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Uno scandalo al sole: il Bonus Partite IVA e la

propaganda in vista del referendum costituzionale


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11 Agosto
2020

di Elena Falletti

In questi giorni caldi d’agosto c’è uno scandalo al sole che


indigna (e appassiona) gli italiani, sia quelli che possono
permettersi delle vacanze ristoratrici dopo gli stress dovuti al
lockdown e alla pandemia, sia quelli che (ahiloro) non riescono
a godersi una pausa tra l’inverno e la primavera passati così
faticosamente e il nebuloso autunno che ci aspetterà tra
qualche settimana. Si tratta del Bonus di 600 euro diretto alle
partite IVA previsto dal Decreto Cura Italia. Esso era stato erogato senza particolari
requisiti: era sufficiente la titolarità di una partita IVA, indipendentemente dal reddito,
dall’effettivo calo di fatturato e/o dal patrimonio.

E quindi?

A quanto pare (ed era ampiamente prevedibile, data la discutibile assenza di requisiti
da parte della norma erogativa) si è verificato l’assalto alla diligenza: moltissimi
titolari di partite IVA, indipendentemente dal loro reddito, dall’effettivo calo di fatturato
subito, dal loro patrimonio, ne hanno fatto richiesta. Legittimamente: non erano
previsti particolari requisiti. Del resto, il bonus in questione era una misura d’urgenza,
non si è avuto tempo per pensare a una misura strutturale, ma si è realizzato in una
erogazione a pioggia di denaro che ha evangelicamente bagnato tutti, sia chi ne aveva
bisogno, sia chi no.

Così, durante questo fine settimana, una notizia pubblicata da un primario quotidiano
nazionale ha fatto emergere che tra coloro i quali hanno richiesto (e quindi ottenuto) il
suddetto bonus c’erano anche cinque parlamentari (cioè lo 0,54% dei membri del
Parlamento), già destinatari dei principeschi emolumenti legati al loro status.
Successivamente, si è scoperto che tra questi vi sono esponenti di principali forze
politiche che hanno fatto della fustigazione moralistica dei malcostumi degli
amministratori pubblici la loro linea politica. Poi, ancora, è emerso che tra i richiedenti
(e quindi recipienti) di tale sussidio vi sono molti altri soggetti che certo non fanno
fatica a tirare fino a fine mese.

Come in un crescendo rossiniano è montata la rabbia popolare contro siffatti


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comportamenti. Tuttavia, perché stupirsi?

Se da un lato diventa quasi banale affermare che il Parlamento è lo specchio del nostro
Paese, e quindi non è immune da condotte discutibili così diffuse nella società italiana,
dall’altro lato, emergono riflessioni più complesse che concernono il rapporto tra la
nostra società e i concetti di legalità, giustizia, equità, etica, morale e moralismo.

Partendo dalla circostanza che legalità, giustizia, equità, etica, morale e moralismo non
coincidono mai, ed è bene che sia così, perché è necessario che ciascun summenzionato
concetto se ne stia al suo specifico posto, tanto da un punto di vista filosofico quanto da
quello giuridico. In estrema sintesi, la legalità riguarda il rispetto delle leggi, la giustizia
la loro applicazione, l’equità la loro interpretazione, l’etica la loro formulazione, la
morale lo spirito appropriato con il quale il singolo consociato obbedisce a tali leggi. In
questa mia personale categorizzazione soltanto un concetto rimane orfano di un ruolo
ed è il moralismo. Cosa è il moralismo? Esso riguarda il tasso di (in)tolleranza con cui
giudichiamo i comportamenti altrui senza pensare a come poniamo in essere i nostri
comportamenti in circostanze analoghe.

Si può affermare che il moralismo è così fastidiosamente diffuso da ammantare ogni


avvenimento pubblico (e spesso pure privato) accaduto in questi ultimi anni: tutti
pronti a giudicare chiunque, spesso duramente, e a essere indulgenti con se stessi.

Adesso tiro le fila del mio discorso. Perché quest’ultimo scandalo estivo è
particolarmente fastidioso? Non certo per i 600 euro in più che diverse pasciute partite
IVA hanno sottratto alle casse pubbliche. Dal punto di vista contabile (e morale) non
sono differenti dalle enormi quantità di denaro sottratte alla annuale denuncia dei
redditi da parte di molte di esse, e quindi di tasse, e cioè di denaro pubblico destinato
alla erogazione dei servizi pubblici. Quindi dal (mio) punto di vista (concettuale) non c’è
differenza. Infatti, se si completasse una vera operazione di trasparenza tributaria si
scatenerebbe una rivolta. Chi ha una buona memoria, ricorderà che questo rischio quasi
si concretizzò nel 2008, quando un ministro delle finanze a fine mandato autorizzò la
pubblicazione delle denunce dei redditi di tutti i contribuenti italiani. Chi si ricorda
come andò a finire? Che le denunce dei redditi non sono più pubblicamente consultabili.

Ciò che irrita in questa storia di finti moralismi (e veri abusi) è che alla base di questo
scandalo sussiste il fatto che fosse legittimo richiedere il contributo, ma inopportuno
incassarlo da parte di chi non presentava situazioni di bisogno. Insomma, in assenza di
specifiche disposizioni normative, sarebbe stato necessario un comportamento di
autodisciplina morale, soprattutto da parte di esponenti che ricoprono incarichi politici
ovvero pubblici, specie da coloro che siedono in Parlamento dato che la ratio del
provvedimento stesso era chiara fin da subito: offrire un contributo a chi era rimasto
senza possibilità di lavorare per via del blocco generalizzato delle attività economiche.

Questa assenza di autodisciplina morale è presto diventata facile occasione di condanna


moralistica da parte dell’opinione pubblica, seguendo il filo della propaganda politica ai
fini di screditare la rappresentanza delle istituzioni a poche settimane dall’espletamento
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del referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

Infatti, a parere di chi scrive, questo scandalo rappresenta una mossa propagandistica
per veicolare un messaggio a pronta presa, ma profondamente errato. Esso consente la
confusione, in senso spregiativo, dell’istituzione parlamentare con i suoi rappresentanti,
poiché attraverso quest’ultimo scandalo raffigura il ruolo parlamentare come una
doppia fonte di spreco di denaro pubblico, nonostante i parlamentari coinvolti
sembrino essere una percentuale minima dei componenti dell’Emiciclo.

Infine, circostanza più preoccupante, collega concettualmente la riduzione del numero


dei parlamentari stessi all’abbassamento dei costi della politica, a detrimento della
rappresentanza democratica, quando si tratta di due piani concettuali indipendenti.
Tuttavia ancora nessuno ha chiarito all’opinione pubblica, così sollecitata da non
prestare neppure una minima attenzione su questo punto, quali saranno i costi che
dovrà pagare la rappresentanza democratica a favore di quella che si prospetta divenire
una oligarchia, con la riduzione dei suoi membri, ma senza alcuna certezza della
diminuzione dei suoi costi.

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