi, cioè sul''instinctual pattern'. Ma accanto agli archetipi si trovano
nell'inconscio anche percezioni subliminali e così pure immagini mnestiche
dimenticate, cioè o momentaneamente o assolutamente irriproducibili). Tra i
contenuti subliminali bisogna distinguere le percezioni da ciò che definirei un
'conoscere' o un 'esser presente' inesplicabile. Mentre le percezioni possono
essere riferite a possibili o probabili eccitazioni sensoriali subliminali, il
'conoscere' o 'esser presente' di immagini inconsce o non ha nessun
fondamento riconoscibile, oppure esistono rapporti causali riconoscibili con
certi contenuti (spesso archetipici) già prima esistenti. Ma queste immagini,
abbiano o no le loro radici in basi già esistenti, sono in relazione analoga,
cioè equivalente, significativa con eventi obiettivi che non hanno con esse
nessun rapporto causale identificabile, anzi neppure pensabile. Com'è
possibile ad esempio che un evento remoto nello spazio o nel tempo provochi
il sorgere di un'immagine psichica equivalente, se non si può neppure
ipotizzare un processo energetico di trasmissione che sarebbe necessario
affinché il fenomeno si realizzi? Per quanto questo possa riuscire
incomprensibile, si è comunque costretti alla fine a supporre che esista
nell'inconscio un che di simile a una conoscenza a priori o, meglio, una
'presenza' a priori svincolata da ogni base causale. In ogni caso il nostro
concetto di causalità si dimostra inadeguato a chiarire i fatti.
Data la complessità di questo stato di fatto, sarà opportuno ricapitolare
l'argomentazione esposta in precedenza, e la strada migliore è di servirci dei
nostri esempi. Riguardo all'esperimento di Rhine avanzo l'ipotesi che, in
seguito alla tensione dell'aspettativa (cioè dello stato emotivo) del soggetto
dell'esperimento, un'immagine già presente, esatta ma inconscia, del risultato
rende possibile alla coscienza indicare un numero di 'centri' superiore alla
pura probabilità. Il sogno dello scarabeo è una rappresentazione cosciente che
procede da un'immagine, già esistente a livello inconscio, della situazione che
si verificherà il giorno dopo, ossia del racconto del sogno e del sopravvenire
della Cetonia. La moglie del mio paziente morto aveva una conoscenza
inconscia della morte imminente. Lo stormo d'uccelli evocò le corrispondenti
immagini mnestiche e quindi la sua angoscia. Analogamente, il sogno quasi
contemporaneo della morte violenta dell'amico è scaturito dalla conoscenza
inconscia già presente di questa morte.
In tutti questi e in analoghi casi sembra esistere una conoscenza a priori,
non spiegabile con argomenti causali, di una situazione di fatto che non
poteva essere nota in quel determinato momento. Il fenomeno della
sincronicità è quindi la risultante di due fattori: 1) un'immagine inconscia si
presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o
accennata) alla coscienza come sogno, idea improvvisa o presentimento; 2)
un dato di fatto obiettivo coincide con questo contenuto. Ci si può
meravigliare in uguale misura del primo o del secondo fatto. Come si crea
l'immagine inconscia, o come si crea la coincidenza? Capisco fin troppo bene
perché si preferisca porre in dubbio la realtà di cose del genere. Qui voglio
solo porre il problema. Quanto alla risposta, mi arrischierò a darne una nelle
pagine successive.
Dato il ruolo che ricopre l'affetto nel sorgere di eventi sincronistici,
ricorderò che non si tratta affatto di un'idea nuova. Già Avicenna e Alberto
Magno se ne resero conto chiaramente. Alberto Magno nel "De mirabilibus
mundi" dice: 'Trovai [in riferimento alla magia] una spiegazione illuminante
nel sesto libro dei "Naturalia" di Avicenna, in cui si dice che è insita
nell'anima umana una certa proprietà ("virtus") di cambiare le cose, e che le
altre cose le sono soggette; e precisamente quando essa è trascinata a un
grande eccesso di amore o di odio o qualcosa di analogo ("quando ipsa fertur
in magnum amoris excessum aut odii aut alicuius talium"). Se quindi l'anima
di un uomo cade in preda a un grande eccesso di una qualche passione, si può
stabilire sperimentalmente che esso [l'eccesso] costringe [magicamente] le
cose e le cambia nella direzione verso cui tende l'eccesso ("fertur in grandem
excessum alicuius passionis invenitur experimento manifesto quod ipse ligat
res et alterat ad idem quod desiderat et diu non credidi illud") e non l'ho
creduto per lungo tempo (!), ma dopo la lettura di libri negromantici e che
hanno per tema immagini magiche ("imaginum") e magia, ho trovato che
[realmente] l'emotività ("affectio") dell'anima umana è la radice principale di
tutte le cose, sia che essa, a causa della sua grande emozione, modifichi il suo
corpo e altre cose alle quali tende, sia che ad essa anima siano soggette, data
la sua dignità, le altre cose inferiori, o che con tale affetto spinto al di là di
ogni limite corra parallelamente l'ora adatta o la situazione astrologica o
un'altra forza, e noi crediamo [di conseguenza] che [ciò] che produce questa
forza sia causato dall'anima ("cum tali affectione exterminata concurrat hora
conveniens aut ordo coelestis aut alia virtus, quae quodvis faciet, illud
reputavimus tunc animam facere")... Chi vuole quindi conoscere il segreto di
questo fatto per provocarlo e scatenarlo, deve sapere che chiunque può
influenzare magicamente ogni cosa, se cade preda di un grande eccesso... e
allora lo deve fare precisamente in quell'ora in cui l'eccesso lo aggredisce e
agire con le cose che l'anima gli prescrive. Infatti l'anima è allora così
bramosa della cosa che vuole causare, che afferra anche da sé l'ora più
importante e migliore che comanda anche alle cose che più convengono a
quell'effetto... Così è l'anima che brama più intensamente l'oggetto che rende
le cose più efficaci e più simili [a ciò] che risulta... In maniera simile
funziona infatti la produzione in tutto ciò che l'anima brama con intenso
desiderio. Poiché tutto ciò che essa fa mirando a quello scopo ha forza di
propulsione ed efficacia su ciò che l'anima brama' eccetera.
Questo testo mostra chiaramente che l'evento sincronistico ('magico') era
visto come un fatto dipendente dall'affetto. Com'è naturale, Alberto Magno -
in armonia con lo spirito del suo tempo - spiega la cosa supponendo un potere
magico dell'anima, senza considerare che il processo psichico è altrettanto
'preordinato' quanto la rappresentazione coincidente che anticipa l'evento
fisico esterno. La rappresentazione coincidente prende le mosse
dall'inconscio e rientra quindi tra quelle 'idee che sono indipendenti da noi' e
che, come dice Arnold Geulincx, sono causate da Dio e non sorgono dal
proprio pensiero. (38) Anche Goethe pensa in termini 'magici' in tema di
eventi sincronistici. Egli dice nelle conversazioni con Eckermann: 'Noi tutti
abbiamo in noi un che di forze elettriche e magnetiche, e come il magnete
esercitiamo un potere di attrazione e di ripulsione a seconda che veniamo in
contatto con qualcosa di uguale o di disuguale.' (39)
Dopo queste considerazioni generali, torniamo ora al nostro problema dei
fondamenti empirici della sincronicità. Il problema fondamentale è anzitutto
quello di procurarsi un materiale sperimentale che renda possibile trarre
conclusioni sufficientemente sicure, e risolvere questo problema non è facile.
Le esperienze di cui parliamo sono tutt'altro che a portata di mano. Dobbiamo
quindi arrischiarci negli angoli più oscuri e trovare il coraggio di dare una
scossa alle prevenzioni della nostra concezione attuale del mondo, se
vogliamo tentare di allargare le basi della nostra conoscenza della natura.
Quando Galilei scoprì le lune di Giove con l'aiuto del suo telescopio urtò
immediatamente contro la prevenzione degli studiosi dei suo tempo. Nessuno
sapeva che cosa fosse un telescopio e che cosa fosse in grado di fare.
Nessuno prima di allora aveva parlato mai di lune di Giove. Naturalmente
ogni epoca pensa che tutte quelle che l'hanno preceduta erano prevenute, e
oggi lo si pensa più che mai, e così facendo si ha torto come ebbero torto tutte
le epoche precedenti che pensavano così. Quante volte s'è vista condannare la
verità! E' triste ma purtroppo vero che l'uomo non impara niente dalla storia.
Questa circostanza ci creerà le maggiori difficoltà perché, accingendoci a
raccogliere del materiale sperimentale che faccia luce in qualche modo su un
argomento così oscuro, lo troveremo con assoluta certezza là dove tutte le
autorità ci hanno assicurato che non c'è niente da trovare.
L'esposizione di casi singoli - per quanto accreditati - non offre vantaggi e
porta al massimo a far considerare un credulone chi li racconta. Perfino
l'accurata registrazione e verifica di un considerevolissimo numero di casi
quali sono quelli riuniti nell'opera di Gurney, Myers e Podmore, (40) non ha
fatto la minima impressione nel mondo scientifico. La grande maggioranza
degli 'esperti', cioè psicologi e psichiatri, sembrano non avere la più pallida
conoscenza di questi fatti. (41)
I risultati degli esperimenti ESP e PC hanno conferito al fenomeno della
sincronicità una base statistica, e rimandano al tempo stesso al ruolo
significativo che svolge in questi esperimenti il fattore psichico. Questo fatto
mi ha indotto a chiedermi se non sarebbe possibile trovare un metodo che da
un lato provi il fenomeno di sincronicità e dall'altro permetta di riconoscere
contenuti psichici in maniera che si possano almeno ricavare determinati
punti fermi sulla natura del fattore psichico coinvolto. Mi sono domandato se
non esiste un metodo che renda possibili risultati misurabili o numerabili, e
che al tempo stesso ci dia modo di penetrare nei retroscena psichici della
sincronicità. Abbiamo già visto negli esperimenti ESP che esistono certe
condizioni psichiche essenziali per i fenomeni di sincronicità, benché gli
esperimenti ESP si limitino per loro natura al fatto della coincidenza e ne
facciano risaltare solo il condizionamento psichico senza gettare maggior
luce su questo fattore. Ora, io sapevo da tempo che esistono certi metodi
intuitivi (i cosiddetti metodi mantici) che procedono sostanzialmente dal
fattore psichico, ma che presuppongono come ovvia la realtà della
sincronicità. In un primo tempo ho diretto particolarmente la mia attenzione
su quella tecnica ausiliaria della comprensione intuitiva della totalità che è
caratteristica della Cina, ossia all'I Ching. Al contrario dello spirito
occidentale educato dal pensiero greco, lo spirito cinese tende non a cogliere
il fatto singolo per amore del fatto in sé, ma a una concezione che vede il
singolo come parte di un tutto. Un'operazione conoscitiva del genere riesce
per ovvie ragioni impossibile all'intelletto puro. Il giudizio deve quindi
basarsi in misura maggiore sulle funzioni irrazionali della coscienza, ossia
sulla sensazione (intesa come 'sens du réel') e sull'intuizione (intesa come una
percezione definita principalmente da contenuti subliminali). L'I Ching,
questa base - possiamo ben definirla sperimentale - della filosofia classica
cinese, è un metodo destinato da tempi antichissimi a cogliere nella sua
totalità una situazione e a porre quindi il problema singolo nel quadro del
grande gioco antitetico di Yang e Yin.
Cogliere la totalità è ovviamente lo scopo anche della scienza naturale.
Ma questo scopo si trova necessariamente a una distanza assai remota, perché
la scienza naturale procede, sempre che sia possibile, per via sperimentale e
in ogni caso statistica. L'esperimento consiste però nel porre il problema in
una maniera determinata, che esclude per quanto è possibile ogni elemento
perturbatore e non pertinente. Esso pone condizioni, le impone alla natura e
in tal modo la costringe a dare una risposta orientata sul problema dell'uomo.
Procedendo così, s'impedisce alla natura di rispondere attingendo alla massa
delle sue possibilità e limitandole al massimo. A questo scopo si crea in
laboratorio una situazione artificialmente ristretta al problema situazione che
costringe la natura a dare una risposta quanto più univoca possibile. In tal
modo si esclude completamente che la natura agisca nella sua totalità
illimitata. Ma per conoscerne l'azione bisogna che il problema a cui vogliamo
rispondere non ponga affatto condizioni - o ne ponga il minor numero
possibile - e affidi quindi alla natura di rispondere con piena spontaneità.
La procedura sperimentale nota e certa costituisce il fattore invariabile
della raccolta e della comparazione statistica dei risultati. Nell'esperimento
totalitario intuitivo o mantico invece non c'è bisogno di domande che
pongano condizioni di qualunque genere e, così facendo, limitino la totalità
del processo naturale. Nell'I Ching le monete cadono e rotolano come
vogliono. (42) A una domanda sconosciuta tiene dietro una risposta
incomprensibile. Le condizioni per una reazione totalitaria sono quindi quasi
ideali. Lo svantaggio però salta agli occhi: contrariamente a quanto accade
nell'esperimento scientifico, non si sa che cosa è successo. Due saggi cinesi
cercarono già nel dodicesimo secolo della nostra era di rimediare a questo
inconveniente, tentando - in base all'ipotesi dell'unità di tutta la natura - di
spiegare come "concordanza significativa" la contemporaneità di uno stato
psichico con un processo fisico. In altre parole: essi supposero che sia nello
stato psichico che in quello fisico si esprima la stessa realtà. Per verificare
quest'ipotesi occorreva però, in questo esperimento apparentemente illimitato,
una condizione ancora, ossia una certa forma del processo fisico, un metodo
o una tecnica che costringesse la natura a formulare la sua risposta mediante
numeri pari e dispari. In quanto rappresentanti di Yin e Yang, questi numeri
sono propri sia dell'inconscio che della natura in forma di opposti, ossia di
madri e di padri di tutto ciò che accade, e costituiscono quindi il "tertium
comparationis" tra il mondo psichico interiore e il mondo fisico esterno. I due
saggi trovarono così un metodo che permetteva di rappresentare uno stato
interiore come esteriore e viceversa. Naturalmente occorreva però una
conoscenza (intuitiva) del significato della figura offerta di volta in volta
dall'oracolo. L'I Ching consiste quindi in una raccolta di 64 interpretazioni
nelle quali è elaborato il senso di ognuna delle 64 combinazioni Yang-Yin
possibili. Queste interpretazioni danno forma alla conoscenza interiore,
inconscia, che coincide con lo stato in cui si trova di volta in volta la
coscienza. Con questa premessa psichica coincide il risultato casuale del
metodo, ossia i numeri pari e dispari che risultano dalla caduta delle monete o
dalla suddivisione casuale dei gambi di achillea (vedi oltre).
Come tutte le tecniche divinatorie, ossia intuitive, il metodo è basato sul
principio del nesso acausale o "sincronistico". (43) Nell'esecuzione pratica
dell'esperimento si verificano effettivamente numerosi casi illuminanti per
chiunque non sia prevenuto, casi che dal punto di vista razionale, e operando
una certa violenza, si potrebbero spiegare solo come proiezioni. Ma se si
ammette che sono realmente ciò che sembrano, allora si tratta di coincidenze
significative per le quali la nostra conoscenza non ha spiegazioni causali da
offrire. Il metodo consiste in questo: o si dividono arbitrariamente 49 gambi
di achillea in due metà, e si conta per tre o per cinque, oppure si gettano tre
monete, e la predominanza di volta in volta del valore numerico del recto e
del verso, ossia testa (tre) e croce (due), decide la forma dell'esagramma. (44)
L'esperimento è basato su un principio triadico (due trigrammi) e consiste in
64 mutazioni che corrispondono ad altrettante situazioni psichiche. Queste
situazioni sono minutamente descritte nel testo e nei commenti che lo
accompagnano. Ma esiste anche un metodo occidentale che risale
all'antichità, e che si basa in generale sullo stesso principio dell'I Ching. (43)
In Occidente però questo principio non è triadico ma - e la cosa è
significativa - tetradico, e il risultato che se ne ottiene non è un esagramma
composto di linee Yang-Yin, ma sedici quaterne composte da numeri pari e
dispari. Dodici di questi numeri vengono disposti secondo determinate regole
nello schema delle 'case' astrologiche. Il fondamento dell'esperimento è
costituito da quattro volte quattro righe consistenti in un numero casuale di
punti. Questi punti sono tracciati da chi compie l'esperimento sulla sabbia o
sulla carta, da destra a sinistra. (46) L'insieme dei diversi fattori investe i
dettagli, in maniera tipicamente occidentale, assai più di quanto non faccia l'I
Ching. Anche qui si verificano coincidenze assai significative, che però sono
in generale più difficili da afferrare e quindi riescono meno illuminanti dei
risultati ottenibili con l'I Ching. Nel metodo occidentale, che è noto dal
tredicesimo secolo come "ars geomantica" o "arte dei punti", (47) e che
conobbe un'ampia diffusione, non vi sono commenti generali di nessun
genere, poiché il suo uso è stato solamente mantico e mai filosofico, come
accadde invece con l'I Ching.
I risultati di entrambi i procedimenti, l'I Ching e l'ars geomantica,
procedono nella direzione voluta, ma non offrono appigli di nessun genere
per giungere a una comprensione esatta. Ho quindi cercato un'altra tecnica
intuitiva e mi sono imbattuto nell'astrologia che - perlomeno nella forma
moderna in cui s'è evoluta - aspira a ottenere configurazioni caratterologiche
relativamente totalitarie. Il procedimento astrologico non è certo povero di
commenti, anzi ce n'è a sazietà, al punto di generare confusione: un indice,
questo, del fatto che l'interpretazione non è né semplice né certa. La
coincidenza significativa che noi cerchiamo è senz'altro illuminante in questo
caso, perché fin dai tempi più antichi pianeti, case, segni zodiacali, aspetti
hanno significati costanti su cui può basarsi l'interpretazione di una situazione
di fatto. Certo, si può sempre opporre che il risultato non coincide con la
conoscenza psicologica della situazione o del carattere in esame, e avanzare
l'affermazione difficilmente contestabile che la conoscenza di un carattere è
una faccenda estremamente soggettiva, dato che nella sfera della
caratterologia non esistono segni distintivi infallibili, incontestabili,
misurabili o numerabili; un'obiezione questa che, com'è noto, viene rivolta
anche alla grafologia, benché l'uso della grafologia incontri oramai
praticamente il riconoscimento generale.
Questa critica, e l'assenza di criteri sicuri per stabilire proprietà
caratterologiche, fanno sembrare inutilizzabile per il nostro scopo la
coincidenza significativa - tra struttura dell'oroscopo e carattere - alla quale
l'astrologia pretende. Se vogliamo quindi spingere l'astrologia a pronunciarsi
su un nesso acausale di eventi dobbiamo sostituire l'incerta diagnosi del
carattere con un dato di fatto definito e indubitabile. Un fatto di questo tipo è
per esempio il legame coniugale tra due persone. (48)
La corrispondenza mitologica e la tradizionale corrispondenza astrologica
e alchimistica è da tempi antichissimi la "coniunctio Solis" (rappresentato da
un cerchio con un punto al centro - descrizioni fra parentesi dell'operatore
telematico) "et Lunae" (mezzaluna), il rapporto amoroso di Marte (cerchio
con freccia verso l'alto) con Venere ( cerchio con croce in basso) e i rapporti
di questi astri con l'Ascendente e il Discendente. Quest'ultimo rapporto
dev'essere anch'esso coinvolto perché l'asse ascendente è considerato da
tempo immemorabile particolarmente importante per l'essenza della
personalità. (49) Occorrerebbe quindi indagare se è possibile dimostrare la
presenza negli oroscopi di persone sposate di un numero di aspetti coincidenti
(disegno dei segni sole - luna - marte - venere) maggiore di quello che
compare tra persone non sposate. (50) Per effettuare questa ricerca non
occorre credere nell'astrologia bastano date di nascita, efemeridi e una tavola
logaritmica per aiutarci a calcolare l'oroscopo.
Il metodo adatto alla natura della casualità è, come mostrano le tre
procedure mantiche citate, quello dei numeri. Gli uomini si servono da
epoche ormai remote del numero per stabilire la coincidenza significativa,
ossia una coincidenza che può essere interpretata. Il numero è qualcosa di
particolare, di misterioso vorremmo dire. Nessuno è ancora mai riuscito a
diradare il suo nembo numinoso. In un manuale di matematica si legge: se
togliamo a un gruppo di oggetti ogni loro singola proprietà resta ancora alla
fine il loro numero, e ciò attribuisce al numero il carattere di una grandezza
apparentemente ineliminabile. (Non discuto qui la logica dell'argomentazione
matematica, ma solo la sua psicologia.) La serie di tutti i numeri è,
inaspettatamente, più che una successione di unità identiche: essa contiene in
sé tutta la matematica e tutto ciò che potremo ancora scoprirvi. Il numero è
quindi una grandezza incalcolabile, e non è certo un caso che proprio il
calcolo sia il metodo adeguato per affrontare la casualità. Pur non avendo
affatto l'intenzione di fornire un contributo illuminante al rapporto interno tra
due oggetti tanto incommensurabili come la sincronicità e il numero, non
posso però fare a meno di rilevare che non solo il numero e il calcolo sono
stati da sempre messi in rapporto con la sincronicità, ma che entrambi
posseggono anche due caratteristiche comuni: la numinosità e il mistero. Il
numero serve da sempre, si può dire, per definire l'oggetto numinoso, e tutti i
numeri dall'uno al nove sono 'sacri'; e 10, 12, 13, 14, 28, 32 e 40 sono
contraddistinti da una loro significanza. La proprietà più elementare
dell'oggetto è certo la sua unità e molteplicità. Il numero serve in primissimo
luogo a porre ordine nella caotica molteplicità del fenomenico. E' lo
strumento dato per stabilire un ordine o per cogliere una regolarità già
esistente ma ancora ignota, vale a dire una certa disposizione. E' certamente
l'elemento ordinatore più primitivo dello spirito umano, e qui spetta ai numeri
dall'uno al quattro la massima frequenza e la diffusione più generale, perché
gli schemi ordinatori primitivi sono perlopiù triadi e tetradi. Che il numero
possegga uno sfondo archetipico non è solo una mia supposizione, ma anche
un'idea condivisa da certi matematici, come vedremo più avanti. Non
pronunciamo quindi una conclusione ardita quando definiamo
psicologicamente il numero come un archetipo dell'ordine fattosi cosciente
(vedi il mio saggio "Psicologia della meditazione orientale", 1943). C'è da
notare che anche le immagini di totalità psichiche prodotte spontaneamente
dall'inconscio, e i simboli del Sé in forma di mandala hanno struttura
matematica. Si tratta di norma di quaternità, o di multipli di quaternità (si
vedano "Empiria del processo d'individuazione", 1934/1950 e "Simbolismo
del mandala", 1950). Queste configurazioni non esprimono soltanto ordine, lo
causano anche. Perciò appaiono perlopiù in stati di disorientamento psichico,
come compensazioni di uno stato caotico, oppure danno forma a esperienze
numinose. A questo proposito occorre rilevare che queste strutture non sono
invenzioni della coscienza ma prodotti spontanei dell'inconscio, come ha
sufficientemente dimostrato l'esperienza. Naturalmente la coscienza può
imitare queste configurazioni ordinatrici, ma queste imitazioni non provano
affatto che anche gli originali siano invenzioni. Da questi fatti risulta
irrefutabilmente che l'inconscio usa il numero come fattore ordinatore.
Nel paragrafo seguente rivolgeremo la nostra attenzione al problema di
una dimostrazione astrologica della sincronicità. E saranno calcoli e numeri a
doverci prestare il loro aiuto nella nostra ricerca.
2. Un esperimento astrologico.
Il Tao 'veste e nutre tutti gli esseri e non si atteggia a loro signore'. Lao
Tze lo definisce 'il Nulla', esprimendo così-come dice Wilhelm - soltanto la
sua 'antiteticità al mondo della realtà''. (61) Ecco come Lao Tze ne descrive la
natura:
'Si tratta dunque - scrive Wilhelm - di una concezione al limite del mondo
fenomenico.' In questa concezione le antitesi sono 'eliminate
nell'indistinzione', ma potenzialmente esistono già. 'Questi germi - continua
Wilhelm - preludono a qualcosa che anzitutto corrisponde in qualche modo
alla visibilità [evidenza], a un che di "riferito all'immagine", secondariamente
corrisponde in qualche modo all'udibilità, a un che di "riferito alla parola", in
terzo luogo corrisponde in qualche modo all'estensione, a un che di "riferito
alla forma". Ma questa triplicità non è chiaramente distinta e definibile, è
invece un'unità "aspaziale" (niente 'sopra' e niente 'sotto') e "atemporale"
(niente 'prima' e niente 'dopo').' Dice il "Tao Te Ching":
4. Conclusione.
Non considero affatto questa mia esposizione una prova definitiva del
mio punto di vista: non è che un'argomentazione svolta a partire da premesse
empiriche e che sottopongo qui alla riflessione dei miei lettori. Non sono
stato in grado di dedurre, dal materiale e dai dati di fatto che conosco (e mi
riferisco anche agli esperimenti ESP) nessun'altra ipotesi adeguata a
interpretarli. Mi rendo chiaramente conto, con tutto ciò, che la sincronicità
rappresenta una grandezza estremamente astratta e tutt'altro che evidente.
Essa attribuisce al corpo in movimento una certa qualità psicoide che, al pari
di spazio, tempo e causalità, rappresenta un criterio del suo comportamento.
Dobbiamo rinunciare completamente, quindi, alla rappresentazione di una
psiche connessa con un cervello vivente e richiamare alla memoria piuttosto
il comportamento 'significativo' o 'intelligente' degli esseri viventi inferiori
che non posseggono cervello. Ci troviamo qui assai più vicini al fattore
formale che, come abbiamo detto, non ha niente a che fare con una qualche
attività cerebrale.
A questo punto ci si dovrebbe porre, a quanto pare, la domanda seguente:
il rapporto della psiche con il corpo non andrebbe considerato sotto questo
punto di vista? O anche: il coordinamento dei processi psichici e di quelli
fisici nell'essere vivente non andrebbe inteso come un fenomeno
sincronistico, anziché come una relazione causale? Sia Geulinex che Leibniz
considerano il coordinamento tra psichico e fisico come un atto di Dio, ossia
di un principio posto al di fuori della natura empirica. D'altra parte, supporre
l'esistenza di una relazione causale tra psiche e corpo porta a conclusioni
scarsamente compatibili con l'esperienza: o sono processi fisici a determinare
lo psichico, oppure è una psiche preesistente che organizza la materia. Nel
primo caso non si riesce a vedere come processi chimici possano produrre
processi psichici, e nel secondo caso, come una psiche immateriale possa
porre in movimento la materia. Non è necessario pensare a una "harmonia
praestabilita" leibniziana, che sarebbe infatti assoluta e si dovrebbe
manifestare in una "correspondentia" e "sympathia" universale, qualcosa di
analogo alla schopenhaueriana coincidenza significativa dei punti temporali
che si trovano sullo stesso grado di latitudine. La sincronicità possiede
caratteristiche che possono contribuire a chiarire il problema corpo-anima.
Soprattutto il fatto dell'ordinamento acausale, o meglio dell'essere ordinati in
maniera significativa, potrebbe gettare luce sul parallelismo psicofisico. La
presenza del 'sapere assoluto', della conoscenza non mediata da alcun organo
sensoriale che caratterizza il fenomeno sincronistico, sostiene l'ipotesi o
esprime l'esistenza di un significato che sussiste di per sé stesso. Quest'ultima
forma d'essere non può che essere trascendentale, poiché - come dimostra la
conoscenza di eventi futuri o che si svolgono a distanza nello spazio - si trova
in uno spazio psichicamente relativo e in un tempo corrispondente, ossia in
un continuum spazio-tempo.
Varrebbe forse la pena di esaminare più da vicino, e partendo da questo
punto di vista, le esperienze che rendono verisimile l'esistenza di processi
psichici in uno stato che, secondo tutte le apparenze, è inconscio. Penso in
primo luogo alle singolari osservazioni compiute nei casi di sincopi profonde
succedute a lesioni cerebrali acute. Contrariamente a quanto ci si potrebbe
aspettare, non sempre una grave lesione al capo è seguita da una
corrispondente assenza di coscienza. A chi lo osservi dal di fuori, colui che
ha subìto una lesione appare incapace di partecipare, paralizzato, 'estraniato';
la sua coscienza e assente. Ma la coscienza non si è affatto spenta
soggettivamente. La comunicazione sensoriale con il mondo esterno è
fortemente limitata, sì, ma non sempre è completamente eliminata, benché, a
mo' di esempio, il rumore della lotta ceda il passo d'improvviso a un
'maestoso' silenzio. In questo stadio subentra un'evidentissima e
impressionante sensazione e allucinazione di levitazione; il ferito presume di
sollevarsi nell'aria nella stessa posizione in cui si trovava al momento in cui
subì la ferita. Chi è stato ferito mentre era in piedi si alza 'in piedi', chi era
disteso si alza 'disteso' e chi si trovava seduto si alza 'seduto'. Può succedere
che anche l'ambiente circostante sembri levitare: per esempio tutto il bunker
in cui si trova in quel momento il ferito. L'altezza della levitazione va da
mezzo metro a molti metri. La sensazione di gravità scompare. In qualche
caso i feriti credono di compiere con le braccia dei movimenti natatori. Se c'è
la percezione di un ambiente intorno, sembra che si tratti di solito di
un'immaginazione, vale a dire pare che questa percezione sia composta da
immagini mnemoniche. Durante la levitazione lo stato d'animo è
prevalentemente euforico. 'Librato, solenne, bello, beato, rilassato, felice, con
un senso di felice aspettativa, di tensione', sono i termini che ricorrono per
definire questo stato d'animo. E' come se si vivesse una sorta di 'ascensione'.
(117) Jantz e Beringer fanno notare giustamente che i feriti si destano dalla
sincope obbedendo a richiami estremamente leggeri - basta per esempio
chiamarli per nome, toccarli eccetera - mentre il più violento frastuono della
battaglia non ha alcun effetto.
Osservazioni analoghe possono essere compiute in casi di profondo
deliquio originati da altre cause. Vorrei citare un caso tratto dalla mia
personale esperienza medica. Una paziente di cui non ho motivo di mettere in
dubbio la credibilità e il rispetto per la verità mi raccontò che il suo primo
parto era stato assai difficile. Dopo doglie protrattesi inutilmente per trenta
ore, il medico pensò bene di ricorrere al forcipe. Il ricorso al. forcipe si svolse
mentre la paziente era in stato di lieve narcosi, e provocò una notevole
lacerazione al perineo e una cospicua emorragia. Quando il medico, la madre
e il marito se ne furono andati e tutto fu messo in ordine, l'infermiera voleva
andare a mangiare, e la paziente la vide ancora sulla porta in atto di
domandare: 'Desidera ancora qualcosa prima ch'io vada a cena?' La paziente
voleva rispondere, ma non ci riuscì più. Aveva la sensazione di star
sprofondando attraverso il letto in un vuoto senza fondo. Notò ancora che
l'infermiera si affrettava ad accostarsi e le afferrava la mano per sentirle il
polso. Dal modo in cui le dita dell'infermiera si movevano su e giù per il
polso la paziente dedusse che evidentemente il polso si era fatto insensibile.
Poiché essa si sentiva molto bene, la paura dell'infermiera la divertì. Quanto a
lei, non provava assolutamente paura. Questa era l'ultima cosa che riusciva a
ricordare di un periodo del quale non avrebbe saputo definire la durata. La
sensazione successiva di cui ebbe coscienza fu che, senza alcuna sensazione
del proprio corpo e della sua posizione, guardava in giù da un punto posto
proprio sul soffitto della stanza e percepiva tutto ciò che accadeva sotto di lei
nella camera: vedeva sé stessa pallida come un cadavere, stesa a letto con gli
occhi chiusi. Accanto al letto c'era l'infermiera. Il medico s'aggirava agitato
su e giù per la stanza, le pareva che avesse perso la testa e non sapesse bene
che fare. I parenti della paziente si fecero sulla porta. La madre e il marito
entrarono e la guardarono spaventati. La paziente pensava: ma è proprio
sciocco che pensino ch'io stia morendo. E' chiaro che tornerò in me. Intanto
sapeva che dietro di lei si trovava uno splendido paesaggio, una sorta di parco
dai colori smaglianti, e in particolare un prato verde smeraldo con l'erba
corta, che si stendeva su un pendio e al quale si accedeva attraverso una porta
a grata che dava sul parco. Era primavera, e il prato era pieno di piccoli fiori
variopinti che non aveva mai veduto prima. Un sole intensissimo illuminava
la zona e tutti i colori avevano uno splendore indescrivibile. Il pendio era
costeggiato da entrambi i lati da alberi color verde scuro. Il prato le faceva
l'impressione di una radura nel bosco, dove l'uomo non aveva mai messa
piede. 'Sapevo che era l'ingresso a un altro mondo, e che se mi fossi voltata
per guardare direttamente la scena sarei stata tentata di varcare la porta e,
quindi, di abbandonare la vita.' Non vide realmente questo paesaggio, poiché
gli voltava le spalle, ma sapeva che c'era. Sentiva che niente le avrebbe
impedito di varcare la soglia. Sapeva soltanto che sarebbe tornata nel suo
corpo e non sarebbe morta. Per questo trovava sciocca e ingiustificata
l'agitazione del medico e l'affanno dei parenti.
Il fatto successivo fu che si destò, a letto, dal suo svenimento e scorse
l'infermiera che si chinava su di lei. Le dissero che aveva perso coscienza per
circa mezz'ora. Il giorno seguente, circa quindici ore più tardi, sentendosi più
in forze, rivolse all'infermiera un'osservazione critica sul comportamento del
medico durante il suo svenimento, comportamento che definì incompetente e
'isterico'. Ma l'infermiera respinse energicamente le sue critiche,
convintissima com'era che la paziente fosse stata del tutto senza coscienza e
quindi non avesse potuto rilevare niente di quella scena. Solo quando la
paziente le descrisse in tutti i particolari ciò che era successo durante il suo
svenimento fu costretta ad ammettere che essa aveva percepito gli
avvenimenti esattamente come si erano svolti nella realtà.
Si potrebbe supporre che si sia trattato, in questo caso, di uno stato
psichico di dormiveglia in cui sussisteva ancora una metà della coscienza, sia
pure scissa. Sennonché la paziente non era mai stata isterica, ma aveva
sofferto di un autentico collasso cardiaco con sincope dovuta ad anemia
cerebrale, come mostravano tutti gli indizi esterni, chiaramente allarmanti.
Aveva effettivamente perso coscienza e di conseguenza avrebbe dovuto
essere completamente assente dal punto di vista psichico, assolutamente
incapace di osservare con chiarezza e di emettere al tempo stesso un giudizio.
L'aspetto singolare poi è che non si trattò di un'interiorizzazione diretta della
situazione mediante osservazione indiretta, inconscia: essa vide tutta la
situazione dall'alto, come se i suoi 'occhi si fossero trovati sul soffitto della
stanza', come disse nel definire la situazione.
In effetti non è facile spiegare come possano verificarsi, in una
condizione di grave collasso, processi memorizzabili di straordinaria intensità
psichica, e come si possano osservare a occhi chiusi eventi reali nei loro
dettagli concreti. Dovremmo aspettarci, in base a tutte le premesse, che
un'anemia cerebrale così evidente pregiudichi notevolmente, o addirittura
impedisca, proprio il verificarsi di processi psichici assai complessi.
Sir Auckland Geddes ha presentato alla Royal Medical Society (il 27
febbraio 1927) un caso molto simile, ma in cui la ESP si spinse molto oltre.
Questo paziente osservò durante un collasso la scissione di una coscienza
integrale da una coscienza corporea, che si dissolse a poco a poco nelle sue
componenti (organiche). La prima coscienza ebbe ESP verificabile. (118)
Esperienze del genere sembrano indicare che in stati d'incoscienza nei
quali, stando ad ogni parere umano, esistono tutte le garanzie che l'attività
della coscienza e soprattutto le percezioni sensoriali sono sospese, possono
invece sussistere, contro ogni aspettativa, coscienza, rappresentazioni
riproducibili, atti di giudizio e percezioni. La sensazione di levitazione che si
presenta in questi casi, ossia l'alterazione dell'angolo di osservazione, e la
soppressione dell'udito e delle percezioni cinestetiche indica una
modificazione della localizzazione della coscienza, una specie di separazione
dal corpo, ossia dalla corteccia cerebrale o dal cerebro, dove si suppone
trovarsi la sede del fenomeno della coscienza. Se questa riflessione è esatta,
bisogna chiedersi se non si possa pensare e percepire in noi un altro sostrato
nervoso oltre al cerebro, oppure se questi processi psichici che si verificano
in stato d'incoscienza siano fenomeni sincronistici, cioè eventi che non hanno
alcun legame causale con processi organici. Questa seconda possibilità non
va scartata senz'altro poiché vi sono ESP, percezioni indipendenti da spazio e
tempo, che non possono venire spiegate mediante processi del sostrato
biologico. Dove sono di per sé impossibili percezioni sensoriali, non può
trattarsi che di sincronicità. Ma dove esistono condizioni spaziali e temporali
che renderebbero possibili di per sé percezione e appercezione, ed è spenta
solo l'attività della coscienza, ossia presumibilmente solo la funzione
corticale, e dove - come succede nel nostro caso - si verifica ciò nonostante
un fenomeno della coscienza, percezione e giudizio, è possibile chiamare in
causa, a titolo di spiegazione, un sostrato nervoso. Comunque è quasi
assiomatico che i processi della coscienza siano legati al cervello e che tutti i
centri inferiori siano sede soltanto di catene di riflessi di per sé inconsce.
Questo assioma vale in termini assoluti per la sfera del Simpatico. Perciò gli
insetti che non posseggono sistema nervoso cerebrospinale, ma solo il
sistema ganglionare, sono considerati automi riflessi.
Questa concezione però ha cominciato in parte a vacillare da quando Karl
von Frisch di Graz ha intrapreso le sue ricerche sulle api. E' risultato infatti
che le api non solo comunicano agli altri membri dello sciame, mediante una
danza particolare, di aver trovato una fonte di cibo, ma indicano anche la
direzione e la distanza. Questa informazione permette alle novizie di volare
direttamente fino dove si trova il cibo. (119) In linea di principio non si può
fare differenza tra questa comunicazione e una comunicazione che abbia
luogo tra persone. Noi interpreteremmo indubbiamente questo secondo caso
come un'azione cosciente e intenzionale, e ci riuscirebbe difficile immaginare
per esempio un accusato, o il suo difensore, in grado di dimostrare a un
tribunale che un'azione del genere è avvenuta inconsciamente. In caso di
bisogno si potrebbe ancora ammettere, rifacendosi a esperienze psichiatriche,
che la trasmissione di una informazione concreta può anche aver luogo
eccezionalmente in stato di dormiveglia, ma incontreremmo un deciso rifiuto
se volessimo far ammettere che comunicazioni di questo genere vanno
considerate normalmente inconsce. Tuttavia sarebbe possibile ipotizzare che
il processo descritto sia inconscio nel caso delle api. Così facendo però non
compiamo un solo passo avanti per risolvere il nostro problema, perché il
fatto che dobbiamo affrontare resta pur sempre questo: che il sistema
ganglionare compie apparentemente, in linea di principio, la stessa funzione
della nostra corteccia cerebrale. Del resto, è impossibile dimostrare che le api
siano inconsapevoli.
Siamo costretti perciò a concludere che un sostrato nervoso così diverso -
quanto a origine e funzione - dal sistema cerebrospinale come il simpatico
può evidentemente generare pensieri e percezioni tanto quanto il sistema
cerebrospinale. E allora che cosa dobbiamo pensare del simpatico nei
vertebrati? E' anch'esso in grado di produrre o comunicare processi
specificamente psichici? Le osservazioni compiute da Frisch dimostrano
l'esistenza di un pensiero e di una percezione transcerebrale. E' questa una
possibilità che dobbiamo tenere ben presente se vogliamo spiegare l'esistenza
di una coscienza nell'ambito dello stato d'incoscienza che si verifica in uno
svenimento. Infatti il simpatico non si paralizza durante uno svenimento ed è
quindi possibile che entri in gioco come supporto di funzioni psichiche. Se le
cose stessero così, dovremmo anche domandarci se la normale incoscienza
del sonno, che contiene sogni suscettibili di coscienza, non possa essere
considerata in maniera analoga. Ossia, in altri termini, se i sogni non
procedano meno dall'attività cerebrale assopita che dal simpatico, che non è
coinvolto nel sonno; se i sogni non siano, di conseguenza, di natura
transcerebrale.
All'infuori del parallelismo psicofisico, che è ancora un fenomeno
completamente oscuro, il fenomeno sincronistico non presenta un carattere di
regolarità generale e facilmente dimostrabile. Si percepisce la disarmonia
delle cose tanto quanto si è sorpresi della loro armonia occasionale. Al
contrario dell'idea di un'armonia prestabilita, il fattore sincronistico
presuppone soltanto l'esistenza di un principio necessario per l'attività
conoscitiva del nostro intelletto, principio che si unirebbe come quarto
elemento alla triade riconosciuta di spazio, tempo e causalità. E come questi
sono necessari, sì, ma tutt'altro che assoluti - la maggior parte dei contenuti
psichici sono aspaziali; tempo e causalità sono relativi dal punto di vista
psichico - così anche il fattore sincronistico si dimostra valido solo a certe
condizioni. Ma a differenza della causalità, che domina per così dire
illimitatamente l'immagine del mondo macrofisico e il cui dominio è scosso
soltanto in certi ordini di grandezza inferiori, la sincronicità si dimostra un
fenomeno che sembra connesso principalmente con fatti psichici, cioè con
processi che si svolgono nell'inconscio. Fenomeni sincronistici si verificano
con relativa regolarità e frequenza - in sede sperimentale - nei casi di
procedure intuitive, 'magiche', e qui sono soggettivamente convincenti, certo,
ma è impossibile o difficilissimo dimostrarli obiettivamente ed esprimerli in
statistiche (questa, almeno, è la situazione attuale).
A livello organico la morfogenesi biologica potrebbe forse venire
osservata dall'angolo visuale del fattore sincronistico. Il professor Dalcq (di
Bruxelles) concepisce la forma, nonostante il suo legame con la materia,
come una 'continuità preposta' alla materia vivente. (120) Tra gli eventi
acausali nei quali, come abbiamo visto, rientrano anche quelli sincronistici,
Sir James Jeans annovera anche la disintegrazione del radium. Egli dice: 'La
disintegrazione radioattiva si è presentata come un "effetto senza causa" e ha
spinto a pensare che le leggi ultime della natura non siano neppure causali.
(121) Questa formulazione estremamente paradossale, dovuta alla penna di
un fisico, caratterizza assai bene la perplessità causata dalla disintegrazione
del radio. Quest'ultima, o meglio, il fenomeno del tempo di dimezzamento
sembra infatti un coordinamento acausale, concetto in cui rientra anche la
sincronicità, e sul quale tornerò più avanti.
Nel caso della sincronicità siamo di fronte non a una concezione
filosofica, ma a un concetto empirico che postula un principio necessario per
la conoscenza. Non si tratta né di materialismo né di metafisica. Nessun
ricercatore serio affermerà che la natura di ciò che va stabilito mediante
l'osservazione o la natura di chi compie l'osservazione, cioè della psiche, sia
qualcosa di noto e di riconosciuto. Se le recentissime conclusioni delle
scienze naturali si approssimano a un concetto unitario della realtà, al quale si
adattano da un lato gli aspetti di spazio e tempo e dall'altro quelli di causalità
e sincronicità, ciò non ha assolutamente niente a che fare col materialismo.
Piuttosto sembra emergere qui la possibilità di eliminare
l'incommensurabilità tra osservatore e osservato. Se le cose stessero così, ne
risulterebbe un'unità della realtà che dovrebbe venir espressa da un nuovo
linguaggio concettuale, ossia mediante un 'linguaggio neutrale', secondo una
calzante formulazione di Pauli.
Spazio, tempo e causalità, questa triade della classica immagine fisica del
mondo, si completerebbero grazie al fattore di sincronicità in una tetrade,
ossia in un quaternio che rende possibile un giudizio complessivo.
In questo quadro, la sincronicità si comporta verso gli altri tre princìpi
come l'unidimensionalità (122) del tempo rispetto alla tridimensionalità dello
spazio o come il quarto riluttante nel "Timeo", che - come dice Platone - si
lascia aggiungere al miscuglio dei tre soltanto 'con la forza' (vedi il mio
"Saggio d'interpretazione psicologica del dogma della Trinità", 1942/1948).
Come l'introduzione del tempo in veste di quarta dimensione nella fisica
moderna implica il postulato di un continuum spaziotemporale non
rappresentabile, la sincronicità dà origine, con la sua intrinseca qualità di
significato, a un'immagine del mondo così difficilmente rappresentabile, da
riuscire quasi sconvolgente. (123) Il vantaggio di questa integrazione però è
che rende possibile una concezione che involge nella descrizione e nella
conoscenza della natura il fattore psicoide, ossia un significato aprioristico
(una 'omogeneità'). Con ciò si ripresenta e si risolve a un tempo un problema
che da un millennio e mezzo percorre come un filo bianco le speculazioni
della filosofia naturalistica alchimistica, il cosiddetto "assioma di Maria
l'Ebrea" (o la Copta): "ek tou tríton to en tétarton" [dal terzo procede l'uno
come quarto] (vedi "Psicologia e alchimia", 1944) Anche questa oscura
osservazione conferma ciò che ho detto prima, che cioè si scoprono di
massima nuovi punti di vista non in un terreno già conosciuto, ma in luoghi
appartati, evitati o addirittura screditati. L'antico sogno degli alchimisti - la
trasmutazione degli elementi chimici, quest'idea tanto derisa - si è realizzato
nella nostra epoca, e la loro simbologia, che era oggetto d'irrisione non meno
dei loro propositi, è diventata una vera miniera per la psicologia
dell'inconscio. Il loro dilemma fra Tre e Quattro, che si presenta già nel
racconto che fa da cornice al "Timeo" e si prolunga fino alla scena dei Cabiri
nella seconda parte del "Faust" di Goethe, è stato riconosciuto da un
alchimista del sedicesimo secolo, Gerardus Dorneus, come la scelta decisiva
tra la Trinità cristiana e il "serpens quadricornutus" [il serpente dalle quattro
corna], cioè il diavolo. Quasi presentendo ciò che poi verrà, egli si
premunisce contro la quaternità pagana, che pure sta tanto a cuore agli
alchimisti, poiché è sorta dal "binarius" (il numero due), vale a dire da ciò che
è materiale, femmineo e diabolico. (124) Marie-Louise von Franz ha
dimostrato (125) l'emergere di questo pensiero trinitario nella parabola di
Bernardo Trevisano, prima nell'"Amphitheatrum" di Khunrath, poi in M.
Majer e nell'Anonimo dell'"Aquarium Sapientum". Wolfgang Pauli rimanda
alla polemica tra Keplero e Robert Fludd, in seguito alla quale la teoria della
corrispondenza di Fludd venne a cadere e fu costretta a cedere il campo alla
teoria dei tre princìpi di Keplero. (126) Alla decisione favorevole alla Trinità,
che contrasta in certo modo con la tradizione alchimistica, seguì un periodo
scientifico-naturalistico che non conosceva più la "correspondentia",
aderendo esclusivamente a un'immagine triadica del mondo che continuava il
tipo di pensiero trinitario, ossia del mondo descritto e interpretato mediante
spazio, tempo e causalità.
La rivoluzione provocata nella fisica dalla scoperta della radioattività ha
modificato considerevolmente le concezioni classiche. La modificazione è
così notevole che siamo costretti a sottoporre a revisione lo schema classico
al quale mi sono richiamato in precedenza. Grazie al cortese interesse che il
professor Pauli ha dimostrato per le mie ricerche, mi sono trovato nella
favorevole situazione di poter discutere tale questione di princìpi con un
fisico famoso, che è in grado di apprezzare al tempo stesso anche i miei
argomenti psicologici. Questo mi mette in grado di avanzare una proposta
che coinvolge anche la fisica moderna. Pauli suggerì di sostituire alla
contrapposizione spazio-tempo dello schema classico, quella (conservazione
dell'energia-continuum spazio-tempo. Questa proposta mi ha indotto a
circoscrivere maggiormente la coppia causalità-sincronicità per ottenere un
certo legame tra questi due concetti eterogenei. Di conseguenza ci siamo
trovati d'accordo sul seguente quaternio.
Questo schema soddisfa da un lato i postulati della fisica moderna,
dall'altro quelli della psicologia. Il punto di vista psicologico richiede una
spiegazione. Una spiegazione causalistica della sincronicità sembra esclusa,
come abbiamo detto prima. La sincronicità consiste essenzialmente in
omogeneità 'casuali'. Il suo "tertium comparationis" si basa su dati psicoidi
che definisco col termine di archetipi. Gli archetipi sono "indistinti", cioè
possono essere riconosciuti e definiti solo in maniera approssimativa. Sono sì
associati ai processi causali, o 'portati' da questi, ma incorrono in una sorta di
valicamento di confini che definirei come trasgressività, poiché non vengono
individuati univocamente ed esclusivamente solo nell'ambito psichico, ma
possono comparire anche in circostanze non psichiche. (Omogeneità di un
processo fisico esterno con un processo psichico.) Le omogeneità
archetipiche si comportano in maniera contingente rispetto alla
determinazione causale, cioè tra esse e i processi causali non esistono rapporti
normativi. Esse sembrano quindi rappresentare un caso particolare di
quell'assenza di norme e causalità o di quello 'stato senza leggi' che, come
dice Andreas Speiser, 'viene trasportato nel tempo in maniera del tutto
conforme alla norma'. (127) Si tratta di quello stato iniziale che 'non è più
definito dalla legge meccanica'. E' la premessa casuale o il sostrato a cui si
riferisce la legge. Se annoveriamo la sincronicità, e gli archetipi, nell'ambito
del contingente, questo acquista l'aspetto specifico di un "modus" che ha, dal
punto di vista funzionale, il significato di un fattore che plasma il mondo.
L'archetipo rappresenta la "probabilità psichica", poiché configura eventi
istintuali ordinari in una sorta di "tipi". E' il caso psichico particolare della
probabilità generale, che 'consiste in leggi del caso e configura regole per la
natura esattamente come fa la meccanica'. (128) Bisogna convenire con
Speiser che - se non altro nell'ambito dell'intelletto puro - il contingente è
'una materia priva di forma', ma si rivela all'introspezione psichica, là dove si
lascia cogliere da una percezione interna, come immagine o meglio come tipo
che sta alla base non solo delle omogeneità psichiche ma, stranamente, anche
delle omogeneità psicofisiche.
E' difficile liberarsi dell'intonazione causalistica propria del linguaggio
concettuale. L''essere alla base' non corrisponde affatto, nonostante la sua
scorza verbale causalistica, a un dato di fatto causale, bensì a un "semplice
esistere" o "essere-così", vale a dire a una contingenza non ulteriormente
riducibile. La coincidenza significativa o l'omogeneità di uno stato psichico e
uno fisico, senza alcun rapporto reciproco di causalità, significa, intesa in
generale, una modalità acausale, un coordinamento senza causa. A questo
punto nasce un problema: la nostra definizione della sincronicità, che si
riferisce all'omogeneità di processi psichici e fisici, non potrebbe essere
ampliata, o non esigerebbe un ampliamento? Questa esigenza sembra imporsi
se teniamo conto della nostra succitata concezione più generale della
sincronicità, intesa come 'coordinamento acausale'. Sotto questo concetto
ricadono infatti praticamente tutti gli 'atti creativi', i dati a priori, come per
esempio le caratteristiche dei numeri naturali, le discontinuità della fisica
moderna eccetera. Così facendo includeremmo tuttavia nell'ambito del nostro
concetto ampliato fenomeni costanti e sempre riproducibili sperimentalmente,
il che non sembra corrispondere alla natura dei fenomeni intesi nel concetto
più ristretto di sincronicità. Questi infatti sono di norma casi singoli che non
consentono una riproduzione sperimentale. Ciò non vale tuttavia in assoluto,
come dimostrano gli esperimenti di Rhine e le molteplici esperienze compiute
con soggetti 'chiaroveggenti'. Questi fatti dimostrano che nella sfera dei casi
singoli incommensurabili, "vulgo 'curiosa'", vi sono anche certe regolarità e
quindi fattori costanti, il che ci costringe a concludere che il nostro concetto
più ristretto di sincronicità probabilmente è davvero troppo limitato e richiede
quindi d'essere ampliato. In effetti io sono incline a supporre che la
sincronicità nel senso più stretto non è che un caso particolare del generale
coordinamento acausale, e precisamente quello dell'omogeneità di processi
psichici e fisici nel quale l'osservatore si trova nella situazione favorevole per
conoscere il "tertium comparationis". Ma, nell'atto di percepire il fondamento
archetipico, egli cade anche nella tentazione di ricondurre l'assimilazione di
processi psichici e fisici reciprocamente indipendenti a un effetto (causale)
dell'archetipo e quindi di trascurarne la pura contingenza. Tale pericolo è
evitabile se si considera la sincronicità come un caso particolare del
coordinamento generale. Così facendo si evita pure un aumento
inammissibile dei princìpi esplicativi: l'archetipo è la forma del
coordinamento psichico a priori, forma riconoscibile per via d'introspezione.
Se a questo si associa un processo sincronistico esterno, esso segue lo stesso
disegno fondamentale, ossia è ordinato allo stesso modo. Questa forma del
coordinamento si distingue da quella delle peculiarità dei numeri interi o
delle discontinuità della fisica per il fatto che queste ultime sono reperibili da
sempre e regolarmente, mentre le forme di coordinamento psichico
rappresentano atti creativi nel tempo. E' questo, sia detto di passaggio, il
motivo profondo per cui ho sottolineato come caratteristica di questi
fenomeni la componente tempo, e li ho definiti col termine di 'sincronistici'.
La scoperta moderna della discontinuità (cioè dell'ordinamento, per
esempio, del quanto di energia, della disintegrazione del radio eccetera) ha
posto termine al dominio esclusivo della causalità e quindi alla triade dei
princìpi. Il terreno che questa triade ha perduto apparteneva prima alla sfera
della "correspondentia" e della "sympathia", concetti che raggiunsero la loro
massima espansione nell'armonia prestabilita di Leibniz. Schopenhauer
conosceva troppo poco i fondamenti empirici dell'idea di corrispondenza per
rendersi conto che il suo tentativo di spiegazione causalistico non aveva
alcuna prospettiva di successo. Oggi noi siamo in una situazione favorevole
che ci permette di disporre, grazie agli esperimenti ESP, di parecchio
materiale sperimentale. Possiamo farci un'idea dell'attendibilità di questo
materiale quando si rifletta che per esempio i risultati degli esperimenti ESP
di S.G. Soal e K. M. Goldney, come sottolinea G. E. Hutchinson, (129)
posseggono una probabilità di l: 10 elevato 31. 10 elevato 31 equivale alla
somma delle molecole in 250000 tonnellate d'acqua. Sono relativamente
pochi nell'ambito delle scienze naturali i lavori sperimentali i cui risultati
raggiungano un grado di sicurezza anche solo approssimativamente così
elevato. Lo scetticismo esagerato verso l'ESP non ha realmente ragioni
sufficienti da addurre in suo favore. La sua ragion d'essere sostanziale è data
oggi soltanto dall'ignoranza che purtroppo accompagna come conseguenza
quasi inevitabile gli specialisti, e che chiude l'orizzonte - che per forza di cose
è già di per sé ristretto - degli studi specialistici in maniera sgradita e
dannosa, precludendo loro l'accesso a punti di vista più alti e più ampi. Non è
certo un'esperienza nuova scoprire che opinioni cosiddette superstiziose
contengono un germe di verità che merita d'essere conosciuto. Analogamente
potrebbe ben darsi che il significato originariamente magico della parola
"wünschen" (augurare, desiderare) - che è ancora conservato nell'espressione
"Wünschelrute" (bacchetta divinatoria o magica) e che esprime non solo il
semplice 'desiderare' nel senso di 'aspirare a', ma anche al tempo stesso un
operare (magico) - così come la credenza tradizionale nell'efficacia della
preghiera si basino sull'esperienza di concomitanti fenomeni sincronistici.
(130)
La sincronicità non è più enigmatica o più misteriosa di quanto lo siano le
discontinuità della fisica. Soltanto la radicata convinzione dell'onnipotenza
della causalità crea difficoltà alla comprensione e fa apparire impensabile che
possano verificarsi o esistere eventi privi di causa. Ma se essi esistono,
dobbiamo definirli 'atti creativi' nel senso di una "creatio continua", di un
coordinamento che in parte si ripete da sempre, in parte sporadicamente, e
che non può venire dedotto da nessun antecedente costatabile. (131) Bisogna
guardarsi ovviamente dal considerare acausale ogni evento la cui causa sia
ignota. Il ricorso al concetto di acausale è ammissibile soltanto nei casi, come
ho già sottolineato, in cui una causa non è neppure pensabile. Questo 'esser
pensabile' tuttavia è un concetto che esige una strenua critica. Per esempio: se
l'atomo corrispondesse al suo concetto filosofico originario, la sua scindibilità
sarebbe impensabile. Ma se esso mostra di essere una grandezza misurabile,
allora è la sua inscindibilità che è impensabile. Coincidenze significative
sono pensabili come puri casi. Ma quanto più si assommano e quanto più
grande e più precisa è la corrispondenza, tanto più diminuisce la loro
probabilità, e tanto più cresce la loro impensabilità: vale a dire, non possono
più valere come puri e semplici casi, ma - in mancanza di una possibile
spiegazione causale - debbono essere concepiti come ordinamenti. La
'mancanza di una possibile spiegazione' non deriva qui, come abbiamo già
rilevato, soltanto dal fatto che la causa è ignota, ma dal fatto che non c'è
causa pensabile con i nostri mezzi intellettivi. E' il caso che si verifica
necessariamente quando spazio e tempo perdono il loro significato, o sono
diventati relativi, perché in tali circostanze diventa impossibile stabilire, anzi
addirittura pensare in generale, una causalità, la quale presuppone, per
esistere, spazio e tempo.
Per questi motivi mi sembra necessario introdurre accanto allo spazio, al
tempo e alla causalità, una categoria che non solo rende possibile
caratterizzare i fenomeni di sincronicità come una classe particolare di eventi
naturali, ma che comprende anche il contingente come un qualcosa che da un
lato è generale ed esiste da sempre, e che dall'altro è la somma di molti atti
individuali di creazione che si realizzano nel tempo.
CRONOLOGIA.
NOTE all'Avvertenza.
NOTE.
Nota 1: Il termine "Zu-fall" (ciò che 'cade verso', 'accade a' uguale caso),
come il termine "Ein-fall" (uguale 'caduta', ma anche nel senso di ciò che
'cade' o sorge spontaneo nella mente, e quindi: idea, trovata), è quanto mai
calzante: è ciò che si muove verso qualcuno come se ne fosse attirato.
Nota 2: P. Kammerer, "Das Gesetz der Serie" (Stoccarda e Berlino 1919).
Nota 3: Ibidem, pag. 130.
Nota 4: Ibidem, pagine 36, 93 sg., 102 sg.
Nota 5: Ibidem pag. 117: 'La legge della serie è espressione della legge di
persistenza degli oggetti (formanti la serie) che concorrono nelle sue
ripetizioni. Data la perseveranza incomparabilmente maggiore che, rispetto al
corpo singolo e alla forza singola, è propria del complesso di corpi e di forze,
si spiega la persistenza di un'identica costellazione e il verificarsi
concomitante di ripetizioni per lunghissimi periodi...'
Nota 6: Ibid. pag. 130.
Nota 7: Ibid., pag. 94.
Nota 8: La numinosità di una serie casuale cresce proporzionalmente al
numero delle componenti della serie. Ciò significa che contenuti inconsci
(presumibilmente archetipici) ne vengono costellati, e di qui nasce
l'impressione che la serie sia 'causata' da tali contenuti. Come ciò sia
possibile, è cosa che non ci si può rappresentare esattamente senza prendere
in esame categorie addirittura magiche. Per questo ci si accontenta di norma
della pura e semplice impressione.
Nota 9: Per completare quanto ho detto vorrei ricordare che scrivevo
queste righe stando in riva al lago di Zurigo. Quando ebbi terminato la frase,
feci qualche passo sul muro che costeggia il lago: sul muro c'era un pesce,
morto e apparentemente intatto, lungo circa 30 centimetri. La sera prima non
c'era nessun pesce in quello stesso punto (è probabile che fosse stato tirato
fuori dall'acqua da un uccello rapace o da un gatto). Quel pesce era il settimo
della serie.
Nota 10: C'è una certa perplessità a proposito del modo in cui va
concepito quel fenomeno che W. Stekel ("Die Verpflichtung des Namens",
Mollsche Z. Psychother. med. Psychol., vol. 3, Stoccarda 1911) ha definito
come 'obbligazione imposta dal nome'. Si tratta di coincidenze, in parte
grottesche, tra il nome e le caratteristiche di una persona. Per esempio il
signor Grandi soffre di megalomania, il signor Piccoli ha un complesso
d'inferiorità. Due sorelle Vecchi sposano entrambe uomini più vecchi di loro
di vent'anni, il signor Grassi è ministro dell'Alimentazione, il signor Lingua
fa l'avvocato, il signor Ragazzini fa l'ostetrico, il signor Freud (Freud
significa 'gioia') propugna il principio di piacere, il signor Adler (Adler
significa 'aquila') la volontà di potenza, il signor Jung (uguale 'giovane') l'idea
della rigenerazione eccetera. Si tratta in tutti questi casi di assurdi capricci del
caso, o di effetti di suggestione esercitata dal nome, come sembra ipotizzare
Stekel, oppure di 'coincidenze significative'?
Nota 11: [Pubblicato in "Parerga e paralipomena", trad. it. (Boringhieri,
Torino 1963.)]
Nota 12: Di qui il termine che ho adottato 'sincronicità'.
Nota 13: Bisogna far eccezione per Kant. Nel suo saggio "Traume eines
Geistersehers, erläutert durch Träume der Metaphysik" egli spianò la strada a
Schopenhauer.
Nota 14: E. Gurney, F. Myers e F. Podmore, "Phantasms of the Living", 2
volumi (Londra 1886).
Nota 15: X. Dariex, "Le hasard et la thélépathie", Ann. Sci. psych., vol. 1
(Parigi 1891) pag. 300.
Nota 16: C, Richet, "Relations de diverses expériences sur transmission
mentale, la lucidité, et autres phénomènes non explicables par les données
scientifiques actuelles", Proc. Soc. psych. Res., vol. 5 (Londra 1888).
Nota 17: C. Flammarion, "L'inconnu et les problèmes psychiques" (Parigi
1900) pagine 227 sgg.
Nota 18 Ibid., pag. 241.
Nota 19 Ibid., pagine 228 sg.
Nota 20 Ibid., pag. 231. Un certo Monsieur Deschamps ricevette in dono
da bambino, a Orléans, un pezzetto di "plumpudding" da un certo Monsieur
de Fontgibu. Dieci anni dopo scoprì di nuovo un "plumpudding" in un
ristorante di Parigi e ne ordinò un pezzo. Venne fuori però che il pudding era
stato ordinato da qualcun altro, e precisamente da Monsieur de Fontgibu.
Molti anni più tardi Monsieur Deschamps fu invitato a gustare un
"plumpudding", una specialità rara, gli assicurarono. A pranzo egli osservò
che ora non mancava più che Monsieur de Fontgibu. In quel momento le
porte si aprirono e un vecchissimo signore disorientato fece il suo ingresso:
era Monsieur de Fontgibu, che aveva sbagliato indirizzo ed era capitato per
errore in quella riunione.
Nota 21: W. von Scholz, "Der Zufall: eine Vorform des Schicksals"
(Stoccarda 1924).
Nota 22: H. Silberer, "Der Zufall und die Koboldstreiche des
Unbewussten, 'Schriften zur Seelenkunde und Erziehungskunst'", vol. 3
(Berna e Lipsia 1951).
Nota 23: J. B. Rhine, "Extra-Sensory Perception" (Boston Society for
Psychic Research, Boston 1934) e "New Frontiers of the Mind" (Farrar &
Rinehart, New York e Toronto 1937); J. G. Pratt, Rhine, B. M. Smith, C. E.
Stuart e J. A. Greenwood, "Extra-Sensory Perception after Sixty Years" (New
York 1940). Un'esposizione generale dei risultati si trova in Rhine, "The
Reach of the Mind" (Faber & Faber, Londra 1948) e anche nell'opera
raccomandabilissima di G. N. M. Tyrrell, "The Personality of Man"
(Harmondsworth e New York 1946). Un breve ma chiaro riassunto si trova in
Rhine, "An Introduction to the Work of Extra. Sensory Perception", in
'Transactions of the New York Academy of Sciences', serie 2, vol 12 (New
York 1950) pagine 164 sgg.
Nota 24: Rhine, "The Reach of the Mind" cit., pag. 49.
Nota 25: Rhine e Betty Humphrey, "Transoceanic ESP Experiment", J.
Parapsychol., vol. 6 (Durham, N.C. 1942) pagine 52 sgg.
Nota 26: Rhine, "The Reach of the Mind" Cit., pagine 73 sgg.
Nota 27: Il professor Wolfgang Pauli ha richiamato cortesemente la mia
attenzione su questo lavoro.
Nota 28: Kammerer s'è occupato del problema della 'reazione dello stato
posteriore allo stato anteriore', ma non in maniera completamente persuasiva
("Das Gesetz" cit., pagine 131 sg.).
Nota 29: [Titolo con cui fu pubblicato inizialmente (Eranos Jb., vol. 14,
1946) il saggio "Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche" (1947/1954);
trad. it. in "La dimensione psichica" (Universale scientifica Boringhieri, NN.
83/84).]
Nota 30: Per essere più precisi lo 'sciamare' comincia poco prima e finisce
poco dopo questo giorno. In questo giorno si verifica solo il massimo. I mesi
cambiano a seconda del luogo. Il "wawo" degli Amboini dovrebbe apparire
con la luna piena a marzo (A. F. Krämer, Über den Bau der Korallenriffe",
Kiel e Lipsia 1897).
Nota 31 F. Dahns, "Das Schwärmen des Palolo", Naturforscher, vol. 8, N.
11 (Lichterfelde 1932).
Nota 32: Già alcuni anni prima mi erano sorti dubbi sull'applicazione
illimitata del principio causale in psicologia. Nella prefazione alla prima
edizione dei 'Collected Papers on Analytical Psychology' (1916) scrivevo: 'La
causalità è solo un principio, e la psicologia non può venir esaurita soltanto
con metodi causali, perché lo spirito [uguale la psiche] vive egualmente di
fini' [citato in inglese da Jung]. La finalità psichica si fonda su un senso
'preesistente' che diventa problematico solo in seguito, quando si tratta di un
arrangiamento inconscio. In questo caso infatti bisogna supporre una specie
di 'sapere' anteriore ad ogni coscienza conclusione cui è giunto anche Hans
Driesch ("Die 'Seele' als elementarer Naturfaktor. Studien über die
Bewegungen der Organismen", Lipsia 1903, pagine 80 sgg.).
Nota 33: Secondo Omero le anime dei morti 'cinguettano'.
Nota 34: Cose del genere possono essere costatate naturalmente solo se il
medico dispone delle necessarie conoscenze in materia di storia del simbolo.
Nota 35: Rimando a quanto ho scritto in "Riflessioni teoriche sull'essenza
della psiche" (1947/1954) [pagine 284 sg.].
Nota 36: Un esempio letterario sono "Le gru d'Ibico" [lirica di Schiller
(1798) ispirata alle vicende del poeta greco Ibico assassinato da ladroni che
furono assicurati alla giustizia dalla presenza di uno stormo di gru]. Quando
uno stormo di gazze si posa strepitando su una casa, ciò significa una morte
eccetera. Si pensi anche al significato degli auspici degli àuguri.
Nota 37: J. W. Dunne, "An Experiment with Time" (Black, Londra 1927)
pagine 34 sgg.
Nota 38: A. Geulincx, "Opera philosophica", 3 voll. (L'Aia 1891-99),
Metaphysica vera, pt. 3, scienza seconda.
Nota 39: J. P. Eckermann, "Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren
seines Lebens" (Insel, Lipsia 1932) pagine 359 sg.
Nota 40: Gurney, Myers e Podmore, "Phantasms" cit.
Nota 41: Recentemente Pascual Jordau ha meritoriamente spezzato una
lancia per promuovere la ricerca scientifica della chiaroveggenza spaziale
("Positivische Bemerkungen über die parapsychischen Erscheinungen", Zbl.
Psychother., vol. 9, 1936). Rimando anche al suo saggio "Verdrängung und
Komplementarität" (Amburgo 1947), che è importante per i rapporti tra la
microfisica e la psicologia dell'inconscio.
Nota 42: Se l'esperimento viene eseguito con i classici gambi di achillea,
la suddivisione dei 49 gambi rappresenta il fattore casuale.
Nota 43: Ho pubblicato per la prima volta questa definizione nel mio
discorso in memoria di Richard Wilhelm (10 maggio 1930, a Monaco). Il
discorso è stato pubblicato nella seconda e nelle successive edizioni del
"Segreto del fiore d'oro" (curato nel 1929 congiuntamente da Wilhelm e da
me). A p. 11 si legge: 'La scienza dell'I Ching non si basa infatti sul principio
causale ma su un principio finora non nominato - perché non preso in
considerazione nel nostro pensiero - e che ho definito in via sperimentale
principio sincronistico.'
Nota 44: Rinvio a "I Cing", a cura di Richard Wilhelm [trad. it. "I King"
(Astrolabio, Roma 1950)].
Nota 45: Citato già nel "Liber etymologiarum" di Isidoro di Siviglia, Ib.
VIII, cap. 9. 13.
Nota 46: Si possono impiegare a tale scopo anche granelli di qualsiasi
specie o un certo numero di dadi.
Nota 47: La miglior esposizione si trova in Robert Fludd, "Animae
intellectualis scientia seu De geomantia", in 'Fasciculus geomanticus in quo
varia variorum opera geomantica' (Verona 1687); Fludd visse dal 1574 al
1637. Vedi anche L. Thorndike, "A History of Magic and Experimental
Science. During the First Thirteen Centuries of Our Era", 6 voll. (Macmillan,
New York 1929-41) vol. 2, pag. 110.
Nota 48: Altri dati di fatto non ambigui sarebbero l'omicidio e il suicidio.
Le statistiche in proposito si trovano in H. von Klockler, "Astrologie als
Erfahrungswissenschaft" (Reinicke, Lipsia 1927, pagine 232 sgg. e 260 sgg.),
ma purtroppo manca il paragone con valori medi normali e sono quindi
inutilizzabili ai nostri fini. Invece Paul Flambart ("Preuves et bases de
l'astrologie scientifique", Parigi 1921, pagine 79 sgg.) ha rappresentato
graficamente una statistica sull'Ascendente in persone (123) spiritualmente
eminenti. Ne risultano chiari addensamenti agli estremi del trigono d'aria
(segni di: gemelli, bilancia, acquario - Descrizione O.T. ) Questo risultato è
stato confermato da altri 300 casi.
Nota 49: A questo punto è probabile che l'astrologo più o meno
professionista reprima a stento un sorriso, perché per lui corrispondenze del
genere sono semplicemente ovvie. Un esempio classico è il legame di Goethe
con Christiane Vulpius, ossia (segni di: sole quinta vergine congiunzione luna
settima vergine)
Nota 50: Questa concezione esiste già in Tolomeo: '[Tolomeo] enumera
tre casi di accordo: il primo quando il Sole [nell'oroscopo] dell'uomo, e il
Sole o la Luna in quello della donna, o la Luna in entrambi, si trovano in
aspetto trigono o sestile. Il secondo quando la Luna [nell'oroscopo] dell'uomo
e il Sole in quello della donna si trovano nella stessa posizione [(segno di
uguale) allo stesso grado]. Il terzo quando si ricevono reciprocamente [(segno
di uguale) sono in posizione complementare]' Nella stessa pagina Cardano
cita Tolomeo ("De astrorum iudiciis"): 'In generale, la loro vita in comune
sarà lunga e costante quando negli oroscopi i luminari [(segno di uguale) Sole
e Luna] si trovano in aspetti armonici.' Egli considera particolarmente fausta
per il matrimonio la congiunzione di una Luna maschile con un Sole
femminile (H. Cardanus, "Commentaria in Ptolemaeum De astrorum
iudiciis", in "Opera omnia", Lione 1663, vol. 4, pag. 332).
Nota 51: Rimando all'esposizione riassuntiva che il professor Max Knoll
di Prjnceton ha dato nella sua conferenza 'Eranos' ("Wandlungeu der
Wissenschaft in unserer Zeit", Eranos Jb., vol. 20, Zurigo 1952).
Nota 52: Vedi per esempio i risultati statistici ottenuti da K. E. Krafft
("Traité d'astrobiologie", Parigi, Losanna e Bruxelles 1939, pagine 23 sgg. e
passim).
Nota 53: Non ho preso in esame gli aspetti quadratici e sestili, né i
rapporti col "Medium" e l'"Imum Coeli" che naturalmente farebbero parte del
quadro, per non complicare inutilmente l'esposizione. Non si tratta infatti di
sapere che cosa siano gli aspetti matrimoniali, ma se il matrimonio in
generale risulti evidente dal punto di vista dell'oroscopo.
Nota 54: Il caso seguente dimostra come possano essere 'sottili' queste
cose. Una mia collaboratrice ricevette poco tempo fa l'incarico di predisporre
i posti a tavola per una cena a cui partecipavano parecchie persone. Se ne
occupò con cura e con circospezione. All'ultimo momento però comparve un
ospite inatteso, un uomo assai stimato, che si doveva assolutamente sistemare
in maniera adeguata. Questo fatto sconvolse la disposizione dei posti che la
mia collaboratrice aveva preparato, e si dovette trovare in gran fretta un'altra
sistemazione Non c'era tempo per riflettere a lungo. Quando fummo seduti a
tavola, il quadro astrologico che risultò nei posti contigui all'ospite era il
seguente: (nel testo i segni dell'oroscopo sono in disegni, lo schema è su due
file N.O.T.)
Prima fila:
Signora: Luna in Nodo lunare; Signora: Sole in Punto di "morte"; Ospite:
Sole in Toro; Signora: Sole in Punto di "morte".
Seconda fila
Signora: Sole in Nodo lunare; Signora: Luna in Punto di "morte";
Signore: Luna in Toro; Signora: Luna in Punto di "morte".