1^ lezione (19-2-18)
La filosofia nasce quando qualcuno prova meraviglia (Il “thaumazein” nel “Teeteto” di Platone e
ripreso in “Metafisica” di Aristotele). La Bibbia, nel salmo 110, parla di “initio sapientiae timor
Domini”, “L’inizio della sapienza comincia con un timore”.
Sono tonalità diverse perché la meraviglia potrebbe non coincidere con il timore, ma per entrambi
il punto d’inizio della conoscenza non è in un atto razionale.
Lo stupore è essere resi consapevoli di qualcosa che prima consideravamo scontato.
L’atto filosofico, il chiedersi qualcosa (atto razionale), vede un’origine NON razionale, ma è stupore,
è origine EMOZIONALE.
Conoscenza meccanica (o inautentica, fatta inconsapevolmente) e conoscenza consapevole (o
autentica)= “sonno”/”veglia” (in relazione alla capacità di consapevolezza)
Sapere è diverso da avere consapevolezza, il primo è meccanico (nozione nella propria mente), il
secondo è conoscenza consapevole (c’è partecipazione più viva dell’io, è condizione vissuta, si è più
“svegli” e ciò causa in me stupore).
E’ da quando ci si “sveglia” che inizia la filosofia. Passare dalla condizione meccanica alla
consapevole accade e basta, si può solo accogliere l’evento.
All’origine dell’atto conoscitivo consapevole non vi è la razionalità, ma l’emozione.
(Anche nelle nostre scelte, siamo prima guidati da un appetitus, primus movens, poi si sottopone il
tutto alla razionalità)
La razionalità non scaturisce da se stessa ma è collegata ad una condizione previa emotiva.
Il punto di partenza è non di opposizione, bensì di collegamento/sinergia/armonia.
Dopo la fase contemplativa (‘pieno’, stupore), la domanda (‘vuoto’): come mai le cose stanno così e
così? = interviene la razionalità
Ci può essere la scelta di conservazione dello stupore (strumenti partitici) o quelli di una domanda.
1. L’arte: tentativo di fermare l’attimo oppure
2. La domanda (‘vuoto’) come mai le cose stanno così e così interviene la razionalità
Perché l’evento c’è piuttosto che no? E’ domanda radicale proprio della filosofia
La contemplazione (stupore) cerca di fissarsi in un supporto come l’arte, la scienza (episteme).
Quest’ultima via ha stessa origine dell’arte ma sviluppo diverso: il pieno della contemplazione è
sostituito dal vuoto della domanda “Perché?” (“perché” particolare è proprio delle scienze,
“perché” radicale proprio della filosofia). Questa innesca il processo per il quale cercherò di
riempire il vuoto, superando l’emotività e scendendo sul terreno della razionalità.
L’eubiòs è il vivere abbandonandosi alla contemplazione (NB! la crisi esistenziale è il non sapersi più
stupire e non sapersi accontentare più dello scontato)
Con l’età moderna, emozione e ragione andranno a contrapporsi: il primo elemento altererà il
secondo. Cartesio sarà colui che principalmente avvalorerà tali tesi ma già dalla fine del XIII-XIV
secolo si afferma l’idea raziocentrica riguardante l’esperienza umana, idea che si trova a prevalere
anche per motivi pratici: lo sviluppo della scienza assicura all’uomo un potere sulle cose, egli
dev’essere “metro e possessore della natura”, il padrone delle cose, c’è un rapporto tra cervello e
mondo -res cogitans ed extensa- e la conoscenza si configura come un soggetto, o meglio, è la sua
capacità razionale che rispecchia ciò che è fuori da lui=il mondo che una volta scoperto com’è fatto
può permettergli di modificarlo.
C’è la separazione tra cultura scientifica ed umanistica.
La cultura occidentale ha confuso l’attività del cervello con quella pura razionale sulla base del
presupposto cartesiano.
Oggi si è dimostrato che la razionalità non riesce a spiegare ogni campo che apparentemente
dovrebbe essere guardato esclusivamente attraverso la ragione, e che nessun processo decisionale
può astrarre dalle condizioni emotive del soggetto.
La filosofia dimostra già che l’attività razionale comincia con l’essere interessati a qualcosa, in
quanto la curiosità è un’emozione. Essa nasce quando qualcosa non è data per scontata.
La filosofia come “pensiero vivente” -> non è dissezione dello scontato, bensì pensiero che
mantenga la capacità di stupirsi e di non dare le cose per scontato senza il quale manca una reale
prosecuzione della conoscenza
…dopo la domanda interviene la razionalità – in precedenza interveniva il mythos!
All’inizio della civiltà occidentale la risposta venne cercata in ambito e linguaggio diverso da quello
razionale: il mito, valido sia per il perché particolare che radicale.
Linguaggio mitico e linguaggio razionale: l’ <<Achsenzeit>> (periodo assiale) del VI-V sec. a.C . come
definito da K. Jaspers, che lo chiama in tal maniera perché l’asse si sposta dalla contemplazione alla
ricerca=>domanda con risposta in chiave mitica
Si costituisce un pensiero nel linguaggio e nella grammatica della razionalità ed uno attraverso il
linguaggio e la grammatica del mito
Si passa dalla pura fase della contemplazione a ricerca mitica, in cui ci si pone il perché e vi si cerca
una risposta su quel piano: nello stesso periodo, tra il VI e il V secolo a.C. (alcuni dicono tra VII e III
secolo) ma in posti diversi della terra (presocratici, Gautama -in India parla del Buddha-, Mahavira
-fonda il laismo ?-, Laotsu -in Cina fonda il Tao-, Confucio, Zarathushtra -Zoroastro, Persia)->
propongono tutti una risposta mitica che non è più una via degli eletti, il patrimonio della
stupefazione era “assegnato” solo a persone con queste capacità (dormienti VS svegli, c’è una
visione castale della conoscenza che nell’Achsenzeit cambia, perché si ritiene che tutti possano
diventare “svegli”).
Si supera una sorta di “immobilismo”.
“filo” (phileo) – “sofia” (sophia) * = amore+sapienza
E’ un termine così in se stesso rivelatore, perché denuncia il carattere legato all’emotività e la
prosecuzione della ricerca con la domanda (“sofia”).
E’ dunque prima emozione e poi conoscenza, si sceglie perché piace e ci sono ottime ragioni per
seguirla.
*?IND *sap- (es. sapere, aver sapore)
E’ incerto abbia questa origine indoeuropea.
Cooriginarietà di FIL e DIR
Le loro origini sono contemporanee (nascono nel clima della polis) e la loro è una connessione
strutturale, in ciò risiede il loro “apparentamento”. Entrambe sono “radicali”, sono considerate
fondamentali per gli esseri umani.
Le prime espressioni dell’Achsenzeit è nei presocratici, i primi ad occuparsi del diritto stesso.
Il diritto è legato ad una certa modalità dei rapporti intrasoggettivi.
Un fatto di cronaca del IV sec. a.C. (riportato da Platone) ->La filosofia appare come metodo.
Ad Atene, sull’Areopago (“dedicato ad Ares”) era costruito un tribunale penale: Socrate, accusato
da Meleto, vi si sta recando e sulle scale incontra qui Eutifrone (futuro suo “seguace”), un figlio che
sta andando a denunciare il padre per l’omicidio di un servo (questo contadino, avendo bevuto
troppo, si azzuffa con uno della famiglia e lo uccide, il padre lo lega e lo getta in un fossato,
chiedendo all’Areopago cosa farne, ma prima che il messo torni dall’esperto del diritto, egli muore
per il freddo, la fame e le catene). Egli si considera “puro” e non può “contaminarsi” con una
persona che vive sotto il suo stesso tetto e ha compiuto quest’atto, anche se è suo padre. Socrate,
mediante la maieutica, ottiene la risposta riguardante cos’è giusto o ingiusto, smontando
progressivamente le argomentazioni del soggetto per verificare se stanno assieme in maniera
razionale oppure no.
Eutifrone offre la sua pretesa di verità (doxa), sa cos’è giusto: sta proponendo la regola secondo la
quale non ci si può fare giustizia da sé lasciando morire un servo e che i legami di parentela non
possono offuscare il dovere di giustizia. Socrate mostra che Eutifrone dà per scontato quanto dice
(che esista la regola e che si debba punire), che la sua pretesa di verità non è razionale.
Il filosofo in realtà comprende che Eutifrone vuole solo togliere di mezzo il padre per ottenere la
sua eredità (“Vizi privati e pubbliche virtù” cit.), egli però dà dignità alla tesi da lui sostenuta,
perché rispetta il regime politico democratico (durata meno di 100 anni, Pericle) dell’Atene
dell’epoca. D’altra parte però, nonostante la democrazia, schiavi-stranieri non hanno pieni diritti,
ma il resto dei cittadini può esporre la propria opinione, sapendo di poter essere rispettato.
In queste condizioni comincia il percorso della ragione.
…quid ius?
“Che cos’è il diritto?” è una domanda filosofica. Analizzeremo con un metodo (Sumplochè per
Platone, Dialettica per Aristotele)
2^ lezione (20-2-18)
1. Linguaggio della filosofia (es: Platone, nell’Eutifrone c’è stupore per figlio che denuncia il padre e
ciò diventa punto d’inizio della domanda ‘Cos’è giusto e cosa non lo e’): lo stupore si affida alla
ragione per organizzare la conoscenza del “giusto”
2. Linguaggio del mito: raccontare (oralmente, visivamente, acusticamente) lo spazio del sacro
attraverso l’emozione
Sacher: spazio che non può essere violato, tabù, luogo del mistero/della paura/del rispetto
Nello spazio del sacro non ci si muove ragionando ma solo con un percorso di emozioni
“Popolo nella piazza raccolto”-> vi è un demos presso l’agorà-> piazza è dimensione pubblica,
dunque anche la GIUSTIZIA ce l’ha, prima era in forma privata, quella della vendetta, che ha già
delle misure-> soggetti non in parità, vi sono i consanguinei -ghenos- e la tribù separati.
La vendetta ha già delle misure, ma la legge del taglione (‘ius taglionis’) ne è un’evoluzione, in
quanto introduce la “proporzionalità”.
Qui il popolo darà un parere ascoltando le ragioni di coloro che sono in controversia.
“Entrambi ricorrevano a un giudice”-> si ricorre a un terzo che non è un sacerdote che invoca il
parere degli dei, bensì gli ANZIANI sedevano su pietre lisce in sacro cerchio (idea di uno spazio
particolare, già i Celti si riunivano così e piantavano una lancia con una punta verso l’alto nel
cerchio ove si riunivano per decidere) che avevano in mano i bastoni-> elemento costitutivo
dell’amministrazione della giustizia, simboleggiava il collegamento tra terra e cielo (la stessa
posizione eretta è “innaturale” ma simboleggia l’emancipazione dalla condizione bestiale), ora
invece vi è un martello (“ce l’avevano i profeti, ce l’aveva Gandalf, i vescovi, il pontefice…” cit.).
C’era un magistrato preposto a raccogliere elementi di fatto, che non necessariamente conosceva
le regole, non vi erano codici, gli potevano essere ricordate anche in quei momenti.
Gli anziani si ritiravano, deliberavano e facevano a votazione col conteggio dei voti.
“Nel mezzo erano posti due talenti d’oro, da dare a chi di loro dicesse più dritta* giustizia”->
Non sappiamo effettivamente quanto si pagasse per un processo, ma delle riforme di Clistene
sappiamo che la quota per le spese giudiziarie progressivamente aumento, disincentivando
progressivamente le persone da intentare il processo.
*ne parlerà anche Esiodo. E’ rimasto in “diritto”, “right”.
Ma come si definisce un retto giudizio? -> Problema della giustizia-> Ambiguità di fondo individuata
da Heidegger che interpretando un testo di Platone affermerà che questi afferma un concetto
simile a ciò che noi chiamiamo verità ma in un certo punto “orthòs”=”il dritto, il punto dopo l’altro
secondo un ordine che non deflette” (orzotes), la cosa è vera perché rispetta un certo ordine (“Tutti
gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale), poi usa “aletès” (alèteia) =”vero”.
Per Platone l’aleteia è un’agitazione divina-> verità come frutto di illuminazione/estasi. Heidegger
invece analizza etimologicamente l’origine dal verbo “lanzano” (“nascondere”) -> “non
nascondimento, svelamento”-> “la verità è ciò che si svela dal mistero”.
Nella prima accezione l’ elemento dominante è la razionalità, ma nel secondo senso la sentenza è
giusta perché mi mostra qualcosa prima misterioso.
“DRITTO” = ORTHOS vs ALETHEIA
Realismo giuridico: diritto come manifestazione di potere, è versione umana della legge della giungla.
In merito al processo raffigurato sullo scudo di Achille sembra mancare perché lì la giuria imparziale decide
o secondo razionalità o secondo elementi aletici.
1. Zeus (padre degli dèi, a monte di ogni generazione, compresa la fusis, egli accoppiandosi dà
origine ai vari livelli dell’essere) si unisce a Themis (regolatrice dei rapporti, es. fra le stagioni
-divisione in porzioni determinate- -> senza di lei il tempo fluisce in maniera indeterminata,
convocatrice delle assemblee ad inizio stagioni, ispira coloro che prendono decisioni)
2. generano le Ore (“portinaie del cielo” -> trascendimento condizione terreste, determinano chi
va dove in quanto portinaie):
Eunòmia (“buona legge”, è VERA legge)
Dike (“giustizia”, come amministrazione, “ius dicere”)
Irene (“pace”, “pax civitatis est tranquillitas ordinis”)
Senza ordine non c’è pace.
C’è una forza quale Zeus ed una regolazione della stessa, Themis (come Santippe & Socrate), facendo sì che
i rapporti non seguano esclusivamente “la via della fusis”.
Parmenide (VI-V sec. a. C.) ritiene che l’uomo apprende facendolo come se compisse un viaggio. E’
conoscenza di un “paesaggio” sia esterno che interno (turista come dormiente, vuol guardare solo le cose
scontate VS viaggiatore come sveglio, lì per l’inatteso e la sorpresa).
Vive ad Elea, in Magna Grecia (Campania, in provincia di Salerno).
“Peri Physeos”: il giovane sapiente cerca il fondamento (“Arkè”-> origine, principio, fondamento,
ciò per cui le cose sono) della “fusis”.
Veniva dato questo titolo a tutte le opere precedenti a Platone, il suo contenuto è riportato da
autori successivi.
Egli attraversa “tutti i luoghi”, lungo “la via divina delle molte opinioni” (poliufemòs) e giunge alla
“porta dei sentieri del giorno/dì e della notte” (entrambi aspetti del giorno, dello stesso arkè, è la
presenza VS assenza di luce)-> lessico mitico.
Le figlie del Sole->luce->conoscenza, guidano il cammino, togliendosi i veli dal capo -> svelano che il
suo è un viaggio in cui sarà tolto il velo del mistero e le cavalle giungono alle porte ove si
congiungono notte e giorno e non ci sono più conflitti, vi è la sorveglianza della “Dike
poliupolemòs” -> non è giustizia di vendetta ma che “molto ripara” dal male inflitto, è colei che
darà la conoscenza ultima. La giustizia non è un elemento accessorio, bensì FONDAMENTALE nel
cammino della conoscenza. La Dike viene persuasa (persuasione fondamentale e positiva) dalle
Eliadi affinchè per loro la sbarra del chiavistello venisse tolta -> la porta si apre e con essa si apre
un abisso di cui non si vede il fondo perché non si può avere una CONOSCENZA ULTIMA E
PARTITA DI TUTTE LE COSE, ma il non avere una conoscenza di tutto non vuol dire che il tutto non
abbia un senso ma anzi ce l’ha (è risposta consolatoria) ed è conforme a Giustizia-> Dike prende la
mano destra del giovane e comincia a parlargli (il verbo greco indica piuttosto il canto), non
un’infausta moira l’ha condotto a compiere questo cammino, bensì egli è stato destinato a ciò, è
portato alla legge divina e alla giustizia che lo aspettano (la maggior parte degli uomini invece sono
“dikranoi”, dormono, non vanno da nessuna parte).
Apprenderà non solo le doxa incerte degli uomini, ma anche il ”solido cuore della verità rotonda”
(“sfera di Parmenide”, l’essere c’è sempre, non ha né origine né fine ed è dunque perfetta -per
questo si usa la figura della sfera-) -> l’essere delle cose è necessario, esse non sono un frullare del
caos.
La ragione delle cose è sorvegliata dalla Dike, la cui voce proviene da un “abisso senza limiti” ma
che “opos estì” =le cose sono determinate da una necessità ed è BENE CHE SIANO.
(Siamo all’achsenseit, quando l’accesso alla conoscenza è resa universale, ma Dike sorveglia in
quanto non a tutti è riservata la conoscenza, i pochi, gli aristoi, gli “svegli” che si destano al
richiamo dello stupor. L’eletto è tale perché è disposto ad accogliere la domanda, per Heidegger è
colui che non vive per la chiacchiera, inautenticamente)
Vengono inoltre indicate le vie di ricerca:
1. “Una via che è e non è possibile che non sia” -> il sentiero della persuasione, perché tiene
dietro la verità -> persuasione è tale se ha per oggetto la verità (ciò che è vero è ciò che è) di
qualche cosa, altrimenti è “imbonimento” puro e semplice.
(vs il “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni” di Nietzsche, c’è sempre il fatto altrimenti
non ci sarebbe alcuna interpretazione.)
2. “L’altra che non è e che è necessario che non sia” -> il non essere non può pensarsi come
contrario dell’essere.
Parmenide vuole eliminare la divisione tra le cose che sono e quelle che non sono, perché TUTTE
SONO -> L’ASSENZA DI QUALCOSA NON E’ LA NEGAZIONE DI QUALCOSA.
“Tutto è pieno ugualmente di luce e buio, e con entrambe non c’è il nulla”.
Entrambe le opinioni (es., di persona 1 e 2) sono generate da un principio, l’una non annulla l’altra.
Non esiste una negazione assoluta perché fa sempre parte dell’essere, bisogna trovare quello che è
il principio che la tiene assieme alla mia (Platone lo individuerà nella dialettica).
Si comprende che alla verità si arriva anche con un confronto con le cose del mondo.
CHE COSA APPRENDE IL SAPIENTE?
La verità (alèteia) esiste ed ha un “fondamento immobile” di origine misteriosa -> c’è prima
qualcosa che è nel buio, il “casmakanès”, poi vi è una sottrazione dello stesso
C’è una verità perché vi è un mistero, origine e non negazione della verità stessa.
Le opinioni (dòxa) degli uomini sono “mobili” (“dicono molte cose”), mutevoli, non hanno
fondamento saldo come la verità.
Verità e opinioni sono necessariamente coesistenti (non opposte!) -> Entrambe riguardano la vita
dell’uomo sveglio.
= non esiste il non-essere in quanto opposto all’essere; il non-essere è pensabile solo insieme
all’essere (come non essere “qualcosa”)
Il suo essere e non essere non costituiscono un opposto, ma se si pensa che il non essere sia
negazione/opposto/ciò che è diverso dall’essere, allora questo “non essere” non esiste e non è
pensabile ed è necessario che sia così. Il vero “non essere” è quello comunque parte dell’essere
(Es: Elena non è Massimo, ma comunque esiste)
Nel mutare delle cose, la presenza delle opinioni non nega la verità, ma ne nega solo aspetti
parziali.
Se di Parmenide abbiamo numerosi frammenti e parte della “Peri fuseos”, per Eraclito abbiamo SOLO
frammenti appartenenti al XIX secolo. Due versioni fondamentali: la Discranz e la Colli.
Framm. 14 A 7-> “La giustizia (dike) nasce dall’opposizione (eris)” -> dunque prima dev’esserci stato
un confronto, di opposizione (nessun nomoteta, allora).
Framm. 14 A 11 -> “La polis si nutre del nomos (che ha la capacità di collegare)”
“Chi vuole intuire le cose deve trarre forza da ciò che tutto concatena” (siunòs, il siun indica il
mettere insieme secondo un principio di individuazione) -> quando esiste un principio per cui un
insieme di parti diventa insieme ordinato, ho un principio = arkè = CAPACITA’ DI TENERE INSIEME
CIO’ CHE E’ MOLTEPLICE.
Il rapporto tra polis e nomos (legge) è di un certo tipo, del tutto analogo al rapporto che intercorre
tra il principio che tiene insieme tutte le cose e la conoscenza-> il nomos trasforma l’insieme
caotico in un insieme ordinato e armonioso, deve dare IDENTITA’ alla polis + serve ad armonizzare
le parti, “ne cives ad arma ruant”.
“Tutte le leggi umane invero vengono nutrite da una sola legge, quella divina, che prevale quanto
vuole e basta a tutto e superfluamente emerge” -> le leggi trasformano il caos in ordine, le leggi
sono umane perché un’assemblea le ha promulgate ma esse non sono semplicemente frutto della
mens legislatoris ma devono partecipare di un ordine di leggi che le trascende = stare su piano
universale (come i nostri attuali diritti umani), altrimenti non è vero nomos.
Non si può dunque prescindere da una “Base” trascendentale, essa non si esaurirà mai e
superfluamente emergerà, dunque ve ne sarà sempre di più.
Tutto scorre ma si individua precisamente.
LE LEGGI UMANE SONO IL “COAGULO” (“trefo” -> nutrirsi, indica anche l’agglutinarsi del formaggio
dal latticello, dunque è il CONFERIRE UNA FORMA) DELLE LEGGI DIVINE -> il rapporto tra questi due
nomoi è un rapporto di determinazione, perché il nomos divino è molto “generale” ma si
“specifica” in quello umano.
(Tuttavia in ciò si potrebbe sbagliare, tipo l’errore giudiziario è considerato comunque un aspetto
del diritto, così come il formaggio che si forma dall’agglutinamento del latte potrebbe presentarsi
coi buchi).
Framm. 14 A 76: le leggi sono le “mura” della polis (= 1. Manifestano, 2. Occultano, 3. Proteggono)
-> combattere a difesa della legge è importante per il popolo come difendere le mura
1. M. in quanto “determinano” quella città, la delimitano, è il primo “fainomenon”, non vedo
subito degli elementi sparsi (tipo casette prima della città vera e propria) a cui non so dare
identità.
2. O. perché ovviamente non permettono di far vedere tutto immediatamente, ogni cosa ha un
lato in luce e in ombra (ciò rende il problema METAFISICO + è un richiamo a Parmenide con la
porta), così come anche la legge fa conoscere e nasconde delle cose, non “dice tutto”, non
solleva da compiti quali le interpretazioni o le ricerche di senso (il caso non rientra mai
pienamente nella norma piena).
3. P. perché ovviamente tutelano la comunità civile.
Framm. 14 A 80s: la giustizia punisce (forza) -> la forza è un aspetto intrinseco del diritto, la Dike è
anche vendicatrice, ma l’aspetto autoritario deve essere parte del diritto, mai sovrastarlo.
(Giustizia con bilancia -giustizia, misura- e dall’altra la spada)
Framm. 14 A 85: la legge (nomos) è anche espressione di volontà -> in quanto comando è anche
forza.
Framm. 14 A 119: Gli uomini dividono il giusto dall’ingiusto (dikaia/
“Belle di fronte al dio (“o teòs”) sono tutte le cose, per il dio dal suo punto di vista”->sa cogliere
tutto e lo ritiene “bello” – kalokagazia, ove è la bellezza è anche la bontà (est-etica, per il latino)
Ci potrebbe sembrare che certe cose portano un disordine, e nel loro piccolo lo fanno, ma l’o teòs,
che ha un punto di vista decontestualizzato, vede che l’insieme tutto è bello (è necessario che
“opos estì” come Parmenide), perché vi è un ordine che sfugge alla nostra comprensione.
(Visione marxista -> se non ci sono conflitti, non c’è nomos dunque neanche la necessità di diritto perché il
conflitto dovrebbe venir meno con la distruzione delle differenze tra classi.)
PREMESSA
Crisi (vv.1-316)
Azione riparatrice (vv. 317-776)
Reintegrazione (vv.777-1047)
LA TRILOGIA
PROLOGO: la tragedia si apre nel tempio di Apollo, il prologo è dedicato alla Pizia, la sacerdotessa che qui vi
vede Oreste, supplice, sconvolto da ciò che ha fatto, che regge la spada insanguinata ed il ramo di ulivo
nella lana (che segna la purificazione). Accanto a lui vi sono personaggi inizialmente sconosciuti.
La sacerdotessa comprende già che è necessario consultare gli oracoli e che il ruolo di Apollo sarà dunque
fondamentale. Le donne terribili che circondano Oreste, figure senz’ali, nere, orribili alla vista che la pizia
non riconosce-> sono dunque straniere, fuori-legge, non appartengono all’ordine noto, sono le Erinni,
“vergini maledette nate in un tempo remoto per il male, odio per gli uomini e per gli dei”, apollo è lunico
che le riconosce e che perseguitano gli uomini macchiatisi di delitti di sangue, ma Apollo dice ad Oreste che
non lo lascerà solo, è “possibilità di reintegrazione” nella società -> giunto ad Atene, dovrà presentarsi alla
dea Pallade come supplice e lì si troveranno i giudici per la contesa (dikastàs) e “le parole della persuasione
saranno il mezzo per liberarti da questo travaglio” -> idea della giustizia che deve avvenire mediante una
certa procedura che avviene tramite persuasione -> giustizia avviene tramite parole
Le Erinni ritengono che Oreste abbia commesso l’omicidio per volere di Apollo, il vero mandante, per
Apollo invece, Oreste ha vendicato il padre secondo giustizia e per questo è meritevole di essere
reintegrato nella comunità.
Apollo è il simbolo dell’apertura della polis -> bisogna trattare ugualmente l’omicidio di qualsiasi
appartenente alla polis da considerarsi consanguineo.
Essendo entrambe le opinioni irriducibili, bisogna usare un nuovo arbitro, Atena, che “peserà la giustizia di
entrambe le parti” -> enunciati i primi principi/garanzie di procedura penale e del giusto processo.
Oreste giunge al tempio raggiunto dalle Erinni che lo aggrediscono in un confronto acceso, Oreste non ha
paura di loro opponendo le sue ragioni “il saggio maestro (Apollo) mi ha imposto di far udire la voce
(parola) in questa vicenda” -> Apollo rivela la giustizia e Atena la mette in pratica, dunque ella assista ad
una procedura giudiziale.
Atena chiede che entrambe le parti si identifichino e dopo che le Erinni hanno esposto la loro situazione,
invita anche Oreste a parlare -> diritto di difendersi, gli era stato già preannunciato da Apollo e viene
attuato da Atena. Per lei, non si fanno giuramenti che possono essere fasulli, il confronto (=contraddittorio)
invece dà la misura della giustizia, ma deve avvenire con un certo ordine (dire chi si è e le proprie pretese).
In quanto delitto di sangue, Atena, da dea, dice che non può decidere da sé, ma che ha bisogno di una
giurisdizione particolare: ella costituisce l’areopàgo, che ha il compito di giudicare esclusivamente questi
casi. E’ un collegio di aristoi (i migliori dei cittadini), dunque un giudice speciale, incardinato nella città.
Atena si rivolge ad entrambi affinchè raccolgano prove e testimoni, mentre lei tornerà “con i migliori
cittadini”. La dea lascia dunque l’arbitrato. Il luogo si sposta nell’agorà.
Prima parlano le Erinni, dopo Oreste si difende affermando che ha agito su indicazione del dio Apollo, e
poiché un mortale non ha “argomenti sufficienti” per giustificare questo operato, egli invoca il dio Apollo
(che dirà la verità di Zeus, in quanto suo padre). Porta 3 argomenti:
1. E’ fondato sull’ordine sacro e sul principio di superiorità del femminile al maschile. E’ argomento
generale per il quale i due universi sono diversi ma non si può attribuire maggior valore a quanto
accade in ambito domestico (“gli intrighi”) rispetto a fuori (valore che l’aner -uomo- assume).
2. Ricostruisce la morte di Agamennone (argomento particolare), ed è volto ad ottenere
maggiormente il favore dei giudici. E’ argomento patetico perché appunto rivolto al pathos, i giudici
non devono rimanere neutri rispetto alla violenza perpetrata.
3. Smantellamento dell’antica legge legata al dominio del mondo femminile. C’è il richiamo alla
generazione della vita, la donna è di fatto solo un tramite per darla.
E’ un argomento che definisce il collegamento tra la nascita della vita e quella della giustizia, in
quanto, le ragioni citate prima e quella per cui Zeus è colui che ha dato legge e giustizia alla donna
Atena, la quale ha dato origine al tribunale, propaggine di giustizia creata da Zeus stesso.
L’istruttoria termina e il giudizio si compie. I giudici si alzano, hanno a disposizione il voto o per l’assoluzione
o per la condanna, vi sono due urne e il voto è segreto; durante la procedura Apollo e Erinni continuano a
rimbeccarsi, finito il voto Atena assegna il suo voto ad Oreste -> ella giustifica ciò dicendo che non ha una
madre, è legata solo al padre, dunque predilige gli uomini rispetto alle donne.
Vista la parità di voti (vd. La spaccatura della città), Oreste viene comunque assolto. Viene liberato e
reintegrato ad Argo, le Erinni poi “cedono la violenza e sono persuase”, divenendo custodi della città,
dimorandovi e trasformandosi in Eumenidi, dee benigne, fanno una processione -> richiamo alla necessità
di ordine per Atene stessa.
Il matricidio dunque viene visto dalla legge del ghenos come sì dietro mandato di un dio, ma sempre
ingiusto, secondo la legge della polis l’atto è invece giustificabile.
- Avviene davanti al giudice terzo imparziale -> Atena affida la giurisdizione di un mortale ad un
organo di mortali stessi, anche se mortali ma migliori
- Si svolge con una giurisdizione specializzata che ha competenza per materia -> Areopago
- La sua finale decisione è sempre giustificata ed è accettata da entrambe le parti -> le Erinni
divengono Eumenidi
- Deve svolgersi tra le parti in condizioni di parità (art.111 Costituzione)-> Atena che invita a parlare
anche Oreste
- Vede le parti intervenire secondo un ordine espositivo ben preciso.
I TRAGICI NELL’ATENE DI PERICLE (5^ sec. A. C.)
Il conflitto fra chiuso (Creonte) e aperto (Antigone) Dalla vendetta (forza) al processo (razionalità) per la
Le regole sono ciò che va accettato e applicato VS risoluzione dei conflitti all’interno della città.
Superamento della regola che non è Logos e cratos (forza) agiscono.
autosufficiente, deve aprirsi al diritto agrafos=non
scritto
Il diritto non si esaurisce nella legge “scritta”, Tribunale (Aeropago, in un luogo neutro perché
perché esiste ciò di non posto-scritto. diverso dalla città ove si svolge il fatto criminoso),
Paolo, in una delle sue lettere ai Romani, giudice (Atena), accusa (Erinni), difesa (Apollo),
“conferma” questo principio. contraddittorio
Una vera regola prevede la possibilità di essere
superata = di aprirsi.
L’esperienza giuridica diviene la ricerca di un principio non scritto (giustizia) mediante il confronto (=dialogo
delle parti). Diviene momento della polis stessa.
Il dialogo era già presente nello scudo di Achille, ma nella polis si ha compiutamente coscienza di ciò, e c’è
già un linguaggio filosofico (si oltrepassa quello del mito).
IL TEMA__>Responsabilità nelle scelte, impossibilità nella delega nelle scelte che ci riguardano e dal
punto di vista della teoria del diritto che quest’ultimo sia uno stare al mezzo tra il diritto stesso e la
volontà.
Considerato il primo topos del conflitto del diritto scritto (editto di Creonte) e quello morale (in virtù delle
quale Antigone agisce seppellendo il fratello Polinice sovvertendo il primo).
Ne esistono 2 versioni: quella del ‘42 di Anuil (?) e quella degli anni 50 di Brecht.
La tragedia greca rappresenta un elemento fondamentale per la polis, veniva rappresentate in occasione di
festività (le dionisiache ad esempio, erano tenzoni, si decideva chi fosse il miglior tragediografo) che
specialmente per Atene comportavano per 3 giorni la sospensione di tutte le attività e la partecipazione di
tutti i componenti della polis.
Era un’esperienza esclusiva di Atene, prima non vi esiste e dopo fu una “copiatura” dell’esperienza dell’età
classica. La prima tragedia, di Eschilo, venne rappresentata alla vittoria di Atene sui Persiani nel 480,
l’ultima, di Euripide, coincide con la morte di Sofocle e la sconfitta di Atene contro Sparta.
La tragedia è la messa in scena di un mito, che per l’uomo greco non era né una favola (come riteneva
Esiodo), né una spiegazione scientifica, bensì una NARRAZIONE la cui origine si perde nella notte dei tempi
e racconta le ragioni stesse dell’essere della polis (“miti di fondazione”, lo è l’Odissea ad esempio, i cui
racconti risalgono al XII secolo a.C., anche se convenzionalmente si parla di VIII secolo), è un archetipo in cui
i membri della polis si riconoscono.
La polis vive nel mito, così come il mito vive nella polis, ed è per questo che Sofocle lo ricollega con la
tematica delle leggi non scritte, per l’esigenza di “modernizzazione”. La studiosa Maria Paola Mittica ha
detto che nelle varie versioni che vengono offerte del mito, ognuna mantiene un nucleo invariante ed
alcuni elementi leggermente modificati, perché viene progressivamente modernizzato.
(La tragicità sta nel compiere una scelta in cui va di noi stessi, in cui una parte di noi inevitabilmente muore,
c’è un limite che non dipende da noi ma invece dipende affinchè qualcuno non lo oltrepassi)
PREMESSA: Antigone, figlia di Edipo e Giocasta, è sorella di Ismene, Eteocle e Polinice, questi ultimi si
accordano a governare 1 anno ciascuno: si comincerà con Eteocle e poi Polinice e così in alternanza. Eteocle
però si rifiuta di cedere il trono, così Polinice va ad Argo ove raccoglie un esercito, muovendo guerra contro
la propria città, Tebe. I sette capi contro le sette porte di Tebe, al termine della sfida i due si danno la morte
l’uno con l’altro. Si pone nuovamente il dilemma di chi dovrà rimanere al potere: è rimasto Creonte, zio dei
figli di Edipo e fratello di Giocasta. Egli decide di governare per il bene di Tebe e con un editto dà onori ad
Eteocle, che ha difeso fino alla morte la città, e lasciare insepolto fuori dalla città il traditore Polinice
(visione dell’uomo NELLA propria polis, qualcuno che vi muove guerra contro è altamente disonorante).
Chiunque avesse infranto il provvedimento, sarebbe stato punito con la morte.
TRAMA: Sofocle ci inserisce l’elemento delle leggi non scritte, perché Antigone decide di non accettare
quanto stabilito dallo zio, prima la sua scelta era solo giustificata dall’amore che provava per il fratello
Polinice. Antigone, condannata dallo zio ad essere allontanata e murata viva, decide di suicidarsi, Creonte
ripensandoci, anche sotto l’influsso di Tiresia, cerca di impedire la sua morte, ma giunge troppo tardi e suo
figlio, fidanzato di Antigone (così destinata a diventare regina di Tebe), cerca di scontrarsi contro il padre
ma decide di uccidersi. Sua madre, saputa la notizia, decide di suicidarsi anche lei. Creonte, al termine della
tragedia, rivolgendosi al coro, dice loro:”Portate via questo nulla che di me vi resta”.
Ismene cerca di dissuaderla perché forse non solo teme per la sorella, ma probabilmente ritiene anche che
il provvedimento dello zio sia giusto. Tuttavia, quando Antigone viene catturata, la sorella dice di voler
morire assieme a lei, ma la sorella le dice che è solo una sua scelta.
Dinanzi a scelte tragiche la responsabilità non può essere né condivisa né ceduta, ma anzi è personalissima.
Nell’anno della tragedia c’era Pericle al governo, che aveva governato con la democrazia: il demos aveva
acquisito progressivamente potere e si era opposto agli aristoi, rappresentanti del ghenos e Sofocle vive in
questo periodo di tensione. L’Antigone si rivela così un messaggio per la città e Pericle stesso:
Le due leggi, la scritta e la morale, hanno un egual valore, sono da considerarsi assieme, ma le seconde
prevalgono generalmente e vengono formalizzate dalle prime.
(Coro: “Molte meraviglie vi sono al mondo, nessuna meraviglia è pari all’uomo (…) Padrone assoluto dei
sottili segreti della tecnica, può fare il male quanto il bene. Se rispetta le leggi del suo paese e la giustizia
degli dei (…) nella città sarà considerato
E’ possibile delineare due modelli, giuridico e politico, a confronto:
ANTIGONE CREONTE
Il diritto non si esaurisce nella legge (quest’ultima dal Diritto si esaurisce nella legge (dir. Scritto:
positivismo considerata piena espressione del sovrano), ma si codice), dunque come frutto esclusivo della
parla di legge non scritta o morale che precede e condiziona volontà di un individuo.
l’esperienza della legge scritta.
Nella visione classica (si parla di un mistero, la polis appartiene
a chi la governa), il sovrano non può far tutto ciò che vuole, ma
anzi è limitato -> “rule of law”, altrimenti si macchia di UBRIS,
“tracotanza”, per il quale il diritto si esaurisce nella legge,
dunque io che faccio la legge di quel diritto posso fare quello
che voglio.
Diritto come frutto del riconoscimento RAZIONALE dell’ordine
delle cose (esistono limiti che non si possono varcare perché…
vd. 2).
Nel Leviatano lo Stato è considerato macroantropo costituito da
tanti piccoli essere, ed il suo esercizio di potere è totalmente
assoluto.
La polis non appartiene a chi la governa, il sovrano è chi La polis appartiene al sovrano assoluto -> sciolto
CUSTODISCE LA POLIS da qualunque vincolo che non sia la propria
Eraclito dice che le mura della polis custodisce la polis stessa. mutevole volontà
Coro a Creonte: “Questo dunque hai deciso (…) è in tuo potere ordinare ciò che vuoi, per i morti e per i
vivi”
Creonte si trasforma in tiranno quando decide di mandare a morte Antigone. Ella decide già di
uccidersi, per questo si parla di “morti”.
Antigone a Creonte:”Ma il potere può fare e dire ciò che vuole: è uno dei suoi molti vantaggi” -> è
autorità assoluta in quanto si ha il potere, e si creano per VOLONTA’
Creonte a Emone:”Colui che trasgredisce e fa violenza alle leggi e pensa di comandare a chi
comanda, non avrà mai la mia approvazione. E invece all’uomo che la città ha eletto al suo governo
bisogna obbedire nelle piccole come nelle grandi cose, in quelle giuste come in quelle
“Devo governare il mio paese per conto di altri o per me?” (…) “(La città) appartiene a chi ha il
potere”
Socrate impersonifica le leggi nel “Critone”, egli decide di rispettarle sebbene ingiuste, ed Emone spinge il
padre su questo tipo di ragionamento.
DIALOGO
Emone a Creonte:”Tu, da solo, in un deserto: così sapresti regnare” (…) “Tu non coltivare
Antigone a Creonte:
Le leggi non scritte non hanno origine nelle volontà di un mortale, bensì esistono da sempre e nessuno sa
da quando. Dunque egli non ha pieno potere, perché c’è qualcosa che può sfuggire al suo controllo.
Nonostante la forza delle sue idee, Antigone si uccide. Ciò pare quasi inaccettabile con quanto da lei
affermato nella tragedia, ci sono cose che non possono sottostare alla volontà come la vita stessa e
suicidarsi è un’espressione a sua volta di una forza espressa in una volontà, come se smettesse di credere a
quanto lei stessa ha affermato.
Entrambi i personaggi si evolvono, positivamente (Creonte che prima sbaglia nel dire che la città è sua, che
da solo può assicurare il bene della città, tuttavia il suo rimane un potere legittimo, ma poi “ci-ripensa”) e
non (Antigone, decide di farsi regola a se stessa, così come aveva fatto Creonte), facendo sì che le parti si
invertano.
Creonte dispone di sé e la città, Antigone solo di sé, entrambi negano con fatti e parole una dimensione
originaria che esonda la volontà, quella del dialogo, perchè l’uno pensa che gli competa la città, l’altra
perché gli compete il proprio destino.
Il dialogo ha ragion d’essere perché son convinto che la verità esiste e che non essendo a disposizione della
mia conoscenza e che il confronto con un nuovo punto di vista può aiutare a giungervi, ma se dico che la
città mi compete o mi suicido, allora credo che l’altro non mi interessi, vivo da solo, ma ciò non è possibile
(e per questo Antigone si uccide).
La grandezza dell’eroina sta nel suo ergersi contro lo zio, ma la sua miseria si realizza quando sbaglia
suicidandosi -> commette ubris.
Il diritto dunque è un modo faticoso per custodire la relazione con l’altro, non di crearlo. (Per Hobbes e in
parte Rousseau è solo col contratto sociale e la volontà del sovrano creano diritto).
LA DEMOCRAZIA ATENIESE
Segna l’unione tra il diritto e la dimensione politica: ci si occupa del comportamento dei consociati e della
componente politica stessa.
Limiti di dimensione (grande quanto Pergine Valsugana, cit.) e durata della polis democratica (un paio
di secoli) -> è difficile che un’esperienza di condivisione di decisioni (=democrazia) perduri molto,
perché si problematizza sempre più con l’ingrandimento del corpo politico.
Funzione della legge (nomos=custodia della libertà) VS potere (kratos=dominio dell’autorità) >
questione del ruolo e gestione della forza
Chi detiene la forza e con quali modalità la esercita? La legge diviene garanzia per il demos, “protetto”
dagli “sparvieri” di turno. Il nomos impedisce che il kratos divenga troppo potente (diventerà principio
della rule of law, la legge stabilisce solo ciò che lo Stato può fare senza privare il singolo della libertà).
Volontà (libertà) dei molti VS volontà (libertà) di uno solo > questione del ruolo e gestione della
decisione politica
Come si mettono d’accordo le opinioni?
Razionalità come elemento-chiave della legge e della decisione giusta (creazione di un forte nesso)
NB! L’apertura di prima è esercizio della razionalità
C’è bisogno di una razionale condivisibilità.
DEMOCRAZIA E VERITA’
SOFISTI
- LA PAROLA È POTERE, LA VERITÀ NON ESISTE!
Il concetto di verità non ha senso. E’ solo un’opinione che ha la forza (e non la ragione) di imporsi sulle
altre. Nessuna opinione è in sé più vera di un’altra.
I predicati di verità hanno funzione retorica, pleonastica.
Ciò che si deve sapere si sa senza bisogno della verità.
- L’OPINIONE (DOXA) È UN’ARMA.
- PERSUADERE= far credere v/f un’opinione
Esercitavano la “logomachia” -> la ragione mi serve per far sorgere la mia opinione nel mio
avversario. Ogni opinione può vincere o perdere a seconda di ciò che lo sostiene.
- Relativismo/trivialismo + scetticismo (“non esistono verità assolute, solo opinioni”) -> di niente si
può dire che sia vero-> allora nemmeno dell’ESSERE-> riscontro nella metafisica: nichilismo (“non
possiamo dire che alcunché sia).
PLATONE (428-347 a.C.) passa la vita a smontare i sofisti
La democrazia è possibile quando si prende la decisione giusta = razionalmente inconfutabile,
altrimenti si è in balia del più forte.
L’esercizio della razionalità serve a creare un consenso basato sulla stessa, e non sul potere.
“Relativismo” configura non solo un atteggiamento che nega l’esistenza di una verità, ma anche che vede la
possibile configurazione di una verità assoluta non alla nostra portata.
Dire che non esiste nessuna verità è ammettere che una verità stessa esiste (il fatto che non esista) -> si
crea un PARADOSSO, ma i Sofisti non necessariamente partivano dall’idea che non ci fosse alcuna verità!
Per Eraclito e Parmenide le “divisioni” coesistevano (il fiume come unità di differenze, la sapienza che tiene
assieme le une e le altre).
Per Platone, prima l’uomo viveva a tu-per tu con la verità (richiamo ad Atlantide), ora dobbiamo prima
ricordare perché il nulla non esiste (è sempre di qualche cosa, non di tutto) e dunque le nostre conoscenze
tornare.
IL “PARRICIDIO” PLATONICO
Nel dialogo “Sofista”, il Socrate platonico dice ad uno straniero con cui sta parlando che anche lui come lo
straniero aveva interpretato Parmenide in una maniera radicale, cioè aveva creduto che esistesse un
Iperuranio e noi siamo orfani di quella condizione. Questa idea che gli ha fatto da padre viene da lui negata
L’essere in certo modo non è, il non essere in certo modo è -> non sono più radicalmente separati
perché altrimenti l’essere è come se non ci fosse ed io sprofonderei in un abisso e potrei regolarmi solo
con la forza
Gli assoluti opposti (negazione reciproca) non possono essere il Principio.
Se ci sono due concetti che si oppongono in maniera assoluta, nessuno di essi può essere un
principio=ciò per cui le cose sono.
Dovrebbe esserci non solo il principio dell’essere ma anche il principio del non essere.
Ma il principio deve essere di tutte le cose, ma questi sarebbero uno SOLO il principio dell’essere e
l’uno SOLO del non essere.
Quindi nessuno dei due è il principio.
Se vogliamo cercare l’arkè, dobbiamo dire che l’essere in certi particolari modi può essere ed altri non
essere -> interpenetrazione dei due.
Sapienza (verità) e persuasione (opinione) coesistono, vi è un rapporto reciproco.
(Non ci sono opposti irriducibili, come invece sosteneva Parmenide). Anche la democrazia può essere
davvero tale senza rischiare di diventare demagogia -> essere aristoi non garantisce essere i migliori, il non
avere il potere per il demos non garantisce che quando lo acquisiranno si comporteranno in maniera giusta
-> puro cambiamento sociale non è assicurazione di libertà, bisogna rifondare una nuova aristocrazia.
OPINIONI E VERITA’
Inizialmente paiono due posizioni completamente opposte (P è diverso da -P), ma in realtà non lo sono
perché hanno un termine comune=concetto condiviso da entrambi.
Se un confronto di opinioni non è basato sulla forza, l’opinione viene fatta valere sulla base esclusiva della
sua razionalità.
Nonostante le due pretese, le due non possono convivere per il PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE (non
posso predicare una cosa e il suo contrario)-> Aristotele, “è il più accertante (in quanto fondamento della
razionalità) di tutti i principi”, “è impossibile che un predicato convenga e non convenga per lo stesso
soggetto nel medesimo tempo e riguardo”.
Per dire che questo principio è falso devo comunque usare il principio di non contraddizione. Se lo fosse sul
serio, allora una cosa sarebbe se stessa ed il suo opposto, dunque anche “il principio di non contraddizione
è falso” farebbe sì che sia valido dire “il principio di non contraddizione è vero”.
Il mio pensiero, per essere comunicato ed essere logos, deve rispettare questo principio, il quale è tale
perché quando lo nego lo devo usare, non lo posso eliminare. Diviene legge anche del reale, ONTOLOGICO,
oltre che del linguaggio.
DIALOGO E ARGOMENTAZIONE
Nel dialogo devo portare argomenti a suffragio della mia tesi, dimostrare che essa è VERA. Non potranno
essere argomenti non razionali (Es: “Me l’ha detto la divinità”, ma per te X Egli è garante, per Y no).
Ci si serve della DIALETTICA (siumplochè) = dialogo che si fa ragionamento, è confronto razionale delle
opinioni. Bisogna trovare prima un “terreno comune”, ciò la rende deflattiva dei conflitti sociali. Sarebbe
dovuta essere motore della democrazia, le decisioni sarebbero state prese razionalmente.
“Prova elenctica” -> il suo fallimento segna la verità della tesi, perché diventa impossibile negarla.
La premessa del ragionamento usato per argomentare la tesi è vera (=non trova opposizioni) in determinati
contesti, perché poi in questi contesti non può essere negato.
Si parla di VERITA’ PROBABILE -> ottenuta mediante probatio=prova logica, l’ “eikòs” aristotelico.
La verità si troverà nel contesto (dovrò cercarla “lì dove sono”: vd. Esempio rubinetto, c’è scritto su “C”, in
Italia indica la c di calda, ma in Inghilterra c di cold, dunque mutando il contesto è “mutata” la verità ???).
La verità probabile è l’unica che ha carattere di CONCRETEZZA.
(concreta) vs verità assoluta (astratta, non dovrebbe avere contrasti in tutti i luoghi ed in tutti i tempi, ma
concretamente NON posso verificarlo)
N.B.! Secondo il dualismo gnostico, la verità assoluta non è alla mia portata DUNQUE non c’è, allora mi
regolo con la forza.
DUE VIE PER CONOSCERE LA VERITA’: -> dipende dal tipo di soggetto che CERCA la verità, perché il dato
antropologico è molto forte. (Aristotele vedrà ricerca della verità solo nell’ambito o della teoria o della
prassi).
Platone muta la sua idea sulla persuasione, da “caccia all’uomo” e pratica dei sofisti, non sono più i pochi ad
avere accesso alla verità, ma tutti possono procedervi (la futura “retorica” aristotelica).
(Inoltre, credeva che gli “eletti” non avessero bisogno di norme=leggi, di per sé dovrebbero già sapere cos’è
giusto o no. In seguito, cambia parere.)
Logica assiomatizzata -> basata sulla “forma”, è Logica (le cose che sono del logos -> di capacità di
formale, sviluppo le premesse comprensione) dialettica e retorica:
Es: “la somma degli angoli interni a un triangolo Es: “Nel dubbio, assolvi” -> bisogna spiegare questa
equivale a 180’” tesi
Si usa deduzione da assiomi ritenuti evidenti Vero, sulla base della probabilità degli argomenti
Vero, sulla base degli assiomi euclidei addotti
REWIND: Platone e Aristotele muovono le loro mosse da Parmenide e Eraclito. Per Platone bisognerebbe
partire da una logica formale-> procedimento mediante il quale stabiliti punti di partenza
convenzionalmente, si procede poi collegandoli tra loro a determinare una conclusione che avrà lo stesso
grado di certezza/verità delle premesse da cui deriva. Ciò rende possibile la conoscenza=modo di procedere
del pensiero chiamato DIMOSTRAZIONE (apodeiknumi). Sono riservate a coloro che accedono alla verità in
virtù della forza persuasiva che la verità stessa ha.
Per la metafisica, la verità non sta tutta da una parte così come un errore dall’altra. Essere e non essere,
vero e probabile possono coesistere.
Esiste una via di accesso alla verità che non è quella delle scienze formali, ma quello di discipline come
dialettica o retorica, che vedono l’argomentazione funzionare diversamente, perché le premesse non sono
vere perché stabile ex ante e non discusse, ma sono probabili perché con grado di plausibilità derivante da
alcuni fattori => grado di condivisione da parte del gruppo sociale (opinioni + diffuse) oppure dagli esperti
della materia (opinioni + autorevoli).
Analizza forma di ragionamento nel campo della logica assiomatica e dialettica-retorica classificando vari
sillogismi-> Tipo di ragionamento per cui poste certe cose, altre ne derivano necessariamente senza che sia
necessario aggiungere niente.
Sillogismi “SCIENTIFICI”-> operano nella logica assiomatizzata, per pochi, sono propri della scienza.
Consente conoscenza a priori, di tipo universale: se so certe cose, altre ne derivano
necessariamente (=non c’è bisogno che faccia altre indagini come nell’ambito sperimentale). Così
operano le scienze formali (che si oppongono alle empiriche, uso del metodo sperimentale)
- Si oppone all’induzione -> da caso particolare deduco la regola. Questa conoscenza empirica mi
parla però appunto solo di casi particolari, va bene per conoscere la realtà, ma avrei bisogno di un
ragionamento che mi dia REGOLE UNIVERSALI INDIPENDENTI DAI CASI PARTICOLARI.
Nessuna conoscenza a cui possiamo accedere sperimentalmente è una conoscenza universale, vi è
principio della FALSIFICAZIONE (variabile che invalidi il risultato sperimentale, è sempre conoscenza
molto probabile, che potrebbe essere sempre smentita, vd. Popper)
L’epistemologia contemporanea ha fatto riferimento alla teoria quantistica per confermare questa
tesi.
- PREMESSE GEN(erale) (Maggiore e universale) + PREMESSE PARTICOLARI (Minore e particolare) +
TERMINE MEDIO (figura come soggetto nella maggiore e predicato nella minore).
Premesse vere in riferimento alla realtà, sono evidenti ai pochi, adepti della verità e da essa
persuasi: “Tutti gli uomini sono mortali” (è verità universale, non lo sappiamo sperimentalmente)
“Socrate è un uomo” -> individuo che appartiene ad una classe, è PREMESSA MINORE.
“Uomo” è termine medio.
“Socrate è mortale” -> conclusione, è inferenza necessaria che traiamo da quelle premesse.
- Mi permette di sapere più cose sugli individui una volta che so la verità di partenza.
E’ il principale modo in cui noi conosciamo, e tecnicamente anche la conoscenza empirica funziona
con cause dunque effetto = date alcune cose ne seguono altre.
E’ un modo di pensare = logica.
SILLOGISMI DIALETTICI
- PREM. GEN. + PREM. PART. + TERM. MEDIO
- Non ci serve per conoscere realtà empirica (compito della scienza)
- Premesse vere in riferimento al discorso (sono opinioni)-> questo è il suo contesto
Si agisce su piani in cui non abbiamo verità autoevidenti, non vi agiscono solo gli esperti, ma anche i
“polloi” (vd. Piano del demos, oggi la nostra dimensione pubblica, sociale). Qui la porta della
conoscenza funziona con punti di partenza non evidenti né universali.
- Prem. Magg. -> Tutti gli spartiati sono coraggiosi.
Prem. Min. -> Leonida è uno spartiate (t. medio).
Conclusione -> Leonida è coraggioso.
- RELAZIONE COL SILLOGISMO SCIENTIFICO:
UGUAGLIANZA->Conservazione dell’inferenza.
DIFFERENZA-> non si ha una premessa evidente, anzi una generalizzazione autorevole e accettata
nel discorso (tutti gli Spartiati sono coraggiosi) e ci servono per costruire un’argomentazione.
La verità dialettica ha carattere contestuale, si adatta alla società e ai suoi cambiamenti, è verità del
“per-lo-più”
Chi è L’UOMO GIUSTO? E’ un problema psicologico (vd. Eutifrone che in realtà non vuole fare giustizia, ma
ottenere un’eredità). Bisogna fare riferimento alla concretezza dell’individualità.
Ottenere una risposta alla domanda QUANDO L’UOMO (SINGOLO) E’ GIUSTO? mi consente di chiedermi
QUANDO LA POLIS (MOLTI) E’ GIUSTA? (Se è composta da uomini giusti)
Una società giusta non può provenire se non da uomini giusti, dunque la virtù individuale diviene virtù
collettiva, ma oggi si tende a separare la condizione pubblica dalla privata.
Costituire “sofia” perduta con un interesse amorevole (filo-sofia) -> l’uomo è sostanzialmente retto da 3
ordini di forze che lo fanno vivere = psiukai:
“Anima sensibile” (corpo) -> forze che sono a contatto con la sua parte ilica, corporea, servono a
sostenere la nostra parte biologica in vita.
Riguarda l’alimentazione, l’idratazione, la riproduzione, il ragionamento… Sono prevalentemente
istinti.
“Anima irascibile” (emozioni) -> accomuna gli uomini, gli animali
(Questo tipo di componente serve a coloro che difendono la città)
“Anima intelligibile” (ragione) -> gli animali non ce l’hanno perché incapaci di formarsi un’idea astratta
di un’esperienza vissuta, è rielaborazione dell’esperienza sensibile in pensieri (astrattezza)
Esercitiamo il ragionamento su un’esperienza sia sensibile che affettiva.
(E’ freddezza utile a governare la città)
Le possediamo tutte e tre ed è necessario che lavorino in maniera sinergica, in tal maniera siamo in
armonia con noi stessi e solo allora siamo GIUSTI. L’uomo fa cose giuste perché è giusto (non è “giusto
perché fa cose giuste”).
GIUSTIZIA= ARMONIA delle tre “anime” (psychài) costitutive, essendo una dominante (i “tipi”) -> possiamo
trovarci dinanzi a persone che interpretano situazioni a partire da una delle 3 psiukai (materiale-affettiva-
intellettuale, dunque persone -prevalentemente- materiali, affettive, intellettuali).
LA GIUSTIZIA POLITICA
ARMONIA SOCIALE (dikaiosyne) della polis, cioè dei 3 tipi di uomini (armoniosi in se stessi e tra di loro):
1. Produttori di beni -> tipo con dominanza dell’anima sensibile, la produzione è la loro eudamonia;
2. Guerrieri -> dominanza irascibile (sono disposti a rinunciare alla loro parte materiale);
3. Sapienti-> dominanza intelligibile (es: non puoi chiedergli di coltivare l’orto, non gli piacerebbe e
non lo farebbe bene)
…nella misura in cui ciascuno ha l’armonia delle psychài in se stesso!
Non sono divisioni nette, ma le persone divengono prevalentemente portate ad affrontare la realtà in
una certa maniera.
E’ essenziale che i componenti delle categorie siano giusti per rendere giusta la polis.
= “società organica” -> ogni uomo agisce in collegamento funzionale assieme agli altri (es. Apologo di
Menone, Agrippa -> scontro patrizi VS plebei), ognuno opera secondo le proprie inclinazioni individuali,
c’è la “tripartizione funzionale” -> secondo le teorie antropologiche culturali, vi è un archetipo
trinitario “dominante”, è fattore legato alle popolazioni indoeuropee.
Ognuno ha un compito distinto dagli altri, la struttura cosmica funziona sulla base della t.f. Anche la
struttura processuale è triadica (tertium + 2 opponenti).
(La felicità del singolo = della polis)
Oratores – Bellatores - Agricultores, l’idea ritorna anche nel Medioevo.
Il nomos è custode della libertà delle persone, è il mezzo mediante cui la polis si governa.
L’arte del governare si adempie mediante la produzione di regole purchè, secondo Platone, si abbia sempre
la capacità di rimanere ancorati alla Metafisica così come enunciata dal parricidio* nel Sofista: il modello di
compenetrazione, coessenza.
Platone lo indica ne “Le leggi” (opera della vecchiaia). Il Platone giovanile pensava che avere un governo dei
giusti avrebbe fatto le cose giuste => società armoniosa, dunque le norme sono inutili.
La funzione delle norme sembrerebbe minacciosa (concezione moderna) = “queste cose non possono
essere fatte”, ma per Platone la funzione primaria del nomos non sarebbe questa.
Legge = persuasione razionale (logos orthòs, logos aletés) al bene della polis.
Persuasione dei consociati affinchè meglio conoscano ciò che è il bene comune -> crescita armoniosa
della comunità.
Ha funzione educatrice, paidetica.
Nell’Apologia di Socrate, le leggi vengono viste come ciò che mi fanno capire chi sono.
Talvolta la sanzione è necessaria se la legge non ha fatto comprendere ciò che è il bene comune.
1. PERSUASIONE = Razionalità dialettica e retorica (non assiomatizzata)…
Il processo logico con il quale la legge viene alla possibilità di conoscerla è quello tipico della pistis,
dunque non della logica formale bensì DIALETTICA.
C’è sempre dialogo tra la legge e chi la deve conoscere & applicare.
2….rivolta ai diversi “tipi” di uomini (psicagogia: educazione che si adatta all’uditorio, insegna alle
diverse psiukai)…
E’ persuasività in senso oggettivo, riservata ai molti.
3….che ha per oggetto il BENE (comune, della polis, parte di un bene universale che si riflette nella
comunità politica), inteso come opinione plausibile (non è un assioma -> altrimenti non ci sarebbe
bisogno di leggi, la verità come genitivo soggettivo, dei pochi che la capiscono che non hanno bisogno
di regole. Il bene della polis è autoevidente solo per gli eletti, bensì è un endoxòn=opinione con grande
autorevolezza, per Aristotele sarà “ciò che tutti dicono essere un bene”).
(Attraverso la dialettica, ogni volta sarà necessario capire come vediamo il bene universale, la verità
dovrà darsi contestualmente.
ATTIVITA’ DELLA POLITICA -> Individuare dialetticamente il bene della polis e su ciò elaborare regole
con carattere tanto statico quanto dinamico.
La Metafisica è la struttura del pensiero che consente di affrontare i temi più diversi, compresi quelli più
attuali. E’ un autore fortemente analitico, la sua è una scrittura che mira all’efficienza.
L’approccio Platonico è antropologico, la giustizia diviene giustizia politica diventando anche nomos, ma
solo attraverso lo sforzo dell’uomo teso a perfezionare se stesso.
Aristotele è più che altro interessato a qual è la struttura del reale e com’è possibile che diventi accessibile
alla conoscenza degli uomini. La struttura del reale ci è detta dalla Metafisica, ciò che va al di là della fisica.
Quali sono i principi universali che costituiscono la struttura dell’essere? L’approccio che possiamo avere
verso questa struttura non è unico, a differenza di quanto affermato dalla modernità (scienza). Per il
filosofo, la conoscenza della realtà dev’essere articolata, plurale = tendenza al PLURALISMO
EPISTEMOLOGICO (“to on leghestai pollakòs” “l’essere si dice in molti modi”).
La vita è autentica quando si pone una domanda, quando è percossa da un perché, ciò è l’apice dell’essere
uomini (VS idea sofistica del potere = manipolare le cose ed ottenere un certo risultato, sarà idea ripresa da
Cartesio, uomo maestro di tutte le cose).
Qual è quel principio per cui qualcosa è giusto? Aristotele non usa immediatamente un approccio dialogico
(scrive Trattati, piuttosto), ma un metodo TOPICO-DIALETTICO: si raccolgono le opinioni più autorevoli in
merito alla giustizia = siamo nell’ambito di polis, di opinioni.
(Platone faceva interagire personaggi e con la dialettica mostra cosa resiste o meno al vaglio logico delle
tesi presentate. Aristotele già filtra quelle tesi dopo una profilassi logica = rimangono le più
rappresentative)
Le affermazioni ugualmente credibili che nel loro insieme concorrono nel dare l’idea di cosa sia la giustizia,
in sfaccettature diverse, perché anche della giustizia si può dire in molti modi.
1. Giustizia = conformità alla legge (nòminon) -> rispettare la legge (vd. Socrate che accetta condanna
ingiusta)
2. = proporzionalità (ison -> uguaglianza)
Giusto è qualcosa di proporzionale, è anche un calcolo.
3. = perfezione di tutte le virtù, è saperle mettere insieme senza eccedere.
E’ l’apice di ogni virtù singola.
Richiama l’idea dell’uomo eroico privo di iubris, è colui che ha posto armonia in tutte le sue virtù.
4. = una virtù particolare
5. = virtù politica (politikwn dikaion)
Essere giusta riguarda precipuamente i rapporti con gli altri. Egli si definisce tale in relazioni alle
categorie politiche.
6. Essere giusti katautòn, vero noi stessi = concezione soggettiva della giustizia
“ “ pros’ eteròn, verso gli altri = “ intersoggettiva “ “
Sarà necessario comprendere la relazione tra queste due dimensioni della giustizia.
LE “FORME” DELLA GIUSTIZIA ARISTOTELICA = E’ il vedere la giustizia dal punto di vista dell’ison =
uguaglianza, ci saranno due prospettive diverse a seconda di come comprendiamo l’eguale.
GIUSTIZIA SINALLAGMATICA -> uguaglianza tra dare e avere -> diritto civile
E’ giustizia degli scambi, è la prima forma a riguardare i cittadini nella polis (acquisiscono, cedono diritti
reali…). In questo universo potrebbero generarsi dei conflitti (vd. Scudo di Achille).
Tra il dare e l’avere esiste il criterio di uguaglianza.
GIUSTIZIA RIPARATRICE -> uguaglianza tra male inflitto (reato) e punizione (pena) -> diritto penale
Bisogna generare regola standard tra il male che ho commesso e la pena che devo scontare per quel
male.
L’adeguamento tra generale (astratto) e particolare (concreto): l’equità
La regola definisce una serie di comportamenti, prevede eventualmente una misura sanzionatoria ma
non fa una lista degli interi casi (impossibile + lesione del principio di certezza del diritto).
Se l’ison dev’essere formale, dev’essere anche una regola che duri nel tempo e che riguardi la
generalità dei consociati. Però, ogni caso è a sé… In fase di applicazione, devo trovare un
aggiustamento, esercitare una virtù particolare che è l’equità (epìkeià)
Epikeià (aequitas) = capacità di adattare norma al caso (“regolo lesbio” -> è un metro lineare rigido che
mi consentiva di costruire, ma non era un metro standard, altrimenti avrebbe dato una semi-misura:
chi applica la norma in fase di giudizio, deve fare come questi muratori, mettere assieme il generale e il
caso concreto).
Astratto e concreto sono in due ordini diversi di cose, ed entrambi sono da considerarsi nel diritto.
LA NATURA RETORICA DEL DIRITTO -> Il modo in cui si conosce nel contesto giuridico (opera: Retorica)…
Si devono distinguere due ambiti in cui noi costituiamo discorsi, ed il pensiero opera diversamente a
seconda dell’ambito. Essi sono:
“discorsi necessari” = enunciati in cui il predicato è necessario (es. Socrate è mortale), per evidenza
o convenzione -> non c’è un’alternativa.
Colleghiamo certi p&s in modo che costituiscano un nesso indisgiungibile. Il predicato ci dice
l’ousia, l’essenza della cosa (bipede-implume-eretto-animale).
E’ la SCIENZA ad occuparsi di costituire questi discorsi. Sono i discorsi della scienza (somma angoli
interni 180^, è così e basta) + (scienze empiriche e formali, le prime fondate sull’evidenza, le
seconde sulle convenzioni).
Es: sillogismi “scientifici”: se p (mortalità di tutti gli uomini + umanità di S.), allora q (mortalità di S.)
“discorsi possibili” = enunciati in cui il predicato è possibile (es. Socrate corrompe i giovani)
E’ un ambito in cui non ho premesse certe per evidenze o convenzioni, io ho solo opinioni.
Es: sillogismi dialettici: l’enunciato (tesi) è giustificato rispetto al suo contrario (sulla base della
“probabilità” delle premesse-opinioni).
Io ho alternative possibili.
Ci sono 3 dp:
I discorsi “possibili” hanno carattere pubblico e si dividono in tre generi: EPIDITTICO (etica),
DELIBERATIVO (politico), GIUDIZIALE (diritto)
Il genere epidittico era generalmente quello utilizzato per elogiare i morti, era una laudatio.
In questo discorso vengono portate e discusse opinioni diverse riguardo ai VALORI.
D. deliberativo -> assumere deliberazione sulla vita della polis, che valgano per tutti, è l’ambiente
politico.
D. giudiziali -> decidere se una certa pretesa sia giusta o no. Non ci sono assiomi o certezze, è
necessario discutere.
Essi non sono veri né per evidenza, né per convenzione, ma probabili (eikòs)
La loro probabilità dipende dalle opinioni che li sostengono: autorevoli e/o diffuse (endoxon-
>opinione molto accreditata, molto diffusa/diffusa presso gli esperti/entrambe le cose)
I due criteri di autorevolezza si differenziano, perchè uno si regge sulla quantità e l’altro sulla
qualità. Per alcuni non sarebbero così differenti (chi dice che sia un esperto? È una credenza
diffusa).
L’opinione ha un aspetto quantitativo dominante.
Il fatto che sia autorevole rende l’opinione degna di entrare a far parte di una discussione,
quest’ultima rimane una discussione, dunque fa sì che sempre si possa verificare un controllo logico
(ragionevolezza, etos)/etico (valori, ezos)/emotivo (reazione che suscita, pathos) sull’autorevolezza
dell’opinione.
Viene “assorbito” il pensiero greco, chiamato “Platonismo” (includeva anche gli altri filosofi).
La filosofia greca incontra il diritto romano, entrambi sono già maturi -> ne verrà fuori il Corpus Iuris Civilis
(Giustiniano), prima forma di organizzazione concettuale di quanto stratificato negli anni.
Aristotele e lo Stoicismo vengono molto apprezzati dai Romani. Di quest’ultimo, ne si apprezzava il “risvolto
pratico” nella società. Di fatto, si estrasse dalla filosofia quanto risultava essere utile = ECCLETTISMO.
Se abbiamo una ragione che è retta perché rispetta l’ordine naturale, allora il nostro pensiero è come
quello divino.
(Il mix si complica perché la concezione di divinità muta ->Corpus Iuris Civilis: protasi in cui si parlava della
Trinità, poi vi era il Corpus)
“Est quidam vera lex recta ratio naturae congruens ETC ETC ETC”:
- Questa legge è tale da non potervisi sottrarre, “sarebbe come fuggire da noi stessi”. Se fa parte
della mia natura, io non posso negarla.
- Questa legge non si presta ad un utilizzo strumentale perché non si può modificare, abrogare,
esserne esonerati = non subisce il destino della legge normativa.
- Essa non ha una dimensione spazio-temporale, non vi è legata alle sue contingenza, è identica
sempre e in ogni dove. Ma se è identica alla natura (che ha questa dimensione), come fa se
quest’ultima sempre si modifica?
La natura a cui ci si riferisce è trascendente, è sempre uguale, vi è un principio di necessità che la
regge.
Il legame tra natura e ragione è “assicurato” dalla garanzia della presenza di una divinità.
- E’ legge eterna ed immutabile ed uno solo sarà il dio, che è inventor (non è dio creatore, ma è colui
che trova qualcosa che c’era già) e voluto questa legge.
La divinità riguarda la mia più intima natura (è parte di me, dunque non posso scappare) ma
sempre priva della dimensione di spazio & tempo.
Il tentativo di fuggire da noi stessi è inutili (richiama il daimon di Socrate).
- E’ IL DIRITTO NATURALE -> a seconda di come si interpreta le componenti citate nel titolo si
determinano diversi modelli di diritto naturale. Esse comunque potranno convivere assieme.
La visione Ciceroniana si imporrà non nella sua epoca, bensì posteriormente.
DIRITTO E GIUSTIZIA
Lex=natura-ratio-deus
Diritto che è giustizia e che non può considerarsi tale se non conforme alla simultaneità natura-
ragione-divinità.
Elementi stoici nel pensiero di Cicerone
Il mondo è intrinsecamente razionale e c’è una razionalità che vi determina le cose al suo interno.
La razionalità stoica però non va oltre il nascere e perire dell’uomo, è un pensiero ateo perché non
esiste alcuna divinità. S’intenderebbe un ordine che regge tutte le cose.
Il mondo è come un orologio, ed è governato non al di fuori dei limiti del mondo. Il principio è
sempre fuori dalle parti.
Se tutto il mondo è razionale, allora ha un fine fuori di sé = dalla dimensione dello spazio e dal
tempo -> dunque “Dio” : principio che sta fuori da tutte le cose, dallo spazio & tempo, con un fine
fuori di sé.
Ma come si fa a dire che tutto ha un senso ma fuori di sé? Per questo, il pensiero stoico riprende
Aristotele per un fine che governa le cose dall’esterno e a cui le cose tendono.
Pare che la filosofia precedente abbia preparato il terreno al Cristianesimo, con un’idea di Dio
(però) creatore, con un fine di generazione fuori da spazio & tempo. Il dio stoico di Cicerone diviene
così il Dio del Cristianesimo, “ufficializzato” nel Corpus Iuris Civilis ma la grande elaborazione
avverrà col diritto comune -> prima costruzione scientifica: diritto canonico.
Echi in Digesto 1.1.1.1 – “De iustitia et iure”:
“Iuri operam daturum, prius nosse oportet unde nomen iuris descendat…”
Lo chiamiamo ius perché il suo etimo è giustizia. E’ un’etimologia concettuale (come tante altre del
periodo, prima che intervenisse la filologia).
Il diritto è la MANIFESTAZIONE CONCRETA E PARTICOLARE DI UN UNIVERSALE = GIUSTIZIA.
Il quanto il diritto è giustizia, Celso qualifica i giuristi come “sacerdotes” = tramite tra materia e
spirito, mondo cangiante dei fenomeni e l’immortale della divinità.
E’ necessario utilizzare la disciplina in grado di pensare all’universale: la filosofia.
Il vero giurista dunque è FILOSOFO DEL DIRITTO.
L’Impero era preposto ad occuparsi della giustizia. Ben presto però, esso entra in crisi, causando
l’oscuramento dei giuristi stessi.
Inoltre, il latino, che rimane solo in ambito scientifico, viene meno a favore del greco, che nella
parte occidentale poco si conosce.
L’unica koinè è il Cristianesimo, rafforzandosi a livello di gerarchia e istituzioni. “Societas
cristianorum” (fattore unificante ma anche causale di rottura = affissione delle Tesi di Lutero -1517-,
1492).
I popoli che arrivano spesso sono già cristianizzati in versione aria-monofisita, in voga nella parte
orientale dell’Impero.
Inizia nell’anno 1000 e finisce nel 14^ secolo. ??????? -> 476-1000
Lo stile artistico vigente è il romanico, la basilica, luogo di ritrovo per i romani, diviene un tempio,
assumendo anche forma diversa.
Il tempio classico è in base al principio che va nel mondo, quello romanico va all’esterno.
Gli uomini modellano le loro strutture sull’idea di equilibrio che essi stessi posseggono. Cercano il
quid che rende quell’insieme di pietre un’opera d’arte. Il romanico però non è alla ricerca
dell’equilibrio antico, si rispecchia in esso il cambiamento della comprensione di se stesso e
dell’universo in cui vive (non è più un mondo che cerca il suo punto di equilibrio in canoni di
bellezza interni).
Il punto di equilibrio = ciò che rende giusta l’azione è trovato non solo più nell’esterno, si guarda
all’interno.
Si riprende Aristotele: tutte le cose sono buone perché tendono ad un fine ma anziché questo fine
ricercarsi all’interno, si guarda ad un fine sovrannaturale. Si può avere una felicità eterna: lex
natura beatitudo secondo s. Tommaso.
PIANO METAFISICO ->Unità dei diversi secondo un principio eterno (= “oltre” il mondo)
PIANO METODOLOGICO ->Complementarietà della memoria e dell’uso (consuetudini)
Quando opero in un campo, uso sempre i materiali che ho a disposizione sulla base dei modi che si
sono tramandati per utilizzarli.
Anche il diritto risulterà essere un mix di quello romano, barbarico, canonico, divino (tratto dalle
Sacre Scritture) sulla base dell’idea trascendente di giustizia.
E’ un lavoro che nasce dalla prassi, manca una parte speculativa-autoriflessiva. Conta ancora molto
la consuetudine.
Razionalità asistematica, tendenzialmente topica
Gemellare ratio-natura-deus, ma la razionalità è pratica, perché tende al fine/l’azione, non si
predilige quella scientifica perché il punto di vista sul mondo era diverso.
Valorizzare la fronesis, ritrovare il particolare agganciandolo all’universale.
Topica -> riguarda le opinioni autorevoli, come le tramandate o provenienti da autorità (religiose o
civili).
E’ razionalità OPINATIVA, DISCORSIVA.
Soluzioni delle controversie mediante prudenzialità
La capacità da parte del decisore di mettere assieme il caso concreto con il materiale che ha.
Vi si richiamerà il Common Law (“stare decisis”).
La chiesa romanica concettualmente ci riporta all’antropologia del nuovo periodo: sono edifici caratterizzati
da essere fabbricati con materiali disparati ed avere una struttura normalmente molto asimmetriche
(campanile, posizione delle navate). Se ne trae l’idea della possibilità di mettere insieme elementi fdivessi
su base di principio trascendente (in modo classico era entro il mondo, in tempo e spazio, questo va oltre)
che crea unità organica.
Cambia l’atteggiamento sociale, l’idea del bello: anche lo storpio trova la collocazione.
Il diritto si costruisce con vari elementi da più parti, ricavando sulla base di princupio che li fa stare assieme:
diritto romano, particolare (monastero, diocesi) o materiale dalla gerarchi ecclesiastica, diritto romano
barbarico, diritto feudale e le sue costituzioni, usi e costumi.
Gli assimilatori di ciò sono i giuristi: i “consiliatores”, pratici del diritto, che progressivamente, nel caso
concreto, possono prendere dalle varie fonti a loro disposizione -> razionalità NON SISTEMATICA,
TENDENZIALMENRE TOPICA: si basa su luoghi argomentativi, la risoluzione è PRUDENZIALE: applicando la
“fronesis” aristotelica =saggezza/sapere pratico.
L’idea di Cicerone e fissata nel Digesto del diritto romano viene ripresa: ci si riferisce al rapporto tra natura-
ragione-diritto-divinità. Quest’ultima è essendosi fatta carne, è accessibile, rende possibile l’opera di
armonizzazione delle differenze.
La nozione del mondo romano diviene possibilità di mettere assieme cose molto diverse tra loro.
E’ uno iato forte rispetto alla classicità: ogni volta che la cultura europea tornerà ad essa, lo farà per
rivalorizzare l’elemento di simmetria e tutto ciò che non è simmetrico sarà nuovamente visto come
dissonante e brutto, anche nelle costruzioni giuridiche.
C’è municipalizzazione diffusa che porterà alla creazione delle Università. Inizialmente sono luoghi fisici ove
si riuniscono studenti che richiedono professori, che pagano loro stessi. Si formano gli “studia”, le future
facoltà. Alla fine del X secolo nasce a Bologna (facoltà di giurisprudenza più antica al mondo).
La nascita della facoltà fa sì che si passi da fase romanica a gotica del diritto.
Nasce anche la cattedrale gotica pressoché libera dall’asimmetria. E’ il simbolo del mutamento del modo di
pensare: il verticalismo, la raffigurazione dell’esistente della c. g. richiama l’idea di ricomprendere tutto
l0universa: omnia in corpore iuris continenti riportato nel diritto.
Si scriveranno le “Summae”.
Ordine che deve chiudersi in perfezione definitiva, è richiamo a città, I Romani hanno compagna con
perimetro estensibile. C’è gerarchia.
Mondo autosufficiente, nelle sue mura, essere banditi è la colpa più grave.
Dionigi Aeropagita è un autore del VI secolo d.C. che scrive un’opera riscoperta in Europa in questo
periodo: dopo il 1000. Verrà tradotta dal Greco a Latino da Giovanni Scoto -> veniva dall’Irlanda (irlandesi
verso scozia, piena di scoti e allora la chiamarono Scozia).
San Tommaso ne sarà profondamente influenzato. E’ la versione cristianizzata del tardo neo-platonismo:
Proclo cristianizzata (ultimo degli epigoni del neo-platonismo).
Il neoplatonismo si fonda sulle gerarchie: l’essere come stratificazione piramidale gerarchica che procede
dalla materia a spirito. Un vero sapere è sapere gerarchico, ove tutti gli elementi sono collegati tra loro e si
va dai più semplici ai più complessi, una sorta di “chimica concettuale” (NB! anche nelle cattedrali si va dai
demoni alla trinità)
C’è prima una fase di analisi degli elementi, si fa una selezione=parte dialettica dove si vede cosa regge e
cosa no e dopo l’elemento è incasellato nell’ordine universale.
Richiama quanto fanno i giuristi: si analizza il significato delle parole, ci si confronta con altri giuristi (per
vedere cosa regga o meno) e poi entra nel concetto finale -> c’è raffinazione.
Nasce nella campagna, con anche un po’ di nobiltà -> padre proprietario di feudi, vorrebbe porlo in
monastero di benedettini, ma lui si rifiuta e viene rinchiuso in una stanza finchè non cambia idea. Il padre
cambia la propria idea finchè si unisce ai domenicani, che vestivano di bagni. Pio V (Concilio di Trento),
domenicano, vestiva di bianco, affiancandolo così al classico rosso dei Papi (richiamo ai vescovi).
Matura presto la vocazione e si unisce all’ordine dei domenicani (Domenico Guzman) che assieme ai
francescani erano i principali ordini mendicanti ->non sono legati ai cenobi, girano, è una pastorale non più
legato alla campagna (cenobi extra-urbani), ma vanno nelle città, insegnano nell’università, sono “risposta”
al nuovo mondo che si crea con civiltà comunale -> saranno più “aggiornati”.
Gli altri ordini religiosi si sviluppano attorno ai cenobi (“sala da pranzo”) -> modello monastico dei
Benedettini, all’epoca di Tommaso molto potenti.
TOMMASO D’AQUINO
“Lex humana est quaedam rationis ordinatio ad bonum commune ab eo qui curam communitatis
habet promulgatum” (Sum. Theol. I-II ae Q. 90) (A MEMORIA!!!!)
“La legge degli uomini è un’azione ordinatrice finalizzata al bene comune emanata da colui il quale
ha cura della società.”
Diventerà l’architrave della concezione giusnaturalista che è giunta sino ad oggi (ora detto
“giusnaturalismo cristiano”).
Ne parla nella Summa teologica (struttura neoplatonica scheletro della filosofia tomista -> ricava
l’idea di ordine) nella Prima secundae.
Ci sono quaestiones (da 90 a 95) ove l’argomento è solo giuridico.
La frase ci illustra come i giuristi vedono il diritto all’epoca: qualsiasi norma giuridica è risultato di
azione ordinatrice che ha come fine il bene comune ed è promulgata per opera del responsabile
della communitas.
Ratio- ordo- bonum- promulgatio
Ratio -> è una ratio ordinante, riguarda la ragione
Ordo (princupio) -> è un ordine
Bonum -> finalizzato al bene comune, altrimenti non è diritto
Promulgatio-> deve avere forma ben definita
Com’è possibile arrivare dall’ordo ordinans all’ ordo ordinatus -> c’è il richiamo a Cicerone “lex-natura-
ratio-deus”.
Tommaso parla di ragione, anziché fede, e per questo si opporrà ai francescani (“frati dal saio grigio” =
richiamo alla cenere a cui l’uomo tornerà). Per loro, ad unire divinità ad azioni è la fede per i francescani, la
ragione per Tommaso.
MORALE
DOMENICANI FRANCESCANI
In quanto qualcosa è bene, Dio la vuole. Qualcosa è buono perchè lo vuole Dio.
Qualcosa è di per se stesso un bene e Dio non può Qualsiasi cosa Dio voglia, è bene (è diverso)
che volerlo.
Posso operare moralmente perché posso conoscere …Ma se non so cosa è stabilmente bene o male,
ciò che è bene e ciò che è male, “bonum facendum come mi regolo?
et male evitandum”…
Dio non può che volere il bene, perché se volesse il …Dio stabilisce regole della matematica, ma le può
male si contraddirebbe essendo Somma bontà, c’è il cambiare -> non sono mai garantito nella scelta.
modello del sillogismo scientifico fondato sul E’ più destabilizzante -> responsabilità sganciata da
principio di non contraddizione. ragione.
Dio non può creare triangoli a forma di cerchio…
Se la legge umana è ordo ordinatus che ho da ragione universale delle cose, so che quella è una vera legge,
altrimenti non è una vera legge.
Se non c’è la liason razionale tra la volontà divina e ? uomini, come faccio a promulgare legge che io sappia
essere giusta? Devo di volta in volta devo regolare la cosa su ciò che intuisco essere giusto
Scontri sino alla tesi del rasoio di Ockham (francescano) -> diverse le verità di ragione da quelle di fede, la
fede è scardinata dalla ragione. Vi nascerà il giusnaturalismo moderno.
IN QUALI MODALITA’ LA RAGIONE TRASFERISCE DAL PIANO UNIVERSALE AL PARTICOLARE, DAL DIVINO->
UMANO (O.O.->O.O.)?
Per Tommaso non occorre un atto di fede. Si serve di nozione platonica di PARTECIPATIO, “METEXIS” greco.
L-d-n erano apparentati da cicero e digesto, ma non viene approfondita la modalità in cui natura e ragione
si agganciano tra di loro: ci si serve della partecipatio.
LA “PARTECIPATIO”
“unde et in ipsa (rationalis creatura) partecipatur ratio aeterna, per quam habet naturalem
inclinationem ad debitum actum et finem.
La creatura in quanto razionale partecipa (è parte della) ragione eterna (ordo ordinans, mens dei,
logos) in tanto in quanto ha una tendenza innata all’azione e il fine necessario.
Natura e ratio sono la stessa cosa per la creatura, la nostra natura è la razionalità, abbiamo
un’innata tendenza all’azione e al fine che sono dovuti = previsti dalla ratio eterna.
Nel profondo di noi, abbiamo una “scintilla” che parte della ragione eterna e si manifesta in una
tendenza a sapere quali sono le cose che si devono fare e farle, conoscere il fine e l’azione per
realizzarlo.
Assieme divinità, natura e razionalità.
Et talis partecipatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur” (a memoria!!!!)
La legge naturale è porzione che noi abbiamo tirato fuori dall’eterna, e lì sappiamo se certa cosa è
bene o male e non cambia.
Il pensiero divino è ordinato e non potrà mai essere in contraddizione con la naturale che vi è
tratta.
Dio è razionale e così il bene, così posso costruire leggi giuste.
Legge eterna (kasmakanes, inconoscibile nella sua GLOBALITA’) -> legge naturale -> legge umana
(positiva-concreta-individuata tramite la mediazione della legge naturale che ci caratterizza in
quanto creature razionali).
RIASSUNTO DELLA PUNTATA PRECEDENTE…
La formulazione vaga antecedente e legata ad un mondo ormai scomparso nel Medioevo è la connessione
lex-natura-ratio di Cicerone, gli Stoici-digesto viene usata da Tommaso per fornire la soluzione detta
giusnaturalismo medioevale.
Ogni giusnaturalismo aggancia diritto alla morale, ma il medioevale vede entrambi essere agganciati perché
entrambi RAZIONALI = Io posso sapere cosa è bene con la mia ragione (non con la fede).
Per Tommaso, essere creatura razionale vuol dire essere parte, in quanto essere umano, della razionalità
universale che non è più quella immanente dello stoicismo, ma il DISEGNO DIVINO (per i giusnaturalismi
americani di oggi è l’Intelligence Design).
Quest’idea si oppone a quelle dei pensatori francescani per i quali Dio non è tanto conoscenza, ma
piuttosto VOLONTA’, per esempio perché Dio è amore. La modernità seguirà quest’ultima via.
Per lui, la razionalità dell’universo è il segno più grande dell’Amore di Dio, è la capacità di capire questo
disegno che siamo noi e sulla base di questo creare diritto giusto = volto al “bene comune”.
La ricerca della felicità non è un’opzione, ma è dentro di noi -> c’è il recupero della filosofia greca = l’uomo
vuole essere felice.
Tommaso fa un ragionamento cristiano in quanto la felicità che cerco non sarà mai perfetta nella mia
dimensione temporale (magari mi va pure tutto bene ma comunque muoio alla fine), ma va oltre la
dimensione dello spazio e del tempo.
L’anelito a questo desiderio vede alle proprie spalle una partecipatio eterna = vogliamo che le cose belle
durino, e questo perché, richiamando Platone, c’è ricordo di una condizione di felicità eterna.
E’ un anelito perenne alla beatitudo = felicità che dura per sempre + obiettivo finale del bonu commune.
L’eternità è una ratio divina, noi vi partecipiamo e per questo resta dentro di noi una scintilla di felicità.
LE DUE MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE DELLA RAGIONE ALLA LEX AETERNA (come produrre un
ordinamento razionale)
P.A. P1 P2 P3e
F.U.
P1 P2 P3
C’è forte richiamo ad Aristotele.
Lex aeterna
LDHIWOD
Lex Lex
naturalis divina
Lex
humana
La creatura razionale vi partecipa grazie alla lex naturalis per modum conclusionis/determinationis.
Su esse mi fondo per promulgare la mia legge umana. Non ho bisogno di avere fede, mi regolo
deduttivamente o induttivamente.
C’è la via che implica l’atto di fede: dedurre legge umana sulla base di ciò che ci ha direttamente rivelato la
lex divina.
Sia la lex naturalis che divina fanno parte della lex aeterna = ragione di tutte le cose.
Per Tommaso, anche l’opzione di fede, così’ come per Agostino (l’intelligenza sembra ad elaborare i
preambula fidei), è razionale = LA FEDE HA BISOGNO DELLA RAZIONALITA’, per i francescani ciò non è vero.
1. Lex aeterna
La lex aeterna è la più inclusiva di tutte le leggi secondo Tommaso.
Pensiero-volontà di Dio (es. la costellazione della Virgo, costituita da tutte le cattedrali gotiche costruite
in Francia e dedicate alla Vergine + Linea retta delle cattedrali di S. Michele = costruzioni come pezzi
della logica divina)
(Dunque, la cattedrale partecipa della legge eterna=mens Dei)
2. Lex divina
Immagini sacre (statue, rilievi, pitture, ecc.)
3. Lex naturalis
Le leggi fisiche di statica e le regole costruttive
Razionalità che tutti gli uomini hanno in quanto uomini e si esprime nelle leggi statiche che presiedono
alla “costruzione” della cattedrale -> è ratio TEORETICA/SPECULATIVA
4. Lex humana
Il corpo di fabbrica (materiali e loro disposizione, manutenzione ecc.)
NB! Il punto di partenza di tutte le cose è il parricidio = Platone uccide un certo modo di intendere
Parmenide. Tommaso riprende questo parricidio.
Il labirinto
E’ lo smisurato, l’apeiron, il kasmakanès.
Nelle cattedrali, la loro caratteristica è che seguendo il tracciato si potrebbe finire “fuori strada” pur
essendo apparentemente vicini al centro e strade apparentemente cieche conducono alla destinazione.
Serve a schiodarci dalle aspettative troppo logiche (della logica umana) -> credere che vista l’esistenza
di una connessione logica di tutte le cose, posso determinare tutte le conseguenze delle mie azioni =
essere sciolti da rischi & possibilità.
Possiamo partecipare con la nostra razionalità e costituire percorsi, ma ciò non significa che sia una
direzione obbligata e garantita. Non abbiamo il PdV che ci consenta di vedere “tutto-il-mosaico” -> mai
liberati dal debito del tentativo costante e dalla ricerca.
“Le cose tutte quante/ hanno ordine tra loro e questa è forma/ che l’universo a Dio fa simigliante”. (Dante,
Par. I, 1, 103-105)
PARTE SECONDA: I GIUSNATURALISMI MODERNI E LA NASCITA DEL GIUSPOSITIVISMO
Il lascito più importante del Medioevo è l’horror vacui = tutto rientra in un ordine che ha un senso e il cui
fondamento è TRASCENDENTE (non può essere altrimenti perché se ogni cosa ha il suo principio in ciò che è
altro da sé, l’insieme delle cose esistenti hanno principio nell’altro da sé = non sono cose, è Dio per i
Medioevali).
La crisi avverrà quando la Chiesa Cattolica (che aveva il compito di “comporre i rapporti” con la
Trascendenza) si scontrerà con l’Impero -> GUERRA DELLE INVESTITURE fu l’evento più rilevante,
denotatore dell’incapacità di separare il “doppio gladio” (problema già postosi Barbarossa, che interrogò
Bologna sul fondamento del proprio potere -> mondo medioevale attento al fondamento + giustificazione
giuridica delle affermazioni privatistiche e non).
Questa crisi genererà la frammentazione della società medioevale, che porterà alla nascita della modernità
= fisionomia dell’Occidente durata sino a poco fa (ma siamo a fine modernità? O già in post-modernità?).
Nella modernità, le strutture che hanno dominato nell’Occidente dalla fine del Medioevo non sono più così
sicure, in primis lo Stato (a cui si post-pone il diritto. Se lo Stato vacilla, che fine fa il diritto?).
(Prima della Modernità, non esiste nulla di simile a quello che noi oggi chiamiamo Stato -moderno-)
Questo concetto manca nel Medioevo, perché in esso la natura è esclusivamente razionalità.
Ora si inizia a parlare di ARTIFICIUM: ci sono cose naturali e artificiali, nel Medioevo non c’era problema
perché c’era continuità tra natura e ragione, ci stava che l’uomo la utilizzasse per creare artifici (nella
natura).
Ora c’è distinzione, la continuità medioevale si erode: da un lato la NATURA, dall’altro l’UOMO CHE
PRODUCE ARTIFICI.
*NATURA È LA CONDIZIONE NELLA QUALE NON CI SONO ANCORA ARTIFICI.
Il mondo, se non ci fossero artifici, sarebbe solo natura -> ci si arriva SOTTRATTIVAMENTE a ciò*.
Lo SDN è condizione in cui l’uomo c’è ma non si è ancora costituito un potere.
Non c’è potere = non c’è diritto.
E’ condizione PRESTATALE.
I rapporti tra le persone dunque sono regolati, secondo l’influsso della filosofia scolastica, dalla RAGIONE->
gli permette di mettersi d’accordo.
L’uomo non ha interesse a violare il patto, perché altrimenti rischio di non poterne più stipulare altri (= se
mi dai la fregatura, non faccio più patti con te), è il FARE IL PROPRIO INTERESSE stare ai patti.
Da questo contratto nasce la struttura di potere.
“CONTRATTO SOCIALE” (pactum unionis -> gli uomini si accordano per ottenere una cosa tutti assieme)
“…etiamsi daremus, quod sine summo scelere dari nequit, Deum non esse aut ab eo non curari
negotia humana” (De iure belli ac pacis, 1625, Proleg. 11)
“Se noi concedessimo che Dio non esiste, oppure esiste e non si occupa di noi, potremmo (comunque)
regolare i nostri rapporti sulla base della sola ratio.”
Se prima vi era complementarietà di fede e ragione, ora si predilige solo la ragione. La filosofia scolastica,
pienamente razionale, degrada verso una FILOSOFIA RAZIONALISTA & INDIVIDUALISTA.
Natura = ragione (autonoma) …e Dio?
Non c’è più connessione strutturale con Dio, non ce n’è più bisogno quasi -> ormai non si era più d’accordo
su cosa sia Dio, dunque per evitare di sbranarci a vicenda sull’unità religiosa distrutta, meglio accordarsi con
gli elementi che ci accomunano: ragione + appetitus societatis.
La volontà individuale sceglie il bene, che conosce mediante la ragione (es. la pace sociale per
realizzare meglio i fini individuali)
Il diritto e lo stato sono i “prodotti” d’un accordo razionale delle volontà individuali (stare pactis)
L’autorità politica non necessita di un fondamento divino (altrimenti si litigherebbe visto che manca
un accordo): secolarizzazione*
LIBERA INTERPRETAZIONE DEI TESTI-> ognuno può aprire il t. sacro e deciderne il significato, ciò causa la
formazione della COSCIENZA INDIVIDUALISTA (VS uomo classico in rapporti di geometria variabile)
Il significato scelto pare quasi “una proprietà privata”. Essere vincolati all’interpretazione della Chiesa è un
vincolo dei papisti, me ne devo dunque liberare
Più l’uomo si affranca dalle relazioni, è autonomo, diviene libertà-da: libertà che si definisce in base a
vincoli che rescinde. Libertà è liberarsi da un vincolo e non può essere definita senza vincolo: è questo il
CONCETTO DOMINANTE.
E’ una libertà dunque non originaria (+ LIBERTà PER = finalizzata a qualcosa non semplicemente la
liberazione da un vincolo).
Si diffonde così il LAICISMO, conseguenza dell’individualismo (quando sono affrancato, levo i fondamenti ai
concetti).
Di origine prettamente scolastica (autori spagnoli del “Secolo d’Oro”) in Grozio:
Esempio architettonico: spesso la chiesa cattolica era la “base architettonica” di quella protestante.
Essa è caratterizzata dalla mancanza di un altare, di statue di santi, di raffigurazioni sacre (spesso
imbiancate), il posto d’onore è dato all’ambone=pulpito, ove la parola o il canto sostituiscono la
dimensione sacramentale (così assente. Sacramentum = sacrificio incruento offerto dal sacerdote durante
la messa, tutti collegati da fondamento trascendente. Questo fondamento è levato dalla secolarizzazione ->
mancanti atti con principio trascendente, vd. Santo che è solo uomo-donna-bambino, non “merita” di
essere venerato).
L’atteggiamento iconoclastico secondo il quale la rappresentazione del sacro è forma di idolatria ha alla
base una GNOSI = separazione radicale tra spirito/materia, chi ha la verità e chi non l’ha.
“De servo arbitrio” -> essere soggiogati alla logica divina, egli stabilisce “contatto” con la creatura solo se lo
desidera, non importano i meriti degli uomini. Manca ora una mediazione.
Morte di Elisabetta I (1603) ed estinzione dei Tudor -> problema dinastico, che riguardava anche
l’aspetto religioso.
Regno di Giacomo I (James) Stuart -> inizialmente governa benevolmente, ma rapidamente comincia a
seguire l’ideologia politica del proprio tempo che riguarda l’accentramento dei poteri nelle mani del
sovrano (succede anche in Francia, Spagna). Guarda perciò con disprezzo al Parlamento.
Si pensa al potere politico con prospettiva individualistica, non da esercitarsi in un collegium, ma da
un’unica persona (re) -> ha la base filosofica.
La giustificazione di ciò viene ricercata nel popolo, apparentemente: si legittimano come autentici loro
rappresentanti, VS i nobili che gli si oppongono. E’ una “rappresentazione” apparente, non gli importa
molto del popolo in realtà.
Restrizione dei poteri del Parlamento (=nobiltà, è conservazione del loro potere, un re avrebbe
interferito con le loro libertà con un’eccessiva monarchizzazione=accentramento potere) e del
Common Law.
Guerra civile (1642-51), conseguenza della restrizione sopracitata, culminerà con la decapitazione,
voluta dai nobili, di Carlo I (1649), successore di Giacomo I. Viene proclamata la Repubblica.
Repubblica di Cromwell (1649-53), rappresentante dell’Iron Side, appartenente alla fazione radicale
del protestantesimo. (Ne subiranno le conseguenze specialmente gli Irlandesi, limitati fortemente
nell’esercizio della propria religione e dell’utilizzo del gaelico che progressivamente scompare)
Cromwell muore, il figlio non ha capacità di governare e ciò porta alla Restaurazione (Carlo II, 1660, figlio di
Carlo I, fu richiamato dall’esilio).
1. LO STATO DI NATURA:
amplificazione del concetto del soggetto come individuo, anche il soggetto stato si qualifica soprattutto per
la volontà, per il suo attivismo, per il suo intervenire.
La scienza nasce come tecnica, attività, trasformazione e non come pura conoscenza, così lo stato
parallelamente nasce con questo profilo di fare l’homo novus è l’homo faber e la sua immagine
ingigantita = stato = stato faber.
La funzione dello stato non ha neanche a che vedere con la beatitudo e il trascendente, lo stato ha la
funzione di impedire la guerra di tutti contro tutti.
Qual è la condizione originaria dell’uomo? La paura; l’uomo ha in ogni momento paura di essere aggredito
da uno più forte di lui, il quale può farlo perché come lui ha paura. In ogni momento io sono minacciato
dall’altro.
La paura come fondamento sociale: se tutti hanno diritto a tutto, la vita è insicura…
Ragione + volontà = accordo di ciascuno con se stesso per la sicurezza (pactum unionis: non è l’unione che
ciascuno fa con gli altri, ma è l’unione che ciascuno fa con se stesso; ciascuno con se stesso fa un patto: io
rinuncerò al mio diritto).
Noi possiamo pattuire solo con noi stessi, non con gli altri (come dirà poi anche Rousseau); solo di me mi
posso fidare. Stabilisco qualcosa con me stesso per esorcizzare il problema della paura, per avere sicurezza.
Il problema della paura è gemellare a quello dell’avere sicurezza, rinuncio alla libertà perché, se la libertà
comporta la perdita della sicurezza, preferisco la sicurezza.
E’ del tutto ragionevole rinunciare ad un diritto che, se esercitato da tutti, metterebbe a rischio la mia vita.
Lo stato di natura è uno stato razionale per Hobbes? Sì, è vero che gli uomini si sbranano, ma hanno la
ragione. L’essere lupus dell’uomo non significa che è irrazionale, è razionale. Per non farmi sbranare dagli
altri lupi, piuttosto faccio il cane da guardia.
Tutti hanno diritto a tutto che senso avrebbe che tutti quanti pattuiscano di attribuire i diritti ad uno solo,
se li ha già? Se io conferisco qualche cosa a qualcun altro lui mi è debitore, quindi continua a sussistere un
legame di debito nei confronti di chi ha stipulato il contratto. Ciascuno contratta con se stesso di rinunciare
al diritto a tutto, ma uno non lo fa. Rimane titolare del suo ius in omnia, ha una libertà assoluta (ha tutti i
gradi di libertà) e non deve niente a nessuno. Il sovrano non riceve il potere dai soggetti, rimane nello stato
in cui sempre era.
Il metodo attraverso il quale Hobbes arriva alla sua teoria è un metodo matematico.
Parti contraenti: tutti meno uno! (es. contratto in favore di terzi) (pactum subiectonis).
Il non contraente è ab-solutus (e mantiene il ius in omnia): sovrano assoluto. Hobbes sta fornendo quella
che lui ritiene essere una legge politica che spiega e giustifica l’esistenza di un potere assoluto, senza un
potere assoluto c’è la guerra civile. Il sovrano è un homo artificialis, non è una figura umana, è un istituto.
C’è solo una condizione in cui potrei tornare sui miei passi: quando non mi è garantita la sicurezza quando
è il sovrano stesso che cagiona la mia vita. Quando vengo condannato a morte, io torno titolare del mio
diritto a tutto. L’unico libero assieme al sovrano è il condannato a morte (è tornato allo stato di natura).
L’istituto è incarnato in una persona. Il potere non è frazionabile nell’idea di Hobbes. Il potere per se stesso
tende ad accrescere. E’ necessario che il potere arresti il potere, ma non lo fa (Montesquieu). Non bisogna
dare troppo potere a poche persone, perché il potere tende ad essere esclusivo.
LO STATO ASSOLUTO
Hobbes ha una visione laica della politica, che vuole essere oggettiva.
Se Hobbes dice che il sovrano assoluto è il leviatano, ci sta dicendo che è un mostro, ma ci sta anche
dicendo che è quello che ci salva, perché il mostro peggiore è la guerra civile, è il male minore.
Di che cosa è fatto il sovrano? E’ la somma dei suoi sudditi. Alla fine sono le vostre rinunce che ci hanno
garantito un sovrano, egli invoca direttamente i suoi sudditi.
Il leviatano è meglio di Behemot. E’ una forma (non è una forma giuridica perché prima viene lo stato ed è
lo stato che produce il diritto, ma è una forma politica che dura all’infinito = il successore è esso stesso
sovrano).
Dal 1600 i sovrani vestono una livrea come i servi = sono i primi servitori dello stato, sono i primi servitori di
questa istituzione artificiale che è lo stato. Persona che in qualche modo si disincarna.
Secondo Hobbes, la figura del sovrano racchiude in sé tanto il potere della spada materiale quanto il potere
pastorale (guida spirituale) = totalità dei poteri. Non ci può essere nessun altro potere che competa. Il
potere deve essere potere di tutto.
Lo stato è la somma delle individualità, stato che viene tradotto con “commonwealth” + la sovranità
(“power”), il termine sovranità non esiste nel medievale, viene creato poi = essere sopra agli altri. Posta in
gioco: la vita; libertà in cambio di sicurezza. Supremazia del pubblico sul privato. La figura del pubblico
prevale sulla figura del privato. La religione come il diritto serve per governare = instrumentum regni.
La forma della convivenza politica dei soggetti, nel momento in cui essi divengono individui, diventa una
forma astratta. È ovvio perché anche intendere il soggetto come individuo è un’operazione di astrazione.
La modernità estrae la persona dai rapporti che la connotano come unica per portarla ad un piano di
identità, è uguale a tutti gli altri.
Non è la prospettiva classica secondo il principio di non contraddizione, però. È pensiero computante, devo
trasformare i soggetti in numeri.
Formulare ipotesi, creare entità astratte, manipolarle computamente per creare modelli che agiscano nella
realtà è cambiarla = PENSIERO TECNICO di Heidegger. (È pensiero del fare, non solo del conoscere).
Prima le persone concrete sono trasformate in astratte (thx concetto di individuo) e queste divengono la
base per la concettualizzazione della convivenza in modo artificiale. È doppio passaggio.
Per Hobbes, questo Stato rappresenta il publicum (non è quello romano, che è qualcosa di concreto),
un’astrazione. E’ un soggetto (solo) NON INDIVIDUABILE in persone concrete.
Esso ha lo scopo di garantire sicurezza (in cambio della libertà) ma è vagamente inquietante: qualcosa mi
sovrasta ma non ha un volto -> è disegnato mediante piccoli omini. I singoli omini non hanno più la
sovranità=potere, perché ora lo possiede lo Stato.
E’ una figura totalizzante raffigurata con spada e pastorale: nulla sfugge, perché altrimenti il potere non
sarebbe assoluto. E’ funzionale che il sovrano dunque sia anche il capo religioso -> entrambi i poteri vanno
nella manus pubblica.
La religione diviene soggetta del potere pubblico (realizzazione tardiva del sogno di Barbarossa) -> scontri
civili.
Il potere pubblico è la massima dimensione del potere, e non ne concede di ulteriori p. appartati.)
Grozio -> atteggiamento di neutralità = organizzarsi a prescindere dalla nostra concezione di divinità
Qui, l’attributo del deus ce l’ha lo Stato = la sua astrattezza lo rende invulnerabile.
L’alternativa sarebbe la guerra di tutti contro tutti.
S. Tommaso, “Dio vuole il bene, non può non volerlo, è nella sua natura”.
Possiamo conoscere per INCLINAZIONE quali sono i comportamenti che “rispecchiano” il bene, e
comportarci di conseguenza.
E’ giusnaturalismo classico medioevale.
I disegni della Provvidenza sono spiegabili e prevedibili.
Dio ha creato l’universo in un certo modo, dunque è il SUPREMO ESEMPIO DI QUEL MODO.
Occam, “Ciò che Dio vuole, è il bene”
Non sono sicuro che quello sia un bene duraturo, comportamenti errati ma che diventano giusti… come mi
regolo?
La forma che Dio ha dato all’universo (=leggi naturali) erano ciò che in quella fase reputava bene, ma può
cambiare idea.
EGLI È AL DI SOPRA DI QUELLA FORMA.
Medioevo: azioni del singolo prive di un metro in base al quale valutarle. Causa problemi anche il Diritto.
Hobbes: “ciò che lo Stato decide (con le leggi civili) è il bene… ma “qui facit legem NON cadit sub
lege”!
Il Dio di Occam ha le caratteristiche dello Stato di Hobbes.
Bene=ciò che leggi dicono lo sia, perché enunciano le azioni da farsi e quali no -> non è da esso vincolato
(vd. Concezione Dio Occam, al di sopra)
(E’ una concezione ripresa anche dall’Islam)
Volontarismo -> giuspositivismo (legalista-imperativista)
Si passa dal giusnaturalismo al giuspositivismo: ò’unica fonte del diritto è la legge, non c’è nessun soggetto
trascendente che possa dirci se la legge è o meno giusta.
Legge = frutto di volontà, di quella del Sovrano.
(Tommaso: frutto volontà nella promulgatio, prima c’era il momento cognitivo.
Qui è totalmente assente, c’è solo il momento VOLITIVO).
Questo approdo al giuspositivismo è retto dalla tendenza filosofica volontarista.
Nasce la concezione del diritto:
- LEGALISTA = Diritto individuato solo dalla Lex
- IMPERATIVISTA= Legge è comando
Influenza di TH (né giurista né scienziato!)
Hobbes ignora la gran parte delle discussioni dei giuristi, non facendone parte.
Nel “Dialogo tra un filosofo ed uno studente di Giurisprudenza”:”Auctoritas non veritas facit legem” -> la
legge non ci pone problemi di verità, della sua ricerca, BENSI’ un’espressione dell’autorità = ha a che fare
col potere = è un comando.
Anche di scienza sapeva poco…
Tuttavia, egli ha “captato” tendenze già presenti.
Storicamente, non appartenendo né ai giuristi né ai filosofi, non è stato molto apprezzato. Solo nel ‘900 c’è
stata una “Hobbes renaissance” -> viene apprezzata la sua chiarezza (e “brutalità”), i suoi assunti verranno
usati per lo Stato assoluto, lentamente però.
Il suo modello di Stato caratterizzerà la parte prevalente del pensiero politico-giuridico europeo-
continentale. (In Inghilterra avrà breve seguito).
HOBBES -> Prefigurazione del potere assoluto del pubblico sui privati
LOCKE-> Nessun potere pubblico può conculcare la libertà dei privati (è irrazionale)
1. LO STATO DI NATURA
(Hobbes -> minaccioso, dominato dalla paura, homo homini lupus)
Antropologia “positiva”: la natura non è il regno (in ipotesi) della forza e della paura…ma una
condizione originaria (non ipotetica) di uguaglianza, libertà e disposizione dei propri beni…
Quando gli uomini sono ragionevoli, essi vogliono solo disporre in pace dei propri beni.
L’irragionevolezza, c’è la regressione hobbesiana (homohominilupus) -> si ha quando ci si fa prendere dalle
PASSIONI.
...’fisiologicamente’ ragionevole e pacifica
L’uomo è fisiologicamente di suo razionale, ma a volte le passioni hanno il sopravvento (patologico).
…’patologicamente’ turbata dalle “passioni”
Esse sono frutto delle tentazioni, perché l’uomo, per natura buona, a ‘na certa ha sviato = problemi
E’ una costruzione fatta con categorie teologiche, a differenza di Hobbes che è ateo.
2. IL CONTRATTO SOCIALE
Anche per Locke il soggetto è un individuo e la società una somma di essi. Questo è lo stato
<<iura connata>> = vita, libertà e proprietà si conservano con il CS (diverso da Hobbes) di natura
Se le cose vanno bene di per sé, che necessità c’è di fare un contratto sociale? Evitare momenti di
interruzione dell’irragionevolezza causati dalla passione conservare i propri diritti in ogni circostanza, di
cui lo Stato è garante (a ciò è orientata la sua esistenza).
I. C. Diritti soggettivi che abbiamo sin dalla nascita. La loro titolarità da parte nostra nello stato di natura
sono la vita (base degli altri), di libertà (assenza di costrizioni, è il senso moderno), di proprietà (libertà che
mi serve per il lavoro, ottenendo ciò che desidero che non dev’essermi levato).
(Hobbes parla dell’esistenza di diritti che stanno in capo ai soggetti nello stato di natura = ius in omnia)
Si aggiungerà il diritto di RESISTENZA.
Il CS è un fatto empirico (diverso da Hobbes) ripetibile, finalizzato a tutelare i diritti individuali
contro l’insicurezza delle “passioni”
Se l’uomo è “fisiologicamente agnello” (VS Hobbes, il soggetto stipula con se stesso, homo homini lupus),
può patteggiare con gli altri (richiama Grozio, si sta ai patti perché ci conviene).
Dunque, le persone creano un contratto sociale che avviene storicamente (non una tantum) la natura
del rapporto tra cittadini e Stato è di CONTINUA RITRATTAZIONE DELLE CONDIZIONI CHE MI CONSENTONO
DI RIMANRE IN POSSESSO DEI MIEI DIRITTI NATURALI.
C’è una DIALETTICA costante tra potere e cittadino, affinchè siano garantiti a *(quasi) tutti la tutela dei
propri diritti.
*Esclude come parti contraenti soggetti quali i cattolici (non ci si può fidare della loro fedeltà perché
rispondenti ad altra autorità) e gli islamici (perché hanno un Dio diverso…).
Necessità dell’accordo di tutti (trust & consent) per sottomettersi al governo delle leggi (rule of law)
E’ necessario che l’accordo sia generalizzato = si deve non presumere, ma “fare effettivamente una conta”.
Trust & consent -> Fiducia & consenso come condizioni essenziali del potere.
Si ha fiducia e ci si sottomette al sovrano=attività secondo Locke, quella del Parlamento = legislazione= leggi
che vengono fatte da P. che gode di t&c problema di rappresentanza: nobili & ricchi borghesi, ma intanto
“la questione è posta”.
Il t&c viene apposta all’attività di un collegio = le leggi.
Anche il Parlamento vi è sottoposto, ecco perché si parla di “Governo delle leggi” = “Rule of Law”
Il contratto è momento di soggezione alle leggi.
Dunque, c.s. come contrattazione permanente.
Per Locke, si deve intervenire solo quando le cose non vanno, dunque là il Parlamento interviene, quando si
potrebbero creare situazioni conflittuali (emergenza delle passioni), nel frattempo agisce emanando
provvedimenti “generali”.
Il patto non è una tantum, poiché prevede a garanzia: limiti e “resistenza”
Il potere, a differenza di come lo concepisce Hobbes, ha limiti:
- Apposti dalla legge
- Resistenza -> se il RoL non si realizzasse ed i poteri si trovassero in una situazione di crescita
eccessiva o interferenza tra di loro e non stabilissero i limiti da rispettarsi, allora i cittadini
“firmatari” del contratto sociale possono ribellarsi impugnandolo: esercitare i 4 diritti a cui mai
hanno rinunciato e anzi, per i quali hanno deciso di sottomettersi diritto di resistenza
3. LO STATO <<LIBERALE>>
Rule of Law = preminenza del legislativo (parlamento sovrano) “stato di diritto” (probabilmente
è uno degli aspetti dello RoL, alcuni lo fanno coincidere pienamente con esso)
(La Repubblica Parlamentare è un lascito delle idee liberali)
È alternativa ad Hobbes.
Rinuncia a farsi giustizia da sé = imparzialità e terzietà del sovrano
E’ il risultato ottenuto dalla stipulazione del contratto sociale.
Ci rinuncia perché l’autorità difende i suoi iura connata.
Limiti della sovranità:
- Diritto naturale/iura connata (diritti economici: “properties”) -> non possono essere oggetti di
contrattazione. Nonostante il riferimento ai diritti naturali, tutti si condensano nella proprietà.
Anche il corpo verrà visto come tale.
- Trust & consent -> qualora il Parlamento non esprima più la fiducia ed il consenso dei
consociati, è bene che venga cambiato.
Viene posto un problema di rappresentanza e suffragio.
- Divieto di trasferire poteri maggiori del proprio -> implica la violazione del Rule of Law
- D. di governare per decreti -> i sovrani cercavano di bypassare i Parlamenti/leggi &
consuetudini vigenti, emanavano decreti = provvedimenti provenienti da organo esecutivo.
Decretazione eccessiva -> violazione del Rule of Law = sorpassamento del Parlamento, unico potente
legislativo
- D. di espropriare -> sono soprattutto diritti economici quelli di cui si parla, toccare la proprietà =
toccare il soggetto che ha il diritto
- D. di delegare la legislazione -> Il Parlamento non può delegare ad altri il proprio potere
In Hobbes non c’erano limiti… Tommaso: violazione legge naturale e divina -> possibilità di essere deposti
Clausola di salvaguardia: diritto alla rivoluzione (o di resistenza) = “Appeal to Heaven” (“Ricorso al
cielo”, è una frase di origine biblica, molto utilizzata nella letteratura americana)
(N. Bobbio vi ricollegò lo status giuridico dei Partigiani (dinanzi alla questione giuridico-politica del 2^
dopoguerra: Nord diviso tra Reich e Repubblica Sociale, Sud sotto la monarchia) = cittadini che vivevano in
una situazione in cui, per diritto naturale, l’applicazione del diritto di resistenza era possibile. Non c’era più
uno status giuridico all’epoca.)
Il comportamento di RIBELLIONE/DISOBBEDIENZA (Appello al cielo) è giustificato in alcune situazioni,
quando la struttura statuale non ci rappresenta più e non riusciamo a modificarla col contratto sociale.
Tutti e quattro sono accomunati dalla MANCANZA DEL TRUST & CONSENT (l’accertamento di questo
elemento denota spesso l’elettoralità diffusa, vd: Stati Uniti).
Condizioni storiche: ascesa della Borghesia mercantile, capitalismo, Glorious Revolution = nesso
libertà/proprietà
L’ascesa della borghesia si realizza a partire dall’anno 1000 (e termina nel 1600), specialmente in Italia c’è la
generazione di zone di autogoverno (Comuni, Italia), a volte involute in forme autoritarie (Signoria) mai
espressione di unità politica, bensì di città libere. Si passa da scala municipale a molto più estesa
borghesia che concepisce una nuova forma giuridica = lo Stato, dissolutore dell’ordine politico-giuridico
medioevale, con cui non ha relazioni sostanziali con le strutture da quest’ultimo creato.
La mutazione sta nel concetto di SOVRANITA’, mancante nel Medioevo.
M -> Il potere ha sempre un volto
Modernità -> il potere è attributo dell’istituzione (non più alla persona) e non ha un volto.
“Europa” non esiste come termine, si affermerà dopo l’illuminista “Christianitas”.
Nasce idea astratta del potere, il “volto temibile della Gorgona”.
Muta la giuridicità, perché nel Medioevo il DIRITTO NON È ESPRESSIONE DELLA POLITICA.
Lo Stato comincerà ad assumere un interventismo maggiore nei confronti della produzione giuridica (già in
Hobbes: potere assoluto del sovrano, nessun altro può dettar regole e Locke: potere giustificato da truck &
consent su qualsiasi normazione), tanto che il DIRITTO SARA’ ASSOGGETTATO ALLO STATO PERDITA
dell’autonomia (<< Common Law, >> Civil Law).
In questo pensiero è fondamentale la connessione LIBERTA’-PROPRIETA’: la vita dev’essere libera (VS
Hobbes, accettare il Leviatano, basta sopravvivere), dunque posso diventare proprietario e accumulare
ricchezze.
La questione crematista (=delle ricchezze), collaterale nel pensiero medioevale complessivo, diverrà il
cardine delle varianti dei pensieri liberali, elemento fondamentale.
Le prime nazioni Europee si costituiranno con quest’idea: essere liberi tanto quanto siamo liberi di
accumulare ricchezza.
È libertà come appropriarsi: fare di qualcosa qualcosa di mio.
Condizioni filosofiche:
- Il possesso come fattore di autodeterminazione: individualismo + empirismo =
io/mondo/relazione di “appropriazione” (v. p. es. Cartesio)
La concezione classica osteggiava l’idea della proprietà come libertà prediletto l’ozio, non vi
concretizzavo il mio essere libero + Parabola del ricco (pensiero cristiano medioevale) …
L’idea della libertà=proprietà viene vista con sospetto dal pensiero cattolico.
Essa viene da due atteggiamenti filosofici principali: INDIVIDUALISMO + EMPIRISMO.
Il mio modo di approcciarmi al mondo è possessorio = caratteristico del pensiero borghese. D’altra parte,
però, per modificare il mondo, è ovvio che devo trarne i beni: non era accettato che fosse il rapporto però
d’eccellenza col mondo, questo di libertà=proprietà.
Lo sviluppo della proprietà individuale era limitato (tasso 4% per i cattolici – frutto specialmente di prof
universitari francescani, da cui erano svincolati gli altri tipo protestanti, ebrei), frantumata la realtà
cristiana, ci sono più capitali sul mercato accumulazione del denaro e prestito ad alti tassi d’interesse.
Modo per determinarmi nel mondo, si diffonde il lusso.
- Libertà come movimento (libertà-da) = primato del fare (homo faber), concetto di progresso
La mia libertà si esprime nella trasformazione fondamentale è il MOVIMENTO
La società moderna è una società che si muove (effetti: ricerca scientifica, per muoverci più velocemente).
È concetto mancante prima della modernità e della borghesia.
“L’uomo è uomo perché ha le mani, ha le gambe” -> “capitalismo eroico”, diviene importante la
dimensione della sua azione.
L’epoca borghese è quella in cui si sviluppa il razzismo: solo l’uomo europeo ha questa visione, a differenza
di altri popoli, che verranno a contatto con questo capitalismo lampante avendo la peggio. E’ considerato
uomo chi è capace di impossessarsi dei beni esportare la libertà nei confronti dei popoli tipo Pellerossa…
(vivono ancora all’età del ferro, non sfruttano abbastanza i territori... VS homo faber)
- Libertà come assenza di vincoli (“Libertà negativa”) = “Right to be let alone” – antistatalismo
La libertà è fisica = assenza di vincoli problema per il diritto, sempre costituito da vincoli.
Il diritto dunque mi vincola?
Su questa concezione della libertà, allora solo quando realizzerò la rescissione di qualsiasi vincolo, anarchè
= anarchismo, sarò libero.
Il pensiero liberale è dunque fortemente ANTISTATALISTA (vd. Libertarians=dissolvimento totale dello
Stato, ogni gruppo sociale si organizza a modo suo).
- Religione secolarizzata (sfera privata, emozionale)
L’idea di religione universale (Cristianesimo -> Medioevo) viene meno, essa si secolarizza perché il
proprietario ne diventa lo Stato oppure, in una versione ancora più liberale, lo diviene il singolo -> si
consola con la propria scelta religiosa, è dimensione DEVOZIONALE.
E’ doppio fenomeno: lo spazio della divinità sarà riempito o dal singolo stesso (l’io che diventa Dio, unico
punto di riferimento) o dallo Stato, che “ottengono” così gli attributi di SOGGETTIVISMO ASSOLUTO
(saranno le basi dei Totalitarismi, che criticheranno la borghesia, finendo però per assumere comunque
quei caratteri. Evitare i conflitti sociali Comunismo).
IL SOGGETTO ALLO SPECCHIO: L’ “IO” COME “UNO” (Individualismo imperante affermatosi in Occidente
thx borghesia, soggetto misura di tutto)
Dedicato a comprendere i fondamenti per cui gli uomini non sono uguali tra loro.
La comunità politica nasce quando qualcuno decide che qualcosa è suo e gli altri accettano sia così,
ingenuamente. (X che decide che quadrato terra è sua, ma sulla base del nulla perché la terra è di tutti)
Per lui, la terra è di tutti, si redistribuiscono solo i frutti “strappare i paletti e colmare il fossato” = atto di
appropriazione è violento, e per evitare danni futuri intervengo = esercito violenza temporanea per evitare
un’ingiustizia futura.
Poter agire a seconda del mio desiderio è essere liberi, ma per farlo devo stappare paletti + colmare fossati
= DEVO ELIMINARE LA PROPRIETA’ (che è un delitto) CON UN’AZIONE RIVOLUZIONARIA sulla base della
costruzione razionale che ci saranno problemi = sulla base dunque di un’IDEOLOGIA = connessione logica
ragionamenti.
Dire che il mondo è in un certo modo è l’espressione della mia libertà di costruirlo come voglio.
1. LO STATO DI NATURA
2. IL CONTRATTO SOCIALE
HOBBES LOCKE
Ognuno rinuncia a tutto, uno no spiega Contrattazione che si rinnova principalmente a
assolutismo politico. livello legislativo per tutela degli iura connata.
Perderei uno ius in omnia. Conserverei i miei diritti.
La “redenzione politica” = restituire al citoyen la libertà che ha perduto come homme (dimensione
che mi consegna ai rapporti intersoggettivi -> la mia vita sarebbe sempre inautentica/frustrante
perché non posso mai essere mai stesso, subisco le ineguaglianze)
Recupero la mia naturalità perché mi trasformo da homme a citoyen recupero l’originale libertà di
homme in questa nuova forma, che comunque prevede una VITA AGGREGATA.
La condizione politica che ottengo col contratto sociale mi redime dalla condizione di frustrazione.
La politica assicura non solo la convivenza accettabile, ma diviene anche redenzione mi riporta nel
paradiso terreste, in un eden.
E’ disegno ideologico, utopistico: TORNARE AD ESSERE FELICI IN UNA FORMA DIVERSA.
Ogni “unico” rinuncia alla sua libertà naturale uti singulus, cedendola a “tutti” (G. Fasso: “auto-
obbligazione collettiva)
Ciascuno contratta con se stesso (perché ha misura di sé).
C’è una cessione a(d un) TUTTI che fanno tutti: rinuncia ad essere hommes (in H si rinunciava a tutto tranne
che alla vita) ma questa libertà torna ad un tutti = un’entità collettiva (vs Hobbes, “capo” di società) = è la
società, è un’entità con sua soggettività, il più importante dei soggetti, lì dentro siamo tutti
citoyens=redenti.
Tutti riacquistano una libertà artificiale uti cives (“Ciascuno, dandosi a tutti, non si dà a nessuno”)
Siamo redenti perché ciascuno dandosi a tutti, non si dà a nessuno TUTTI li hanno TUTTI.
Ho perso uti singulus, ma l’ho riacquisito uti cives (tra quel tutti ci sono anch’io).
Il cittadino non è “numero di una cifra totale (ma) numeratore di una frazione”: x/stato
E’ il primo pensatore politico a riportare la questione democratica nella civiltà occidentale moderna. (3
persone, ognuna mette 1000 euro, ho 3000 euro: si spenderanno i 3000 ma a favore di tutti. Bisogna
mettersi d’accordo però su come spenderli)
Smentisce H/L: società è somma di individualità finché non si stipula IL CS, perché il citoyen cessa di essere
unità per diventare frazione = diventiamo i numeratori di una frazione.
Stato come torta e noi individui una sua fetta.
In tal maniera, mantengo una forma di individualità ma non più totalmente (come homme, quando lo Stato
non c’era e c’erano tanti altri uni con me), con lo Stato è individualità su un denominatore cioè il tutti.
(Società da 3000 euro, sono 1/3 di quei tutti)
VS svilimento hobbesiano, sono essenziale alla costituzione dello Stato.
Nessuno vuole più come singolo, ma come generalità astratta (“tutti”): la volontà generale.
Dobbiamo pensare a ciò che vorrebbe l’uomo uti cives (mettersi d’accordo su come spendere i 3000 euro
per tutti e 3): è VOLONTA’ GENERALE.
(La torta non è una somma dei pezzi di torta…)
3. LO STATO <<ETICO>>
(NB! La differenza tra S. ETICO & ASSOLUTO Hobbes non ha pretesa etica, è ottenere sicurezza e pace,
per Rousseau c’è forte connotazione etica: redenzione da condizione di infelicità e l’uomo che viene
educato a pensare come “tutti”)
L’utopia è il non luogo. Sulla base dell’inesistente io modifico l’esistente utopia per decifrare la realtà e
modificarla (“i filosofi hanno interpretato il mondo, adesso si tratta di cambiarlo”, base Marxiana).
Il modo migliore per conoscere è quello matematico (richiamo ad Hobbes). Per capire le cose è necessario
FORMALIZZARE = usare l’astratto per comprendere il concreto, proprio come succede nella matematica.
Emilio
Ogni affetto è un segno di insufficienza: se ciascuno di noi non avesse nessun bisogno degli altri, non
penserebbe affatto a unirsi ad essi. Così dalla nostra infermità stessa nasce la nostra fragile felicità.
Un essere autenticamente felice è un essere solitario
Condizione originaria dell’uomo = assoluta solitudine.
(Lo stato di natura è asociale nel pensiero di Rousseau: non c’è società, non ci sono gli altri)
Pretendere di vivere nella società civile cercando di appagare le naturali aspirazioni è impossibile.
L’uomo naturale è un intero assoluto che non ha altro rapporto se non con se stesso o con il suo
simile. L’uomo civile è invece una unità frazionaria il cui valore è il rapporto con l’intero che è il
corpo sociale. Il vero problema politico è fare in modo che l’uomo non si consideri più un assoluto
ma una parte di un tutto.
Differenza tra homme (unico, solo, è un numero, vive nell’utopico stato di natura), il citoyen è nello stato
civile, numeratore su denominatore: sono direttamente proporzionali.
La grandezza del singolo dunque fa la grandezza dello Stato.
La mia grandezza dunque dipende dall’istituzione a cui appartengo, dalla città in cui sono nato, dallo Stato
di cui sono cittadino… in ogni caso, dipende dall’intero di cui io sono pezzo.
Il valore della persona è dunque relativo all’intero di cui è parte.
Condizione dell’uomo e del cittadino: incompatibili.
Locke-> cittadino: uomo che nello stato sociale si assoggetta contrattualmente al potere per mantenere i
diritti connati.
Qua c’è gap invalicabile.
Discours
C’è un amour de soi (assoluto, naturale) che l’uomo ha nello stato di natura. Ce l’hanno anche gli
animali.
Intervento della pietà riconosce l’altro l’uomo diventa virtuoso e rispettoso degli altri.
È l’unica possibilità di essere virtuoso, altrimenti si comporta nella maniera artificiale che gli “trasmette” la
società (l’amor proprio, è negativo perché non conduce mai alla virtù, artificiale).
Contratto sociale:
Radici di forme possibili della violenza dello stato sui singoli (totalitarismo).
È perché si tratta di trasformare tutto perfetto e solitario in un tutto più grande da cui riceve la sua vita:
dipende totalmente da ciò che la volontà generale costituisce.
Io sono parte della volontà generale quando sono computato = la mia opinione viene ascoltata.
Democrazia che consiste nell’ascoltare tutti i membri del corpo (numeratori del denominatore), si deve a
Rousseau l’idea.
Ciò che è sempre e solo giusto è la volontà generale, dello Stato. Se hai un’opinione diversa, hai
sbagliato gli si deve far comprendere perché ha sbagliato, se lo fa lo ammette, ma se continua a
pensare che la sua proposta sia ragionevole e dunque non si sia sbagliato, allora lo si costringe: è
però il proprio bene, perché si costringe ad essere liberi.
Si può costringere ad essere liberi? Vanno assieme libertà e costrizione?
Se la libertà è assenza di vincoli, è una CONTRADDIZIONE.
(Il popolo però sa sempre quello che è il suo bene, anche se non sa vederlo, è motivazione spesso usata per
costringerli)
Presunzione del popolo che riesce a vedere ciò che è bene per se stesso raramente ci riesce va
costretto impossibilità di UTILIZZARE UNA VERA FORMA DEMOCRATICA.
Questo è il senso etico, che diviene FINE BUONO per i consociati = esso è buono in sé, se dice una certa
cosa è giusta, se uno è contrario lo ascoltiamo ma poi lo costringiamo se non lo capisce stato
paternalistico, costrittivo (solo gli dei non avrebbero bisogno di costrizioni).
Non è più lo stato come strumento lockiano.
Poi il liberalismo si unirà all’utilitarismo: stato che deve assicurare la felicità al max n. di persone
Hegel Stato valore in se stesso = aufhebung, superamento di società -tappa parziale, insieme delle
famiglie- e famiglia -tappa parziale-.
Lo Stato è massima realizzazione di famiglia + società.
Alla morte di Rousseau, scoppia la Rivoluzione, che tenta di realizzare lo stato etico così come immaginato
dal filosofo (thx Giacobini).
La Vandea (nord-ovest, si affaccia sul Golfo di Biscaglia), dinanzi all’istituzione di una leva obbligatoria, attuò
una resistenza vs lo Stato rivoluzionario: vennero costituiti i primi campi di sterminio europei POSSIBILE
grazie all’idea dello Stato che sa il bene, è stato il loro modo di costringerli ad essere liberi.
L’esito finale della RF porta al potere Napoleone, prima dittatore e poi imperatore dei francesi realizza
l’idea per la quale la volontà generale è l’unica a dare direttive di comportamento ai cittadini.
Lo Stato deve essere obbedito dai cittadini, e per fare ciò, è necessario avere comandi chiari e semplici,
come accadeva all’epoca della Republique. Ecco l’idea: il codice strumento semplice e chiaro, duraturo,
contenente le regole che tutte devono seguire.
LA CODIFICAZIONE
È esito dell’illuminismo giuridico, che ha smosso la Rivoluzione francese e americana. Kant è alla base
dell’ig, che ha come idea quella di un diritto compiuto-completo-univoco.
Il diritto è prodotto dal potere politico, che dev’essere separato dal giudiziario.
Si vuole sopprimere totalmente la discrezionalità dei giudici e l’interpretazione al punto che viene istituito il
“Refereil Legislatif”, ove i giudici fanno riferimento al legislatore ogni volta in cui il caso non è coperto dalla
legge. Questo perché nella codificazione, il diritto è contenuto nei codici, il monopolio della sua produzione
lo ha il parlamento e ad esso dev’essere attribuita la creazione del diritto.
Lo stile sillogistico assicura CERTEZZA al diritto, espressa in termini di PREVEDIBILITA’ dell’applicazione del
diritto prevedibile esito del processo, visto che il giudice applica esclusivamente la legge al caso:
SUSSUNZIONE = procedura logica che sussume il fatto particolare nella legge.
IL POSITIVISMO GIURIDICO
ILLUMINISMO VS ROMANTICISMO
All’ideale di razionalità, si contrappone l’idea romantica, che si diffonde in Germania lingua e cultura
costituiscono una nazione, dunque il codice non può essere uguale per tutti i paesi.
Fondamentale per loro la scienza giuridica (da rivalutarsi) = potere ai giuristi, indipendenti dalla politica.
L’idea è che dal materiale giuridico = diritto che c’è si può desumere lo spirito del popolo.
Savigny: 1814, “La vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza”
Prende posizione contro Thibaut (“La necessità di un diritto generale per la Germania”) proponeva
redazione codice civile comune a tutta la Germania. Per lui, la codificazione avrebbe favorito il
NAZIONALISMO TEDESCO = Creazione della nazione.
L’unico modo per superare la caoticità del diritto sarebbe stato appunto il codice.
La cultura tedesca dell’epoca non era di per sé ostile alla codificazione, perché riconosceva la bontà di una
razionalizzazione del diritto, com’era il diritto romano.
Savigny recuperò questa concezione del diritto a base romanistica per opporsi alla codificazione, al punto
che il BGB è pubblicato solo nel 1900. La sua tesi è che il diritto, come la lingua & cultura, nasce dallo spirito
del popolo (romantici) / spirito della nazione.
1. Culture orali, non si è sviluppato il ceto dei giuristi. Diritto si manifesta nelle consuetudini, ove è
documentato e che sono osservate dai consociati
2. Il diritto si raffina, divenendo scientifico in quanto prodotto dalla scientia iuris, dunque la dottrina =
diritto rielaborato dai giuristi.
È fase di massima fioritura del diritto, perché esso è perfetto grazie all’elaborazione dei giuristi.
3. È fase del declino, diviene diritto legislativo. Viene riformulato nei codici e nelle leggi.
Questo schema di evoluzione è identico a quello del romano: mores maiorum iuris prudentia corpus
iuris civilis (=codificazione).
Per Savigny, l’evoluzione del diritto non è impressa dall’intenzione del legislatore, ma ha una DINAMICA
INTERNA che non c’entra col legislatore.
Questa dinamica dev’essere colta e riconosciuta = centrale il ruolo della SCIENTIA IURIS = centrale il ruolo
dei giuristi.
ESEGESI VS STORICISMO
ESEGESI STORICISMO
Giuspositivismo legalistico ha la fonte nel codice, Giuspositivismo storico (espressione idea
concepisce il diritto come volontà formale dello romantica vs illuminismo giuridico): il diritto vive,
Stato e che prevede un ordinamento non è fisso/statico nel codice, dunque la fonte del
statico/sistematico = complesso di norme. diritto è nella TRADIZIONE / CONSUETUDINI = ciò
che si tramanda e va interpretato, è il materiale
giuridico dal quale si desume LO SPIRITO DELLA
LEGGE che è LO SPIRITO DELLA NAZIONE.
Dir. = volontà formale dello stato Dir. = prodotto di evoluzione storica
…”geometrico”, astratto, sistematico, statico …”vivente”, concreto, dinamico (tempo) il diritto
vive, non è fisso/statico nel codice
Fonte = codici Fonte = tradizione, consuetudini = ciò che si
tramanda e va interpretato, è il materiale giuridico
dal quale si desume LO SPIRITO DELLA LEGGE che è
LO SPIRITO DELLA NAZIONE., ecc. … +
interpretazione
Giudice “automatico” Giudice “creativo”
Cosmopolitismo (cfr. diffusione del Code Napoleon) Nazionalismo (“spirito della nazione tedesca”)= non
è il codice a fare la nazione, ma LA NAZIONE FA IL
DIRITTO.
Condividono l’attenzione metodologica interpretativa:
E: Interpretazione letterale, la logico-grammaticale.
S: “ sistematica, da privilegiare perché c’è giurisprudenza dei concetti che spetta ai giuristi
raccogliere, che devono raccogliere i principi guida nei quali si traduce l’intero sistema.
“Sistema” è nozione più simile alla geometria insieme astratto in cui tutti gli elementi sono collegati
secondo passaggi logici di tipo necessario. Pare più astratto del codice, dove non c’è la pretesa di un
collegamento logico, è solo frutto della decisione del legislatore che dispone in quell’ordine.
Sviluppa le tesi di von S. sul “diritto romano attuale” (pandettistica) Esperienza tipica giuridica di
quegli anni in Germania (p): i giuristi elaborano le norme giuridiche partendo dal patrimonio del
diritto romano, attualizzato in modo da renderlo capace di risolvere problemi giuridici “attuali”.
Consuetudini prodotte dal Volksgeist + Pandette + “elaborazione concettuale” (System) = norme
giuridiche positive.
Il giudice tedesco (privo di codificazione + non è il funzionario che non può denegare giustizia + deve
conoscere il codice -Stati codificanti-). Egli deve riferirsi al giurista, il professore, perché lui non sa granché
del diritto. Quello gli darà la soluzione, conoscendo le tradizioni giuristiche del popolo (= riferimento al
diritto romano: caso deciso in sentenza giudice romano, c’è aggiunta del riferimento alla pandetta…).
Giurista è STORICO + FILOLOGO.
Egli non deve solo ricavare dalla Pandette la regola utile al giudice per risolvere il caso, ma deve
“metabolizzarle” per produrre elementi semplici di carattere generale che serviranno a COSTRUIRE UN
SISTEMA. Elaborazione concettuale che deve produrre il Systèm.
Gli elementi + semplici e generali ricavati dalle Pandette sono i DOGMI GIURIDICI Nasce la tradizione
giuridica della DOGMATICA.
Fatto giuridico
Atto giuridico
Negozio giuridico
Alla fine, si ha l’impressione che la ricerca di semplificazione di carattere formale potessero consentire di
coprire tutto l’esistente dominare tutto tramite pensiero matematizzante/geometrizzante (già Hobbes
aveva questa idea).
LA GIURISPRUDENZA “CONCETTUALE”
Rivoluzione copernicana: centro dell’universo è il Sole anziché la terra, Kant rivoluziona il modo di pensare
dei filosofi precedenti.
“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” c’è una dimensione universale che ci
sovrasta, ma evidentemente non è in questa dimensione universale che noi possiamo trovare il
fondamento per le regole che ci guidano nel nostro agire universale. Le regole del nostro agire
individuale non hanno un carattere universale, ma hanno un fondamento dentro di noi, cioè
individuale.
San Tommaso sarebbe stato discordante: giunzione ragione umana e divina.
Kant è protestante, spinge il programma luteriano (privatizzare la dimensione religiosa) sino a privatizzare
la religione e la morale non la desumiamo da legge universale, è in me.
La privatizzazione della morale porta ad un RELATIVISMO MORALE. Staccare la morale dal diritto naturale
non mi consente di garantire un comportamento uniforme.
Per il filosofo, non possiamo agganciare la conoscenza morale alla scientifica, ma al tempo stesso non
qualsiasi comportamento individuale ha una giustificazione solo individuale…
COME RENDERE UNIVERSALE L’INDIVIDUALE? Non è un universale che parte dall’altro, ma da sé inventa
la categoria del TRASCENDENTALE (vs TRASCENDENTE: cose che partecipano all’universale ma non lo
esauriscono) = qualcosa che è di ciascuno ma è in tutti, ha dimensione più limitata rispetto all’universale, è
radicata nel soggetto, perdurerà sino all’esistenza dell’uomo.
Kant è il primo che cerca di dare morale & religione all’individualismo necessità di negare la
trascendenza cercando l’individualità non in essa, ma nell’individuo – portare universalità nell’immanenza
ma non risolverlo in un relativismo assoluto.
È rivoluzione copernicana perché vuole spostare il centro dell’universo dalla trascendenza all’individuo.
La “critica” come superamento del razionalismo (derivazione cartesiana) (Leibniz: dal diritto romano,
costruire i sistemi razionali) e dell’empirismo (derivazione baconiana) (Hume, “Trattato sulla natura
umana”)
Questi autori sono da superarsi, prenderne gli elementi migliori e combinarli.
La “rivoluzione copernicana”: dal cosa (ogg.) al come (sogg.) della conoscenza (“giudizio”)
Dentro di noi abbiamo le forme razionali di qualcosa che ci consente di riconoscerle se cerco qualcosa di
universale su base individuale, devo cercarla nel modo in cui le persone conoscono.
La rc sposta la telecamera dall’occhio della ragione dagli oggetti al modo in cui noi li conosciamo
(attenzione al SOGGETTO) (come facciamo tutti a riconoscere quel quaderno come quadrato?).
Sia i razionalisti che gli empiristi (conoscenza empirica) partono sempre dall’oggetto.
Cartesio: modo della conoscenza = la relazione era di appropriazione del soggetto nei confronti dell’oggetto
Hegel: nessuno dei due è assoluto, negazione sia dell’uno dell’altro, dialettica “servo-padrone”.
(Se tutti conosciamo le cose in un certo modo, com’è possibile se c’è e com’è qualcosa nel mondo al di
fuori di come lo vediamo noi? Non potremmo.)
Possiamo dire del mondo solo nel modo in cui lo vediamo, ma non possiamo dire se e com’è al di fuori del
nostro modo di vederlo.
Kant distingue tra:
- fenomeno ciò che mi si mostra
- noumeno com’è la cosa in sé, che è INCONOSCIBILE.
Posso dire del mondo in relazione al fenomeno = com’è fatto, ci occupiamo delle regole di conoscenza degli
enti, non il noumeno.
Soggetto come legislatore del mondo: le leggi non fanno essere le cose, ma le mettono in un certo modo.
Problema: come ottengo regole di carattere universale che comportano il fondamento nell’individuo e non
nell’oltre?
È giusnaturalismo non più fondato sulla lex aeterna, bensì sulla scelta interiore del singolo (superando il
problema del relativismo = se fondiamo la scelta delle regole su opzione individuale, qual è il criterio per cui
posso dire che la mia regola è migliore della tua. Prima il criterio si deduceva dalla lex eterna (?), dalla fede
o ragione.
Nel giudicare i comportamenti, le tre forme di conoscenza sono inutilizzabili viste le differenti
caratteristiche che il comportamento ha (es: dipendenza dall’intenzione).
Rientriamo in una sfera che non riguarda più la necessità (cose), ma la VOLONTA’ e la LIBERTA’ = gusti,
finalità... (i comportamenti innervano le scelte, fondamentale in diritto, poesia…)
La ragion pratica
E’ ricerca di forma razionale con la quale noi conosciamo l’agire umano.
Agire morale = in base al valore in sé, e non al risultato pratico (“dovere per il dovere”)
Azioni morali = forme dell’agire umano in cui l’azione non è subordinata ad un fine è veramente libera,
non è il risultato di un calcolo/strumento per ottenere un risultato.
E’ davvero autonoma = norma di se stessa, dipende solo da sé.
Gia Aristotele ne aveva parlato col poiein, ma la riservava solo alla preghiera, l’esperienza artistica…
Kant la estende a QUALSIASI AZIONE COMPIUTA DAL SOGGETTO perché EGLI RITIENE CHE SIA UN DOVERE
IN SE’ = DOVERE PER IL DOVERE.
E’ vicino a forme espressive della religiosità protestante, come la calvinista: dovere che vale per se stesso,
privo di giustificazione al di fuori di se stesso.
“Fa in modo che la massima della tua volontà possa valere in ogni tempo come principio di una
legislazione universale” (CRPr 1.1.7)
Fai qualcosa perché pensi che quello che vuoi fare corrisponda ad una massima = regola generale che è da
pensarsi valida come possibile principio di una legislazione sentita da tutti gli uomini.
Universale = in senso trascendentale.
Es. Volontà: restituirti i 50 euro che mi hai prestato.
Lo potrei fare perché vorrei che altrettanto lo facciano con me (fine al di fuori di sé, frutto di un calcolo,
comportamento umano ma non morale), ma se per me vale la massima… (sono due forme diverse di
azione, no buona o cattiva)
Massima: onora i tuoi debiti.
Quando la massima diviene fondamentale nella legislazione che riguarda tutti, diviene un principio.
Principio: pacta sunt servanda.
Questa è la struttura dell’AZIONE MORALE.
Per il risultato
Ragione (calcolo di utilità)
“Azioni esterne” (es. non bevo prima di guidare: per non essere multato, per non danneggiare l’auto, ecc.).
Il termine è preso dalla tradizione dai razionalisti tedeschi.
La conoscenza del fine dell’azione mi consente di conoscere l’azione, e la giudicherò efficace/non efficace
rispetto al fine che si propone vale il calcolo = DIMENSIONE UTILITARISTICA, così si esplica la razionalità
del mio giudizio.
Kant non considera la d.u. per valutare l’ambito morale non si parla di ragionamento
immorale/sbagliato, è solo pratico.
Il mio è un agire pratico ma non sono libero del tutto, perché l’azione è vincolata al risultato =calcolo di
efficacia, la razionalità del mio giudizio è basata su una valutazione di costi-benefici.
Assumo decisione in ambito privo di profilo morale = non riguarda la mia libertà perché siamo ancora in un
ambito di calcolo.
IMPERATIVO IPOTETICO giudicato in base all’utilità
La regola di quest’azione è un’ipotesi: io ipotizzo che un certo comportamento sia funzionale ad un certo
risultato la regola è un imp. Cat. = si basa su un calcolo ipotetico.
DIRITTO (Legge)
Per il valore in sé
Volontà (devi perché devi)
Azioni interne (es. non bevo prima di guidare perché lo ritengo giusto)
IMPERATIVO CATEGORICO
MORALE (valore)
E’ un agire libero e NON CONDIZIONATO = Agisco perché secondo me un certo comportamento ha VALORE
IN SE STESSO. A prescindere dal risultato quindi, non c’entra più la ragione che può calcolare = non c’è fine
pratico in virtù del quale valutare l’azione, l’azione è FINE IN SE STESSA, rimane solo la volontà = la scelta
che ho fatto = il dovere per il dovere.
La nostra capacità di essere uomini è essere svincolati dal fine compiere atti per il loro valore in sé,
dipendo solo dalla mia scelta, sono davvero libero.
Non si possono valutare tutte le azioni come l’agire pratico, alcune devono essere valutate sulla base di
PARAMETRI MORALI.
Quando agiamo per il valore in sé dell’azione, questo è il vero campo della LIBERTA’ (non dipendo da nulla
se non la mia scelta) azioni interne che hanno a che fare con la coscienza, entra in campo la GIUSTIZIA:
faccio/non faccio qualcosa perché lo ritengo giusto o ingiusto, non per un qualche fine = RAGIONAMENTO
DELL’IMPERATIVO CATEGORICO (la morale non ha una spiegazione).
Il diritto riguarda le azioni esterne = imperativi ipotetici consideriamo solo quelli che hanno una certa
forma TRASCENDENTALE = in ciascun soggetto sono forme che ci fanno riconoscere un comportamento
come giuridico. Esso dev’essere costituito da 4 forme a priori:
La realizzazione degli standard rende quell’azione giuridica: è questa la forma della conoscenza giuridica.
(*) giustizia = l’azione dell’uno deve accordarsi con la libertà dell’altro (imp. Ipo.) “secondo una legge
universale” (imp. Cat.)
SIAMO ANCORA IN UN AMBITO GIUSNATURALISTA? La norma dev’essere prodotta ok dall’autorità, ma
anche giusta (collegamento diritto-morale).
Se l’azione giuridica è tale per quelle condizioni, allora lo è sulla base di a priori dov’è la giustizia, che ha
a che fare la moralità, ma azioni giuridiche sono solo di calcolo?
Kant non separa diritto e morale, distingue le azioni giuridiche e le morali, ma ritiene che le prime
appoggiano su previa scelta di carattere morale = in sé è imperativo ipotetico, ma non vive separata,
poggiando su una scelta morale (Vd Costituzione: luogo delle scelte morali).
- Il raccordo tra d-m era razionale ** negli autori precedenti:
S. Tommaso = esiste un diritto naturale, costituito da criteri di riconoscimento secondo cui qualcosa è
giusto o no, e a cui ci si arriva deduttivamente o induttivamente (idea antica delle leggi non scritte)
Locke: parla non di diritto naturale, bensì di diritti naturali = posizioni soggettive comuni a tutte perché
nasciamo e esistiamo e comportano attribuzioni (lavoro, resistenza) … influenza empirista
- In Kant è la (libertà/) volontà: il comportamento giuridico non è morale su base di regola
universale, bensì sulla propria libertà personale che ci fa aderire a quella scelta giuridica = è
al centro l’individuo.
In Kant l’unico valore è la libertà = sta dalla parte della volontà: volere senza impedimenti.
(Al centro del sistema è più la volontà che la razionalità).
Il rapporto intersoggettivo diviene giuridico e diviene espressione di libertà, lì c’è l’aggancio del diritto e dei
valori: siamo ancora nella prospettiva giusnaturalista.
La differenza più cospicua il prius della filosofia giusnaturalista antica/medioevale (/di Locke) è basato
sulla CENTRALITA’ DELLA CONOSCENZA = RAZIONALITA’. Conoscere che consente collegamento tra diritto e
valori = posso sapere quali sono e posso agganciarci le norme.
Se sganciassi il rapporto diritto-valori dal processo di razionalità come lo controllo?
Kant mette al centro l’individuo e dunque la volontà = sta dietro la determinazione dell’individuo (VS idea di
logos che domina l’epoca classica = conta la razionalità).
C’è il dovere per il dovere = devo perché devo.
Nella Classicità, questo mi portava alla felicità.
Il rischio è nel totalitarismo, la sottrazione totale alla razionalità, persino la concezione del diritto diviene
neutrale.
(Per Kant, il diritto non può essere considerato come solo volontà formale dello Stato, ma connesso a dei
valori. La giurisprudenza moderna negherà il giusnaturalismo, prediligendo il giuspositivismo si
separeranno diritto e valori)
1. STATO DI NATURA (Naturzunstand) = condizione di vigenza del “dir. Privato”, provvisoria e non
garantita (assenza di coattività), in cui il dir. Sogg. (libertà) non ha tutele. Rinunciare allo SdN è
un’“esigenza morale”!
È quello del Privatrecht = s.n. in cui ciascuno è, per cui possiede a priori di giustizia e su cui agisce per intima
convinzione oppure no.
Il problema è quello delle tutele: se uno sbaglia, serve il soggetto pubblico, non basta la morale.
È immorale rimanere in questo stato, potrebbero esserci violazioni, va contro l’a priori di giustizia.
È esigenza morale passare da PR a OR = non posso stare in condizione in cui posso sbagliare
nell’applicazione a priori = condizione di vita non organizzata senza sogg. Pubblico è amorale.
Condizione solo morale è amorale. Considerare situazione con vincoli e costrizioni.
2. CONTRATTO SOCIALE = Accordo originario (ursprunglich), non storico: presupposto logico dello stato
civile
È presupposto di qualsiasi forma di convivenza = non posso pensare ad una dimensione di solo diritto
naturale senza pensare alla costituzione di uno stato civile.
È necessità logica su base morale (VS natura pattizia di Grozio ???)
3. STATO = forma politica in evoluzione: da membro di uno ‘SdN internazionale’ senza coazione, a una
“società universale” di “pace perpetua”
È una forma che noi conosciamo con certe vestigie storiche, ma che cambia nel tempo.
È un soggetto pubblico.
Come nello stato ci sono gli individui, nella comunità internazionale gli stati (Grozio). Come c’è condizione
necessaria per la quale non si può rimanere come individui in pr ma bisogna costituire lo stato, così bisogna
pensare che gli stati non possono rimanere in condizione in cui i rapporti tra loro non sono regolati da
soggetto iperpubblico, dunque uno stato internazionale.
Kant parla già di forme organizzative/coattive di soggetti internazionali.
“Pace perpetua” quando avremo un OR non più della singola nazione ma di tutti gli stati, non avremo più
conflitti (è visione utopistica)
È sviluppo dell’idealismo tedesco (scompare alle soglie della 2^ GM). Alla base di questa visione, c’è
consonanza tra le cose e come noi le vediamo = idee.
Realtà come prodotto della propria attività mentale non può esistere qualcosa al di fuori della capacità
conoscitiva di qualcosa. (Dirmi che qualcosa non è così, è reato scientifico strutture coercitive del
pensiero generate)
Marx sposa quest’idea con la scientificità pensiero scientifico visto come IDEOLOGIA = ci dice come le
cose SONO e come DEVONO ESSERE (è posizione SCIENTISTA, carattere di normatività che la scienza per sua
natura non pretende di avere).
Tutti i comportamenti dell’uomo sono da vedersi scientificamente, come governati da una lotta per
l’approvvigionamento.
Le teorie si sposeranno col darwinismo sociale: azione di impossessamento verso territorio per assicurarsi
risorse primarie e secondarie.
Struttura (economico-materiale)
Esiste un unico modello di interpretazione dei fenomeni individuali-sociali: dell’economia (scienza che si
occupa delle risorse), perché la STRUTTURA DEL MONDO è puramente economico e materiale.
MATERIALISMO esiste solo materia.
Proprietà: sfruttamento delle forze produttive: egemonia della classe borghese
L’uomo agisce sempre sotto impulso di appropriazione, ma alcuni soggetti si sono approvvigionati molto più
di altri, approfittandosi degli altri con schiavitù-soggezione-potere e da ultimo l’industria.
Questi sono i borghesi = solidificazione di privilegi assicuratisi a discapito di altri. E’ situazione di
INGIUSTIZIA = Ha ideologia egualitaria = tutti con la stessa quantità di risorse.
Tutte le espressioni come la cultura, l’arte, la religione sono SOVRASTRUTTURE = Giustificano il proprio
dominio economico.
DISTINZIONE:
STRUTTURA = sempre natura materiale – economica
SOVRASTRUTTURA = sono funzionali al mantenimento di una condizione di potere intontisce le masse
per mantenere le differenze.
E’ necessario eliminare le disparità nell’allocazione dei beni.
Coscienza di classe: movimento operario, partito comunista
Se qualcosa è di tutti, non è di nessuno in particolare (Rousseau).
Livellare = creare condizione comunista = realizzare la rivoluzione, perché la borghesia non vuole mollare il
proprio potere.
Minoranze illuminate avviano il processo di persuasione alla volontà generale per Rousseau, Marx la
condivide ritenendo che gli intellettuali la devono destare nelle masse (somma di individui, è tipico della
Modernità). Devono costituirsi in un partito = unità di intenti in cui non agiscono come persone singole, ma
sulla base della volontà generale = del partito INDOTTRINAMENTO: le masse si devono rendere
consapevoli di essere sfruttate, gli intellettuali devono realizzare uno SFRONDAMENTO delle sovrastrutture
con le quali la classe borghese ha irretito le masse.
Non tutti si desteranno dal torpore, realizzare azione intelligente che quando il partito avrà preso
abbastanza potere, si realizzerà…
Rivoluzione (“rovesciamento della prassi”)
Socialismo rivoluzionario = richiamo il s. riformista ma se ne allontana.
E’ molto diversa dalla rivoluzione di Locke, i valori sono sovrastrutture per Marx.
Non subito si realizza la società senza classi. C’è questo periodo di mezzo nel quale il partito, divenuto
Stato, deve “convertire” anche gli ultimi reticenti instaurare la dittatura del proletariato.
Dittatura del proletariato (nuove sovrastrutture)
Forma coercitiva di stato che realizzando dove si può con la persuasione, o dove non si può con la
costrizione, la rinuncia delle posizioni individuali costruzione di una società senza classi.
Società senza classi (dissoluzione delle sovrastrutt., utopia)
Stato e diritto non avranno bisogno di esistere (sono comunque sovrastrutture borghesi), si creerà
comunismo totale. È l’utopia marxiana.
Non ci saranno più motivi per lottare, tutti avranno ciò di cui hanno bisogno struttura materialista
economica, allocazione risorse porta alla cessazione dei conflitti.
Ovunque si è cercato di realizzare questo disegno non si è mai costituito una reale equidistribuzione dei
beni, anzi la gente era più povera.
MEGA-REWIND
C’è stato uno sviluppo fortemente razionalista dei principi illuministi secondo cui gli strumenti giuridici si
costituiscono con il metodo scientifico (vd. Marx).
Viene meno quella concezione (anche cristiana) per cui il mondo non basta a se stesso, non ha in sé
spiegazione ultimativa, ma rimanda ad altro: il kasmakanès nel classico, la beatitudo nel pensiero cristiano.
Nella modernità, si afferma il progresso: riempire, se non oggi, quei buchi. La conoscenza utile a
neutralizzare lo stupore è la SCIENZA MODERNA: già esistente (l’episteme della classicità) ma destinata a
certi settori affiancata da altri saperi.
Scompare l’idea classica per la quale la verità emerge dall’oscurità, che non consuma TUTTO il mistero,
permane qualcosa che potrebbe stupirmi. La modernità teme ciò e insegue l’ideale di certezza. Perché?
Quel tipo di conoscenza dà potere.
Il diritto si sposta dalla SAPIENZA alla POTENZA: da modo di conoscenza della regolazione dei
comportamenti sociali, realizzare il bene comune, a “TECNICA DI CONTROLLO SOCIALE” = instrumentum
regni = strumento dello Stato.
Marx, studiando l’umanità, vede il diritto e lo Stato come strumenti di potere in mano ai capaci di
accaparrarselo: la borghesia (borghese come connotazione negativa).
Ciò succede quando il giusnaturalismo, con le versioni moderne individualistiche, diviene GIUSPOSITIVISMO
= Volontà formale dello Stato.
Si genereranno problemi alla fine della 2^ GM = i danni erano stati causati da coloro che avevano applicato
la legge.
Quando il diritto è mero strumento di potere, obbedirvi prevede anche essere ingiusti (Arendt). Non è più
possibile separare il diritto (scienza) dalla giustizia (morale).
FRIEDRICH NIETZSCHE (1844-1900)
Mentre per Marx, il pensiero scientifico economicistico può darci le strutture della vita dell’uomo sulla
terra, dunque affidarsi al materialismo scientifico, anche per N la scienza è espressione del pensiero
borghese: esistenza del sapere dell’uomo occidentale, bianco, evoluto… + idea dell’uso del cervello
razionale, vuole la certezza e gli sembra che il pensiero scientifico gliela dia.
Ma l’uomo è più della ragione, e se vi si fa irrigidimentare, diviene un prigioniero.
L’idea della ragione che elimina l’insicurezza è apollinea, ma ciò che tumulta l’uomo, il dionisiaco, deve
venir fuori (richiama Locke e le passioni).
La borghesia ha represso questa parte, nominando re solo una parte dell’intellettualità, rendendo sovrane
le altre, dimenticandosi della loro forza sovversiva.
Per lui, qualsiasi teoria che costruiamo è ragione, ma uso le giustificazioni razionali per portare tutti a fare
quello che voglio si faccia = morale del gregge.
La ragione, da liberatrice, diviene ciò che ha consentito alla borghesia di creare un mondo pudibondo ove
svolgere i propri affari.
La vera liberazione dev’essere più forte della razionalità è la VOLONTA’ (richiamo Kantiano).
È strumento che l’uomo che esercita la propria volontà permette l’assoggettamento degli altri: supremazia
sull’altro e su se stesso.
L’ideale è ove emerge il più forte, e la lotta è divina perché vogliamo andare oltre l’umano.
La condizione materialistica, punto di partenza e fine di Marx, deve implodere per N, lasciando lo spazio alla
pura volontà.
Entrambi hanno ispirato dei totalitarismi (Comunismo-Nazismo), ove lo Stato ha una condizione di potenza
mai avuto prima, ma entrambi hanno come ideale la dissoluzione dello stato.
Stato come apice della morale, famiglia e società davvero tali se esiste lo Stato (tesi-antitesi, astratti,
concetti che divengono realtà vera solo con lo Stato).
(I due allievi si pongono così in contrasto, visto che ne desiderano la dissoluzione).
Marx: lo stato come sovrastruttura borghese
Stato come forma di gregge e l’ultrauomo non si può fermare dinanzi ad esso.
Il dissolvimento dell’individuo nella “società senza classi” (Marx) o nella “volontà di potenza”
(Nietzsche)
Chi davvero scompare è il protagonista della modernità, MA lo Stato nasce dall’idea di individuo!
Si approda al suo dissolvimento, all’oppressione Comunismo: non si possono avere idee proprie,
assoggettati dalla volontà generale indicata dallo Stato, si cerca di UNIFORMAZIONE ESTREMA.
M: all’esito della dittatura del proletariato, c’è dissoluzione di Stato e diritto, non ci sono più poteri, principi.
N: dissoluzione di qualsiasi struttura che porta ad mondo di soli ultrauomini.
Attualmente, gli elementi della modernità sono in forte dissolvimento (“liquidazione”, Bauman), con alle
spalle uno sfondo fortemente nichilista (Irti pensa che il diritto potrebbe essere baluardo nel nichilismo, ci
lascia almeno le procedure, che ci danno garanzia di continuità nei rapporti).
Ripresa della teoria idealista kantiana: come conosciamo quella cosa che chiamiamo diritti?
Legalismo e il formalismo conoscitivo sono le correnti più forti che passano dall’800 al ‘900 e la questione
che dà gli esiti più rilevanti è: LA QUESTIONE DEL METODO.
Filosofia come scientia scientiarum: ha per oggetto le altre scienze, idea neokantiana. Si voleva riaccreditare
la filosofia: smettere di pensarla come una filosofia (Filosofia di H, K…) ma il modo in cui la costruiamo:
MODO DI PENSARE UNIVERSALE.
Mette in riga le branchie del sapere, compreso quello giuridico filosofia del diritto conosce stagione
molto fruttuosa, ove si accredita presso le varie discipline giuridiche dicendo QUALE METODO APPLICARE
perché le varie discipline (penale, civile) non riescono ad “ergersi” oltre il proprio campo (il d.p. non dà
definizione di norma penale…).
Filosofi del diritto come introduttori delle materie = fornire metodo, strumenti concettuali per operare:
nasce la teoria generale del diritto, che avrebbe dovuto mettere ordine in tutte le branchie del sapere
giuridico.
SE L’OGGETTO DELLA SCIENZA GIURIDICA SONO LE NORME, COS’E’ UNA NORMA GIURIDICA?
Hans Kelsen L’unità “numerale” del diritto (come i numeri in matematica) sono le norme.
E’ fortemente influenzato dal neokantismo, avvia la sua attività alla fine dell’impero austroungarico,
contribuisce alla Costituzione della Repubblica di Weimar. Data la sua origine ebraica, con l’avvio del
nazionalsocialismo, va via in America, dove diventerà un importante esponente della teoria generale del
diritto: è padre del NORMATIVISMO GIURIDICO, applicazione del formalismo metodologico al diritto.
Avrà successo in America, Civil Law, proprio perché il “modello matematico” del diritto funziona ovunque.
Sarà conosciuto in Italia thx Norberto Bobbio.
Kelsen procede così: se voglio rendere il diritto una scienza esatta come quelle formali, il mio oggetto di
conoscenza sono le NORME GIURIDICHE. In regime di codificazione, quelle del codice, altrimenti quelle
della giurisprudenza giudicante.
In presenza di una condizione normativa (“Si deve”), possiamo essere dinanzi ad una legge di natura o no
(dato A, allora B).
1. NOMOSTATICA
Cos’è una norma? E’ una regola, dice qualcosa che deve succedere. La doverosità di un evento nella natura
è necessaria: date certe cause, allora determinati effetti; dov. Ipotetica kantiana (pagare le tasse…)
Proposizione causale (se p, allora q): nesso di tipo necessario tra causa ed effetto
Nesso causale nell’ambito della natura;
Mussen doverosità nella natura
In ambito giuridico, data la causa l’effetto non è necessario, è ipotetico/doveroso, può non
verificarsi.
Nesso ipotetico nel diritto;
La connessione ha necessità solo nell’ambito ipotetico del diritto stesso: esso dice che se c’è un illecito, c’è
una sanzione.
Sollen doverosità nel diritto
Il diritto non si occupa di accertamento, come nella natura, perché la ng è lì, “qua talis”.
La scienza giuridica, il normativismo è una scienza formale.
La norma giuridica si ha quando, con causa:illecito - conseguenza: sanzione connessi da legame ipotetico.
La norma è astrazione.
Sono ng quelle che sanzionano in modo negativo ma anche premiano in qualche modo (sanzione positiva).
Una definizione del genere non mi permette di distinguere quale sia norma giuridica oppure no. Dovrei
riferirmi ad altre discipline, ma per Kelsen, bisogna sapere che la norma è giuridica non rifacendosi ad ausili
esterni. Elabora così la nomodinamica Bisogna considerare il tutto in cui la norma è “attaccata” nasce
la teoria dell’ordinamento giuridico (prima mancante).
2. NOMODINAMICO
È il FORMALISMO KELSENIANO. Ha successo perché dà a tutti i giuristi la possibilità di avere una scienza.
La Grundnorm riceve critiche perché separa diritto e morale (la grundnorm, senza contenuto, potrebbe
giustificare qualsiasi cosa, ad es. anche l’ordinamento giuridico mafioso).
I prokelsenisti erano chi voleva un ordinamento giuridico laico, ove ognuno aveva proprie concezioni morali
che non influivano sulla legge (richiamo al giuspositivismo), gli antikelsenisti avevano una posizione
valorativa, no sconnessione con giustizia, morale (richiamo al giusnaturalismo).
Bobbio appoggiò il kelsenismo, importandolo in Italia fondando la Scuola di Torino (di filosofia del diritto).
Il Kelsenismo (avere una scienza formale del diritto) si incontra con la corrente filosofia rilevante tra le 2
guerre, inizialmente in Austria, poi in Inghilterra e post 2 GM in tutti i paesi occidentali: è la filosofia
analitica, nascente da Wittgenstein + Circolo di Vienna.
La FA vuole tracciare la demarcazione tra filosofia sino ad allora e come essa dovrebbe essere. È una
materia “pasticciona” perché priva di un metodo chiaro.
Per W, la F si occupa dei pensieri = connessioni logiche tra parole + rappresentazioni del mondo fatte
mediante il linguaggio che conseguono il proprio risultato se sono coerenti.
I problemi si risolvono se divengo capace di mettere in ordine i miei pensieri, cioè le parole.
Il focus della filosofia passa dal pensiero alle parole (filosofie linguistiche).
I filosofi del passato si erano già occupati dal linguaggio, accanto ad altri argomenti. Qui il punto di vista del
linguista diviene il punto di vista del filosofo.
LINGUAGGIO = METODO CON CUI IL FILOSOFO SI OCCUPA DI TUTTI GLI OGGETTI POSSIBILI.
Proprio perché fornisce un metodo accurato, ove la profilassi del linguaggio diviene p. del pensiero, viene
recepita anche dai giuristi. Nasce la FILOSOFIA ANALITICA DEL DIRITTO, a Torino, gemmando a Milano ed in
altre sede universitarie, sposando il kelsenismo (costruire idea formale del diritto si sposa con teorie
linguistiche) poiché i giuspositivisti erano quasi tutti kelseniani, divengono filosofi analitici del diritto (si
fonda la società di f.a. del d., all’interno della società della filosofia del diritto).
Per loro, Kelsen ha ragione nel dire che il diritto va studiato come una scienza e con la metodologia propria
della filosofia analitica.
COME SI DISTINGUE QUESTA DA ALTRE TEORIE FILOSOFICHE GIURIDICHE? Una teoria filosofica è analitica
quando presenta 4 caratteristiche fondamentali:
Regola 1: es. il furto è un’azione disonesta (no) / fattispecie “furto” ex. Art. 624 CP (sì) = non
costituisce fallacia naturalistica
Regola 2: es. se Tizio abbia commesso un furto (no) / se colui che s’impossessasse della cosa mobile
altrui commetta furto (si) = giudizi analitici
Regola 3: es. cosa sia il furto (no) / cosa l’art. 624 CP (o la dottrina, o la tal sentenza) descriva come
furto (sì) = metadiscorsi
Regola 4: es. descrivere perché o come si è commesso un furto (no) qualificando in base all’art. 624
CP (si) = contesto di giustificazione
REWIND
S’inserisce sia nel filone del kelsenismo che di quello della filosofia analitica del diritto.
“The concept of law”, “Il concetto di diritto” critica al kelsenismo, che accetta parzialmente
LE TEORIE “PRACTICE-BASED”
Il trend linguistico-pragmatico è percepito dai giuristi che lo applicano. L’analisi del contesto determinante
nella qualificazione della norma come giuridica.
“Hart in sostanza ci dice (…) che il rule following è una condizione necessaria per l’esistenza di una
regola”
Non c’è regola giuridica se non c’è pratica della sua sequela.
Se non conosciamo i comportamenti, gli usi linguistici dei soggetti, non sappiamo dar conto dell’esistenza di
una norma giuridica.
Con Hart, il discorso normativista si colloca nei rapporti sociali qualificati come giuridici.
Nasce una filosofia del diritto che è più dei giuristi che dei filosofi.
Non “filosofia del diritto” in senso oggettuale, ma una FILOSOFIA DAL DIRITTO. Law non più in the books,
ma in action.
In gran parte dei regimi liberal democratici, esistono costituzioni per fornire criteri in virtù dei quali una
legge sia o meno tale, e sono criteri etici, e sulla base di orientamenti etici si decide sulla legge.
Costruttivismo per indicare il pensiero di Dworkin positivismo giuridico costruttivista, D era positivista.
E’ ormai un positivismo g. moderato rispetto alle origini: d’accordo con Hume col fatto che non possiamo
dedurre regole da principi (come avveniva per Tommaso), ma questo non significa che vi sia separazione
colmabile tra i due SI distinzione, NO separazione (per questo è p. debole)
Non esistono discorsi sul diritto (impossibili e comunque inutili), ma tutti sono nel diritto
Impossibili perché noi siamo nel diritto, inutile perché se il diritto serve a regolare i comportamenti sociali, è
inutile a fare teorie.
Sono già discorsi situati, per questo sono condizionati da orientamenti di sfondo = quel gruppo sociale ha
già sulla sfondo principles in virtù dei quali interpreta ciò che succede, non è tabula rasa.
Ruolo chiave produttivo dell’interpretazione giuridica: il giudice (o il giurista) conoscono la norma
solo quando interpretano la disposizione legale
Qualsiasi applicazione è un’interpretazione, tanto che si distingue tra:
norma = risultato azione interpretativa (contestualizzare) fatta sulla base di
quell’enunciato, che diviene così norma giuridica vera e propria nell’applicazione
disposizione = enunciato normativo che sta nelle fonti del diritto
È idea bottom up (???)
Ruolo dell’argomentazione giuridica: occorre giustificare i criteri di selezione e valutazione
utilizzati per interpretare la disposizione
È tutto un lavoro che comporta scelte da motivarsi = processo di giustificazione.
E’ studiato dalla branca del diritto dell’argomentazione giuridica.
Interpretazione e argomentazione divengono fondamentali per individuare una disposizione come norma
giuridica, ecco perché si chiama COSTRUTTIVISMO: pezzo dopo pezzo, creare una narrazione che non è
comunque l’unica evidente (a differenza dell’idea formalista + one right answer di Dworkin)
COSTRUTTIVISMO: una filosofia “post-analitica” (o “debolmente analitica”)
Debolmente perché di tutti i principi che definivano la FAD, rimane solo il metodo rigoroso di analisi
linguistica.
Indebolimento delle 4 regole della FAD, spc. sotto la spinta della pragmatica linguistica (es. J.
Searle)
1. …anche la scienza non scopre ma interpreta (anti-descrittivismo)
2. …anche la scienza quindi implica giudizi di valore (anti-avalutativismo)
(Perché anche la scienza è pratica sociale e i suoi parametri mutano a seconda dei contesti)
Costruttivismo non è solo analisi del linguaggio normativo MA riguarda ogni tipo di linguaggio.
Quine (1980): preesistenza di “schemi concettuali” nella conoscenza di un determinato campo
d’esperienza
Conoscenza è sempre muoversi in una rete ove le cose sono collegate in maniera complessa, dove più
collegamenti sono possibili. Questi schemi concettuali sono lo sfondo su cui interpretiamo l’enunciato in un
certo modo piuttosto che un altro.
Noi siamo sempre dentro una rete ed i nostri punti di vista sono SEMPRE situati.
Bisogna dare conto degli orientamenti di sfondo/etici.
Avviene negli anni ’60. Il processo cominciato tra il 500-600 con Hobbes ed i vari giusnaturalismi moderni
fosse giunto in una situazione di cambiamento ove i principi guida non sono più tali.
A cosa serve una teoria formale del diritto? (si può studiare il diritto a prescindere dalla sua
funzione e dei valori per cui è posto?)
Si ritiene che il diritto non abbia più bisogno di teorie formali, prescindendo così dalla sua funzione sociale e
dai criteri etici di riferimento.
La teoria da pura diviene impura, si preferisce teorie improntate alla pratica.
L’avalutatività è una pretesa della conoscenza razionalmente fondata? (o non è anch’essa una
scelta? Vi sono ambiti “neutri”?)
Valori costitutivi delle pratiche, dunque non esistono “zone neutre”.
Anche la separazione diritto-morale è una scelta etica.
La “costituzionalizzazione”: qual è il rapporto tra costituzione (che indica dei valori) e norme?
Non possiamo parlare di norme prescindendo dalle scelte compiute dalla società per convivere
È possibile (esiste?) un’interpretazione giuridica su tabula rasa ( wertfrei)?
Non esistono interpretazioni giuridiche inattaccabili richiamo alle conoscenze come confronto di
opinioni, anch’esse non inattaccabili, idea aristotelica/platonica
…e lo stato? (in crisi anch’esso!) – simul stabunt, simul cadent?
Lo stato si era costituito su principi considerati inattivabili, tipo l’individualismo.
Tanto le leggi quanto lo stato implicano valutazioni morali?