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SEMINARIO PER DOCENTI E STUDIOSI DI SACRA SCRITTURA

I LIBRI «STORICI» DELL’ANTICO TESTAMENTO


PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO
22-26 GENNAIO 2018

LA STORIA COME RACCONTO:


CONTRIBUTI DI UNA LETTURA NARRATIVA DELLA STORIOGRAFIA BIBLICA

Béatrice OIRY

Luis Alonso Schöckel era solito ricordare che Mommsen e Churchill hanno ricevuto il premio Nobel per
la letteratura grazie alle loro opere storiografiche. In tal modo, questo pioniere del rinnovamento degli studi
letterari in campo esegetico richiamava l’attenzione sul fatto che i grandi racconti storici sono letteratura a
pieno titolo, così come lo sono i grandi racconti di fantasia [in francese: fiction] e che qui per comodità
chiameremo in italiano «finzioni»1. Questi racconti meritano quindi che ne venga riconosciuta la scrittura, la
poetica narrativa, ma più ancora che siano considerati come una dimensione costitutiva del progetto storico
che li anima. È quello che stamani vi propongo di fare insieme prendendo in considerazione il corpo storio-
grafico dell’Antico Testamento.
Non mi propongo di presentarvi il metodo narrativo, le sue categorie e i suoi procedimenti2. Senza dubbio
avete già avuto a che fare con tale metodo e forse lo praticate voi stessi. Mi piacerebbe piuttosto riflettere
con voi sui contributi che, per la comprensione del progetto storico della Bibbia ebraica, può dare il prestare
un’attenzione particolare alla sua maniera di raccontare, in altri termini alla sua poetica narrativa.
La nostra riflessione seguirà le tappe seguenti: in un primo tempo ci interesseremo al legame intrinseco
che unisce la storia e il racconto. Perché non può esserci storia se non nel racconto della storia? Questa que-
stione generale, che non è in particolare biblica, è stato l’oggetto di apporti decisivi nell’ultimo quarto del
ventesimo secolo. È dunque per questo che inizierò in una prospettiva – me lo perdonerete – molto teorica.
Essa permetterà di mettere in evidenza che la storia e il racconto hanno in comune un punto principale: il
posto centrale che vi ha la causalità. È intorno a tale categoria di causalità, come vedremo, che storia e rac-
conto si uniscono. E osserveremo in che modo questa unione si declina nella storiografia biblica.
L’attenzione alla causalità guiderà le tappe successive, le quali saranno consacrate ciascuna all’esame di
una componente del racconto. Mi soffermerò molto sulla questione del narratore; poi esamineremo le impli-
cazioni narrative che nascono dal fatto che i racconti biblici sono dei racconti compositi. Mi interesserò poi
della temporalità nel racconto; si tratta di una questione fondamentale per ogni racconto, ma molto di più per
un racconto storico. In seguito affronterò la questione dei personaggi, ma solo attraverso quella del loro di-
scorso diretto. Infine, mi chiederò perché nel corso della storiografia biblica si trovano regolarmente altri
generi letterari oltre a quello del racconto.
In ciascuna tappa, la mia riflessione sarà guidata dalla seguente domanda: che tipo di storia è resa possibi-
le dalle scelte strutturanti della narrazione biblica? Infatti, in un racconto tutto può sempre essere raccontato
in modo differente. Il modo con cui un autore costruisce il suo narratore, gioca con i tempi, dà la parola ai
personaggi ecc., gli apre un ventaglio di possibilità in materia di rappresentazione del mondo e gli impone
certi limiti3. In altri termini: le sue scelte poetiche gli permettono di produrre un certo tipo di storia, e gliene
impediscono altre. L’attenzione alla dimensione propriamente narrativa della storiografia biblica permette
così di entrare nei dettagli del progetto che porta alla sua scrittura, nella rappresentazione del «mondo» che
—————
1
L. ALONSO SCHÖKEL, L’arte di raccontare la storia. Storiografia e poetica narrativa nella Bibbia (Lectio, 6)
(Roma – Milano, GBPress – Edizioni San Paolo 2013) 52.
2
Per una tale presentazione, vedi in particolare: S. BAR-EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOTSS, 70) (Almond
Press, Sheffield 1989); J.L. SKA, "Our Fathers Have Told Us". Introduction to the Analysis of Hebrew Narratives
(Subsidia biblica, 13) (Roma, Editrice Pontificio Istituto biblico 1990); J.–P. SONNET, “L’analyse narrative des récits
bibliques”, Manuel d’exégèse de l’Ancien Testament (eds. M. BAUKS – C. NIHAN) (MB, 61) (Genève, Labor et Fides
2008) 47-94.
3
Su questo punto, vedi la dimostrazione magistrale di E. AUERBACH, Mimésis, La représentation de la réalité dans
la littérature occidentale (Paris, Gallimard 1968) (originale tedesco 1946) 11-34, dove raffronta la narrazione omerica
con quella biblica.
2 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

manifesta, nella comprensione della storia che promuove. Stamani vi propongo allora di prestare attenzione a
«l’arte biblica di raccontare la storia»4 come a una via di comprensione specifica.
Prima però di intraprendere tale percorso, si impone un’annotazione preliminare: come avrete senza dubbio
notato, nel titolo del nostro seminario l’aggettivo «storici» è tra virgolette, le quali a mio avviso attirano la no-
stra attenzione sulla qualità propriamente storica di tali libri. Ed effettivamente, la questione c’è. Noi siamo ben
coscienti che agli occhi dello storico contemporaneo la storiografia biblica è una storia molto cattiva per quali-
tà. Le fonti esterne, l’archeologia e la storia continuano a mettere in evidenza uno scarto reale tra quello che si
può apprendere dalla storia dell’oriente e ciò che ce ne riferisce il racconto biblico, in particolare riguardo ai
periodi più antichi. Tale racconto allora sarebbe una finzione?5 Io vi propongo di considerarlo piuttosto come
un racconto dalla pretesa storiografica. È in tal modo che, a mio avviso, andrebbero tradotte le virgolette del
titolo. Un racconto dalla pretesa storiografica piuttosto che un racconto di finzione, poiché anche se una storio-
grafia dimostrasse di non essere affidabile sul piano dei fatti, non per questo diventerebbe un romanzo, ma
resterebbe pur sempre una storiografia. La differenza tra storiografia e finzione va dunque cercata altrove. Co-
me ha mostrato M. Sternberg6, un racconto non è storiografico in quanto è la relazione di fatti della storia, ma è
storiografico perché pretende di essere la relazione di fatti della storia, qualunque sia la qualità di tale relazione.
E mi pare che il racconto biblico fornisca parecchi indizi della sua pretesa di riferire dei fatti passati della storia
del popolo di Israele. Le sue molteplici spiegazioni eziologiche, i suoi rinvii alle cronache, la sua preoccupa-
zione di individuare dei luoghi ecc.: tutto ciò fa pensare a un progetto storico. Ne è un segno anche la ricezione
del corpo biblico nell’antichità: Flavio Giuseppe, per esempio, difende con vigore la storiografia biblica di
fronte a quella greca7. Egli è il testimone del fatto che alla sua epoca il racconto biblico era senz’altro accolto
dagli ebrei come il racconto veritiero della loro storia passata. Ritengo che in questa settimana ci sarà occasione
di ritornare su quelle virgolette. Vi propongo allora di iniziare finalmente il nostro percorso interessandoci ai
rapporti che esistono tra la storia e il genere letterario del racconto.

1. Storia, racconto, causalità


1.1 La storiografia come spiegazione causale
L’emergere dei metodi narrativi nel paesaggio dell’esegesi biblica risale agli anni ottanta del secolo scor-
so8. Com’è noto, essa è un frutto del rinnovamento della critica letteraria che ha caratterizzato il ventesimo
secolo9. Questo ritorno di interesse per la narratività in campo letterario non ha risparmiato l’insieme delle
scienze umane e in particolare la storia. Degli autori come Hayden White negli Stati Uniti, e Paul Veyne,
Michel de Certeau e Paul Ricœur in Francia10 conducono una riflessione epistemologica, in cui la storia in-
—————
4
Qui mi ispiro al titolo dato alla raccolta di saggi di ALONSO SCHÖKEL, L’arte di raccontare la storia, citata nella
n. 1.
5
Per un dibattito su tale questione, vedi M. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative: Ideological Literature
and the Drama of Reading (Bloomington, Indiana University Press 1985) 23-35, e da una prospettiva diversa R. ALTER,
L’art du récit biblique (LR, 4) (Bruxelles, Lessius 1999) (originale inglese del 1981) 36-68 [tr. it. L’arte della narrativa
biblica (Brescia, Editrice Queriniana 1990) 37-64]. Sul carattere anacronistico dell’opposizione tra storiografia e
finzione prima di Aristotele e sul suo carattere inadeguato a qualificare il racconto, vedi E. BLUM, “Historiography or
Poetry? The Nature of the Hebrew Prose Tradition”, Memory in the Bible and Antiquity (eds. L.T. STUCKENBRUCK –
S.C. BARTON – B.G. WOLD) (Tübingen, Mohr Siebeck 2007) 25-46 (qui 36-39).
6
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 25: «Scrivere la storia non significa registrare un fatto – ciò che è
“realmente accaduto” – ma vuol dire fare un discorso che pretende di essere la registrazione di un fatto. Né scrivere una
finzione significa intessere delle invenzioni libere, ma vuol dire fare un discorso che rivendica la libertà di inventare.
L’antitesi non risiede nella presenza o assenza del valore della verità, ma nell’impegno [o meno] per quel valore».
7
Vedi FLAVIO GIUSEPPE, Contre Apion [Contro Apione] §1-11 L’histoire, d’Homère à Augustin, Préfaces des
historiens et textes sur l’histoire (ed. F. HARTOG) (Essais, 388) (Paris, Seuil 1999) 241-255.
8
Le due opere fondamentali sono ALTER, L’art du récit biblique e STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative.
9
Penso in particolare alla «nuova critica» nel mondo anglosassone e ai lavori dei formalisti russi, a causa
dell’influenza che hanno esercitato sui pionieri della narratologia biblica.
10
Mi limito qui a menzionare qualcuna delle opere che sono state basilari per questa riflessione, i cui soli titoli
manifestano quanto la questione narrativa sia divenuta centrale nella riflessione sulla storia a partire dagli anni settanta:
P. VEYNE, Comment on écrit l’histoire (Points Histoire, 226) (Paris, Seuil 1978); M. DE CERTEAU, L’écriture de
l’histoire (Folio histoire, 115) (Paris, Gallimard 1975); P. RICŒUR, Temps et Récit, 3 volumi (Paris, Seuil 1983-1985)
[tr. it. Tempo e racconto, Milano 1986] e in particolare il vol. 1: L’intrigue et le récits historique; H. WHITE, The
Content of the Form. Narrative Discourse and Historical Representation, (Baltimore-London, The Johns Hopkins
University Press 1987) e dello stesso autore, più recentemente, una raccolta di articoli: The Fiction of Narrative, Essays
on History, Literature and Theory (1957-2007). Per una panoramica sui dibattiti intorno alla dimensione narrativa della
storia, vedi: F. DOSSE, “Récit”, Historiographies, (ed. C. DELACROIX et al.) vol. 2: Concepts et débats (Paris, Gallimard
2010) 862-876; C. DELACROIX, Histoire (Histoire et historiens) – L’écriture de l’histoire, Encyclopædia Universalis
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 3

crocia la critica letteraria. Sia pure in modi diversi, tutti mettono in evidenza l’affinità costitutiva della storia
con il racconto: non esisterebbe quindi storia al di fuori di un racconto della storia. Inoltre essi difendono il
racconto come un modo di comprensione a pieno titolo, particolarmente adattato alla conoscenza storica e in
particolare a un approccio alla storia attraverso gli avvenimenti.
Fare la storia di un periodo consiste nel riportare una successione di avvenimenti nel loro ordine cronolo-
gico. Ma il proposito dello storico non è tanto quello di consegnare dei fatti, quanto piuttosto di rendere
comprensibile il periodo di cui parla attraverso i rapporti che esistono tra tali fatti. E il mezzo principale di
questa comprensione è quella che viene chiamata «la spiegazione causale», ossia il mettere in evidenza la
logica che spiega la successione degli avvenimenti. Il racconto deve rispondere alla domanda: perché si sono
prodotti tali avvenimenti? E perché si sono sviluppati a quel modo?11

1.2 La storiografia: creare una trama


È proprio perché il progetto storico ha la funzione primaria di manifestare le cause degli avvenimenti che
trova un alleato naturale nel genere letterario. Infatti anche la causalità è l’elemento determinante
dell’organizzazione narrativa. È quanto Aristotele mette in evidenza nel suo trattato fondamentale sulla Poe-
tica. Egli insiste sull’importanza primaria della trama: è la sua presenza in un discorso a caratterizzare il
racconto, in quanto ne è il «principio e l’anima»12. Aristotele definisce la trama come «la disposizione
[su,nqesij] dei fatti»13. La trama ha la funzione di imitare un’azione nella totalità del suo sviluppo. Per farlo, i
fatti devono essere disposti in ordine, dall’inizio alla fine. In altri termini, nel racconto è fondamentale la
dimensione temporale, e più in particolare la successione cronologica. La capacità di imitare un’azione nel
suo sviluppo cronologico rappresenta un primo elemento fondamentale del racconto per il progetto storico.
Ma non è solo sull’ordine cronologico che si basa la successione degli avvenimenti. Aristotele insiste sulla
natura del legame che deve tenere insieme i diversi momenti dell’azione: esso deve essere un legame di «ne-
cessità [avna,gkh]»14. Così il corpo del racconto deve apparire come conseguenza necessaria dell’inizio e por-
tare di per sé alla fine. Detto altrimenti: la disposizione dei fatti, il loro ordinamento, è determinato dai rap-
porti di causalità che tali fatti hanno tra di loro. La trama ben costruita è quella che lascia comprendere la
logica dell’azione, le concatenazioni di causa ed effetto tra gli avvenimenti. È questo il secondo elemento
essenziale del racconto per la scrittura storica, il cui obiettivo è proprio quello di spiegare le cause degli av-
venimenti.
Rivisitando Aristotele, la riflessione contemporanea sulla storiografia, in particolare Paul Ricœur15, ha ri-
portato in evidenza il fatto che la scrittura della storia è costituita necessariamente dalla creazione di una
trama. Non esiste storia al di fuori di un racconto della storia, al di fuori di una disposizione da parte dello
storico di fatti da lui selezionati e tra i quali egli stabilisce dei legami di causalità. E per farlo, mostra ancora
Ricœur, la storiografia non produce delle trame specifiche, ma «nella sua scrittura imita delle trame ricevute
dalla tradizione letteraria»16. È in tal modo che il racconto storico può attingere dal tragico, dal comico, dal
romanzesco, dall’ironico ecc. Si sa quanto la Bibbia, accanto alla letteratura greca, sia una matrice maggiore
della tradizione letteraria occidentale, che se ne è nutrita per creare tante trame nel suo immaginario. Si sa
anche quanto virtuosamente la storiografia biblica sappia coniugare i diversi tipi di trame. La storia di Iefte o
quella della morte di Assalonne sono delle trame tragiche, le avventure di Sansone o quelle del giovane Saul
coniugano commedia e ironia, e se vi è un racconto romanzato nella storiografia biblica, è senz’altro quello
dell’ascesa al trono di Davide.

—————
[online]: http://srvext.uco.fr:2062/encyclopedie/histoire-histoire-et-historiens-l-ecriture-de-l-histoire/ (consultato il 7 di-
cembre 2017).
11
A. PROST, Douze leçons sur l’histoire (Points Histoire, 225) (Paris Seuil 2010) 153 e 155: «Quello che costituisce
(…) l’oggetto della storia non è in efffetti che esso sia singolare e neanche che si sviluppi nel tempo (…). Ciò che conta
è la concatenazione, non la successione. Non basta che i fatti siano posti secondo l’ordine cronologico perché vi sia
storia, ma occorre che vi sia un’influenza degli uni sugli altri». E prosegue a p. 170: «In storia potranno anche esistere
altre forme di comprensione che non siano la ricostruzione di una causalità, ma si deve pur sempre constatare che gli
storici passano molto tempo a ricercare le cause degli avvenimenti che studiano e a determinare quali siano le più
importanti». Vedi anche C. DELACROIX, “Causalité/explication”, Historiographies (eds. C. DELACROIX et al.) vol. 2:
Concepts et débats (Paris, Gallimard 2010) 682-692.
12
ARISTOTELE, Poetica, 1450a.
13
ARISTOTELE, Poetica, 1450a.
14
ARISTOTELE, Poetica, 1450b. Su tale questione, vedi il commento di RICŒUR, Temps et Récit,vol. 1, 85.
15
RICŒUR, Temps et Récit, vol. 1, 217-230 e la discussione che conduce con i suoi contemporanei, in particolare P.
Veyne.
16
RICŒUR, Temps et Récit, vol. 3: Le temps raconté, 337.
4 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

Ricœur nota ancora che per la creazione di una trama, la storia è attraversata dalla finzione, per così dire è
«finzionalizzata». In tal modo vuole dire che per mettere in evidenza le causalità, per condurre la trama, lo
storico fa uso delle risorse poetiche che sono quelle della finzione; egli deve fare opera di immaginazione
nella composizione del suo racconto. E Ricœur prosegue: «Stupisce che questo intreccio tra finzione e storia
non indebolisca il progetto di rappresentazione di quest’ultima, ma contribuisca a portarlo a compimento»17.
Se una forma di finzionalizzazione contribuisce al compimento del progetto storico è perché quest’ultimo,
lontano dall’essere una relazione neutra di fatti successivi, è una ricerca del senso. Questo senso non si trova
nei fatti, ma viene rivelato dalla trama confezionata dallo storico. In altri termini, il racconto storiografico è
una retorica, è condotto da una certa comprensione del mondo, ne difende la visione. È tale visione a deter-
minare la costruzione della trama: essa guida la selezione dei fatti che lo storico ritiene che siano quelli più
significativi in un certo periodo, e determina la gerarchia che viene loro conferita nell’ordine delle causalità.

1.3 I tre principi del racconto biblico: storia, estetica, ideologia


Le affermazioni di Ricœur sulla storiografia in generale trovano un riscontro tutto particolare nella storio-
grafia biblica. Esse concordano con il modello proposto da Meir Sternberg, per il quale il racconto biblico
procede in tensione tra tre principi: un principio storiografico, un principio estetico e un principio ideologi-
co18. Il principio storiografico indirizza il racconto verso ciò di cui si vuole parlare19, verso gli avvenimenti
del periodo di cui si vuole riferire. Tale principio è tenuto a una forma di fedeltà. Il principio estetico, invece,
rivendica, da parte sua, la piena libertà di adoperare a suo piacimento tutte le risorse dell’arte narrativa: è
l’alleato dell’immaginazione. L’aderenza al proprio riferimento e la libertà nel racconto sono due principi in
antagonismo tra loro. Essi però sono tenuti insieme dal terzo principio, quello ideologico, ossia la rappresen-
tazione del mondo che conduce alla narrazione biblica, in altri termini la sua teologia. L’agenda retorica del
racconto è quella di rendere conto di una storia condotta da YHWH con la sua Parola20 e che progredisce con
le interazioni che allaccia con gli uomini, particolarmente nel contesto dell’Alleanza21. Il compimento della
Parola divina costituisce il primo motore della narrazione e il rispetto dell’Alleanza è il criterio di valutazio-
ne degli eventi riportati ed è anche il nodo della spiegazione causale che porta fino all’esilio. Si tratta in quel
caso effettivamente di una teologia, la quale implica il fatto che la narrazione rende percepibile un doppio
registro di causalità e le articola: gli avvenimenti della storia procedono con un ordine di casualità divine e
un ordine di causalità umane. E le scelte poetiche più determinanti del racconto – come si vedrà – permette-
ranno, tra l’altro, la resa di questi due ordini di causalità, che tali scelte alternano quando tali ordini sono
concomitanti, in sinergia o in opposizione22.
Così, il principio «ideologico/teologico» è il principio determinante della storiografia biblica. Pertanto,
essa non è tanto il racconto di una storia quanto la valutazione di una storia ovvero un giudizio sulla storia.
Ed è tale progetto a determinare non solo il modo di condurre la narrazione, ma anche le forme della sua
poetica.

—————
17
RICŒUR, Temps et Récit, vol. 3, 337.
18
Vedi STERNBERG, The Poetics, 41-46 e ID., La grande chronologie. Temps et espace dans le récit biblique de
l’histoire (LR, 32) (Bruxelles, Lessius 2008) (originale inglese 1990) 22-24.
19
Sulle tracce di tale refenzialità alla superficie del racconto, vedi STERNBERG, The Poetics, 31-32.
20
Sul compimento della parola divina – e delle parole divine – come «causalità lunga» nella narrazione biblica, vedi
J.–P. SONNET, “Un drame au long cours. Enjeux de la «lecture continue» dans la Bible hébraïque”, RTL, 42 (2011) 371-
407 (qui 389-393).
21
R. Alter propone di vedere nella sfida che rappresenta l’articolazione delle relazioni tra un Dio sovrano e degli
uomini liberi l’origine del ricorso alla prosa e non all’epopea per il racconto della storia. La paratassi della prosa ebraica
offre una maggiore flessibilità rispetto ai metri immutabili dell’epopea. Vedi ALTER, L’art du récit biblique, 40-41 [tr.
it. 41-42].
22
Yariah Amit ha messo in luce questa «duplice causalità» che opera nei racconti biblici. Vedi. Y. AMIT, “The Dual
Causality Principle and its Effects on Biblical Literature”, VT, 37, 4 (1987) 385-400 e soprattutto ID., “Dual Causality –
An Additional Aspect, dans In Praise of Editing in the Hebrew Bible. Collected Essays”, Retrospect (HBM, 39)
(Sheffield, Sheffield Phoenix Press, 2012) 105-121 e soprattutto 110-111: «Dalla prospettiva poetica, poi, la duplice
causalità deve essere compresa come una tecnica di scrittura o un modo per formulare un mondo, nel quale esiste un
contatto costante tra ciò che sta nell’alto e ciò che sta qui in basso, mantenendo pienamente il significato gerarchico
della distinzione tra loro. La sfida che gli autori hanno affrontato non era quella di realizzare un mondo reale o una
realtà realistica, dove Dio fosse totalmente dietro le scene, ma quella di creare una varietà di possibilità per i due
sistemi, quello divino e quello umano, di farli funzionare affiancati in proporzioni variabili. Il punto di forza di questo
sistema poggia su quelle proporzioni variabili che tengono conto al massimo delle inclinazioni dei lettori, pur
presentando un’immagine complessa della realtà».
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 5

A livello del principio storiografico, la prospettiva teologica permette di determinare gli eventi che saran-
no ritenuti più pertinenti. I libri dei Re, per esempio, sottolineano tale opera di selezione mediante i ripetuti
rimandi alle Cronache alla fine di ciascun regno. Precisando che «Il resto delle azioni di… non è forse scritto
nel libro delle Cronache dei re d’Israele?» oppure «nel libro delle Cronache dei re di Giuda»23, la storiografia
non potrebbe affermare in modo più chiaro che sta operando una selezione nel complesso delle informazioni
che dispone su di un regno. E il criterio di tale selezione è definito al principio dalla valutazione teologica del
regno che è posta all’inizio di ciascuna notizia. È la fedeltà o l’infedeltà all’Alleanza e al suo stretto mono-
teismo a essere il prisma di lettura di ciascun regno, in quanto si ritiene che gli avvenimenti giustifichino il
giudizio dato. È proprio la prospettiva teologica a determinare in che modo viene trattato il periodo di riferi-
mento24.
La prospettiva ideologica guida ugualmente le scelte estetiche, vale a dire in particolare il modo di mette-
re in opera la poetica. Ciò concerne tutte le dimensioni del racconto, in primo luogo, come si vedrà, la co-
struzione dell’istanza enunciatrice – il famoso narratore –, ma anche il trattamento del tempo, che ha
un’importanza centrale nel racconto, il modo di mettere in scena i protagonisti dell’azione, di caratterizzarli,
di renderne i discorsi, di giocare sui punti di vista, ecc. Il racconto biblico testimonia un’immaginazione nar-
rativa all’opera e spesso nell’esercizio virtuoso delle sue risorse, ma sempre all’interno della regolazione che
gli imprime la prospettiva teologica. Così per esempio, una volta che Davide è diventato re, il racconto ac-
corda pochissima importanza alla sua politica estera, che viene liquidata in due capitoli, essenzialmente sotto
forma di sommari (2 Sam 8 e 10). Invece, le debolezze della sua vita familiare costituiscono l’oggetto di
sviluppi molto più ricchi, nei quali l’arte narrativa si manifesta nella sua pienezza, quando si tratta di mostra-
re che l’adulterio con Betsabea – un male agli occhi del Signore (2 Sam 11,27) – è la causa delle violenze
interne che mineranno il regno di Davide (12,9-12). Anche là sono esplicitati i legami di causalità25. Le sce-
ne si succedono, i dialoghi si allacciano, tutta una galleria di personaggi secondari circonda i protagonisti
principali, abbondano le peripezie, la persecuzione di Davide da parte di Assalonne rappresenta una delle
suspense più alte del racconto biblico e la morte del giovane principe, pianto dal padre, una delle scene più
drammatiche.
L’attenzione all’estetica del racconto, che con altri termini chiamiamo qui la sua poetica, si rivela quindi in-
dispensabile per entrare in una comprensione più sottile della storia, così come viene raccontata. E il ricorso ai
metodi di esegesi narrativa, così come si sono sviluppati in questi ultimi decenni, si rivela particolarmente per-
tinente. Certo, tali metodi sono stati elaborati a partire da racconti di finzione moderni più che da racconti sto-
riografici26. Il fatto è che oggi la storia non viene più scritta come nell’Antichità e in particolare nel mondo
biblico. E per molti tratti, ai nostri occhi di moderni, la narrazione biblica assomiglia più a una finzione che a
una storia. Ma avviene una specie di scambio proficuo: la tradizione letteraria occidentale ha ricevuto molto
dall’arte biblica del raccontare. Non è quindi impossibile che al contrario la narrazione biblica possa ricevere
dai suoi lontani eredi gli strumenti per formalizzare la poetica che le è propria27. Senza contare poi che il mo-
vimento non è a senso unico – dalla teoria letteraria al racconto biblico – bensì a doppio senso. Anche il raccon-
to biblico istruisce l’analisi letteraria, in quanto la sua arte di raccontare apporta il proprio contributo a un’idea
del racconto28.
—————
23
Il fenomeno ha inizio dal regno di Salomone con il rimando al «Libro degli atti di Salomone» (1 Re 11,41). Poi
appare regolarmente alla fine di ciascun regno. Per i re di Israele, vedi per esempio: 1 Re 14,19 ; 15, 31; 16,5.14.20.27;
22,39; 2 Re 1,18; 10,34 ecc. Per i re di Giuda, vedi per esempio: 1 Re 14,29; 15,7.23; 22,46; 2 Re 8,23; 12,20; 13,12
ecc.
24
Anche il libro dei Giudici indica in modo molto esplicito il prisma teologico secondo cui sarà condotto il suo
racconto della storia (Gdc 2,11-3,3) e per far questo ricorre alla presentazione schematica della trama che si ripeterà,
episodio dopo episodio: peccato → sciagura → grido verso YHWH → invio di un giudice → liberazione → nuovo
peccato ecc. È tale nucleo di trama, dai collegamenti di causalità fortemente marcati, a essere declinato di ciclo in ciclo
a seconda delle circostanze particolari. Vedi per esempio: 3,7-9; 3,12-15; 4,1-3; 6,1-7; 10,6-10 ecc. La sequenza
modella dunque l’azione, rivelando il prisma ideologico del racconto, ma costituisce ugualmente il procedimento che
realizza l’unità del libro proprio mentre le declinazioni successive di quel modello fanno apparire un movimento sempre
più netto verso l’anarchia. Su questi punti, vedi A. WENIN, Échec au Roi. L’art de raconter la violence dans le livre des
Juges (LR, 43) (Bruxelles, Lessius 2013) 47-51 e 58-59.
25
Vedi J.–P. SONNET, “«Que ne suis-je mort à ta place!» De la cohérence narrative du cycle de David (1 S 16–1 R
2)”, Mémoires d’Ecriture (ed. P. ABADIE) (LR, 25) (Bruxelles, Lessius 2006) 274-295 (qui 281).
26
Vedi J.L. SKA, Les énigmes du passé. Histoire d’Israël et récit biblique (Le livre et le rouleau, 14) (Bruxelles,
Lessius 2001) 15-16.
27
È significativo il fatto che le due opere fondamentali della narratività biblica (ALTER, L’art du récit biblique e
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative) non siano state il prodotto di esegeti, ma di critici letterari.
28
Ciò non era sfuggito ai romantici. Così, prima di N. Frye, W. Blake vedeva nella Bibbia un «grande codice» e
Novalis poteva scrivere: «La teoria della Bibbia sviluppa e produce la teoria dell’arte di scrivere e di creare una lingua
6 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

Stamani non è possibile esaminare il complesso della poetica narrativa biblica. Vorrei piuttosto soffer-
marmi su qualcuna delle dimensioni da me indicate nell’introduzione e che mi sembrano particolarmente
significative del progetto dei libri storiografici. L’obiettivo è quello di aiutarci a comprendere il tipo di storia
che tali forme poetiche rendono possibile. Presterò un’attenzione particolare alla questione della causalità.

2. Il narratore, autorità e conoscenza


2.1 Il narratore: un dispositivo poetico
Iniziamo prendendo contatto con la voce narrante. Infatti il racconto è sostenuto da una voce, quella del
narratore che racconta. Non si tratta di un personaggio storico – la sua voce non è quella dell’autore – quanto
piuttosto di una «metonimia della narrazione»29. Il narratore si presenta al lettore come colui che conduce il
racconto, colui che lo condurrà nel racconto. È a questo titolo che il lettore gli attribuisce la responsabilità
delle scelte che organizzano la narrazione: è colui che fa durare la suspense, dispone un’ellissi, accelera o
rallenta il ritmo della narrazione, ecc. Il narratore è lui stesso il frutto di un insieme di scelte poetiche30. È
per esempio la scelta di una narrazione in prima o terza persona, di un narratore che è un personaggio del
racconto o di un narratore esterno all’azione: la voce può essere sicura o apparire più fragile31. Il modo con
cui è costruita la voce narrativa è determinante sotto diversi aspetti. Questa mattina esaminerò solamente
l’importanza del livello di conoscenza attribuito al narratore, in quanto è direttamente collegato al tipo di
autorità che il racconto reclama per se stesso e, lo si vedrà, alla sua capacità di rendere la causalità.
Notiamo per iniziare che il complesso del racconto biblico, dal principio del libro della Genesi alla fine
del libro dei Re, si sviluppa completamente all’interno di un unico modello di narrazione. È la stessa voce a
condurre il racconto, da un libro all’altro. E questo fatto appare notevole se si conosce la storia redazionale
lunga e complessa dell’insieme, sapendo quante mani vi sono intervenute e la diversità delle fonti che vi si
intrecciano. Ma tutti gli autori storici, e in ogni caso gli ultimi redattori, hanno sottoposto tutto quanto a un
unico modello narrativo, quello di una narrazione alla terza persona da parte di un narratore onnisciente ed
esterno all’azione.

2.2 Onniscienza e autorità: un narratore ispirato


Fin dalle prime parole del libro della Genesi, infatti, il narratore manifesta una conoscenza sovraumana
che conferisce al suo proposito un’altissima autorità32. Egli può raccontare un principio a cui nessun uomo
può pretendere di aver assistito; non è solo colui che ode la prima parola divina – «Sia la luce!» – e il testi-
mone della potenza creatrice – «e la luce fu» –, ma penetra ugualmente nelle percezioni e nei giudizi divini:
«E Dio vide che la luce era cosa buona». Questo accesso del narratore all’interiorità divina si conferma a più
riprese nel corso del racconto. Così si apprende che «YHWH aveva deciso di indurire il cuore [degli Evei]»
(Gs 11,20) o che «Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa» (1 Re 3,10).
Riguardo a un tale privilegio, non ci si stupirà che il narratore penetri ugualmente nell’interiorità degli uomi-
ni. Egli ne conosce i sentimenti: l’amore immediato di Giònata per Davide (1 Sam 18,1), il disprezzo di Mi-
cal per il re che danza (2 Sam 6,16), la contrarietà di Acab di fronte al rifiuto di Nabot, ecc. Egli penetra
anche nei calcoli e nelle speranze segrete (1 Sam 15,32; 27,12; 2 Re 20,19), nei piani che si tramano nel si-
lenzio, negli stratagemmi di Saul per eliminare Davide (1 Sam 18,17.21) o in quelli di Geroboamo per man-
tenere il controllo del popolo (1 Sam 12,27-28a).
La sua conoscenza non è limitata dai vincoli dello spazio e del tempo. Può in particolare relazionare su
quello che avviene allo stesso tempo in luoghi lontani: per esempio i soprusi di Saul contro i sacerdoti a
Gàbaa e Nob (1 Sam 22,6-20) e i combattimenti tenuti, proprio allo stesso tempo, da Davide a Keila (1 Sam

—————
in generale, che fornisce allo stesso tempo, in maniera simbolica e indiretta, la dottrina della costruzione propria allo
spirito creatore». NOVALIS, Lettre à F. Schlegel, 7 novembre 1798, citata da D. CHAUVIN, “Bible et mythocritique”,
Questions de mythocritique. Dictionnaire (eds. D. CHAUVIN – A. SIGANOS – P. WALTER) (Paris, Editions imago 2005)
41-50 (qui 41).
29
L’espressione è di Jean-Pierre Sonnet.
30
Vedi lo studio classico di G. GENETTE, Figures III (Seuil, Paris 1972) 225-267.
31
Il romanzo di Albert Camus, Lo straniero (1942) inizia così: «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so».
L’autore ha scelto una narrazione in prima persona – si noti bene che chi dice «non so» non è l’autore – affidata al
personaggio principale del racconto. Fin dalle prime parole, la sua narrazione dà una certa impressione di incertezza.
«In principio Dio creò il cielo e la terra…» (Gen 1,1).
32
Su tali punti riprendo J.–P. SONNET, “Y a-t-il un narrateur dans la Bible ? La Genèse et le modèle narratif de la
Bible hébraïque”, Bible et littérature. L’homme et Dieu mis en intrigue (ed. F. MIES) (LR, 6) (Bruxelles, Lessius 1999)
9-27 e in particolare 11-16 e ID., L’analyse narrative des récits bibliques, 53-56.
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 7

23,6)33; oppure i tormenti di Saul a Endor alla vigilia della sua morte (1 Sam 28,4-25), e la caccia all’uomo
che contemporaneamente Davide conduce contro gli Amaleciti a sud di Siklag (1 Sam 30,7-16)34.
Questo narratore, la cui conoscenza è pari a quella di Dio, è però molto discreto, perfettamente anonimo e
non interviene mai sulla scena del racconto né per enunciare un giudizio che gli sarebbe appropriato né per
provocare un qualche avvenimento. Egli resta sempre all’esterno dell’azione e tale esteriorità, unita alla sua
onniscienza, ne accresce la credibilità.
Per comprendere meglio la cosa, si impone una rassegna comparativa. In un articolo in cui tratta della na-
tura del racconto biblico, intitolato “Historiography or Poetry?”35, Erhard Blum discute le affermazioni di
Van Seters sulla prossimità della storiografia biblica alle opere degli storici greci, in particolare a quella di
Erodoto. Blum mostra che si possono certamente constatare delle somiglianze di contenuto e di forme narra-
tive tra i due corpi; ma utilizzare tali somiglianze come argomento a favore di una prossimità significa tra-
scurare una differenza irriducibile. Gli storiografi greci si distinguono fondamentalmente da quelli biblici per
il modo con cui ciascuno rivendica la sua pretesa di «dire il vero» sulla storia. Tale pretesa non si fa percepi-
re né attraverso una semantica dei testi né mediante una storia dei loro contesti, bensì con una pragmatica
della comunicazione36. La differenza decisiva, mostra Blum, risiede nel modo in cui ogni testo costruisce la
sua istanza enunciativa. A tale costruzione sono correlate due implicazioni: fa apparire il punto sul quale
l’autore fonda la sua rivendicazione di verità, e correlativamente, il tipo di posizionamento che egli si attende
dal suo lettore.
In quello che Blum chiama il «paradigma ionico»37, è la voce dello storico che si ascolta. Il suo racconto
è preceduto da un prologo nel quale egli prende la parola in prima persona, per assumere a nome proprio –
un nome da lui enunciato in apertura – la responsabilità di quello che riporta. Ecco come introduce la sua
opera il primo degli storiografi, Ecateo di Mileto: «Così racconta Ecateo di Mileto: io scrivo qui ciò che mi
sembra vero; poiché i racconti dei Greci, a quello che mi sembra, sono diversi e ridicoli»38. La rivendicazio-
ne di verità in questo caso si fonda su di una distanza critica che Ecateo prende rispetto al materiale di cui
dispone: ritiene che non solo non sia concorde, ma neppure semplicemente credibile. In altri termini, il suo
racconto procede dall’esercizio del suo giudizio, ed è dunque sulla pertinenza di tale giudizio che lo storico
fonda l’affidabilità della propria opera. A sua volta, Erodoto si impegna sulla fede in un’inchiesta39, e allora
l’affidabilità si estende ai materiali selezionati, debitamente verificati. Il paradigma ionico quindi si sviluppa
sulla base di una distanza critica che l’enunciatore introduce tra lui e la storia che riferisce. Egli si impegna
in prima persona sulla verità di quello che riferisce, ed è su tale impegno che poggia la sua affidabilità. Il
lettore è così chiamato implicitamente a situarsi anche lui come «critico» di fronte al racconto e a entrare a
sua volta nel processo di messa in dubbio di cui è reso testimone.
Al contrario, il «paradigma israelita»40 si fonda su di una piena coincidenza tra l’enunciazione del raccon-
to e quello che viene enunciato. Il narratore non introduce mai una distanza critica rispetto a quello che rac-
—————
33
Si rimarcherà l’importanza di 1 Sam 22,20 e 23,6-7 per stabilire il carattere di contemporaneittà degli avvenimenti
riferiti in successione.
34
Sulle simultaneità negli ultimi capitoli di 1 Sam, vedi: J.P. FOKKELMAN, Narrative Art and Poetry in the Books of
Samuel. II. The Crossing fates (I Sam 13-31 & II Sam 1) (SSN, 2) (Assen, Van Gorcum 1986) 592-595 ; B. OIRY,
“Raconter le simultané: entre contraintes narratives et manipulations stratégiques. L’exemple de 1 S 27 - 2 S 1”, L’intrigue
dans le récit biblique (eds. A. PASQUIER – D. MARGUERAT – A. WENIN) (Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum
Lovaniensium, CCXXXVII) (Louvain, Peeters 2010) 381-396. Sul modo con cui il narratore sfrutta le simultaneità e la
loro sequenza nel racconto, vedi STERNBERG, La grande chronologie, 35-82.
35
BLUM, «Historiography or Poetry?», 25-46.
36
BLUM, «Historiography or Poetry?», 28-29. Vedi anche p. 33: «Pertanto, è relativamente alle dimensioni
pragmatiche del testo che gli israeliti e le antiche composizioni in prosa greche, indipendentemente da qualsiasi
elemento di possibile condivisione, manifestano fondamentalmente una differente struttura. Infatti, possono
rappresentare, e lo fanno, nel complesso fome di comunicazione differenti!».
37
BLUM, «Historiography or Poetry?», 30-32.
38
Frammento citato in HARTOG, L’histoire, d’Homère à Augustin, 43.
39
ERODOTO, “L’enquête”, Historiens grecs (eds. A. BARGUET – D. ROUSSEL) I (Bibliothèque de la Pléiade, 176)
(Paris, Gallimard 1964) 1-654. L’opera si apre così: «Erodoto di Alicarnasso espone qui il risultato delle sue ricerche
storiche; lo scopo è di impedire che avvenimenti determinati dall’azione degli uomini finiscano per sbiadire col tempo,
di impedire che perdano la dovuta risonanza imprese grandi e degne di ammirazione realizzate dai Greci come dai
barbari; e dare fra l’altro anche la ragione per cui vennero a guerra tra loro» (51-52). Si noterà che tale incipit non solo
posiziona improvvisamente l’enunciatore e precisa la fonte della sua affidabilità, ma indica anche che la spiegazione
delle cause («dare la ragione [aivti,a]») costituisce l’oggetto dello scritto. Del resto, parla in prima persona un po’ più
sotto nel prologo, quando, dopo aver riferito le opinioni dei Persiani e dei Fenici, presenta il proprio modo di procedere
(53).
40
BLUM, «Historiography or Poetry?», 32-33.
8 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

conta. E quando talora egli fa scivolare un commento tra le trame degli avvenimenti, per spiegare, per esem-
pio, un costume che perdura «fino a oggi»41, egli non fa altro che sottolineare la continuità temporale che va
dagli avvenimenti raccontati fino all’«oggi» del lettore: si tratta proprio della stessa storia. Blum mostra che
il dispositivo poetico del narratore onnisciente e anonimo è ciò che permette la coincidenza tra il racconto e
ciò che è raccontato. L’onniscienza e l’anonimato non fanno altro che rinforzare la pretesa di verità del rac-
conto42. Per Blum, tale pretesa di verità non è dunque fondata sull’impegno personale del narratore, ma sulla
forza che ha il testo di rivelare degli aspetti essenziali del mondo del lettore, un lettore da cui ci si aspetta che
aderisca al racconto.
Ma è necessario, mi sembra, spingersi più in là. Certo, il procedimento degli autori storici – tutti anonimi
– che stanno dietro a un narratore, lui stesso discreto e anonimo, produce tale effetto di immediatezza tra il
racconto e gli avvenimenti raccontati43. Non si frappone alcuna soggettività a filtrare o a riflettere gli avve-
nimenti della storia, cosa che conferisce loro la forza dell’evidenza. Ma questa forza non è la sorgente ultima
dell’affidabilità del racconto, che poggia proprio sulla conoscenza manifestata dal narratore. Tale conoscen-
za, che va al di là delle capacità degli autori empirici, segna il carattere ispirato del racconto44. Ed è tale ispi-
razione che fonda, alla fine, la veridicità del racconto e la sua affidabilità. La voce narrante è costruita in
modo tale da fare intendere che quella è la versione più autorevole della storia, quella che il narratore riceve
dalla prospettiva divina e che egli sposa senza variazioni. Non sarebbe possibile rivendicare un’autorità più
alta45.

2.3 Onniscienza e causalità: rivelare ciò che conduce la storia


L’onniscienza del narratore rappresenta uno strumento straordinario quando si tratta di manifestare le
cause degli avvenimenti, le quali, pur non essendo in genere accessibili ai comuni mortali, si troveranno rive-
late e poste in primo piano. Tali cause, in genere velate, sono di due ordini. Si può trattare innanzi tutto di
interventi diretti di YHWH nel corso degli eventi: così, al principio del libro dei Giudici si apprende che
YHWH decide di far sussistere le nazioni in mezzo a Israele per metterlo alla prova (Gdc 2,20-31); altrove
tuona per sbaragliare i Filistei (1 Sam 7,10) o avvertire Israele (1 Sam 12,18), si preoccupa di avvertire Sa-
muele dell’arrivo di Saul con un anticipo di ventiquattro ore (1 Sam 9,15) e di indicargli il giovane quando
questi arriva alla porta della città (1Sam 9,17), lo guida direttamente quando si tratta di riconoscere l’eletto
tra i figli di Iesse (1 Sam 16,12). È ugualmente il suo angelo che si vede venire a sedersi sotto il terebinto da
Gedeone (Gdc 6,11) o portare a Elia ciò che beve e mangia (1 Re 19,5-7).
Ma, grazie alla sua onniscienza, il narratore può anche rivelare i pensieri segreti e le emozioni dei perso-
naggi, come si è appena visto. Ora, queste cose si rivelano spesso determinanti nel corso della storia. Ciò che
avviene nell’interiorità di YHWH o dei protagonisti umani mette in moto dei processi particolarmente lunghi
e profondi in termini di causalità. Il racconto del conflitto tra Saul e Davide (1 Sam 16,1-27,4) ne è un esem-
pio particolarmente chiaro. Fin dall’inizio del rapporto tra Davide e Saul, il narratore, facendo uso del suo
privilegio di onniscienza, fornisce al lettore delle informazioni che rientrano tra i movimenti divini o le emo-
zioni dei personaggi, e che non sono percepibili alla superficie degli eventi. Il narratore orchestra così la
successione degli avvenimenti in modo da svolgere progressivamente la narrazione e condurre il lettore a
riconoscere in quei movimenti il motore nascosto dell’azione. Il narratore al principio fa menzione
dell’investitura di Davide con lo spirito di YHWH al momento dell’unzione del giovane pastore. Egli annota
che «lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (1 Sam 16,13). Il complemento di tempo
sottolinea che in quel preciso momento si apre un nuovo periodo. Poi, il narratore annota che quello stesso
—————
41
Vedi per esempio: Gs 7,26; Gdc 6,24; 1 Sam 5,5; 2 Sam 4,3 ecc. Per un estratto di tali formule in Gs-2 Re, vedi
J.C. GEOGHEGAN, The Time, Place, and Purpose of the Deuteronomistic History. The Evidence of «Until this Day»,
(Brown Judaic Studies, 347) (Providence, Rhode Island, Brown Judaic Studies 2006) 42-62.
42
Su questo punto, vedi anche STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 32-33.
43
M. Sternberg parla a tale proposito di «mania per l’impersonalità» attuata in pratica dagli autori. Vedi The Poetics
of Biblical Narrative, 65.
44
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 33 precisa che l’ispirazione qui non è un dato di fede che il lettore
dovrebbe condividere, ma una regola di comunicazione. Una tale regola, del resto, non è una prerogativa del racconto
biblico. E Sternberg precisa alle pp. 33-34: «L’ispirazione è in primo luogo che una regola, la quale governa la
comunicazione tra lo scrittore e il lettore, consentendo l’accesso a un materiale privilegiato (per es. i pensieri) il quale
altrimenti rimarrebbe escluso e conferendo a tutto il materiale il sigillo dell’autorità. In quanto premessa
composizionale ed ermeneutica di tipo distintivo, essa non sostituisce la prova empirica di quello che è avvenuto nella
storia e neanche rinuncia al titolo di storicità. (…) In quanto regola di comunicazione narrativa, l’ispirazione equivale
all’onniscenza esercitata sulla storia: la pretesa di verità del racconto poggia sulla conoscenza data da Dio a colui che
racconta».
45
Vedi su questo punto le riflessioni di AUERBACH, Mimésis, 23.
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 9

spirito si è ritirato da Saul, il quale invece è investito da un cattivo spirito (1 Sam 16,14). Ecco allora che
all’improvviso pone le relazioni tra i due uomini su un piano teologico. L’«ispirazione» di cui beneficia Da-
vide appare la chiave dei suoi primi successi accanto a Saul.
Più avanti, viene trasmesso al lettore un sentimento di Giònata: «Quando Davide ebbe finito di parlare
con Saul, il soffio [vpn] di Giònata s’era legato al soffio [vpn] di Davide, e Giònata lo amò come il proprio
soffio [wvpnk]» (1 Sam 18,1). Il rapporto tra Giònata e Davide è dunque introdotto nel racconto alla sua radi-
ce, nello stesso momento in cui nasce in Giònata questo amore, che si rivelerà indefettibile. L’informazione
apre nel racconto una linea secondaria che conosce degli sviluppi regolari (1 Sam 18,3-4; 19,1-7; 20; 23,16-
18), dove Giònata appare un mediatore della provvidenza divina.
Ma il dramma si scatena veramente al ritorno della vittoria sui Filistei. L’acclamazione delle donne, che
mette in risalto la prodezza del giovane Davide, provoca la gelosia del re: «Saul ne fu molto irritato e gli
parvero cattive quelle parole […] Così da quel giorno in poi Saul guardava sospettoso Davide» (1 Sam 18,9).
Come in precedenza, il narratore guarda alla nascita del sentimento interiore di Saul. È tale gelosia che pro-
voca immediatamente l’inizio della persecuzione di Davide (1 Sam 16,11) e che rilancerà, episodio dopo
episodio, la sua lunga caccia all’uomo (19,1.11; 23,7-8.15; 23,15.25; 24,3; 26,2). Notiamo la presenza di
un’espressione di durata simile a quella notata al momento dell’unzione di Davide. Queste due indicazioni di
tempo stabiliscono la concomitanza tra l’odio di Saul e il sostegno di Davide da parte di YHWH. Tale soste-
gno è del resto ricordato quasi immediatamente dopo la rivelazione della gelosia del re: «Davide riusciva in
tutte le sue imprese, poiché il Signore era con lui» (1 Sam 18,14). L’informazione invita a fare una lettura
provvidenziale non solo dei successi militari di Davide, ma anche dei «colpi di fortuna» che accompagne-
ranno la sua fuga. Il lettore è portato a vedervi altrettanti interventi diretti di YHWH in favore del suo eletto.
Di tanto in tanto, il narratore sostiene questa lettura con un commento, e in particolare in 1 Sam 23,14 dice:
«Saul lo cercava continuamente; ma Dio non lo mise mai nelle sue mani» (1 Sam 23,14). Questo sommario
prolettico46 apre l’ultima fase della persecuzione, quella più pericolosa, quella in cui la provvidenza divina
diventa più clamorosa, con l’improvviso attacco dei Filistei nel momento in cui Saul sta per catturare Davide
(1Sam 23,26-28) dopo il doppio faccia a faccia tra i due uomini (1Sam 24 e 26)47.
La gelosia del re e il sostegno di YHWH sono evidentemente in forte tensione, ed è proprio questa tensio-
ne a far progredire l’azione. Essa è la causa più profonda della successione degli episodi, i quali si concate-
nano tra loro spinti dalla gelosia inesauribile di Saul, che rinasce continuamente a ogni nuovo tentativo di
uccidere Davide; questi però gli sfugge sempre, con l’aiuto più o meno diretto di YHWH – e l’assistenza re-
golare di Giònata –, obbligando Saul a lanciarsi in nuove manovre. Tutto il ciclo funziona in questo modo.
La messa in luce di queste cause, invisibili alla superficie della storia, è resa possibile dalla scelta narrativa di
un narratore onnisciente. Tale scelta permette di notare fin dall’inizio tutta la dimensione del dramma, il
quale non si gioca solo tra Saul e Davide, ma tra Saul e YHWH, che mantiene in scacco il re. Il modo con cui
il narratore conduce la narrazione lo rivela con un’evidenza indiscutibile.
Mi sembra che questi capitoli dei libri di Samuele illustrino bene il modo in cui il livello di conoscenza
conferito all’istanza narratrice determina direttamente il tipo di causalità che è messa in risalto e quindi la
comprensione della storia che viene promossa. E, viceversa, in che modo il progetto «ideologico/teologico»
della storiografia condizioni direttamente le scelte poetiche che pratica. Il racconto di una storia condotta da
Dio ha bisogno di un’istanza narratrice la cui conoscenza sia allo stesso livello della conoscenza divina. Per
le sue scelte poetiche, la storiografia ricorre agli strumenti della sua teologia.

3. Utilizzare la pluralità delle fonti


Ho appena esposto il modello unico nel quale, alla fine, tutti gli autori/redattori hanno inserito i loro con-
tributi. La lettura narrativa, che si basa sulla sequenzialità del racconto, non nega pertanto il proprio carattere
composito. Il testo che leggiamo è incontestabilmente il frutto di una lunga evoluzione, la quale, si sa, ha
lasciato delle tracce alla superficie del racconto: incoerenze, doppioni, fratture ecc. Tali tracce alimentano le
ipotesi genetiche, ma possono anche venire considerate con profitto nella continuità della sequenza narrativa.
Ciascun caso necessita uno studio apposito. Il compito è tanto più delicato, nota R. Alter, in quanto ci è mol-
to difficile capire quale potesse essere la logica di un uomo dell’epoca del ferro, e come quello che oggi ci

—————
46
Su tale fenomeno, frequente nel racconto, vedi J.L. SKA, “Quelques exemples de sommaires proleptiques dans les
récits bibliques”, Congress Volume (ed. J.A. EMERTON): (Paris 1992, Leiden, Brill, 1995) 315-326.
47
1 Sam 24 del resto può essere letto come una riflessione sulla Provvidenza. In fondo a una caverna, Saul si trova
inopinatamente a portata di mano di Davide. A coloro che gli presentano l’avvenimento come un fatto provvidenziale –
è l’occasione tanto sognata di uccidere Saul – Davide oppone un’altra comprensione del disegno di Dio e del suo modo
di condurre la storia, che è invece basata sulla fedeltà di YHWH verso il suo messia.
10 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

appare incoerente potesse non esserlo ai suoi occhi, o esserlo meno, o addirittura potesse essere ritenuto coe-
rente secondo altri criteri48. Ma il carattere composito di certi racconti si rivela essere uno strumento che
arricchisce e rende più complessa la narrazione49. Stamani mi limiterò a ricordare i benefici in termini di
causalità, a partire dal racconto degli inizi di Davide presso Saul.
Se c’è un racconto nel quale è difficile non vedere una contraddizione, è proprio quello degli inizi di Da-
vide. Un primo complesso narrativo espone l’unzione del giovane pastore nella sua famiglia a Betlemme (1
Sam 16,1-13), poi il suo arrivo alla corte del re in qualità di musicista e scudiero (1 Sam 16,14-23). La scena
termina con un sommario che racconta le numerose occasioni nelle quali egli suona per Saul (1 Sam 16,21-
23). A questo segue il racconto della sua prodezza su Golia (1 Sam 17), nel quale, sorprendentemente, Davi-
de è sempre da suo padre a Betlemme. E quando si presenta per affrontare il gigante si scopre che non ha
nessuna esperienza militare e soprattutto che Saul sembra ignorare chi sia quel giovane. La contraddizione è
chiarissima: il complesso di 1 Sam 16-17 è evidentemente composito50. Alter, tuttavia, sottolinea il vantag-
gio in termini narrativi derivante da questa disposizione contrastante, facendo notare che offre una visione
«binoculare» degli inizi di Davide51. E tale visione è giustamente in chiave di una doppia causalità. Grazie
alle due versioni, il racconto associa un ordine di causalità divine e un ordine di causalità umane.
Nella prima versione, la prospettiva è verticale. Tutta l’iniziativa parte da Dio: è lui che ha scelto Davide,
manda Samuele da Iesse e lo guida nel riconoscimento dell’eletto, fa scendere il suo spirito su Davide e lo
ritira da Saul, ed è ancora lui a far scendere uno spirito cattivo su quest’ultimo. L’elezione di Davide è una
scelta sovrana di Dio che «cade» all’improvviso sul giovane. In questo racconto, Davide appare molto di-
screto: è completamente muto e i soli atti che compie sono quelli di prendere la sua lira e di suonare.
L’episodio dello scontro con Golia, invece, si sviluppa secondo una prospettiva orizzontale. L’azione si
svolge nello spessore della storia. Davide entra al servizio di Saul approfittando delle incertezze della vita
politica e coglie l’opportunità di un conflitto. Dio non interviene in questo racconto. È Davide a prendere la
scena, parla molto, fa sentire la sua voce, prende iniziative, agisce con vivacità e sicurezza. È grazie alla sua
abilità, al suo coraggio e alla sua fede, che egli vince e si trova introdotto presso Saul. In questo caso, tutta
l’iniziativa parte da lui e la narrazione mette in evidenza le numerose qualità del giovane: ha senza dubbio la
stoffa dell’eroe.
La presenza delle due versioni arricchisce notevolmente la prospettiva. Ognuna mette in evidenza un or-
dine di causalità: l’ingresso di Davide sulla scena della storia è opera di Dio, ma è anche iniziativa del giova-
ne. Su questo punto cito Alter: «Senza entrambe queste versioni degli inizi di Davide e della sua rivendica-
zione a diventare legittimamente re, lo scrittore ebreo avrebbe comunicato meno di quanto riteneva fosse la
verità complessiva sul suo personaggio»52. Per concludere, aggiungiamo che questa verità piena trae benefi-
cio anche dall’ordine scelto per la disposizione degli episodi: esso infatti non è senza effetti. I due episodi
non si presentano al lettore come due racconti concorrenti, ma come due racconti successivi. E immancabil-
mente, la successione cronologica induce un rapporto di causalità: post hoc, ergo propter hoc. Nell’ordine
scelto, viene per prima l’iniziativa di Dio, che colora con la sua Provvidenza il seguito del racconto. Certo,
colui che vince Golia è un giovane valente, ma il lettore sa che quel giovane è il messia del Signore. La sua
vittoria sarebbe stata così facile senza il sostegno divino? E non è proprio perché può appoggiarsi sulla pro-
pria elezione, che Davide può entrare con tanta fiducia nella battaglia? L’ordine inverso nella composizione
avrebbe offerto una comprensione diversa degli avvenimenti: l’elezione divina, allora, sarebbe apparsa come

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48
ALTER, L’art du récit biblique, 181-182 e 185-186 [tr. it. 162-163 e 165-167]. A p. 182 [tr. it. 163], inoltre, R.
Alter nota che molto raramente l’incoerenza rilevata dalla critica si rivela un ostacolo insormontabile per il lettore. Su
questo punto, vedi anche SONNET, “Un drame au long cours”, 398-400. Di altro genere e con un tono più leggero, si
potranno osservare anche le incoerenze nei fumetti:
http://www.bandedessinee.org/bd/bd02.nsf/Fiches/61e67c1fa3ac4831c125699c00689cdf!OpenDocument (consultato
l’11 gennaio 2018) e http://ederweld.fr/en-quete-de-bulles-n4-faux-raccords-et-incoherences-dans-la-bd/ (consultato
l’11 gennaio 2018).
49
Per un elenco dei vantaggi che procura la disposizione sequenziale per giustapposizione di unità originariamente
separate, vedi R. GILMOUR, Juxtaposition and the Elisha Cycle (Library of Hebrew Bible/Old Testament Studies)
(Bloomsbury T&T Clark, 2014) 19-32.
50
Sulle diverse proposte genetiche e in particolare sulle differenze con la LXX, vedi P.K. MCCARTER, I Samuel. A
New Translation with Introduction, Notes and Commentary (AB, 8) (Garden City – NY, Doubleday 1980) 27-30 e 279-
309; D.T. TSUMURA, The First Book of Samuel (NICOT) (Grand Rapids – MI, Eerdmans, 2007) 413-414 e 434-436;
A.G. AULD, I & II Samuel: A Commentary (OTL) (Louisville – KY, Westminster John Knox Press, 2011) 194.
51
Vedi ALTER, L’art du récit biblique, 200-207 [tr. it. 181-186] al quale mi ispiro per l’analisi seguente.
52
ALTER, L’art du récit biblique, 207 [tr. it. 185].
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 11

un’elezione motivata dalla ricca personalità del giovane, dopo che egli ne avesse dato una dimostrazione
convincente. Post hoc, ergo propter hoc53.

4. Raccontare «il tempo che conta»


Il tempo è una categoria centrale della narrazione. Esso può essere esaminato sotto vari aspetti54. Dopo
aver ricordato alcuni elementi fondamentali, stamani sceglierò un approccio abbastanza mimetico riguardo
alla rappresentazione del tempo. Mi sembra che essa, infatti, rivesta un’importanza particolare in un racconto
dalle pretese storiografiche e dalla forte dimensione ideologica. A partire da ora, consentitemi di appoggiar-
mi soprattutto sulla mia ricerca55, e di prendere come esempio privilegiato i libri di Samuele.

4.1 Tempo narrato e tempo della narrazione: tracciare la linea di spartiacque della storia
Si potrebbe dire che in un racconto tutto è temporale, anzi ha un doppio tempo. La temporalità del raccon-
to, infatti, nasce dall’articolazione di due temporalità distinte: innanzi tutto vi è il tempo degli avvenimenti
riportati, la durata del periodo coperto dal racconto. È ciò che viene chiamato «il tempo narrato». Riguardo ai
libri di Samuele, per esempio, il tempo narrato equivale a circa un secolo. Il secondo ordine temporale è il
«tempo della narrazione», vale a dire il tempo necessario alla narrazione. Esso corrisponde alla durata della
lettura o dell’ascolto. Per il libro di Samuele, lo si può valutare intorno alle tre o quattro ore. In altri termini,
in tre o quattro ore i libri di Samuele raccontano circa 876.000 ore di storia56. Il lettore quindi percorre gros-
so modo 250.000 ore di storia per ogni ora di lettura. Si percepisce il lavoro operato sul tempo, un lavoro di
riduzione in una scala di uno a duecentocinquantamila.
Il primo strumento utilizzato dal narratore ai fini di questa riduzione consiste nel far variare la velocità del
suo racconto, vale a dire il rapporto tra il tempo della narrazione e il tempo narrato. Si può quindi andare dal
sommario più breve fino alla scena più sviluppata. Si parla di sommario quando il tempo della narrazione è
inferiore al tempo narrato, poiché il narratore in poche parole espone un lungo periodo di tempo. Diventa
importante allora la velocità del racconto. Il sommario può permettere di fare dei veri e propri «salti» nel
tempo. È il caso, per esempio, di quanto avviene dopo che l’arca rimandata dai Filistei è stata collocata a
Kiriat-Iearìm: «Era trascorso molto tempo da quando l’arca era rimasta a Kiriat-Iearìm; erano passati venti
anni, quando tutta la casa d’Israele alzò lamenti al Signore» (1 Sam 7,2). Che cosa è accaduto in quei venti
anni? È inutile cercare di saperlo. Il sommario può anche riferire dei fatti che si ripetono regolarmente (per
es. 1 Sam 7,15-17). Ma più spesso ricorda un avvenimento particolare. Per esempio, la morte di Samuele è
raccontata con un sommario: «Samuele morì, e tutto Israele si radunò e fece il lamento su di lui» (1 Sam
25,1).
Se avviene il contrario, invece, la scena corrisponde a un rallentamento del racconto. Il tempo narrato e il
tempo della narrazione tendono ad avvicinarsi. Il discorso diretto, spesso molto presente nelle scene, favori-
sce il rallentamento. Lo sviluppo della scena, i suoi dettagli, i suoi dialoghi danno al lettore l’impressione di
essere testimone degli avvenimenti, conferendo a questi un rilievo particolare. Le scene appaiono come la
cresta del racconto; gli avvenimenti che riportano formano quello che propongo di chiamare «il tempo che
conta», ossia ciò che il narratore ritiene che sia importante nel periodo trattato, ciò che gli consente di avere

—————
53
Questo esempio mostra che nel racconto l’espressione della causalità si poggia sulla cooperazione del lettore. È lui
infatti che, partendo dall’illusione di una successione cronologica costruisce un rapporto di causalità, inferisce tale
causalità senza che, in genere, il narratore abbia bisogno di esplicitarla. E quest’ultimo gioca molto su tale meccanismo
quando deve costruire la sequenza del racconto, per produrre in particolare effetti di suspence, curiosità e sorpresa. Tali
effetti, che derivano da manipolazioni temporali e che appartengono propriamente al genere del racconto, si trovano al
cuore dell’esperienza di lettura. Essi contribuiscono in modo potente alla retorica del narratore e al suo progetto
ideologico, se non altro perché favoriscono l’adesione del lettore al racconto. Avendo scelto di affrontare la questione
della causalità nella storiografia a partire dalla dimensione mimetica della narrazione, stamani non posso soffermarmi
su tale aspetto più retorico, e tuttavia essenziale. Vedi su tali punti: M. STERNBERG, “Telling in Time (II): Chronology,
Teleology, Narrativity”, Poetics Today, 13, 3 (1992) 463-541; ID, The Poetics of Biblical Narrative 258-263; J. PIER,
“After this, therefore because of this”, Theorizing Narrativity (eds. J. PIER – J.Á. GARCÍA LANDA), (Berlin, De Gruyter,
2008) 109-140 e in particolare 126-136; J.–P. SONNET, “«Ehyeh asher ehyeh (Exodus 3:14)»: God’s ‘narrative Identity’
among Suspense, Curiosity, and Surprise”, Poetics Today, 31, 2 (2010) 331-351.
54
Per una sintesi, vedi SONNET, “L’analyse narrative des récits bibliques” 62-72.
55
Vedi B. OIRY, Le temps qui compte. Construction et qualification du temps de l’histoire dans le récit de 1-2
Samuel (Thèse de doctorat en théologie – UCL-PUG 2015) e ID., “Les poétiques du temps. Genres littéraires et
temporalité dans l’historiographie biblique. L’exemple de 1-2 Samuel”, Collectif, Perceptions bibliques du temps
(Leuven, Peteers) (Études bibliques, nouvelle série), che sarà pubblicato nel 2018.
56
24 ore x 365 giorni x 100 anni = 876.000 ore.
12 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

materia per il racconto. Gli avvenimenti che le scene mettono in risalto formano in qualche modo la linea di
spartiacque del secolo di storia di cui riferiscono i libri.

4.2 Qualificare il tempo della storia: indicare i «giorni che contano»


Nei libri di Samuele, tale «tempo che conta» è messo in evidenza da un fenomeno temporale assoluta-
mente particolare, che dipende da un altro fenomeno ancora poco studiato nella narrazione biblica, ossia la
rappresentazione del tempo. Si tratta di fare attenzione non solo ai flussi del tempo della narrazione e del
tempo narrato, ma al modo con cui il racconto rappresenta il tempo della storia, con cui ne parla, lo misura e
lo designa. Ciò porta due particolari implicazioni in un racconto dalla pretesa storiografica, in cui una delle
funzioni è proprio quella di periodizzare la storia, vale a dire di proporre le fasi e i ritmi che contribuiscono
alla sua comprensione57. Ora, i libri di Samuele presentano una periodizzazione in termini di giorni. Nel
racconto si insiste su tale unità di tempo con una frequenza sorprendente. Il termine «giorno [~wy]» appare
225 volte, 146 delle quali per designare un giorno particolare. Così, il narratore non si limita a raccontare la
vittoria di Davide su Golia, il suo incontro con Abigàil o la morte di Assalonne, quanto piuttosto, e in manie-
ra spesso molto circostanziata, il giorno della vittoria su Golia, il giorno dell’incontro con Abigàil, e quello
della morte di Assalonne.
La quasi totalità degli avvenimenti importanti del racconto, quelli che sono riferiti nelle scene e negli epi-
sodi, sono inscritti nel quadro di un giorno o di una piccola sequenza di giorni58. La linea di spartiacque della
storia dimostra di essere costituita da una sequenza di giorni che contano, e che emergono da lunghi periodi
tratteggiati nei sommari. Se in termini di tempo della narrazione il racconto di quei giorni occupa la maggior
parte di 1-2 Sam, in termini di tempo narrato si contano solo ventiquattro giorni. Detto altrimenti, ciò che
«fa» la storia, ciò che importa in tutto il secolo coperto dai libri di Samuele, somma grosso modo a ventiquat-
tro giorni! L’asimmetria è enorme.
Ma questo quadro costituito da giorni solari mi sembra che abbia soprattutto due funzioni dipendenti di-
rettamente dalla retorica del narratore. La prima è una funzione di qualificazione del tempo. Le ricorrenze
del termine «giorno [~wy]» non appaiono più casuali nel racconto, ma richiamano direttamente l’attenzione su
ciò che rende significativo quel giorno che il narratore sta per raccontare. In un qualche modo, esse sono
utilizzate come un marcatore che sottolineerebbe ciò che è più determinante, ciò per cui quel giorno conta. Si
può trattare di un’azione decisiva che cambia il corso delle cose. Per esempio, al termine del racconto della
battaglia del monte Gèlboe, il narratore dice: «Così morirono insieme in quel giorno [awhh ~wyb] Saul e i
suoi tre figli, lo scudiero e anche tutti i suoi uomini» (1 Sam 31,6). Ma il termine si trova spesso sulle labbra
degli stessi protagonisti. Le indicazioni di giorni particolari fanno allora spiccare il punto di vista dei perso-
naggi, i quali si pronunciano su quello che stanno vivendo e che interpretano con maggiore o minore perti-
nenza. È così, per esempio, che il popolo difende Giònata davanti al padre, dicendo: «In questo giorno [hzh
~wyh] egli ha operato con Dio» (1 Sam 14,45). Tale dichiarazione chiude un episodio nel corso del quale i
personaggi discutono sul significato del giorno che vivono. Il confronto tra i loro punti di vista, il modo in
cui cercano il senso, rivelano che il tempo non è un semplice fluire, ma ha anche una profondità. Deve essere
sondato, perché l’importanza di quanto è in gioco non è immediatamente percepibile. L’unità costituita dal
giorno delimita allora il campo di un discernimento da operare e questo porta spesso alle cause degli avve-
nimenti. Il ricorso al giorno come marcatore è un modo di orientare verso quelle causalità che fanno la storia
e verso la qualità che esse le conferiscono.
Ciascuno di questi giorni conta di per sé; tuttavia tali giorni non sono delle entità isolate. Sono invece as-
sociati in modo tale da segnalare chiaramente le dinamiche causali del racconto. Questa seconda funzione
della costruzione costituita da giorni è essenziale. Così, per esempio, la richiesta di un re rivolta dal popolo a
Samuele è la causa immediata dell’istituzione della monarchia. Ciò è evidente nell’ordine rivolto da Dio a
Samuele nel momento stesso in cui interpreta per lui il senso di quel giorno (1 Sam 8,8). Ciò, allora, segnala
l’inizio di un processo, di cui il narratore mette in rilievo che si conclude il giorno dell’assemblea di Gàlgala,
nella quale Saul è confermato re (1 Sam 12,2.5.18). Nell’intervallo di tempo tra questi due giorni, ne sono
messi in rilievo molti altri che fungono da altrettanti picchetti messi a indicare il corso particolare di quel

—————
57
Vedi PROST, Douze leçons sur l’histoire 114-118 e in particolare 115: «[Lo storico] deve trovare le articolazioni
pertinenti a dividere la storia in periodi, vale a dire a sostituire la continuità inafferrabile del tempo con una struttura che
abbia un significato».
58
Vedi per esempio il pellegrinaggio di Anna e di Elkanà a Silo che dura due giorni (1 Sam 1,4-20), i tre giorni del
soggiorno dell’arca nel santuario di Dagon (1 Sam 5,2-5), i quattro giorni del viaggio di Saul alla ricerca delle sue asine
(1 Sam 9,1-10.16), ecc. Il racconto presenta numerose sequenze di questo tipo, che possono andare da due a dieci giorni
(1 Sam 28, 1-2 Sam 1,27).
B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica – 13

processo59. È così tutta la catena di conseguenze avviata dalla richiesta del popolo che viene messa in evi-
denza mediante la segnalazione dei giorni particolari. Le configurazioni di questo tipo sono numerose e pos-
sono essere molto complesse.
La costruzione in termini di giorni particolari del racconto si unisce quindi ai giochi fatti con la sua velo-
cità, al fine di mettere in evidenza ciò che importa nella storia e in particolare per sottolineare le cause più
determinanti. Essa mette in evidenza tali cause, ma non le genera, non ne è l’origine. Da che cosa si genera-
no allora i giorni che si distinguono come «il tempo che conta»?

5. Il discorso diretto: generare «il tempo che conta»


La risposta va cercata sul versante del discorso diretto, cioè di quello che dicono i protagonisti dell’azione
che generano gli avvenimenti, avvenimenti che possono o meno corrispondere a ciò che il personaggio ha
progettato60. La preghiera di Anna, per esempio, riferita in discorso diretto (1 Sam 1,11), determina tutto il
seguito del capitolo e in particolare le sue fasi temporali. Il racconto riferisce il compimento delle due parti
di tale preghiera: dapprima l’esaudimento della richiesta con la nascita di Samuele (vv. 19-20); poi, il com-
pimento della sua promessa, quando la madre va a presentare il figlio al santuario di Silo. Tutta la narrazione
della seconda parte è ordinata a questo momento (1 Sam 1,21-28). Ed è ancora in un discorso diretto, e in
termini prossimi alla sua preghiera, che Anna ne testimonia il compimento alla fine dell’episodio (1 Sam
1,27-28). Allo stesso modo, l’episodio in cui Davide e Giònata mettono alla prova le intenzioni di Saul ri-
guardo al suo rivale Davide comincia con un dialogo tra i due amici, i quali si mettono d’accordo sullo sce-
nario che permetterà di sondare le intenzioni di Saul. Il racconto che segue è consacrato esclusivamente alla
realizzazione di tale scenario. Anche qui, quello che i due amici hanno progettato organizza le tappe
dell’episodio e dunque le sue scansioni temporali. Ed è questo che è messo in evidenza come «il tempo che
conta». Tale tempo dunque deriva dalle parole dei personaggi, quelle con cui esprimono dei progetti, dei
desideri, degli ordini ecc. Tale procedimento, pur conoscendo delle variazioni, è costante dalla prima
all’ultima pagina del racconto. La storiografia biblica riferisce una storia, il cui sviluppo – ciò che avviene in
seguito – è determinato da quello che progettano i protagonisti, umani e divino, e che il narratore fa sempre
intendere «in diretta». La storia deriva quindi in primo luogo dalle parole che si scambiano i personaggi o da
quelle che essi formulano nel loro foro interno (per es. 1 Sam 18,17; 27,1). Tale procedimento di costruzione
del racconto fa della coscienza dei protagonisti la fonte di quello che conta. Ciò che avviene (loro) è così
determinato dall’esercizio della loro responsabilità, così come essa si esprime nei loro propositi. È tale eser-
cizio a generare «il tempo che conta».
Il modo con cui il discorso diretto determina l’organizzazione temporale del racconto invita a prestare at-
tenzione alla sua temporalità. In che modo vi sono articolati passato, presente e futuro? A ben vedere, sembra
che i propositi dei personaggi siano fondamentalmente orientati verso il futuro, progettino l’avvenire sotto
modalità diverse. Ma tale futuro è sempre un futuro prossimo, ciò che progettano i personaggi non si spinge
mai al di là dell’episodio – fatta eccezione per le loro promesse. Inoltre, i riferimenti al passato sono sempre
dei riferimenti al passato prossimo, ossia immediato. Il discorso diretto, allora, si sviluppa su una scala tem-
porale relativamente breve, che coincide con la durata dell’episodio. Tale tipo di discorso è il motore prima-
rio della progressione del racconto, lo fa avanzare di volta in volta, di scena in scena, di episodio in episodio.
La sua temporalità segna così i limiti del potere degli attori della storia, i quali sono presi dal suo spessore e
talvolta dalla sua oscurità. Essi vi avanzano di volta in volta, senza potersi proiettare troppo in avanti, cosa
che riflette l’organizzazione del racconto in episodi.
La storiografia biblica però, di tanto in tanto fa intervenire altri due generi letterari: l’oracolo e il poema
lirico. Essi sono inseriti nel filo della narrazione e prodotti sistematicamente in discorso diretto. Infatti ven-
gono introdotti da un personaggio che si mette a profetizzare o a cantare. Ora, questi generi letterari presen-
tano un’articolazione temporale differente e in particolare un’ampiezza che va oltre quella dell’episodio. Ciò
conferisce loro una capacità specifica di suscitare gli avvenimenti della storia e di qualificarli. Stamani pren-
derò in considerazione solo l’esempio dell’oracolo. L’oracolo è suscitato da un avvenimento particolare nato
da un’iniziativa umana, un progetto oppure più spesso una colpa. Il discorso del profeta, che trasmette una
comunicazione di Dio, si riferisce dunque direttamente all’avvenimento su cui poggia l’oracolo. Tale avve-

—————
59
Si succedono così i quattro giorni del viaggio di Saul (1 Sam 9,1-10,16); il giorno della sua designazione a re a
Mispa (1 Sam 10,17-27); i due giorni della vittoria sugli Ammoniti nel quadro di un termine di sette giorni (1 Sam 11,3-
13) e infine il giorno della riconferma del regno a Gàlgala (1 Sam 11,14-12,25).
60
Sul rapporto tra discorso diretto e narrazione, vedi ALTER, L’art du récit biblique, 91-121 [tr. it. 84-111] e in
particolare 108-112 [tr. it. 99-102]. Sul rapporto tra discorso diretto e temporalità, vedi BAR-EFRAT, Narrative Art in the
Bible, 147-150.
14 – B. OIRY, La storia come racconto: contributi di una lettura narrativa della storiografia biblica

nimento è il punto di vista a partire dal quale Dio sviluppa la storia nel lungo periodo, esaminandolo dal suo
passato più lontano fino a un avvenire che prende la forma del «per sempre». Così, per esempio, è la corru-
zione dei figli di Eli a provocare l’intervento di un uomo di Dio. L’oracolo che pronuncia (1 Sam 2,27-36)
traccia tutta la storia del sacerdozio, dalle sue origini a un avvenire lontano. Il momento in cui si inscrive
l’oracolo è quindi il centro del periodo evocato dal profeta. Ma tale centro è pure un punto di ribaltamento,
spesso drammatico. È un «ora» tra un passato di cui il profeta decreta la fine – nel nostro esempio, la fine
drammatica della famiglia di Eli – e un avvenire annunciato da lui – in questo caso la scelta di una nuova
famiglia di sacerdoti. Gli oracoli, poco numerosi, introducono bruscamente la prospettiva di lungo periodo e
incombente del giudizio divino nella progressione di una storia che avanza volta per volta. Tale giudizio è
enunciato con la forza e l’autorità di un Dio che conduce la storia e la cui parola si compie. Si vede quanto,
con tali oracoli, il narratore disponga di uno strumento potente, capace di mettere in rilievo la causalità divi-
na. Tali oracoli indicano una direzione, imprimono una dinamica causale la cui realizzazione concreta passa
per delle mediazioni e delle iniziative umane. Così, nel nostro esempio, Eli e i suoi figli muoiono in seguito
alla cattura dell’arca, la cui presenza era dovuta a una decisione degli Israeliti (1 Sam 4); poi c’è la rabbia di
Saul contro i partigiani di Davide che lo conduce a sterminare il sacerdote Achimèlec e tutti i suoi parenti (1
Sam 22,6-18), ma è presso Davide che Abiatàr trova quell’accoglienza che gli permette di essere il resto
promesso (1 Sam 22,20-23) ecc. L’oracolo si compie all’interno del gioco delle libertà umane, nella com-
plessità del tessuto delle relazioni, dei calcoli umani o delle generosità. Così funziona la doppia causalità. La
distinzione dei generi letterari, le caratteristiche della loro temporalità e le modalità della loro associazione
sono uno strumento che permette di costruire narrativamente ciò che teoreticamente contiene un’aporia per la
ragione.

In conclusione, vorrei semplicemente ritornare su quello che l’analisi narrativa può apportare allo studio
della storiografia biblica. Essa non può pronunciarsi sul rapporto tra il racconto e le cose a cui si riferisce,
sulla sua affidabilità come fonte per lo storico contemporaneo. Invece può servire moltissimo a tale studio
per entrare più in profondità nella comprensione del tipo di storia promossa dal racconto. Raccontando la
storia, infatti, il racconto biblico la qualifica. Lo fa mediante il tipo di spiegazione causale che propone e che
rende possibili le scelte poetiche che lo caratterizzano. Il racconto biblico promuove una storia le cui cause
non possono essere colte alla superficie degli avvenimenti. Il motore della storia non si trova né nei rapporti
di forza tra le nazioni né nei condizionamenti socio-economici e neppure nell’imprevedibilità di una coinci-
denza o nel carattere imponderabile di un fato, ma nell’intersezione tra il progetto divino e la responsabilità
umana. La costruzione dell’istanza narrativa, la costruzione della temporalità, il posto riservato al discorso
diretto: tutte queste componenti si associano per mettere in risalto la responsabilità dei protagonisti – con le
loro dimensioni di coscienza e di interiorità – in quanto prima e ultima istanza della causalità storica. La
storiografia biblica promuove dei soggetti «capaci di storia» messi in primo piano da un racconto che, per
tale motivo, si carica di una forte dimensione etica. Il racconto biblico, dunque, sviluppa allo stesso tempo
una teologia e un’antropologia della storia. E l’attenzione particolare alle sue forme narrative permette di
delinearne meglio i contorni.
[Traduzione dal francese di Fabrizio Iodice]
14/01/2018

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