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Metallurgia

Capitolo 1a. Prove meccaniche: prova di trazione

La scelta di un materiale si fa sulla base delle sue proprietà meccaniche, le quali sono misurate con
delle prove. Le prove possono essere:

(1) simulate;

(2) reali;

(3) convenzionali (secondo normative).

Le prove convenzionali a loro volta si classificano in base al tempo di applicazione del carico:

(3.1) statiche (trazione, compressione, flessione, durezza): il carico aumenta lentamente;

(3.2) dinamiche (resilienza): il carico raggiunge il massimo in frazioni di secondo;

(3.3) periodiche (fatica);

(3.4) scorrimento viscoso (creep): il carico è costante per tempi lunghi e temperatura alta.

Il carico applicato può essere normale o tangenziale. In entrambi i casi si associano al carico tensione
e deformazione di ciò su cui il carico sta agendo.
𝐹
𝜎=𝐴 𝜏=
𝐹𝑠∥
(1) carico normale: ∆𝑙
0
(2) carico tangenziale: 𝐴0
𝜀= 𝛾 = tan 𝜃
𝑙0

Prova di trazione: prova meccanica statica caratterizzata dall’applicazione di un carico


monoassiale lentamente crescente su un provino avente geometria e dimensioni opportune. Il carico
cresce con velocità costante e prefissata.

Il provino ha sezione resistente più ampia e tratto utile breve se il materiale è fragile, ha sezione
resistente meno ampia e tratto utile lungo se il materiale è duttile. Il rapporto fra tratto utile e sezione
resistente deve essere uguale per tutti provini per garantire l’indipendenza delle grandezze misurate
(carico e allungamento) dalla geometria del provino. Alla prova è associata una curva carico-
allungamento. Passando da questa alla curva tensione-deformazione si rende il tutto indipendente
dai parametri geometrici. Quest’ultima curva presenta tratti o punti notevoli:

(1) tratto lineare iniziale delle deformazioni elastiche reversibili. La grandezza associata è il
modulo elastico o modulo di Young;

(2) punto della tensione di snervamento, che può variare in funzione della microstruttura del
metallo;

(3) tratto secondario delle deformazioni plastiche irreversibili (incrudimento, campo plastico
uniforme). La deformazione è dovuta alle dislocazioni nel reticolo del metallo;

(4) punto della tensione di rottura o resistenza a trazione;

(5) tratto finale dove si verifica la strizione fino alla rottura del provino (campo plastico
localizzato).

1
Le grandezze ricavabili dalla prova di trazione sono:
∆𝜎
(1) modulo elastico (misura della rigidezza del materiale): 𝐸 = . Cresce con l’aumentare del
∆𝜀
valore dell’energia di legame del metallo, cala con l’aumentare della temperatura (perché
essa indebolisce l’energia di legame) e geometricamente è il coefficiente angolare del tratto
elastico.

(2) tensione di snervamento (misura della resistenza a deformazione plastica, indice della
tendenza a incrudimento): 𝑅𝑠 = 𝜎𝑎𝑚𝑚 𝐶𝑆. Oltre questo valore il materiale si snerva e avviene
l’incrudimento. In altre parole, oltre questo valore il materiale inizia a deformarsi
plasticamente e il grafico tende a crescere meno velocemente rispetto al tratto elastico;

(3) tensione di rottura o resistenza a trazione (misura della resistenza a deformazione


plastica, indice della tendenza a incrudimento, cioè a un aumento della tensione necessario
𝐹𝑚𝑎𝑥
per continuare una deformazione in campo plastico): 𝑅𝑚 = 𝐴0
. Fino a questo valore il
materiale si deforma plasticamente lungo tutto il tratto utile, dopo questo valore si verifica
una deformazione localizzata che consiste nella formazione di un collo di strizione in
prossimità del quale poi si verificherà la rottura;

(4) allungamento percentuale a rottura (misura della duttilità, cioè il su valore è alto se il
∆𝑙𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
materiale è duttile, è basso se è fragile): 𝐴𝑛 = 𝑙0
100;

−∆𝐴𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
(5) strizione percentuale (misura della duttilità): 𝑍 = 100.
𝐴0

Nota che le considerazioni fatte si riferiscono alla curva tensione-deformazione ingegneristica. La


curva reale tiene conto della variazione della sezione resistente dopo lo snervamento (l’equazione
di flusso descrive tale curva nel campo plastico), mentre quella ingegneristica considera sempre
come valore di sezione quello iniziale.

Tenacità statica (toughness): energia assorbita dal provino fino a rottura, è l’area sottesa dalla
curva ingegneristica tensione-deformazione.

Un materiale duttile è tale da deformarsi plasticamente con strizione e da assorbire una rilevante
quantità di energia prima di rompersi. Un materiale fragile invece tende ad avere una limitata o
assente deformazione plastica e assorbe quantità trascurabili di energia. In genere i metalli hanno
fratture duttili.

Fattori di influenza della curva tensione-deformazione:

(1) materiale:

(1.1) composizione chimica: per gli acciai, aumentando il tenore di carbonio


aumentano le tensioni di snervamento e rottura e la fragilità, diminuisce la tenacità
(il grafico si alza e si accorcia, l’area sottesa cala). Il modulo elastico è indipendente
dal tenore di carbonio.

(1.2) trattamenti termici;

(1.3) trattamenti meccanici;

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(2) condizioni di prova:

(2.1) temperatura: se aumenta, aumenta la duttilità e calano rigidezza e resistenza. ll


modulo elastico è indipendente dalla temperatura.

(2.2) velocità di deformazione;

(3) danneggiamento da radiazioni: aumenta la densità dei difetti e può portare all’aumento
di fragilità, modulo elastico, temperatura di transizione, e al calo di densità, duttilità,
resilienza, resistenza a creep, conducibilità elettrica e termica (la curva si alza e si accorcia).

Capitolo 1b. Prove meccaniche: resilienza, durezza, fatica, creep e usura

Poiché alcuni materiali presentano un comportamento fragile sotto certe condizioni, pur risultando
duttili, occorre valutare un materiale anche con altre prove.

La prova dinamica di resilienza testa un materiale nelle peggiori condizioni, cioè:

(1) bassa temperatura;

(2) elevata velocità di deformazione;

(3) stato tensionale triassiale (intaglio).

In particolare, con questa prova si valuta la resistenza del materiale a una sollecitazione d’urto. La
grandezza misurata è la resilienza, che corrisponde all’energia assorbita dal materiale a frattura
per urto, la quale dipende dalla geometria del provino e dalle condizioni di prova.

Nella prova Charpy l’energia assorbita si misura come: 𝑈𝑟 = 𝐾𝑉 = (𝐻 − ℎ)𝑃, dove H e h sono le
altezze di partenza e arrivo del carico di peso statica P che urta il provino. La V indica invece un
intaglio a V.

Se si ripete la prova per lo stesso materiale a differenti temperature si ottiene la curva di transizione
duttile-fragile. La curva presenta un andamento a s e il punto in cui la curva presenta il cambio di
concavità individua la temperatura di transizione, che può essere definita secondo vari criteri. Se un
metallo non ha la transizione duttile-fragile può essere usato per applicazioni criogeniche.

Una superficie di frattura di un materiale fragile è brillante e cristallina con piani di clivaggio, quella
di un materiale duttile è opaca e significativamente deformata con presenza di microvuoti.

La prova di resilienza ha una notevole dispersione dei risultati dovuta a:

(1) disomogeneità del materiale;

(2) intagli non perfettamente uguali fra loro;

(3) variazioni spazio-temporali nel posizionamento del provino sulla macchina.

La prova di resilienza è influenzata da:

(1) struttura cristallina: metalli CCC hanno netta temperatura di transizione, quelli CFC no;

(2) composizione chimica: negli acciai, aumentare il tenore di carbonio diminuisce la


resilienza e aumenta la temperatura di transizione, aumentare il tenore di magnesio aumenta
la resilienza e diminuisce la temperatura di transizione, aumentare il tenore di nichel

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aumenta la temperatura di transizione fino a scomparsa. Leghe di alluminio e rame (CFC)
non calano la resilienza con la temperatura, gli acciai (CCC) e lo zinco (EC) sì.

(3) processo di produzione;

(4) microstruttura: più i grani sono piccoli, più il materiale è resiliente, più le inclusioni non
metalliche sono fini e sferoidali più il materiale è resiliente, segregare gli elementi di lega a
bordo grano cala la resilienza, l’orientazione di grani influenza la resilienza e la temperatura
di transizione;

(5) deformazioni plastiche;

(6) trattamenti termici;

(7) infragilimento da idrogeno: se il materiale assorbe idrogeno perde resilienza;

(8) irraggiamento neutronico: se il materiale è irraggiato da neutroni aumenta la temperatura


di transizione;

La prova statica di durezza è una prova economica, rapida e semplice non distruttiva che consente
di misurare la resistenza alla deformazione plastica permanente di un materiale fornendo anche
una stima di proprietà come la resistenza a trazione. Il risultato della prova non è sufficiente a
valutare lo stato di un materiale ed è fortemente dipendente dalla condizioni e metodo di prova. La
prova consiste nell’indentazione del materiale con un corpo di maggiore durezza (indentatore)
tramite l’applicazione di un carico statico perpendicolare alla superficie da esaminare.

Le dimensioni dell’impronta lasciata dall’indentatore permette di ricavare un valore di durezza.


Esistono varie prove che si distinguono per tipo di intendatore, carico, tecnica di rilevamento:

(1) prova Brinell, usa una sfera di carburo di tungsteno o acciaio temprato:
𝐹 2𝐹
𝐻𝐵 = = . Per diverse leghe metalliche è stata rilevata una relazione empirica
𝐴 𝜋𝐷(𝐷−√𝐷 2 −𝑑 2 )
lineare fra durezza e resistenza meccanica. La prova è una delle meno laboriose ma può
essere distruttiva, risente poco delle eterogeneità e non si usa per materiali molto duri;

(2) prova Vickers, usa una piramide di diamante a base quadrata con angolo al vertice di
𝜃
𝐹 2𝐹 sin 𝐹
136°: 𝐻𝑉 = 𝐴 = 𝑑2
2
= 1.854 𝑑2 . La prova, non distruttiva, è la più versatile e precisa;

(3) prova Rockwell (HR), usa un cono di diamante (A,C,D) o una sfera di acciaio (B,F,G,E), è
la prova più semplice e rapida e quindi la più usata, perché la durezza Rockwell si basa sulla
profondità di indentazione permanente. Esistono diverse scale a seconda del carico e
dell’indentatore. Risulta la prova meno precisa e affidabile.

Si parla di prova di microdurezza quando la misura di durezza viene effettuata con un carico
inferiore a 1 kg. La dimensioni delle impronte sono micrometriche.

Le prove principali di microdurezza sono la Vickers e la Knoop. Entrambe usano una piramide di
diamante, ma quella della Vickers è a base quadrata (rapporto diagonali 1:1), quella della Knoop è a
basa rombica (rapporto diagonali 7:1). Esse si usano per:

(1) oggetti piccoli;

(2) durezze superficiali o per valutare come varia la durezza in componenti rivestiti o trattati
artificialmente;
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(3) stimare localmente la durezza di un singolo costituente microstrutturale o di componenti
saldati;

(4) materiali fragili.

La fatica è un tipo di cedimento che si verifica in strutture (spesso in movimento o associate ad altri
corpi che si muovono) sottoposte a sollecitazioni cicliche variabili nel tempo e di solito di valore
minore a quelli della tensione di snervamento o rottura.

La rottura per fatica avviene improvvisamente senza segni premonitori e segue il processo:

(1) innesco della cricca in corrispondenza di un difetto del materiale o di una zona molto
sollecitata;

(2) propagazione della cricca: la zona associata è liscia con linee concentriche di spiaggia;

(3) frattura improvvisa di schianto: la zona associata è opaca e fibrosa.

Più è alta l’ampiezza della sollecitazione, più è grande la zona della frattura improvvisa.

Le prove di fatica possono essere eseguite con diverse macchine e modalità. Nelle prove a flessione
rotante il provino posto in rotazione è soggetto a un momento flettente generante sforzi alternati di
trazione e compressione.

Alle prove di fatica sono associate le curve di Wholer tensione-cicli a rottura, che mostrano come al
diminuire del carico con cui si sollecita il provino la vita a fatica dello stesso tende ad aumentare.
Può essere presente un limite di fatica, al di sotto del quale non si ha rottura per fatica. La resistenza
a fatica è invece il valore di tensione che serve per rompere a fatica un provino in corrispondenza di
un prefissato numero di cicli. Tutte le variabili che influenzano la resistenza a trazione di una lega
ne variano anche il comportamento a fatica.

Alcuni fattori influenzano la fatica:

(1) fattori geometrici: evitare spigoli vivi, fori, piccoli raggi di curvatura e che le zone più
tensionate siano quelle dove ci sono discontinuità;

(2) resistenza a trazione e qualità del materiale: più sono alte più la rottura per fatica è difficile
che si verifichi;

(3) finitura superficiale: all’aumentare delle rugosità peggiora il comportamento a fatica.

I materiali metallici sono spesso impiegati in applicazioni ad alta temperatura (produzione di


energia) e in queste condizioni possono incorrere in fenomeni di scorrimento viscoso, cioè in
fenomeni di deformazione plastica fino a rottura provocata da lunghi tempi di permanenza sotto
un carico costante, anche minore della tensione di snervamento, a una temperatura compresa fra le
0.3 e le 0.5 volte quella di fusione. La prova di creep viene effettuata applicando un carico costante
per tempo lunghi ad un provino mantenuto a temperatura costante e misurando la deformazione
𝑳
vera: 𝜺𝒕 = 𝒍𝒏 𝑳 .
𝟎

A temperatura ambiente vale 𝜀 = 𝑓(𝜎), ad alte temperature vale 𝜀 = 𝑓(𝜎, 𝑡, 𝑇).

Il creep è influenzato da alcuni fattori:

(1) sollecitazione: a pari temperatura, una sollecitazione maggiore porta a creep più
velocemente (la curva deformazione-tempo si alza e si accorcia);
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(2) temperatura: a pari sollecitazione, una temperatura più alta porta a creep più velocemtne
(la curva deformazione-tempo si alza e si accorcia).

Fissata la temperatura, con la prova di creep si ricavano la velocità di deformazione (il tempo per
raggiungere una deformazione prefissata) e il tempo a frattura. Il creep è importante nei componenti
a deformazione controllata, cioè nei componenti in cui devono essere mantenute, in esercizio,
dimensioni prefissate o tolleranze piccole (rilevante la velocità di deformazione) e nei componenti a
rottura controllata, cioè nei componenti nei quali va evitata la frattura (rilevante il tempo a rottura).
Per limitare il creep, tenendo conto che il meccanismo di deformazione prevalente è lo scorrimento
a bordo grano, occorre:

(1) usare materiali a grano grossolano o monocristallini per limitare la superficie occupata
dai bordi di grano;

(2) far precipitare composti a bordo grano che ne impediscano la rotazione;

(3) utilizzare materiali ad alta temperatura di fusione.

La tribologia è la scienza e tecnologia delle interazioni tra superfici a contatto, in moto relativo
sotto carico. L’usura è una delle principali cause di malfunzionamento e rottura di componenti
meccanici insieme a fatica e corrosione. Due proprietà del sistema tribologico sono l’attrito e
l’usura. L’attrito è una forza resistente dovuta all’interazione tra le due superfici a contatto in modo
relativo sotto carico. L’usura è la progressiva asportazione di materiale dalla superficie di un solido
a contatto con un corpo antagonista in moto relativo sotto carico. Sia per l’attrito che per l’usura
ci sono casi in cui si vogliono diminuire e casi in cui si vuole che siano maggiormente presenti.

Il comportamento tribologico di un sistema si può migliorare ottimizzando il disegno dei


componenti, usando materiali più resistenti e non compatibili chimicamente e modificando le
proprietà superficiali.

Un sistema tribologico elementare è formato da:

(1) due corpi a contatto detti triboelementi;

(2) una elemento interfacciale di separazione fra i triboelementi;

(3) un ambiente;

(4) delle condizioni di contatto come carico, velocità e distanza.

Dai diagrammi di stato binari si ricavano i diagrammi di compatibilità tribologica, che mostrano:

(1) elementi incompatibili chimicamente, cioè compatibili tribologicamente, associati a una


bassa adesione (insolubilità allo stato liquido, solubilità allo stato solido minore delle 0.1%);

(2) elementi compatibili chimicamente, cioè incompatibili tribologicamente, associati a


un’alta adesione (solubilità completa allo stato liquido, solubilità allo stato solido maggiore
dell’1%);

(3) elementi intermedi fra i due sopra esposti.

L’usura viene quantificata al termine di prove tribologiche o a intervalli prefissati calcolando le


perdite di volume (rilievi profilometrici) o le perdite di peso (metodo gravimetrico). Si definisce il
tasso di usura come il volume rimosso per unità di percorso di strisciamento:

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𝑉
𝑊= 𝑆
= 𝑓(𝐹𝑁 , 𝑣, 𝑇, 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑒𝑡à 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑖). Si può scrivere la relazione di Archard:
𝑉 𝐹𝑁
𝑊= = 𝐾𝑎𝑑 . Dalla relazione risulta che il volume di usura è direttamente proporzionale al
𝑆 𝐻
percorso di strisciamento e al carico applicato e inversamente proporzionale alla durezza del
materiale più tenero dell’accoppiamento. Kad è il coefficiente di usura adesiva di Archard.

Capitolo 2. Leghe metalliche e diagrammi di stato

Esistono 3 “strutture” rilevanti:

(1) struttura atomica: determina le proprietà chimiche e il tipo di legame;

(2) struttura cristallina: descrive la disposizione spaziale degli atomi;

(3) microstruttura: descrive la disposizione spaziale di fasi e difetti e può essere prevista e
interpretata con i diagrammi di stato, i quali rappresentano stati di equilibrio stabile di un
sistema.

Un sistema può essere omogeneo (una sola fase) o eterogeneo (due o più fasi). Associata alle fasi c’è
la regola di Gibbs: 𝑣 = 𝑟 + 2 − 𝑓. I composti non monofase di interesse sono le leghe metalliche e i
composti intermetallici. In entrambi i casi, si individuano solvente e soluto.

Nelle soluzioni solide di metalli il soluto può essere interstiziale oppure sostituzionale. Tali
soluzioni possono formarsi solamente se soluto e solvente hanno solubilità reciproca
sufficientemente alta.

Due metalli hanno solubilità alta se soddisfano le condizioni di Hume-Rothery:

(1) stesso tipo di reticolo cristallino;

(2) raggio atomico simile;

(3) stessa valenza;

(4) piccola differenza di elettronegatività.

I composti intermetallici possono essere stechiometrici (composizione chimica definita) oppure non
stechiometrici (composizione chimica variabile in un ristretto intervallo). In entrambi i casi, essi sono
generalmente duri, fragili, presentano legami covalenti forti e strutture cristalline poco simmetriche,
cioè hanno alte temperature di fusione, resistono bene al creep e sono rigidi.

Assume rilevanza sapere quando un sistema (in funzione di temperatura e composizione) è


omogeneo o eterogeneo, perché a seconda del numero di fasi presenti cambiano la reattività chimica
e la resistenza meccanica.

I diagrammi di stato delle leghe metalliche presentano concentrazione sull’asse orizzontale e


temperatura su quello verticale e forniscono informazioni su:

(1) i campi di esistenza delle fasi;

(2) la composizione chimica delle fasi;

(3) la quantità relativa delle fasi;

(4) le temperature di trasformazione di fase e di passaggio di stato.

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I diagrammi di stato di generano con un’analisi termica, cioè misurando le curve di raffreddamento
a diverse composizioni della lega a pressione costante.

Un diagramma di stato è quello binario isomorfo. Esso è rappresentativo di una lega metallica
binaria che presenta completa solubilità del soluto sia allo stato liquido che allo stato solido. Le leghe
binarie sono più alto-resistenziali dei rispettivi metalli puri che la compongono (rinforzo per
alligazione). Elementi notevoli del diagramma binario isomorfo sono:

(1) compi monofasici di liquido e solido, separati dal campo bifasico solido-liquido;

(2) linee di liquidus e di solidus, che delimitano il campo bifasico, all’interno del quale si può
applicare la regola della leva per determinare la percentuale della fase solida e di quella
liquida;

(3) temperature di fusione dei due elementi di lega agli estremi del diagramma.

Un altro diagramma di stato è quello con eutettico, che è rappresentativo di una lega binaria che
presenta, per il soluto, completa solubilità allo stato liquido e parziale allo stato solido. Elementi
notevoli del diagramma con eutettico sono:

(1) campi monofasici della fase liquida, della fase solida 𝛼 con solvente il primo elemento di
lega e della fase solida 𝛽 con solvente il secondo elemento di lega;

(2) campo bifasico solido-solido 𝛼 + 𝛽 dato dall’unione delle due fasi solide 𝛼 e 𝛽; (3)
campi bifasici solido-liquido associati alle fasi solide 𝛼 e 𝛽 (𝛼 + 𝐿 e 𝛽 + 𝐿);

(3) linee di solvus (separano le monofasi solide dalla bifase solido-solido), di solidus
(separano le monofasi solide dalle bifasi liquido-solido) e di liquidus (separano la monofase
liquida dalle bifasi liquido-solido);

(4) eutettico: costituente strutturale (elemento della microstruttura, in questo caso


eterogeneo, che ha una morfologia riconoscibile se si osserva al microscopio) bifasico (𝛼 + 𝛽)
che nel diagramma è un punto che si trova all’intersezione delle due linee di liquidus con la
linea limite superiore del campo bifase 𝛼 + 𝛽. Esso è associato, nel diagramma, alla
composizione di lega che fonde alla temperatura più bassa. Le strutture eutettiche spesso
hanno una morfologia lamellare che minimizza il percorso che gli atomi compiono durante
la trasformazione eutettica.

Le leghe binarie associate al diagramma eutettico sono quelle eutettiche (composizione


corrispondente all’eutettico), quelle ipo-eutettiche (composizione corrispondente a punti a sinistra
dell’eutettico) e quelle iper-eutettiche (composizione corrispondente a punti a destra dell’eutettico).

Caratteristiche delle leghe eutettiche:

(1) ogni fase è rinforzata per alligazione;

(2) la dimensione dei grani influenza la resistenza, in particolare la spaziatura interlamellare


influenza la resistenza meccanica (se la velocità di solidificazione è alta, la spaziatura è bassa
e la resistenza meccanica è alta;

(3) la trasformazione eutettica è trifasica: 𝐿 → 𝛼 + 𝛽;

(4) la curva di raffreddamento è costituita da raffreddamento monofasico liquido, arresto


eutettico invariante isotermo, raffreddamento solido bifasico.

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(5) la microstruttura finale è a lamelle alternate 𝛼 + 𝛽

Caratteristiche delle leghe ipo-eutettiche:

(1) la trasformazione associata è: 𝐿 → 𝐿 + 𝛼 → 𝛼 + 𝛽;

(2) la curva di raffreddamento è costituita da raffreddamento liquido monofasico,


raffreddamento nel campo solido-liquido, arresto eutettico invariante isotermo,
raffreddamento solido bifasico.

(3) la microstruttura finale è formata da grani primari di 𝛼 in matrice eutettica 𝛼 + 𝛽.

Caratteristiche delle leghe iper-eutettiche:

(1) la trasformazione associata è: 𝐿 → 𝐿 + 𝛽 → 𝛼 + 𝛽;

(2) la curva di raffreddamento è costituita da raffreddamento liquido monofasico,


raffreddamento nel campo solido-liquido, arresto eutettico invariante isotermo,
raffreddamento solido bifasico.

(3) la microstruttura finale è formata da grani primari di 𝛽 in matrice eutettica 𝛼 + 𝛽.

Si può utilizzare la regola della leva, nel campo 𝛼 + 𝛽 di una lega eutettica, ipo-eutettica o iper-
eutettica, per:

(1) calcolare la frazione di costituenti microstrutturali alla temperatura eutettica di una lega
eutettica, ipo-eutettica o iper-eutettica. Tali costituenti sono i grani nella matrice eutettica e
la matrice eutettica stessa;

(2) calcolare la frazione totale della fase 𝛼 o 𝛽 alla temperatura eutettica. La frazione totale si
riferisce all’insieme di grani primari e matrice eutettica.

Capitolo 3. Teoria della solidificazione e strutture di solidificazione delle leghe metalliche

I componenti metallici possono essere prodotti:

(1) tramite processi fusori in fase liquida, che possono essere attuati con varie tecnologie
(colata in sabbia, colata in conchiglia, pressocolata):

(1.1) getti: il componente che si ottiene ha già la forma definitiva. Sono associati alle
leghe da fonderia come le ghise;

(1.2) lingotti: ciò che si ottiene è destinato a essere deformato plasticamente in seguito.
Sono associati alle leghe da deformazione plastica come gli acciai;

(2) tramite processi in fase solida (metallurgia delle polveri): il prodotto finale è ottenuto a
partire da polveri allo stato solido.

Notare che anche la saldatura per fusione è associata a fenomeni di solidificazione. Durante la
solidificazione (o cristallizzazione primaria) si genera la microstruttura, che è formata da grani, i
quali seguono un processo di nucleazione e accrescimento. I grani sono divisi dai bordi di grano. La
microstruttura dipende dalla composizione chimica e dalle condizioni di raffreddamento e influenza
significativamente le proprietà meccaniche. In particolare, la forma e la dimensione dei grani e i
difetti influenzano le proprietà meccaniche, a qualsiasi temperatura. La microstruttura può essere
modificata, per esempio, tramite deformazioni plastiche, trattamenti termici e condizioni di
esercizio.
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La nucleazione dei grani può essere:

(1) omogenea (rara): aggregazione spontanea di atomi nella massa liquida a formare nuclei
di solidificazione;

(2) eterogenea: favorita dalla presenza di interfacce solide come pareti e impurezze solide.

Una solidificazione è spontanea solo se è associata a una variazione di energia libera di Gibbs
negativa. Tale variazione è dipendente dal raggio degli aggregati solidi che si formano nella fase di
nucleazione. Secondo tale corrispondenza, la variazione di energia è negativa solo per valori del
raggio che sono maggiori di un valore, detto raggio critico, il quale a sua volta diminuisce al calare
della temperatura. Quando la nucleazione è eterogenea, occorre un certo incremento di energia
superficiale (che è un contributo della variazione di energia libera di Gibbs) per raggiungere il raggio
critico, perché si è in presenza di una superficie estranea. Quando la nucleazione è omogenea non ci
sono superfici esterne e di conseguenza la variazione di energia libera di Gibbs necessaria al
raggiungimento del raggio critico è maggiore rispetto al caso precedente. Allora, il primo risultato è
che la nucleazione eterogenea può avvenire spontaneamente a temperature più alte di quella
omogenea, cioè a temperature più vicine alla temperatura nominale. Il secondo risultato è che la
nucleazione omogenea è favorita quanto più si abbassa la temperatura, perché a temperature basse
è associato un raggio critico più piccolo e quindi più facile da raggiungere da un numero più elevato
di aggregati solidi.

Per inoculazione si intende il processo con cui particelle estranee possono essere intenzionalmente
aggiunge nel liquido come agenti nucleanti per la solidificazione. Nelle stesse condizioni, il liquido
inoculato origina grani più fini, e dunque più resistenti meccanicamente a temperatura ambiente, di
quello non inoculato. L’inoculazione è tanto più efficace quanto più le particelle sono bagnabili dal
liquido, al punto che se la bagnabilità è completa la solidificazione non necessita alcun
sottoraffreddamento e se la bagnabilità è nulla la nucleazione rimane omogenea.

Per l’accrescimento, che influenza la forma dei grani, ci sono due casi possibili:

(1) solidificazione di un metallo puro: l’accrescimento è influenzato dal gradiente di


temperatura e la crescita che risulta è planare (gradiente positivo da parte già solidificata a
liquido da solidificare) o dendritica (gradiente negativo da solido a liquido).

(2) solidificazione di una lega: l’accrescimento è influenzato dal gradiente di temperatura e


la crescita che risulta è cellulare (gradiente positivo) o dendritica (gradiente negativo).

Le dendriti:

(1) crescono secondo direzioni cristallografiche preferenziali a una velocità crescente col
crescere del sottoraffreddamento del liquido.

(2) sono distinguibili dal resto a fine solidificazione solo se il metallo è una lega;

(3) ma la struttura risultante risente dell’orientazione delle dendriti.

Se la microstruttura è dendritica, si considera il parametro SDAS:

(1) è influenzato dal processo fusorio: il getto colato in sabbia richiede tempi lunghi di
solidificazione e quindi il SDAS è alto e la struttura grossolana, il getto colato in conchiglia
richiede tempi brevi di solidificazione quindi il SDAS è basso e la struttura fine;

(2) è associato alla spaziatura dei rami dendritici secondari;


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(3) influenza le proprietà meccaniche;
V n
Si può prevedere il tempo di solidificazione con la regola di Chvorinov: t s = B ( )
A

La relazione di Petch-Hall mette in relazione la resistenza a snervamento con la dimensione dei


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grani: 𝑅𝑠 ∝ .
√𝑑

La macrostruttura nella sezione trasversale dei prodotti di solidificazione si presenta con un aspetto
caratteristico:

(1) nella zona vicina alle pareti dello stampo, il sottoraffreddamento è più elevato ed è
favorita la nucleazione eterogenea: si formano grani fini senza orientazione preferenziale o
equiassici. La zona è detta di pelle;

(2) allontanandosi dalla zona di pelle verso l’interno, il sottoraffreddamento è meno marcato
e dunque i grani risultano più grossolani e allungati secondo la direzione del flusso termico.
La zona è detta colonnare;

(3) nell’area centrale i grani, che sono equiassici, non sono più allungati e sono meno
grossolani rispetto alla zona colonnare. La zona è detta equiassica.

La macrostruttura allora risulta prevalentemente colonnare in stampi piccoli o in materiali


conduttivi, mentre risulta prevalentemente equiassica in getti colati in sabbia, dove la conducibilità
termica è bassa. Sono quindi rilevanti le modalità di smaltimento del calore.

La struttura e le proprietà dei componenti ottenuti per fusione dipendono fortemente dal processo
e dalle condizioni di solidificazione.

Al fine di ottenere una struttura fine, la quale migliora le proprietà meccaniche a temperatura
ambiente, occorre stimolare la nucleazione con elevato sottoraffreddamento, con l’inoculazione,
con la frammentazione dei nuclei. Il sottoraffreddamento riduce il valore del raggio critico,
l’inoculazione rende la nucleazione eterogenea. La struttura fine è favorita anche da un aumento
della velocità di solidificazione che limita l’accrescimento dei grani.

Al fine di ottenere una struttura a grano grosso, la quale migliora la resistenza a creep, occorre
limitare la nucleazione tramite basso sottoraffreddamento e non effettuando l’inoculazione.
Inoltre, si deve favorire l’accrescimento diminuendo la velocità di solidificazione per stimolare i
processi diffusivi.

Al fine di ottenere una struttura monocristallina, la quale migliora la resistenza a creep, occorre
generare un opportuno gradiente di temperatura nel liquido per favorire la crescita direzionale
colonnare e utilizzare un selettore di grani a spirale che permette l’accrescimento di un solo grano.

I difetti di solidificazione:

(1) se presi in considerazione, permettono prevedere accuratamente il comportamento dei


componenti sottoposti a una data sollecitazione;

(2) fungono da concentratori degli sforzi , secondo il fattore di intensificazione degli sforzi:
𝐾𝐼 = 𝑌𝜎√𝜋𝑎 , peggiorando in particolare la resistenza a fatica.

11
I difetti sono:

(1) porosità da gas: la legge di Sievert correla la frazione atomica di gas sciolto nel liquido da
soldificare e la pressione parziale di tale gas in equilibrio col liquido. Riducendo la pressione
de gas e la temperatura di colata è possibile ridurre la porosità. Alternativamente, si può
degasare il metallo (prima della solidificazione), aggiungere elementi che formano composti
solidi col gas o effettuare la pressatura isostatica a caldo (dopo la solidificazione).

(2) ritiro (macro e micro): durante la solidificazione ciò che si solidifica si contrae quasi
sempre. Il macro-ritiro ha dimensioni dell’ordine del millimetro e si localizza
prevalentemente lungo l’asse del lingotto nella parte superiore (cono di ritiro). Il micro-ritiro
consiste in microvuoti fra i rami delle dendriti dovuti alla difficoltà del metallo fuso ad
inserirsi negli spazi interdendritici. Si può combattere il macro-ritiro con l’aggiunta di
serbatoi comunicanti (materozze) con quello principali così da fornire un’alimentazione
aggiuntiva di metallo fuso.

(3) inclusioni non metalliche: sono sostanze, esogene o endogene, estranee al materiale
metallico e si trovano in esso perché occluse. Riducono la resistenza a fatica e la resilienza,
aumentando la temperatura di transizione.

(4) segregazione maggiore: consiste nella segregazione appunto dell’elemento più


bassofondente al centro del lingotto (normale) o sulle pareti del lingotto (inversa, solo per
leghe con contrazione di volume in solidificazione e crescita colonnare/dendritica). Non è
eliminabile con trattamenti termici.

(5) segregazione minore: consiste in disomogeneità di composizione su scala microscopica,


entro i singoli grani cristallini, dovuta a solidificazione fuori-equilibrio. Si può eliminare con
trattamenti termici.

Capitolo 4. Struttura cristallina, difetti puntiformi, teoria della diffusione

Gli atomi possono essere assimilati a sfere rigide. Nei metalli, essi si dispongono in modo ordinato
a formare dei cristalli. Se si considerano i centri delle sfere impilate, si ottiene il reticolo cristallino,
la cui unità più piccola, con la quale è possibile costruire l’intero reticolo, è detta cella unitaria.
Esistono 4 tipi principali di celle unitarie:
(1) P: cella primitiva; (2) F: cella a facce centrate; (3) I: cella a corpo centrato; (4) C: cella a facce parallele;

Esistono 7 tipologie di sistemi cristallografici:


(1) cubico; (2) tetragonale; (3) ortorombico; (4) esagonale;
(5) monoclino; (6) triclino; (7) trigonale o romboedrica.

Combinando i tipi e i sistemi cristallografici si possono ottenere un massimo di 14 reticoli di Bravais:


cubico (1) a cella primitiva, (2) a corpo centrato, (3) a facce centrate;

tetragonale (4) a cella primitiva, (5) a corpo centrato;

ortorombico (6) a cella primitiva, (7) a corpo centrato, (8) a facce centrate, (9) a facce parallele;

esagonale (10) a corpo centrato, detto esagonale compatto;

monoclino (11) a cella primitiva, (12) a facce parallele;

triclino (13) a cella primitiva;

trigonale (14) a cella primitiva.

12
I parametri reticolari (6 unici in totale) sono la lunghezza degli spigoli (dipendente dalla geometria
della cella e dalla dimensione degli atomi ipotizzati come sfere rigide) e gli angoli che essi formano
fra loro.

I reticoli tipici dei metalli sono cubico a facce centrate (CFC), cubico a corpo centrato (CCC) ed
esagonale compatto (EC).
Reticolo Atomi per cella Fattore d’impaccamento: Direzione di massimo impacchettamento:
𝑎𝑡𝑜𝑚𝑖
(𝑁 ° 𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎 )(𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑎𝑡𝑜𝑚𝑜)
𝑓𝑖 =
𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎
CCC 2 0.68 Diagonali del cubo
CFC 4 0.74 Diagonali delle facce del cubo
EC 6 0.74 Diagonali sulle facce esagonali
Un metallo risulta essere duttile se è alto il suo numero di sistemi di scorrimento, valore che si ottiene
combinando il numero di piani di scorrimento e quello di direzioni di scorrimento.

Alcuni materiali presentano forme allotropiche. L’allotropia è la capacità di assumere diverse


strutture cristalline al variare della temperatura.

Gli spazi vuoti fra gli atomi nelle strutture cristalline si chiamano siti interstiziali. Un maggiore
spazio disponibile negli interstizi significa una maggiore solubilità di eventuali soluti.

La struttura cristallina:

(1) è responsabile del comportamento a deformazione plastica, in particolare la duttilità è


propria di un metallo se esso ha molti sistemi di scorrimento, dipendenti dalla geometria
della cella unitaria;

(2) è responsabile del fenomeno dell’allotropia. I trattamenti termici consentono di agire


sulla temperatura del metallo per ottenere la forma allotropica di interesse;

(3) è responsabile della diversa solubilità degli elementi di lega in un dato metallo.

Si possono ricavare informazioni sulle strutture cristalline e le microstrutture dei metalli con la
diffrattometria di raggi X, che permette di misurare la spaziatura interplanare e di correlarla alla
geometria delle celle unitarie. Legge di Bragg: 2𝑑 sin 𝜃 = 𝑛𝜆.

I difetti reticolari sono:

(1) difetti di punto, associati alla diffusione:

(1.1) vacanze: assenza di uno o più atomi (tale numero cresce con la temperatura) nei
punti reticolari. Possono essere prodotte per danneggiamento da radiazioni.

(1.2) interstiziali: presenza di atomi della stessa natura (autointerstiziali) o di diversa


natura e di piccole dimensioni rispetto al metallo ospitante. Gli ospiti di posizionano
negli interstizi reticolari distorcendo il reticolo, perché essi risultano essere sempre
più grandi degli spazi che vanno a occupare (rinforzo per soluzione solida);

(1.3) sostituzionali: presenza di atomi grandi o piccoli di diversa natura rispetto al


metallo ospitante che si posizionano nei punti reticolari, determinando distorsione e
tensioni residue il cui segno (trazione positiva o compressione negativa) dipende
dalla dimensione degli ospiti rispetto all’ospitante (rinforzo per alligazione).

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(2) difetti di linea, associati alla deformazione plastica:

(2.1) dislocazioni;

(2.2) geminati;

(3) difetti di superficie, associati ai meccanismi di rinforzo, al creep e alla corrosione:

(3.1) bordi di grano.

La diffusione consiste nel trasporto di materia per effetto del movimento di atomi. Ha luogo solo
quando la temperatura è maggiore di 0.3 o 0.4 volte quella di fusione del materiale. I difetti
puntiformi facilitano la diffusione. Può avvenire la diffusione di vacanze, atomi sostituzionali o
interstiziali. Fra tutti i difetti puntiformi, il moto degli interstiziali è quello favorito energeticamente.

La diffusione è influenzata dalla microstruttura: la diffusione di volume o intercristallina è la più


difficile perché gli atomi devono muoversi attraverso il cristallo, la diffusione via bordo di grano è
veloce perché è maggiore il numero di vacanze dovuto ad un arrangiamento meno ordinato degli
atomi per accomodare le differenze di orientazione dei grani, la diffusione superficiale è ancora più
veloce perché ci sono meno impedimenti.

La prima legge di Fick è valida in regime stazionario, cioè quando il flusso di atomi che diffondono
è costante nel tempo. Essa dice che il flusso di atomi in direzione x procede dalle zone in cui gli
𝝏𝒄
atomi di un certo tipo sono più concentrati alle zone in cui lo sono meno: 𝑱𝒙 = −𝑫 𝝏𝒙. La diffusività,
𝑸
aumenta esponenzialmente con la temperatura: 𝑫 = 𝑫𝟎 𝒆−𝑹𝑻 .

La seconda legge di Fick è valida in regime non stazionario, cioè quando il gradiente di
concentrazione cala nel tempo a causa della diffusione che tende a portare a una situazione di
𝝏𝒄𝒙 𝝏 𝟐 𝒄𝒙
uniformità di concentrazione: 𝝏𝒕
=𝑫 𝝏𝒙𝟐
. La soluzione della legge rappresenta il profilo di
𝑪 −𝑪 𝒙
concentrazione in direzione x, che dipende dalle condizioni al contorno: 𝑪𝒔 −𝑪𝒙 = 𝒆𝒓𝒇 𝟐√𝑫𝒕.
𝒔 𝟎

La diffusione nei solidi si manifesta nei trattamenti termici, nei cambi fisici nella microstruttura,
nella sinterizzazione di polveri, nel creep, nei processi di saldatura allo stato solido senza materiale
di apporto, nei trattamenti termochimici.

Capitolo 5. Dislocazioni, teoria della deformazione plastica

Le deformazioni plastiche comportano uno spostamento irreversibile permanente degli atomi dalla
loro posizione originaria e si possono interpretare con la teoria delle dislocazioni. I primi studi
associati alla teoria hanno messo in evidenza che:

(1) la deformazione plastica non avviene in modo omogeneo, ma per scorrimento di blocchi
di materiale che rimangono singolarmente deformati;

(2) gli scorrimenti avvengono su piani cristallografici e lungo direzioni preferenziali. I piani
sono quelli a massima densità atomica e sono più distanziati dagli altri (meno fortemente
legati, è richiesto uno sforzo minore per muovere gli atomi), le direzioni sono quelle a
massima densità atomica e i loro atomi sono più vicini fra loro. Il prodotto fra piani e
direzioni con queste caratteristiche determina il numero di sistemi di scorrimento, il quale se
è alto implica alta deformabilità plastica (duttilità).

(3) gli scorrimenti sono prodotti dalle componenti tangenziali della sollecitazione.

14
Gli scorrimenti dei piani reticolari sono visibili nel microscopico come:

(1) linee di scorrimento: tracce delle famiglie di piani che hanno subito scorrimento;

(2) bande di scorrimento: insieme di più linee di scorrimento parallele.

Nell’ipotesi di cristallo perfetto senza difetti la deformazione plastica avviene per simultanea rottura
di tutti i legami e successiva riformazioni degli stessi nella nuova posizione reticolare. La tensione
tangenziale da applicare dipende dalla distanza atomica fra i piani e la direzione di scorrimento. Il
valore ideale della tensione è 1000 volte superiore di quella reale: la spiegazione di questa
incongruenza si ottiene con la teoria delle dislocazioni.

Le dislocazioni sono difetti reticolari di linea che si formano durante la solidificazione e la cui
intensità aumenta moltissimo dopo un deformazione plastica a freddo (incrudimento). Esse
separano la regione del reticolo che ha subito la deformazione plastica da quella che non l’ha subita.
Si muovono per effetto di una sollecitazione e il loro movimento genera la deformazione plastica.
Bloccando il moto delle dislocazioni con meccanismi di rinforzo si possono rinforzare i metalli
contro la deformazione plastica. Esistono vari tipi di dislocazione:

(1) dislocazioni a spigolo;

(2) dislocazioni a vite;

(3) dislocazioni miste.

Le dislocazioni a spigolo:

(1) si ottengono inserendo un semipiano atomico nel reticolo cristallino;

(2) intersecano il piano di scorrimento con la linea di dislocazione, che si può muovere
perpendicolarmente a sé stessa su quel piano se sollecitata, fino ad affiorare in superficie;

(3) fanno sì che la tensione di taglio necessaria per deformare plasticamente il materiale sia
molto minore di quella ideale (la rottura dei legami atomici è continua atomo per atomo e
non simultanea di tutti gli atomi);

(4) inducono uno stato tensionale di trazione e compressione;

(5) sono associate a un vettore di Burgers perpendicolare alla linea di dislocazione. Il vettore
di Burgers rappresenta la direzione, il verso e l’entità dello scorrimento della dislocazione.

(6) possono essere bloccate con varia efficacia dagli atomi di soluto che sono attratti dalle
zone tensionate;

(7) sono responsabili della formazione delle atomosfere di Cottrell, cioè di addensamenti di
impurezze e atomi di soluto che tendono a ridurre lo stato tensionale nell’intorno delle
dislocazioni tramite l’ancoraggio delle stesse.

Le atomosfere di Cottrell sono responsabili del fenomeno del doppio snervamento negli acciai a
basso tenore di carbonio. La tensione necessaria a muovere le dislocazioni ancorate deve aumentare
fino al punto di snervamento superiore, determinando una concentrazione degli sforzi e la comparsa
di una banda di materiale deformato. Quando le dislocazioni si sbloccano, la tensione cala fino al
punto di snervamento inferiore. Dopo il raggiungimento di questo punto tensionale la deformazione
per snervamento, sotto l’azione di ulteriore carico tensionale, di intensità vicina a quella di
snervamento inferiore, non è più uniformemente distribuita lungo il provino, ma compare in bande,
15
dette Bande di Luders. Macroscopicamente tali bande determinano la formazione di corrugamenti
(effetto a buccia d’arancia). Si può evitare la formazione delle bande riducendo il tenore degli
elementi interstiziali o sottoponendo le lamiere a una leggera laminazione a freddo (skin pass). Gli
acciai dolci soggetti a doppio snervamento possono andare incontro a invecchiamento da
deformazione.

Le dislocazioni a vite:

(1) si ottengono operando un taglio nel cristallo a facendo poi scorrere le due superfici del
taglio;

(2) hanno la linea di dislocazione che corrisponde al fondo del taglio, il cui moto è parallelo
a sé stessa;

(3) si muovono più facilmente delle dislocazioni a spigolo;

Le dislocazioni miste sono una combinazione di quelle a spigolo e quelle a vite.

Lo scorrimento (glide) è la modalità con cui si muovono le dislocazioni a temperatura ambiente.


Esso è il moto nel piano di scorrimento definito dalla linea di dislocazione e dal vettore di Burgers.
Se la temperatura è maggiore di 0.3 o 0.4 volte quella di fusione, le dislocazioni a spigolo si possono
muovere (più facilmente rispetto alla temperatura ambiente e sotto l’azione di sollecitazioni meno
intense) sia mediante scorrimento, sia mediante salto (climb), il quale è legato al flusso di vacanze.

Il modello di Frank-Read spiega la moltiplicazione delle dislocazioni durante la deformazione


plastica: sotto l’azione della sollecitazione, la dislocazione si inflette fino a formare una disposizione
anulare e una lineare. La moltiplicazione può avvenire anche a causa del danneggiamento da
radiazioni, con conseguente formazione di circuiti di dislocazione.

I geminati sono difetti di linea che solitamente si verificano in metalli con pochi sistemi di
scorrimento. Consistono nella ri-orientazione per effetto di una sollecitazione di una porzione di
atomi in modo speculare rispetto al piano di geminazione. Possono essere di due tipi:

(1) meccanici, tipici in metalli con struttura cristallina non cubica, determinano una micro-
morfologia lenticolare;

(2) termici, tipici di metalli con struttura cubica a facce centrate e dovuti a fenomeni di
ricristallizzazione durante la ricottura dopo una deformazione a freddo oppure durante una
deformazione a caldo, determinano una micro-morfologia a fasce parallele.

I bordi di grano sono difetti di superficie che possono essere di vari tipi a seconda della differenza di
orientazione fra i reticoli di grani adiacenti:

(1) brodi a piccolo angolo: sono mobili sotto l’azione di sollecitazioni esterne e hanno un
ridotto effetto di ostacolo al movimento delle dislocazioni;

(2) bordi a grande angolo: sono siti che agiscono come ostacoli al moto delle dislocazioni,
come sorgenti di dislocazioni, come zone preferenziali di segregazione chimica e di processi
di diffusione;

(3) bordi coerenti.

16
Capitolo 6. Meccanismi di rinforzo e fenomeni di ricristallizzazione

I meccanismi di rinforzo sono ostacoli al moto delle dislocazioni e quindi sfavoriscono la


deformazione plastica.

Si chiama rinforzo per alligazione o per soluzione solida l’aggiunta di atomi di soluto in una lega
metallica (il meccanismo è attivo anche ad alte temperature). Gli atomi di soluto distorcono il reticolo
per via delle loro dimensioni, maggiori o minori rispetto a quelle degli atomi di solvente, e così
facendo si oppongono al moto delle dislocazioni. L’efficacia del rinforzo è tanto maggiore quanto
più sono grandi la differenza di raggio atomico fra solvente e soluto e la concentrazione di soluto.
Con l’alligazione, rispetto ai metalli puri, aumentano la durezza e la resistenza a trazione, ma
diminuiscono la duttilità, la conducibilità elettrica e termica e spesso anche la resistenza a corrosione.

Nel caso degli acciai, i soluti interstiziali come il carbonio, se da un lato rinforzano maggiormente di
quelli sostituzionali, dall’altro penalizzano la tenacità e hanno scarsa solubilità nella ferrite.
Aumentare in particolare il tenore di carbonio favorisce le proprietà resistenziali ma fa calare la
resilienza e la temperatura di transizione duttile-fragile.

Si chiama rinforzo per incrudimento il rinforzo che sfrutta appunto l’incrudimento, cioè l’aumento
di sforzo che occorre applicare a un materiale che viene deformato plasticamente per continuare la
deformazione. L’incrudimento a cui un materiale va incontro se sottoposto a deformazione plastica
a freddo, che determina l’allungamento dei grani a formare una struttura fibrosa (anisotropia
microstrutturale), fa aumentare le proprietà resistenziali a scapito della duttilità, fa aumentare la
densità delle dislocazioni e conseguentemente fa aumentare la probabilità che le dislocazioni si
ostacolino a vicenda. Maggiore è il numero di sistemi di scorrimento di un materiale, maggiore è la
capacità di incrudimento. All’aumentare del tasso di deformazione aumentano le proprietà
resistenziali (resistenza a trazione e snervamento, durezza) ma calano duttilità, tenacità,
conducibilità elettrica e permeabilità magnetica e la resistenza a corrosione Inoltre, il rinforzo per
incrudimento induce un comportamento anisotropo e tensioni residue non uniformemente
distribuite, la quali non sempre però sono indesiderate (se sono di compressione sono benefiche,
favorendo la resistenza a fatica perché tendono a richiudere eventuali cricche).

Il rinforzo per incrudimento trova applicazione negli acciai inox austenitici, che hanno ottima
resistenza a corrosione e modeste proprietà meccaniche, nell’acciaio Hadfield, che è amagnetico ed
estremamente tenace.

Se l’incrudimento non è intenzionale, è possibile eliminarne gli effetti con la ricottura post-
incrudimento. Questo meccanismo di rinforzo prevede tre fasi:

(1) riassetto: processo a bassa temperatura con cui si hanno l’annichilazione di dislocazioni
di segno opposto per effetto di processi diffusivi e la riorganizzazione delle dislocazioni
mediante scorrimento e climb a formare subgrani. Il riassetto:

(1.1) non modifica di molto le proprietà meccaniche;

(1.2) ripristina le proprietà fisiche;

(1.3) riduce le tensioni interne;

(1.4) ha come forza motrice il rilascio dell’energia di incrudimento;

17
(2) ricristallizzazione: processo a temperatura più alta (circa 0.3/0.6 volte quella di fusione)
che determina la nucleazione e l’accrescimento di nuovi grani (verso le zone maggiormente
deformate e cariche di concentrazioni) che permettono la completa rigenerazione della
microstruttura e la presenza di una bassa densità di dislocazioni. La duttilità aumenta a
sfavore della resistenza meccanica. I fattori che influenzano la ricristallizzazione sono:

(2.1) tasso di deformazione: più è alto meno tempo serve per la ricristallizzazione e
minori sono le dimensioni finali dei grani;

(2.2) temperatura: più la temperatura è alta, minore è il tempo necessario per


completare entrambi le parti della ricristallizzazione;

(2.3) composizione chimica: le impurezze insolubili riducono la temperatura di


ricristallizzazione, gli elementi in soluzione solida la aumentano ostacolando le
dislocazioni e i fenomeni diffusivi.

Ha come forza motrice il rilascio dell’energia di incrudimento.

(3) accrescimento del grano: processo con cui il metallo abbassa ulteriormente la propria
energia. La dimensione dei grani aumenta nel tempo. L’accrescimento, favorito ad alta
temperatura perché avviene mediante processi diffusivi, produce una diminuzione
dell’energia interfacciale.

Il risultato ottimale di una ricottura post-incrudimento è l’ottenimento di una microstruttura fine


(utile anche per limitare il danneggiamento da radiazioni) con un giusto compromesso fra proprietà
resistenziali, duttilità e tenacità.

Si possono lavorare i metalli effettuando due tipi di deformazione plastica:

(1) deformazione plastica a freddo: viene effettuata a temperature e condizioni tali per cui
non si ha ricristallizzazione del materiale. I vantaggi sono:

(1.1) aumento della tensione di snervamento;

(1.2) possibilità di ottenere un grano fine se si effettua successivamente un’opportuna


ricottura;

(1.3) buona rifinitura superficiale e rispetto della delle tolleranze geometriche e


dimensionali;

(1.4) facilità di manipolazione dei componenti deformati per le basse temperature.

Gli svantaggi sono:

(1.5) non si può usare con tutti i materiali;

(1.6) i macchinari da usare sono costosi e devono avere grande potenza;

(1.7) il materiale dopo la deformazione è poco duttile e quindi in certe applicazioni è


richiesta una successiva ricottura;

(2) deformazione plastica a caldo: viene svolta a temperatura e velocità di deformazione tali
per cui si ha la ricristallizzazione del materiale durante la lavorazione. I vantaggi sono:

(2.1) aumento della duttilità, che comporta un minore rischio di criccatura durante la
deformazione;
18
(2.2) aumento della resistenza meccanica, per la quale è richiesta meno energia per la
deformazione;

(2.3) chiusura dei difetti presenti nel materiale, affinamento del grano e riduzione
della microsegregazione per effetto della diffusione degli elementi di lega. Il tutto
determina un incremento della tenacità e della duttilità del materiale.

Gli svantaggi sono:

(2.4) l’ossidazione superficiale per le reazioni fra la superficie del metallo ad alta
temperatura e l’atmosfera (decarburazione dell’acciaio);

(2.5) possibilità di fusione localizzata che determina la presenza di bruciature;

(2.6) difficile controllo dimensionale del prodotto finito;

(2.7) processo difficile a causa delle alte temperature.

Si chiama rinforzo per affinamento del grano quel processo che punta ad ostacolare il movimento
delle dislocazioni sfruttando il bordo grano, il quale è punto di incontro di reticoli con orientazioni
diverse e zona altamente ricca di dislocazioni che compensano le differenti orientazioni. L’equazione
di Petch-Hall mette in relazione le dimensioni dei grani con la tensione di snervamento,
𝑘
evidenziando come la tensione aumenti all’affinarsi dei grani: 𝜎𝑠 = 𝜎0 + . Il rinforzo per
√𝑑
affinamento del grano è l’unico in grado di indurre anche un incremento della tenacità. I vantaggi
di tale rinforzo a temperatura ambiente è l’aumento di:

(1) resistenza a snervamento, a trazione e a fatica;

(2) durezza;

(3) duttilità;

(4) tenacità (resilienza);

Gli svantaggi sono la diminuzione di:

(1) resistenza a creep;

(2) temprabilità, perché il grano fine sfavorisce la trasformazione martensitica;

(3) valore soglia associato alla tenacità a frattura in presenza di difetti;

Risulta importante controllare la dimensione del grano nei getti e negli acciai dolci, nei quali il
rinforzo per affinamento del grano è il principale meccanismo di rinforzo usato per ottenere un buon
compromesso fra resistenza meccanica e tenacità. L’affinamento si può ottenere durante la
solidificazione aggiungendo elementi nucleanti e controllando la velocità del processo oppure allo
stato solido con una trasformazione di fase oppur con ricristallizzazione post-deformazione plastica.

Si chiama rinforzo per precipitazione quel meccanismo, attivo anche ad alta temperatura, con cui si
utilizzano dei precipitati per aumentare la resistenza a snervamento del materiale. I precipitati
bloccano le dislocazioni. Tale rinforzo si realizza con un trattamento termico che prevede 3 passaggi:

(1) solubilizzazione o ricottura: si riscalda il materiale per permettere agli elementi indurenti
di entrare in soluzione;

19
(2) tempra o quenching: si raffredda rapidamente il tutto, dopo la costruzione del manufatto,
per mantenere in soluzione gli indurenti anche a bassa temperaura;

(3) invecchiamento o ageing: si riscalda per poco tempo il tutto alla temperatura
relativamente bassa di invecchiamento.

Il massimo effetto si ottiene se i precipitati sono fini e coerenti con la matrice.

Si chiama rinforzo per dispersione quel meccanismo, attivo anche ad alta temperatura, con cui si
sfruttano delle particelle indeformabili per limitare il movimento delle dislocazioni, le quali non
possono attraversare, ma solo aggirare, le particelle. Secondo il meccanismo di Orowan, le
dislocazioni che si inflettono per passare fra le particelle lasciano un anello di dislocazione attorno a
tali particelle riducendo lo spazio disponibile fra di esse e determinando una necessità di aumento
𝐺𝑏
del valore della sollecitazione per muovere altre dislocazioni nello spazio ridotto: ∆𝜏 = . Il rinforzo
𝜆𝑘
per dispersione ha un effetto legato alla dimensione, alla forma, alla frazione volumetrica e alla
distribuzione delle particelle.

Capitolo 7. Comportamento ad alta temperatura: fenomeni di scorrimento viscoso (creep)

Ad alta temperatura si possono verificare fenomeni di scorrimento viscoso, che consistono nella
deformazione plastica fino a rottura provocata da lunghi tempi di permanenza sotto un carico
costante, non necessariamente di intensità superiore e uguale a quella di snervamento, a
temperature maggiori di circa 0.4 volte la temperatura di fusione. Alternativamente, il creep si
verifica quando la temperatura omologa (adimensionale, rapporto fra quella di prova e quella di
fusione del materiale) ha un valore maggiore di 0.4. La resistenza meccanica dei materiali cala ad
alte temperature, poiché aumentano l’incidenza della diffusione, la mobilità delle dislocazioni (sono
presenti fenomeni si glide e di climb) e la concentrazione di vacanze.

Per quanto detto, la deformazione di un materiale ad alta temperatura è dunque non solo funzione
della tensione applicata, ma anche del tempo e della temperatura stessa:

𝑇 > 0.4𝑇𝑓𝑢𝑠 ⇒ 𝜀 = 𝑓(𝜎, 𝑡, 𝑇)


𝑑𝜀
Si definisce poi la velocità di deformazione: 𝜀̇ = 𝑑𝑡 . Se si aumenta la sollecitazione e/o la
temperatura, la velocità di deformazione aumenta e i tempo si riduce. Esistono 3 stadi del creep:

(1) creep primario: c’è un’iniziale rapida deformazione, dopo la quale la velocità di
deformazione cala a causa dell’incrudimento;

(2) creep secondario: la velocità di deformazione è prossima a essere costante, cioè esiste un
equilibrio dinamico tra velocità di deformazione e ricristallizzazione;

(3) creep terziario: a causa di fattori quali la formazione di cricche e la riduzione delle sezione,
si ha un rapido aumento della velocità di deformazione.

20
La prova di creep si esegue a temperatura e carico costanti per tempi lunghi. Si misura la
𝐿
deformazione vera del provino, il quale segue nella deformazione i tre stadi descritti: 𝜀𝑡 = ln . Dalla
𝐿0
prova si ricavano:

(1) velocità di deformazione: importante nella progettazione dei componenti a deformazione


controllata. Il dato utile in particolare è quanto tempo serve per raggiungere una certa
deformazione sotto un carico predefinito. Questa grandezza si ricava anche dalle curve di
creep;

(2) tempo a frattura: importante nelle applicazione in cui occorre impedire la rottura di un
qualcosa che si è progettato. Questa grandezza si ricava anche dalle prove di rottura a creep
(grafico bilogaritmico).

Poiché alcune prove, come quelle per determinare le curve di creep, sono particolarmente lunghe a
causa di basse temperature e bassi carichi, si può utilizzare il parametro di Larson-Miller per
estrapolare dati di creep a bassa temperatura a partire dai dati, ricavabili più velocemente, ottenuti
con le prove ad alta temperatura. Tale parametro esprime la relazione fra la temperatura e la vita a
rottura in ore ad un dato valore di tensione: Φ = 𝑇(𝐶 + log 𝑡𝑟 ). Il meccanismo di deformazione
associato al creep è lo scorrimento a bordo grano (che può essere limitato dalla presenza di
precipitati): si creano dei vuoti fra i grani durante il flusso di materiale assistito dalla diffusione e
avviene lo scorrimento a bordo grano evitare la decoesione dei grani stessi. Risulta essere un
meccanismo importante nello stadio 3 di creep, perché costituisce l’innesco di fratture intergranulari.
Ci sono due forme che può assumere il danneggiamento da creep:

(1) microcricche a cuneo, favorite da tensioni elevate e/o temperature basse;

(2) cavitazione a bordo grano, favorite da tensioni basse e/o temperature alte e dalla presenza
di microprecipitati a bordo grano

Per contrastare i danneggiamenti è utile eliminare i bordi grano, proprio perché il danneggiamento
si sviluppa prevalentemente a bordo grano. Le leghe che presentano alta temperatura di fusione
(alto modulo elastico), grani di grosse dimensioni, rinforzo per soluzione solida e presenza di
preceipitati riescono a minimizzare gli effetti del creep. Un esempio sono gli acciai inossidabili.
Tuttavia, queste leghe sono difficili da lavorare a caldo, da saldare e da usare per produrre getti
molto precisi.

Capitolo 8. Diagramma di stato Fe-C, microstrutture di acciai all’equilibrio

Le leghe di ferro e carbonio sono dette acciai se la percentuale in peso del carbonio è minore del 2.1%
e sono dette ghise se tale percentuale è compresa fra il 2.1% e il 6.7%. L’acciaio, uno dei materiali
metallici più usato vista la sua economicità, versatilità e riciclabilità, è una tipica lega da
deformazione plastica, la ghisa è una tipica lega da fonderia. Il diagramma Fe-C permette di
descrivere i fenomeni che avvengono in acciai e ghise durante la solidificazione o il riscaldamento
in condizioni di equilibrio e di interpretare le microstrutture di acciai e ghise al variare della
composizione e della temperatura.

Le ghise sono dette grigie se il carbonio è libero sotto forma di grafite, sono dette bianche se il
carbonio è combinato col ferro a formare cementite. Le ghise grigie hanno ottima lavorabilità per
asportazione di materiale e capacità di smorzamento delle vibrazioni, mentre quelle grigie sono
dure, fragili e hanno un’alta resistenza a usura.

21
Il ferro presenta diverse forme allotropiche. La forma assunta di volta in volta dipende dalla
temperatura:

(1) fino a 911°C si ha il ferro-alfa con struttura cubica a corpo centrato;

(2) da 911°C a 1392°C si ha ferro-gamma con struttura cubica a facce centrate. Il volume del
ferro nel passaggio dalla forma alfa a quella gamma diminuisce di circa l’1.34%, lo spazio
interstiziale disponibile vista la struttura CFC e non più CCC, con conseguente aumento della
solubilità del carbonio nelle leghe;

(3) da 1392°C a 1538°C si ha ferro-delta con struttura cubica a corpo centrato;

Dopo i 1538°C il ferro si trova allo stato liquido.

Ci sono alcuni punti invarianti, cioè a varianza nulla, nel diagramma Fe-C. In particolare, sono di
interesse l’eutettico (da liquido monofase di passa a solido bifase) e l’eutettoide (da solido monofase
si passa a solido bifase).

Le diverse fasi che si possono incontrare nel diagramma Fe-C sono:

(1) fase liquida;

(2) fase delta: soluzione solida interstiziale di carbonio in ferro-delta. Il micro-costituente di


questa fase è la ferrite-delta. La solubilità massima del carbonio nel ferro-delta è pari allo
0.1% alla temperatura peritettica di 1493°C;

(3) fase gamma: soluzione solida interstiziale di carbonio in ferro-gamma. Il micro-


costituente di questa fase è l’austenite, la quale ha buone caratteristiche di resilienza e
plasticità, è paramagnetica e si osserva a temperatura ambiente solo se la lega contiene
elementi gammageni come il nichel. Sono tipici dell’austenite i geminati termici, cioè fasce
parallele all’interno del grano austenitico. La solubilità massima del carbonio nel ferro-
gamma è pari allo 2.03% in peso alla temperatura eutettica di 1147°C;

(4) fase alfa: soluzione solida interstiziale di carbonio in ferro-alfa. Il micro-costituente di


questa fase è la ferrite-alfa, la quale è poco dura, duttile e magnetica. La solubilità massima
del carbonio nel ferro-alfa è pari allo 0.02% in peso alla temperatura eutettoidica di 723°C;

(5) cementite: composto di ferro e carbonio al 6.7%, metastabile, teoricamente fondente a


1227°C. Essa è molto dura e fragile per la sua struttura ortorombica.

Inoltre, i micro-costituenti nell’eutettoide e nell’eutettico sono rispettivamente:

(1) perlite: costituente microstrutturale eterogeneo composto da due fasi che sono il ferroalfa
e la cementite. La tipica morfologia è a lamelle alternate. Ha un’alta resistenza meccanica a
causa della presenza delle interfacce fra le lamelle. Si ottiene dall’austenite secondo la
sequenza di nucleazione a bordo di grano nell’austenite e accrescimento;

(2) ledeburite: costituente microstrutturale eterogeneo composto da due fasi che sono il ferro-
gamma e la cementite;

I punti critici sono le temperature di trasformazione di fase negli acciai e costituiscono dei
riferimento fondamentali per i trattamenti termici. Tuttavia nella pratica le temperature critiche sono
diverse se sono determinate al riscaldamento, al raffreddamento o all’equilibrio, e in generale
presentano dei ritardi:

22
(1) A4: trasformazione da ferrite-delta a austenite e viceversa;

(2) A3: trasformazione da austenite a ferrite-alfa e viceversa;

(3) A2: punto di Curie (769°C), al di sopra del quale la ferrite-alfa non è più magnetica;

(4) A1: trasformazione eutettoidica (723°C) da austenite a perlite e viceversa;

(5) Acm: trasformazione da austenite in cementite e viceversa.

Il valore di tali punti critici, dove non esplicitamente espresso, non corrisponde a una sola
temperatura univoca, ma varia a seconda del tenore di carbonio nella lega.

Analizziamo a temperatura ambiente l’acciaio al variare del tenore di carbonio. In condizioni di


temperatura ambiente, l’acciaio, per tenori di carbonio superiori allo 0.02%, è sempre un solido
bifasico formato da ferrite-alfa e cementite. Quello che varia in base al tenore sono i costituenti micro-
strutturali:

(1) acciaio ipo-eutettoidico: tenore di carbonio minore del 0.8%, 2 fasi che sono ferrite-alfa e
cementite, 2 micro-costituenti che sono perlite e ferrite-alfa. La percentuale di perlite
aumenta con l’aumentare del tenore di carbonio. Si forma per nucleazione e accrescimento
di ferrite-alfa nell’austenite e trasformazione dell’austenite in perlite (procedendo in senzo
verticale di raffreddamento);

(2) acciaio eutettoidico: tenore di carbonio pari allo 0.8%, 2 fasi che sono ferrite-alfa e
cementite, un unico micro-costituente che è la perlite. Questo acciaio ha la massima resistenza
per la presenza della sola perlite;

(3) acciaio iper-eutettoidico: tenore di carbonio maggiore del 0.8, 2 fasi che sono la ferrite-alfa
e la cementite, 2 micro-costituenti che sono la perlite e la cementite secondaria. La percentuale
di perlite diminuisce con l’aumentare del tenore di carbonio. Si forma per nucleazione e
accrescimento di cementite secondaria nell’austenite e trasformazione dell’austenite in
perlite (procedendo in senso verticale di raffreddamento). Questo acciaio è fragile per la
presenza della cementite secondaria;

Per determinare, a un certo tenore di carbonio, la percentuale di ogni micro-costituente occorre usare
la regola della leva. Al crescere della percentuale di perlite cala la resilienza e aumenta la
temperatura di transizione.

L’aggiunta di elementi di lega all’acciaio:

(1) fa cambiare i valori dei punti critici;

(2) allarga o restringe (deforma) i campi di esistenza delle fasi. In particolare gli elementi
gammageni (detti austenitizzanti, sono elementi a struttura CFC) aumentano il campo della fase
austenitica gamma, mentre quelli alfageni (detti ferritizzanti, sono elementi a struttura CCC)
aumentano il campo della fase ferritica alfa.

Alcuni elementi gammagni come il nichel, il manganese e il cobalto, rendono l’austenite stabile a
temperatura ambiente. Alcuni elementi alfageni come il cromo, il molibdeno e il tungsteno riducono
notevolmente il campo gamma permettendo l’unione del campo delta con quello alfa. Gli elementi
gammageni inoltre abbassano i punti critici A3 e A1, mentre quelli alfageni li alzano.

La trasformazione allotropica:

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(1) ha il vantaggio di:

(1.1) permettere di effettuare trattamenti termici come la tempra martensitica che


sfrutta le differenti solubilità di carbonio nelle 2 diverse forme allotropiche del ferro
a temperatura A3;

(1.2) consentire l’affinamento del grano perché la nuova fase si forma sempre tramite
nucleazione al bordo grano della fase precedente;

(1.3) ridistribuire le impurezze;

(2) ha la limitazione associata al fatto che nel passaggio dal ferro-alfa a quello gamma c’è una
contrazione.

Capitolo 9. Classificazione e designazione degli acciai

Per definizione (UNI EN 10020) l’acciaio è un materiale in cui il tenore in massa di ferro è
maggiore di quello di ciascuno degli altri elementi e il cui tenore di carbonio è generalmente
minore del 2%, e che contiene altri elementi. Un numero limitato di acciai al cromo può presentare
un tenore di carbonio maggiore del 2%, ma tale valore del 2% è il tenore limite che separa l’acciaio
dalla ghisa.

Per quanto riguarda la classificazione, gli acciai possono essere classificati (UNI EN 10020) in base
alla composizione chimica:

(1) acciai non legati: è considerato come acciaio non legato qualsiasi acciaio nel quale i tenori
della composizione chimica rientrino in certi limiti tabulati;

(2) acciai legati: è considerato come acciaio legato qualsiasi acciaio per il quale almeno un
limite indicato nella tabella precedente venga superato, anche per un solo elemento. Gli acciai
legati sono-basso legati se nessun elemento è in tenori maggiori del 5%, mentre sono alto-
legati se almeno un elemento è in tenori maggiori o uguali al 5%;

(3) acciai inossidabili: sono acciai contenenti almeno il 10.5% di cromo e al massimo l’1.2% di
carbonio. Sono particolarmente resistenti alla corrosione a umido, all’ossidazione a caldo e
al creep.

Per quanto riguarda la designazione, gli acciai possono essere suddivisi (UNI EN 10027) in 2 gruppi
principali:

(1) gruppo 1: acciai designati in base all’impiego e alle loro caratteristiche meccaniche o
fisiche. Questa designazione è preferita quando le caratteristiche iniziali non vengono
sostanzialmente modificate dalle lavorazioni successive;

(1.1) simbolo che identifica l’impiego: S (impieghi strutturali), P (impieghi sotto


pressione), L (tubazioni o line pipe), E (costruzioni meccaniche o engineering steels),
eccetera;

(1.2) valore della caratteristica principale in funzione dell’impiego: carico unitario di


snervamento minimo prescritto, in MPa (usato anche per gli acciai S, P, L ed E), carico
unitario di rottura minimo prescritto, in MPa (usato in casi particolari);

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(1.3) altre indicazioni (obbligatorie o meno): lettera indicante la resilienza minime in
J (insieme a una lettera o un numero che indica a quale temperatura in °C si ha tale
valore di resilienza), il trattamento termico, eccetera;

(2) gruppo 2: acciai designati in base alla composizione chimica. Questa designazione è
preferita quando le caratteristiche per l’impiego vengono conferite dalla trasformazione nel
manufatto finito per l’uso:

(2.1) acciai non legati con manganese minore dell’1%: 𝐶𝑛, dove n è un intero uguale a
100 volte la % di carbonio presente (es. C10, C40, C120);

(2.2-2.3) acciai non legati con manganese maggiore o uguale all’1%, acciai non legati
per lavorazioni ad alta velocità;

(2.4) acciai basso legati: 𝑛𝐸𝑚, dove n è come sopra, E è l’insieme dei simboli degli
elementi chimici di lega oltre al carbonio in ordine di quantità e m è un numero che
indica la percentuale % del primo elemento di lega, moltiplicata per un fattore
moltiplicativo (es. 34CrMo4, 20MnCr6, 16CrNi4, 18NiCrMo5);

(2.5) acciai alto legati: 𝑋𝑛𝐸𝑝., dove X non indica nulla, n ed E sono come sopra e p. è
l’insieme dei valori indicanti le percentuali degli elementi di lega, se rilevanti. Il punto
separa tali valori, che sono disposti in senso decrescente (es. X10Cr13, X5CrNi18.10,
X105CrMo17);

(2.6) caso particolare degli acciai rapidi: 𝐻𝑆𝑝 −, dove HS sta per high speed e p- è
l’insieme dei valori percentuali di W, Mo, V e Co, in questo ordine. Tali valori sono
separati da un trattino (es. HS 18-0-1).

La designazione può anche essere fatta secondo l’AISI (American Iron and Steel Insitute):

(1) acciai al carbonio o basso legati: sistema numerico a 4 cifre in cui le prime due individuano
la classe di appartenenza dell’acciaio e le ultime due 100 volte il tenore di carbonio (es. AISI
1050);

(2) acciai inossidabili: sistema numerico a 3 cifre in cui la prima è la classe e le ultime due
specificano la tipologia di acciaio in una data classe (es. AISI 316);

Si possono individuare 5 categorie principali di acciai in base alle applicazioni:

(1) acciai da costruzione di uso generale (largamente utilizzati anche in ambito civile,
seguono la designazione del gruppo 1);

(2) acciai speciali da costruzione (sono utilizzati in condizioni più severe di esercizio, possono
essere al carbonio o legati e derivano le loro proprietà da opportuni trattamenti, seguono la
designazione del gruppo 2. Esempi sono gli acciai da bonifica, da cementazione e da
nitrurazione);

(3) acciai da utensili;

(4) acciai inossidabili;

(5) acciai per impieghi particolari.

25
Capitolo 10. Curve di Bain, trasformazione Perlitica, Bainitica e Martensitica

Il diagramma di stato ferro-carbonio si ottiene tramite raffreddamenti molto lenti, cosa che però in
campo industriale non è possibile replicare per questioni di tempo e denaro. I raffreddamenti nella
pratica sono diversi da quelli usati per creare il diagramma ferro-carbonio e di conseguenza essi
possono originare costituenti strutturali nuovi, che sono di non-equilibrio. Allora si introducono le
curve di Bain, che in particolare sono le curve di trasformazione isoterma dell’austenite (TTT) e di
trasformazione anisoterma dell’austenite (CCT).

La realizzazione delle curve isoterme procede come segue:

(1) si riscalda l’acciaio fino a che non ottiene una struttura completamente austenitica;

(2) si raffredda l’acciaio fino ad una certa temperatura mantenendolo in un bagno a


temperatura costante. La temperatura del bagno è detta temperatura di mantenimento. Più
tale temperatura si discosta dal valore alla quale l’acciaio era stato inizialmente riscaldato,
più è alta la velocità di raffreddamento;

(3) dopo un certo tempo, si porta velocemente l’acciaio a temperatura ambiente per poterne
analizzare la microstruttura post-trasformazione;

(4) si ripete il processo varie volte, diversificando le temperature di mantenimento;

(5) si costruisce un diagramma che tiene conto dei punti, individuati dalle coordinate tempo-
temperatura, ai quali si è verificato l’inizio e la fine di una trasformazione della
microstruttura, lungo una linea isoterma.

I punti considerati determinano la caratteristica forma a doppia S delle curve TTT. La microstruttura
che si ottiene tramite i raffreddamenti isotermi varia a seconda della temperatura di mantenimento
e del tenore di carbonio dell’acciaio. Nel caso di un acciaio eutettoidico, considerando trasformazioni
isoterme:

(1) per temperature più alte di quella eutettoidica, l’austenite è stabile e non si trasforma. Per
temperature minori a quella eutettoidica l’austenite è instabile;

(2) per temperature comprese fra quella eutettoidica e quella che si ha in corrispondenza del
“naso” delle curve TTT, l’austenite instabile si trasforma in perlite. In particolare, la perlite è
grossolana se la temperatura di mantenimento è prossima a quella eutettoidica, è fine se è
prossima a quella del “naso”;

(3) per temperature comprese fra il “naso” e la linea “martensite start”, l’austenite instabile
si trasforma in bainite. In particolare, la bainite è superiore se la temperatura è prossima a
quella del “naso”, è inferiore se la temperatura è prossima a quella della linea “martensite
start”;

(4) per temperature comprese fra la linea “martensite start” e martensite “finish”, la
microstruttura è formata da austenite e martensite. In particolare la percentuale di martensite
aumenta all’abbassarsi della temperatura di mantenimento. Oltre la curva a S di destra
(quella di sinistra termina quando tocca la linea “martensite start) la microstruttura risulta
trasformata ed è formata da bainite e martensite;

(5) per temperature al di sotto della linea “martensite finish”, la microstruttura è martensite
stabile e non si trasforma.

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La bainite ha una microstruttura formata da ferrite e cementite e ha morfologie aciculari. La bainite
superiore, poco tenace, ha della cementite grossolana contenuta in fini lamelle di ferrite, mentre
quella inferiore, dura, resistente e tenace, ha una cementite fine dispersa nella ferrite. Se la
composizione chimica dell’acciaio lo permette, la bainite superiore, che è più tenace di una
martensite rinvenuta a pari durezza, si può ottenere tramite un trattamento isotermico di tempra
bainitica.

La martensite è il costituente microstrutturale più duro che si può ottenere in un acciaio ed è formata
da una soluzione interstiziale sovrassatura di carbonio in ferro-alfa. Ha una struttura tetragonale a
corpo centrato con pochissimi sistemi di scorrimento (da cui l’alta durezza e la fragilità, entrambe
maggiori che nella bainite) e una morfologia aghiforme. Si può ottenere solamente tramite un
velocissimo raffreddamento che possa impedire che avvengano le trasformazioni di alta
temperatura. Notare che la percentuale di martensite che si ottiene non dipende dal tempo ma solo
dalla temperatura di arresto del raffreddamento. Le caratteristiche di una trasformazione
martensitica sono:

(1) l’adiffusionalità (martensite e austenite hanno la stessa composizione, pur avendo la


martensite un volume maggiore del 4%);

(2) l’assenza di processi diffusivi di nucleazione e accrescimento, che viene sostituita come
meccanismo di trasformazione da un meccanismo a scatto che consiste in un movimento
coordinato di atomi in tempi molto rapidi;

(3) l’atermicità (avviene nel corso del raffreddamento: se si arresta il raffreddamento, si


arresta anche la trasformazione).

Li linee di “martensite start e finish” si abbassano se nell’acciaio è presente un qualsiasi elemento di


lega tranne l’alluminio e il cobalto e se aumenta il tenore di carbonio.

La temprabilità è l’attitudine di un acciaio ad assumere una struttura martensitica e si misura con la


prova Jominy, la quale si basa su misure di durezza effettuate su un provino relativamente piccolo
sottoposto a riscaldamento e poi a raffreddamento mediante un getto d’acqua controllato. Tale
temprabilità dipende dalla posizione delle curve di Bain: per aumentare la temprabilità si può agire
spostando le curve TTT verso destra, in modo da abbassare le velocità richieste per ottenere la
martensite. Per spostare in questo modo le curve occorre aggiungere elementi di lega oppure
aumentare le dimensioni del grano austenitico di partenza oppure aumentare il grado di omogeneità
dell’austenite.

Le curve TTT di un acciaio eutettoidico sono diverse da quelle di uno iper o ipo-eutettoidico. In
particolare l’elemento più evidente è la presenza di una curva che parte verso l’alto dal “naso”. Le
curve sono influenzate da alcuni fattori:

(1) più il tenore di carbonio è alto più l’austenite è stabile, con conseguente spostamento delle
curve verso destra;

(2) il molibdeno ritarda la trasformazione perlitica, il cromo ritarda o sopprime quella


bainitica;

(3) più i grani austenitici sono grandi più sono sfavorite le trasformazioni bainitica e perlitica,
con conseguente spostamento delle curve verso destra;

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(4) più l’austenite è omogenea, più le curve si spostano verso destra, favorendo la
temprabilità. Le disomogeneità infatti fungono da siti preferenziali di nucleazioni come un
alto numero di bordi di grano;

Le curve CCT sono associate alle trasformazioni degli acciai in condizioni di raffreddamento
anisotermo. I diagrammi CCT sono spostati a temperature più basse e tempi più liunghi rispetto ai
diagrammi TTT corrispondenti. Per costruire le curve CCT, si riscalda l’acciaio fino a che non ha una
struttura completamente austenitica e poi si raffredda più o meno rapidamente in maniera
anisoterma. Sfruttando i punti di inizio e fine delle trasformazioni si ottengono le curve CCT nel
piano tempo-temperatura. Analizzando un grafico generico di un acciaio eutettoidico si notano
alcuni elementi distintivi:

(1) in alto è presente l’isoterma sopra alla quale la struttura è austenite;

(2) in basso sono presenti due isoterme che sono le linee di “martensite start” e “martensite
finish”;

(3) fra l’isoterma del punto 1 e la linea di “martensite start” è tracciata una curva formata da
due linee a forma di “C” collegate alla base da un segmento rettilineo.

Tracciando una linea di raffreddamento anisotermo a partire dall’austenite, si può determinare


quale o quali sono le trasformazioni che avvengono nell’acciaio:

(1) se si segue una linea di raffreddamento lento (una linea è tanto più obliqua quanto più è
veloce il raffreddamento), l’austenite si trasforma del tutto in perlite attraversando il campo
compreso fra le due C, senza intersecare la linea retta di collegamento (detta linea X-Z);

(2) se si segue una linea di raffreddamento più veloce, l’austenite si trasforma solo in parte
in perlite, attraversando il campo fra le due C ma uscendo dalla linea X-Z. La percentuale di
austenite che si trasforma è tanto maggiore quanto più l’intersezione fra la linea di
raffreddamento e quella X-Z è vicina al punto X, che si trova più a sinistra del punto Z. La
struttura dell’acciaio si trasforma poi in una combinazione di perlite e martensite procedendo
oltre attraverso le linee di martensite;

(3) se si segue una linea di raffreddamento ancora più veloce, l’austenite non attraversa il
campo fra le due C e si trasforma interamente in martensite passando entrambe le linee di
martensite.

Le curve CCT per gli acciai ipo e iper-eutettoidici sono leggermente diverse. In particolare sono
presenti due campi aggiuntivi. Per gli acciai ipo-eutettoidici ci sono il campo di trasformazione di
austenite in ferrite e quello di trasformazione di austenite in bainite, mentre per gli acciai iper-
eutettoidici ci sono il campo di trasformazione di austenite in cementite e quello di trasformazione
di austenite in bainite. A destra, nei diagrammi di questi acciai non-eutettodici ci sono dei campi in
cui l’acciaio presenta una struttura di perlite e ferrite (ipo-eutettoidici) e una struttura di perlite e
cementite (iper-eutettoidici). Il molibdeno e il cromo hanno gli stessi effetti che avevano sulle curve
TTT. Dalle curve CCT si possono ricavare dati sulla durezza, che aumenta con la velocità di
raffreddamento e sulla percentuale dei microcostituenti.

28
Capitolo 11 e 12. Trattamenti termici degli acciai e trattamenti superficiali

L’acciaio può essere trattato termicamente, grazie alla presenza del carbonio, per migliorarne le
proprietà o per fornirgli una combinazione di caratteristiche ottimale per l’applicazione del caso. I
trattamenti termici si dividono in 3 grandi categorie:

(1) trattamenti con superamento dei punti critici: tutti questi trattamenti prevedono come
prima cosa quella di scaldare l’acciaio al di sopra dei punti critici fino a ottenere una struttura
completamente austenitica, nel caso di acciai eutettoidici o ipo-eutettoidici, o largamente
austenitica (austenite e cementite), nel caso di acciai iper-eutettoidici. Tale riscaldamento è
continuo o a gradini a seconda delle dimensioni del pezzo da trattare. La temperatura a cui
si riscalda il pezzo viene poi mantenuta per un certo tempo in modo da omogeneizzare la
temperatura all’interno dell’acciaio. Alla coppia di operazioni ricaldamento+mantenimento,
segue il raffreddamento. Il modo in cui viene raffreddato il pezzo determina l’esistenza di
vari tipi di trattamenti con superamento dei punti critici:

(1.1) ricottura di omogeneizzazione: trattamento che si propone di eliminare le


disomogeneità compositive sfruttando i fenomeni diffusivi ad alta temperatura;

(1.2) ricottura completa: trattamento a inizio ciclo di lavorazione che prevede un


raffreddamento lento in forno che determina la formazione di strutture grossolane.
In particolare, per acciai ipo-eutettoidici si forma perlite+ferrite, mentre per acciai
iper-eutettoidici si forma perlite+cementite. Sono conseguenze della ricottura una
maggiore omogeneità e regolarità della struttura e un’omogeneizzazione delle
struttura chimica grazie ai fenomeni diffusivi. La ricottura completa (che si propone
di formare costituenti microstrutturali stabili per avere la massima lavorabilità) è
costosa e lunga e rischia di produrre pezzi con grani troppo grossi e quindi molto
duri e con proprietà meccaniche scarse;

(1.3) ricottura isotermica: variante della ricottura completa che prevede il


mantenimento a una temperatura costante non troppo minore di A1 sufficiente per
avere la completa trasformazione dell’austenite;

(1.4) ricottura di globalizzazione: trattamento che ha lo scopo di globulizzare la


cementite ed eventuali altri carburi per aumentare la lavorabilità dell’acciaio. Per fare
ciò, si riscalda il pezzo ad una certa temperatura alla quale viene mantenuto per un
determinato tempo prima di procedere a un lento raffreddamento.

(1.5) normalizzazione: è il trattamento che spesso sostituisce la ricottura completa


perché non comporta l’ottenimento di pezzi con scarse proprietà meccaniche. La
velocità di raffreddamento in questo caso è molto variabile e maggiore di quella della
ricottura. La struttura risultante è fine, nonché più omogenea e regolare. In
particolare, per gli acciai ipo-eutettoidici si forma perlite+ferrite, per quelli iper-
eutettoidici si forma perlite+cementite. Le proprietà meccaniche ottenute per
normalizzazione sono migliori di quelle ottenute per ricottura, tuttavia il processo
viene effettuato all’inizio del ciclo di lavorazione e le strutture fini che si formano
possono generare un’eccessiva usura dell’acciaio durante le lavorazioni successive.
Per questo motivo si accoppia alla normalizzazione la ricottura di lavorabilità, che
migliora la lavorabilità dei pezzi alle macchine utensili. La combinazione di
normalizzazione e ricottura di lavorabilità si chiama rigenerazione;

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(1.6) tempra: trattamento a fine lavorazione che consiste in un rapido raffreddamento
in modo da ottenere una struttura martensitica, oppure martensitica con presenza di
cementite, a temperatura ambiente. Con la tempra si ottiene la massima resistenza
meccanica possibile. La scelta del mezzo di tempra, il quale solitamente è olio o acqua,
dipende da una serie di parametri. Solitamente per pezzi di grandi dimensioni di
acciaio debolmente legato si effettua la tempra in olio, per pezzi piccoli in acciaio al
solo carbonio si effettua quella in acqua. Poiché la tempra comporta la massima
durezza ma anche un’alta fragilità, per ridurre la fragilità e le tensioni residue dovute
alla velocità di raffreddamento, si fa seguire alla tempra il trattamento di
rinvenimento. La loro combinazione si chiama bonifica;

(2) senza superamento dei punti critici: sono trattamenti che seguono sempre un trattament
con superamento dei punti critici. I due tipi di trattamento senza superamento sono già stati
introdotti precedentemente:

(2.1) ricottura di lavorabilità: segue la normalizzazione nel processo di rigenerazione


e consiste in un riscaldamento sotto le temperature dei punti di critici e in un
successivo raffreddamento arbitrario fino a temperatura ambiente. Il rinvenimento
migliora la lavorabilità alle macchine utensili e in particolare la truciolabilità. Il
miglioramento è dovuto alla trasformazione parziale della perlite lamellare in perlite
globulare che abbassa la durezza. Se il trattamento prevede un piccolo riscaldamento
prende il nome di distensione, perché non si migliora la lavorabilità, ma si riducono
solo le tensioni residue;

(2.2) rinvenimento: segue la tempra nel processo di bonifica e serve per migliorare la
scarsa tenacità dei pezzi duri che si ottengono con la tempra. Gli effetti del
rinvenimento, che consiste in un riscaldamento e mantenimento seguito da
raffreddamento arbitrario a temperatura ambiente, sono un aumento di resilienza e
una diminuzione della resistenza meccanica. Quando queste caratteristiche
aumentino o calino dipende dalla temperatura di rinvenimento. La temperatura di
rinvenimento ottimale è di circa 600°C. Gli effetti del rinvenimento sono dovuti alla
diffusione del carbonio che andando a formare carburi a certe temperature esce dal
reticolo della martensite, il quale risulta meno fortemente distorto e quindi associato
a un valore diminuito di durezza;

(3) particolari:

(3.1) tempra superficiale: trattamento che permette di ottenere dei pezzi duri
all’esterno ma tenaci all’interno. L’indurimento superficiale è ottenibile riscaldando
la sola superficie al di sopra del punto critico A3 tramite il metodo tocco (a induzione)
o il metodo Shorter (per fiammatura con torce ossiacetileniche). Di solito viene
accoppiata a un successivo rinvenimenti di distensione

(3.2) cementazione: trattamento termochimico che consente di indurire la sola


superficie del componente in acciai dolci al solo carbonio o debolmente legati
arricchendola in carbonio (si forma in superficie martensite più ricca in carbonio). Il
pezzo da cementare viene messo in un ambiente solido, liquido o gassoso, ricco di
carbonio a temperature superiori a quelle dei punti critici, alle quali è mantenuto per
alcune ore. Il processo è seguito da tempra e da distensione. La profondità di
cementazione si ricava dalla legge di Harris.

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(3.3) nitrurazione: trattamento termochimico che consente di indurire la sola
superficie del componente in acciaio debolmente legato arricchendola in azoto. Il
pezzo da nitrurare viene messo in un’atmosfera ricca in azoto a temperature inferiori
a quelle dei punti critici (ferritiche) per tempi molto lunghi (da 12 a 96 ore). In queste
condizioni l’azoto diffonde nella superficie dell’acciaio e forma eventualmente dei
precipitati con gli elementi di lega (coltre bianca) che induriscono la superficie.

Sono stati inoltre messi a punto 3 tipi di tempra che hanno lo scopo di ridurre al minimo i pericoli
dovuti agli sforzi residui o per evitare cricche da tempra:

(1) tempra martensitica differita: il raffreddamento post-austenizzazione avviene in un


bagno salino a temperatura costante superiore alla temperatura di “martensite start”. Il
tempo durante il quale il pezzo rimane a bagno è tale da omogeneizzare la temperatura di
tutto il pezzo. Anche questa tempra è seguita da un rinvenimento;

(2) tempra bainitica: consiste nella trasformazione isotermica dell’austenite in bainite


secondo le stesse modalità precedenti e viene poi raffreddato non appena si completa la
trasformazione. Questa tempra non viene seguita da un rinvenimento;

(3) tempra bainitica parziale: a differenza della tempra bainitica la trasformazione


dell’austenite avviene durante il raffreddamento e si forma una struttura bainitico-
martensitica. Anche in questo caso è previsto il rinvenimento.

Capitolo 13. Acciai inossidabili

Gli acciai inossidabili sono acciai contenenti una percentuale di cromo compresa fra il 10.5% e il
30%. Il cromo garantisce l’ossidabilità, cioè la capacità dell’acciaio inox di ossidarsi in presenza di
ossigeno nell’ambiente in cui si trova. Quando l’acciaio inox si ossida, esso forma superficialmente
una pellicola di ossido di cromo, che è in grado di rigenerarsi, di proteggere l’acciaio dalla
corrosione, di aderire bene all’acciaio sottostante, di avere caratteristiche meccaniche simili ad esso
e di essere di bell’aspetto e facilmente pulibile. Tale processo di formazione di un film protettivo è
noto come auto-passivazione. Il carbonio negli acciai inox è presente con tenori minori dell’1.2%.

Due degli elementi di lega che ricorrono più spesso negli acciai inox sono il cromo e il nichel. Il
cromo, che caratterizza tutti gli acciai inox, è un elemento ferritizzante, mentre il nichel, spesso
presente, è autenitizzante. Gli altri elementi di lega si comportano come austenitizzanti (es. carbonio)
o ferritizzanti. Esistono 5 principali classi di acciai inossidabili:

(1) acciai inox ferritici;

(2) acciai inox austenitici;

(3) acciai inox martensitici;

(4) acciai inox ferritico-austenitici (Duplex);

(5) acciai inox indurenti per precipitazione (PH).

Con il diagramma di Schaeffler è possibile prevedere la struttura di un acciaio inox a temperatura


ambiente in funzione delle quantità di cromo equivalente e di nichel equivalente presenti
nell’acciaio.

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Esistono varie tipologie di corrosione, che preliminarmente può essere divisa in corrosione a umido
(in presenza di acqua condensata) e a secco (in assenza di acqua condensata) e in corrosione
generalizzata (interessa l’intero pezzo di acciaio inox) e localizzata (interessa una piccola parte del
pezzo):

(1) corrosione atmosferica: corrosione generalizzata che è associata all’impiego di acciai inox
in atmosfere inquinate. L’elemento più corrosivo da questo punto di vista è lo ione cloruro,
poiché è in grado di destabilizzare lo strato passivante di ossido di cromo.

(2) vaiolatura (pitting): corrosione localizzata, con effetto perforante, che rapidamente può
portare al deterioramento della struttura metallica sottostante lo strato passivante. La
vaiolatura accade con meccanismo di innesco e accrescimento, soprattutto in ambiente poco
ossidanti e carichi di ioni aggressivi come lo ione cloruro. Si valuta la resistenza a vaiolatura
tramite l’indice PREN, che tiene conto della composizione chimica dell’acciaio inox. Valori
di PREN crescenti sono richiesti nel passaggio da un ambiente di acqua potabile a uno di
acqua salmastra a uno di acqua marina.

(3) corrosione interstiziale o sotto schermo;

(4) corrosione galvanica: corrosione che si verifica in un sistema di due metalli di diversa
nobiltà posti a contatti tramite elettrolita e sui quali avviene una sola reazione catodica. Il
metallo meno nobile (area anodica) si corrode, mentre quello più nobile (area catodica), che
solitamente è l’acciaio inox, non si corrode. Tale corrosione è concentrata se l’area anodica è
molto minore di quella catodica. Per impedire la corrosione galvanica si possono usare degli
isolanti che impediscano il contatto elettrico fra i due metalli accoppiati;

(5) tensocorrosione: azione combinata di una sollecitazione meccanica (di varia natura) e di
un mezzo corrosivo specifico che portano alla formazione di cricche nel metallo. Tanto più
la forza agente è alta, tanto più è difficile che l’acciaio inox possa ripristinare la pellicola
passivante nella zona della cricca. I due meccanismi con cui si verifica più comunemente la
tensocorrosione sono la dissoluzione anodica della cricca e l’infragilimento da idrogeno.

(6) corrosione integranulare (e sensibilizzazione): corrosione localizzata che interessa


preferenzialmente i bordi dei grani spesso dovuta alla precipitazione di seconde fasi che
determinano un impoverimento di cromo nel bordo grano rispetto al centro. Essa provoca
un calo delle proprietà meccaniche, soprattutto della tenacità a bassa temperatura e della
plasticità, con conseguente aumento della fragilità. La precipitazione di carburi ricchi in
cromo a bordo grano prende il nome di sensibilizzazione e si verifica negli acciai austenitici,
con tenore di carbonio superiore allo 0.026%, che vengono raffreddati lentamente o vengono
mantenuti troppo tempo a temperature di 450-850°C. Tramite un trattamento di
stabilizzazione o con un trattamento termico di solubilizzazione è possibile contrastare la
sensibilizzazione.

Analizziamo le varie classi di acciai inossidabili.

Gli acciai inox ferritici:

(1) hanno una struttura CCC e una quantità di cromo compresa fra l’11% e il 30%. La struttura
determina una curva di transizione duttile-fragile e una tendenza dei propri grani di
ingrossarsi. Non contengono nichel;

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(2) non hanno punti critici e di conseguenza non possono subire trattamenti termici per
migliorare le non eccelse proprietà meccaniche;

(3) sono facilmente lavorabili per deformazione plastica a freddo o a caldo. Solitamente si
aumenta la resistenza tramite incrudimento, nonostante la bassa duttilità e lo scarso indice
di incrudimento;

(4) possono subire trattamenti termici che non migliorano le proprietà meccaniche. Tramite
la ricottura di ricristallizzazione si migliora la resistenza a corrosione e si riducono le tensioni
residue. Tramite la solubilizzazione si dissolvono e assorbiscono le seconde fasi per
contrastare la corrosione galvanica;

(5) hanno da buone a ottime proprietà di resistenza a corrosione. I migliori, in particolare


contro la corrosione localizzata, sono gli acciai inox superferritici, che combinano molibdeno
e valori massimi di cromo;

(6) risentono di infragilimento da fase sigma a 550-750°C: formazione della fase intermetallica
sigma ricca di carbonio a bordo grano che infragilisce il metallo riducendone anche la
resistenza a corrosione. Si può eliminare la fase sigma tramite solubilizzazione;

(7) risentono di infragilimento a 475°C: infragilimento causato dalla precipitazione della fase
coerente alfa’ a bordo grano che riduce la resilienza. Si può riassorbire la fase alfa’ con una
ricottura;

(8) risentono di infragilimento a elevate temperature (circa 980°C): ad alte temperature gli
acciai inox ferritici vanno incontro a sensibilizzazione che peggiora la resistenza a corrosione,
favorendo la corrosione intergranulare;

(9) sono utilizzati per utensili e macchine di uso domestico, nonché in collettori di scarico di
gas caldi. Gli acciai inox ferritici ELI (extra-low interstitial) sono usati in ambito per la
costruzione di macchine a fluido e nell’industria alimentare e farmaceutica.

Gli acciai inox austenitici:

(1) contengono percentuali di cromo comprese fra il 17% e il 19% e hanno una struttura CFC
che li rende amagnetici e privi di curva di transizione duttile-fragile.

(2) si possono ottenere per aggiunta di nichel o magnanese in lega, che consentono di ottenere
la struttura austenitica;

(3) non presentano punti critici, quindi le contenute proprietà meccaniche non possono essere
migliorate tramite trattamenti termici. Sono lavorabili plasticamente e presentano buona
saldabilità e tenacità. Tramite incrudimento si possono migliorare le proprietà meccaniche e
si può indurre la formazione di geminati e di martensite, la quale è magnetica, suscettibile
alla corrosione ma anche rimovibile con opportuni riscaldi.

(4) hanno una considerevole resistenza all’ossidazione e alla corrosione.

(5) possono essere trattati con solubilizzazione per evitare la presenza di seconde fasi in
favore di una struttura chimicamente omogenea. Essa elimina eventuali alterazioni
strutturali precedentemente introdotte. Solitamente dopo la solubilizzazione si procede con
la distensione per eliminare le tensioni residue in favore di un aumento della resistenza a
corrosione, la quale già di base è notevole.

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(6) solitamente hanno al loro interno percentuali rilevanti di nichel, che rendono l’acciaio
inossidabile in molti ambienti in combinazione con il cromo. La corrosione localizzata e
intergranulare può essere contrastata con l’aggiunta di molbdeno e titainio;

(7) sono soggetti alla formazione di precipitati che ne riducono la capacità anti-corrosiva. In
particolare le seconde fasi che si formano sono la ferrite-delta, poco resistente alla vaiolatura,
e la fase delta, molto dura e fragile;

(8) solitamente presentano tenori di carbonio inferiori allo 0.03% ed elementi stabilizzanti
come il titanio per contrastare il fenomeno della sensibilizzazione.

(9) hanno le migliori proprietà di resistenza all’ossidazione a caldo e al creep e sono i più
facilmente saldabili;

(10) sono usati in ambito criogenico e in sistemi di generazione di energia che lavorano ad
alte temperature.

Gli acciai inox martensitici:

(1) contengono quantità di cromo comprese fra l’11% e il 19% e il tenore di carbonio
raggiunge al massimo l’1.20%.

(2) presentano, contrariamente a tutti gli altri acciai inox, i punti critici e sono quindi
temprabili (ciò fa sì che possano avere la struttura martensitica);

(3) presentano transizione duttile-fragile attorno a 0°C. Sono poco deformabili a freddo, di
più a caldo. Oltre a una discreta resistenza a corrosione, sono molto duri, hanno buona
resistenza meccanica, a fatica e a corrosione;

(4) possono essere trattati termicamente. Sono ottenuti tramite tempra in olio o in aria perché
gli elementi di lega spostano le curve di Bain di questi acciai verso destra. Il rinvenimento
permette di bilanciare i valori di resistenza meccanica e resistenza a corrosione. La ricottura
permette di ridurre la durezza, a volte anche solo per permettere una migliore lavorabilità
dell’acciaio. I trattamenti finali di distensione attenuano o eliminano le tensioni residue
precedentemente introdotte;

(5) sono meno resistenti alla corrosione degli altri acciai inox, rispetto a quali sono però più
resistenti meccanicamente. Sono quindi impiegati in ambienti blandamente aggressivi.

(6) sono usati per realizzare cuscinetti, bulloni, viti, coltelli, strumenti chirurgici e palette di
turbine a vapore.

Gli acciai inox bifasici, o Duplex:

(1) hanno una struttura austeno-ferritica a temperatura ambiente grazie a una corretta
combinazione degli elementi di lega. Il rapporto nella struttura di austenite e ferrite è di quasi
1:1, ottenibile grazie ad un trattamento di solubilizzazione ad alte temperature seguita da
una tempra in acqua fino a temperatura ambiente;

(2) hanno tenori di cromo fra il 22% e il 25% e di nichel fra il 4% e il 7% con aggiunte in molti
casi di molibdeno e azoto;

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(3) hanno elevate proprietà meccaniche e di resistenza a corrosione, in particolare a
tensocorrosione e vaiolatura. Sono molto tenaci e hanno una temperatura di transizione di
circa -80°C. Tuttavia al di sotto dei 300°C non sono utilizzabili a causa dell’eccessivo
infragilimento che risulta dalle trasformazioni della struttura che avvengono a 800°C e a
475°C;

(4) risentono particolarmente della precipitazione di carburi e nitruri e delle fasi infragilenti.
In particolare, a 800°C precipitano i carburi, i nitruri e la fase sigma, mentre a 475°C c’è un
arricchimento locale di carbonio nella ferrite che ne aumenta la fragilità. Le fasi riducono la
resistenza a corrosione e la tenacità. Tramite solubilizzazione si possono riassorbire tali fasi;

(5) sono usati nella realizzazione di ponti, serbatoi di navi e di autocisterne, tetti di aeroporti.
Trovano anche impiego a basse temperature vista la bassa temperatura di transizione.

Gli acciai indurenti per precipitazione, o PH:

(1) costituiscono un’alternativa agli acciai inox austenitici e hanno un tenore di cromo fra il
10% e il 18.5%, di nichel fra il 4% e il 25% e di carbonio fra lo 0.02% lo 0.30%;

(2) hanno una buona resistenza a corrosione e proprietà meccaniche superiori a quelle degli
acciai inox martensitici tradizionali;

(3) possono migliorare le proprietà meccaniche tramite un trattamento termico di


invecchiamento, che si esegue dopo la formatura;

(4) possono subire alcuni trattamenti termici. La solubilizzazione riporta in soluzione gli
elementi indurenti o i loro soluti. La tempra mantiene in soluzione gli elementi o i composti
disciolti ad alta temperatura. L’invecchiamento permette di formare precipitati che bloccano
le dislocazioni.

(5) si differenziano in base alla microstruttura con cui vengono forniti. Possono essere
martensitici, semi-austenitici oppure austenitici;

(6) non possono essere impiegati a temperature maggiori di quella di invecchiamento. Si


utilizzano per realizzare componenti aeronautici, nucleari e petrolchimici.

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