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La scelta di un materiale si fa sulla base delle sue proprietà meccaniche, le quali sono misurate con
delle prove. Le prove possono essere:
(1) simulate;
(2) reali;
Le prove convenzionali a loro volta si classificano in base al tempo di applicazione del carico:
(3.4) scorrimento viscoso (creep): il carico è costante per tempi lunghi e temperatura alta.
Il carico applicato può essere normale o tangenziale. In entrambi i casi si associano al carico tensione
e deformazione di ciò su cui il carico sta agendo.
𝐹
𝜎=𝐴 𝜏=
𝐹𝑠∥
(1) carico normale: ∆𝑙
0
(2) carico tangenziale: 𝐴0
𝜀= 𝛾 = tan 𝜃
𝑙0
Il provino ha sezione resistente più ampia e tratto utile breve se il materiale è fragile, ha sezione
resistente meno ampia e tratto utile lungo se il materiale è duttile. Il rapporto fra tratto utile e sezione
resistente deve essere uguale per tutti provini per garantire l’indipendenza delle grandezze misurate
(carico e allungamento) dalla geometria del provino. Alla prova è associata una curva carico-
allungamento. Passando da questa alla curva tensione-deformazione si rende il tutto indipendente
dai parametri geometrici. Quest’ultima curva presenta tratti o punti notevoli:
(1) tratto lineare iniziale delle deformazioni elastiche reversibili. La grandezza associata è il
modulo elastico o modulo di Young;
(2) punto della tensione di snervamento, che può variare in funzione della microstruttura del
metallo;
(3) tratto secondario delle deformazioni plastiche irreversibili (incrudimento, campo plastico
uniforme). La deformazione è dovuta alle dislocazioni nel reticolo del metallo;
(5) tratto finale dove si verifica la strizione fino alla rottura del provino (campo plastico
localizzato).
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Le grandezze ricavabili dalla prova di trazione sono:
∆𝜎
(1) modulo elastico (misura della rigidezza del materiale): 𝐸 = . Cresce con l’aumentare del
∆𝜀
valore dell’energia di legame del metallo, cala con l’aumentare della temperatura (perché
essa indebolisce l’energia di legame) e geometricamente è il coefficiente angolare del tratto
elastico.
(2) tensione di snervamento (misura della resistenza a deformazione plastica, indice della
tendenza a incrudimento): 𝑅𝑠 = 𝜎𝑎𝑚𝑚 𝐶𝑆. Oltre questo valore il materiale si snerva e avviene
l’incrudimento. In altre parole, oltre questo valore il materiale inizia a deformarsi
plasticamente e il grafico tende a crescere meno velocemente rispetto al tratto elastico;
(4) allungamento percentuale a rottura (misura della duttilità, cioè il su valore è alto se il
∆𝑙𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
materiale è duttile, è basso se è fragile): 𝐴𝑛 = 𝑙0
100;
−∆𝐴𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
(5) strizione percentuale (misura della duttilità): 𝑍 = 100.
𝐴0
Tenacità statica (toughness): energia assorbita dal provino fino a rottura, è l’area sottesa dalla
curva ingegneristica tensione-deformazione.
Un materiale duttile è tale da deformarsi plasticamente con strizione e da assorbire una rilevante
quantità di energia prima di rompersi. Un materiale fragile invece tende ad avere una limitata o
assente deformazione plastica e assorbe quantità trascurabili di energia. In genere i metalli hanno
fratture duttili.
(1) materiale:
2
(2) condizioni di prova:
(3) danneggiamento da radiazioni: aumenta la densità dei difetti e può portare all’aumento
di fragilità, modulo elastico, temperatura di transizione, e al calo di densità, duttilità,
resilienza, resistenza a creep, conducibilità elettrica e termica (la curva si alza e si accorcia).
Poiché alcuni materiali presentano un comportamento fragile sotto certe condizioni, pur risultando
duttili, occorre valutare un materiale anche con altre prove.
In particolare, con questa prova si valuta la resistenza del materiale a una sollecitazione d’urto. La
grandezza misurata è la resilienza, che corrisponde all’energia assorbita dal materiale a frattura
per urto, la quale dipende dalla geometria del provino e dalle condizioni di prova.
Nella prova Charpy l’energia assorbita si misura come: 𝑈𝑟 = 𝐾𝑉 = (𝐻 − ℎ)𝑃, dove H e h sono le
altezze di partenza e arrivo del carico di peso statica P che urta il provino. La V indica invece un
intaglio a V.
Se si ripete la prova per lo stesso materiale a differenti temperature si ottiene la curva di transizione
duttile-fragile. La curva presenta un andamento a s e il punto in cui la curva presenta il cambio di
concavità individua la temperatura di transizione, che può essere definita secondo vari criteri. Se un
metallo non ha la transizione duttile-fragile può essere usato per applicazioni criogeniche.
Una superficie di frattura di un materiale fragile è brillante e cristallina con piani di clivaggio, quella
di un materiale duttile è opaca e significativamente deformata con presenza di microvuoti.
(1) struttura cristallina: metalli CCC hanno netta temperatura di transizione, quelli CFC no;
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aumenta la temperatura di transizione fino a scomparsa. Leghe di alluminio e rame (CFC)
non calano la resilienza con la temperatura, gli acciai (CCC) e lo zinco (EC) sì.
(4) microstruttura: più i grani sono piccoli, più il materiale è resiliente, più le inclusioni non
metalliche sono fini e sferoidali più il materiale è resiliente, segregare gli elementi di lega a
bordo grano cala la resilienza, l’orientazione di grani influenza la resilienza e la temperatura
di transizione;
La prova statica di durezza è una prova economica, rapida e semplice non distruttiva che consente
di misurare la resistenza alla deformazione plastica permanente di un materiale fornendo anche
una stima di proprietà come la resistenza a trazione. Il risultato della prova non è sufficiente a
valutare lo stato di un materiale ed è fortemente dipendente dalla condizioni e metodo di prova. La
prova consiste nell’indentazione del materiale con un corpo di maggiore durezza (indentatore)
tramite l’applicazione di un carico statico perpendicolare alla superficie da esaminare.
(1) prova Brinell, usa una sfera di carburo di tungsteno o acciaio temprato:
𝐹 2𝐹
𝐻𝐵 = = . Per diverse leghe metalliche è stata rilevata una relazione empirica
𝐴 𝜋𝐷(𝐷−√𝐷 2 −𝑑 2 )
lineare fra durezza e resistenza meccanica. La prova è una delle meno laboriose ma può
essere distruttiva, risente poco delle eterogeneità e non si usa per materiali molto duri;
(2) prova Vickers, usa una piramide di diamante a base quadrata con angolo al vertice di
𝜃
𝐹 2𝐹 sin 𝐹
136°: 𝐻𝑉 = 𝐴 = 𝑑2
2
= 1.854 𝑑2 . La prova, non distruttiva, è la più versatile e precisa;
(3) prova Rockwell (HR), usa un cono di diamante (A,C,D) o una sfera di acciaio (B,F,G,E), è
la prova più semplice e rapida e quindi la più usata, perché la durezza Rockwell si basa sulla
profondità di indentazione permanente. Esistono diverse scale a seconda del carico e
dell’indentatore. Risulta la prova meno precisa e affidabile.
Si parla di prova di microdurezza quando la misura di durezza viene effettuata con un carico
inferiore a 1 kg. La dimensioni delle impronte sono micrometriche.
Le prove principali di microdurezza sono la Vickers e la Knoop. Entrambe usano una piramide di
diamante, ma quella della Vickers è a base quadrata (rapporto diagonali 1:1), quella della Knoop è a
basa rombica (rapporto diagonali 7:1). Esse si usano per:
(2) durezze superficiali o per valutare come varia la durezza in componenti rivestiti o trattati
artificialmente;
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(3) stimare localmente la durezza di un singolo costituente microstrutturale o di componenti
saldati;
La fatica è un tipo di cedimento che si verifica in strutture (spesso in movimento o associate ad altri
corpi che si muovono) sottoposte a sollecitazioni cicliche variabili nel tempo e di solito di valore
minore a quelli della tensione di snervamento o rottura.
La rottura per fatica avviene improvvisamente senza segni premonitori e segue il processo:
(1) innesco della cricca in corrispondenza di un difetto del materiale o di una zona molto
sollecitata;
(2) propagazione della cricca: la zona associata è liscia con linee concentriche di spiaggia;
Più è alta l’ampiezza della sollecitazione, più è grande la zona della frattura improvvisa.
Le prove di fatica possono essere eseguite con diverse macchine e modalità. Nelle prove a flessione
rotante il provino posto in rotazione è soggetto a un momento flettente generante sforzi alternati di
trazione e compressione.
Alle prove di fatica sono associate le curve di Wholer tensione-cicli a rottura, che mostrano come al
diminuire del carico con cui si sollecita il provino la vita a fatica dello stesso tende ad aumentare.
Può essere presente un limite di fatica, al di sotto del quale non si ha rottura per fatica. La resistenza
a fatica è invece il valore di tensione che serve per rompere a fatica un provino in corrispondenza di
un prefissato numero di cicli. Tutte le variabili che influenzano la resistenza a trazione di una lega
ne variano anche il comportamento a fatica.
(1) fattori geometrici: evitare spigoli vivi, fori, piccoli raggi di curvatura e che le zone più
tensionate siano quelle dove ci sono discontinuità;
(2) resistenza a trazione e qualità del materiale: più sono alte più la rottura per fatica è difficile
che si verifichi;
(1) sollecitazione: a pari temperatura, una sollecitazione maggiore porta a creep più
velocemente (la curva deformazione-tempo si alza e si accorcia);
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(2) temperatura: a pari sollecitazione, una temperatura più alta porta a creep più velocemtne
(la curva deformazione-tempo si alza e si accorcia).
Fissata la temperatura, con la prova di creep si ricavano la velocità di deformazione (il tempo per
raggiungere una deformazione prefissata) e il tempo a frattura. Il creep è importante nei componenti
a deformazione controllata, cioè nei componenti in cui devono essere mantenute, in esercizio,
dimensioni prefissate o tolleranze piccole (rilevante la velocità di deformazione) e nei componenti a
rottura controllata, cioè nei componenti nei quali va evitata la frattura (rilevante il tempo a rottura).
Per limitare il creep, tenendo conto che il meccanismo di deformazione prevalente è lo scorrimento
a bordo grano, occorre:
(1) usare materiali a grano grossolano o monocristallini per limitare la superficie occupata
dai bordi di grano;
La tribologia è la scienza e tecnologia delle interazioni tra superfici a contatto, in moto relativo
sotto carico. L’usura è una delle principali cause di malfunzionamento e rottura di componenti
meccanici insieme a fatica e corrosione. Due proprietà del sistema tribologico sono l’attrito e
l’usura. L’attrito è una forza resistente dovuta all’interazione tra le due superfici a contatto in modo
relativo sotto carico. L’usura è la progressiva asportazione di materiale dalla superficie di un solido
a contatto con un corpo antagonista in moto relativo sotto carico. Sia per l’attrito che per l’usura
ci sono casi in cui si vogliono diminuire e casi in cui si vuole che siano maggiormente presenti.
(3) un ambiente;
Dai diagrammi di stato binari si ricavano i diagrammi di compatibilità tribologica, che mostrano:
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𝑉
𝑊= 𝑆
= 𝑓(𝐹𝑁 , 𝑣, 𝑇, 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑒𝑡à 𝑑𝑒𝑖 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑖). Si può scrivere la relazione di Archard:
𝑉 𝐹𝑁
𝑊= = 𝐾𝑎𝑑 . Dalla relazione risulta che il volume di usura è direttamente proporzionale al
𝑆 𝐻
percorso di strisciamento e al carico applicato e inversamente proporzionale alla durezza del
materiale più tenero dell’accoppiamento. Kad è il coefficiente di usura adesiva di Archard.
(3) microstruttura: descrive la disposizione spaziale di fasi e difetti e può essere prevista e
interpretata con i diagrammi di stato, i quali rappresentano stati di equilibrio stabile di un
sistema.
Un sistema può essere omogeneo (una sola fase) o eterogeneo (due o più fasi). Associata alle fasi c’è
la regola di Gibbs: 𝑣 = 𝑟 + 2 − 𝑓. I composti non monofase di interesse sono le leghe metalliche e i
composti intermetallici. In entrambi i casi, si individuano solvente e soluto.
Nelle soluzioni solide di metalli il soluto può essere interstiziale oppure sostituzionale. Tali
soluzioni possono formarsi solamente se soluto e solvente hanno solubilità reciproca
sufficientemente alta.
I composti intermetallici possono essere stechiometrici (composizione chimica definita) oppure non
stechiometrici (composizione chimica variabile in un ristretto intervallo). In entrambi i casi, essi sono
generalmente duri, fragili, presentano legami covalenti forti e strutture cristalline poco simmetriche,
cioè hanno alte temperature di fusione, resistono bene al creep e sono rigidi.
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I diagrammi di stato di generano con un’analisi termica, cioè misurando le curve di raffreddamento
a diverse composizioni della lega a pressione costante.
Un diagramma di stato è quello binario isomorfo. Esso è rappresentativo di una lega metallica
binaria che presenta completa solubilità del soluto sia allo stato liquido che allo stato solido. Le leghe
binarie sono più alto-resistenziali dei rispettivi metalli puri che la compongono (rinforzo per
alligazione). Elementi notevoli del diagramma binario isomorfo sono:
(1) compi monofasici di liquido e solido, separati dal campo bifasico solido-liquido;
(2) linee di liquidus e di solidus, che delimitano il campo bifasico, all’interno del quale si può
applicare la regola della leva per determinare la percentuale della fase solida e di quella
liquida;
(3) temperature di fusione dei due elementi di lega agli estremi del diagramma.
Un altro diagramma di stato è quello con eutettico, che è rappresentativo di una lega binaria che
presenta, per il soluto, completa solubilità allo stato liquido e parziale allo stato solido. Elementi
notevoli del diagramma con eutettico sono:
(1) campi monofasici della fase liquida, della fase solida 𝛼 con solvente il primo elemento di
lega e della fase solida 𝛽 con solvente il secondo elemento di lega;
(2) campo bifasico solido-solido 𝛼 + 𝛽 dato dall’unione delle due fasi solide 𝛼 e 𝛽; (3)
campi bifasici solido-liquido associati alle fasi solide 𝛼 e 𝛽 (𝛼 + 𝐿 e 𝛽 + 𝐿);
(3) linee di solvus (separano le monofasi solide dalla bifase solido-solido), di solidus
(separano le monofasi solide dalle bifasi liquido-solido) e di liquidus (separano la monofase
liquida dalle bifasi liquido-solido);
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(5) la microstruttura finale è a lamelle alternate 𝛼 + 𝛽
Si può utilizzare la regola della leva, nel campo 𝛼 + 𝛽 di una lega eutettica, ipo-eutettica o iper-
eutettica, per:
(1) calcolare la frazione di costituenti microstrutturali alla temperatura eutettica di una lega
eutettica, ipo-eutettica o iper-eutettica. Tali costituenti sono i grani nella matrice eutettica e
la matrice eutettica stessa;
(2) calcolare la frazione totale della fase 𝛼 o 𝛽 alla temperatura eutettica. La frazione totale si
riferisce all’insieme di grani primari e matrice eutettica.
(1) tramite processi fusori in fase liquida, che possono essere attuati con varie tecnologie
(colata in sabbia, colata in conchiglia, pressocolata):
(1.1) getti: il componente che si ottiene ha già la forma definitiva. Sono associati alle
leghe da fonderia come le ghise;
(1.2) lingotti: ciò che si ottiene è destinato a essere deformato plasticamente in seguito.
Sono associati alle leghe da deformazione plastica come gli acciai;
(2) tramite processi in fase solida (metallurgia delle polveri): il prodotto finale è ottenuto a
partire da polveri allo stato solido.
Notare che anche la saldatura per fusione è associata a fenomeni di solidificazione. Durante la
solidificazione (o cristallizzazione primaria) si genera la microstruttura, che è formata da grani, i
quali seguono un processo di nucleazione e accrescimento. I grani sono divisi dai bordi di grano. La
microstruttura dipende dalla composizione chimica e dalle condizioni di raffreddamento e influenza
significativamente le proprietà meccaniche. In particolare, la forma e la dimensione dei grani e i
difetti influenzano le proprietà meccaniche, a qualsiasi temperatura. La microstruttura può essere
modificata, per esempio, tramite deformazioni plastiche, trattamenti termici e condizioni di
esercizio.
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La nucleazione dei grani può essere:
(1) omogenea (rara): aggregazione spontanea di atomi nella massa liquida a formare nuclei
di solidificazione;
(2) eterogenea: favorita dalla presenza di interfacce solide come pareti e impurezze solide.
Una solidificazione è spontanea solo se è associata a una variazione di energia libera di Gibbs
negativa. Tale variazione è dipendente dal raggio degli aggregati solidi che si formano nella fase di
nucleazione. Secondo tale corrispondenza, la variazione di energia è negativa solo per valori del
raggio che sono maggiori di un valore, detto raggio critico, il quale a sua volta diminuisce al calare
della temperatura. Quando la nucleazione è eterogenea, occorre un certo incremento di energia
superficiale (che è un contributo della variazione di energia libera di Gibbs) per raggiungere il raggio
critico, perché si è in presenza di una superficie estranea. Quando la nucleazione è omogenea non ci
sono superfici esterne e di conseguenza la variazione di energia libera di Gibbs necessaria al
raggiungimento del raggio critico è maggiore rispetto al caso precedente. Allora, il primo risultato è
che la nucleazione eterogenea può avvenire spontaneamente a temperature più alte di quella
omogenea, cioè a temperature più vicine alla temperatura nominale. Il secondo risultato è che la
nucleazione omogenea è favorita quanto più si abbassa la temperatura, perché a temperature basse
è associato un raggio critico più piccolo e quindi più facile da raggiungere da un numero più elevato
di aggregati solidi.
Per inoculazione si intende il processo con cui particelle estranee possono essere intenzionalmente
aggiunge nel liquido come agenti nucleanti per la solidificazione. Nelle stesse condizioni, il liquido
inoculato origina grani più fini, e dunque più resistenti meccanicamente a temperatura ambiente, di
quello non inoculato. L’inoculazione è tanto più efficace quanto più le particelle sono bagnabili dal
liquido, al punto che se la bagnabilità è completa la solidificazione non necessita alcun
sottoraffreddamento e se la bagnabilità è nulla la nucleazione rimane omogenea.
Per l’accrescimento, che influenza la forma dei grani, ci sono due casi possibili:
Le dendriti:
(1) crescono secondo direzioni cristallografiche preferenziali a una velocità crescente col
crescere del sottoraffreddamento del liquido.
(2) sono distinguibili dal resto a fine solidificazione solo se il metallo è una lega;
(1) è influenzato dal processo fusorio: il getto colato in sabbia richiede tempi lunghi di
solidificazione e quindi il SDAS è alto e la struttura grossolana, il getto colato in conchiglia
richiede tempi brevi di solidificazione quindi il SDAS è basso e la struttura fine;
La macrostruttura nella sezione trasversale dei prodotti di solidificazione si presenta con un aspetto
caratteristico:
(1) nella zona vicina alle pareti dello stampo, il sottoraffreddamento è più elevato ed è
favorita la nucleazione eterogenea: si formano grani fini senza orientazione preferenziale o
equiassici. La zona è detta di pelle;
(2) allontanandosi dalla zona di pelle verso l’interno, il sottoraffreddamento è meno marcato
e dunque i grani risultano più grossolani e allungati secondo la direzione del flusso termico.
La zona è detta colonnare;
(3) nell’area centrale i grani, che sono equiassici, non sono più allungati e sono meno
grossolani rispetto alla zona colonnare. La zona è detta equiassica.
La struttura e le proprietà dei componenti ottenuti per fusione dipendono fortemente dal processo
e dalle condizioni di solidificazione.
Al fine di ottenere una struttura fine, la quale migliora le proprietà meccaniche a temperatura
ambiente, occorre stimolare la nucleazione con elevato sottoraffreddamento, con l’inoculazione,
con la frammentazione dei nuclei. Il sottoraffreddamento riduce il valore del raggio critico,
l’inoculazione rende la nucleazione eterogenea. La struttura fine è favorita anche da un aumento
della velocità di solidificazione che limita l’accrescimento dei grani.
Al fine di ottenere una struttura a grano grosso, la quale migliora la resistenza a creep, occorre
limitare la nucleazione tramite basso sottoraffreddamento e non effettuando l’inoculazione.
Inoltre, si deve favorire l’accrescimento diminuendo la velocità di solidificazione per stimolare i
processi diffusivi.
Al fine di ottenere una struttura monocristallina, la quale migliora la resistenza a creep, occorre
generare un opportuno gradiente di temperatura nel liquido per favorire la crescita direzionale
colonnare e utilizzare un selettore di grani a spirale che permette l’accrescimento di un solo grano.
I difetti di solidificazione:
(2) fungono da concentratori degli sforzi , secondo il fattore di intensificazione degli sforzi:
𝐾𝐼 = 𝑌𝜎√𝜋𝑎 , peggiorando in particolare la resistenza a fatica.
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I difetti sono:
(1) porosità da gas: la legge di Sievert correla la frazione atomica di gas sciolto nel liquido da
soldificare e la pressione parziale di tale gas in equilibrio col liquido. Riducendo la pressione
de gas e la temperatura di colata è possibile ridurre la porosità. Alternativamente, si può
degasare il metallo (prima della solidificazione), aggiungere elementi che formano composti
solidi col gas o effettuare la pressatura isostatica a caldo (dopo la solidificazione).
(2) ritiro (macro e micro): durante la solidificazione ciò che si solidifica si contrae quasi
sempre. Il macro-ritiro ha dimensioni dell’ordine del millimetro e si localizza
prevalentemente lungo l’asse del lingotto nella parte superiore (cono di ritiro). Il micro-ritiro
consiste in microvuoti fra i rami delle dendriti dovuti alla difficoltà del metallo fuso ad
inserirsi negli spazi interdendritici. Si può combattere il macro-ritiro con l’aggiunta di
serbatoi comunicanti (materozze) con quello principali così da fornire un’alimentazione
aggiuntiva di metallo fuso.
(3) inclusioni non metalliche: sono sostanze, esogene o endogene, estranee al materiale
metallico e si trovano in esso perché occluse. Riducono la resistenza a fatica e la resilienza,
aumentando la temperatura di transizione.
Gli atomi possono essere assimilati a sfere rigide. Nei metalli, essi si dispongono in modo ordinato
a formare dei cristalli. Se si considerano i centri delle sfere impilate, si ottiene il reticolo cristallino,
la cui unità più piccola, con la quale è possibile costruire l’intero reticolo, è detta cella unitaria.
Esistono 4 tipi principali di celle unitarie:
(1) P: cella primitiva; (2) F: cella a facce centrate; (3) I: cella a corpo centrato; (4) C: cella a facce parallele;
ortorombico (6) a cella primitiva, (7) a corpo centrato, (8) a facce centrate, (9) a facce parallele;
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I parametri reticolari (6 unici in totale) sono la lunghezza degli spigoli (dipendente dalla geometria
della cella e dalla dimensione degli atomi ipotizzati come sfere rigide) e gli angoli che essi formano
fra loro.
I reticoli tipici dei metalli sono cubico a facce centrate (CFC), cubico a corpo centrato (CCC) ed
esagonale compatto (EC).
Reticolo Atomi per cella Fattore d’impaccamento: Direzione di massimo impacchettamento:
𝑎𝑡𝑜𝑚𝑖
(𝑁 ° 𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎 )(𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑎𝑡𝑜𝑚𝑜)
𝑓𝑖 =
𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎
CCC 2 0.68 Diagonali del cubo
CFC 4 0.74 Diagonali delle facce del cubo
EC 6 0.74 Diagonali sulle facce esagonali
Un metallo risulta essere duttile se è alto il suo numero di sistemi di scorrimento, valore che si ottiene
combinando il numero di piani di scorrimento e quello di direzioni di scorrimento.
Gli spazi vuoti fra gli atomi nelle strutture cristalline si chiamano siti interstiziali. Un maggiore
spazio disponibile negli interstizi significa una maggiore solubilità di eventuali soluti.
La struttura cristallina:
(3) è responsabile della diversa solubilità degli elementi di lega in un dato metallo.
Si possono ricavare informazioni sulle strutture cristalline e le microstrutture dei metalli con la
diffrattometria di raggi X, che permette di misurare la spaziatura interplanare e di correlarla alla
geometria delle celle unitarie. Legge di Bragg: 2𝑑 sin 𝜃 = 𝑛𝜆.
(1.1) vacanze: assenza di uno o più atomi (tale numero cresce con la temperatura) nei
punti reticolari. Possono essere prodotte per danneggiamento da radiazioni.
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(2) difetti di linea, associati alla deformazione plastica:
(2.1) dislocazioni;
(2.2) geminati;
La diffusione consiste nel trasporto di materia per effetto del movimento di atomi. Ha luogo solo
quando la temperatura è maggiore di 0.3 o 0.4 volte quella di fusione del materiale. I difetti
puntiformi facilitano la diffusione. Può avvenire la diffusione di vacanze, atomi sostituzionali o
interstiziali. Fra tutti i difetti puntiformi, il moto degli interstiziali è quello favorito energeticamente.
La prima legge di Fick è valida in regime stazionario, cioè quando il flusso di atomi che diffondono
è costante nel tempo. Essa dice che il flusso di atomi in direzione x procede dalle zone in cui gli
𝝏𝒄
atomi di un certo tipo sono più concentrati alle zone in cui lo sono meno: 𝑱𝒙 = −𝑫 𝝏𝒙. La diffusività,
𝑸
aumenta esponenzialmente con la temperatura: 𝑫 = 𝑫𝟎 𝒆−𝑹𝑻 .
La seconda legge di Fick è valida in regime non stazionario, cioè quando il gradiente di
concentrazione cala nel tempo a causa della diffusione che tende a portare a una situazione di
𝝏𝒄𝒙 𝝏 𝟐 𝒄𝒙
uniformità di concentrazione: 𝝏𝒕
=𝑫 𝝏𝒙𝟐
. La soluzione della legge rappresenta il profilo di
𝑪 −𝑪 𝒙
concentrazione in direzione x, che dipende dalle condizioni al contorno: 𝑪𝒔 −𝑪𝒙 = 𝒆𝒓𝒇 𝟐√𝑫𝒕.
𝒔 𝟎
La diffusione nei solidi si manifesta nei trattamenti termici, nei cambi fisici nella microstruttura,
nella sinterizzazione di polveri, nel creep, nei processi di saldatura allo stato solido senza materiale
di apporto, nei trattamenti termochimici.
Le deformazioni plastiche comportano uno spostamento irreversibile permanente degli atomi dalla
loro posizione originaria e si possono interpretare con la teoria delle dislocazioni. I primi studi
associati alla teoria hanno messo in evidenza che:
(1) la deformazione plastica non avviene in modo omogeneo, ma per scorrimento di blocchi
di materiale che rimangono singolarmente deformati;
(2) gli scorrimenti avvengono su piani cristallografici e lungo direzioni preferenziali. I piani
sono quelli a massima densità atomica e sono più distanziati dagli altri (meno fortemente
legati, è richiesto uno sforzo minore per muovere gli atomi), le direzioni sono quelle a
massima densità atomica e i loro atomi sono più vicini fra loro. Il prodotto fra piani e
direzioni con queste caratteristiche determina il numero di sistemi di scorrimento, il quale se
è alto implica alta deformabilità plastica (duttilità).
(3) gli scorrimenti sono prodotti dalle componenti tangenziali della sollecitazione.
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Gli scorrimenti dei piani reticolari sono visibili nel microscopico come:
(1) linee di scorrimento: tracce delle famiglie di piani che hanno subito scorrimento;
Nell’ipotesi di cristallo perfetto senza difetti la deformazione plastica avviene per simultanea rottura
di tutti i legami e successiva riformazioni degli stessi nella nuova posizione reticolare. La tensione
tangenziale da applicare dipende dalla distanza atomica fra i piani e la direzione di scorrimento. Il
valore ideale della tensione è 1000 volte superiore di quella reale: la spiegazione di questa
incongruenza si ottiene con la teoria delle dislocazioni.
Le dislocazioni sono difetti reticolari di linea che si formano durante la solidificazione e la cui
intensità aumenta moltissimo dopo un deformazione plastica a freddo (incrudimento). Esse
separano la regione del reticolo che ha subito la deformazione plastica da quella che non l’ha subita.
Si muovono per effetto di una sollecitazione e il loro movimento genera la deformazione plastica.
Bloccando il moto delle dislocazioni con meccanismi di rinforzo si possono rinforzare i metalli
contro la deformazione plastica. Esistono vari tipi di dislocazione:
Le dislocazioni a spigolo:
(2) intersecano il piano di scorrimento con la linea di dislocazione, che si può muovere
perpendicolarmente a sé stessa su quel piano se sollecitata, fino ad affiorare in superficie;
(3) fanno sì che la tensione di taglio necessaria per deformare plasticamente il materiale sia
molto minore di quella ideale (la rottura dei legami atomici è continua atomo per atomo e
non simultanea di tutti gli atomi);
(5) sono associate a un vettore di Burgers perpendicolare alla linea di dislocazione. Il vettore
di Burgers rappresenta la direzione, il verso e l’entità dello scorrimento della dislocazione.
(6) possono essere bloccate con varia efficacia dagli atomi di soluto che sono attratti dalle
zone tensionate;
(7) sono responsabili della formazione delle atomosfere di Cottrell, cioè di addensamenti di
impurezze e atomi di soluto che tendono a ridurre lo stato tensionale nell’intorno delle
dislocazioni tramite l’ancoraggio delle stesse.
Le atomosfere di Cottrell sono responsabili del fenomeno del doppio snervamento negli acciai a
basso tenore di carbonio. La tensione necessaria a muovere le dislocazioni ancorate deve aumentare
fino al punto di snervamento superiore, determinando una concentrazione degli sforzi e la comparsa
di una banda di materiale deformato. Quando le dislocazioni si sbloccano, la tensione cala fino al
punto di snervamento inferiore. Dopo il raggiungimento di questo punto tensionale la deformazione
per snervamento, sotto l’azione di ulteriore carico tensionale, di intensità vicina a quella di
snervamento inferiore, non è più uniformemente distribuita lungo il provino, ma compare in bande,
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dette Bande di Luders. Macroscopicamente tali bande determinano la formazione di corrugamenti
(effetto a buccia d’arancia). Si può evitare la formazione delle bande riducendo il tenore degli
elementi interstiziali o sottoponendo le lamiere a una leggera laminazione a freddo (skin pass). Gli
acciai dolci soggetti a doppio snervamento possono andare incontro a invecchiamento da
deformazione.
Le dislocazioni a vite:
(1) si ottengono operando un taglio nel cristallo a facendo poi scorrere le due superfici del
taglio;
(2) hanno la linea di dislocazione che corrisponde al fondo del taglio, il cui moto è parallelo
a sé stessa;
I geminati sono difetti di linea che solitamente si verificano in metalli con pochi sistemi di
scorrimento. Consistono nella ri-orientazione per effetto di una sollecitazione di una porzione di
atomi in modo speculare rispetto al piano di geminazione. Possono essere di due tipi:
(1) meccanici, tipici in metalli con struttura cristallina non cubica, determinano una micro-
morfologia lenticolare;
(2) termici, tipici di metalli con struttura cubica a facce centrate e dovuti a fenomeni di
ricristallizzazione durante la ricottura dopo una deformazione a freddo oppure durante una
deformazione a caldo, determinano una micro-morfologia a fasce parallele.
I bordi di grano sono difetti di superficie che possono essere di vari tipi a seconda della differenza di
orientazione fra i reticoli di grani adiacenti:
(1) brodi a piccolo angolo: sono mobili sotto l’azione di sollecitazioni esterne e hanno un
ridotto effetto di ostacolo al movimento delle dislocazioni;
(2) bordi a grande angolo: sono siti che agiscono come ostacoli al moto delle dislocazioni,
come sorgenti di dislocazioni, come zone preferenziali di segregazione chimica e di processi
di diffusione;
16
Capitolo 6. Meccanismi di rinforzo e fenomeni di ricristallizzazione
Si chiama rinforzo per alligazione o per soluzione solida l’aggiunta di atomi di soluto in una lega
metallica (il meccanismo è attivo anche ad alte temperature). Gli atomi di soluto distorcono il reticolo
per via delle loro dimensioni, maggiori o minori rispetto a quelle degli atomi di solvente, e così
facendo si oppongono al moto delle dislocazioni. L’efficacia del rinforzo è tanto maggiore quanto
più sono grandi la differenza di raggio atomico fra solvente e soluto e la concentrazione di soluto.
Con l’alligazione, rispetto ai metalli puri, aumentano la durezza e la resistenza a trazione, ma
diminuiscono la duttilità, la conducibilità elettrica e termica e spesso anche la resistenza a corrosione.
Nel caso degli acciai, i soluti interstiziali come il carbonio, se da un lato rinforzano maggiormente di
quelli sostituzionali, dall’altro penalizzano la tenacità e hanno scarsa solubilità nella ferrite.
Aumentare in particolare il tenore di carbonio favorisce le proprietà resistenziali ma fa calare la
resilienza e la temperatura di transizione duttile-fragile.
Si chiama rinforzo per incrudimento il rinforzo che sfrutta appunto l’incrudimento, cioè l’aumento
di sforzo che occorre applicare a un materiale che viene deformato plasticamente per continuare la
deformazione. L’incrudimento a cui un materiale va incontro se sottoposto a deformazione plastica
a freddo, che determina l’allungamento dei grani a formare una struttura fibrosa (anisotropia
microstrutturale), fa aumentare le proprietà resistenziali a scapito della duttilità, fa aumentare la
densità delle dislocazioni e conseguentemente fa aumentare la probabilità che le dislocazioni si
ostacolino a vicenda. Maggiore è il numero di sistemi di scorrimento di un materiale, maggiore è la
capacità di incrudimento. All’aumentare del tasso di deformazione aumentano le proprietà
resistenziali (resistenza a trazione e snervamento, durezza) ma calano duttilità, tenacità,
conducibilità elettrica e permeabilità magnetica e la resistenza a corrosione Inoltre, il rinforzo per
incrudimento induce un comportamento anisotropo e tensioni residue non uniformemente
distribuite, la quali non sempre però sono indesiderate (se sono di compressione sono benefiche,
favorendo la resistenza a fatica perché tendono a richiudere eventuali cricche).
Il rinforzo per incrudimento trova applicazione negli acciai inox austenitici, che hanno ottima
resistenza a corrosione e modeste proprietà meccaniche, nell’acciaio Hadfield, che è amagnetico ed
estremamente tenace.
Se l’incrudimento non è intenzionale, è possibile eliminarne gli effetti con la ricottura post-
incrudimento. Questo meccanismo di rinforzo prevede tre fasi:
(1) riassetto: processo a bassa temperatura con cui si hanno l’annichilazione di dislocazioni
di segno opposto per effetto di processi diffusivi e la riorganizzazione delle dislocazioni
mediante scorrimento e climb a formare subgrani. Il riassetto:
17
(2) ricristallizzazione: processo a temperatura più alta (circa 0.3/0.6 volte quella di fusione)
che determina la nucleazione e l’accrescimento di nuovi grani (verso le zone maggiormente
deformate e cariche di concentrazioni) che permettono la completa rigenerazione della
microstruttura e la presenza di una bassa densità di dislocazioni. La duttilità aumenta a
sfavore della resistenza meccanica. I fattori che influenzano la ricristallizzazione sono:
(2.1) tasso di deformazione: più è alto meno tempo serve per la ricristallizzazione e
minori sono le dimensioni finali dei grani;
(3) accrescimento del grano: processo con cui il metallo abbassa ulteriormente la propria
energia. La dimensione dei grani aumenta nel tempo. L’accrescimento, favorito ad alta
temperatura perché avviene mediante processi diffusivi, produce una diminuzione
dell’energia interfacciale.
(1) deformazione plastica a freddo: viene effettuata a temperature e condizioni tali per cui
non si ha ricristallizzazione del materiale. I vantaggi sono:
(2) deformazione plastica a caldo: viene svolta a temperatura e velocità di deformazione tali
per cui si ha la ricristallizzazione del materiale durante la lavorazione. I vantaggi sono:
(2.1) aumento della duttilità, che comporta un minore rischio di criccatura durante la
deformazione;
18
(2.2) aumento della resistenza meccanica, per la quale è richiesta meno energia per la
deformazione;
(2.3) chiusura dei difetti presenti nel materiale, affinamento del grano e riduzione
della microsegregazione per effetto della diffusione degli elementi di lega. Il tutto
determina un incremento della tenacità e della duttilità del materiale.
(2.4) l’ossidazione superficiale per le reazioni fra la superficie del metallo ad alta
temperatura e l’atmosfera (decarburazione dell’acciaio);
Si chiama rinforzo per affinamento del grano quel processo che punta ad ostacolare il movimento
delle dislocazioni sfruttando il bordo grano, il quale è punto di incontro di reticoli con orientazioni
diverse e zona altamente ricca di dislocazioni che compensano le differenti orientazioni. L’equazione
di Petch-Hall mette in relazione le dimensioni dei grani con la tensione di snervamento,
𝑘
evidenziando come la tensione aumenti all’affinarsi dei grani: 𝜎𝑠 = 𝜎0 + . Il rinforzo per
√𝑑
affinamento del grano è l’unico in grado di indurre anche un incremento della tenacità. I vantaggi
di tale rinforzo a temperatura ambiente è l’aumento di:
(2) durezza;
(3) duttilità;
Risulta importante controllare la dimensione del grano nei getti e negli acciai dolci, nei quali il
rinforzo per affinamento del grano è il principale meccanismo di rinforzo usato per ottenere un buon
compromesso fra resistenza meccanica e tenacità. L’affinamento si può ottenere durante la
solidificazione aggiungendo elementi nucleanti e controllando la velocità del processo oppure allo
stato solido con una trasformazione di fase oppur con ricristallizzazione post-deformazione plastica.
Si chiama rinforzo per precipitazione quel meccanismo, attivo anche ad alta temperatura, con cui si
utilizzano dei precipitati per aumentare la resistenza a snervamento del materiale. I precipitati
bloccano le dislocazioni. Tale rinforzo si realizza con un trattamento termico che prevede 3 passaggi:
(1) solubilizzazione o ricottura: si riscalda il materiale per permettere agli elementi indurenti
di entrare in soluzione;
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(2) tempra o quenching: si raffredda rapidamente il tutto, dopo la costruzione del manufatto,
per mantenere in soluzione gli indurenti anche a bassa temperaura;
(3) invecchiamento o ageing: si riscalda per poco tempo il tutto alla temperatura
relativamente bassa di invecchiamento.
Si chiama rinforzo per dispersione quel meccanismo, attivo anche ad alta temperatura, con cui si
sfruttano delle particelle indeformabili per limitare il movimento delle dislocazioni, le quali non
possono attraversare, ma solo aggirare, le particelle. Secondo il meccanismo di Orowan, le
dislocazioni che si inflettono per passare fra le particelle lasciano un anello di dislocazione attorno a
tali particelle riducendo lo spazio disponibile fra di esse e determinando una necessità di aumento
𝐺𝑏
del valore della sollecitazione per muovere altre dislocazioni nello spazio ridotto: ∆𝜏 = . Il rinforzo
𝜆𝑘
per dispersione ha un effetto legato alla dimensione, alla forma, alla frazione volumetrica e alla
distribuzione delle particelle.
Ad alta temperatura si possono verificare fenomeni di scorrimento viscoso, che consistono nella
deformazione plastica fino a rottura provocata da lunghi tempi di permanenza sotto un carico
costante, non necessariamente di intensità superiore e uguale a quella di snervamento, a
temperature maggiori di circa 0.4 volte la temperatura di fusione. Alternativamente, il creep si
verifica quando la temperatura omologa (adimensionale, rapporto fra quella di prova e quella di
fusione del materiale) ha un valore maggiore di 0.4. La resistenza meccanica dei materiali cala ad
alte temperature, poiché aumentano l’incidenza della diffusione, la mobilità delle dislocazioni (sono
presenti fenomeni si glide e di climb) e la concentrazione di vacanze.
Per quanto detto, la deformazione di un materiale ad alta temperatura è dunque non solo funzione
della tensione applicata, ma anche del tempo e della temperatura stessa:
(1) creep primario: c’è un’iniziale rapida deformazione, dopo la quale la velocità di
deformazione cala a causa dell’incrudimento;
(2) creep secondario: la velocità di deformazione è prossima a essere costante, cioè esiste un
equilibrio dinamico tra velocità di deformazione e ricristallizzazione;
(3) creep terziario: a causa di fattori quali la formazione di cricche e la riduzione delle sezione,
si ha un rapido aumento della velocità di deformazione.
20
La prova di creep si esegue a temperatura e carico costanti per tempi lunghi. Si misura la
𝐿
deformazione vera del provino, il quale segue nella deformazione i tre stadi descritti: 𝜀𝑡 = ln . Dalla
𝐿0
prova si ricavano:
(2) tempo a frattura: importante nelle applicazione in cui occorre impedire la rottura di un
qualcosa che si è progettato. Questa grandezza si ricava anche dalle prove di rottura a creep
(grafico bilogaritmico).
Poiché alcune prove, come quelle per determinare le curve di creep, sono particolarmente lunghe a
causa di basse temperature e bassi carichi, si può utilizzare il parametro di Larson-Miller per
estrapolare dati di creep a bassa temperatura a partire dai dati, ricavabili più velocemente, ottenuti
con le prove ad alta temperatura. Tale parametro esprime la relazione fra la temperatura e la vita a
rottura in ore ad un dato valore di tensione: Φ = 𝑇(𝐶 + log 𝑡𝑟 ). Il meccanismo di deformazione
associato al creep è lo scorrimento a bordo grano (che può essere limitato dalla presenza di
precipitati): si creano dei vuoti fra i grani durante il flusso di materiale assistito dalla diffusione e
avviene lo scorrimento a bordo grano evitare la decoesione dei grani stessi. Risulta essere un
meccanismo importante nello stadio 3 di creep, perché costituisce l’innesco di fratture intergranulari.
Ci sono due forme che può assumere il danneggiamento da creep:
(2) cavitazione a bordo grano, favorite da tensioni basse e/o temperature alte e dalla presenza
di microprecipitati a bordo grano
Per contrastare i danneggiamenti è utile eliminare i bordi grano, proprio perché il danneggiamento
si sviluppa prevalentemente a bordo grano. Le leghe che presentano alta temperatura di fusione
(alto modulo elastico), grani di grosse dimensioni, rinforzo per soluzione solida e presenza di
preceipitati riescono a minimizzare gli effetti del creep. Un esempio sono gli acciai inossidabili.
Tuttavia, queste leghe sono difficili da lavorare a caldo, da saldare e da usare per produrre getti
molto precisi.
Le leghe di ferro e carbonio sono dette acciai se la percentuale in peso del carbonio è minore del 2.1%
e sono dette ghise se tale percentuale è compresa fra il 2.1% e il 6.7%. L’acciaio, uno dei materiali
metallici più usato vista la sua economicità, versatilità e riciclabilità, è una tipica lega da
deformazione plastica, la ghisa è una tipica lega da fonderia. Il diagramma Fe-C permette di
descrivere i fenomeni che avvengono in acciai e ghise durante la solidificazione o il riscaldamento
in condizioni di equilibrio e di interpretare le microstrutture di acciai e ghise al variare della
composizione e della temperatura.
Le ghise sono dette grigie se il carbonio è libero sotto forma di grafite, sono dette bianche se il
carbonio è combinato col ferro a formare cementite. Le ghise grigie hanno ottima lavorabilità per
asportazione di materiale e capacità di smorzamento delle vibrazioni, mentre quelle grigie sono
dure, fragili e hanno un’alta resistenza a usura.
21
Il ferro presenta diverse forme allotropiche. La forma assunta di volta in volta dipende dalla
temperatura:
(2) da 911°C a 1392°C si ha ferro-gamma con struttura cubica a facce centrate. Il volume del
ferro nel passaggio dalla forma alfa a quella gamma diminuisce di circa l’1.34%, lo spazio
interstiziale disponibile vista la struttura CFC e non più CCC, con conseguente aumento della
solubilità del carbonio nelle leghe;
Ci sono alcuni punti invarianti, cioè a varianza nulla, nel diagramma Fe-C. In particolare, sono di
interesse l’eutettico (da liquido monofase di passa a solido bifase) e l’eutettoide (da solido monofase
si passa a solido bifase).
(1) perlite: costituente microstrutturale eterogeneo composto da due fasi che sono il ferroalfa
e la cementite. La tipica morfologia è a lamelle alternate. Ha un’alta resistenza meccanica a
causa della presenza delle interfacce fra le lamelle. Si ottiene dall’austenite secondo la
sequenza di nucleazione a bordo di grano nell’austenite e accrescimento;
(2) ledeburite: costituente microstrutturale eterogeneo composto da due fasi che sono il ferro-
gamma e la cementite;
I punti critici sono le temperature di trasformazione di fase negli acciai e costituiscono dei
riferimento fondamentali per i trattamenti termici. Tuttavia nella pratica le temperature critiche sono
diverse se sono determinate al riscaldamento, al raffreddamento o all’equilibrio, e in generale
presentano dei ritardi:
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(1) A4: trasformazione da ferrite-delta a austenite e viceversa;
(3) A2: punto di Curie (769°C), al di sopra del quale la ferrite-alfa non è più magnetica;
Il valore di tali punti critici, dove non esplicitamente espresso, non corrisponde a una sola
temperatura univoca, ma varia a seconda del tenore di carbonio nella lega.
(1) acciaio ipo-eutettoidico: tenore di carbonio minore del 0.8%, 2 fasi che sono ferrite-alfa e
cementite, 2 micro-costituenti che sono perlite e ferrite-alfa. La percentuale di perlite
aumenta con l’aumentare del tenore di carbonio. Si forma per nucleazione e accrescimento
di ferrite-alfa nell’austenite e trasformazione dell’austenite in perlite (procedendo in senzo
verticale di raffreddamento);
(2) acciaio eutettoidico: tenore di carbonio pari allo 0.8%, 2 fasi che sono ferrite-alfa e
cementite, un unico micro-costituente che è la perlite. Questo acciaio ha la massima resistenza
per la presenza della sola perlite;
(3) acciaio iper-eutettoidico: tenore di carbonio maggiore del 0.8, 2 fasi che sono la ferrite-alfa
e la cementite, 2 micro-costituenti che sono la perlite e la cementite secondaria. La percentuale
di perlite diminuisce con l’aumentare del tenore di carbonio. Si forma per nucleazione e
accrescimento di cementite secondaria nell’austenite e trasformazione dell’austenite in
perlite (procedendo in senso verticale di raffreddamento). Questo acciaio è fragile per la
presenza della cementite secondaria;
Per determinare, a un certo tenore di carbonio, la percentuale di ogni micro-costituente occorre usare
la regola della leva. Al crescere della percentuale di perlite cala la resilienza e aumenta la
temperatura di transizione.
(2) allarga o restringe (deforma) i campi di esistenza delle fasi. In particolare gli elementi
gammageni (detti austenitizzanti, sono elementi a struttura CFC) aumentano il campo della fase
austenitica gamma, mentre quelli alfageni (detti ferritizzanti, sono elementi a struttura CCC)
aumentano il campo della fase ferritica alfa.
Alcuni elementi gammagni come il nichel, il manganese e il cobalto, rendono l’austenite stabile a
temperatura ambiente. Alcuni elementi alfageni come il cromo, il molibdeno e il tungsteno riducono
notevolmente il campo gamma permettendo l’unione del campo delta con quello alfa. Gli elementi
gammageni inoltre abbassano i punti critici A3 e A1, mentre quelli alfageni li alzano.
La trasformazione allotropica:
23
(1) ha il vantaggio di:
(1.2) consentire l’affinamento del grano perché la nuova fase si forma sempre tramite
nucleazione al bordo grano della fase precedente;
(2) ha la limitazione associata al fatto che nel passaggio dal ferro-alfa a quello gamma c’è una
contrazione.
Per definizione (UNI EN 10020) l’acciaio è un materiale in cui il tenore in massa di ferro è
maggiore di quello di ciascuno degli altri elementi e il cui tenore di carbonio è generalmente
minore del 2%, e che contiene altri elementi. Un numero limitato di acciai al cromo può presentare
un tenore di carbonio maggiore del 2%, ma tale valore del 2% è il tenore limite che separa l’acciaio
dalla ghisa.
Per quanto riguarda la classificazione, gli acciai possono essere classificati (UNI EN 10020) in base
alla composizione chimica:
(1) acciai non legati: è considerato come acciaio non legato qualsiasi acciaio nel quale i tenori
della composizione chimica rientrino in certi limiti tabulati;
(2) acciai legati: è considerato come acciaio legato qualsiasi acciaio per il quale almeno un
limite indicato nella tabella precedente venga superato, anche per un solo elemento. Gli acciai
legati sono-basso legati se nessun elemento è in tenori maggiori del 5%, mentre sono alto-
legati se almeno un elemento è in tenori maggiori o uguali al 5%;
(3) acciai inossidabili: sono acciai contenenti almeno il 10.5% di cromo e al massimo l’1.2% di
carbonio. Sono particolarmente resistenti alla corrosione a umido, all’ossidazione a caldo e
al creep.
Per quanto riguarda la designazione, gli acciai possono essere suddivisi (UNI EN 10027) in 2 gruppi
principali:
(1) gruppo 1: acciai designati in base all’impiego e alle loro caratteristiche meccaniche o
fisiche. Questa designazione è preferita quando le caratteristiche iniziali non vengono
sostanzialmente modificate dalle lavorazioni successive;
24
(1.3) altre indicazioni (obbligatorie o meno): lettera indicante la resilienza minime in
J (insieme a una lettera o un numero che indica a quale temperatura in °C si ha tale
valore di resilienza), il trattamento termico, eccetera;
(2) gruppo 2: acciai designati in base alla composizione chimica. Questa designazione è
preferita quando le caratteristiche per l’impiego vengono conferite dalla trasformazione nel
manufatto finito per l’uso:
(2.1) acciai non legati con manganese minore dell’1%: 𝐶𝑛, dove n è un intero uguale a
100 volte la % di carbonio presente (es. C10, C40, C120);
(2.2-2.3) acciai non legati con manganese maggiore o uguale all’1%, acciai non legati
per lavorazioni ad alta velocità;
(2.4) acciai basso legati: 𝑛𝐸𝑚, dove n è come sopra, E è l’insieme dei simboli degli
elementi chimici di lega oltre al carbonio in ordine di quantità e m è un numero che
indica la percentuale % del primo elemento di lega, moltiplicata per un fattore
moltiplicativo (es. 34CrMo4, 20MnCr6, 16CrNi4, 18NiCrMo5);
(2.5) acciai alto legati: 𝑋𝑛𝐸𝑝., dove X non indica nulla, n ed E sono come sopra e p. è
l’insieme dei valori indicanti le percentuali degli elementi di lega, se rilevanti. Il punto
separa tali valori, che sono disposti in senso decrescente (es. X10Cr13, X5CrNi18.10,
X105CrMo17);
(2.6) caso particolare degli acciai rapidi: 𝐻𝑆𝑝 −, dove HS sta per high speed e p- è
l’insieme dei valori percentuali di W, Mo, V e Co, in questo ordine. Tali valori sono
separati da un trattino (es. HS 18-0-1).
La designazione può anche essere fatta secondo l’AISI (American Iron and Steel Insitute):
(1) acciai al carbonio o basso legati: sistema numerico a 4 cifre in cui le prime due individuano
la classe di appartenenza dell’acciaio e le ultime due 100 volte il tenore di carbonio (es. AISI
1050);
(2) acciai inossidabili: sistema numerico a 3 cifre in cui la prima è la classe e le ultime due
specificano la tipologia di acciaio in una data classe (es. AISI 316);
(1) acciai da costruzione di uso generale (largamente utilizzati anche in ambito civile,
seguono la designazione del gruppo 1);
(2) acciai speciali da costruzione (sono utilizzati in condizioni più severe di esercizio, possono
essere al carbonio o legati e derivano le loro proprietà da opportuni trattamenti, seguono la
designazione del gruppo 2. Esempi sono gli acciai da bonifica, da cementazione e da
nitrurazione);
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Capitolo 10. Curve di Bain, trasformazione Perlitica, Bainitica e Martensitica
Il diagramma di stato ferro-carbonio si ottiene tramite raffreddamenti molto lenti, cosa che però in
campo industriale non è possibile replicare per questioni di tempo e denaro. I raffreddamenti nella
pratica sono diversi da quelli usati per creare il diagramma ferro-carbonio e di conseguenza essi
possono originare costituenti strutturali nuovi, che sono di non-equilibrio. Allora si introducono le
curve di Bain, che in particolare sono le curve di trasformazione isoterma dell’austenite (TTT) e di
trasformazione anisoterma dell’austenite (CCT).
(1) si riscalda l’acciaio fino a che non ottiene una struttura completamente austenitica;
(3) dopo un certo tempo, si porta velocemente l’acciaio a temperatura ambiente per poterne
analizzare la microstruttura post-trasformazione;
(5) si costruisce un diagramma che tiene conto dei punti, individuati dalle coordinate tempo-
temperatura, ai quali si è verificato l’inizio e la fine di una trasformazione della
microstruttura, lungo una linea isoterma.
I punti considerati determinano la caratteristica forma a doppia S delle curve TTT. La microstruttura
che si ottiene tramite i raffreddamenti isotermi varia a seconda della temperatura di mantenimento
e del tenore di carbonio dell’acciaio. Nel caso di un acciaio eutettoidico, considerando trasformazioni
isoterme:
(1) per temperature più alte di quella eutettoidica, l’austenite è stabile e non si trasforma. Per
temperature minori a quella eutettoidica l’austenite è instabile;
(2) per temperature comprese fra quella eutettoidica e quella che si ha in corrispondenza del
“naso” delle curve TTT, l’austenite instabile si trasforma in perlite. In particolare, la perlite è
grossolana se la temperatura di mantenimento è prossima a quella eutettoidica, è fine se è
prossima a quella del “naso”;
(3) per temperature comprese fra il “naso” e la linea “martensite start”, l’austenite instabile
si trasforma in bainite. In particolare, la bainite è superiore se la temperatura è prossima a
quella del “naso”, è inferiore se la temperatura è prossima a quella della linea “martensite
start”;
(4) per temperature comprese fra la linea “martensite start” e martensite “finish”, la
microstruttura è formata da austenite e martensite. In particolare la percentuale di martensite
aumenta all’abbassarsi della temperatura di mantenimento. Oltre la curva a S di destra
(quella di sinistra termina quando tocca la linea “martensite start) la microstruttura risulta
trasformata ed è formata da bainite e martensite;
(5) per temperature al di sotto della linea “martensite finish”, la microstruttura è martensite
stabile e non si trasforma.
26
La bainite ha una microstruttura formata da ferrite e cementite e ha morfologie aciculari. La bainite
superiore, poco tenace, ha della cementite grossolana contenuta in fini lamelle di ferrite, mentre
quella inferiore, dura, resistente e tenace, ha una cementite fine dispersa nella ferrite. Se la
composizione chimica dell’acciaio lo permette, la bainite superiore, che è più tenace di una
martensite rinvenuta a pari durezza, si può ottenere tramite un trattamento isotermico di tempra
bainitica.
La martensite è il costituente microstrutturale più duro che si può ottenere in un acciaio ed è formata
da una soluzione interstiziale sovrassatura di carbonio in ferro-alfa. Ha una struttura tetragonale a
corpo centrato con pochissimi sistemi di scorrimento (da cui l’alta durezza e la fragilità, entrambe
maggiori che nella bainite) e una morfologia aghiforme. Si può ottenere solamente tramite un
velocissimo raffreddamento che possa impedire che avvengano le trasformazioni di alta
temperatura. Notare che la percentuale di martensite che si ottiene non dipende dal tempo ma solo
dalla temperatura di arresto del raffreddamento. Le caratteristiche di una trasformazione
martensitica sono:
(2) l’assenza di processi diffusivi di nucleazione e accrescimento, che viene sostituita come
meccanismo di trasformazione da un meccanismo a scatto che consiste in un movimento
coordinato di atomi in tempi molto rapidi;
Le curve TTT di un acciaio eutettoidico sono diverse da quelle di uno iper o ipo-eutettoidico. In
particolare l’elemento più evidente è la presenza di una curva che parte verso l’alto dal “naso”. Le
curve sono influenzate da alcuni fattori:
(1) più il tenore di carbonio è alto più l’austenite è stabile, con conseguente spostamento delle
curve verso destra;
(3) più i grani austenitici sono grandi più sono sfavorite le trasformazioni bainitica e perlitica,
con conseguente spostamento delle curve verso destra;
27
(4) più l’austenite è omogenea, più le curve si spostano verso destra, favorendo la
temprabilità. Le disomogeneità infatti fungono da siti preferenziali di nucleazioni come un
alto numero di bordi di grano;
Le curve CCT sono associate alle trasformazioni degli acciai in condizioni di raffreddamento
anisotermo. I diagrammi CCT sono spostati a temperature più basse e tempi più liunghi rispetto ai
diagrammi TTT corrispondenti. Per costruire le curve CCT, si riscalda l’acciaio fino a che non ha una
struttura completamente austenitica e poi si raffredda più o meno rapidamente in maniera
anisoterma. Sfruttando i punti di inizio e fine delle trasformazioni si ottengono le curve CCT nel
piano tempo-temperatura. Analizzando un grafico generico di un acciaio eutettoidico si notano
alcuni elementi distintivi:
(2) in basso sono presenti due isoterme che sono le linee di “martensite start” e “martensite
finish”;
(3) fra l’isoterma del punto 1 e la linea di “martensite start” è tracciata una curva formata da
due linee a forma di “C” collegate alla base da un segmento rettilineo.
(1) se si segue una linea di raffreddamento lento (una linea è tanto più obliqua quanto più è
veloce il raffreddamento), l’austenite si trasforma del tutto in perlite attraversando il campo
compreso fra le due C, senza intersecare la linea retta di collegamento (detta linea X-Z);
(2) se si segue una linea di raffreddamento più veloce, l’austenite si trasforma solo in parte
in perlite, attraversando il campo fra le due C ma uscendo dalla linea X-Z. La percentuale di
austenite che si trasforma è tanto maggiore quanto più l’intersezione fra la linea di
raffreddamento e quella X-Z è vicina al punto X, che si trova più a sinistra del punto Z. La
struttura dell’acciaio si trasforma poi in una combinazione di perlite e martensite procedendo
oltre attraverso le linee di martensite;
(3) se si segue una linea di raffreddamento ancora più veloce, l’austenite non attraversa il
campo fra le due C e si trasforma interamente in martensite passando entrambe le linee di
martensite.
Le curve CCT per gli acciai ipo e iper-eutettoidici sono leggermente diverse. In particolare sono
presenti due campi aggiuntivi. Per gli acciai ipo-eutettoidici ci sono il campo di trasformazione di
austenite in ferrite e quello di trasformazione di austenite in bainite, mentre per gli acciai iper-
eutettoidici ci sono il campo di trasformazione di austenite in cementite e quello di trasformazione
di austenite in bainite. A destra, nei diagrammi di questi acciai non-eutettodici ci sono dei campi in
cui l’acciaio presenta una struttura di perlite e ferrite (ipo-eutettoidici) e una struttura di perlite e
cementite (iper-eutettoidici). Il molibdeno e il cromo hanno gli stessi effetti che avevano sulle curve
TTT. Dalle curve CCT si possono ricavare dati sulla durezza, che aumenta con la velocità di
raffreddamento e sulla percentuale dei microcostituenti.
28
Capitolo 11 e 12. Trattamenti termici degli acciai e trattamenti superficiali
L’acciaio può essere trattato termicamente, grazie alla presenza del carbonio, per migliorarne le
proprietà o per fornirgli una combinazione di caratteristiche ottimale per l’applicazione del caso. I
trattamenti termici si dividono in 3 grandi categorie:
(1) trattamenti con superamento dei punti critici: tutti questi trattamenti prevedono come
prima cosa quella di scaldare l’acciaio al di sopra dei punti critici fino a ottenere una struttura
completamente austenitica, nel caso di acciai eutettoidici o ipo-eutettoidici, o largamente
austenitica (austenite e cementite), nel caso di acciai iper-eutettoidici. Tale riscaldamento è
continuo o a gradini a seconda delle dimensioni del pezzo da trattare. La temperatura a cui
si riscalda il pezzo viene poi mantenuta per un certo tempo in modo da omogeneizzare la
temperatura all’interno dell’acciaio. Alla coppia di operazioni ricaldamento+mantenimento,
segue il raffreddamento. Il modo in cui viene raffreddato il pezzo determina l’esistenza di
vari tipi di trattamenti con superamento dei punti critici:
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(1.6) tempra: trattamento a fine lavorazione che consiste in un rapido raffreddamento
in modo da ottenere una struttura martensitica, oppure martensitica con presenza di
cementite, a temperatura ambiente. Con la tempra si ottiene la massima resistenza
meccanica possibile. La scelta del mezzo di tempra, il quale solitamente è olio o acqua,
dipende da una serie di parametri. Solitamente per pezzi di grandi dimensioni di
acciaio debolmente legato si effettua la tempra in olio, per pezzi piccoli in acciaio al
solo carbonio si effettua quella in acqua. Poiché la tempra comporta la massima
durezza ma anche un’alta fragilità, per ridurre la fragilità e le tensioni residue dovute
alla velocità di raffreddamento, si fa seguire alla tempra il trattamento di
rinvenimento. La loro combinazione si chiama bonifica;
(2) senza superamento dei punti critici: sono trattamenti che seguono sempre un trattament
con superamento dei punti critici. I due tipi di trattamento senza superamento sono già stati
introdotti precedentemente:
(2.2) rinvenimento: segue la tempra nel processo di bonifica e serve per migliorare la
scarsa tenacità dei pezzi duri che si ottengono con la tempra. Gli effetti del
rinvenimento, che consiste in un riscaldamento e mantenimento seguito da
raffreddamento arbitrario a temperatura ambiente, sono un aumento di resilienza e
una diminuzione della resistenza meccanica. Quando queste caratteristiche
aumentino o calino dipende dalla temperatura di rinvenimento. La temperatura di
rinvenimento ottimale è di circa 600°C. Gli effetti del rinvenimento sono dovuti alla
diffusione del carbonio che andando a formare carburi a certe temperature esce dal
reticolo della martensite, il quale risulta meno fortemente distorto e quindi associato
a un valore diminuito di durezza;
(3) particolari:
(3.1) tempra superficiale: trattamento che permette di ottenere dei pezzi duri
all’esterno ma tenaci all’interno. L’indurimento superficiale è ottenibile riscaldando
la sola superficie al di sopra del punto critico A3 tramite il metodo tocco (a induzione)
o il metodo Shorter (per fiammatura con torce ossiacetileniche). Di solito viene
accoppiata a un successivo rinvenimenti di distensione
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(3.3) nitrurazione: trattamento termochimico che consente di indurire la sola
superficie del componente in acciaio debolmente legato arricchendola in azoto. Il
pezzo da nitrurare viene messo in un’atmosfera ricca in azoto a temperature inferiori
a quelle dei punti critici (ferritiche) per tempi molto lunghi (da 12 a 96 ore). In queste
condizioni l’azoto diffonde nella superficie dell’acciaio e forma eventualmente dei
precipitati con gli elementi di lega (coltre bianca) che induriscono la superficie.
Sono stati inoltre messi a punto 3 tipi di tempra che hanno lo scopo di ridurre al minimo i pericoli
dovuti agli sforzi residui o per evitare cricche da tempra:
Gli acciai inossidabili sono acciai contenenti una percentuale di cromo compresa fra il 10.5% e il
30%. Il cromo garantisce l’ossidabilità, cioè la capacità dell’acciaio inox di ossidarsi in presenza di
ossigeno nell’ambiente in cui si trova. Quando l’acciaio inox si ossida, esso forma superficialmente
una pellicola di ossido di cromo, che è in grado di rigenerarsi, di proteggere l’acciaio dalla
corrosione, di aderire bene all’acciaio sottostante, di avere caratteristiche meccaniche simili ad esso
e di essere di bell’aspetto e facilmente pulibile. Tale processo di formazione di un film protettivo è
noto come auto-passivazione. Il carbonio negli acciai inox è presente con tenori minori dell’1.2%.
Due degli elementi di lega che ricorrono più spesso negli acciai inox sono il cromo e il nichel. Il
cromo, che caratterizza tutti gli acciai inox, è un elemento ferritizzante, mentre il nichel, spesso
presente, è autenitizzante. Gli altri elementi di lega si comportano come austenitizzanti (es. carbonio)
o ferritizzanti. Esistono 5 principali classi di acciai inossidabili:
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Esistono varie tipologie di corrosione, che preliminarmente può essere divisa in corrosione a umido
(in presenza di acqua condensata) e a secco (in assenza di acqua condensata) e in corrosione
generalizzata (interessa l’intero pezzo di acciaio inox) e localizzata (interessa una piccola parte del
pezzo):
(1) corrosione atmosferica: corrosione generalizzata che è associata all’impiego di acciai inox
in atmosfere inquinate. L’elemento più corrosivo da questo punto di vista è lo ione cloruro,
poiché è in grado di destabilizzare lo strato passivante di ossido di cromo.
(2) vaiolatura (pitting): corrosione localizzata, con effetto perforante, che rapidamente può
portare al deterioramento della struttura metallica sottostante lo strato passivante. La
vaiolatura accade con meccanismo di innesco e accrescimento, soprattutto in ambiente poco
ossidanti e carichi di ioni aggressivi come lo ione cloruro. Si valuta la resistenza a vaiolatura
tramite l’indice PREN, che tiene conto della composizione chimica dell’acciaio inox. Valori
di PREN crescenti sono richiesti nel passaggio da un ambiente di acqua potabile a uno di
acqua salmastra a uno di acqua marina.
(4) corrosione galvanica: corrosione che si verifica in un sistema di due metalli di diversa
nobiltà posti a contatti tramite elettrolita e sui quali avviene una sola reazione catodica. Il
metallo meno nobile (area anodica) si corrode, mentre quello più nobile (area catodica), che
solitamente è l’acciaio inox, non si corrode. Tale corrosione è concentrata se l’area anodica è
molto minore di quella catodica. Per impedire la corrosione galvanica si possono usare degli
isolanti che impediscano il contatto elettrico fra i due metalli accoppiati;
(5) tensocorrosione: azione combinata di una sollecitazione meccanica (di varia natura) e di
un mezzo corrosivo specifico che portano alla formazione di cricche nel metallo. Tanto più
la forza agente è alta, tanto più è difficile che l’acciaio inox possa ripristinare la pellicola
passivante nella zona della cricca. I due meccanismi con cui si verifica più comunemente la
tensocorrosione sono la dissoluzione anodica della cricca e l’infragilimento da idrogeno.
(1) hanno una struttura CCC e una quantità di cromo compresa fra l’11% e il 30%. La struttura
determina una curva di transizione duttile-fragile e una tendenza dei propri grani di
ingrossarsi. Non contengono nichel;
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(2) non hanno punti critici e di conseguenza non possono subire trattamenti termici per
migliorare le non eccelse proprietà meccaniche;
(3) sono facilmente lavorabili per deformazione plastica a freddo o a caldo. Solitamente si
aumenta la resistenza tramite incrudimento, nonostante la bassa duttilità e lo scarso indice
di incrudimento;
(4) possono subire trattamenti termici che non migliorano le proprietà meccaniche. Tramite
la ricottura di ricristallizzazione si migliora la resistenza a corrosione e si riducono le tensioni
residue. Tramite la solubilizzazione si dissolvono e assorbiscono le seconde fasi per
contrastare la corrosione galvanica;
(6) risentono di infragilimento da fase sigma a 550-750°C: formazione della fase intermetallica
sigma ricca di carbonio a bordo grano che infragilisce il metallo riducendone anche la
resistenza a corrosione. Si può eliminare la fase sigma tramite solubilizzazione;
(7) risentono di infragilimento a 475°C: infragilimento causato dalla precipitazione della fase
coerente alfa’ a bordo grano che riduce la resilienza. Si può riassorbire la fase alfa’ con una
ricottura;
(8) risentono di infragilimento a elevate temperature (circa 980°C): ad alte temperature gli
acciai inox ferritici vanno incontro a sensibilizzazione che peggiora la resistenza a corrosione,
favorendo la corrosione intergranulare;
(9) sono utilizzati per utensili e macchine di uso domestico, nonché in collettori di scarico di
gas caldi. Gli acciai inox ferritici ELI (extra-low interstitial) sono usati in ambito per la
costruzione di macchine a fluido e nell’industria alimentare e farmaceutica.
(1) contengono percentuali di cromo comprese fra il 17% e il 19% e hanno una struttura CFC
che li rende amagnetici e privi di curva di transizione duttile-fragile.
(2) si possono ottenere per aggiunta di nichel o magnanese in lega, che consentono di ottenere
la struttura austenitica;
(3) non presentano punti critici, quindi le contenute proprietà meccaniche non possono essere
migliorate tramite trattamenti termici. Sono lavorabili plasticamente e presentano buona
saldabilità e tenacità. Tramite incrudimento si possono migliorare le proprietà meccaniche e
si può indurre la formazione di geminati e di martensite, la quale è magnetica, suscettibile
alla corrosione ma anche rimovibile con opportuni riscaldi.
(5) possono essere trattati con solubilizzazione per evitare la presenza di seconde fasi in
favore di una struttura chimicamente omogenea. Essa elimina eventuali alterazioni
strutturali precedentemente introdotte. Solitamente dopo la solubilizzazione si procede con
la distensione per eliminare le tensioni residue in favore di un aumento della resistenza a
corrosione, la quale già di base è notevole.
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(6) solitamente hanno al loro interno percentuali rilevanti di nichel, che rendono l’acciaio
inossidabile in molti ambienti in combinazione con il cromo. La corrosione localizzata e
intergranulare può essere contrastata con l’aggiunta di molbdeno e titainio;
(7) sono soggetti alla formazione di precipitati che ne riducono la capacità anti-corrosiva. In
particolare le seconde fasi che si formano sono la ferrite-delta, poco resistente alla vaiolatura,
e la fase delta, molto dura e fragile;
(8) solitamente presentano tenori di carbonio inferiori allo 0.03% ed elementi stabilizzanti
come il titanio per contrastare il fenomeno della sensibilizzazione.
(9) hanno le migliori proprietà di resistenza all’ossidazione a caldo e al creep e sono i più
facilmente saldabili;
(10) sono usati in ambito criogenico e in sistemi di generazione di energia che lavorano ad
alte temperature.
(1) contengono quantità di cromo comprese fra l’11% e il 19% e il tenore di carbonio
raggiunge al massimo l’1.20%.
(2) presentano, contrariamente a tutti gli altri acciai inox, i punti critici e sono quindi
temprabili (ciò fa sì che possano avere la struttura martensitica);
(3) presentano transizione duttile-fragile attorno a 0°C. Sono poco deformabili a freddo, di
più a caldo. Oltre a una discreta resistenza a corrosione, sono molto duri, hanno buona
resistenza meccanica, a fatica e a corrosione;
(4) possono essere trattati termicamente. Sono ottenuti tramite tempra in olio o in aria perché
gli elementi di lega spostano le curve di Bain di questi acciai verso destra. Il rinvenimento
permette di bilanciare i valori di resistenza meccanica e resistenza a corrosione. La ricottura
permette di ridurre la durezza, a volte anche solo per permettere una migliore lavorabilità
dell’acciaio. I trattamenti finali di distensione attenuano o eliminano le tensioni residue
precedentemente introdotte;
(5) sono meno resistenti alla corrosione degli altri acciai inox, rispetto a quali sono però più
resistenti meccanicamente. Sono quindi impiegati in ambienti blandamente aggressivi.
(6) sono usati per realizzare cuscinetti, bulloni, viti, coltelli, strumenti chirurgici e palette di
turbine a vapore.
(1) hanno una struttura austeno-ferritica a temperatura ambiente grazie a una corretta
combinazione degli elementi di lega. Il rapporto nella struttura di austenite e ferrite è di quasi
1:1, ottenibile grazie ad un trattamento di solubilizzazione ad alte temperature seguita da
una tempra in acqua fino a temperatura ambiente;
(2) hanno tenori di cromo fra il 22% e il 25% e di nichel fra il 4% e il 7% con aggiunte in molti
casi di molibdeno e azoto;
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(3) hanno elevate proprietà meccaniche e di resistenza a corrosione, in particolare a
tensocorrosione e vaiolatura. Sono molto tenaci e hanno una temperatura di transizione di
circa -80°C. Tuttavia al di sotto dei 300°C non sono utilizzabili a causa dell’eccessivo
infragilimento che risulta dalle trasformazioni della struttura che avvengono a 800°C e a
475°C;
(4) risentono particolarmente della precipitazione di carburi e nitruri e delle fasi infragilenti.
In particolare, a 800°C precipitano i carburi, i nitruri e la fase sigma, mentre a 475°C c’è un
arricchimento locale di carbonio nella ferrite che ne aumenta la fragilità. Le fasi riducono la
resistenza a corrosione e la tenacità. Tramite solubilizzazione si possono riassorbire tali fasi;
(5) sono usati nella realizzazione di ponti, serbatoi di navi e di autocisterne, tetti di aeroporti.
Trovano anche impiego a basse temperature vista la bassa temperatura di transizione.
(1) costituiscono un’alternativa agli acciai inox austenitici e hanno un tenore di cromo fra il
10% e il 18.5%, di nichel fra il 4% e il 25% e di carbonio fra lo 0.02% lo 0.30%;
(2) hanno una buona resistenza a corrosione e proprietà meccaniche superiori a quelle degli
acciai inox martensitici tradizionali;
(4) possono subire alcuni trattamenti termici. La solubilizzazione riporta in soluzione gli
elementi indurenti o i loro soluti. La tempra mantiene in soluzione gli elementi o i composti
disciolti ad alta temperatura. L’invecchiamento permette di formare precipitati che bloccano
le dislocazioni.
(5) si differenziano in base alla microstruttura con cui vengono forniti. Possono essere
martensitici, semi-austenitici oppure austenitici;
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