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A suo tempo Bruno Migliorini segnalò la relativa diffusione delle coppie avverbiali con un
solo -mente (tipo «quanto più breve e semplicemente ho potuto») nel fiorentino del Due-
cento, l’estenuarsi di questo modulo nel Trecento e il suo tornare di moda nell’italiano del
Cinquecento, per influsso del castigliano. In realtà il tipo «Ø e -mente», fin dalle origini
molto più raro del tipo «-mente e -mente», gode di una relativa fortuna già nell’italiano del
Quattrocento per influsso non del modello spagnolo ma di quello latino, che con tutta
probabilità ha determinato anche la contemporanea diffusione del tipo «Ø y -mente» nel
castigliano.
Giuseppe Patota, «Ø e -mente», «-mente e -mente», ZrP 126 (2010), 546Ð567.
* Grazie a Stefano Asperti, Luca Serianni, Elena Spandri, Francesco Stella, Stefano
Telve per l’aiuto, le osservazioni e i consigli; grazie a Filippo Orio per la realizzazione
del test «chi-quadro» e del test relativo agli «intervalli di confidenza».
1
I due esempi sono tratti dal Corpus del TLIO, interrogabile in rete per mezzo di
GATTOweb, la versione on line del software di GATTO.
DOI 10.1515/zrph.2010.046
«Ø e -mente», «-mente e -mente» 547
tutte le introduzioni allo studio delle lingue romanze; cf. Gasca Queirazza
1970, 109) Migliorini aggiunge delle ragioni funzionali e stilistiche, identifica-
bili nella tendenza a evitare la ripetizione della medesima desinenza in una
coppia d’avverbi (cf. Migliorini 1957, 148); successivamente lo studioso allega
un discreto numero di esempi del tipo «Ø e -mente» tratti da testi italiani che
vanno dal Duecento al Seicento, un esempio del Settecento e alcuni dell’Otto
e Novecento giustamente interpretati come arcaismi (cf. ib., 151). Riflettendo
sulla diversa densità delle allegazioni raccolte nei testi dei vari secoli (relativa-
mente numerose nel Duecento, rarissime nel Tre e nel Quattrocento e poi di
nuovo frequenti nel Cinquecento), Migliorini arriva a concludere che la se-
quenza «Ø e -mente», normale nel Duecento cosı̀ in italiano come in altre
lingue neolatine, da noi
«si estenua nel Trecento. E il fatto che non appaia nelle maggiori opere
letterarie di quel secolo toglie al costrutto la possibilità di rientrare nel-
l’uso, attraverso l’efficacia normativa di esse. Nella prima metà del Cin-
quecento le coppie ridotte tornano poi di moda», per influsso dell’ana-
logo uso spagnolo: «la somiglianza tra le due lingue è cosı̀ grande, e
cosı̀ forte in quell’età l’osmosi fra di esse, che la penetrazione dové
passare quasi inosservata, come il suggerimento di un vezzo stilistico.
Ma non a torto il Manzoni si servı̀ del costrutto nel Proemio dei Pro-
messi Sposi, in mezzo alle altre gale secentesche» (ib., 154).2
2
Il riferimento è al seguente passo del Proemio: «hauendo hauuto notitia di fatti
memorabili, se ben capitorno a gente meccaniche, e di piccol affare, mi accingo di
lasciarne memoria a Posteri, con far di tutto schietta e genuinamente il Racconto,
ouuero sia Relatione» (Manzoni 1971, 3).
3
Non ho esteso la ricerca alla lingua della poesia perché, da una rapida indagine
condotta su entrambi i corpora, ho ricavato che nei testi in versi la presenza di coppie
avverbiali di modo dell’una e dell’altra tipologia è pari a zero.
4
Come si segnala già in Karlsson (1981, 123), sia pure sulla base di un campione
meno ampio di testi di quello da me sottoposto a spoglio.
548 Giuseppe Patota
esempi utili. Questa presenza, di per sé rara, potrebbe ridursi ulteriormente
se tenessimo conto del fatto che tutte le coppie del primo tipo da me trovate
sono interpretabili anche (anche: non solo, e per questo le ho schedate) come
coordinazioni di un avverbio derivato per conversione da un aggettivo in -e
(dunque con forma unica per il maschile e il femminile) e di un avverbio in
-mente (per esempio: «quanto più breve e simplicemente ho potuto», Bono
Giamboni) ovvero come coordinazioni di un aggettivo predicativo in -e con
valore di avverbio (accordato col soggetto in genere e numero) e di un avver-
bio in -mente (per esempio: «fece la domanda sua ad Alexandro umile e dolce-
mente», Novellino; cf. Ricca (http://www.geocities.com/gpsalvi/konyv.avverbi.
doc) e Lonzi 2001, 374s.).
Nel Trecento il tipo «Ø e -mente» si fa ancora meno frequente: la sua inci-
denza si riduce al 3 % degli esempi utili (35 su 1181), e questa percentuale è
ancora più bassa se teniamo presente la restrizione appena segnalata (che
potrebbe applicarsi, ad esempio, alla sequenza «dolce e cortesemente parlare,
dolce e cortesemente servire e operare», Dante, Convivio). Più che l’«este-
nuarsi» del modulo, assai raro fin dalle origini, andrà dunque sottolineata la
sua totale assenza dalla prosa alta, in particolare da quella di Boccaccio: la
sequenza ridotta compare qualche volta in testi toscani e anche fiorentini
trecenteschi, ma non trova praticamente spazio nella prosa stilisticamente
rilevata.
Rispetto alla ricostruzione fatta da Migliorini, è obbligatorio retrodatare di
circa un secolo la relativa fortuna della sequenza «Ø e -mente»: scarsamente
presente nel Trecento, essa ricorre invece nei testi del Quattrocento in una
misura che supera non solo quella di due secoli prima, ma anche quella di un
secolo dopo. Nella prosa del XV secolo ho incontrato 42 esempi di «-mente e
-mente» e 42 esempi di «Ø e -mente», solo quattro dei quali sono interpretabili
come una sequenza coordinata formata da un avverbio derivato per conver-
sione da un aggettivo in -e (ovvero da un aggettivo predicativo in -e con valore
di avverbio) e da un avverbio in -mente. Anche sottraendo i 24 esempi di «Ø
e -mente» (e il singolo esempio dell’altro tipo di sequenza) dell’Hypnerotoma-
chia Poliphili Ð un testo che fa ovviamente storia a sé nelle complesse vi-
cende linguistiche, letterarie e culturali del Quattrocento, e per il quale la
presenza insistita del tipo «Ø e -mente» richiede una spiegazione a parte, o
quanto meno suppletiva Ð il rapporto fra la sequenza con taglio del primo
suffisso e la sequenza con i due suffissi conservati rimane di 18 a 41: in termini
percentuali, rispettivamente il 30,5 % e il 69,5 % del totale. In proporzione, la
presenza quattrocentesca del tipo col primo avverbio di modo ridotto è la più
alta che è dato di registrare, nei vari secoli, all’interno del nostro corpus. Nel
Cinquecento, infatti, i casi di «Ø e -mente» sono 55 (il 18,8 % del totale) e
quelli di «-mente e -mente» sono 237 (l’81,2 % del totale); nel Seicento la se-
quenza ridotta compare 21 volte (23,1 %) mentre quella piena è presente 70
volte (76,9 %). Dopo questo secolo, i rarissimi esempi del tipo «Ø e -mente»
che s’incontrano sono puri arcaismi, tentativi palesi di «andare contro cor-
«Ø e -mente», «-mente e -mente» 549
9
«In Classical Latin MENTE was the ablative singular of an independent noun ‘mind’
which at times formed an adverbial phrase with an adjective describing a mental
state, e. g., obstinata mente ‘in an obstinate state of mind’ or mente tranquilla ‘with
mind at peace’. In Late Latin the freedom of this syntactic device became more and
more reduced as its range of adjectives expanded beyond those describing a mental
state. The place of MENTE became fixed, after the adjective, and extraneous words
were no longer allowed to intervene. The lexical content of MENTE in such expres-
sions became progressively weaker and came to approximate ‘manner, way’. By the
Eighth Century an early Romance example establishes the complete reduction of
MENTE to a bound adverbial suffix» (Karlsson 1981, 2).
552 Giuseppe Patota
together» (ib., 101); e nei testi portoghesi in prosa del medesimo periodo i
rari casi di eliminazione del suffisso -mente dal primo di una coppia di avverbi
di modo consentono di concludere che «[i]t does not appear to have been the
rule in Old Portuguese that, where two adverbs in -mente were linked, -mente
was dropped from the first» (ib., 113). Interessano meno, ai fini della nostra
ricerca, gli esiti del provenzale, dell’aragonese antico e del catalano, in cui,
nei casi (non generali) di eliminazione del suffisso in coppie avverbiali di
modo, ad essere tagliato non è il primo, ma il secondo elemento della coppia
(cf. ib., 78Ð80, 109 e 102s.). Quanto all’italiano antico, Karlsson, fondandosi
sullo studio di Migliorini e arricchendolo di nuovi dati, conclude che
«[t]he dropping of -mente from all but the last in a series of adverbs,
whether an archaism surviving in popular speech from the time when
-mente was independent or, more probably, a learned innovation to
avoid the ponderousness of such multiple adverbs, was extremely rare
in the 13th c. and died out in the 14th. The construction returned to
fashion in the 16th and early 17th cc., which account for more than
half the examples collected by Migliorini. He believes that it was an
unconscious borrowing from the Spanish practice of dropping the first
-mente, normal in the 16th c. Considering the extent of the Spanish
presence in Italy in the 16th c. (the annexation of Milan and the King-
dom of Naples, hegemony over the rest of Italy, the sack of Rome, the
siege of Florence and the continual presence of the imperial troops of
Carlos Quinto), this explanation is entirely plausible» (ib., 123).
Non lo è più, però, se teniamo conto del fatto che il tipo «Ø e -mente», non
che tornare in voga nell’italiano scritto del XVI secolo, è frequente già in
quello del XV secolo.
C’è dell’altro. Dopo aver dimostrato, testi alla mano, che nel castigliano
«[t]he dropping of mente from all but the last adverb was a possibility [c.vo
mio] in the 13th and 14th c. but was no more common than keeping mente
on both or dropping it from the last» (ib., 102), Karlsson aggiunge:
«In the 15th the dropping of the first mente became the norm [. . .].
Although the introduction of the noun mente in this period has been
labeled a borrowing from Italian, this construction is not a literary inno-
vation of the Renaissance modeled on Italian, since such an option did
not exist in Italian at that time. It reappeared in the 16th c. as a borrow-
ing from Spanish, according to Migliorini 1957» (ib.).
latino come uno dei tanti aspetti del «verdadero aluvión» (Cano 2004, 649) di
latinismi che inondò lo spagnolo nel XV secolo. Epperò, poiché in questa
alluvione l’italiano ebbe spesso il ruolo di lingua intermedia di molti volgariz-
zamenti dal latino10 (volgarizzamenti, che come abbiamo visto, rappresentano
un locus minoris resistentiae all’ingresso del tipo «Ø e -mente» in italiano),
l’influsso dell’italiano sulla diffusione della sequenza ridotta nello spagnolo
può essere, sia pure indirettamente e solo per via d’ipotesi, recuperato.
Dopo il segmento quattrocentesco parzialmente comune, le vie dello spa-
gnolo e dell’italiano, in merito a questo tratto, si dividono. In Spagna la coppia
avverbiale con un solo -mente si stabilizza fino a diventare un tratto che carat-
terizza anche lo spagnolo attuale,11 in Italia si trasforma in una moda effimera,
probabilmente dipendente anche Ð anche, non solo Ð dal contemporaneo
influsso dello spagnolo. Perché in Italia il tipo «Ø e -mente» non si è grammati-
calizzato mentre in Spagna il tipo «Ø y -mente» si è grammaticalizzato? Per-
ché, come aveva già spiegato Migliorini, da noi la sequenza in questione era
assente dalla lingua letteraria del Trecento, il modello a cui i tutti i prosatori
italiani Ð chi più, chi meno Ð si sarebbero sentiti in dovere di rifarsi. Non sarà
da trascurare, in proposito, oltre che la collocazione prebembina, la posizione
linguisticamente eccentrica di Colonna e di Manerbi:12 ognuno dei due estre-
10
«En el siglo XV, se llevaron a cabo en España traducciones del latı́n, del italiano,
del francés y de los otros idiomas peninsular. En no pocos casos, una traducción o
romanceamiento de una obra latina se basaba en una versión intermedia en otro
idioma vulgar, sobre todo italiano» (Cano 2004, 651s.). I debiti che, in questo stesso
processo di scambio, ma in direzione opposta, la nostra lingua ha contratto con il
mondo iberico sono comunque più contenuti: cf. Romanini (2007, 386 e 395).
11
Cf., per esempio, Marcos Marı́n / Satorre Grau / Viejo Sánchez (1999, 260); Alar-
cos Llorach (1999, 161); Kovacci (1999, 708). La possibilità di separarsi dalla base
attraverso l’inserzione di un altro elemento è una delle caratteristiche che portano
Aspiazu Torres (1999Ð2000, 269Ð271) a proporre, per l’uscita -mente dello spagnolo,
la qualifica di semisuffisso, la stessa che i germanisti russi applicarono al formante
avverbiale del tedesco -weise, al quale la studiosa avvicina l’uscita dello spagnolo.
Collocandoci su questa linea, potremmo far esibire un’etichetta analoga anche al
-mente degli avverbi di modo dell’italiano. Di là dalla denominazione, ciò che importa
è appurare la specialità o non specialità dei continuatori romanzi del latino -MENTE:
il loro aggiungersi a un tema che coincide con la forma femminile dell’aggettivo sem-
brerebbe contravvenire all’Universale 28 di Greenberg, in forza del quale i processi
flessivi si applicano successivamente alla derivazione (cf. Greenberg 1966). Ricca
(2004, 480) obietta: «è poco plausibile [. . .] che in questo caso si possa parlare di
derivazione applicata alla flessione, perché, anche ammesso che abbia senso isolare
nell’avverbio un eventuale formante -a-, questo non veicola nella parola derivata alcun
contenuto morfologico o semantico collegabile al tratto ‹+femminile›, né tanto meno
la categoria flessiva del genere». Una siffatta riflessione teorica trae pieno sostegno
dalla storia delle lingue romanze: quando queste adottarono in modo generalizzato la
perifrasi «aggettivo femminile + succedanei di MENTE», furono i parlanti a non perce-
pire più il tratto «+femminile» in una sequenza ormai cristallizzata.
12
Non entro nel merito dell’ormai quarantennale disputa relativa all’identità del-
l’autore della Hypnerotomachia Poliphili, disputa che vede, come è noto, fronteg-
giarsi due tesi: da una parte quella di chi, come Mario Pozzi, ne ha sostenuto l’origine
554 Giuseppe Patota
veneta, e dall’altra quella di chi, come Maurizio Calvesi, lo ha identificato nel coevo
principe omonimo di Palestrina. Anche dopo aver letto il capitolo più recente di que-
sta discussione, e cioè Calvesi (2004), resto dell’idea che l’analisi linguistica che della
Hypnerotomachia ha offerto Mancini (1989) dimostra in modo non confutabile la
consonanza della lingua di questo testo «con la lingua della koinè letteraria propria
della documentazione quattrocentesca e protocinquecentesca in area settentrionale»
(ib., 34s.), una consonanza non intaccata dal fatto che le infiltrazioni vernacole sicura-
mente ascrivibili all’area veneta siano rarissime (cf. ib., 43).
13
È significativo, credo, che, nell’occuparsi della lingua di Manerbi, Marucci (1987,
VII) abbia sentito il bisogno di evocare, accanto al suo nome, quello di Colonna, pur
definendo un siffatto paragone «esagerato»; ed è altrettanto, se non più, significativo
che Mancini (1989, 30) abbia colto, nelle scelte linguistiche di Colonna, il tentativo di
«estremizzare una posizione in qualche modo ‹cortegiana›». Da una parte, in totale
accordo con quest’ultimo studioso, si può rilevare che lingua del Polifilo è assai meno
«inesistente» di quanto alcuni (per esempio Quondam 1983, 606) siano stati portati a
pensare; dall’altra, occorre ricordare che ormai gli studi di Drusi (1995), Giovanardi
(1998) e Ricci (1999) hanno dato alla lingua cortigiana una consistenza storica e geo-
grafica che le precedenti generazioni di studiosi non le avevano accordato.
14
Non ho trovato indicazioni utili in nessuno dei testi normativi cinquecenteschi
che seguono: Fortunio (2001; editio princeps 1516); Flaminio (1996; editio princeps
1521); Bembo (2001; editio princeps 1525); Liburnio (1526); Trissino (1986; editio
princeps 1529); Del Rosso (1545); Corso (1549); Giambullari (1986; editio princeps
1552); Dolce (2004; editio princeps 1562); Castelvetro (2004; editio princeps 1563);
Muzio (1995; editio princeps 1582); Salviati (1584Ð1586).
15
«Et nel volere usar due di questi Avverbij con questa terminatione, ò finimento,
s’usa spezzare il primo, et non metter la voce MENTE, se non all’ultimo, savia, et dotta-
mente, in cambio di saviamente, et dottamente» (Ruscelli 1581, 452).
16
Segnalo che l’argomento non è trattato in due grammatiche importanti e diffuse
come quella secentesca di Buommattei (2007) e quella settecentesca di Corticelli
(1745).
«Ø e -mente», «-mente e -mente» 555
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17
Scrive, per esempio, Gherardini (1845, 158) ricordato anche da Migliorini (1957,
153): «Dove concorrano in una stessa clausola due Avverbj con la desinenza in ente,
usano alcuni, per fugir l’ingrato suono che n’esce, di levar quella desinenza al primo,
imitando in tale artifizio li antichi Provenzali [. . .] e li Spagnuoli. Il Bàrtoli dice nel
libro del Non si può che ‹questa è una maniera d’innesto grammaticale che non tiene›.
E l’Amenta nelle Osservazioni la disapprova ancor egli, e si smarrisce in vanissime
ciance. Ma il fatto si è che, dicendo, v. gr., Umana e benignamente, in vece di Umana-
mente e benignamente, si viene a dire Con umana e benigna mente o maniera o
guisa; nè quindi da tal forma riceve pur ombra di offesa la ragion grammaticale. Ed
un sı̀ fatto innesto, come il Bàrtoli lo chiama, non che non tenga, ha fatto sı̀ buona
prova infin da’ primi tempi di nostra lingua, che dell’adottiva prole v’è quasi per tutto
una bellezza [. . .]. Del rimanente, s’io fossi richiesto della opinion mia circa lo adope-
rare una tal forma, la direi lodevole, purchè usata parcissimamente; ma stucchevole,
e perciò biasimevole, ovunque ella sia troppo spesseggiata». Le annotazioni di Gherar-
dini sono copiate alla lettera da Ambrosoli (1869, 174s.) e riprese in forma di citazione
da Moise (1878, 568s.).
556 Giuseppe Patota
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«Ø e -mente», «-mente e -mente» 557
Appendice I Ð Spogli18
P r o s a d e l D u e c e n t o (LIZ + TLIO)
Testi spogliati contenenti esempi utili: 25
Testi con «Ø e -mente»: 5
Testi con «-mente e -mente»: 23
Testi contenenti solo «Ø e -mente»: 2
Testi contenenti solo «-mente e -mente»: 20
Testi contenenti tutte e due le sequenze: 3
Ø e -mente: 6. In particolare: Restoro d’Arezzo, La composizione del mondo: 1
(«tutte le generazione de li animali che se puono pensare, in ogne atto, mirabile
e perfettamente sı̀, che passaro denanti a l’operazione de la natura»). Novellino: 1
(«fece la domanda sua ad Alexandro umile e dolcemente»). Tristano riccardiano:
1 («Grande e riccamente fanno li cavalieri di Kornovaglia e·ffannone grande fe-
sta»). B. Giamboni, Fiore di rettorica: 1 («recando colpevole e agramente tutte le
cose contro al suo avversario»). Id., Delle Storie contra i Pagani di Paolo Orosio
libri VII: 1 («quanto più breve e simplicemente ho potuto»).
-mente e -mente: 115. In particolare: B. Latini, La rettorica: 12. Restoro d’Arezzo,
La composizione del mondo: 1. Libro della natura degli animali: 1. Storie de
Troia e de Roma: 2. Andrea da Grosseto, Trattati morali di Albertano da Brescia
moralizzati: 27. Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperatori: 1. Statuti
fiorentini 1284: 7. Reggimento de’ principi di Egidio Romano: 26. B. Giamboni,
Fiore di rettorica: 1. Id., Delle Storie contra i Pagani di Paolo Orosio: 2. Id., Arte
della guerra di Vegezio Flavio volgarizzata: 2. Contratto in volgare bolognese: 1.
Statuti fiorentini 1297: 1. Statuti senesi 1298: 2. Statuti fiorentini 1298: 1. Que-
stioni filosofiche: 1. Leggenda di messer Gianni di Procida: 1. Matteo dei Libri,
Arringhe: 2. Tesoro di Brunetto Latini volgarizzato: 15. Bestiario toscano: 4. I
fatti di Cesare: 3. Navigatio Sancti Brendani: 1. Palamedés pisano: 1.
P r o s a d e l Tr e c e n t o (LIZ + TLIO)
Testi spogliati contenenti esempi utili: 165
Testi con «Ø e -mente»: 12
Testi con «-mente e -mente»: 161
Testi contenenti solo «Ø e -mente»: 4
Testi contenenti solo «-mente e -mente»: 153
Testi contenenti tutte e due le sequenze: 8
Ø e -mente: 35. In particolare: D. Alighieri, Convivio: 2 («dolce e cortesemente
parlare, dolce e cortesemente servire e operare»). Anonimo Romano, Cronica: 1
(«che potessino vivere onorata e ientilemente de loro frutto»). Cronica deli impe-
ratori romani: 1 («Questo driedo Augusto le fin del Romano Imperio lonzi e am-
plamente amplià»). P. Pieri, Cronica: 1 («Questo Ruggieri di Loria era molto stato
gran nemico de la Chiesa, et del Re Carlo, al quale ad prego della Reina et di
Don Jacomo Bonifazio, che allora era Papa, benigna et graziosamente perdonò»).
Statuti senesi 1305: 2 («debbiano stare e vivare con le loro mólli onestamente
e pacifica e discretamente»; «el Rettore del detto Spedale sia tenuto e debbia
secretamente e nascostamente e savia e discretamente amonire el peccatore»).
18
Poiché le attestazioni provengono da archivi elettronici, mi sono limitato a indi-
care il nome dell’autore e il titolo dell’opera da cui sono state tratte. Ho riportato per
esteso solo gli esempi con la sequenza «Ø e -mente», mentre degli esempi con la
sequenza «-mente e -mente» ho indicato solo il numero di occorrenze.
«Ø e -mente», «-mente e -mente» 559
P r o s a d e l Q u a t t r o c e n t o (LIZ + TLIO)
Testi spogliati contenenti esempi utili: 12
Testi con «Ø e -mente»: 6
Testi con «-mente e -mente»: 9
Testi contenenti solo «Ø e -mente»: 3
Testi contenenti solo «-mente e -mente»: 6
Testi contenenti tutte e due le sequenze: 3
Ø e -mente: 42. In particolare: N. Manerbi, Volgarizzamento della «Legenda au-
rea»: 6 («lo reprendé aspra e crudelmente»; «rispondendoli Valerio assai umana
e mansuetamente»; «possi più expedita e liberamente a Dio del cielo servire»; «da
quello umile e reverentemente fu adorato»; «disputante attenta e subtilissima-
mente»; «disputò diserta e mysticamente con Cesare»). G. Gherardi, Paradiso
degli Alberti: 1 («vegendola sı̀ lagrimosa e cordialmente sospirare»). Leonardo da
Vinci, Profezie: 1 («venderanno pubblica e pacificamente cose»). M. Salernitano,
Novellino: 1 («s’incominciò sı̀ fiera e vertuosamente ad operare»). La Bibbia vol-
gare, 1500: 10 («E leggerono nel libro della legge di Dio distinta e apertamente»;
«ch’ egli non dovesse fare cosı̀ feroce e barbaramente»; «quanto nullo di essa più
manifesta e cautosamente abbia scritto»; «Hanno impudica e disonestamente
usato con li giovencioli»; «confortò li suoi che combattessero ardita e fortemente»;
«amendue i popoli sciente e gravemente aver errato»; «elli hae parlato delle cose
future tanto distinta e ordinatamente»; «questo sarà legittimo sacrificio a Dio
continua e perpetualmente»; «non li lasciavano vivere pacifica e quietamente»;
«io mi confido che lui si porterà modesta e umanamente»). F. Colonna, Hypneroto-
machia Poliphili: 24 («breve et succinctamente io di puncto in puncto li narrai la
fuga del formidabile monstro»; «si io distincta et perfinitamente la sua praecipua
dignitate non havesse condignamente expresso»; «POLIA ANCORA INCOGNITA ALL’A-
MANTE POPHILIO GRATIOSA ET FACETAMENTE EL FA SECURO»; «copios<a> et piena-
mente potesse evadere»; «intenta et affectuosamente edocta»; «egli non renuente
ma patiente et mansuetamente inclinatose»; «ferma et evidentemente questa è la
mia tanto optatissima Polia»; «mala et infoelicemente reusita»; «havea intenta
et praecipuamente commemorato»; «Diciò gli ardenti vostri desiderii merita et
efficacemente se diffinirano»; «distracto et excessivo et foelice solatio et voluptico
placimine firma et stabilmente applicare»; «la sua obaurea caesarie amoena et
delicatamente compta»; «ad sé più harpylatica et mordacemente attraxe che le
anguinee thriche del polypo»; «nel suo gremio me amorosa et licentemente collo-
cai»; «Diqué, cusı̀ alacre et voluptuosamente ociante cum nympheo confabula-
mento per aliquantula mora, monstroronse molto»; «quantunche et confusa et in-
comptamente fringultiente»; «a quella dea pudica et mundamente famulavano»;
«che cose sono queste maledicte et furiabile che io real et apertamente i’vedo?»;
«emerita et condignamente redigere»; «di omni altro pensiero et extraneo cogitato
soluta, precipua et solamente ad gli sui fidi et dolati consiglii sequissima imita-
trice»; «quella dell’amoroso incendio il sicophanta Phoebo implectebondo per-
cosse dira et extremamente»; «io vedo repentina et inopinatamente fora ussire»;
«perita et aptamente»; «blandiendo lepida et dolcemente»).
-mente e -mente: 42. In particolare: Filippo degli Agazzari, Assempri: 2. N. Manerbi,
Volgarizzamento della «Legenda aurea»: 8. G. Morelli, Ricordi: 2. Bernardino da
Siena, Prediche senesi del 1427: 9. M. Ficino, El libro dell’Amore: 2. Lorenzo de’
Medici, Comento de’ miei sonetti: 3. F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili: 1. Ano-
nimo, La Bibbia volgare, 1500: 14. Leggende sacre del Magliab. XXXVIII, 110: 1.
562 Giuseppe Patota
è quel sottoinsieme della popolazione che viene effettivamente misurato e che forni-
sce i dati grezzi da analizzare (in questo caso il campione è costituito dai testi spo-
gliati contenenti esempi utili). L’obiettivo della presente analisi è quello di verificare
o meno l’effettiva presenza di un eccesso di «Ø e -mente» nei testi scritti in lingua
italiana del Quattrocento, del Cinquecento e del Seicento, rispetto al suo utilizzo negli
altri periodi considerati nello studio. A tale scopo si considera il rapporto tra le occor-
renze dei due tipi per ogni periodo campionato e si estrapola mediante regressione
lineare l’andamento atteso; viene quindi eseguito un test «chi-quadro» per verificare
l’incompatibilità dei dati misurati con tale andamento.
Il risultato del test viene tradotto in «p-value», una grandezza particolarmente co-
moda in àmbito statistico poiché corrisponde direttamente alla probabilità che la
differenza osservata sia un effetto del campionamento. Se p è maggiore del 5 %, la
differenza è detta non significativa, ovvero non è possibile affermare che sia reale;
se p ha un valore compreso tra l’1 % e il 5 % la differenza è detta significativa; se p
è invece compreso tra lo 0,1 % e l’1 % la differenza è molto significativa; per valori
ancora inferiori la differenza è estremamente significativa. Nel nostro caso il valore
di p ottenuto è pari a 2,87e-05 (notazione scientifica equivalente a 0,0000287); pertanto
è lecito sostenere che la differenza tra l’andamento atteso e l’andamento misurato è
reale e non è un effetto dovuto al campionamento: l’eccesso di «Ø e -mente» è estre-
mamente significativo. È stato inoltre eseguito il calcolo degli «intervalli di confi-
denza», che permettono un’ulteriore stima dell’eventuale compatibilità tra dati misu-
rati e dati reali. Propagando le varie incertezze di misura, viene costruito, intorno a
ogni singolo valore atteso, un intervallo all’interno del quale è contenuto il valore
reale con la certezza statistica del 99,9 %. La distanza tra i valori misurati e intervalli
di confidenza per Quattrocento e Cinquecento consente di confermare ulteriormente
la significatività dell’eccesso di «Ø e -mente» in questi due secoli.