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La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art.2)
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art.3)
Il testo della Costituzione tuttavia dette ampio spazio alle tematiche sociali, modificando la
filosofia della legislazione sociale precedente: la beneficenza privata e religiosa non sarebbe
stata più lo strumento esclusivo per combattere la malattia e la miseria e, sulla scia di
quanto teorizzato dal liberale inglese Beveridge nel 1942, avveniva la fondazione
programmatica dell’assistenza per tutti i cittadini da parte dello Stato:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e
vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e
all'avviamento professionale” (art. 38)
Questo articolo porrà le basi per l’attuazione del diritto alla salute, trent’anni dopo,
inteso non solo come diritto alle cure, ma anche come prevenzione e riabilitazione: la
riforma sanitaria (legge 833 del ’78) sarà resa possibile dopo il varo delle le Regioni
avvenuto nel 1975 (col DPR 616\’77 poi verranno loro attribuite una serie di funzioni
amministrative decentrate).
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Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale
scopo” (art.31).
Questo avrebbe voluto dire la conferma di Enti Nazionali già esistenti, come
l’ONMI e le varie IPAB, ma anche resi possibili una serie di altri interventi promossi anni
più tardi in servizi diffusi sul territorio a livello locale, come i Consultori (1975).
“La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale…”
Il concetto di sociale che quindi emerge dalla Costituzione è quello di una dimensione
orizzontale e paritaria rispetto alla dimensione politica ed economica, che interagisce
con le condizioni personali del cittadino. Si rifà quindi ai concetti moderni della
sociologia, per cui i sottosistemi si integrano a diversi livelli di complessità e
funzionalità.
Questa cultura unitaria della ricostruzione, oltre a favorire il fiorire delle attività
produttive e intellettuali sostenne la crescita delle professioni del sociale funzionali al
processo di ricostruzione del Paese: ad esempio l’UNRRA e l’AAI infatti favorirono la
formazione delle assistenti sociali, finanziando in parte nuove scuole, rifondate su
principi democratici, con orientamenti ispirati a modelli metodologici americani e molte
diplomate trovarono impiego negli organismi di promozione, sviluppo e assistenza,
istituiti proprio per la ricostruzione.
Gli anni maturi del Centrismo furono caratterizzati dal miracolo economico (1958-63),
che cambiò profondamente l’Italia: l’industrializzazione si produsse soprattutto al Nord,
che era inserito nell’economia internazionale, grazie allo sviluppo delle grandi aziende
capitalistiche meccanizzate; flussi migratori dal Mezzogiorno spopolarono i centri rurali,
lacerando le comunità tradizionali; si indeboliva fino a sparire nelle città settentrionali il
modello autoritario della famiglia patriarcale; la televisione distribuiva modelli di
comportamento nuovi all’interno della borghesia e anche della classe operaia.
“…….. la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla
sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica
delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive;
aiuta la piccola e la media proprietà.” (art.44)
Si tentò quindi negli Anni Cinquanta una riforma agraria, che redistribuì il 30% delle
terre ai contadini, spezzettando il latifondo: tale frammentazione non favorì tuttavia la
nascita di un’azienda agraria moderna, soprattutto al centro-sud. Da sinistra gli
interventi di riforma iniziati nel 1952 (Sila) e continuati negli anni seguenti vennero
criticati aspramente, anche perché miravano ad erodere il consenso che il PCI aveva
iniziato a ottenere fra i braccianti.
Comunque la terra che non era in grado di dare un futuro alle nuove generazioni e il
fascino che aveva la città su di esse, favorirono la migrazione interna: si crearono
problemi di integrazione sociale, disadattamento, devianza e povertà. Si accentuarono
gli squilibri fra nord e sud, fra città e campagna, tra zone industriali e zone depresse. Il
sistema politico non promosse subito le riforme di welfare-state necessarie per far
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fronte ai problemi umani , familiari e sociali generati dal rapido sviluppo economico e
dall’arretratezza ereditata in alcune aree del paese.
Questi problemi venivano quindi scaricati nel sistema assistenziale: molti cittadini erano
senza assistenza in quanto questa era prestata da enti previa dimostrazione del
possesso di specifici requisiti di categoria. Le competenze assistenziali venivano
erogate da vari ministeri non coordinati fra loro. Senza contributi non si aveva
l’assistenza sanitaria e gli enti mutualistici intervenivano solo dopo l’insorgenza della
malattia, rimborsando le spese (assistenza indiretta). Le IPAB e le iniziative private
caritatevoli si erano di nuovo moltiplicate, per far fronte all’insorgere degli emergenti
problemi economici e sociali.
Nel 1960 Moro propone un’apertura politica ai socialisti, che nel febbraio 1962
danno il loro appoggio esterno al governo. Nel 1963 i socialisti entreranno con propri
ministri nel governo: seguirà la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la luce entrerà
progressivamente in tutte le case (e con essa la televisione); verrà varata la scuola
dell’obbligo, creati i centri medico-psico-pedagogici e abrogate le classi differenziali;
sarà prevista la giusta-causa per i licenziamenti e istituita la pensione sociale; sarà
possibile l’adozione speciale; la riforma ospedaliera costituirà un primo passo verso la
razionalizzazione del sistema sanitario e la creazione di una rete statale di cura.
Il dibattito sui diritti (lavoro, casa, salute, istruzione, assistenza) avrà il suo apice
tra la fine degli Anni Sessanta e la metà degli Anni Settanta, con i Movimenti degli
studenti, degli operai e delle donne: la scuola, il voto, la partecipazione politica e
culturale si erano estesi a questi soggetti sociali, erano diventati “di massa”, senza che
le legittime esigenze di questi gruppi fossero però soddisfatte, rimanendo
sostanzialmente immutato il quadro sociale del Paese.
L’anno dopo vedono la luce le norme che individuano gli ultimi invalidi non
compresi fino ad allora nelle categorie assistite: gli “invalidi civili”, che godranno della
relativa pensione minima senza bisogno di versamenti contributivi, sulla base di una
certificazione medico legale redatta da un’apposita commissione specialistica. Purtroppo
tale investimento di civiltà (come è avvenuto per tanti altre buone leggi italiane) diverrà
l’ennesimo excamotage per sostenere i redditi e i consumi nelle aree depresse del Paese
(quindi senza reale produzione e sviluppo), alimentando contemporaneamente un ceto
politico clientelare.
Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi,
con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se
nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che
siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela
giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge
detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
La legislazione degli Anni Settanta sarà fortemente innovativa in questo campo: del
1970 è la legge sul divorzio -cui seguirà quattro anni dopo il referendum popolare che
segnerà uno spartiacque nella cultura del paese- del 1971 le norme sull’astensione
obbligatoria in maternità e la legge sugli asili nido; del 1975 la riforma del diritto di
famiglia, che sancisce parità fra coniugi, tutela la vedova e i figli, istituisce la comunione
dei beni; così anche dello stesso anno sono lo scioglimento dell’ONMI e la nascita dei
Consultori familiari.
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In questo quadro di turbolenza sistemica si era inserito il progetto di Moro di far
partecipare il PCI (che aveva aumentato i suoi consensi elettorali) all’area governativa,
per giungere ad un mutamento democratico senza però far perdere alla DC la propria
centralità, come era avvenuto con l’esperienza del Centro-sinistra. Questo progetto
trovava convergenza nelle posizioni del segretario del PCI, Berlinguer, che da tempo,
nell’ottica di un allargamento alle masse della base di governo (di concezione
gramsciana), propugnava l’idea del “compromesso storico”.
Condizione di ciò era per Berlinguer la creazione di un terreno comune di valori, che
significativamente verrà costruito in quegli anni proprio nel campo della legislazione
socio-sanitaria e della lotta al terrorismo, insieme alle forze laiche e soprattutto
cattoliche.
Nel 1975 nascono le Regioni e molte avranno alle prime elezioni un governo di sinistra
(PCI-PSI). Dopo le elezioni del ‘76 a Roma ci sarà il primo Consiglio Comunale di sinistra
(PCI-PSI e al.) e la nascita del decentramento amministrativo. A livello nazionale viene
varata nel 1975 la Riforma Carceraria. Nel 1977 si registra un nuovo attivismo del
movimento studentesco nelle università.
Si prepara così nel marzo del 1978 un governo Andreotti di “solidarietà nazionale”, cui il
PCI avrebbe fornito il suo appoggio esterno. La mattina del 16 marzo, giorno previsto
per la presentazione parlamentare Moro fu rapito dalle Brigate Rosse.
Il 9 maggio 1978 Moro viene ucciso, il 22 maggio è varata la legge 194 sull’
interruzione volontaria della gravidanza e il 13 maggio la legge 180 ( abolizione dei
manicomi, costruzione di servizi territoriali di igiene mentale, trattamento sanitario
obbligatorio secondo regole restrittive ) in linea con il c. 2 dell’art.32 della Costituzione:
Nel dicembre di quell’anno ci sarà ultima radicale riforma sociale, frutto della
stagione della solidarietà nazionale: viene varata la Riforma Sanitaria (in discussione dal
primo dopoguerra), che estende le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione a
tutti i cittadini, creando servizi territoriali diffusi e potenzialmente omogenei su tutto il
territorio nazionale.
Dopo il 1978 non vi saranno nuove riforme radicali nel campo del sociale e della
famiglia: si applicheranno quelle varate in precedenza, con alterne vicende e critiche
dall’interno delle stesse forze di governo.
Nel giugno 1979 avviene il netto calo elettorale del PCI e le elezioni sanciscono il
successo del Partito Liberale. Venuto anche a mancare Moro, la DC promuove la nascita
del Pentapartito, che durerà dall’1980 al 1992, con ripetuti governi di coalizione con le
forze laiche del Parlamento.
Negli Anni Ottanta si tenta di tenere sotto controllo l’inflazione agendo sul costo
del lavoro (referendum sulla scala mobile- 1984), per cui si contrarranno da un lato le
capacità d’acquisto dei lavoratori, dall’altro si svilupperà il “partitismo”, con la crescita di
una diffusa classe politica negli organismi decentrati dell’amministrazione pubblica, con
un indotto clientelare eccezionale, che creerà reddito a scapito del debito pubblico, che
sforerà ogni limite e avrà come effetto collaterale il calo della partecipazione politica
fondata sulle idee, i programmi, le sedi di partito locali.
A questo sistema, caduto il Muro di Berlino nel 1989, negli Anni Novanta verrà a
mancare il presupposto fondamentale che lo sosteneva, il fattore K, come lo definì
Ronchey negli Anni Settanta. La Lega sfonderà a Nord e, cadendo le collusioni
consolidate fra aziende e politici, l’intervento della magistratura sarà dilagante:
Tangentopoli spazzerà via i partiti storici nati dalla Resistenza. E’ la crisi del Partitismo:
che toccherà il suo culmine nelle elezioni ‘94, vinte da un non-partito quale era Forza
Italia all’inizio.
Negli Anni Ottanta intanto erano nati problemi sociali nuovi, cui il welfare - state appena
nato non era già in grado di rispondere, per cui la Chiesa e le organizzazioni umanitarie
riacquisteranno un ruolo di protagonisti nel fronteggiare i bisogni sociali emergenti: gli
Enti Locali nati dal decentramento cominceranno a convenzionarsi con queste
organizzazioni per le questioni più urgenti e preoccupanti anche dal punto di vista
dell’allarme sociale.
Questa soluzione sarà trovata nelle organizzazioni no-profit e nelle cooperative di servizi
sociali. La Costituzione all’art. 45 riconosce
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“…la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di
speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più
idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.”
Partito negli Anni Ottanta con lo slogan “più privato, meno stato” nei servizi,
negli Anni Novanta con la teoria del Welfare Mix si fa avanti il concetto di sussidiarietà
anche nel campo dell’assistenza: si tratta di quel principio sociale e giuridico
amministrativo che stabilisce che l'intervento degli organi dello Stato, sia nei confronti
dei cittadini sia degli enti e suddivisioni amministrative ad esso sottostanti, debba
essere attuato esclusivamente come subsidium (aiuto), nel caso in cui il cittadino o
l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio. Lo Stato non deve
sovrapporsi alle espressioni della società, ma sostenerle e intervenire in assenza di
iniziative dal basso.
Un’occasione storica, questa nuova convergenza fra pensiero laico e cattolico per
sostenere e promuovere una miriade di cooperative sociali, organizzazioni no-profit e di
volontariato. L’associazione senza finalità di lucro è la nuova forma che prendono nella
società urbana moderna interessi sociali che vanno oltre i meri intenti economici e
aggregano le persone secondo le loro tensioni morali, le scelte di valore, gli
orientamenti culturali, le disponibilità del tempo libero, ecc. : se il partito chiama, pochi
si mobilitano; se le associazioni chiamano, mobilitano anche i partiti. Le cose sono
cambiate, da quando la Costituzione aveva preso forma.
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Forse serve un nuovo patto per il sociale, in cui la politica affronti unitariamente,
con nuovo protagonismo, senza deleghe e senza ritorni al passato (nemmeno a quello
cui ciascuno può sentirsi più vicino), le nuove sfide sociali che sono nel Paese. Ripartire
dalla Costituzione sarà utile.
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