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PSICOLOGIA DEI GRUPPI

INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DEI GRUPPI

Il termine gruppo (dal provenzale grop o dal germanico kroppe) rimanda


etimologicamente al nodo, matassa come intreccio fitto e inestricabile, e ad una
complessità da affrontare attraverso un approccio multidisciplinare.
Il gruppo si caratterizza per 3 elementi:
1. la dimensione multipersonale: è uno spazio intermedio tra l’individuale e il sociale,
che richiama condivisione e coesione e al tempo stesso diversità e competizione.

2. l’idea di circolarità: il superamento della logica lineare della dimensione individuale o


della dimensione duale.

3. l’ambivalenza innata: è sia luogo costitutivo della socialità umana, che qualcosa di
difficilmente pensabile e definibile in modo preciso.

Si distinguono 3 aree caratteristiche dei gruppi: sociale, familiare, scolastico.

I gruppi vengono utilizzati in vari ambiti: clinico, terapeutico, organizzativo, istituzionale.

Il problema principale intorno al gruppo verte intorno a due vertici:

- una non chiara definizione di SETTING

- una non chiara definizione degli OBIETTIVI e delle FINALITA’


Il risultato è l’ambiguità della natura del gruppo in quanto luogo del molteplice.

Per rispondere a questa molteplicità ed ambiguità del gruppo è necessario un


passaggio in cui l’oggetto di studio non è più l’individuo, ma il gruppo nel suo insieme:
da psicologia individuale (del profondo) a psicologia del gruppo caratterizzata da una
dimensione di molteplicità e dall'aggregazione di più soggetti.

Il gruppo rimanda alla tensione tra due spinte psichiche: condivisione-coesione


opposta a diversità-competizione: l’individuo è attratto dal gruppo, ne ha necessità per
la propria strutturazione identitaria e al contempo lo sente come minaccioso per la propria
differenziazione.

Il gruppo è, innanzitutto, un costrutto della mente come organizzazione mentale, un


processo di interrelazione, alla cui base vi è una LOGICA CIRCOLARE che intende

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l’individuo come essere in relazione. Di conseguenza, il centro di indagine diventa
l’aggregazione di più individui la quale rimanda un’idea di COMPLESSITA’.

Il GRUPPO è un incrocio di molteplicità e complessità, è il luogo della POLIS: uno spazio


di incontro e confronto plurale.

IL Gruppo come POLIS si caratterizza in quanto:


a. spazio di confronto plurale,
b. luogo di circolazione multidirezionale di idee, pensieri e fantasie
c. animato da una logica interpersonale e transgenerazionale

Se due o più individui si percepiscono tra di loro come legati da una relazione si è in
presenza di un gruppo.

Pensare in termini di gruppo significa pensare in termini di spazio plurale: il gruppo è


un luogo che costituisce la socialità, essenziale alla natura umana che è qualcosa di
difficilmente pensabile.

KAES (1976) - parla di impensabilità del gruppo causata dalla tendenza a definire le
relazioni sociali non in termini di gruppo ma in termini intersoggettivi.

Secondo KAES l’ambivalenza del gruppo è da ricercarsi nella DIMENSIONE


TOTALIZZANTE del gruppo che si esplicita nel conflitto tra:

a. la capacità del gruppo di definire l’identità del singolo,

b. la paura di perdere la propria individualità (ansia della fusionalità) nell’amalgama


indifferenziata del gruppo.

Lavorare con i gruppi è prima di tutto un problema di consapevolezza dell’esistenza di


una dimensione plurale e pluridimensionale e di referenti concettuali, oltre la
concezione della psicologia come scienza della singolarità/individualità.

Studi sul gruppo - si sono definiti su sentieri paralleli che si sono spesso incontrati e
intrecciati, vedi ad es.:

A. la concezione lewiniana di group as a whole che ha influenzato l’evoluzione dei


trattamenti terapeutici (anche di stampo psicoanalitico),

B. la distinzione bioniana tra gruppo di base e gruppo di lavoro utile


nell’identificazione dei meccanismi difensivi gruppali.

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Primi del ‘900 - PRATT conduce le prime esperienze di uso dei gruppi in campo
terapeutico nel trattamento di pazienti tubercolotici: osserva gli effetti benefici del gruppo
sul morale e sul decorso della malattia.

Queste prime applicazioni del gruppo si basano su un principio “ingenuo” di contagio


tra i pazienti ed evidenziano il valore di facilitazione socio-emotiva del gruppo anche se
non è il principale contesto di cura.

Anni Trenta-Quaranta - BURROW - psicoanalista americano tra i fondatori della


moderna terapia di gruppo è il primo ad utilizzare il gruppo in senso analitico.

Dagli anni ‘40 si assiste alla diffusione del gruppo in campo analitico attraverso tre
modalità:

• l’analisi in gruppo (analisi freudiana)


• l’analisi di gruppo (analisi bioniana)
• l’analisi mediante il gruppo (gruppoanalisi).

Il gruppo e la massa nel modello freudiano

FREUD basa la sua elaborazione dei concetti di gruppo e massa sul lavoro di G. LE
BON - 1885 - Psicologia delle folle: secondo il quale l’individuo nella massa
regredisce ad uno stato primitivo, da tre punti di vista:

a. psicologico (assimilabile alla follia),

b. evolutivo (simile a quello infantile),

c. culturale (simile a quella dei popoli meno evoluti).

La MASSA corrisponde alla perdita dell’individualità e regressione ad uno stato


primitivo animale a servizio della massa, a differenza dei piccoli gruppi dove il singolo
viene riconosciuto.

FREUD non ha approfondito il concetto di gruppo, anche se nelle sue elaborazioni si


trovano riferimenti sia alla natura delle relazioni in gruppo che alle modificazioni del
funzionamento psichico dell’individuo in contesti di gruppo o di massa

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Nel modello psicoanalitico freudiano individuo e gruppo costituiscono una dicotomia:

1. l’individuo riveste una posizione di priorità => gli individui vengo prima e dopo
formano un gruppo.

2. Il riunirsi in gruppo comporta una una contaminazione dell’essere dell’individuo, che


può assumere anche un carattere radicale.

L’”irruzione” del sociale nella vita psichica degli individui avviene tra il terzo e il
quinto anno di vita, a seguito della fase del complesso edipico (desiderio di amore
verso la madre-ostacolo della figura del padre-rinuncia da parte del bambino) che esita
nella costituzione del Super-Io con l’interiorizzazione delle regole e norme sociali,
rappresentate a livello simbolico dal padre e dal suo divieto di fusionalità madre-figlio.

Lo sviluppo del bambino è legato esclusivamente all’interazione con la figura di


accudimento primaria, mentre è assente la sfera sociale che si presenta verso i 4/5
anni di età. La dimensione sociale dell’individuo ed il conflitto che ne scaturisce
(interno vs esterno, desiderio vs realtà, pulsioni dell’Es vs vincoli morali del Super-Io),
sono, pertanto, fenomeni “tardivi”.

FREUD spiega la dicotomia individuo-gruppo e la preminenza dell’individuo sulla


base della teoria delle 5 fasi dello sviluppo psico-sessuale del bambino: orale, anale,
fallica, di latenza, genitale.

Altri modelli psicoanalitici (M. KLEIN o R. SPITZ), ipotizzano che la formazione delle
istanze dell’Io e del super-Io avvenga nelle primissime fasi dello sviluppo, introducendo
l’idea che il sociale influisce sulla costituzione della psiche del bambino in una fase
precoce.

Freud analizza i concetti dI società, massa e gruppo nei saggi:


- Totem e tabù (1913),

- Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921)

- Il disagio della civiltà (1929).

- Introduzione alla psicoanalisi (1932)

In tali testi sviluppa due visioni sulla pulsione aggressiva dei gruppi:

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a. Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) - l’aggressività origina da ciò che è
diverso, da ciò che differenzia il me dal non-me, instaurando una profonda
connessione tra individuo e gruppo, aspetto studiato dal modello psicoanalitico
relazionale.

b. Il disagio della civiltà (1929) - nei gruppi la pulsione aggressiva – originariamente


autodiretta – viene stornata verso l’esterno, verso coloro che non appartengono al
gruppo: la pulsione proviene dall’interno e la differenza dentro/fuori gruppo serve
a identificare verso chi dirigere le pulsioni distruttive.

In Introduzione alla psicoanalisi (1932) Freud descrive la massa come “un’unione di


singoli che hanno assunto nel loro Super-io la medesima persona e si sono identificati l’un
l’altro nel proprio Io, in base a questo elemento comune” (Freud, 1932).

Per FREUD la contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle


masse non è rigida: nella vita psichica del singolo l’altro è sempre presente come
modello, oggetto, soccorritore, nemico, pertanto, la psicologia individuale è psicologia
sociale.

MODULO 2 – IL GRUPPO E LA SOCIETA’: GRUPPI FAMILIARI E GRUPPI SOCIALI

2.1 CARATTERISTICHE DEL GRUPPO FAMILIARE: LA FAMIGLIA COME GRUPPO


PRIMARIO

La famiglia svolge funzioni fondamentali per l’essere umano:

- sessuale

- riproduttiva

- educativa

- economica

Il COMPITO della famiglia è l’assolvimento di compiti intergenerazionali, in cui la


gestione del potere è condivisa tra alcuni membri a seconda dei ruoli e della posizione
che occupano.

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La FAMIGLIA ha una dimensione storico-sociale: si tratta di un piccolo gruppo con
storia, il cui aspetto distintivo è il condividere una storia condivisa che viene dal passato e
da legami che si estendono nel futuro.

FAMIGLIA come GRUPPO PRIMARIO: gruppo naturale che regola le relazioni dei suoi
componenti rispetto agli stimoli che consentono al singolo di significare e qualificare
l’esperienza, come stare nei rapporti e dare senso agli eventi.

FAMIGLIA rappresenta:
- gruppo/sistema sociale in miniatura
- come piccolo gruppo è l’esempio più significativo dei gruppi naturali

- rappresenta il setting naturale per eccellenza: è il gruppo primario, la forma sociale


primaria che garantisce processi generativi e biologici, psicologici, sociali e
culturali.

LA TEORIA STRUTTURALE FAMILIARE - MINUCHIN

S. MINUCHIN - uno dei padri fondatori della psicoterapia familiare, cerca di curare
l’individuo a partire dal suo contesto sociale, cercando di modificare l’organizzazione
interna della famiglia: col mutare della struttura familiare cambiano anche le posizioni
dei componenti e così possono cambiare le esperienze di ciascun individuo.

Famiglie e terapia della famiglia - 1976, libro manifesto in cui viene definita la teoria
strutturale familiare. Per MINUCHIN il lavoro terapeutico non deve basarsi su
interpretazioni, intellettualizzazioni o aspetti astratti, ma deve essere fruibile da tutti e
pone al centro le dinamiche familiari.

Per MINUCHIN la vita psichica non si riduce all’individuo ma coinvolge ed è


influenzata dal contesto e dai gruppi sociali, prima fra tutti la famiglia d’origine.

La famiglia si delinea come fattore significativo del processo evolutivo, gruppo


naturale che regola le reazioni dei suoi componenti significando e qualificando
l’esperienza, influenzando i membri mediante i copioni di cui è portatrice e si definisce
sulla base di senso di appartenenza ed aspetti gerarchico-organizzativi.

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Per MINUCHIN la famiglia è un “laboratorio” dove ciascun membro costruisce il proprio
senso di identità, sulla base di due poli opposti: senso di appartenenza e senso di
differenziazione.
La MATRICE FAMILIARE è il luogo in cui questi due aspetti si mescolano tra loro, il
luogo in cui il singolo fonda la sua identità:
1. senso di appartenenza - si forma da bambino con:

• il graduale adattamento al gruppo familiare mediante i meccanismi di


identificazione
• l’appropriarsi dei modelli transazionali, relazionali e culturali mediante i quali si
costruisce l’identità soggettiva.

2. il senso di differenziazione (la costituzione dell’individualità) si forma con la


partecipazione ai sottosistemi familiari e ai gruppi extra-familiari.

Processo di differenziazione

Per differenziarsi, ogni individuo deve accrescere e delimitare un proprio spazio


personale, definendo un'identità propria.

Il processo di differenziazione prevede che l’individuo in momenti evolutivi diversi e con


persone differenti può apprendere e sperimentare nuove modalità relazionali che gli
consentono di modificare le funzioni (ruoli), apprese e svolte nei sottosistemi familari,
senza perdere il senso di appartenenza (Andolfi, et. al., 1982).

Nel processo di differenziazione la FAMIGLIA può svolgere due funzioni opposte:

a. promotore di sviluppo: facilitare l’assunzione di un ruolo adulto e autonomo,

b. inibitore di sviluppo: rendere difficile il processo di differenziazione e l’autonomia.

Sistema-famiglia

Per MINUCHIN la FAMIGLIA è un sistema socio-culturale aperto, che si autogoverna,


in costante trasformazione e con propri confini interni ed esterni: è l’insieme di richieste
funzionali che determina i modi in cui i componenti della famiglia interagiscono.

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All'interno della famiglia, ciascun componente (Andolfi, et. al., 1982):
- occupa un preciso posto e svolge una determinata funzione per età, sesso, ruolo
sociale

- ha sentimenti, emozioni, idee personali


- risente della vita dell'altro, della sua crescita e dei problemi che deve affrontare

Il buon funzionamento del sistema-famiglia viene garantito dalla


COMPLEMENTARIETA’, determinata dall’assunzione di ruoli e funzioni dei suoi
membri.

Per MINUCHIN nella famiglia ogni membro deve svolgere un determinato ruolo ed
assolvere ad una specifica funzione.

Le caratteristiche di un determinato ruolo e le caratteristiche individuali diventano


funzionali e complementari al sistema e ne permettono il buon funzionamento: il
cambiamento di un'unità è seguito o preceduto da cambiamenti delle altre unità del
sistema (Andolfi, 1982).

Modelli familiari transazionali

La famiglia è un sistema sociale e culturale aperto suscettibile a trasformazioni ed


adattamenti che favoriscono lo sviluppo psichico e sociale dei suoi membri.

La famiglia opera mediante modelli transazionali che regolano il comportamento dei


membri e che sono mantenuti attivi da due sistemi di costrizione:

1. generale: le regole universali dell’organizzazione familiare (gerarchia di poteri, i diversi


livelli di autorità);

2. specifico: le aspettative dei singoli componenti della famiglia.

I modelli familiari transazionali:


- permangono nel tempo
- sono oggetto di adattamento e di efficienza funzionale.

- sono simili ai meccanismi di assimilazione e accomodamento del modello dello


sviluppo del bambino di Piaget: riguardano la possibilità di assorbire qualcosa di
nuovo o di modificarsi mediante l’integrazione di schemi/input nuovi.

Il sistema famiglia:

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1. tende ad essere conservativo: mantiene i modelli preferiti per conservare se
stesso, facendo resistenza ai cambiamenti, percepiti come minaccia.

2. deve possedere dei modelli transazionali alternativi per essere capace di


adattamento, così da far fronte ai cambiamenti interni ed esterni e trasformarsi
senza perdere lo schema organizzativo che garantisce continuità strutturale.

Modello strutturale della famiglia

Per MINUCHIN ogni famiglia ha una sua struttura gerarchicamente definita e stabilisce i
ruoli e i confini di potere tra le generazioni.

Una gerarchia generazionale solida è fondamentale per il buon funzionamento familiare.


I sintomi sono segno di uno sbilanciamento della struttura familiare: i confini e le
gerarchie generazionali sono sovvertite da alleanze transgenerazionali di potere.

MINUCHIN individua dei sottosistemi che raggruppano i membri per funzioni o


caratteristiche:
A. gli individui sono sottosistemi di una famiglia.
B. Le stesse persone possono appartenere a sottosistemi differenti con diversi gradi
di potere e funzioni:
1. la coppia di coniugi è un sottosistema distinto dalla coppia dei genitori e
composto dalle stesse persone. La funzione del sottosistema coniugale è di
scambio e sostegno emotivo-affettivo coniugale. La funzioni del sottosistema
genitoriale è di accudimento e impegno nell’educazione dei figli.
2. il sottosistema dei fratelli permette ai figli di:

- sperimentarsi nelle relazioni tra pari


- imparare a negoziare, cooperare e competere.
C. I sottosistemi sono delimitati tra loro da confini:

- regole che definiscono chi appartiene ad un determinato sistema


- differenziano i sottosistemi rispetto a funzioni e ruoli.
D. L’insieme dei confini definisce la struttura familiare.

La FAMIGLIA si caratterizza per due dimensioni strutturali fondamentali:

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1. la gerarchia generazionale, le regole che stabiliscono i livelli di potere decisionale
di ciascun sottosistema;

2. i confini tra i sottosistemi, le regole che definiscono ciascun sottosistema e lo


differenziano dagli altri; i confini per essere funzionali devono essere chiari, distinti e
flessibili: adattabili alle esigenze funzionali della famiglia.

Capacità e libertà dei sottosistemi


Ciascun membro di un sottosistema sviluppa le proprie capacità se non subisce
l’interferenza di altri sottosistemi: un bambino acquisisce capacità di negoziazione
all’interno del sottosistema fratelli, se non vi è interferenza dei genitori.

Definizione dei confini tra sottosistemi


I confini tra i sottosistemi devono essere chiari, definiti e flessibili.

La definizione dei confini permette ai membri di ciascun sottosistema di:

1. esercitare le proprie funzioni senza interferenze da parte di altri sottosistemi,


2. mantenere un contatto tra i componenti del proprio sottosistema e degli altri.

La chiarezza dei confini tra sottosistemi è il parametro fondamentale per la


valutazione del funzionamento della famiglia.

I CONFINI tra sottosistemi possono essere collocati lungo un continuum: rigidi - chiari
- diffusi:
A. CHIARI - Famiglie funzionali = permettono ai membri di:

- esercitare le proprie funzioni senza interferenze

- entrare in contatto l’uno con l’altro.

B. RIGIDI E IMPENETRABILI - Famiglie disimpegnate =

- sottosistemi eccessivamente separati tra di loro;

- comunicazione difficile, a livello di informazione e di scambio emotivo.

- Famiglia poco strutturata, minimi legami emotivi, scarse gerarchie e forti


connessioni con l’esterno.
- Nelle situazioni patologiche, il sintomo viene utilizzato come modalità per
informare la famiglia del malessere.

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- L’autonomia è solo esibita: è una falsa indipendenza; i membri sono incapaci di
sentimenti di lealtà e di appartenenza: l'individuo non ha potuto sperimentare la
dipendenza per poter maturare senso di autonomia personale (Gambini, 2007).

C. INTERNI DIFFUSI Vs ESTERNI CHIUSI - Famiglie invischiate =


- estrema intensità emotiva tra i membri,

- minima differenziazione tra i sottosistemi: i componenti sono intrusivi e poco


rispettosi dei pensieri e sentimenti altrui.
- La famiglia si rapporta con l’esterno in modo centripeto: chiusa, vissuta come un
piccolo mondo in cui rifugiarsi (Gambini, 2007).

- famiglia psicosomatica

Di fronte al cambiamento, le tipologie invischiate (confini diffusi) e disimpegnate


(confini rigidi) reagiscono in maniera non funzionale:

- famiglia invischiata risponde con eccessiva velocità e intensità (ANSIA),

- famiglia disimpegnata tende a non rispondere completamente (DISTACCO


EMOTIVO).

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Famiglia psicosomatica (famiglia invischiata) - MINUCHIN

Tipo di famiglia invischiata, caratterizzata da quattro modelli di interazione


disfunzionale tra membri: invischiamento, iperprotettività, evitamento, rigidità.
A. Invischiamento:
• tendenza a manifestare intrusioni nei pensieri, sentimenti, azioni e comunicazioni
degli altri.

• labilità dei confini tra individui e tra sottosistemi generazionali e confusione


delle funzioni e dei ruoli: mancanza di autonomia e di spazi personali

• I processi di autonomia e individuazione sono gravemente compromessi.

B. Iperprotettività:

• tendenza a manifestare preoccupazione, sollecitudine e interesse reciproco


specialmente per il benessere fisico.

• preoccupazione e atteggiamento protettivo hanno la funzione di nascondere


ogni altro problema percepito come troppo difficile da affrontare. In particolare, di
fronte al sintomo si attiva la mobilitazione di tutta la famiglia.

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• Evitamento del conflitto:

• tendenza ad evitare conflittualità o disaccordo;

• il paziente designato richiama su di sé l’attenzione di tutti per diminuire il senso di


minaccia e coprire il conflitto.
• il sintomo del paziente, diventa il catalizzatore su cui si modulano le relazioni della
famiglia.
• Rigidità:
• tendenza a ripetere le stesse regole di relazione, difficoltà ad accettare processi di
trasformazione e bisogno di tutelare un fragile equilibrio cristallizzato.

• Caratteristica è l’inibizione dell’espressione delle emozioni soprattutto quelle


legate ad eventi dolorosi.

• I membri si controllano reciprocamente, ognuno è immobilizzato nella propria


posizione, nel proprio ruolo: i legami non avvicinano senza esplodere e le distanze
vengono vissute come minaccia per l’unità familiare.

• L’immagine delle famiglie rigide delle anoressiche è quella di famiglie armoniose e


unite, in cui l’unico problema è la malattia della paziente.

SPECIFICITA’ DEL MODELLO SISTEMICO-FAMILIARE

I teorici sistemico-familiari introducono un cambiamento di prospettiva nell’analisi


delle dinamiche psichiche per cui l’oggetto di osservazione non è più l’individuo ma
una triade di individui che determinano un’interazione di circolarità definita
RELAZIONE CIRCOLARE TRIADICA che è l’unità di osservazione di base dei gruppi
familiari.

La famiglia viene vista come un sistema circolare di causazione reciproca in cui non
esiste un inizio e una fine, una causa e un effetto ma solo un insieme di reciproche
influenze tra variabili:

A. il CONCETTI DI TRIANGOLO oltrepassa la diade della relazione lineare causa-effetto


e pone il focus sulla relazione dei 3 membri che diventano sistemi i cui effetti sono
in reciproca interazione circolare.

B. l’inclusione del “terzo”, amplia il focus d’osservazione e permette di comprendere


il funzionamento del sistema familiare e le soggettività dei componenti.

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BOWEN - Triangolo Emotivo / Relazione Circolare Triadica

BOWEN approfondisce il concetto di triangolo: “il modo in cui si organizzano le forze


emotive di ogni sistema relazionale” (1979) a partire dai suoi studi sulla schizofrenia
in cui nota a livello relazionale-sistemico la presenza di ruoli stereotipati e relazioni ridotte:
questo lo porterà a comprendere che la salute mentale è connessa al grado di
differenziazione dell’individuo.

Il triangolo emotivo è l’elemento base che struttura la famiglia, intesa come un


sistema emotivo relazionale:

• ogni famiglia è formata da una serie di triangoli interconnessi: le dinamiche


relazionali a tre che svelano il funzionamento di tutto il sistema-famiglia.

• osservando i triangoli relazionali, sui quali si strutturano le dinamiche familiari, si può


comprendere le soggettività dei componenti della famiglia.

• il lavoro terapeutico consiste nello scorporare le relazioni familiari in una serie di


relazioni triangolari che consentono di osservare la relazione dei tre membri.

Il TRIANGOLO è una modalità che consente di leggere il gruppo e quelle che sono le
relazioni tra i membri.

Obiettivo delle terapia è sostenere il processo di differenziazione: aiutare l’individuo a


differenziarsi dalla massa indifferenziata dell’IO FAMILIARE presente in ciascuno di
noi: una forma di attaccamento familiare, un legame emotivo all’interno della rete
familiare tra i vari membri e le varie generazioni, presente in ciascun individuo.

Il concetto di triangolo è collegato alla nozione di TRIANGOLAZIONE che riguarda le


dinamiche relazionali all’interno dei triangoli emotivi (Andolfi, 2009):
La triangolazione consente di deviare su un terzo la tensione emotiva di una diade:

1. è un processo naturale e funzionale che modula la reattività emotiva del sistema


familiare (Loriedo, Picardi, 2000).

2. si forma a partire dall’ansia sistemica, equivalente al grado di attaccamento


emotivo non risolto di una famiglia, di due persone che coinvolgono nella dinamica

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relazionale un terzo personaggio per mantenere un livello di differenziazione che
permetta di conservare una relazione stabile.

3. La triangolazione stabile e rigida, compromette il funzionamento psicologico del


soggetto triangolato:

A. intralcia la sua emancipazione emotiva


B. favorisce l’insorgenza di problematiche sintomatologiche
C. è una forza opposta alla differenziazione e individuazione del sé

Pertanto, è fondamentale la DETRIANGOLAZIONE: la “capacità di restare nel


triangolo senza farsi triangolare”, mantenere un contatto emotivo con le parti del
triangolo, senza farsi coinvolgere da uno dei due membri coinvolti nel conflitto stesso.

La conoscenza dei triangoli e del loro funzionamento è l’unica possibilità per


comprendere e modificare il funzionamento del sistema familiare, favorendo il processo
emancipativo del soggetto.

Esempio di triangolazione => la proiezione del conflitto coniugale sul figlio:

- il figlio viene triangolato in maniera continuativa dalla diade coniugale che lo utilizza
per deviare una propria conflittualità;

- il figlio, i cui movimenti verso l’autonomia emotiva vengono impediti dalla diade
genitoriale, esprime tale “incastro” con comportamenti sintomatologici di sofferenza
emotiva.

La TRIANGOLAZIONE - Il contributo di S. MINUCHIN

MINUCHIN intende la triangolazione come disfunzionale e strutturale, è l’esito della


deviazione di un conflitto presente in un sottosistema su un altro ed è causata da una
disfunzione dei confini e delle gerarchie generazionali del sistema familiare.

Nella triangolazione si hanno:

- sbilanciamento di potere tra generazioni, e il non riconoscimento dell’autorità del


sottosistema genitoriale,

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- confini invischiati tra i sottosistemi che fa si che questo “spostamento strutturale”
diventi una modalità triadica rigida, compromettendo il funzionamento del sistema
familiare.

La TRIADE RIGIDA è una configurazione disfunzionale nella quale:

- il confine tra il sottosistema genitoriale e figlio è diffuso,

- il confine intorno alla triade genitori-figlio è eccessivamente rigido

MINUCHIN individua 3 tipi di triade rigida:

- coalizione genitore-figlio,

- triangolazione

- deviazione.

1. COALIZIONE GENITORE-FIGLIO: configurazione disfunzionale in cui l’unione tra


due persone è a danno di un terzo.

- l’interesse comune tra i due membri coalizzati è il tentativo di recare danno ad


un altro: non è un rapporto autentico ma è sempre strumentale.

- Le coalizioni sono frequenti nelle famiglie separate: si osserva una coalizione


madre-figlio che esclude il padre o, più raramente viceversa.

- una forma di coalizione è l’alleanza transgenerazionale: un triangolo perverso


genitore-figlio a discapito dell’altro genitore.
- Si differenzia dall’alleanza, una configurazione funzionale nella quale si ha:

- rispetto delle relazioni generazionali e dei confini interni ed esterni,

- unione tra due o più individui finalizzata al raggiungimento di un determinato


scopo.

2. TRIANGOLAZIONE: Struttura altamente disfunzionale, coalizione instabile in cui


il figlio rimane come paralizzato, ciascun genitore esige che il figlio parteggi per lui
contro l’altro; quando il figlio si schiera con un genitore, l’altro sente la sua presa di
posizione come un tradimento/attacco.

3. DEVIAZIONE: i genitori spostano il conflitto sul figlio-capro espiatorio

- il conflitto non è esplicitato per cui non è possibile negoziarlo e risolverlo,

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- il sottosistema coniugale mantiene un’apparente armonia.

- La deviazione può assumere:

- forma di attacco, se il comportamento del figlio è considerato distruttivo; i


genitori si uniscono per combatterlo e controllarlo;

- forma di appoggio, se il figlio viene definito bisognoso di aiuto; i genitori si


associano per proteggerlo, come avviene nelle famiglie psicosomatiche:
paziente designato.

J. HALEY - il TRIANGOLO PERVERSO nelle famiglie psicosomatiche

Nelle famiglie con un membro sintomatico è frequente una particolare struttura


triadica: il triangolo perverso o COALIZIONE INTERGENERAZIONALE.

“Verso una teoria dei sistemi patologici” (1977), sono descritte le caratteristiche del
triangolo perverso:

1. le persone del triangolo non sono pari: occupano livelli differenti nella gerarchia di
potere;

2. la persona di una generazione forma una coalizione con la persona di un’altra


generazione contro il proprio pari:

3. si sviluppa un processo di azione congiunta e mirata contro un terzo;


4. la coalizione è negata e dissimulata a livello metacomunicazionale.
5. La caratteristica perversa è nel fatto che la separazione tra le generazioni è
scavalcata e negata: si crea una confusione e una spaccatura nella barriera
intergenerazionale, con perversione e confusione dei ruoli

Il triangolo perverso è la massima espressione dell’alleanza transgenerazionale


(MINUCHIN): una coalizione genitore-figlio a discapito dell’altro genitore:
- l’autorità del genitore bersaglio viene minata,

- l’autorità del genitore coalizzato è condizionata dal sostegno del figlio.

La coalizione transgenerazionale può favorire l’emergere di conflitti di lealtà, quando i


membri della coalizione devono ottemperare ad obblighi diversi a differenti livelli
gerarchici del sistema per cui il figlio coalizzato può trovarsi in una situazione insostenibile
dal punto di vista psicologico e manifestare il comportamento sintomatico come
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tentativo di non scegliere, di deviazione per non prendere posizione, di non definire la
relazione.

Il gruppo di Milano - IMBROGLIO - ISTIGAZIONE

Il gruppo di Milano (Selvini Palazzoli, Boscolo, Cecchin, Prata), ha evidenziato due


dinamiche triangolari disfunzionali, l’imbroglio e l’istigazione, presenti nei “giochi
psicotici”, caratterizzate da:
- coinvolgimento del paziente nella relazione della coppia genitoriale

- coalizione con un genitore contro l’altro

Il gruppo di Milano, per descrivere le dinamiche delle famiglie con un membro psicotico,
ha utilizzato la metafora del gioco, per descrivere l’organizzazione relazionale
interattiva della famiglia, costituitasi nel tempo.

I giochi caratterizzano sia le famiglie patologiche che quelle non patologiche: ciò che
le differenzia sono le caratteristiche dei giochi.

I giochi delle famiglie psicotiche, sono “sporchi”, in quanto gli scopi vengono occultati
e negati con due manovre: l’istigazione e l’imbroglio:

A. IMBROGLIO: uno dei genitori coinvolge e strumentalizza il figlio, all’interno della


sua occulta contesa con il coniuge; è una tattica comportamentale caratterizzata
dall’ostentare come privilegiata la relazione con il figlio, ma che non è affettivamente
autentica: è una strategia strumentale contro il partner.

B. ISTIGAZIONE: processo interattivo in divenire: un membro della triade viene


spinto in modo occulto ad agire al posto dell’altro, per poi vedersi negare
l’alleanza quando il gioco viene scoperto. Ne deriva senso del tradimento che è
alla base della sintomatologia. L’istigazione deve essere letta in una prospettiva
triadica: qualcuno istiga un altro contro un terzo a manifestare il comportamento che
vorrebbe manifestare lui stesso.

Il triangolo come evento normativo: il TRIANGOLO PRIMARIO

FIVAZ-DEPEURSINGE e CORBOZ-WARNERY (2000) - il triangolo primario

17
La triangolazione, in ambito psicodinamico e sistemico-familiare, è sempre collegata
a dinamiche relazionali patologiche e disfunzionali:
- nel modello psicodinamico fa riferimento all’esperienza edipica del bambino di essere
escluso dalla relazione dei genitori, madre-padre-figlio.

- nel modello sistemico fa riferimento al processo disfunzionale in cui il bambino viene


preso nella relazione conflittuale dei genitori al fine di deviarne la tensione.

FIVAZ-DEPEURSINGE e CORBOZ-WARNERY propongono il concetto di TRIANGOLO


PRIMARIO o triangolazione normativa: una triangolazione funzionale “in cui i
genitori si alleano in favore del bambino, stabilendo una leadership parentale
collaborativa, per favorire lo sviluppo psicosociale” del figlio.

Tale concettualizzazione:
A. ribalta le teorie evolutive e psicoanalitiche classiche, secondo le quali le
interazioni triadiche sono il culmine di una sequenza che inizia con le relazioni
diadiche madre-bambino,

B. dimostra l’esistenza di un triangolo primario: una competenza interattiva triadica


innata che lega da subito i genitori e il bambino reciprocamente.

Le interazioni a livello del triangolo primario incidono:

- sullo sviluppo psicosociale del bambino

- sulle dinamiche del sistema familiare nel suo complesso.

La struttura familiare che funziona implica una forte alleanza coniugale e parentale,
come sostiene Minuchin.

La struttura familiare che non funziona implica una forte coalizione


transgenerazionale come evidenziato nel triangolo perverso da Haley.

LTP - Lausanne Trilogue Play (1999) - Fivaz-Depeursinge e Corboz-Warnery


• Strumento di assessment delle dinamiche del triangolo primario.

• consente l’osservazione sistematica delle interazioni nella relazione triadica padre -


madre - bambino.

• L’obiettivo del LTP permettere ai componenti della famiglia di raggiungere la


condivisione sul piano intersoggettivo

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• Il LTP prevede 4 situazioni-tipo:

1. uno dei due genitori gioca con il bambino, l’altro è solo presente;

2. avviene uno scambio di ruoli tra i genitori


3. i tre membri della famiglia giocano insieme;

4. i genitori interagiscono tra di loro senza coinvolgere il bambino.

• La famiglia è lasciata libera di decidere la durata del gioco e quando passare da una
fase all’altra.
Attraverso le quattro situazioni-tipo si vuole indagare:

• la capacità di regolazione affettiva,


• la condivisione
• la responsività empatica.

Per raggiungere lo scopo triadico i membri della famiglia devono soddisfare tre funzioni
interrelate: partecipazione, organizzazione e focalizzazione che compongono il grado di
coordinazione.

• Sulla base del grado di coordinazione le relazioni nella famiglia sono descritte in
termini di “alleanza familiare”:
- + le interazioni sono coordinate, + l’alleanza familiare è funzionale = promuove
lo sviluppo socio-emotivo del bambino;

- + le interazioni non sono coordinate, + l’alleanza familiare è problematica =


schemi di reciprocità negative, il conflitto tra i genitori si proietta sul bambino e/o con
la sua esclusione.

MODULO II

2.2 CARATTERISTICHE DEI GRUPPI SOCIALI

Dal punto di vista psicologico ci sono molteplici definizioni di gruppo che ne


evidenziano le diverse caratteristiche.

MERTON (1957)

il gruppo è un insieme di individui che si trovano in diretto e immediato rapporto,


esercitano reciproche azioni di influenza, sperimentano senso di appartenenza.

L’elemento fondamentale nei gruppi sociali è il SENSO DI APPARTENENZA.


Tale definizione di gruppo si basa su tre criteri principali:

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A. le persone in interazione = la presenza di un certo numero di individui che
interagiscono secondo regole e norme;

B. la percezione dell’essere membri = il fatto che gli individui in interazione si


percepiscono come membri del gruppo;

C. la percezione esterna dell’appartenenza = gli individui sono definiti dagli altri


(membri e non membri) come appartenenti al gruppo.

MERTON differenzia 2 tipi di gruppo:

a. piccoli gruppi (faccia-a-faccia): caratterizzati dal contatto diretto e immediato,


b. gruppi sociali: l’interazione diretta non è un criterio essenziale, comprendono le
diverse categorie sociali e si legano al concetto di collettività.

MAISONNEUVE
i gruppi sociali si basano sull’identificazione sociale che è strutturata sulla memoria
collettiva.
I legami nei gruppi sociali non sono basati sull’interdipendenza e l’interazione ma
preesistono all’individuo: si costruiscono sulla memoria collettiva, la base del
legame tra gli individui nei gruppi sociali.

TURNER
Teoria della categorizzazione del Sé: il gruppo sociale è un aggregato di due o più
individui che:

- condividono un’identificazione sociale comune basata sulla memoria collettiva


- si percepiscono come membri della stessa categoria sociale.

Il rapporto fra il gruppo e la dimensione sociale è ambivalente in quanto il gruppo è il


luogo in cui si intersecano valenze individuali con processi e valenze sociali.

Nel gruppo il singolo cerca il supporto e il sostegno degli altri e, allo stesso tempo, una
difesa dai sentimenti di ansia e paura insiti nel contatto con chi è estraneo.

Tale ambivalenza del rapporto individuo-gruppo può esprimersi nella ricerca di


soddisfacimento di spinte opposte:

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- bisogni di sicurezza e affiliazione (due dei principali sistemi motivazionali, Liotti,
2002), con la rinuncia alla propria autonomia e acquisizione passiva di
comportamenti di gruppo

- bisogno di sviluppo e affermazione della propria identità

La psicologia sociale evidenzia che l’identificazione con il gruppo porta l’individuo a


categorizzare il proprio gruppo (ingroup) differenziandolo dagli altri (outgroup).

LEWIN - Gruppo come soggetto sociale: TEORIA DEL CAMPO

Lo studio del rapporto tra individuale e sociale è approfondito da LEWIN con la teoria
del campo che identifica il gruppo come soggetto sociale.

Elementi cardine della TEORIA DEL CAMPO


- Il GRUPPO è una Totalità Dinamica le cui parti sono in reciproca interazione e
interdipendenza.
- il gruppo è un fenomeno a sé stante: qualcosa di più o di diverso dalla somma dei suoi
membri, (totalità)

- ha una struttura propria e un peculiare modo di funzionamento. (dinamica)


- il cambiamento di una sua parte interessa il cambiamento di tutte le sue altre parti.
(interdipendenza)

L’interdipendenza è il vero legame che unisce i membri del gruppo, anche del
gruppo sociale, non la somiglianza.

Dinamica di gruppo
il gruppo non è un’entità statica, ma è la risultante di un insieme di forze, tensioni,
conflitti in perenne trasformazione, il continuo mutare delle forze che agiscono verso e
dentro il gruppo: concetto di omeostasi.

Il PROCESSO DI NORMALIZZAZIONE
Ogni gruppo si costruisce e sviluppa stabilendo delle norme che lo individuano
come tale e regolano i rapporti tra i membri.
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Il processo di normalizzazione è la tendenza innata che porta i membri di un gruppo
a stabilire parametri di riferimento comuni: le NORME.
E’ un processo intenso nella fase costitutiva del gruppo, non si esaurisce nel corso del
tempo, è soggetto a continui aggiustamenti.

Secondo M. SHERIF (1936) ogni gruppo costituisce un “metro” condiviso in base al


quale orienta il comportamento, il giudizio, le opinioni e altri aspetti del vivere
comunitario.

Il processo di normalizzazione emerge quando, in presenza di un compito non


precedentemente affrontato e per il quale non esistono norme, gli individui di un
gruppo esercitano una reciproca influenza che porta ad accordarsi su una norma
comune. E’ un processo particolarmente intenso nelle situazioni di incertezza e
insicurezza: in queste condizioni l’influenza reciproca fra i membri diviene più intensa.

SHERIF condusse uno dei primi esperimenti volti ad indagare la costruzione delle
norme collettive in gruppo: l’“esperimento del campo estivo” che illustra come
l'appartenenza ad un gruppo (ingroup) e il conflitto con l’esterno (outgroup) è
avvertita in termini cognitivi, valutativi ed emozionali:

• obiettivo della ricerca: indagare in che modo il gruppo influenza la formazione di


atteggiamenti e criteri di valutazione.
• esperimento strutturato in 4 fasi, coinvolgeva ragazzi di circa 12 anni, bianchi, e
durata di due settimane.

- prima fase, i ragazzi sperimentavano per una settimana la vita comunitaria nel
gruppo intero: nascita di relazioni e amicizie

- seconda fase, venivano separati e la vita quotidiana si svolgeva in due gruppi.

- terza fase il conflitto fra i due gruppi veniva suscitato attraverso attività
competitive: uno solo dei gruppi veniva premiato (interdipendenza negativa).
I ricercatori assistettero a:

- rapido deterioramento delle relazioni fra i due gruppi,

- forte coesione ingroup e discriminazione outgroup, con azioni ostili e stereotipi


negativi verso l'outgroup.

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- quarta fase, riduzione del conflitto con l'introduzione di scopi sovraordinati
raggiungibili solo con lo sforzo congiunto dei gruppi. Si osservò: riduzione delle
ostilità, ricomposizione dei legami d’amicizia.

Secondo SHERIF:

- il conflitto fra gruppi si genera per ragioni oggettive, legate al conflitto di interessi.
- le relazioni tra i membri e le reciproche percezioni si modificano in relazione
all’appartenenza al gruppo.

Critiche - FERGUSON e KELLY (1964)

con la loro ricerca verificarono che due gruppi che lavoravano fianco a fianco, non
competitivamente, sviluppano ugualmente favoritismo ingroup e conclusero che anche
gruppi appena costituiti e non posti in situazioni conflittuali sviluppano bias reciproci e
favoritismo in-group.

TAJFEL (1972) - Teoria dell’Identità Sociale


prosegue il lavoro di Sherif e sviluppa il concetto di identità sociale sulla base dei
fenomeni di favoritismo ingroup e discriminazione outgroup.

L'identità sociale di un individuo si basa sul senso di appartenenza: il concepire se


stessi come membro di un gruppo, col significato emozionale e valutativo che ne
risulta (Tajfel, 1972).

Il concetto di identità sociale si lega al concetto di categorizzazione sociale, che


consiste nell’ordinare il mondo in categorie significative: discriminare tra “noi" e "loro".

In una situazione di confronto fra gruppi si attiva il bisogno di affermare la specificità


positiva del proprio gruppo a discapito dell'altro.

La categorizzazione sociale provoca un conflitto intergruppi che discrimina l'"altro"


gruppo e favorisce il proprio.

Secondo la teoria dell’identità sociale, il conflitto intergruppi è dovuto alla


competizione per:
- acquisire risorse materiali (Sherif)

- acquisire, mantenere, difendere prestigio e status

23
MODULO 3 – SETTING E PARAMETRI DEL GRUPPO

Per poter lavorare in gruppo è necessario definire il SETTING ed il CONTESTO in cui si


lavora: è fondamentale, quindi, chiarire il dispositivo terapeutico, lo strumento di lavoro.

Per definire setting e parametri del gruppo terapeutico è necessario capire se gli
strumenti della psicologia individuale siano adeguati al contesto multipersonale del
gruppo. Si tratta di un’analisi a vari livelli: epistemologico, psicologico, empirico.

Dal punto di vista epistemologico, la prospettiva elettiva dalla quale analizzare la


dinamica tra l’uno e il molteplice è la Teoria della Complessità di MORIN (1982).

Complessità deriva da complexus: “ciò che è tessuto insieme”, rimanda alla


sovrapposizione, all’intreccio di trame.

Il Gruppo, come messo in evidenza da KAES, ha una natura complessa che ne


definisce l’impensabilità come oggetto undimensionale:
- è un intreccio fitto di trame personali, esperienze, emozioni, vissuti, pensieri.
- si caratterizza per l’impossibilità di contenere tutto, con il riconoscimento dei limiti
propri di un oggetto complesso.

La natura complessa del gruppo considera le variabili del processo di gruppo come
strumenti per la comprensione del gruppo stesso: le coordinate spaziali e temporali, i
parametri del gruppo, le teorizzazioni e i modelli.

Secondo LO VERSO il SETTING rappresenta il concetto ed il luogo in cui il paradigma


della complessità si concretizza nel campo della psicologia clinica.

Da qui nasce l’esigenza di rivedere il concetto di SETTING secondo una prospettiva


relazionale.
Per fare questo possiamo prendere in considerazione le teorizzazioni di MENARINI e
PONTALTI che differenziano tra SET e SETTING:
- SET => gli aspetti esterni, sociali che sono direttamente visibili o esplicitamente
definiti: i parametri; si tratta della cornice materiale del processo terapeutico:
- spazio del luogo

- arredamento

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- contesto

- tempi

- onorario

- durata

- eventuale organizzazione all’interno della quale avviene la terapia

- regole di comportamento

- tipo di contratto

- utilizzo o meno di farmaci

- SETTING => si riferisce al CAMPO MENTALE costituito dalterapeuta e paziente e


dalla successiva strutturazione della relazione:

- concetto di matrice

- concetto di campo duale e gruppale

- impianto teorico e tecnico del terapeuta

- gli elementi invisibili che contribuiscono alla creazione della situazione terapeutica

- caratteristiche personali del terapeuta: il suo vissuto, le emozioni, l’esperienza


clinica, sesso ed età, l’impianto teorico, la teoria della tecnica, il modello di
conduzione e costruzione

Secondo LO VERSO, SET/SETTING possono essere concepiti in modo congiunto, nella


misura in cui il SET non può esistere senza il SETTING.

Sulla base di ciò, LO VERSO propone di utilizzare il termine SETTING per riferirsi alla
situazione terapeutica all’interno della quale vi è la compresenza di variabili relative sia
al SET che al SETTING, oltre che al CAMPO MENTALE CONDIVISO.

LO VERSO => il SETTING è un organizzatore psichico di carattere transpersonale; è


un CAMPO MENTALE CONDIVISO che consente di pensare i fenomeni ed i sintomi, di
dare loro significato e di creare nuove connessioni e relazioni.

Il SETTING può essere definito come uno SPAZIO, un insieme di aspetti formali e
mentali grazie ai quali può avere luogo il processo psicoanalitico. Il SETTING è il
cuore dell’analisi.

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Il SETTING riguarda tutto ciò che contribuisce alla costruzione del campo gruppale o
con-transferale, dapprima costruito nella mente del terapeuta e poi via via co-costruito
con i pazienti.

Con SETTING si indicano tutti gli elementi attinenti al terapeuta e collegati alle sue
caratteristiche: obiettivi - modello operativo - teoria del cambiamento - formazione -
aspettative - capacità di pre-cognizione del gruppo - selezione dei membri - campo
mentale - luogo fisico - regole - durata.

Si tratta di variabili fisse che finiscono con rigore il setting per proteggere paziente ed
analista da rotture e trasgressioni.

I parametri del processo psicoanalitico sono stati definiti da FREUD e mirano a fornire
il maggior numero di informazioni, cercando di ridurre al minimo i disturbi.

Aspetti costitutivi del SETTING:


- numero di partecipanti;
- regole di ingresso/uscita:
- gruppi semi/aperti (o slow-open), i pazienti possono entrare a percorso avviato e
fuoriuscire quando il loro percorso è terminato,

- gruppi chiusi, il numero di partecipanti è prefissato, non possono entrare nuovi


membri a gruppo iniziato.

- tempo del percorso:


- a tempo limitato, durata del percorso predefinita,

- gruppi aperti, non è stabilita anticipatamente la fine del percorso;

- luogo fisico in cui si svolge il gruppo;


- durata e frequenza degli incontri, cadenza settimanale, quindicinale, mensile, e
durata dell’incontro, variabile tra 60 e 120 minuti;

- campo mentale su cui si fonda il lavoro: include la formazione del conduttore; la


teoria del cambiamento, l’approccio metodologico, la presenza della dimensione
istituzionale

- aspetti legati al pagamento


- atteggiamento mentale dell’analista: la disposizione a realizzare il compito al quale
si è impegnati: esplorare i processi mentali inconsci e farli comprendere al paziente. Il
campo mentale su cui si fonda il lavoro e che riguarda anche il tipo di formazione del

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conduttore e gli aspetti epistemologici.


La definizione di setting fa riferimento ai fattori contrattuali, le regole interne di una


terapia: tale definizione ha subito nel tempo una revisione secondo una prospettiva più
relazionale. La relazione terapeutica non è più definita in modo unilaterale, asimmetrico,
ma paziente e terapeuta sono parimenti coinvolti nella relazione e condividono le proprie
individualità.

Di conseguenza le regole del setting gruppoanalitico differiscono dalle regole


freudiane:

- il setting freudiano privilegia un rapporto diadico paziente-analista fortemente


asimmetrico.

- il setting di gruppo può assumere diverse configurazioni: individuale, familiare,


gruppale.

Nella gruppoanalisi si ha un SETTING POLIADICO, composto da un piccolo gruppo da


5 a 9 persone e un analista, con eventuali co-conduttori ed un osservatore.

LO VERSO - I PARAMETRI DI GRUPPO (1998)


In ambito clinico è fondamentale definire i parametri di gruppo, dare una descrizione il
più possibile dettagliata delle variabili che intervengono nella fondazione e nel processo di
gruppo che definiscono i differenti tipi di gruppo:
- gruppi classici di lunga durata

- gruppi monosintomatici, dipendenze patologiche, in medicina, in comunità, con


bambini o adolescenti, anziani, contesti traumatici

- gruppi di formazione/supervisione

- gruppi con coppie e famiglie

- gruppi di arte terapia, con immigrati, etc

Per ciascuna di queste tipologie i parametri di gruppo consentono di descrivere gli


obiettivi relativi alla domanda e alla committenza a cui un gruppo è destinato.

I parametri consentono anche di descrivere i vari aspetti del setting, l’esplicitazione


dell’utilizzo dei farmaci, l’inquadramento teorico-tecnico alla base della fondazione
processuali del gruppo ed il tipo di conduzione.

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Per ciascuna tipologia di gruppo i parametri descrivono:
a. obiettivi,
b. domanda/committenza,
c. utenza,
d. aspetti del setting,
e. esplicitazione dell’uso di farmaci,
f. inquadramento teorico-tecnico,
g. dimensione istituzionale del campo mentale del gruppo,
h. aspetti legati alla corporeità in gruppo.

Spazio e tempo del gruppo 


Nella teoria bioniana il setting è rappresentato da un contenitore, ossia il setting


riguarda l’analista e la situazione analitica che capisce, elabora, contiene i vissuti di
angoscia dell’analizzato, finché quest’ultimo non svilupperà tale funzione elaborativa e
contenitiva.

Nel setting di gruppo sono riconosciute e disvelate sia al terapeuta che ai membri quelle
che sono le esperienze da trasformare grazie alla sperimentazione di un assetto mentale e
clima relazionale che consente di vincere la coazione al copione: la cultura familiare
inconsciamente incorporata che fonda l’identità collettiva del soggetto ed il Sé che non è
individualizzato.
L’incorporazione culturale definisce delle matrici sature che funzionano come un
automatismo: sono condotte programmate e non mentalizzate che grazie al lavoro di
gruppo possono essere viste e comprese, rese consapevoli e rifiutate o integrate nel
proprio modo di stare al mondo.

In questo modo il gruppo diventa uno SPAZIO INTERSOGGETTIVO elettivo per lo


scambio tra il piano simbolico ed il piano reale originato dalla condivisione del gruppo.

Il gruppo è uno SPAZIO SOCIALE che facilita la relazione fra chi ne fa parte e la nascita
di legami identificativi che crea una cultura, un’affettività comune condivisa nel tempo e
che porta ad una strutturazione gerarchica sulla base del bisogno di ciascun membro di
prendersi uno spazio del gruppo ed assumere una posizione predominante.

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Concetto di spazio del gruppo
evoca la figura del cerchio che distingue un dentro da un fuori e rimanda al senso di
appartenenza e di differenziazione. Lo spazio del gruppo è uno spazio concreto e
mentale: luogo fisico, affettivo, emotivo, relazionale non sempre districabile che
rimanda alle dinamiche che si attivano in gruppo.

• ROUCHY (1998) => lo spazio del gruppo ha un forte effetto di attivazione delle
potenzialità immaginifiche del soggetto: può succedere che in gruppo un soggetto
abbia accesso al suo spazio interno più profondo e arcaico e proiettarlo nello spazio
contenitivo del gruppo.

• CORRAO (1982) => propone una funzione di attivazione delle potenzialità


immaginifiche del soggetto, la funzione GAMMA, analoga alla funzione alpha della
relazione madre-bambino di BION.

La FUNZIONE ALPHA è stata proposta da BION, in analogia alla funzione somatica della
digestione, dove ha la funzione di elaborare i pensieri: è una funzione della personalità
che opera su quelle che sono le percezioni sensoriali. E’ un processo che dipende dal
rapporto che il bambino instaura con la madre grazie alla REVERIE MATERNA: la
capacità della madre di ricevere quelle che sono delle percezioni emotive e
sensoriali grezze del neonato grazie all’identificazione proiettiva.

La madre riesce ad elaborare queste percezioni in una forma più digeribile, affinché la
psiche del neonato possa introiettarle ed assimilarle. In questo modo il neonato può
introiettare sia le sue esperienze rese pensabili e anche quello che è un oggetto
accogliente e comprensivo (la madre) con il quale identificarsi e sviluppare nel tempo la
capacità di pensare.

Secondo BION, l’adeguato funzionamento della funzione ALPHA determina la


formazione di una barriera di contatto: un apparato psichico costituito da quegli
elementi alpha che determinano il contatto o la separazione fra conscio e inconscio.

La FUNZIONE GAMMA corrisponde alla capacità del pensiero del gruppo di digerire
gli elementi emotivi grezzi (gli elementi beta) sparsi nel campo analitico e di
trasformarli in elementi gamma necessari per la formazione del pensiero del gruppo.

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La funzione gamma nel gruppo tende verso il pensiero, verso una verbalizzazione
condivisa di ciò che deriva dall’impercettibile, eseguendo azione trasformative che
consentono di organizzare il pensiero dell’esperienza emotiva che avviene nel gruppo.

Concetto di “tempo del gruppo”:


per quanto riguarda il tempo nel gruppo può essere descritto con la figura della spirale
e al suo andamento circolare progressivo o regressivo che rimanda ad una dialettica di
fusione/individuazione presente nella relazione madre-figlio.

E’ una visione del tempo che si muove avanti e indietro secondo un movimento a spirale
rendendo possibile la caratteristica dei gruppi di ripetere modalità, temi o dinamiche già
attraversate o simili che si collocano in un punto diverso del percorso del gruppo.

La fondazione del gruppo: campo gruppale e campo con-transferale

Il SETTING riguarda tutto ciò che va a costruire il campo gruppale e controtransferale.

DI MARIA - LO VERSO (1998) - con pre-concezione del gruppo, intendono il fatto che
il gruppo nasce prima della sua costituzione nell’immaginazione di chi lo crea e di chi
ne fa parte.

La pre-concezione del gruppo è fondamentale alla tenuta del gruppo nelle sue fasi
iniziali, quando nelle prime sedute il gruppo come dispositivo terapeutico non esiste
ancora, è una struttura semivuota, uno spazio virtuale: sono definiti solo i ruoli del
conduttore, dei membri, dell’osservatore.

La rete di comunicazioni che si sviluppano via via, poggia sulle aspettative e sulle
preconcezioni dei singoli membri del gruppo che fornirà una struttura sempre più solida
di significati pertinenti ed articolati.

Nella seconda fase, la struttura sempre più solida di significati permette di ricostruire,
riattualizzare eventi passati e inconsci, ed avviare il gioco delle identificazioni
conducendo alla nascita di un senso di appartenenza.

Il passaggio tra la fase iniziale e la seconda fase segna il raggiungimento del senso di
appartenenza al gruppo, possibile solo dopo che i membri hanno riacquistato la propria
dimensione individuale.

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La fondazione del gruppo si sviluppa attraverso la dinamica di fusione-individuazione,
articolata secondo:

- una fase iniziale in cui prevale una fantasia di indifferenziazione, l’individuo è


amalgamato in un tutto indifferenziato e attraversato da angosce di perdita dell’identità
individuale,
- una fase di recupero di una dimensione soggettiva che porta a vivere il legame di
gruppo in termini più maturi di appartenenza.

Il corpo nel gruppo


Nella terapia di gruppo il CORPO assume una valenza centrale: ciò deriva dal fatto che
in gruppo ci si osserva reciprocamente e la comunicazione non avviene solo per via
verbale ma la valenza visiva e fenomenologica del contatto entra subito in gioco:

1. In gruppo il corpo comunica con forza e immediatezza con i correlati posturali, il


linguaggio non verbale e gli aspetti umorali.
2. Sul piano simbolico il legame gruppo-corpo è intenso: il gruppo può essere
rappresentato come una sorta di guscio, di utero materno, un ritorno alle origini
dato che ciascuno ha fatto esperienza del proprio gruppo-famiglia e che origina da
questo.

3. La dimensione corporea dei gruppi riguarda la relazione tra la componente


narcisistica e le identificazioni: la consapevolezza di essere nel mondo passa per la
consapevolezza di esserci come corpo. KAES (1996) ci ricorda che “L’immagine del
corpo come gruppo rimanda l’immagine del gruppo come corpo. Il gruppo è il
doppio del corpo. Il loro tratto comune è quello di fornire i fondamenti narcisistici
dell’identificazione: questo gioco di equivalenza è fondamentale per il transfert nel
gruppo del narcisismo e delle identificazioni che lo sostengono. Il narcisismo è al
centro di quelle che sono le problematiche relative al corpo.

4. L’inizio della propria consapevolezza di essere nel mondo passa dalla


consapevolezza di esserci come corpo per poi arrivare a sentire di esserci come
persona e realizzare l’integrazione tra i propri aspetti mentali e corporei. Essere in un
gruppo terapeutico permette di rivisitare meglio questi passaggi relativi all’esserci
rispetto a patologie che originano da livelli molto arcaici. Tra le patologie di antiche
origine vi sono i disturbi psicosomatici che hanno indicazioni favorevoli alla terapia
di gruppo. “Come forma e struttura di attaccamento, il gruppo preesiste al soggetto.

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Corpo e gruppo sono contemporaneamente il supporto delle relazioni d’oggetto e del
narcisismo”.

LO VERSO (2002) descrive 16 parametri comuni a tre tipologie di gruppo:


1. terapia analitica
2. medicina generale
3. tempo limitato/monosintomatici

Parametri Comuni: 1. tipo di gruppo - 2. domanda (inizio del rapporto) - 3. tipo di utenza
e tipologia di pazienti - 4. numero di partecipanti - 5. luogo di lavoro - 6. cadenza sedute -
7. setting e matrice di gruppo - 8. pagamento - 9. farmaci - 10 durata del lavoro - 11.
fondazione del gruppo - 12. processualità del gruppo - 13. presenza del corpo - 14.
aspetti istituzionali - 15. responsabilità/conduttore - 16. tipo di intervento

Gruppo di terapia analitica (standard, soggettuale)


E’ il set(ting) è “ideale” per:

- le possibilità psicoterapeutiche complessive

- i processi maturativi interni e relazionali.


- necessitano di tempi lunghi, adeguata formazione e competenza del conduttore,
presenza di patologie non troppo gravi, standard culturale medio-alto.

• Obiettivi - Si tratta di obiettivi “ideali”: sviluppo di autonomia, identità, capacità


relazionali. Maturazione delle strutture psichiche, conseguimento di adeguate capacità
comunicative relazionali e di un rapporto io-noi autentico, vivibile - Dialogo interno con
le matrici familiari sature e loro superamento - Integrazione mente-corpo-relazione.

• Domanda (Inizio del rapporto) - Individuale o di un servizio - Analisi della domanda,


del contesto, della auto-rappresentazione, delle aspettative rispetto al terapeuta -
Colloqui preliminari e diagnosi in senso ampio - Valutazione rispetto all’inserimento in
uno specifico gruppo - Particolare attenzione alla preparazione all’ingresso del gruppo.

• Tipo di utenza e tipologia di pazienti - In grado di formulare una domanda e


condividere il progetto terapeutico. Indicazioni classiche alla terapia analitica di gruppo.

• Numero partecipanti - 4–8 - tale indicazione è modificabile.

• Luogo di lavoro - Studio professionale privato o pubblico (ambulatorio e simili).

• Cadenza sedute - Una o due volte a settimana (1h e 30) o due sedute consecutive.

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• Set(ting) e matrice di gruppo - Strutturato e stabile dopo la fase di fondazione, le
uscite, gli inserimenti (se gruppo semiaperto/semichiuso).

- Se gruppo nuovo, fondamentali: la prefigurazione del gruppo e la fase preliminare e


di inizio: fondazione e costruzione del set(ting) gruppale,

- Creazione progressiva di una matrice dinamica transpersonale.

- Posizione a cerchio, frequente tavolino al centro.

• Pagamento - Diretto nel caso di lavoro privato. Indiretto se si svolge in servizi.


- Il problema del pagamento è oggetto di eventuale elaborazione psicodinamica.

- Gruppi apparentemente costosi, nel lungo termine sono i più economici:


consentono una riduzione delle ricadute psicopatologiche, il mantenimento dei
risultati nel lungo periodo e l’acquisizione di un metodo riflessivo che si mantiene
anche dopo la fine dell’analisi.

• Farmaci - possono divenire un contenitore delle parti psichiche angosciate, una forma
di dipendenza rituale ed “esorcistica” della paura dei sintomi vissuti. L’elaborazione dei
vissuti psichici e simbolici legati ai farmaci fa parte del lavoro clinico. Trattamento
farmacologico possibile e transitorio, gestito da psichiatri (in contatto con lo
psicoterapeuta).

• Durata del lavoro - Lunga, di tipo analitico. Solitamente almeno 3 anni.


• Fondazione del gruppo - Il lavoro di fondazione è centrale: da esso dipende lo
sviluppo del gruppo, viste le difficoltà ad accettare rapporti stabili e profondi.
Necessaria una particolare disponibilità clinico-relazionale rispetto ai pazienti.
• Processualità del gruppo - la relazione è il fattore terapeutico più rilevante: il
processo del gruppo e la sua gestione e la formazione relazionale sono
fondamentali. Il processo si sviluppa attraverso le comunicazioni-interazioni visibili
ed invisibili (inconsce o inconsapevoli), verbali e non verbali, relazionali. Raccontare nel
gruppo pensieri ed accadimenti esterni che implicano supportività, meglio se gruppale
ed effettuata dai pazienti stessi.

• Presenza del corpo - Centrale: corpo come il luogo dove la relazione vive ed agisce,
come oggetto di attenzione e lavoro clinico: simbolico, rappresentativo e bio-
psichico. Comunicazione non verbale: centrale. L’intervento psicoterapico è
psicosomatico, utilizza l’interezza del bios, del vivente: una psicoterapia di gruppo è
una “terapia biologica" (Fasolo, 1995), incide a livello somatico e sanitario.

• Aspetti istituzionali - La presenza istituzionale è centrale nel lavoro di gruppo:

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- nel caso di presenza effettiva (gestione i rapporti tra gruppo ed istituzione e con i
colleghi),

- nel caso di presenza indiretta e psichica (le istituzioni di appartenenza del terapeuta
ecc.).

- nelle rappresentazioni psico-sociali che i pazienti hanno dell’analista.

• Responsabilità/Conduttore - Gruppoanalista/i. Sono importanti le tematiche relative


alla committenza, alla storia psichica e professionale del conduttore, al training
formativo per questo specifico tipo di gruppo. Conduzione - Relativa direttività dopo
la fondazione e facilitazione del processo gruppale e della sua funzionalità
terapeutica:

- centratura del lavoro sull’asse circolare individuo-interazione-gruppo.

- Lavoro sul singolo “attraverso” il gruppo. Oscillazione fra processo gruppale


esterno e gruppalità interna.

- Attenzione al divenire processuale del gruppo e dei pazienti.

- Mantenimento della responsabilità terapeutica: responsabilità etico-clinica del


terapeuta rispetto ai risultati ottenuti.

• Tipo di interventi (modalità operative) - Attivazione della comunicazione e del


processo gruppale: interpretazioni, stimolazione della capacità associativa ed auto-
etero introspettiva; centratura sul qui ed ora e sul lì ed allora, sul non dicibile a sé ed
all'altro. Attenzione al rapporto fra dinamiche intrapsichiche e intragruppo e tra
dimensioni comunicative inconsce e relazionali. Interventi di mantenimento del
set(ting).

Gruppi a tempo limitato e/o monosintomatici

• Obiettivi - Rispetto al gruppo analitico, maggiore attenzione alle tematiche e


problematiche legate al sintomo, al corpo, alla relazione mente-corpo-relazione, alla
identificazione con la matrice familiare, al decentramento sintomatico, ideologico,
culturale, ambientale. Attenzione ai risvolti interpersonali e sociali legati al sintomo,
alla psicopatologia, alle difficoltà relazionali qui e ora e nel quotidiano.

• Domanda (Inizio del rapporto) - Individuale, familiare, invio (strutture sociali, sanitarie,
medici, amici, altri pazienti). Molto presente può essere l’aspetto istituzionale.

34
• Tipo di utenza e tipologia di pazienti - Attenzione iniziale agli aspetti supportivi, alla
dimensione familiare, alla coesione gruppale dovuta all’identificazione
monosintomatica. Prevalenza femminile: gruppi di pazienti con disturbo del
comportamento alimentare, maschile: tossicodipendenze e dipendenze patologiche.
• Numero partecipanti - 4-10, modificabile.

• Luogo di lavoro - Centro specializzato privato sociale e/o pubblico, strutture cliniche,
studio professionale, strutture assistenziali varie.
• Cadenza sedute - Una o due volte a settimana (1h e 30) o due sedute consecutive,
come nel gruppo di terapia analitica

• Set(ting) e matrice di gruppo - Strutturato e stabile dopo le fasi di fondazione, le


uscite, gli inserimenti di nuovi pazienti (se semiaperto o semichiuso). Se gruppo nuovo
sono fondamentali: la fase preliminare e di inizio, la fondazione e costruzione del
set(ting) gruppale, la prefigurazione del gruppo. Creazione progressiva di una matrice
dinamica transpersonale. Posizione a cerchio, frequentemente un tavolino al centro.
Maggiore attenzione alle problematiche “terapeutiche”, all’”emergere”
psicosomatico, alla “presenza” della famiglia, al sintomo e alla sua valenza cognitiva e
rituale. Importanti sono i fattori interpersonali e la coesione di gruppo che
consentono l’approfondimento psicologico. Senza rispecchiamento
“monosintomatico” si corre il rischio di cronicizzare e stabilizzare il sintomo come
accade in gruppi non psicoterapici supportivi, di auto-aiuto, di consultazione, di
stimolazione, ecc.

• Pagamento - Diretto nel caso di lavoro privato - può esserci l’intervento della famiglia.
Indiretto se si svolge in servizi: associazioni pubbliche, amministrazioni, istituzioni
sanitarie pubbliche e private, associazioni di pazienti. Il problema del pagamento è
oggetto di elaborazione psicodinamica.

• Farmaci - Trattamento farmacologico possibile tendenzialmente transitorio,


fortemente presente nelle fasi iniziali, gestito da psichiatri (in contatto con lo
psicoterapeuta).

- L’elaborazione dei vissuti psichici e simbolici legati ai farmaci fa parte del lavoro
clinico: possono assumere un carattere di contenitore delle problematiche
psichiche.
- A volte sono utili trattamenti medici o comunitari iniziali anche di tipo non
strettamente psichiatrico ma di medicina generale.

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• Durata del lavoro - durata variabile (da qualche mese a due anni), a volte medio-
lunga: minore in gruppi più supportivi e maggiore in quelli espressivi. Può esserci un
termine prefissato.

• Fondazione del gruppo - Molta attenzione alla fragilità, ambivalenza e diffidenza di


questi pazienti e alla difficoltà iniziale a condividere un setting. Si basa inizialmente sul
legame dei pazienti con l’analista
- avvio del gruppo: si caratterizza per la condivisione dei sintomi; è necessario
pensare la famiglia (reale e interna) in maniera attenta.

- Evitare interpretazioni analitiche, è incoraggiata la costruzione e la tenuta del


legame.

- Importante è la costruzione dei confini del gruppo, la chiarificazione degli obiettivi,


la comunicazione “autentica” dei problemi che possono essere affrontati.

• Processualità del gruppo - Comunicazioni-interazioni visibili ed invisibili, verbali e


non verbali, relazionali; supportività, meglio se gruppale ed effettuata dai pazienti
stessi.

- Maggiore attenzione iniziale ai sintomi e alla famiglia, alla sua storia, al campo
psichico. Fondamentale l’attenzione all’incontro interpersonale, sia nel gruppo
che nella vita quotidiana.

• Presenza del corpo - Centrale in tutti i suoi aspetti: sessuali, narcisistici, simbolici,
relazionali, biologici, ecc.; massima attenzione psicodinamica. Il rapporto corpo-
relazione-mentalizzazione è fondamentale.

• Aspetti istituzionali - Presenza centrale:


- nel caso di presenza effettiva (parte del lavoro gruppoanalitico è gestire i rapporti tra
gruppo ed istituzione e con i colleghi),

- nel caso di presenza indiretta e psichica (istituzioni di appartenenza del terapeuta).

- le rappresentazioni che i pazienti hanno dell’analista sono un fattore


istituzionale.

- Attenzione alla “rappresentazione” che la realtà curante propone di sé all’utenza.

• Responsabilità/Conduttore - Gruppoanalista/i con capacità di attenzione alla


situazione sintomatica e alla “famiglia”. La collaborazione dei medici curanti che va
seguita con attenzione.
• Conduzione - Maggiore supportività e aiuto all’avvio del processo e al suo
allargamento oltre il sintomo con attenzione al superamento di esso.

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- Relativa direttività soprattutto dopo la fondazione e facilitazione del processo
gruppale e della sua funzionalità terapeutica, centratura sull’asse circolare individuo
interazione-gruppo.
- Lavoro sul singolo “attraverso” il gruppo. Oscillazione fra processo gruppale qui
ed ora e comprensione/trasformazione della gruppalità interna.

- Attenzione al divenire processuale del gruppo e dei pazienti. Mantenimento della


responsabilità terapeutica etico-clinica del terapeuta e dei risultati ottenuti.

• Tipo di interventi (modalità operative) - Attivazione della comunicazione, del


processo gruppale, interpretazioni, stimolazione della capacità associativa ed
introspettiva, centratura sul qui ed ora e sul lì ed allora, sul non dicibile storico,
rappresentazionale, familiare, inconscio.

- Attenzione al rapporto fra dinamiche intrapsichiche ed intragruppo e a quella tra


dimensioni comunicative inconsce e relazionali.
- Calibrare tutto in base alla specificità di questi gruppi: maggiore attenzione alle
dinamiche interpersonali interne/esterne e minore attenzione alle dimensioni
inconsce, conoscitive;

• Formazione dei conduttori - Training gruppoanalitico: osservazione di gruppi


terapeutici, supervisione, studio teorico-clinico, terapia personale analitica di gruppo e
individuale, workshop di dinamica di gruppo; capacità di fondare e gestire il contesto/
campo gruppale in rapporto ai singoli, forte consapevolezza psicopatologica e della
centralità dell’efficacia della cura.

- Capacità di fondazione del setting clinico-gruppale, di porre al centro l’altro e la sua


sofferenza; capacità di integrare approfondimenti sulla conoscenza del sintomo;
capacità di lavorare trattamenti integrati e gli aspetti organizzativo-istituzionali;
buona consapevolezza delle dinamiche familiari.

• Integrazioni - Adattamenti specifici del setting dovuti a trattamenti integrati e al


tipo di gruppo mono-sintomatico (psicotici, disturbi alimentari, attacchi di panico,
tossicodipendenza, gioco d’azzardo, gruppi monosessuali, gruppi con malattie
organiche):

• gestire la funzionalità gruppale, l’identificazione adesiva, l’Altro come simile a me, la


dipendenza ecc.; forte attenzione alle problematiche della cura e alle aspettative
create dall’istituzione e ai rischi della coesione identificatoria sintomatica se non
viene superata: il terapeuta deve aiutare il superamento reale della sintomatologia e
del disturbo.
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Gruppi in medicina generale

• Obiettivi - Accompagnamento delle cure sanitarie, integrazione con interventi


gruppali che aiutino le difese psichiche e fisiche (immunitarie ecc.).

- Consentire una più serena assunzione dei trattamenti sanitari; aiutare pazienti,
familiari e curanti ad essere meno soli e affrontare situazioni angoscianti.
• Domanda (Inizio del rapporto) - Solitamente da parte di operatori ospedalieri e di
strutture sanitarie. Va “istruita” la domanda con pazienti, familiari, operatori sanitari.
Molta attenzione alla domanda esplicita (di rinforzo al lavoro di cura, di alleviamento
di tensione e ansia, di contributo psicosomatico ecc.) ed alla domanda implicita o
inconscia relativa alle paure e alle angosce.

• Tipo di utenza e tipologia di pazienti - Pazienti di medicina negli specifici settori di


malattia, familiari e personale sanitario.

• Numero partecipanti - Molto variabile. Da un piccolo gruppo (4-5) ad un gruppo


mediano
• Luogo di lavoro - Solitamente realtà ospedaliere, comunitarie, associative. Sono in
crescita forme di intervento nel privato-sociale.

• Cadenza sedute - Una o due volte a settimana (1h e 30) o due sedute consecutive.
Frequentemente settimanali, altre periodicità vanno a modificare il set(ting) e le modalità
di lavoro.

• Set(ting) e matrice di gruppo - strutturato e stabile dopo la fase di fondazione, le


uscite, gli inserimenti (se gruppo semiaperto o semichiuso). Se gruppo nuovo sono
fondamentali la fase preliminare e di inizio, di fondazione e costruzione del set(ting)
gruppale, la prefigurazione del gruppo.

- Creazione di una matrice dinamica transpersonale. Posizione a cerchio con un


tavolino al centro.

- Maggiore attenzione alla patologia organica, sui modi di vivere la malattia, sulle
dinamiche paziente-familiare, sui vissuti e le angosce legate alla patologia.

- va tenuta molto in conto la situazione sanitaria ed ospedaliera, la centralità


della problematica medica.

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• Pagamento - Diretto nel caso di lavoro privato. Indiretto se si svolge in servizi. Il
problema del pagamento è oggetto di elaborazione psicodinamica. Spesso il gruppo è
un servizio offerto da strutture ospedaliere di avanguardia.
• Farmaci - Sempre presenti, aspetto centrale della cura medica. Il farmaco assume
un aspetto più “normale” rispetto ai gruppi monositnomatici: è indispensabile e
solo secondariamente implica problematiche psicologiche.

• Durata del lavoro - Molto variabile, dipende dal tipo di gruppo; aperto, chiuso, semi-
aperto, a termine o meno; legata al periodo di ricovero o meno.

Validità di questo tipo di gruppi rispetto alle problematiche economiche: può


contribuire alla minore durata dei ricoveri, ad un uso non ansioso dei farmaci, alla
gestione serena della malattia.

• Fondazione del gruppo - Avviene a partire da problematiche sanitarie e da questioni


inerenti le strutture organizzative. La fondazione va condivisa e co-costruita con i
referenti sanitari. Da considerare clinicamente i significati simbolici e relazionali della
malattia connessi alle problematiche fisiche, alle angosce e paure di peggioramenti.
• Processualità del gruppo - È molto peculiare:
- ruolo fondativo indispensabile del terapeuta: far comprendere il senso e l’utilità
del gruppo; aiuto ad esprimersi e a cogliere il significato dei sintomi e della malattia
per affrontare l’orrore e le angosce.

- il lavoro è agevolato dai pazienti che spesso si sentono ascoltati: ciò pone
problemi di conduzione. E’ presente il bisogno di una condivisione profonda dei
reali timori.

- il terapeuta ha effetto terapeutico contenitivo e trasformativo.

- buoni risultati in tempi non lunghi di tipo interpersonale e di stato d’animo, non di
trasformazione di radici dell’identità o di personalità.

• Presenza del corpo - Molto importante: il lavoro parte dall’esperienza del corpo
malato affidato alle cure mediche. Il lavoro è integrabile con i vissuti psichici affettivi,
cognitivi, relazionali, i rapporti interpersonali, la famiglia ma anche la memoria, il lavoro,
il rapporto culturale con la malattia ed il dolore.

• Aspetti istituzionali - I pazienti sono seguiti all’interno di istituzioni sanitarie,


comunitarie, case-famiglia, centri sociali. Raramente il lavoro si svolge nel privato. La
malattia non è il problema principale: può essere un ricordo, un’esperienza familiare,
una fantasia ansiosa, un timore per i figli.

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• Responsabilità/Conduttore - Lavoro molto forte e approfondito con se stessi, saper
accogliere le angosce, è necessario esserci empaticamente non solo in modo
estetico-fenomenico o comportamentale o interpretativo. La condivisione insieme alla
comunicazione è uno dei principali fattori terapeutici; buona formazione analitica ed
un lavoro su di sé relativo alla tematica della malattia e della morte.

• Conduzione - Relativa direttività soprattutto dopo la fondazione e facilitazione del


processo gruppale, lavoro sul singolo “attraverso” il gruppo. Oscillazione fra processo
gruppale qui ed ora e comprensione/trasformazione della gruppalità interna.
Responsabilità terapeutica: attenzione al divenire processuale del gruppo e dei
pazienti. Responsabilità etico-clinica del terapeuta e necessità di valutazione non
autoreferenziale dei risultati ottenuti
• Tipo di interventi (modalità operative)
- Attivazione della comunicazione, e del processo gruppale, interpretazioni
collegabili al vissuto di malattia, stimolazione della capacità associativa ed
introspettiva del gruppo e dei singoli, centratura sul qui ed ora e sul lì ed allora, sul
non dicibile a sé ed all’altro: storico, rappresentazionale, familiare, inconscio.

- Attenzione al rapporto fra dinamiche intrapsichiche ed intragruppo e a quella tra


dimensioni comunicative inconsce e relazionali.

- Interventi simili ai precedenti tipi di gruppo ma sono contestualizzati alla


situazione e all’obiettivo.
• Formazione dei conduttori - Training gruppoanalitico: osservazione di gruppi
terapeutici, supervisione, studio teorico-clinico, terapia personale analitica di gruppo e
individuale, partecipazione a workshop di dinamica di gruppo; capacità di fondare e
gestire il setting/campo gruppale in rapporto ai singoli e di “essere il primo paziente del
gruppo”

- Consapevolezza psicopatologica e della centralità dell’efficacia della cura.

- Capacità di porre al centro l’altro e la sua sofferenza; capacità di muoversi senza


schemi prefissati, calibrando ciò che è opportuno.

- Formazione gruppale molto “robusta” che consente di “tenere” ed agevolare un


gruppo dove ci si confronta con cose scarsamente parlabili.

• Integrazioni - Variazioni nel set(ting) e nella conduzione: forte trasparenza e


correttezza etica e specifica formazione. considerare la sofferenza psichica come
fenomeno relazionale e multidimensionale; cura come “atto clinico” volto a produrre

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miglioramento e/o remissione totale. Umiltà e “coraggio” nell’assumersi la
responsabilità del lavoro con gravi malattie fisiche.

MODULO 4 - I GRUPPI IN AMBITO CLINICO:

IL MODELLO GRUPPOANALITICO - FOULKES

La distinzione tra interessi individuali e interessi del gruppo si basa sull’idea che in
gruppo l’individuo perda qualcosa.

La gruppoanalisi smonta questa dicotomia e fornisce un modello di relazione


individuo-gruppo, che si fonda su presupposti psicoanalitici e sociologici, integrando
aspetti della psicoanalisi freudiana con aspetti della teoria sociologica di Elias.

Il MODELLO GRUPPOANALITICO fornisce un nuovo modo di pensare alla relazione


individuo-gruppo e consente di individuare l’articolazione della vita psichica secondo una
PROSPETTIVA RELAZIONALE, che va oltre il modello delle relazioni oggettuali e pone
attenzione a come si fonda il mondo interno del soggetto ed utilizza una concezione
multipersonale dell’individuo.

Tale integrazione presenta aspetti critici in merito alla concezione dell’individuo:

- il modello psicoanalitico di Freud va dal biologico (individuale) al sociale

- il modello sociologico di Elias va dal sociale verso una integrazione tra individuo e
società.

Il modello gruppoanalitico segue la formulazione di ELIAS che la società precede


l’individuo, per cui ogni individuo:
- nasce e cresce all’interno di una rete di relazioni sociali che lo attraversano.

- costruisce i suoi oggetti interni attraverso l’interiorizzazione delle relazioni sociali del
proprio ambiente.
FOULKES, inoltre, si ispira alle teorie organimische di Goldstein, alle teorie
gestaltiche e agli scritti di BURROW che nel 1925 conia il termine ANALISI DI GRUPPO.

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L’individuo è determinato dal modo in cui vive, dal mondo in cui vive, dalla comunità,
dal gruppo di cui costituisce una parte.

La vecchia contrapposizione interno/esterno, corpo/mente, individuo/realtà non può


essere mantenuta: ogni individuo è determinato dal mondo in cui nasce, cresce e si
sviluppa.

FOULKES evidenzia la natura interconnessa dell’esistenza umana (vedi la metafora


del cerchio). Ne consegue che per comprendere l’individuo è necessario comprendere la
natura delle relazioni sociali che lo caratterizzano: se hanno modalità specifiche o se
sono combinazioni di modalità individuali in interazione.

Il pensiero gruppoanalitico ruota intorno ad alcune precise concettualizzazioni:

1. essere umano è un animale sociale in cui la spinta primaria è l’APPARTENENZA.


FOULKES precorre la psicoanalisi relazionale e le teorie dell’attaccamento che
vedono nella spinta relazionale una delle motivazioni basilari dell’uomo.

2. rapporto tra interno ed esterno con primato al mondo esterno: il sociale,


l’esterno (interpsichico), viene prima e struttura l’interno, l’intrapsichico, al contrario
di FREUD e della psicoanalisi secondo la quale l’interno precede l’esterno:
l’intrapsichico viene prima e agisce sull’interpsichico (la sfera relazionale e
sociale).

Per FOULKES non ha senso operare secondo la dicotomia individuo/gruppo: la


psicologia non è né individuale, né di gruppo. Sono due facce della stessa medaglia.

Con il termine GRUPPOANALISI non si intende un’estensione della teoria psicoanalitica


dal setting individuale al setting di gruppo, ma l’oggetto della ricerca e della terapia si
fonda sull’idea di una struttura collettiva della mente: l’individuo è fondato
psichicamente da una gruppalità interna, una fondazione collettiva della mente.

DALAL basandosi sugli studi di FOULKES afferma che il gruppo, la comunità è l’unità
primaria da considerare e che i processi interni dell’individuo non sono altro che
interiorizzazioni delle forze che operano nel gruppo al quale egli appartiene.

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I processi interni, non sono interni in sé, ma sono dinamiche gruppali interiorizzate:
l’essere umano vive in relazione con l’ambiente ed il sociale agisce sulla formazione della
psiche sin dalle più precoci fasi di vita.

Per FOULKES:
1. “Il gruppo è l’unità primaria ultima da considerare: i processi interni sono
interiorizzazioni delle forze che operano nel gruppo al quale si appartiene”.

2. Il carattere e la personalità sono improntati dal gruppo in cui si è inseriti.


3. interno/esterno sono interdipendenti: l’uno non può darsi senza l’altro.

FOULKES annulla la priorità di un elemento sull’altro: si tratta di stabilire in che


modo si sviluppa l’interdipendenza tra interno ed esterno. Il cerchio è l’immagine
che rappresenta Il rapporto individuo-gruppo.

4. Il ruolo del sociale è fondamentale: agisce sulla formazione della psiche del
bambino sin dalle più precoci fasi di vita: ad essere interiorizzato non è un
oggetto esterno, ma è la relazione sociale, l’insieme delle interazioni e delle
comunicazioni presenti nel contesto socioculturale in cui si nasce e si cresce.

Per FOULKES:
- Io, Super-Io ed Es sorgono da una matrice comune, che ha inizio alla nascita o
perfino nella fase prenatale: si sviluppano di pari passo all’interno del contesto
familiare

- l’Es è acculturato: è intriso di elementi culturali (Super-Io) che determinano le spinte


pulsionali dell’individuo (che è sempre inserito in una determinata società): le pulsioni
sono dei coaguli interiorizzati di esperienze.

Il SOCIALE permea l’essenza della personalità: ad essere interiorizzato non è un


oggetto, ma la RELAZIONE SOCIALE: l’insieme delle interazioni e comunicazioni presenti
nel contesto socio-culturale in cui si nasce e ci si sviluppa.

In questo modo si struttura l’INCONSCIO SOCIALE: una forma di inconscio non rimosso,
costituito dall’accumularsi delle comunicazioni sociali interiorizzate dal bambino nel
corso dello sviluppo.
INCONSCIO in quanto sede dei condizionamenti esterni, delle disposizioni sociali,
culturali e relazionali dei quali si è inconsapevoli.

Le PULSIONI sono, quindi, dei coaguli interiorizzati di esperienze.

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La mente relazionale
Per Foulkes, i fenomeni vanno sempre visti in relazione ad un contesto maggiore:
- l’individuo non esiste in assoluto, “ha senso” solo in relazione agli altri (cioè al gruppo),

- il gruppo non esiste in assoluto, va visto in relazione ad altri gruppi, cioè al contesto
(sociale).

La MENTE nella gruppoanalisi viene concepita come mente relazionale nata per
soddisfare il bisogno di comunicare dell’uomo.

Ne deriva che i gruppi sono reti di comunicazioni di cui gli individui rappresentano nodi
dove le diverse linee di comunicazione si intersecano.

La GRUPPOANALISI quindi si fonda su:

1. idea relazionale della mente,

2. concezione gruppale dell’identità e della psicopatologia.

Innovazione fondamentale della teoria gruppoanalitica:

- superamento del paradigma individualista: la condizione gruppale è essenziale per


la salute e per la malattia.
- concetto di transpersonale: nuovo paradigma d’osservazione e d’intervento, dato
dalla molteplicità esterna e dalla molteplicità interna ad ogni soggettualità e non
dall’individuo come elemento singolo.

Un aspetto centrale della teoria di FOULKES è dato dalla concezione dell’uomo come
animale sociale in cui la spinta primaria è l’appartenenza.

Si tratta di un sociale che penetra l’essenza della personalità insieme alle relazioni sociali,
alle interazioni e alle comunicazioni. La mente, quindi, è l’esito di molte comunicazioni.

La comunicazione - la Matrice
Per FOULKES la comunicazione è tutto ciò che accade tra le persone, anticipando le
intuizioni di Watzlawtick: si comunica attraverso il linguaggio verbale, il non verbale,
la prossemica, il corpo, il transfert, la proiezione, l’abbigliamento, etc.

MATRICE

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Riferendosi alla comunicazione, FOULKES parla di MATRICE: il fulcro sostanziale del
modello gruppoanalitico, quello che meglio rappresenta la comunicazione all’interno
dei gruppi.

La MATRICE può essere pensata come quella CULLA CULTURALE che contribuisce a
determinare la formazione e lo sviluppo psichico dell’uomo e che ci consente di
apprendere degli strumentI noti che ci permettono di muoverci nel mondo.

La MATRICE è “l’ipotetica rete di comunicazione e di rapporti in un dato gruppo”, il


mezzo psicologico con cui gli individui comunicano, si incontrano e interagiscono.

La matrice è un concetto mentale (rete ipotetica): è l’insieme di comunicazioni


compresenti in un gruppo, la configurazione che la comunicazione assume in un
gruppo in un dato momento.

Si danno TRE TIPI DI MATRICE: di base, dinamica, personale:


1. matrice di base: il presupposto della comunicazione all’interno di un gruppo etnico,
il sostrato comune che consente la possibilità di comprendersi, es: la gestualità
tipica di un popolo;

2. matrice dinamica: la specifica “creazione” di uno specifico gruppo, ogni gruppo


costruisce la propria matrice che permette di concepire quanto avviene nel qui-e-ora
ed è in perenne trasformazione;

3. matrice personale: l’esperienza interiorizzata dall’individuo a partire dal suo far parte
di un dato gruppo, come ad esempio il gruppo familiare.

La FAMIGLIA è il primo gruppo col quale l’individuo fa esperienza e trasmette norme


valoriali e culturali. La famiglia è quel luogo che struttura la vita psichica: il sociale
consente di fondare la nostra individualità a partire dal campo familiare, per cui il gruppo
è ciò che va a costituire la realtà psichica sia in senso filo- che onto-genetico, poiché il
mondo interno soggettivo si costituisce a partire dalla sua matrice gruppale, la quale a
sua volta può essere estesa a matrici simboliche, storiche e transgenerazionali.

Psicopatologia

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FOULKES utilizza l’immagine dei cerchi concentrici per descrivere la psicopatologia e
la pensa come una sofferenza che va dall’individuo, alla famiglia, al sociale.

La psicopatologia viene pensata non soltanto come l’esito di uno sviluppo psicosessuale
del soggetto o di relazioni oggettuali, ma come rappresentazione drammatica dei
personaggi del proprio mondo interno e delle proprie matrici familiari: è la
conseguenza di un fallimento della “matrice familiare satura” nella sua funzione di
spazio transizionale, attraverso la mancata trasformazione della storia delle generazioni
precedenti,

Lo SCOMPENSO NEVROTICO può essere visto come il punto di rottura di una serie di
processi relazionali che coinvolgono molte persone, dal sociale alla famiglia, vicine
all’individuo. Il disturbo nevrotico è il risultato dell’interazione di più persone che
contribuiscono alla sua comparsa e al suo mantenimento.

Il presupposto teorico è che non c’è una persona “malata” ma c’è un sistema
familiare in crisi, che non è in grado di affrontare gli eventi intollerabili all’interno di quel
sistema di pensiero e di relazioni: il disturbo nonostante si presenti in un soggetto è il
sintomo di un gruppo più esteso, nominato da FOULKES “localizzazione”.

L'individuo è il punto nodale di una “matrice disfunzionale”: la LOCALIZZAZIONE del


disturbo non è chiusa nei confini del corpo, ma coinvolge una rete più ampia.

In quest’ottica la cura si rivolge al soggetto e all’intera rete di relazioni in cui il soggetto è


inserito.

Di conseguenza, il gruppo si pone come il dispositivo clinico che meglio riesce a


riproporre ed esprimere la natura gruppale dell’individuo e consente di osservare
l’individuo in relazione attraverso:

- reti diacroniche (verticale) - il là e allora, le generazioni precedenti che hanno


lasciato in lui un sedimento.

- reti sincroniche (orizzontale) - il qui e ora, la famiglia, i gruppi di appartenenza

La psicopatologia può essere compresa secondo una:

- dimensione verticale, transgenerazionale: l’eredità culturale che sostanzia la


forma e il contenuto della matrice di base

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- dimensione orizzontale, attuale: le interazione della matrice dinamica che
definiscono la matrice personale.

Neocultura = Matrice dinamica di gruppo


All’interno del gruppo si viene a creare una nuova cultura interpretativa, un’atmosfera
di analisi del transfert in azione in un dato momento, dove tutti i membri contribuiscono
a mantenere attiva questa dimensione interpretativa. Il gruppo, quindi, produce una
neocultura, una matrice dinamica: un processo di decostruzione e ricostruzione:
- delle basi culturali della mente,

- dei codici affettivi dell’individuo, dei valori


- della capacità di significazione degli eventi.

La neocultura offre una nuova trama di pensiero sulla quale il paziente può avviare una
riorganizzazione del sé, rompendo i nuclei patogeni della matrice familiare satura.

Per tale motivo il potenziale terapeutico di un gruppo nasce dalla costruzione di


relazioni gruppali che creano una matrice dinamica terapeutica.

Il gruppo, come matrice dinamica terapeutica, ha la potenzialità di modificare e


riparare, attraverso il processo di comunicazione, le matrici sature che impediscono
spazi di riflessione e costruzione di nuove categorizzazioni del reale.

Il gruppo, analogamente alla famiglia sana, consente l’esplorazione di nuovi sensi e di


scardinare la matrice satura.

La matrice dinamica del gruppo si realizza attraverso la ri-narrazione della storia


familiare, passando dal registro di ciò che è stato al registro del possibile, consente la
costruzione di un percorso di autonomia e la capacità trasformativa della matrice
personale.

Il compito del conduttore è fondamentale: deve tessere le reti appartenenti al soggetto


e le trame psichiche comuni da cui so originano le trame interne dei singoli: conduttore
come una TESSITRICE nella creazione del gruppo e nelle fasi iniziali della terapia

METODOLOGIA della Gruppoanalisi

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Il metodo di cura è congruente col modello psicopatologico: “la gruppoanalisi è una
forma di terapia praticata dal gruppo nei confronti del gruppo, incluso il conduttore.
E’ una terapia mediante il gruppo, (per mezzo/attraverso il gruppo) differenziandosi
dalle altre due modalità di terapia analitica, di gruppo o in gruppo:
1. FOULKES - BURROW => gruppoanalisi: analisi attraverso il gruppo, gruppo
esterno, gruppalità interne, conduttore coinvolto nel processo analitico

2. BION - EZREL => analisi di gruppo: gruppo come totalità, insieme unitario,
terapeuta neutrale (interpreta)

3. SLAVESON - WOLF => analisi in gruppo: modello analitico puro, gruppo come
aggregato di individui, focus su individuo, gruppo come sfondo, conduttore
distaccato.

Il gruppo di psicoterapia gruppoanalitica:

- insieme di persone da 5 a 8: incontri periodici regolari in presenza di un conduttore.


- obiettivo: analizzare i propri sintomi, i modi di interagire, i sogni, le emozioni e i
pensieri.

Il GRUPPO può essere inteso come oggetto di conoscenza, un insieme di fenomeni,


dinamiche ed eventi mentali che letti mediante la lente del gruppo conducono ad una
crisi della concezione individualistica e monolitica della personalità.

Processualità di gruppo
si articola in una serie di fasi successive:
1. Creazione del gruppo: pre-concezione del gruppo che nasce “prima” nella mente
del conduttore che valuta l’opportunità e l’utilità di intrecciare le storie dei pazienti.
L’inserimento di un nuovo paziente a gruppo avviato segue un iter simile sulla base:

A. della storia e del momento che il gruppo sta attraversando

B. delle caratteristiche e della storia del paziente candidato

2. La fase di fondazione: successiva alla creazione del gruppo. Il conduttore lavora


alla costruzione di una matrice di gruppo: la rete inconscia di comunicazioni che
darà forma al significato degli avvenimenti di quel gruppo.
3. Si sviluppa così una capacità interpretativa del transfert da parte del gruppo: il
principale strumento di cura del gruppo è il gruppo stesso.

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4. il conduttore dovrà mantenere attiva questa capacità di lettura dei transfert
soprattutto nei momenti di difficoltà del gruppo.

Il modello gruppoanalitico è in parte in linea con altri modelli psicoanalitici e


psicodinamici.

Un esempio, è il concetto di rispecchiamento della Psicologia del Sé (KOHUT - 1979)


per il quale il rispecchiamento dell’unicità e delle capacità creative del bambino da
parte dell’adulto sono fondamentali per lo sviluppo di un funzionamento psichico
sano, risultato dell’integrazione di una molteplicità di Sé e di rappresentazioni di
oggetti. Nella GRUPPOANALISI il gruppo svolge tale funzione di rispecchiamento che
è lo strumento privilegiato per la comprensione del Sé.

Il Metodo di cura della Gruppoanalisi considera e lavora sulla gruppalità interna (base
sociale della psiche dell’individuo) e sul gruppo come rete d’interazione (matrice di
comunicazione, relazioni multipersonali, transfert multipli e fattori specifici del setting di
gruppo nel qui ed ora: rispecchiamento, risonanza, esperienza emotiva correttiva,
socializzazione).

4.2 Gli sviluppi della gruppoanalisi

Teoria gruppoanalitica in Italia - La scuola italiana di gruppoanalisi ha sviluppato e


approfondito gli aspetti clinici e psicodinamici, meno quelli sociologici del pensiero
foulkesiano.

DI MARIA - LO VERSO (1995) hanno teorizzato il concetto di gruppo analitico come


MATRICE: la configurazione mentale (operatore psichico), il reticolo di interrelazioni fra
persone, da osservare dal punto di vista cognitivo e fenomenologico”.

Le dimensioni del gruppo analitico


Questa concezione del gruppo come MATRICE si fonda su quattro dimensioni
chiave: relazione, circolarità, trasformazione, molteplicità.
1. relazione, il fatto che nel gruppo la relazione è amplificata: il gruppo rende più visibili
(rispetto alla coppia) gli aspetti consapevoli e inconsci del comunicare;

49
2. circolarità, il fatto che qualsiasi evento che accade in gruppo coinvolge tutti,
trasformando il campo percettivo del gruppo;

3. trasformazione, il fatto che il gruppo agisce sull’individuo una spinta al cambiamento

4. molteplicità, il fatto che la pluralità di campi mentali ed esperienze di soggetti


innesca il confronto, il processo di identificazione e differenziazione,

Attraverso queste quattro dimensioni il gruppo può essere:


a. oggetto di conoscenza, che permette la messa in discussione della concezione
individualistica e monolitica della personalità.

b. strumento di osservazione, che consente di focalizzare l’attenzione sulla relazione


tra la matrice personale e la matrice dinamica del gruppo.

LO VERSO - PAPA (1995)

individuano nella creatività dello scambio comunicativo l’aspetto che più differenzia la
gruppoanalisi dalla psicoanalisi:

1. gruppoanalisi: il gruppo può indurre il cambiamento attraverso il superamento della


matrice personale: la dimensione creativa della relazione è amplificata e nasce
nello spazio di incontro tra matrice personale e matrice dinamica.
2. psicoanalisi: visione individualistica, lo scambio è improntato alla riedizione
transferale dei vissuti nel qui-ed-ora, alla proiezione del mondo interno sull’altro:
dimensione orientata al passato, la parola trasformativa è quella dell’analista.

D. NAPOLITANI - Gruppi interni e Universi relazionali

Il contributo di D. NAPOLITANI si basa sulla distinzione tra i concetti di:

- individualità biologica

- individualità psicologica
• Individualità biologica - ogni individuo si qualifica per la sua unicità è portatore di
un corredo genetico unico e di antigeni di istocompatibilità per cui è impossibile
l’innesto di parti estranee, (il passaggio di tessuti ed organi da un individuo all’altro).

• Individualità psicologica - (opposta a quella biologica), è l'esito di un insieme di


processi di identificazione: l’essere umano assume in sé, in modo più o meno stabile

50
ed esteso, tratti mentali, affettivi e comportamentali del suo ambiente,
considerandoli come qualità native o geneticamente ereditati.

Per NAPOLITANI l’individuo si sviluppa come tale grazie alla sua disponibilità ad
apprendere, ad assumere come se fossero propri i segni delle intenzionalità, degli
affetti e dei modi relazionali che l’ambiente gli trasmette.
Il processo attraverso cui si fondano la relazione il mondo interno del soggetto è il
PROCESSO DI IDENTIFICAZIONE, attraverso cui l’individuo assume tratti affettivi e
comportamentali più o meno stabili ed estesi del nucleo di riferimento e che lo qualifica
come UOMO CULTURA.

CULTURA deve intendersi come una dimensione appresa, il modo di essere al mondo in
rapporto con i nostri simili sin dalle origini che coinvolge l’individuo nelle sue componenti
biologiche, affettive, relazionali, comportamentali.

NAPOLITANI rappresenta l’individualità psicologica come quel conflitto insanabile tra


la parte inautentica, assimilata nel mondo in cui ciascuno è nato con la parte di
autenticità dell’identità. Secondo questa visione i gruppi interni vengono continuamente
rivisitati dalla parte autentica dell’individuo il che comporta lo sviluppo dell’autonomia,
l’AUTOS e la distruzione delle matrici apprese, l’IDEM per mettere insieme gli elementi
ereditati con quegli elementi simbolizzati ossia trasformati dalla capacità creativa e
concepitiva del soggetto mediante un esercizio simbolopoietico.

Questo processo creativo - la disponibilità ad apprendere/modificare - è l’elemento di


rottura tra l’identificazione con i modelli esterni e l’affermazione della propria identità
individuale.

Il processo creativo comporta uno svincolamento da alcuni aspetti della propria realtà
identificatoria, sui quali si istituisce l’identità individuale.

L’identità individuale si caratterizza per la sua culturalità: l’interiorizzazione di aspetti


relazionali che connotano l’ambiente in cui il bambino nasce e cresce.
L’identità si compone di relazioni interiorizzate (identificazioni) che costituiscono una
gruppalità interna = individuo costituito da gruppi interni.
Il concetto di gruppalità interna è applicato nella prassi terapeutica che riattiva le
costellazioni relazionali interiorizzate che in gruppo emergono e vengono proiettate.

51
Gruppalità interna
NAPOLITANI concettualizza l’individuo come fatto di gruppi.

I GRUPPI INTERNI sono costituiti da oggetti o parti introiettate: sono


rappresentazioni e fantasmatizzazioni di parti innestate nelle gruppalità interne.

La gruppalità interna definisce lo sviluppo psichico dell’individuo, attraverso un


processo di identificazione con le figure introiettate sulla base della MATRICE
RELAZIONALE/GRUPPALE (o universo relazionale) che l’individuo attraversa in un
dato momento

Questa matrice relazionale si caratterizza al contempo come:

- fondamento storico dell’esserci del soggetto

- superamento delle identificazioni attraverso espressività di sé e potenzialità creativa.

Gli UNIVERSI RELAZIONALI dell’identità individuale.


NAPOLITANI individua 3 matrici/configurazioni gruppali che chiama UNIVERSI
RELAZIONALI P - S - R.
Gli UNIVERSI RELAZIONALI:

1. attraversano l’esperienza dell’individuo


2. sono non rigidamente organizzati, sebbene sequenziali
3. possono manifestarsi in qualsiasi momento evolutivo

1. UNIVERSO “P” o sistema protomentale - l’individuo è immerso in un tessuto


precoscenziale: Sé/non-Sé, mentale/corporeo, interno/esterno sono intrecciati.

• Secondo BION è uno stato che viene “prima” dell’instaurarsi di una “mente”, è
pre-coscienziale.

• Per NAPOLITANI invece è una condizione permanente di esperienza del


mondo che può riattivarsi in ogni momento e in tutte le situazioni sociali.

Universo P e il gruppo di base-mentalità di gruppo (basic assumption)

Il sistema protomentale rimanda a ciò che BION definisce “mentalità di gruppo”:


l’insieme di stati mentali collettivi, emozioni, desideri e impulsi inconsci che
caratterizza il clima del gruppo. Quando prevale la mentalità di gruppo si ha una
totale perdita dell’identità individuale e della possibilità di lavorare in gruppo.

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BION distingue 3 principali tipi di mentalità di gruppo, 3 basic assumptions
(assunti di base):

• accoppiamento,
• dipendenza
• attacco-fuga.
Nel sistema protomentale (Universo P) l’esperienza del singolo ricalca la modalità
precoscienziale dell’assunto di accoppiamento nel quale il gruppo vive una sorta
di eccitamento condiviso nell’attesa di un evento. Nell’Universo P attraverso
l’accoppiamento può emergere un primo riconoscimento intersoggettuale: una
prima dipendenza che si concretizza in un perdersi nel Noi.

2. UNIVERSO “S” o sistema simbolico - registro dell’Immaginario, del desiderio, ha


un’origine legata alla mancanza e alla consapevolezza del bambino della sua
condizione di dipendenza: la necessità degli altri per la sua sopravvivenza.

Si articola intorno alla dinamica del potere come sistema transpersonale


dell’assoggettamento, costituito dall’individuo e dall’Altro, che vede presenti:
• La disobbedienza del bambino all’assoggettamento nel non assumere come
proprio il sapere del genitore e nel volersi aprire ad un suo sapere soggettivo.

• L’apprendimento identificatorio del bambino relativo ai segni che il genitore


vuole vengano appresi e all’apparato desiderante del genitore, con i suoi dispositivi
manipolatori, seduttivi, mistificatori”.

• L’angoscia di solitudine intrinseca nel voler essere indipendente che contrasta


con l’adesione ai codici istituiti, alla cultura.

In questo senso NAPOLITANI chiama questa modalità Universo “transferale”,


intendendo la natura ripetitiva della cultura trasmessa per vie identificatorie.

3. Universo “R” o sistema relazionale - sistema interpersonale progettuale, l’individuo


si muove nel mondo con piena consapevolezza, corporea e storica, della sua
esistenza, è portatore di una sua identità. Il registro relazionale segna una
modalità di vita non più sopravvivenziale, ma esistenziale, caratterizzata dalla
creatività che si traduce nello sviluppo di una dimensione del progettarsi, la
“mancanza” si traduce in libertà (di essere). Nel sistema relazionale avviene una
configurazione soggettiva: l’individuo è soggetto, portatore di una propria

53
dimensione che gli permette di dare senso autonomo alle relazioni, acquisisce
autonomia, costruisce un sapere soggettivo in contrasto con l’adesione passiva ad
un codice desiderante altrui.

Clinica del modello gruppoanalitico: MATRICI SATURE - MATRICI INSATURE

Per la clinica gruppoanalitica il paziente è l’anello di una catena, una rete di


interazioni, persone e situazioni che è la vera sede della malattia e che per questo,
attraverso la rete del gruppo, può essere sede di guarigione. Il processo dello
sviluppo mentale deriva da dinamiche intra-psichiche e inter-psichiche, risultato di un
processo transgenerazionale.

Processo transgenerazionale - FOULKES (1964)


Nel gruppo primario - la FAMIGLIA - avvengono le prime strutturazioni della rete
primaria e le prime relazioni verticali, al contrario nel gruppo dei pari si organizzano
relazioni e reti orizzontali.

La personalità di un individuo si costituisce attraverso processi transgenerazionali in


relazione al campo mentale familiare: la trama di pensieri, significati ed eventi familiari e
le modalità psicologiche attivate per dotare di senso tali eventi.

Il ruolo della famiglia sufficientemente buona è garantire l’autonomia dei figli: lo


svincolamento dalla famiglia.

Nella famiglia 'sana' il campo mentale familiare si caratterizza in modo tale da dare al
bambino significati non biunivoci e modalità di significazione non sature, arricchibili e
modificabili secondo la sua esperienza e capacità di apprendimento e differenziazione.
Questa caratteristica è definita matrice familiare insatura.

Matrice familiare insatura => è una matrice di significazione aperta che crea le prime
relazioni mentali tra percezioni, sensazioni, emozioni, sistemi di conoscenza e
comunicazione. L’essere insatura indica la capacità dare senso all'ignoto e al nuovo
tramite una comunicazione non biunivoca ed un pensiero condiviso tra i membri della
famiglia.

54
La famiglia sana svolge una doppia funzione:
- contiene l’immaturità individuale ed assicura la crescita del soggetto,
- lascia spazi d’apertura verso nuove modificazioni dell’esistenza dei figli.

Matrice familiare satura => è una matrice che non offre all'individuo uno spazio
mentale che gli consente di pensarsi come "altro" rispetto alla matrice familiare. Si
ha una predominanza fantasmatica del passato che rende instabili i confini fra mondo
interno e pensiero familiare, tra Sé ed Altro da Sé.

La matrice satura:
- non consente differenziazioni
- ostacola il processo di individuazione
- apre alla psicopatologia: iscrive i suoi individui all’interno di un processo di replica e
ripetizione, in un registro della coazione a ripetere.

NUCARA -MENARINI - PONTATI (1995) - matrice familiare e matrice personale


“Ogni famiglia è caratterizzata da una particolare cultura o matrice che affonda le radici
nella sua storia e in quella delle generazioni precedenti.

La matrice familiare è lo spazio di scrittura transazionale che da senso storico alle


matrici passate e costruisce il senso e la progettualità del processo evolutivo.

L’interazione tra la cultura (matrice) familiare ed il mondo interno del bambino esita
nello sviluppo della “matrice personale”.
La matrice personale si costituisce come un “polo identificatorio” della mente umana
e per questo è sostanzialmente gruppale.

La capacità generativa di pensiero della matrice familiare insatura permette al


bambino di pensare il pensiero familiare e trasformare la cultura familiare in nuovi
significati. Ne deriva che è nel contesto sociale e familiare che si può costruire la salute
mentale o la patologia.

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Per la Gruppoanalisi la SOFFERENZA PSICHICA origina dalla saturazione del
pensiero, dall’impossibilità di dialogare con altri pensieri, dalla coercizione ripetitiva del
pensiero unico che impedisce l’autonomia della persona.

Nella Patologia l’individuo non funziona come un punto nodale della rete, ma è il punto
focale dove la conflittualità della rete trova una collocazione, una modalità
d’espressione.

Sintomo psichiatrico => conseguenza di mancate elaborazioni definite “buchi di


significato”: la mancata trasformazione dei temi transgenerazionali in eventi
simbolici (dotati di significato) all’interno del pensiero del soggetto.
Questi buchi di significato sono le condizioni potenziali di psicopatogenia: ostacolano
lo sviluppo mentale e l’organizzazione intrapsichica, conducendo ad una sindrome
psicopatologica o ad un disturbo di personalità.

Il lavoro gruppoanalitico è un lavoro su:


- gruppalità interne

- sistemi di autorizzazione e non autorizzazione che i gruppi interni danno o meno.

La teoria e la pratica gruppoanalitica:

- permettono di superare l’individualismo, le scissioni individuo-gruppo/sociale, natura-


cultura, intrapsichico-interpsichico

- è una teoria psicologica della polis (interna ed esterna) intrapsichica e


transpersonale.

Per la Gruppoanalisi l’organizzazione mentale è riflesso:

- delle organizzazioni sociali in cui il soggetto vive


- della capacità di pensare e strutturare la realtà

- della possibilità di organizzare il mondo dandogli senso/i

IL MODELLO PSICOANALITICO - BION

L’esperienza di BION con i gruppi ha inizio presso l’Ospedale Militare di Northfileld,


nella seconda Guerra Mondiale dove condusse piccoli gruppi con soldati traumatizzati
osservando alcuni aspetti del funzionamento degli stessi.

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Experiences in Groups (1961) opera cardine in cui sono raccolte le sue elaborazioni sui
gruppi e le relazioni al loro interno. Successivamente BION si dedicò allo studio dello
sviluppo dell’apparato psichico non occupandosi ulteriormente di gruppi.

Nel lavoro di BION si delineano due tratti importanti:


1. “ampliare l’orizzonte di conoscenza”: per BION lo psicoanalisti a la psicoanalisi
sono uno strumento di indagine e non un elemento di contenimento. Focus sulla
responsabilità in prima persona del paziente e dell’analista nel lavoro analitico.

2. visione della psicoanalisi come “processo veritativo”: processo attraverso il quale


la persona diventa se stessa, dunque vera. La verità evolve e non si conclude mai ed è
composta da più verità non escludentesi, per cui è un processo in cui “noi
diventiamo la verità”.

La prospettiva di lavoro con i gruppi consenti a BION di distinguere tra aggregato e


gruppo.

1. L’aggregato è l’insieme di individui oggettivamente e direttamente osservabile


2. il gruppo è il prodotto di un’attività mentale, un’elaborazione fantasmatica in parte
illusoria, frutto di una regressione inconscia e automatica che si verifica quando ci si
confronta con gli altri nella vita sociale (Blandino, 2009; Kaneklin, 2010).

MCDOUGALL - duplicità del gruppo - funzione evolutiva


BION prende spunto dalle teorie di McDOUGALL che evidenzia la duplicità del gruppo
come elemento degradante dell’individuo e come funzione evolutiva dello stesso:

- come aspetto degradante dell’individualità, rende l’individuo brutale, irragionevole e


impulsivo.

- come funzione evolutiva del gruppo, grazie alla partecipazione a gruppi il soggetto
può divenire umano, per mezzo della costituzione e partecipazione a gruppi
organizzati: l’organizzazione rende il gruppo un aiuto e annulla le tendenze
degradanti insite in esso.

L’uomo per BION, come per FOULKES è un ANIMALE SOCIALE, e nella relazione con
gli altri, sperimenta un’apparente contraddizione: da un lato il gruppo determina una
perdita di individualità e causa una profonda regressione inconscia per cui i membri

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sperimentano un forte senso di frustrazione, dall’altro è attratto verso il gruppo dal suo
bisogno di socializzazione per soddisfare i suoi bisogni materiali e psicologici.

Quindi, in gruppo si sperimentano due tipi di STATI MENTALI:

1. stato mentale cosciente e razionale che fa riferimento al gruppo in modalità di


lavoro
2. stato mentale incosciente e pulsionale che fa riferimento al gruppo in modalità
mentalità di gruppo.

BION recupera l’idea di duplicità del gruppo di McDOUGALL e sviluppa i concetti di


“gruppo di lavoro” e “mentalità di gruppo/primitiva” o “gruppo di base” per spiegare
questi due tipi di attività o stati mentali, uno cosciente e razionale, l’altro incosciente e
pulsionale:

1. “gruppo di lavoro”, indica le motivazioni coscienti e razionali dei membri del gruppo,
il dare il proprio contributo ai fini della realizzazione di un obiettivo comune: attività
dinamica conscia legata al conseguimento di un risultato e prevede una “fase” di
apprendimento: la disposizione personale ad apprendere le norme in funzione del
risultato e a collaborare con gli altri.

2. “mentalità di gruppo o primitiva” o gruppo di base, indica una tendenza


coinvolgente ad agire impulsivamente attività dinamica inconscia relativa
all’esperienza sensoriale, affettiva, emotiva e l’insieme di stati mentali collettivi,
desideri e impulsi inconsci che caratterizzano il clima del gruppo. Questo stato
mentale si alterna costantemente alla dinamica conscia del gruppo di lavoro, e
deriva “dai contribuiti anonimi dei singoli membri che inconsciamente mettono in
comune stati emotivi regressivi, a motivo dei quali perdono parte della loro
individualità e acquistano il sentimento di appartenenza al gruppo, sentito come
un’entità distinta dalla somma dei singoli membri” (Kaneklin, op. cit., p. 53).

Nello stato mentale MENTALITA’ DI GRUPPO, il gruppo funziona come una totalità
pervasa da stati mentali collettivi. Più il gruppo funziona secondo tale mentalità più lo
spazio per l’individuo è limitato.

A. Il gruppo esercita una forte pressione sui membri che attiva una regressione
inconscia così da far adeguare il pensiero e le emozioni individuali a quelle
condivise dal gruppo.

58
B. Un gruppo che funziona come una totalità indistinta pervasa da stati mentali
collettivi:
- provoca una totale perdita dell’identità individuale e della possibilità di lavorare in
gruppo.
- fornisce senso di calore emotivo e profondità di legami inconsueti.

Il gruppo di base e il gruppo di lavoro sono stati mentali compresenti, contrapposti e


non sequenziali e pongono l’individuo in una condizione di conflitto:
a. in assetto di lavoro il gruppo non fornisce calore e profondità di legami capaci di
colmare il vuoto di solitudine del singolo,
b. in assetto di gruppo di base l’individuo esperisce l’impossibilità di perseguire i
propri fini in un’atmosfera ravvivante ma che conduce alla perdita di individualità.

BION (1961) individua 2 tipologie di parametri relativi alla dinamica di gruppo:


individuali e di gruppo come totalità.

Gli assunti di base - TOTALITA’


Secondo BION la MENTALITA’ PRIMITIVA è sostenuta ed alimentata da 3 fantasie
dominanti, delle suggestioni arcaiche e mitologiche che rappresentano tre modalità di
funzionamento del gruppo, dette “assunti di base”:

- fantasie inconsce di tipo magico-onnipotente che il gruppo produce.

- rappresentano delle difese del gruppo nei confronti dello sviluppo e del trattamento,
per evitare la naturale condizione di sforzo e dolore legata all’apprendimento.

- sono al di fuori della consapevolezza dei membri ed ostacolano l’attività attraverso forti
tendenze emotive.

BION descrive tre assunti di base: di dipendenza, di accoppiamento e di attacco-


fuga.
1. Accoppiamento-Coppia, consiste in una forma di eccitamento condiviso dal
gruppo: si da quando due partecipanti al gruppo sono impegnati in una discussione a
due, una relazione connotata da aspetti di sessualità. L’assunto di base è legato
alla sopravvivenza del gruppo: si riferisce alla fantasia o speranza condivisa da
parte del gruppo di un evento o di un individuo/Messia che risolva tutti i problemi.

59
2. Dipendenza, domina la fantasia di ottenere benefici dal rapporto col capo, non dal
gruppo: il gruppo si riunisce allo scopo di dipendere da qualcuno, il quale può
risolvere tutti i problemi e sul quale vengono proiettate le aspettative. il gruppo
proietta sul conduttore il bisogno di avere un leader onnipotente, Caratteristiche del
gruppo in questo assunto sono:

- l’immaturità delle relazioni individuali,


- la paura come emozione prevalente,
- l’incertezza: ogni membro è costantemente in procinto di fuggire.
3. Attacco-fuga (o Lotta-fuga), è caratterizzato da una convinzione globale secondo
cui esiste un nemico esterno da cui difendersi o attraverso l’evitamento/fuga o
tramite l’attacco e poi la fuga: il gruppo vive la costante minaccia di un nemico
esterno da cui difendersi, combattendo o fuggendo.

Il gruppo manifesta una mentalità paranoica, con l’oscillazione tra razionale e


collusivo.

Il capo è ascoltato quando pone richieste percepite come occasioni di attacco o


fuga, ed è ignorato quando pone richieste che non siano di questo tipo.

Parametri individuali - VALENZA

BION individua un parametro specifico del singolo individuo nel gruppo che può
influire sulla sua adesione al gruppo, la VALENZA: la disposizione dell’individuo ad
entrare in gruppo e a sintonizzarsi con l’assunto di base dominante. Nessun
individuo ha valenza pari a zero:

- individui con alta valenza hanno maggiore predisposizione alla condivisione gruppale
- individui con bassa valenza hanno minore predisposizione alla condivisione gruppale

Cultura di gruppo
L’oscillazione tra i due stati mentali – razionale consensuale e inconscio collusivo – dà
origine alla “cultura di gruppo”: la sua struttura organizzativa vivente, la sua attività reale,
il suo sistema relazionale interno che è un tentativo di mediazione automatico e non
cosciente tra il gruppo come realtà autonoma  e l’individuo.

60
BION riconosce nei gruppi un fenomeno di comunicazione istantanea e a distanza
delle emozioni: “la capacità di un individuo di combinarsi con un altro istantaneamente
ed involontariamente per condividere ipotesi di base” possibile grazie al fenomeno della
risonanza.

Queste ipotesi costituiscono il livello inconscio della vita del gruppo e pongono delle
resistenze al gruppo di lavoro: lo stato mentale che rappresenta le motivazioni razionali,
coscienti dei membri del gruppo.
Il comportamento è quindi un compromesso tra le esigenze del gruppo di lavoro e le
pulsioni inconsce/ipotesi di base

NERI - CORREALE - Il modello psicoanalitico di gruppo oggi

NERI (1998) - le dimensioni costitutive e le fasi del gruppo


ha dato uno dei maggiori contributi italiani, orientato ad approfondire la teoria della
tecnica, il modo in cui si svolge il lavoro di analisi di gruppo, ed i costrutti teorici alla
base.

Le dimensioni costitutive del gruppo


NERI individua 4 dimensioni costitutive di qualsiasi gruppo che il conduttore deve
sempre tenere presenti:
1. dimensione individuale - le persone
2. dimensione interpersonale - le relazioni interpersonali
3. dimensione individuo-gruppo - Il rapporto tra persone e gruppo
4. dimensione transpersonale - i fenomeni trans-personali


1. dimensione individuale - le persone, ogni partecipante è come un elemento


d’orchestra distinguibile dagli altri, all’orecchio del direttore anche quando non si
esprime verbalmente.

2. dimensione interpersonale - le relazioni interpersonali, richiama la relazione


transferale: si tratta però di un’analisi in parallelo dato che il gruppo è composto
da 3 o più membri. Affinché vi sia una dimensione interpersonale i membri devono
far parte di un CAMPO in cui si realizza la RELAZIONE. Esistono fenomeni gruppo-

61
specifici quali la risonanza che rendono complesso il tutto, per cui il campo e la
relazione sono concetti distinti.
- RISONANZA, fenomeno di contagio emotivo che indica il saper cogliere aspetti del
vissuto della persona che parla.
E’ il fenomeno alla base del lavoro di gruppo per cui una persona risuona
all’unisono con l’altra. La risonanza riguarda percezioni precise che colgono il
nucleo della comunicazione di chi parla, ma che sono deformate dalle identificazioni e
dagli investimenti emotivi di chi le coglie. Attraverso la RISONANZA si possono
mentalizzare e metabolizzare le emozioni ed i vissuti all’interno di un gruppo.

3. dimensione individuo-gruppo - Il rapporto individuo-gruppo, aspetto specifico


della processualità di gruppo osservabile a vari livelli, da quello comunicativo a quello
dell’appartenenza. Per NERI, a livello comunicativo, esistono varie configurazioni
del discorso di gruppo:

1. può fluire in continuità, come una catena associativa che coinvolge i vari
partecipanti in un unico discorso.

2. può assumere una modalità a stella, in cui esiste un punto di raccordo centrale
da cui passano tutte le comunicazioni.

4. dimensione transpersonale - fenomeni trans-personali, riguardano l’atmosfera


del gruppo, il medium e la mentalità primitiva.

• L’atmosfera di gruppo riguarda a tonalità di sentimento del gruppo: il complesso


di emozioni, sensazioni corporee e vissuti condivisi in un dato momento dai
partecipanti del gruppo.
• Il medium è il mezzo attraverso cui si comunica e l’influenza che produce sul
contenuto della comunicazione. Nel gruppo si palesano diversi “mezzi
comunicativi” che influenzano il contenuto della comunicazione, ad es., il valore
comunicativo di un’assenza in gruppo percepita come un cambiamento del
medium.

Il processo di gruppo - le fasi - NERI


Il processo di gruppo è caratterizzato da alcuni momenti salienti, delle “fasi”, anche se
non vi è alcuna demarcazione tra una fase e l’altra e non vi è sequenzialità rigida tra le fasi

62
“Fase iniziale”, segnata da due momenti “crocevia”: lo stato gruppale nascente e lo
stadio della comunità di fratelli.

A. stato gruppale nascente, caratterizzato da:


1. illusione, è una resistenza al cambiamento, tuttavia ha un carattere positivo:
un’aspettativa illusoria che serve da collante, connotata da aspetti euforici,
gratificanti, narcisistici. Una modalità di risposta al bisogno di stare insieme
quando manca la capacità di stare in rapporto.

2. fenomeni di de-individuazione: il partecipante sperimenta perdita di confini del


Sé: condizione-limite che porta a sentire vissuti, emozioni, sogni, riferibili non al sé
ma al contesto in cui si è immersi.

B. stadio della comunità di fratelli, si realizza quando si raggiunge la consapevolezza


dell’esistenza del gruppo come soggetto collettivo (totalità) e delle sue
potenzialità elaborative e come comunità capace di pensiero.

Si avverte che l’appartenenza al gruppo non è più in discussione, i membri hanno


raggiunto uno stato fusionale che permette l’uso del “noi” per riferirsi a se stessi. In
questo stadio i partecipanti sono disposti a mettersi in gioco:

- sviluppano sentimenti verso gli altri membri in quanto singoli individui: protezione,
gelosia, ammirazione etc...

- si percepiscono come “comunità di fratelli”, come detentori di un diritto sul


gruppo, ciascun membro “vanta” questo diritto in quanto facente-parte-della-
comunità.

- i temi “caldi” non vengono evitati ma trattati in modo preciso,


- il leader è visto come figura meno idealizzata,
- diminuiscono i vissuti di dipendenza e timore nei suoi confronti,
- vi è maggiore circolazione della discussione tra i membri

Attraverso il passaggio dalla fase gruppale nascente allo stadio della comunità di
fretelli, si crea uno “spazio del gruppo”, un confine noi-voi, che ANZIEU (1981)
definisce noi-pelle: il gruppo come un involucro che tiene insieme gli individui, che
racchiude pensieri, parole, azioni e permette di costituire un suo spazio interno e una sua
temporalità.

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CAMPO DEL GRUPPO
Il campo bi-personale
M. e W. BARANGER introducono in ambito psicoanalitico il concetto di campo
inizialmente sviluppato da LEWIN, applicandolo al setting duale per indicare il
coinvolgimento attivo dello psicoanalista nella costruzione del campo mentale del
paziente. Tale coinvolgimento contribuisce alla costituzione del campo bi-personale:
una fantasia inconscia a due (o bi-personale) che non è la sommatoria dei due
protagonisti, ma è un terzo elemento a se stante: una configurazione della coppia che ha
esistenza propria e indipendente dalla somma delle intenzionalità dei singoli individui.

CORREALE approfondisce il concetto di campo estendendolo al gruppo e alla


dimensione istituzionale.
Il CAMPO è qualcosa in cui sono immerse due o più persone e riguarda come due o più
persone sono legate fra loro.
Per CORREALE il campo è una configurazione fluida in continuo movimento che
influenza o condiziona gli individui che vi partecipano e, riprendendo la teoria del
gruppo come campo di forze, distingue un:

1. campo attuale, l’insieme delle immagini, pensieri, affetti ed emozioni presenti ed


attive nel gruppo nel qui-ed-ora,

2. campo storico (o campo del gruppo), il lento deposito di relazioni affettive, vicende,
rappresentazioni ed emozioni accumulatesi nel tempo.

Pensiero di gruppo - CORRAO


Pensare insieme significa considerare il discorso nella forma di una catena associativa.

Nel piccolo gruppo a finalità terapeutica (4 a 8 membri, mediano fino a 15-20 membri,
oltre large group) si vive la particolare condizione del pensiero di gruppo:
- il discorso assume la forma di una catena associativa in cui una parola provoca un
pensiero e questo suscita un emozione in un altro membro che la verbalizza o la
mette in atto.

- Si assiste ad una alternanza di parole e immagini, attraverso il racconto di sogni o


di metafore.
Il modo in cui il discorso fluisce in un piccolo gruppo terapeutico è diverso da ciò
che accade in altri tipi di gruppo:

64
- contraddistingue alcune funzioni comunicative e contenitive proprie del piccolo
gruppo
- influisce sulla possibilità del pensare di gruppo.

Il pensiero di gruppo assolve ad una FUNZIONE TERAPEUTICA: la funzione gamma


definita da CORRAO per analogia alla funzione beta di BION.
La funzione terapeutica del pensiero di gruppo si articola secondo 3 modalità:
1. funzione gamma o funzione elaborativa del gruppo: consente di metabolizzare
l’ansia e l’angoscia che l’individuo non è in grado di elaborare. La capacità del
gruppo di creare un ambiente accogliente e conviviale che contribuisce a far sentire
l’individuo meglio, è una funzione disintossicante, che libera dalle tensioni eccessive.

2. funzione ponte individuo-gruppo: la capacità del gruppo di offrirsi quale


pensiero per il singolo. Il gruppo come uno spazio di riflessione in cui il singolo,
ascoltando il fluire del discorso del gruppo, può trovare una connessione tra quanto
viene discusso in gruppo e ciò che sta pensando.
3. funzione contenitiva: la capacità di ascolto del gruppo, come una “madre
sensibile”: in gruppo ogni minima parola può essere ascoltata e accolta, offrendo la
possibilità di essere contenuti attraverso la funzione del gruppo-come-utero.

Momenti critici del gruppo - POTENZIALITA’ DISTRUTTIVE


Il processo del gruppo incontra tappe “difficili” sia nella fase iniziale che dopo la
costituzione del gruppo-come-tale:

1. La polarizzazione individuo-gruppo rimane per tutta la durata del gruppo e si


manifesta sotto forma di spinte disaggregative e distruttive. Esistono momenti di
silenzio nei quali l’individuo prende distanza dal gruppo e si rimette in contatto con la
propria solitudine.

2. Possono essere momenti dalla forte valenza costruttiva se il soggetto fa


un’operazione di “responsabilizzazione” del proprio pensiero riguardo la
consapevolezza dei propri limiti e di quelli altrui ed una assunzione più matura della
propria potenza.

3. In questi momenti “difficili” il conduttore è chiamato a presiedere e salvaguardare


l’integrità e l’esistenza del gruppo dalle forze negative e antiterapeutiche che
minacciano e indeboliscono il gruppo,

65
NITSUN (1996) ha evidenziato tra le potenzialità distruttive quella dell’“antigruppo”:
fantasie distruttive o resistenze al cambiamento nate dalla conflittualità tra il gruppo
e gli antichi legami di appartenenza che minacciano l’integrità del gruppo.
Il capro espiatorio e la cultura del non detto rappresentano due di queste potenzialità
distruttive:

A. Il capro espiatorio - l’elemento catalizzatore sul quale vengono deviate le


resistenze al cambiamento:

• Se il capro espiatorio è esterno, non intacca la stabilità del gruppo, si configura


una situazione di attacco-fuga con emersione di vissuti emozionali potenti e
contagiosi. Causa un effetto di maggiore aggregazione emotiva che sostiene
l’onnipotenza e l’unità del gruppo.
• Se il capro espiatorio è interno, si determina una condizione altamente
distruttiva. Il capro espiatorio catalizza l’attenzione sadica, ostile ed aggressiva
del gruppo che:
- attiva forti emozioni di impotenza, onnipotenza e colpa,

- genera vissuti negativi nei confronti del gruppo percepito come contenitore
fragile ed inappropriato.

Ciò può esitare nel totale smembramento del gruppo e nella sua morte.

• L’attribuzione-assunzione del capro espiatorio può avvenire in momenti di crisi


trasformativa, quando una parte del gruppo reagisce negativamente alla
possibilità di una integrazione più evoluta sia di aspetti del mondo interno dei
partecipanti che di aspetti del gruppo come insieme.

B. Cultura del non detto - si tratta di un attacco alla regola di riportare in gruppo
tutto ciò che avviene tra i membri, dentro e fuori il gruppo stesso, mina la fiducia
nei confronti del gruppo quale valido contenitore. L’alleanza dei membri che
condividono questa “anti-cultura” del gruppo:

• è rivolta nei confronti di quei membri o movimenti del gruppo più evolutivi.

• può essere letta come attacchi invidiosi basati su sentimenti di frustrazione e/o
inadeguatezza verso le istanze trasformative del gruppo.

66
• può essere intesa come tentativi emancipativi, come la creazione di
sottosistemi che condividono complicità o esclusioni.

5.3 Clinica della terapia psicoanalitica di gruppo - PATOLOGIA E CURA

Dal punto di vista psicoanalitico il disturbo psicopatologico è definito come il tipo e il


livello di disconnessione esistente in un individuo tra ciò che accade al suo interno
e ciò che sta accadendo in realtà. La psicopatologia è vista come una distorsione
causata dalle fantasie, dai desideri, dai sentimenti e dalle aspettative relative al rapporto
col mondo esterno, ovvero l’insieme delle relazioni, percezioni e comportamenti.
Il razionale e gli obiettivi della terapia analitica di gruppo sono gli stessi del
trattamento psicoanalitico individuale: aiutare il paziente ad esplorare e comprendere
cosa accade al suo interno.

• L'obiettivo finale non è modificare il comportamento, ma accrescere la “personal


agency” di ogni membro del gruppo (McWilliams):
• comprendere cosa genera quel comportamento,

• aumentare la capacità dell'individuo di modificare le aspettative e le risposte che


sottostanno a quel comportamento,

• Il ruolo del terapeuta è quello di aiutare il paziente a divenire familiare con la sua
realtà psicologica intima: presupposto di base per il cambiamento e la crescita
personale.

• La finalità dell’inserimento dei pazienti è di far trarre loro profitto dalle interazioni che
avvengono in un gruppo e dalle reazioni che provengono dagli altri membri del
gruppo: lo scopo di ciascun membro è trovare attraverso gli altri il proprio modo di
vivere in maniera più soddisfacente.

OBIETTIVO E FINALITA’: Gruppo analitico VS Gruppo interpersonale

L’obiettivo del gruppo analitico è uguale a quello dei gruppi interpersonali, ciò che
cambia è il modo attraverso cui il cambiamento viene perseguito:
- gruppi interpersonali l’obiettivo implica un cambiamento di comportamento in
risposta agli interventi degli altri membri: forma di apprendimento interpersonale
esplicito e più diretto, mediato dalle dinamiche di gruppo.

67
- gruppo psicoanalitico le interazioni e le relazioni tra i membri sono utilizzate come una
finestra dalla quale esplorare cosa accade internamente a ciascun membro. Le
azioni, le reazioni personali, le dinamiche in gruppo sono un modo per far emergere e
comprendere le proprie istanze e contenuti inconsci, senza un necessario obiettivo di
cambiamento comportamentale.

Il processo di gruppo
Aspetto centrale della terapia analitica di gruppo:

- è l'analogo delle libere associazioni nel trattamento analitico individuale.

- si realizza mediante l’insieme delle comunicazioni verbali e non verbali e delle reazioni
tra i membri.

Funzione esplorativa del gruppo è strettamente connessa all’obiettivo:


la terapia di gruppo è particolarmente efficace nell’intercettare tratti personologici
disfunzionali o patologici.
- Il gruppo promuove un accesso diretto e potente alle espressioni non verbali e
favorisce lo svelamento di materiale inconscio.
- Il gruppo è uno strumento potente per l'esplorazione di tratti caratteriali che non
appaiono facilmente in quanto egosintonici e difficili da esplorare.

- In gruppo gli aspetti personologici disfunzionali o patologici trovano canali di


comunicazione e di interpretazione nella comunicazione non verbale e nelle
dinamiche tra membri.

Ruolo del terapeuta


ruolo primario, è il nocchiero di una barca, e consiste nello stabilire e mantenere le
condizioni ideali in cui il processo di gruppo si può sviluppare e operare con il minimo
di interruzioni e interferenze.

Il terapeuta à responsabile di strutturare il gruppo e le attività in 3 FASI: selezione e


composizione del gruppo, preparazione al gruppo e stipula del contratto con i pazienti.

1. Composizione del gruppo - Aspetti da valutare in fase di selezione e


composizione del gruppo psicoanalitico:

• la selezione è fondamentale: alcune persone sono più adatte di altre a un gruppo


analitico.

68
• vi deve essere un “sufficiente grado” di diversità tra i membri. Un gruppo
unidimensionale aumenta la probabilità che i membri condividano molte difese
inconsce e credenze, pregiudizi e aspettative consapevoli.

• I membri devono saper prestare attenzione, ascoltare con continuità e parlare la


lingua del gruppo; avere capacità di "mentalizzare” cioè di pensare al significato
dei propri pensieri, sentimenti e azioni; attenersi agli aspetti formali del contratto
ed avere la capacità di mantenere la propria parte del patto.
2. Preparazione al gruppo - consiste nel fornire ai pazienti un’idea di cosa sia il
gruppo: spiegare perché il gruppo può ampliare l'esplorazione di sé; valutare la
capacità del paziente di stare con altre persone per condividere storie storie ed
ampliare l’esplorazione di Sé.

• La preparazione di un nuovo paziente per un gruppo analitico consente di creare


un legame o alleanza di lavoro e creare familiarità, conforto e fiducia che possono
crescere nel tempo.

3. Il contratto analitico - Aspetti della stipula del contratto tra terapeuta e membri
del gruppo:
• il contratto non è sinonimo di regole: può essere violato in vari modi e in ripetute
occasioni dai membri, ma le violazioni al contratto sono soggette all'esplorazione
analitica come parte del lavoro analitico di gruppo.

• Il contratto esplicita aspetti logistici e regole relative all'assenza e così via,

• Il contratto non esplicita alcun tipo di contenuto della comunicazione, ma


incoraggia a dire quanto più è possibile di se stesso e dei propri stati interni agli
altri membri, al terapeuta e al gruppo nel suo insieme.

• Il contratto stabilisce che qualsiasi cosa detta o che accade in gruppo è


soggetta a successive esplorazione.
La CENTRALITA’ DEL CONTRATTO è legata alla tecnica psicoanalitica che si basa
sulle identificazioni e sul superamento della resistenza (intesa come evitamento del
confronto, di origine ansiosa): qualsiasi atto può essere ricondotto ed interpretato come
manifestazione implicita/esplicita di resistenza che dovrà essere analizzata.

L’APPROCCIO ANALITICO:
1. prevede che nell’Avvio della seduta il terapeuta non avvia alcun tipo di discorso,
ma aspetta che uno dei membri del gruppo inizi a parlare. Questa modalità deriva

69
dalla natura del contratto: affinché il processo di gruppo abbia inizio il terapeuta si
deve disporre in una posizione di ascolto, attendendo che il discorso emerga dal
vuoto e dal silenzio iniziale.

- Se il terapeuta desse avvio al gruppo o suggerisse un contenuto finirebbe per


orientare lo stesso e non coglierebbe l'aspetto di resistenza che si può
manifestare nel prolungato silenzio iniziale.

- Il compito del terapeuta consiste nell’eliminare gli ostacoli che impediscono una
libera circolazione della parola e dei pensieri e nell’enfatizzare l'importanza del
silenzio come comunicazione: lo sforzo non consiste nel far sì che le persone parlino
ma nel capire perché nessuno dei membri sta parlando.
2. L'approccio analitico non prevede che il terapeuta abbia un’agenda: contenuti
prestabiliti da affrontare ma verte intorno al transfert nel qui-ed-ora della relazione
gruppale
3. La tecnica dell’analisi delle resistenze aiuta ad identificare i processi di transfert
che si manifestano nel modo in cui i pazienti percepiscono, reagiscono e
interagiscono tra loro e col terapeuta. I PROCESSI DI TRANSFERT sono
distorsioni che riflettono l'influenza di istanze interne che agiscono sui
comportamenti e le esperienze delle persone nel qui e ora del gruppo distorcendo le
percezioni e le interazioni ed interferendo con il funzionamento psicologico sano
dell'individuo.

Il transfert di gruppo
- è soggetto alle risposte di tutti gli altri membri, oltre che a quelle del terapeuta

- è reso visibile al paziente in modo più diretto e crudo rispetto al trattamento


individuale.
- può essere rivolto ad un altro membro, al gruppo nel suo insieme e non
necessariamente al terapeuta.

- Il terapeuta in virtù del ruolo che riveste - l’autorità data dalla posizione e l’attività
nella strutturazione del gruppo - è l'oggetto privilegiato del transfert dei pazienti.
Altre volte, è più facile dirottare inconsapevolmente sugli altri membri alcune
emozioni, troppo conflittuali da rivolgere al vero destinatario, cioè al terapeuta.

Chiusura della terapia

70
La decisione finale dovrebbe essere una scelta dello stesso paziente sebbene il più
delle volte il termine viene stabilito di comune accordo tra terapeuta e paziente.

La fase di chiusura è un momento potenzialmente ricco in termini di auto-


esplorazione, si può comprendere molto dal modo in cui un paziente gestisce la sua
fuoriuscita dal gruppo.

Il paziente dovrebbe terminare il suo processo di auto esplorazione quando la sua


PERSONAL AGENCY gli permette di gestire la sua vita, cioè i suoi stati interni e le
sue relazioni, in modo soddisfacente.

Sono importanti anche le reazioni degli altri membri: interventi supportivi e di


incoraggiamento hanno una valenza rassicurante sulle emozioni, ma depotenziano le
possibilità di lavoro esplorativo sulle emozioni.
Infatti l'aspetto centrale è quello esplorativo: è più importante osservare in che modo i
membri gestiscono le ansie e questi momenti piuttosto che fornire supporto: ad esempio,
osservare le ansie di separazione che possono attivarsi.

IL MODELLO E TEORIA INTERPERSONALE - SULLIVAN E YALOM

SULLIVAN nel 1929/30 da inizio al modello interpersonale condensando la sua teoria


nel testo La moderna concezione della psichiatria del 1947.

L’approccio interpersonale fa riferimento all’importanza dei rapporti interpersonali


nello sviluppo della personalità.

Il ruolo dei rapporti interpersonali ha dato un contributo fondamentale all’evoluzione


della teoria delle relazioni oggettuali.
SULLIVAN condusse una battaglia teorica su due fronti: quello tradizionale della
psichiatria e quello della psicoanalisi in cui contrappose la TEORIA INTERPERSONALE
al modello pulsionale classico.

In accordo al caposaldo della teoria delle relazioni oggettuali, SULLIVAN sostiene che
l’attività psichica non è orientata alla soddisfazione della libido e delle pulsioni ma alla
soddisfazione del bisogno di contatto e di sicurezza.
SULLIVAN viene accostato ad autori post-freudiani quali HORNEY e FROMM che, pur
rimanendo nel solco dell’analisi classica, pongono l’accento sul ruolo predominante
dei fattori ambientali nello sviluppo della personalità.

71
SULLIVAN propone una teoria originale e si concentra sulle determinanti socio-
ambientali e sull’influenza dei fattori biologici e costituzionali nello sviluppo della
personalità.

Assunti fondamentali dell’APPROCCIO INTERPERSONALE:


- l’uomo è pensato come un essere sociale e le relazioni interpersonali svolgono una
funzione essenziale nella strutturazione della personalità e dell’identità del soggetto.

- L’interazione personale viene vista come la base che consente di sviluppare


l’apprendimento interpersonale.

Pertanto l’APPROCCIO INTERPERSONALE DI GRUPPO si caratterizza per i seguenti


ASPETTI PECULIARI:

1. scambio di feedback,
2. “correzione” di percezioni distorte relative alla sfera interpersonale,
3. esperienza emotiva diretta
4. utilizzo dei fattori terapeutici di gruppo
5. processi cognitivi

Gli obiettivi del gruppo interpersonale sono:

1. l’aumento della consapevolezza e l’insight


2. il cambiamento dello stile relazionale dentro e fuori il gruppo

Il MODELLO INTERPERSONALE enfatizza che vi sia un apprendimento reciproco tra i


membri del gruppo all’interno di un setting focalizzato sulle interazioni nel qui-e-ora
dell’esperienza, quindi sullo scambio, sui feedback e le correzioni delle distorsioni tra
i pazienti.

YALOM
Nel 1970 sviluppa il modello teorico esistenziale, contributo fondamentale
all’approccio interpersonale. In particolare, esamina la comprensione clinica dei fattori
terapeutici che si attivano nel gruppo dal punto di vista analitico, formativo e della
ricerca.

72
6.1 I FATTORI TERAPEUTICI DI GRUPPO

YALOM (2005) con il lavoro con i gruppi ha evidenziato che il cambiamento


terapeutico si esprime per mezzo di un processo caratterizzato da un’intricata
interazione di esperienze umane che fa riferimento a specifici fattori terapeutici.

YALOM identifica undici fattori terapeutici, sulla base dei pareri di terapeuti e pazienti
(CLINICA) e della ricerca sistematica processo-esito (RICERCA), che si attivano nel
gruppo e che condividono alcune caratteristiche:

a. i fattori sono interdipendenti

b. nessuno di essi si manifesta o funziona in modo separato


c. possono costituire parti differenti del processo di cambiamento

Nonostante sia assodata l’interdipendenza e l’attività dei FATTORI TERAPEUTICI in ogni


tipo di gruppo terapeutico, la loro interazione ed importanza possono variare:

- all’interno del gruppo


- da un gruppo ad un altro
- Inoltre, pazienti dello stesso gruppo possono trarre beneficio da raggruppamenti diversi
di fattori terapeutici

YALOM, in accordo con SULLIVAN, afferma che l’individuo ha la tendenza a


deformare le proprie percezioni degli altri e della realtà attraverso le DISTORSIONI
PARATATTICHE, dei modelli immaginari di rapporto interpersonale in cui sono
stabilite a priori le relazioni tra Sè e l’Altro, secondo modalità che non producono
angoscia.
Tali Modelli relazionali illusori me-te:
- distorcono la realtà effettiva dei rapporti

- sono ricavati dalle esperienze delle interazioni passate in cui il soggetto ha


sperimentato la tensione insicurezza/controllo = angoscia,

Di conseguenza, nel momento attuale l’Altro viene identificato in modo simbolico distorto
come parte o elemento di una relazione passata.

Si tratta di una dinamica interpersonale, basata non su attributi reali ma su una fantasia
analoga al transfert e che si può esplicitare in tutte le relazioni del paziente con il
gruppo: verso il terapeuta o verso gli altri membri (transfert laterali);

73
Opposta alle distorsioni paratattiche e agente di cambiamento è la VALIDAZIONE
CONSENSUALE, collegata all’apprendimento interpersonale e che si esplicita
attraverso il confronto delle proprie convinzioni interpersonali con quelle degli altri
mediante il feedback interpersonale.
La VALIDAZIONE CONSENSUALE permette lo sviluppo dell’autosservazione del modo
di stare in relazione e dell’impatto che questo ha sugli altri e permette di diventare
consapevoli delle proprie distorsioni.

YALOM (2005) I FATTORI TERAPEUTICI:


Infusione della speranza - universalità - informazione - altruismo - ricapitolazione
correttiva del gruppo primario familiare - socializzazione - comportamento imitativo -
apprendimento interpersonale - coesione - catarsi - fattori esistenziali.

I. Infusione della speranza - elemento necessario per trattenere il paziente in


terapia, è la base sulla quale agiscono gli altri fattori terapeutici;

- Dal vertice del terapeuta si parla di fiducia nel metodo di trattamento efficace: fa
riferimento alla TEORIA DELLA TECNICA. Molte ricerche dimostrano che la
speranza di ricevere aiuto è collegata all’esito positivo del trattamento (Piper,
1994).

II. Universalità - rimanda al senso di uguaglianza che favorisce altri fattori


terapeutici quali appartenenza, coesione, accettazione di sé e degli altri.

- Spesso i pazienti hanno la convinzione di essere gli unici portatori di sofferenza


psichica e ritengono impossibile che qualcun altro possa capire e condividere il
loro disagio, con senso di solitudine ed isolamento sociale.
- Nel gruppo tale convinzione viene smentita attraverso condivisione, comunanza,
dialogo e somiglianza delle problematiche e dei vissuti.

III. Informazione - costituita sia da istruzione didattica che da consigli diretti.


- istruzione didattica - riguarda le nozioni sulle dinamiche psichiche e sul
funzionamento del gruppo e del processo terapeutico; favorisce una
connessione iniziale che permette di superare lo smarrimento che i pazienti
vivono al primo incontro.

- consigli diretti - i suggerimenti forniti dal terapeuta ai membri e dagli altri membri
del gruppo e sono percepiti come espressione di reciproco interesse e cura.

74
IV. Altruismo - Il gruppo è uno spazio condiviso in cui sentirsi necessari al progresso
del gruppo e dei singoli membri, così da sperimentare capacità di vicinanza,
conforto e sostegno e facilitare l'emergere del senso di autoefficacia;

- L’altruismo è alla base del rinforzo dell’autostima che deriva dalla scoperta di
essere stato utile ed importante per qualcuno.

V. Ricapitolazione correttiva del gruppo primario familiare - nel gruppo si può fare
esperienza di intense emozioni e profonda intimità e di sentimenti conflittuali; per
questo il gruppo può essere vissuto come un equivalente della famiglia: il
terapeuta può fungere da figura genitoriale e gli altri membri possono ricordare i
fratelli o altre persone significative. L’obiettivo specifico è osservare, valutare e
migliorare le risorse relazionali.
Il GRUPPO:
- diviene il luogo in cui si attualizzano le modalità relazionali che i soggetti vivono con
le persone più intime

- favorisce un clima contenitivo, protettivo e trasformativo di intense emozioni e


vissuti collegati alla dimensione familiare.

VI. Socializzazione - partecipare ad un gruppo consente di sperimentare e sviluppare


le capacità di stare in relazione grazie al feedback immediato degli altri membri.
Di conseguenza, nel corso del tempo nel gruppo si possono acquisire metodi di
risoluzione dei conflitti, capacità di tollerare la frustrazione, controllare i giudizi
impulsivi, sviluppare maturità affettiva, sperimentare un’adeguata empatia.

VII. Comportamento imitativo - il fatto che un gruppo è costituito da diversi individui


offre al singolo più modalità relazionali da osservare, così da sperimentare e
valutare le proprie. Il gruppo ed i suoi partecipanti possono fungere da modello per
il paziente che in una realtà protettiva e contenitiva può trovare nuove
consapevolezze, un adattamento più funzionale e maturo, dando vita ad una
spirale adattativa.
VIII. Apprendimento interpersonale - uno dei principali fattori di cambiamento: il
gruppo è un ”microcosmo” in cui il paziente ripropone i modelli interpersonali
disfunzionali.
- l’uomo è un essere sociale e le relazioni interpersonali sono fondamentali nei
processi di apprendimento.

75
- strumento principale del lavoro clinico: il feedback e l’auto-osservazione che
favoriscono la consapevolezza delle proprie modalità relazionali e innescano il
processo di cambiamento.
- è collegato alla polarizzazione tra Distorsioni Paratattiche Vs Validazione
Consensuale
IX. Coesione - può essere considerata l’equivalente dell’alleanza terapeutica,
costituisce la condizione necessaria per una terapia efficace ed intensifica lo
sviluppo degli altri fattori terapeutici. La COESIONE può essere intesa come:

- la risultante delle forze che agiscono sui membri del gruppo per trattenerli
quali accettazione ed approvazione

- la forza di attrazione che il gruppo esercita su ogni singolo membro, per cui
ognuno è disposto a modificare la propria valutazione, innescando una
spirale positiva adattiva.
- è in relazione col senso di appartenenza: permette di sperimentare maggiore
intimità, empatia, comprensione, fiducia e sostegno, con conseguente minor
abbandono della terapia da parte dei pazienti.
X. Catarsi - fa riferimento al processo di liberazione da esperienze traumatizzanti: la
possibilità di rivelare fatti intimi e personali, esprimere i propri sentimenti sia
positivi che negativi in un clima di accoglienza ed accettazione:
- potenzia lo sviluppo di legami di sostegno e coesione.
- consente di far riaffiorare gli eventi responsabili dei traumi per rimuoverli dal
subconscio, dando loro voce.
XI. Fattori esistenziali - si intendono le tematiche personali universali sulle quali
chiunque si trova a riflettere che fanno riferimento a solitudine, morte, sofferenza,
senso della vita, la responsabilità, inconsistenza dell’esistenza, etc.: emergono nel
discorso del gruppo e, grazie ai fattori terapeutici, trovano un luogo di ascolto
empatico.

La ricerca sui fattori terapeutici nella terapia di gruppo

Le ricerche empiriche evidenziano che il format di gruppo:


A. consente l'attivazione di meccanismi di cambiamento unici e trasformativi che
non si attivano nel setting individuale (Barlow&Burlingame, 2006);

76
B. è uno strumento di lavoro che permette di monitorare l’andamento del gruppo e di
riconoscere le dinamiche di gruppo
La validità dei fattori terapeutici è confermata dall’esperienza clinica e dalle ricerche
su processo ed esito della terapia gruppale.

Il gruppo terapeutico:

- produce meccanismi e fattori terapeutici specifici del formato di gruppo, quali


l'apprendimento interpersonale, l'universalità, l’altruismo (Yalom&Leszcz, 2005).
- promuove un cambiamento positivo dell'individuo, poiché la partecipazione al
gruppo e la molteplicità di esperienze umane permettono di:

- imparare con e dalle altre persone,

- ottenere supporto sociale,

- comprendere i propri pensieri e comportamenti e quelli degli altri

STUDI SISTEMATICI su specifici fattori terapeutici di gruppo non sono numerosi.


Emerge uno sviluppo poco parallelo della letteratura e delle ricerche empiriche con
differenti classificazioni e pochi studi comparativi e di follow-up

La difficoltà di individuare una gerarchia assoluta di fattori terapeutici dipende da:

- tipologia di gruppo,

- modalità di conduzione,

- durata

- fase di sviluppo del trattamento terapeutico.

6.2 CLINICA della terapia interpersonale di gruppo

Secondo il modello clinico interpersonale di gruppo il gruppo rappresenta un


microcosmo sociale nel quale i membri utilizzano il qui-e-ora dell’esperienza di gruppo
per:

- comprendere come e perché il loro mondo relazionale funziona

- imparare, attraverso i feedback, come recuperare efficacia interpersonale


- migliorare le relazioni con gli altri

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I concetti della terapia interpersonale di gruppo derivano dal modello interpersonale
di SULLIVAN, secondo il quale la rappresentazione di se stessi è il riflesso delle
valutazioni degli altri per noi significativi:
1. una buona sintonizzazione del caregiver con il senso nascente del Sé del
bambino determina le sue credenze e aspettative relative alla sfera relazionale, gli
permette di avere credenze stabili e aspettative attendibili su cosa è accettabile e
desiderabile di lui e sulle relazioni con gli altri.
2. una carente sintonizzazione del caregiver può determinare ansie intense e
disorganizzanti quando il bambino fa esperienza delle proprie emozioni.

SULLIVAN definisce queste esperienze di ansie intense dovute alla carente


sintonizzazione del caregiver come ESPERIENZE NON-ME nelle quali il bambino
apprende a rappresentarsi come “pericolosi” i propri stati mentali, con conseguenze
negative sul piano relazionale, caratterizzato da angosce abbandoniche e aspettative
di rifiuto. Tali pattern relazionali vengono interiorizzati e costituiscono la base su cui
poggiano i successivi comportamenti e pattern relazionali.

SAFRAN & SEGAL (1990) definiscono questi pattern relazionali col termine di “schemi
cognitivo-relazionali”, una mappa relazionale che ciascun individuo porta con sé,
costruita su aspetti cognitivi e relazionali:
- i pattern di comportamento interpersonale,

- le credenze centrali e le cognizioni sottese.

Si tratta di credenze patogene disfunzionali e disadattive sulle quali è edificato il


mondo relazionale di un soggetto:
- sono applicate rigidamente nella fase di costruzione di ogni nuova relazione
interpersonale

- sono perpetuate in maniera pressoché identica per ogni relazione.

Questi schemi interpersonali ricorrenti e disadattivi:


- coinvolgono gli aspetti verbali e non-verbali della comunicazione,

- sono meccanismi automatizzati: i soggetti non hanno piena consapevolezza del


ruolo degli schemi che vengono “sentiti” come modalità d’essere, per cui i
comportamenti ad essi associati vengono vissuti come “naturali” e “logici”.
- ciò riflette la caratteristica egosintonica dei disturbi di personalità.

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Il modello interpersonale vede la PSICOPATOLOGIA come:

a. una rigida applicazione di schemi cognitivo-relazionali patologici.


b. il riflesso di una rigidità interpersonale

L’efficacia del trattamento terapeutico verte su 3 elementi:

- allargare il repertorio interpersonale

- aumentare le capacità di insight

- modificare i comportamenti interpersonali disadattivi

Gli strumenti principali del lavoro clinico sono:

A. L’apprendimento interpersonale
B. l’assunzione delle proprie responsabilità come “autore” della propria vita

Principali fattori del cambiamento vertono su quattro cardini:


1. Apprendimento interpersonale
2. Coesione di gruppo
3. Gruppo come microcosmo sociale
4. Lavoro sul qui-e-ora

OBIETTIVO - Il gruppo terapeutico interpersonale si propone come strumento


elettivo per interrompere i cicli ricorsivi e maladattivi e costruire nuovi schemi
interpersonali adattivi.

L’obiettivo terapeutico si basa su:

A. l’esperienza della relazione nel qui-e-ora del gruppo,

B. il lavoro clinico fondato sul feedback del terapeuta e degli membri

C. l’apprendimento interpersonale.

6.3 TEORIA DELL’ATTACCAMENTO IN GRUPPO

BOWLBY - teoria dell’attaccamento infantile (strange situation)


AINSWORTH - SSI-AAI correlazione MOI infantile - MOI adulto

79
HAZAN e SHAVER - teoria dell’attaccamento adulto di coppia
BYNG-HALL - attaccamento e terapia familiare
SMITH, MURPHY e COATS - teoria dell’attaccamento in gruppo, introdotta nella
psicologia dei gruppi solo qualche anno fa (2009).

La teoria dell’attaccamento nasce e si sviluppa con gli studi di BOWLBY che,


basandosi sull’etologia studia la relazione del bambino con un altro significativo
(caregiver) e individua e formalizza i modelli operativi interni (MOI).
L’ATTACCAMENTO è uno degli aspetti motivazionali centrali del funzionamento
psichico.
Per ATTACCAMENTO si intende quella serie di comportamenti che in una
determinata fascia di età, soprattutto nei primi 3 anni di vita, sono volti a richiamare
l’attenzione dei genitori allo scopo di fornire al bambino una BASE SICURA.

Sarebbe a dire, fornire una rappresentazione mentale di se stesso e dell’altro, come


qualcuno capace di suscitare affetto, protezione, fiducia, sicurezza; qualcuno in grado di
essere presente nella fase di scoperta o di fronte a difficoltà.

Elemento essenziale della TEORIA DELL’ATTACCAMENTO che la differenzia dalle


precedenti teorie sta nel fatto che essere in relazione con l’altro non è solo una modalità
di soddisfare i bisogni primari, BENSI’ la relazione è finalizzata a soddisfare altri tipi di
bisogni in quanto l’essere umano viene visto come geneticamente ed
evoluzionisticamente configurato per sperimentare dei legami con l’altro: i LEGAMI con
l’altro, la RELAZIONE con l’altro diventa essenziale per lo sviluppo del soggetto.

Tutto questo si trasforma in ciò che BOWLBY chiama MODELLI OPERATIVI INTERNI/
MOI: l’insieme delle rappresentazioni mentali che il bambino ha di sé e dell’altro e
della relazione fra se stesso e l’altro, che serviranno ad organizzare la realtà, a calibrare
i comportamenti, ad orientare gli stati affettivi e ad orientarsi nelle esperienze relazionali
future.

L’insieme di tutto quello che avviene in questa fase infantile dell’attaccamento è
finalizzato ad avere una BASE SICURA che permetta di avere un legame di
attaccamento sicuro oppure, nel caso in cui questo non riesca, esiterà nel suo contrario.

80
BOWLBY - individua due sistemi comportamentali che favoriscono lo sviluppo dei
MOI:
1. la ricerca di prossimità determina il senso di sicurezza e vicinanza al proprio
caregiver,
2. l’esplorazione promuove la curiosità per la ricerca e la scoperta dell’ambiente
Il sistema di attaccamento è un sistema specie-specifico:

- si attiva nel momento in cui il bambino è in una situazione di pericolo o di stress,

- la reazione del caregiver determina la sicurezza o insicurezza della relazione di


attaccamento.


La teoria dell’attaccamento in età infantile si traduce successivamente in


ATTACCAMENTO IN ETA’ ADULTA (HAZAN/SHAVER) relativo a tutta la serie di modelli
personali che fanno riferimento a come rappresentiamo noi stessi e gli altri, ad es. la
capacità di fidarci dell’altro o di attivare la protezione dell’altro, di sentire l’altro come una
risorsa nelle difficoltà o come una minaccia.

I MOI funzionano come delle EURISTICHE: dei modelli semplificati di orientamento che ci
aiutano nella vita, ci aiutano a mettere in atto scelte e comportamenti.

Una loro caratteristica è la duplicità funzionale:

- sono SCHEMI MODIFICABILI, in quanto possono essere modificati lungo l’esistenza


di un individuo fino alla fine.

- sono SCHEMI STRUTTURALI perché permettono di assimilare dei modelli di relazione


e di far rientrare la realtà all’interno dei nostri schemi rappresentazionali, quindi si
caratterizzano per i due meccanismi di ASSIMILAZIONE e ACCOMODAMENTO.

M. AINSWORTH - La AAI - correlazione tra i MOI del bambino ed i tipi caratteriali


dell’adulto
La teoria dell’attaccamento permette di comprendere lo stile relazionale dell’individuo
a partire dall’attaccamento infantile inteso non come unica modalità di interazione con
un unico caregiver, bensì come lo strutturarsi di pattern relazionali con le vari figure
significative che interagiscono con il bambino durante l’infanzia.

Le ricerche mostrano che è possibile lo strutturarsi di nuovi legami di attaccamento


anche in età adulta: nei legami amorosi, nei confronti del terapeuta, all’interno del

81
gruppo.


TEORIA DELL’ATTACCAMENTO IN GRUPPO


Il legame di attaccamento si riferisce non solo ad un’unica figura: ci si è accorti che i
bambini hanno relazioni significative anche con altri familiari adulti importanti che
hanno una funzione protettiva e di accudimento, per cui i comportamenti di
attaccamento si sviluppano nei confronti di persone che hanno un ruolo importante, che
offrono una presenza costante e frequente e con i quali il bambino instaura una relazione
profonda.

Si sviluppa quindi una molteplicità di legami di attaccamento importanti all’interno di


una DIMENSIONE DI GRUPPO rappresentata dalla famiglia o da entità individuali o di
gruppo ad essa vicine.

La PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA EVOLUTIVA di HARDY del 2009 sottolinea come


le origini antropologiche dei MOI sono da rintracciare a circa 1.500.000 anni fa quando
l’Homo Erectus ha esteso le cure dei piccoli ad altri membri della famiglia ed alleati
all’interno di un SISTEMA COMUNITARIO, dando inizio alla costituzione dei villaggi in
quanto luoghi in cui crescere i bambini e dove assicurare alla progenie la probabilità
di sopravvivenza.
Si gettano quindi le basi dei legami di attaccamento molteplici che fungono da
fondamenta sulle quali si formeranno i legami con i gruppi nel corso della vita.

Secondo tale prospettiva, tutti noi sin dalla nascita ci troviamo a essere immersi in una
MOLTEPLICITA’ DI GRUPPI che attraversano la nostra esistenza.

I legami affettivi che riusciamo a creare con i membri di questi gruppi derivano dalla
molteplicità di legami affettivi che cominciamo ad apprendere durante le prime fasi di
vita all’interno della costruzione pensabile, attraverso una logica di villaggio/gruppo che
si prende cura del bambino.

Dal punto di vista evoluzionistico il vantaggio di stabilire dei legami affettivi con gli
altri (non solo col caregiver) permette la coesione con il gruppo e di sviluppare, anche
nella fase adulta, legami affettivi con gli appartenenti al gruppo e di agevolare la
sopravvivenza.
La presenza di diverse figure di attaccamento:
- migliora la capacità di creare legami affettivi

82
- crea le basi per lo sviluppo del senso di appartenenza e coesione al gruppo.

Dalle ricerche risulta che:


A. i bambini sicuri sono maggiormente in grado di regolare l’ansia ed esplorare nuove
situazioni e ricercano i caregivers per avere conforto quando si sentono stressati.

B. i bambini insicuri evitano di cercare consolazione dai caregivers primari, o si


stringono ad essi senza voler ricominciare il gioco o l’esplorazione (Marmarosh,
2009).


BYNG-HALL - Attaccamento e terapia familiare


L’ATTACCAMENTO è quindi molto importante soprattutto in riferimento ai gruppi
familiari all’interno della TEORIA FAMILIARE.

BYNG-HALL sviluppa una lettura delle dinamiche familiari alla luce degli stili
attaccamento ed integra concetti della terapia familiare (ad es., la tipologia delle
narrative) con lo stile di attaccamento dei membri della famiglia all’interno della
famiglia e nei confronti del terapeuta.

Nel sistema familiare l’attaccamento:


- è in interdipendenza con qualsiasi altra funzione familiare

- gioca un ruolo importante all’interno dei processi di cambiamento in una terapia


familiare.

Dal punto di vista della TEORIA DELLA TECNICA la famiglia ha bisogno di sviluppare un
attaccamento sicuro col terapeuta per sentirsi sicura ed incoraggiata per esplorare nuovi
modi di relazionarsi affinché si possa procedere col lavoro terapeutico: ciò determinerà
che ci si senta più sicuri anche l’un l’altro (Byng-Hall, 2008).

HAZAN e SHAVER (1987) - Attaccamento adulto nella coppia


furono i primi a studiare l’attaccamento adulto, ad applicare lo stile di attaccamento
infantile all’attaccamento di coppia adulto, affermando che lo stile relazionale di
coppia è collegato allo stile relazionale della prima infanzia


- Individuarono tre tipologie di attaccamento di coppia: sicuro, ansioso, evitante.

- individui sicuri:
83
A. si sentono sicuri nella relazione

B. non sembrano preoccupati di essere rifiutati o abbandonati,

C. rappresentano se stessi come meritevoli e gli altri come premurosi e affidabili.


- Individui ansiosi

A. oscillano tra il desiderio di sentirsi vicini e la paura di essere feriti o rifiutati,

B. percepiscono gli altri come incoerenti ed inaffidabili, se stessi come respinti e


immeritevoli

C. tale dicotomia determina paura, preoccupazione e difficoltà nella regolazione degli


affetti.

- Individui evitanti

A. tendono a definirsi autonomi e indipendenti,

B. percepiscono gli altri come inaffidabili, estranei o bisognosi,

C. tendono ad evitare l’intimità

D. hanno un’idea negativa di dipendenza e vicinanza nelle relazione

SMITH - MURPHY - COATS - Teoria dell’attaccamento in gruppo

Per primi hanno importato la TEORIA DELL’ATTACCAMENTO all’interno della


psicologia dei gruppi.
SMITH - MURPHY - COATS affermano che all’interno dei gruppi sociali si sperimentano
processi identificativi fondamentali per la comprensione dei pensieri, dei sentimenti e
dei comportamenti sociali che sono centrali rispetto ai concetti di coesione di gruppo e
autostima collettiva. Essi sostengono che gli individui hanno dei modelli di se stessi
come membri del gruppo e del gruppo nella sua totalità che, combinati, influenzano
pensieri, emozioni e comportamenti relativi i membri del gruppo.

Tali concetti hanno a che fare con la dimensione della coesione del gruppo e con
l’autostima collettiva che si collegano alla teoria dell’identità sociale (TAJFEL) e alla
teoria della categorizzazione di Sé (TURNER), per cui, secondo quest’ottica non esiste
soltanto un’unica identità personale ma esiste anche un’identità sociale che rimanda
all’AUTOSTIMA COLLETTIVA.

Secondo la teoria dell’identità sociale e della categorizzazione di Sé (Tajfel e Turner)


le persone fanno affidamento al gruppo come fonte di autostima, valore ed identità.

84
Infatti quando ci sentiamo coesi con i membri del gruppo di appartenenza e quando il
gruppo raggiunge un risultato percepiamo che l’autostima sia individuale che collettiva
aumenta, così come aumenta la fiducia nel gruppo e come la persona si percepisce
all’interno del gruppo.

Questo approccio si basa su due presupposti teorici:

- come i processi di identificazione ed autocategorizzazione si sviluppano nei gruppi


sociali

- come la comprensione dell’attaccamento adulto sia utile per la comprensione del


modo in cui i soggetti si legano psicologicamente al proprio gruppo, sia rispetto
ad un membro che al gruppo nella sua interezza (Turner et al., 1987).

FRALEY e WALLER (1998) criticano la visione di TAJFEL

- dimostrano che i soggetti differiscono proprio in questi ambiti, sostenendo che la


rappresentazione basata sull’esperienza con uno specifico gruppo influenza non
solo le interazioni e i sentimenti relativi quel gruppo, ma anche tutte le esperienze
con altre tipologie di gruppo.
- supportano la tesi che in gruppo ci sono due dimensioni fondamentali di
attaccamento - ansioso ed evitante - sebbene se ne distinguano tre o quattro
tipologie.

Infatti i risultati di questa ricerca evidenziano che:

- alti punteggi di attaccamento evitante e ansioso in gruppo terapeutico, sono


associati ad una minore identificazione con il gruppo sociale,

- maggiori emozioni negative all’interno del gruppo terapeutico sono associate a


minore percezione di supporto sociale da parte del gruppo sociale.

Attaccamento di gruppo
Il trattamento di gruppo basato sull’attaccamento ha come obiettivo quello di fornire
una base sicura per vivere una nuova esperienza riparativa.
SMITH, MURPHY e COATS, ipotizzano che l’attaccamento di gruppo si sviluppi
secondo due dimensioni: attaccamento ansioso ed attaccamento evitante e postulano
che individui con:
a. alto attaccamento ansioso - si sentono incompresi e preoccupati e cercano di
piacere al gruppo per sentirsi accolti e inseriti;

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b. basso attaccamento ansioso - sono meno preoccupati di essere accettati dal
gruppo.

c. alto attaccamento evitante - sentono la vicinanza come non necessaria e


indesiderabile, tendono a non essere dipendenti dal gruppo;

d. basso attaccamento evitante - accettano la dipendenza e l’intimità in gruppo come


valori positivi.

e. livelli bassi in entrambe le dimensioni sono categorizzati come sicuri.

WORCHEL e COUTANT (2003) sostengono che:

1. l’identità individuale e l’identità di gruppo sono separate ma incidono entrambi


nello sviluppo del sé

2. l’aspetto gruppale del sé influenza gli aspetti personali di adattamento e benessere.


ROM e MIKULINCER (2002)

Operano una integrazione tra la teoria dell’attaccamento in gruppo e le relazioni


all’interno del gruppo. Partendo dallo studio di Smith, Murphy e Coats prendono in
esame:

a. il concetto di coesione, che determina il livello di integrazione, cooperazione,


supporto e riflette se il gruppo è percepito o meno come base sicura

b. i MOI in gruppo ciascuno dei quali è caratterizzato da 4 aspetti/componenti


identificate nel 1994 da COLLINS e READ:

1. rappresentazione di sé e degli altri;

2. memorie episodiche delle interazioni sociali;


3. obiettivi comuni che orientano le interazioni sociali e le relazioni intime;

4. strategie di regolazione per raggiungere gli obiettivi e gestire lo stress. 



Le ricerche mostrano che queste quattro componenti sono alla base degli stili
di attaccamento e contribuiscono alla formazione dei diversi stili di
attaccamento in gruppo.

Punti importanti della ricerca:


a. viene confermata l’utilità della teoria dell’attaccamento per la comprensione:
- delle differenze individuali nelle rappresentazioni legate al gruppo, memorie, obiettivi

- della qualità della performance individuale rispetto ai compiti del gruppo.

b. viene enfatizzato il costrutto della coesione per la comprensione:

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- delle differenze tra stili di attaccamento all’interno della dinamica del gruppo

- del funzionamento dei membri all’interno del gruppo.

c. viene dimostrato come stile di attaccamento nelle relazioni intime e coesione


contribuiscono alla formazione dello stile di attaccamento di gruppo.

Sulla base delle 4 componenti degli stili di attaccamento si identificano un


attaccamento ansioso ed un attaccamento evitante:

- attaccamento ansioso

A. scarsa rappresentazione di sé come membri del gruppo riflesso del proprio


modello negativo di sé come immeritevole, vulnerabile e bisognoso di aiuto;

B. interazioni di gruppo sentite come minacciose e le emozioni negative vissute


rivelano l’affettività negativa che caratterizza il mondo interno.

C. Ricerca sicurezza, conferma, supporto e sostegno in gruppo, così come fanno


anche all’esterno.

- attaccamento evitante

A. modello negativo degli altri, adotta strategie di deattivazione emotiva per evitare
situazioni di stress e figure di attaccamento frustranti Tali modalità strategiche
aumentano la tendenza all’evitamento delle relazioni di interdipendenza e la
soppressione dei ricordi specifici legati a eventi minacciosi e alle figure di
attaccamento;

B. detiene un modello negativo dei membri del gruppo ed elude i potenziali


benefici dati dall’esperienza in gruppo (Scechman & Rybko, 2004).

C. nelle interazioni gruppali persegue obiettivi di indipendenza e distacco


emotivo e non contribuisce alla creazione di vicinanza ed intimità.

D. Se si ha fallimento delle strategie distanzianti, si attiva il sistema di


attaccamento: i ricordi di rifiuto ed insicurezza divengono accessibili, con
emozioni fortemente negative che possono compromettere le funzioni cognitive.

Il processo di gruppo: coesione e stili di attaccamento


A livello di processo gruppale un alto grado di coesione attiva un attaccamento di
gruppo sicuro ed è un segnale di vicinanza e supporto: soggetti ansiosi si sentono
supportati e motivati a mantenere alto il livello di intimità.

87
Al contrario, soggetti evitanti, non subiscono l’influenza della coesione e della
vicinanza:

- le strategie di deattivazione sono solide e funzionali al mantenimento della distanza


e non rendono possibile un attaccamento sicuro in gruppo.

- Nella dinamica di gruppo ciò si traduce in un atteggiamento sospettoso e


distanziante

- Un gruppo molto coeso e con forte intimità e vicinanza può diventare minaccioso
e intollerabile perché aumenta il livello di stress, soprattutto quando le strategie di
de-attivazione falliscono (Rom & Mikulincer, 2002).

Il trattamento di gruppo basato sull’attaccamento

L’interesse dei ricercatori è centrato sulla comprensione dell’interazione tra


attaccamento individuale ed attaccamento di gruppo e dell’influenza che
l’attaccamento individuale esercita sul processo relazionale.

OBIETTIVO: fornire una base sicura per cui è possibile vivere una nuova esperienza
riparativa e le emozioni possono essere esplorate, gestite e comprese.

Il conduttore del gruppo deve creare un ambiente rassicurante e favorevole in cui


esplorare le proprie rappresentazioni interne e i vissuti.

SCHECHMAN e RYBKO (2008) hanno osservato che la SELF-DISCLOSURE,


l'autorivelazione di sé, implica lo stile di attaccamento individuale che pertanto si
pone come predittore del funzionamento del gruppo. Da uno studio su un gruppo di
counseling che riguarda self-disclosure, intimità, empatia e comportamento produttivo
emerge che:

- soggetti sicuri mostrano maggiore self disclosure nella fase iniziali rispetto ai
soggetti insicuri (ansiosi ed evitanti)
- soggetti più attivi contribuiscono all’avanzamento del processo di gruppo
- soggetti insicuri inibiscono il gruppo e danneggiano se stessi.

- Lo stile di attaccamento dei membri del gruppo predice significativamente la loro


self-disclosure in gruppo e fornisce utili indicazioni sull’esito del trattamento

JOHNSON (2009)
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Ha condotto uno studio di un gruppo orientato sul processo e sul qui ed ora delle
relazioni, i destinatari erano le matricole di un college il cui obiettivo era favorire la
relazione tra i partecipanti e l’integrazione delle matricole all’interno della vita del college.
La studiosa ha osservato che la dimensione di attaccamento può creare una forte
coesione e cooperazione per il raggiungimento di un obiettivo condiviso.
- un lavoro attivo e strutturato, soprattutto nelle fasi iniziali e conclusive del gruppo,
promuove maggiore coesione, sviluppo di competenze, apprendimento
interpersonale e guarigione.

- il conduttore ed i membri possono esperire i benefici di una terapia di gruppo


orientata sul processo, per cui l’assetto gruppale:
- è il luogo elettivo in cui emergono i pattern di relazioni familiari disfunzionali

- è l’ambiente di cura e supporto per sperimentare nuovi e più efficaci modalità di


incontrare i bisogni emotivi e relazionali,

- offre la possibilità di conoscenza e confronto rispetto alle differenze tra sé e l’altro

MARMAROSH (2013)
Concettualizza l’attaccamento in gruppo diversamente dal modo di concettualizzare
l’attaccamento duale per la peculiarità delle dinamiche e della complessità del
gruppo e definisce i membri del gruppo coinvolti nelle interazioni gruppali sulla base
delle prime esperienze interpersonali con gli altri significativi.
Partendo da questa analisi si può conoscere il modo in cui il soggetto esperisce le
relazioni in gruppo e come si lega agli altri: di conseguenza, il legame di attaccamento è
una chiave di lettura per comprendere il modo in cui il soggetto si relaziona agli altri.
MARMAROSH si basa sul presupposto che il gruppo è fondamentale per la
sopravvivenza umana: l’essere umano è intrinsecamente e biologicamente
predisposto a cercare cura e protezione nei caregivers, e il gruppo assolve alla
stessa funzione. Si cerca il gruppo per ottenere cura e protezione, il gruppo come base
sicura (ibidem).

Partendo da questi presupposti:


1. analizza gli stili di attaccamento ed il tipo di interazione di gruppo ed osserva che
lo stile di attaccamento di un membro del gruppo influenza il processo e la
dinamica del gruppo:
- le persone si lasciano guidare dai propri MOI nelle relazioni interpersonali
89
- ciò vale anche per le relazioni all’interno di un gruppo in cui si ripetono gli stessi
pattern relazionali e di attaccamento quotidiani, ne deriva che i membri di un
gruppo percepiscono le interazioni gruppali sulla base delle esperienze
interpersonali primarie con altri significativi.

- In tal modo, si può conoscere come un soggetto esperisce le relazioni e come si


lega ad altri e al gruppo
- L’assetto multipersonale si caratterizza per alcuni aspetti:
• nel gruppo si attivano più MOI rispetto alla comprensione di sé, dell’altro e del
gruppo; i MOI di un membro si intrecciano con i MOI degli altri membri del
gruppo,

• ne scaturisce un incontro intersoggettivo di esperienze interiorizzate, pattern


relazionali, schemi di comprensione sé/altro

2. individua le modalità con cui i soggetti ansiosi ed evitanti interagiscono in


gruppo:
Attaccamento ansioso/preoccupato:
A. soggetti sensibili nel capire cosa l’altro si aspetta da loro; tendono ad essere
compiacenti e attraenti per ottenere vicinanza, validazione di sé, affetto e
protezione; si mostrano vulnerabili e bisognosi di affetto.

B. Il gruppo può sentirsi chiamato a “salvare” il soggetto preoccupato, indifeso e


fragile ed i membri si sentono utili, più forti e capaci. In tal modo ognuno si
rispecchia nella risposta emotiva dell’altro.

C. l’enfasi da parte degli ansiosi/preoccupati sulle proprie carenze ed i propri


bisogni di accudimento, genera forte stress (Mikulincer, 1998).

D. All’interno del gruppo si ripropone la dinamica familiare: il bisogno di vicinanza


diventa per gli altri soffocante ed opprimente e, di conseguenza, si sentono
rifiutati.

E. i soggetti ansiosi sentono una profonda ambivalenza tra emozioni positive e


negative rispetto ai propri bisogni di vicinanza ed intimità a causa delle
esperienze traumatiche di attaccamento infantile

F. I soggetti preoccupati sono quelli che più tengono al gruppo: presenti a tutte le
sedute, meno inclini al drop-out.

90
G. i soggetti ansiosi tendono a mostrarsi bisognosi elicitando negli altri risposte di
tipo supportivo; forniscono altrettanto sostegno e supporto all’altro, ciò diventa un
elemento di forza nel gruppo.

H. La dinamica del gruppo varia a seconda degli stili di attaccamento degli altri
membri:
A. i soggetti evitanti si sentono minacciati dalle richieste emotive,

B. i soggetti preoccupati sono d’aiuto l’un l’altro, grazie al rispecchiamento e


alle risonanze emotive.

Attaccamento evitante:

A. i soggetti tendono ad eludere le emozioni che li fanno sentire vulnerabili e hanno


difficoltà nel gestire le emozioni quando emergono in terapia
B. sono inclini a dire che va tutto bene, cercano di evitare il contatto con gli altri. Si
mostrano forti e sicuri: hanno imparato a negare e non risconoscere (strategie
di de-attivazione) il bisogno dell’altro; in realtà, hanno bisogno di ricercare la
relazione ma non ne sono capaci: hanno “disattivato” la capacità di ricercare
prossimità e vicinanza e non sono in grado di tollerare e gestire l’intimità
(Mikulincer & Shaver, 2007).

C. In gruppo fanno lo stesso nei confronti degli altri membri, del conduttore e del
gruppo nella sua interezza; perseguono obiettivi individualistici e hanno un
atteggiamento negativo nei confronti del gruppo (Rom & Mikulincer, 2003).
D. La terapia di gruppo è impegnativa: l’atto di cercare aiuto negli altri mette in
discussione il proprio modello operativo che vede se stesso forte e autonomo e
gli altri deboli; si difendono dal percepirsi e mostrarsi vulnerabili con un
atteggiamento di autosufficienza e superiorità, che li porta ad essere soli e
rifiutati (Fosha, 2000): nonostante la solitudine continuano a rifiutare le relazioni.

E. Il bisogno del gruppo di riconoscere la propria vulnerabilità risveglia negli


evitanti i vissuti dolorosi di perdita che hanno attivato la deattivazione originaria.
F. sono oppositivi rispetto al processo e tendono al drop-out (Tasca & co., 2004).

G. In gruppo è complesso riconoscere le emozioni ed il vissuto dei soggetti


evitanti. L’unico modo è quello di comprendere l’emozione che suscitano negli
altri attraverso l’identificazione proiettiva (Wallin, 2007).
Attaccamento spaventato-evitante

91
A. hanno alto evitamento e alta ansia; somigliano ai bambini disorganizzati: sono
altamente ambivalenti e sperimentano simultaneamente sicurezza e paura
all’avvicinarsi del caregivers
B. tipo di attaccamento caratterizzato da traumi infantili.

C. In gruppo, questi soggetti possono sia favorire che inibire il processo di


gruppo: si sintonizzano tanto nell’evitamento quanto nell’accudimento e tendono
ad attivare gli altri membri allo stesso modo.

D. La tendenza alla deattivazione e al disconoscimento delle emozioni li fa agire


in modo da generare negli altri intensi sentimenti (in una modalità simile a quella
dei soggetti evitanti).

E. A differenza degli evitanti, cercano aiuto e conforto nel gruppo e manifestano il


bisogno di vicinanza: ciò genera confusione e disorientamento nei membri del
gruppo, che non sanno come comportarsi.

F. Il conduttore dev’essere molto cauto e attento ai segnali non verbali

G. La loro ambivalenza, crea ambivalenza nel gruppo e influisce sul processo:


passano dal sentirsi connessi e coesi al gruppo al minacciare di andare via perché
si sono attivate emozioni troppo intense.

H. Questi soggetti cercano qualcuno che incontri il proprio bisogno di regolare le


emozioni: sono attratti dai membri con un attaccamento sicuro e al contempo
anche dai soggetti evitanti: ciò riattiva le esperienze traumatiche infantili.

I. L'esperienza di gruppo può essere terapeutica se riescono a tollerare il


processo e le sfide dei membri insicuri,

J. un beneficio che possono ottenere dai membri insicuri è la comprensioni dei propri
stati interni, cosa in cui questi ultimi sono molto capaci.

Attaccamento sicuro
A. favoriscono un senso di sicurezza di gruppo

B. contribuiscono attivamente e positivamente al processo di gruppo.

La psicopatologia viene vista secondo una prospettiva interpersonale: lo sviluppo


psicoevolutivo del bambino si caratterizza per aspetti e schemi che creano delle
condizioni che in età adulta si manifestano come condizioni psicopatologiche.

la prospettiva dinamica intersoggettiva

92
Le ricerche fanno emergere l’importanza del costrutto dell’attaccamento per
comprendere le dinamiche all’interno di un gruppo, sia a livello individuale (stile di
attaccamento in senso stretto) che a livello dinamico di gruppo.

Secondo LORITO - DI MARIA (2014) la prospettiva dinamica intersoggettiva fornisce


un supporto teorico per utilizzare la teoria dell’attaccamento in un contesto
gruppale: l’incontro tra le varie soggettività, sollecita l’attivazione di alcuni MOI che
rivelano una specifica modalità di comprensione ed interpretazione di sé, dell’altro e del
gruppo stesso.
A livello intersoggettivo la dimensione di attaccamento in gruppo non è
esclusivamente dipendente dallo stile personale di attaccamento, ma subisce anche
l’influenza di altri elementi quali le dinamiche contransferali, le risonanze, i
rispecchiamenti che:

- da un lato confermano una determinata modalità relazionale nota e ricorrente (il MOI),

- dall’altro fanno emergere modalità relazionali che:

- non riflettono necessariamente lo stile di attaccamento con il caregiver,

- possono essere intese come apertura verso il nuovo e riflettere il carattere


mutativo e trasformativo del gruppo.

il setting gruppale consente di esplorare in maniera più attiva e diretta, rispetto al setting
duale, i problemi relativi all’attaccamento: attraverso il rispecchiamento una persona
può vedere in un altro lo stesso tipo di sofferenza con la quale lotta.

Si può pertanto ipotizzare l’esistenza di un attaccamento in gruppo come totalità come


fattore specifico e indipendente dallo stile personale di attaccamento.
Ciò è quanto in gruppoanalisi favorisce e sostiene lo sviluppo di una matrice dinamica,
come network di relazioni su cui si fonda il gruppo stesso

Neotenia e gruppo
GEHLEN, (1978) - La neotenia dal punto di vista dinamico rappresenta la base
filogenetica dell’indeterminatezza, delle potenzialità e della non specializzazione
dell’essere umano.

L’immaturità alla nascita e l’assenza di istinti specializzati della specie umana spiega
il bisogno di apprendimento ininterrotto dell’uomo: una sorta di infanzia cronica alla base

93
del bisogno di dipendenza prolungata dagli adulti e di agenzie formative che lo abilitino
alla vita adulta.

Il gruppo sociale che si declina nel clan, nella famiglia, nella scuola e nelle
organizzazioni, consente di acquisire attraverso l’accudimento e l’apprendimento gli
strumenti per vivere la condizione adulta.

Ne consegue che la cultura è una compensazione innata delle lacune della nostra
specie in quanto l’essere umano non può sopravvivere senza la presenza di un gruppo:

- la ricerca di relazioni esprime la propensione a ricercare nei genitori e nel gruppo


naturale protezione e cura,
- la vicinanza è da ritenersi come un fondamentale bisogno umano

LORITO - Il gruppo terapeutico, in quanto gruppo sociale, assolve la funzione


neotenica: la terapia di gruppo crea un ambiente sicuro in cui i membri possono
esprimere le proprie percezioni ed emozioni su un altro e sul gruppo e sono spesso
influenzati dalle proprie esperienze precedenti.

I feedback interpersonali, l’insight, l’empatia e la compassione favoriscono un’esperienza


emotiva correttiva che può aiutare a contenere i pericoli, consentire lo sviluppo di un
clima intimo, sentire il gruppo come base sicura su cui fare affidamento.

Dal vertice della teoria dell’attaccamento si può concettualizzare l’esperienza


terapeutica di gruppo come una nuova esperienza di base sicura mutativa e riparativa
delle parti del sé sofferenti ed emotivamente danneggiate.

IL MODELLO DELLA PSICOLOGIA DEL SE’ (KOHUT - STONE)

La PSICOLOGIA DEL SE’ deriva dagli sviluppi degli studi di KOHUT (1972) ed ha una
rilevanza specifica nella comprensione di alcuni aspetti del gruppo tra cui:

- la relazione dei membri con il leader


- le relazioni reciproche tra i membri
- i fenomeni di formazione, coesione e frammentazione del gruppo.

STONE e WHITMAN, ci aiutano a comprendere alcune implicazioni del concetto di


transfert narcisistico nei gruppi di terapia partendo dal concetto di relazione

94
oggettuale, tipica della psicoanalisi classica, distinguendo l’approccio psicoanalitico
classico da quello della Psicologia del Sé.

Nel modello psicoanalitico classico il gruppo di terapia è il setting in cui è possibile


attivare relazioni d’oggetto di amore e di odio che presuppongo l’esistenza di un
oggetto separato verso il quale dirigere gli investimenti di natura pulsionale,
verticalmente, nei confronti del conduttore e lateralemente, nei confronti degli altri
membri del gruppo.

FREUD descrive il narcisismo come uno stato egocentrico tipico dell’infanzia che è
necessario abbandonare per conseguire una maturazione. Secondo FREUD la
psicopatologia è connessa al senso di colpa: l’uomo colpevole che vive forze interne e
conflittuali tra Super-Io e forze pulsioniali.

Per FREUD colui che ha come oggetto di amore se stesso, quindi un Sé narcisistico,
non riesce ad investire in nessuna relazione esterna, quindi la psicoterapia non può
essere praticata: il narcisista non è analizzabile.

Al contrario, nella Psicologia del Sé il leader e il gruppo sono visti come oggetti-sé e
non come oggetti esterni, con la funzione di mantenere la coesione individuale:

A. confermando la grandiosità arcaica del Sé (come oggetto libidico)


B. veicolando fantasie arcaiche di grandezza (come oggetto narcisistico)

KOHUT sostiene che nello sviluppo evolutivo parallelamente alle relazioni con oggetti
separati investiti da pulsioni di tipo libidico, esistono relazioni con oggetti sentiti come
non separati dal Sé, estensioni narcisistiche del soggetto: Oggetti-Sé che svolgono
specifiche funzioni nel processo di costruzione della struttura psichica dell’individuo e
sono fondamentali per lo sviluppo di un Sé coeso, integrato e maturo e della capacità
di rispecchiarsi in modo empatico.

KOHUT, al contrario di FREUD, concepisce il Sé come qualcosa che dipende


dall’ambiente che può farlo crescere o arrestare a seconda delle sue caratteristiche.

Il conflitto che si genera è tra il Sé e gli oggetti e non intrapsichico, come per la
psicoanalisi classica.

95
TEORIA DEL DOPPIO ASSE

KOHUT con la TEORIA DEL DOPPIO ASSE della libido oggettuale e della libido
narcisistica ribalta la prospettiva freudiana ed individua due linee parallele di sviluppo
della libido indipendenti l’una dall’altra, quella oggettuale (freudiana) e quella
narcisistica centrata sull’oggetto-sé, spiegando così la coesistenza di bisogni
oggettuali e bisogni narcisistici.

I bisogni narcisistici permangono per tutta la vita insieme ai bisogni di amore


oggettuale (la relazione con l’oggetto separato):
- si mantengono stabili nel tempo,

- non sono espressione di una condizione psicopatologica,

- seguono un percorso indipendente da quello della libido oggettuale:

- la libido oggettuale investe oggetti veri, sperimentati come separati dal soggetto e
conduce all’amore oggettuale;
- la libido narcisistica investe oggetti sperimentati come estensione del sé, e
conduce all’amore di sé detto narcisismo.

Lo sviluppo della libido narcisistica non è patologico ma è connesso allo sviluppo sano
del Sé: è fondamentale che i bisogni narcisistici più arcaici (narcisismo onnipotente) si
evolvano in bisogni narcisistici più maturi (narcisismo realistico).

- L'evoluzione da narcisismo onnipotente a narcisismo realistico è legata alle prime


esperienze relazionali e in particolare a specifiche esperienze infantili con i genitori,
definiti da KOHUT i genitori oggetti-sé, percepiti dal bambino come estensioni del
proprio sé.

KOHUT individua uno stadio infantile successivo al narcisismo primario in cui si


stabilisce il Sé Grandioso (caratterizzato da esibizionismo e fantasie grandiose) non
patologico e sano: il collante psichico che tiene unito il Sé nelle fasi precoci dello
sviluppo.
KOHUT approfondisce il CONCETTO DI OGGETTO-SE’: gli oggetti-sé si riferiscono alle
prime esperienze relazionali specifiche con gli oggetti delle cure, i caregivers, che KOHUT
definisce oggetti-sé.

96
Gli OGGETTI-SE’ sono estensioni del proprio Sé che nelle prime fasi di vita del
bambino è fondamentale che svolgano precise funzioni, tra cui quella di oggetto-sé
speculare.
Nelle prime fasi di vita del bambino, si sviluppa quello che KOHUT definisce il Sé
Bipolare, caratterizzato da due configurazione narcisistiche arcaiche: il Sé Grandioso
esibizionistico e l’Imago parentale idealizzata:

A. Sé Grandioso esibizionistico - si manifesta come esibizionismo, ambizione e


fantasie grandiose. E’ una dimensione narcisistica assoluta, enfasi concentrata sul
Sé, afferisce alla libido oggettuale di tipo freudiano e all’oggetto-sé speculare.

B. Imago parentale idealizzata - personificata dalla figure genitoriali su cui il bambino


proietta potere, perfezione, bontà. L’idealizzazione delle figure parentali ha una
valenza narcisistica in quanto il bambino si identifica con l’oggetto idealizzato.
L’immagine idealizzata di perfezione modella la struttura dell’Ideale dell’Io che
rappresenta una guida interiore.

I genitori, in quanto oggetti-Sé svolgono due funzioni transferali specifiche:

1. oggetto sé - speculare, con funzione di appagamento del Sé grandioso e


onnipotente del bambino, corrisponde al polo delle ambizioni e dei desideri
2. oggetto sé - imago parentale idealizzata, con funzione di appagamento del
bisogno di un modello ideale al quale conformarsi, corrisponde al polo delle mete
idealizzate, dei talenti-abilità
È fondamentale che i genitori rispondano empaticamente ai bisogni di grandiosità del
bambino in quanto da queste prime esperienze si formano le prime configurazioni del
Sé e le qualità della struttura del Sé che racchiude il polo delle ambizioni, desideri e
ideali.

KOHUT aggiunge una terza funzione dell’oggetto-sé l’OGGETTO SE’-GEMELLARE:


una funzione attraverso la quale il bambino appaga il bisogno di sentirsi simile a un altro
umano, sufficientemente amato e amabile.

Si tratta di un’area intermedia nello sviluppo del Sé all’interno del Sé Bipolare tra polo
delle ambizioni (Sé Grandioso) e polo delle mete idealizzate (imago parentale
idealizzata) e riguarda i talenti-abilità.

97
L’OGGETTO-SE’ GEMELLARE attiva un transfert di tipo identificativo che risponde al
bisogno di sentirsi amato e amabile.

L’oggetto Sé-gemellare, l’oggetto sé-speculare, l’imago parentale idealizzata


conducono a un accrescimento sano del sé in termini di coesione, stabilità e armonia.

L'empatia con i genitori rende il bambino in grado di sperimentare i propri e altrui


limiti e di tollerare le frustrazioni, facendogli fare esperienza positiva della realtà, dei
limiti dei genitori e dei propri e di creare armonia nel proprio Sé.

Ciò permette il progressivo ritiro degli investimenti narcisistici dagli oggetti-sé e


l’attivazione di un meccanismo di interiorizzazione delle funzioni prima svolte dagli
oggetti-sé, definito da KOHUT internalizzazione trasmutante.

L’Internalizzazione trasmutante consente al bambino di:


- internalizzare le qualità, le capacità e le risposte emozionali dei genitori
- sviluppare le strutture interne di regolazione delle emozioni e di adattamento prima
svolte dai genitori, e conseguire una propria autonomia emotiva

Il processo di internalizzazione trasmutante non svincola completamente il Sé dagli


oggetti-sé: la persona sana in età adulta manterrà delle relazioni con gli oggetti-sé, a
causa del bisogno di rispecchiamento e di una relazione appagante con altri
significativi.
Grazie alla responsività del genitore verso le propensioni innate del bambino le due
configurazioni narcisistiche arcaiche si trasformano in organizzazioni strutturali che
formeranno la personalità matura.

Se l’esperienza infantile con l’oggetto sé non è soddisfacente ed empatica: lo sviluppo


narcisistico non si completa ed i bisogni rimangono arcaici e rivelano senso di fragilità
e vulnerabilità del Sé.

Il transfert narcisistico
In analogia con le 3 funzioni dell’oggetto-Sé, KOHUT descrive 3 tipi di transfert nei
pazienti narcisistici: speculare (di rispecchiamento), idealizzante, gemellare.
L’analisi dei singoli transfert fornisce informazioni su quale esperienza è mancata al Sé
Nucleare:

98
1. Speculare - il paziente esprime il bisogno di essere ammirato e rispecchiato dal
terapeuta.

2. Idealizzante - il paziente esprime il bisogno complementare di ammirare e idealizzare


il terapeuta stesso.

3. Gemellare - il paziente esprime il bisogno di identificazione col terapeuta, con le sue


capacità e successi.

KOHUT - La clinica

Dal punto di vista clinico i pazienti con disturbo narcisistico grave pur mostrando
apparenti adattamenti sociali presentano profondi sentimenti di vuoto, sensazioni di
non essere reale e completamente vivi.

Obiettivo del trattamento terapeutico è l’attivazione di un processo di


internalizzazione trasmutante delle funzioni svolte dall’analista.

Il trattamento analitico dei disturbi narcisistici (negato da FREUD) si basa sul favorire
e lasciar crescere il Sé Grandioso riattivato e le richieste narcisistiche.

Compito del terapeuta è accettare questi bisogni e corrispondere ad essi per permettere
al Sé di svilupparsi e maturare: il terapeuta permette al paziente di ripercorrere le tappe
evolutive attraverso un atteggiamento empatico (ammirando e facendosi ammirare) di
modo che il paziente riesce a modificare il suo Sé Grandioso attraverso le
internalizzazioni trasmutanti.

Patologia
Secondo KOHUT il nucleo dei disturbi narcisistici di personalità è da identificarsi nel
disturbo della regolazione dell’autostima e nella persistenza del Sé Grandioso
arcaico, che impedisce la formazione di un Super-Io normale ed integrato con gli ideali
dell’Io.

Le genesi del disturbo narcisistico è da ricercarsi nell’atteggiamento poco empatico


del genitore che ha provocato l’arresto dello sviluppo ad un Sé Grandioso arcaico del
quale i due tipi di transfert sono la riattivazione nel transfert terapeutico.

Il narcisismo patologico, pertanto, nasce da una fissazione al Sé Grandioso arcaico,


causata da un blocco dello sviluppo in uno stadio in cui sono necessarie risposte
empatiche di approvazione del genitore che, se mancanti, impediscono il superamento
del narcisismo arcaico e la costruzione di un Sé equilibrato, maturo e coerente.

99
SE’ ARCAICO (grandioso/idealizzante) e dinamiche di gruppo
Dai modelli dello sviluppo psichico e dei concetti del Sé arcaico è possibile
comprendere la terapia di gruppo della psicologia del Sé, soprattutto le dinamiche di
gruppo e le espressioni del sé grandioso: in particolare l'esibizionismo e la grandiosità,
importanti per lo sviluppo dell'autostima, una funzione dell'Io adulto connessa con
l'orgoglio e la soddisfazione per il raggiungimento di obiettivi.

Arresti nel processo dello sviluppo del bambino portano ad una ricerca cronica di
qualcuno che fornisca rispecchiamento ai bisogni di grandiosità dell’individuo.

Nel transfert l’altro da sé non viene visto come un oggetto separato, ma come oggetto-
sé che ha la funzione di rispecchiare la grandiosità.

Oltre alla fantasia di grandiosità, le altre forme del Sé arcaico possono essere
rappresentate da:

- fantasie di gemellarità: l'altra persona è vissuta come un alter ego, un gemello e


richiamano l'assunto di base di accoppiamento di Bion
- fantasie di fusionalità: il soggetto sperimenta un forte desiderio interno di unità e
appartenenza, vissuto insieme a intensi sentimenti di paura legati alla perdita della
propria individualità. Le fantasie di fusionalità si verificano spesso nella fase iniziale
del gruppo, così come nello sviluppo dell’individuo: caratterizzano una fase precoce di
sviluppo della grandiosità, ma possono presentarsi durante l'intera vita del gruppo.

Il Sé del gruppo - GROUP SELF

KOHUT ha introdotto il concetto di “group self”: una particolare configurazione del


gruppo analoga al Sé individuale che può essere considerata la parte del Sé
individuale che contiene gli ideali (e obiettivi) familiari, ambientali e culturali compatibili
con quelli dell'individuo.

Il GROUP SELF si riferisce ad un attaccamento al gruppo e non agli individui ed in


quanto parte del Sé individuale dà luogo a esperienze oggetto-sé ed ai relativi transfert di
tipo speculare, idealizzante, gemellare.

100
KARTERUD (1998) evidenzia che i confini tra Sé personale e Sé di gruppo sono
sfumati, l’uno è parte dell’altro.

STONE suggerisce che il sé del gruppo è la terza prospettiva dalla quale guardare al
gruppo-come-insieme.

COHEN e ETTING (2002) hanno separato due aspetti del Sé del gruppo:
- la dimensione personale del Sé del gruppo: una versione della propria identità
personale come membro del gruppo;

- il Sé sovra individuale, vede il gruppo come soggetto: una personificazione del


gruppo avente un Sé con propri attributi (vedi la Teoria del campo - gruppo come
totalità)

Il sé del gruppo come progetto


• Il Sé del gruppo può essere concepito come un progetto in continua evoluzione nel
quale gli individui si identificano con gli ideali e gli obiettivi del gruppo stesso e che
risponde alle fluttuazioni che caratterizzano l’esperienza
• Il progetto di costruzione del gruppo contiene:
- motivazioni razionali (ad esempio mi unisco a quel gruppo perché ho un
interesse per il tema trattato in quel gruppo),

- motivazioni inconsce (ad esempio bisogni di attaccamento).

• Il progetto richiama l’obiettivo, fondamentale alla formazione del gruppo e allo


sviluppo della struttura del gruppo. Le persone stanno insieme in funzione della
possibilità di ottenere qualcosa e il sé del gruppo è la struttura conscia e inconscia che
dà corpo al progetto di gruppo.

• Le qualità sovra individuali del gruppo sono conseguenza della natura collettiva del
progetto di gruppo.

7.2 Terapia di gruppo della Psicologia del Sé - STONE

STONE adatta la psicologia del Sé alla terapia di gruppo, sulla base della teoria del
doppio asse della libido oggettuale e della libido narcisistica per cui l gruppo può
essere pensato parallelamente come oggetto libidico e come oggetto narcisistico: da

101
qui la metafora di gruppo-come-madre che diventa madre come oggetto libidico
esterno e madre come oggetto narcisistico interno (oggetto-Sé).

Nel gruppo il leader, membri ed il gruppo nel suo insieme possono essere considerati
come oggetti-sé con la funzione mantenere la coesione individuale e confermare la
grandiosità arcaica del Sè, essendo essi stessi veicolo di fantasie arcaiche e di
grandezza o funzionare come oggetti separati.

Ciò aiuta a comprendere i comportamenti di gruppo dei soggetti con disturbi


narcisistici che tendono a monopolizzare il gruppo e/o a rifiutare l’aiuto.

STONE si concentra sul concetto di gruppo-come-insieme e sugli aspetti di “essere in


gruppo” ed i comportamenti attuati sulla base di 3 livelli di analisi che portano a
definire il gruppo come oggetto, soggetto o oggetto-sé e che permettono di cogliere i
diversi aspetti dell’esperienza di essere in gruppo. STONE distingue 3 livelli di
esperienza di gruppo:
1. livello di gruppo-come-insieme: riguarda il gruppo come oggetto-sé che attiva un
transfert idealizzante.

2. livello interpersonale: relativo alle relazioni di oggetto-sé gemellare, idealizzato,


speculare che assumono modalità diverse a seconda che riguardino un membro del
gruppo o il terapeuta.

3. livello intrapsichico: relativo ai deficit ed ai meccanismi di difesa che assumono la


forma di ruoli distinti nell’interazione gruppale.

Gruppo-come-insieme: oggetto, soggetto, oggetto-sé

Le prospettive classiche del gruppo intendono il gruppo-come-insieme come un


“oggetto” (in senso psicoanalitico), o come un soggetto agente.
STONE a queste due prospettive aggiunge quella del gruppo-come-insieme come
oggetto-sé.
Queste tre prospettive del gruppo-come-insieme permettono di cogliere aspetti
differenti dell’esperienza di gruppo e dei comportamenti messi in atto in gruppo:

1. gruppo-come-insieme come un oggetto, rappresenta un’entità assimilabile ad un


oggetto esterno. Gruppo, come seno buono o come seno persecutore.

102
• il gruppo attiva Sé grandioso e transfert speculare

2. gruppo-come-insieme come soggetto o agente, pensare al gruppo come ad


un’entità con una sua propria mente, è capace di fare azioni.

• è alla base di molti interventi fatti in gruppo e sul gruppo, ad es., gli interventi
interpretativi del conduttore sul gruppo-come-insieme ogni volta che il gruppo
attua tendenze evitanti.

3. gruppo-come-insieme come oggetto-sé, dimensione sovraindividuale in cui le


funzioni oggetto-sé sono rivestite dai membri del gruppo e dal conduttore, di
conseguenza, attraverso il rispecchiamento si possono riconoscere e gestire le
proprie esperienze di fallimento dell'oggetto-sé.
• il gruppo attiva transfert idealizzante e transfert speculare.

Transfert narcisistico in gruppo - transfert oggetto-sé (idealizzante-speculare)

All'interno dei gruppi si verificano spesso IDEALIZZAZIONI che hanno come oggetto il
leader del gruppo o il gruppo nel suo insieme, con attivazione del transfert idealizzante
in cui l’individuo proietta parti del Sé arcaiche grandiose sull’oggetto per cui l'altro
viene vissuto come come parte del Sé con funzione di idealizzazione o rispecchiamento,
necessaria alla ristrutturazione del Sé.

Si distinguono due forme di transfert oggetto-sé: transfert idealizzante e transfert


speculare collegate alle configurazioni arcaiche dell’Imago parentale idealizzata e del
Sé grandioso

A. Transfert idealizzante: collegato all’oggetto-sé - tipo di transfert collegato ai


bisogni arcaici relativi all’imago parentale idealizzata: il gruppo nel suo insieme
funge da imago parentale idealizzata e crea una sorta di equilibrio narcisistico tra il
gruppo ed i suoi membri.
- riguarda la sfera ideale (genitore perfetto) attribuita al conduttore (o al gruppo)

- scaturisce dalla ricezione empatica che conduttore/gruppo mostra nei confronti


dell’individuo.

B. Transfert speculare: collegato all’oggetto libidico - tipo di transfert che si attiva in


gruppo, la cui riattivazione non coinvolge gli aspetti arcaici ma quelli relativi al Sé
grandioso esibizionistico:

103
- il paziente rivive nel rapporto con il conduttore il bisogno infantile di un oggetto
esterno che lo accetti e lo confermi pienamente.

- Il Sé grandioso:
- nella forma più immatura - gli altri sono il pretesto per sfoggiare
l'esibizionismo e potere,

- nella forma più matura l'altro è vissuto come separato e fonte di


gratificazione.

Ruolo del conduttore


Il conduttore deve consentire lo sviluppo appropriato dei transfert narcisistici
(speculare e idealizzante) e riconoscere il desiderio di rispecchiamento dei pazienti e
accettare di essere oggetto della loro idealizzazione.
In questo compito sarà aiutato anche dal gruppo che avrà la funzione di essere una
“arena accogliente” in cui mostrare le spinte grandiose ed esibizionistiche all’interno di
un clima di appartenenza.

Le fasi di sviluppo del gruppo

Nelle diverse fasi del gruppo si attivano diversi tipi di comportamenti.


Nelle fasi iniziali il terapeuta attiva bisogni e fantasie di idealizzazione e funge da
antidoto contro lo stress causato dal dover ancora costruire i legami del gruppo.

I bisogni-desideri del gruppo sono di fusione e da qui si sviluppano i primi bisogni di


rispecchiamento.

Nel momento in cui il gruppo come insieme soddisferà questi bisogni di idealizzazione,
sarà il gruppo ad essere idealizzato dai membri.
Il conduttore avrà un ruolo diverso, lasciando fare al gruppo, cioè riconoscere, accettare
e facilitare le fantasie.

I diversi tipi di transfert narcisistico si alternano lungo il corso della terapia di gruppo:
- non è possibile stabilire una esatta corrispondenza tra fasi e transfert,

- in ogni fase dello sviluppo del gruppo vi è un aspetto di transfert predominante che
dipende dal compito del gruppo e caratterizza la dinamica e le interazioni del gruppo.

104
Le 4 fasi di sviluppo del gruppo:
1. Norming - Avvio: L’ingresso in un gruppo attiva modelli interni familiari
successivamente modificati all'interno dei vari contesti e gruppi, come ad esempio
quelli scolastici lavorativi e sociali che si attivano nella relazione gruppale.

- Sulla base di questi gli individui stabiliscono un grado di prossimità-distanza:


quanto parteciperanno al gruppo e quanto rimarranno a distanza per mantenere la
propria individualità e autonomia.

- Il bilanciamento di questi due aspetti di prossimità-distanza è determinato da


fattori legati agli obiettivi, alle precedenti esperienze, al setting e alle interazioni nel
gruppo.

L’Ansia caratterizza la fase iniziale e riguarda se stessi, gli obiettivi, il gruppo: è


legata alla dinamica di prossimità-distanza ed è causata dal rivelare parti di sé ed
entrare in una relazione più o meno intima con gli altri.

- Dal punto di vista narcisistico, l’ansia ha un carattere ambivalente di paura e


speranza:
- è seguita dalla fantasia che gli altri saranno insensibili e non capaci di cogliere le
qualità di cui il soggetto dispone.

- i membri tendono a gestire l’ansia rivolgendosi al terapeuta che deve essere


disponibile ad essere idealizzato come imago parentale e ciò fornisce
sicurezza e salvezza. Si tratta di una regressione ai bisogni arcaici oggetto-sé,
che generalmente avviene in modo inconscio.

- Quando il conduttore non è disponibile ad essere idealizzato, i membri si


rivolgono ad altri oggetti-sé da idealizzare.
Si attiva anche la dinamica dell'oggetto-sé gemellare: alcuni individui ricercano
comunanza con gli altri nella speranza di condividere attributi o caratteristiche e
sentirsi connessi e meno isolati: la ricerca di somiglianza per contrastare sentimenti
di solitudine e impotenza può essere estesa al gruppo-come-insieme attivando
un'esperienza utile di oggetto-sé.

- Compito principale del terapeuta =>

- facilitare la creazione di un gruppo funzionale: stabilire le norme del gruppo,


definire la struttura iniziale del gruppo, indicare i confini tra il gruppo e il mondo
esterno,

105
- mantenere il focus del lavoro su un duplice piano: sugli sforzi di
cambiamento e di crescita degli individui e sulla tendenza a ripetere i vecchi
schemi familiari.

2. Storming:
si presenta solo quando i membri percepiscono di essere stati ignorati, fraintesi,
disprezzati o offesi narcisisticamente mentre cresceva la coesione del gruppo, con
reazioni di rabbia e ribellione e dinamiche di protesta che derivano da un deficit
nella struttura del Sé che origina da esperienze infantili di mancato
rispecchiamento o mancata idealizzazione:

- le interazioni sono caratterizzate da paura del rifiuto e disapprovazione.


- i membri possono percepire le norme del gruppo come troppo restrittive e vivono
gli altri dentro relazioni di rivalità e di ansia.

- Il transfert gemellare si sviluppa nei confronti degli altri membri e del conduttore
Funzione del terapeuta è orientare, contenere e validare la rabbia e l’oppositività,
attivare il rispecchiamento dell’oggetto-sé e la comprensione empatica è
decisiva nel bilanciare e smorzare gli stati negativi.

- i membri, basandosi sull’oggetto-sé gemellare:


- imparano dagli altri ad ascoltare e gestire queste istanze interiorizzandole

- diventano capaci di esprimere se stessi e di gestire i propri conflitti.

3. Performing:

si verifica quando i membri hanno interiorizzato i valori, gli ideali e il metodo di lavoro
del gruppo e possiedono un’immagine del gruppo e dei membri come funzioni
oggetto-sé positive e migliorative. Sono capaci di empatizzare con gli altri e di
mentalizzare le emozioni: queste ripetute esperienze di essere compreso rinforzano
assertività e la capacità nel gestire le offese narcisistiche.
Si assiste ad una duplice espansione del Sé, distinguendo tra Sè individuale più
stabile e capace di operare in senso lenitivo e Sé di gruppo che aumenta la propria
capacità di riflettere su se stessi, di essere più assertivi e aperti, di esplorare le ferite
narcisistiche e di ripararle.

4. Fase di chiusura

riguarda la gestione del dolore narcisistico che può riaffiorare con sentimenti di
perdita e separazione: i membri devono fare ricorso alle esperienze di oggetto-sé
riparatorie e correttive che il gruppo ha permesso di vivere in questa fase.

106
Alcuni Autori differenziano il transfert idealizzante delle prime sedute del gruppo,
individuando una fase di orientamento.

In questa fase di orientamento il tipo di relazione tra membri e conduttore è


dipendente o sottomesso, piuttosto che idealizzato. Si tratta di un meccanismo
difensivo per proteggersi da una “ritraumatizzazione” invece di una forma di relazione
transferale, che si attiverebbe poco dopo.

7.3 I GRUPPI DI MENTALIZZAZIONE PER PAZIENTI BORDERLINE - FONAGY e


TARGET

FONAGY e TARGET hanno il merito di aver creato connessioni tra la teoria


dell’attaccamento, l’infant research e la psicoanalisi attraverso lo sviluppo del
concetto di CAPACITA’ DI MENTALIZZAZIONE.

La MENTALIZZAZIONE o capacità riflessiva indica “la funzione mentale che


organizza l’esperienza del nostro e dell’altrui comportamento in termini di costrutti
mentali” (FONAGY e TARGET): la funzione che organizza le operazioni mentali che
l’individuo compie per rappresentarsi gli aspetti di sé e dell’altro e per riflettere sugli stati
mentali -sentimenti, credenze, desideri, atteggiamenti, intenzioni- propri e altrui.

La MENTALIZZAZIONE può essere definita come la capacità di rappresentare i


comportamenti in termini di stati mentali - ciò spiega le risposte differenziali che
ognuno di noi assume nell’interazione con l’altro - e garantisce una coerenza con le
nostre azioni.

La mentalizzazione comprende componenti autoriflessive - la capacità di riflettere su


se stessi - e componenti interpersonali - la capacità di leggere gli stati mentali altrui
attraverso le relazioni. Fornisce la capacità di distinguere la realtà interna da quella
esterna, la finzione dai modi “reali”, i processi mentali ed emotivi intrapersonali dalle
comunicazioni interpersonali (Ammaniti, Dazzi, 1999).

107
La capacità riflessiva non è innata ma è costruita attraverso un processo
intersoggettivo, che si basa sulle qualità dell’interazione tra bambino e caregiver, legato
agli stili di attaccamento, ed in questo sta il collegamento con la teoria
dell’attaccamento.

La MENTALIZZAZIONE è la funzione mediante la quale si organizza l’esperienza ed è


definita dalla qualità della SINTONIZZAZIONE tra bambino e caregiver: lo sviluppo della
capacità di mentalizzare è un aspetto centrale nell’evoluzione della psiche del bambino,
per cui uno sviluppo adeguato della capacità riflessiva è fondamentale per lo sviluppo
del Sè e della regolazione affettiva.

Si distinguono due MACRO STADI del Sé: il Sé pre-riflessivo/fisico ed il Sé riflessivo/


psicologico:
- “Sé pre-riflessivo o fisico”,

- sperimenta la vita in maniera diretta, non mediata,

- è presente in una forma primitiva sin dalla nascita

- si sviluppa completamente intorno ai sei mesi;

- “Sé riflessivo o psicologico”,

- osservatore interno della vita psichica, riflette sull’esperienza in termini psichici


- si basa sulla possibilità di rappresentarsi mentalmente gli eventi i sentimenti e le
credenze
- si sviluppa gradualmente nei primi anni di vita, attraverso l’interazione
significativa con il mondo adulto.

Tra i due stadi avviene la formazione della PSICHE: la capacità di pensare e


sperimentare la vita mediata attraverso la rappresentazione mentale.

La funzione riflessiva / SE’ PSICOLOGICO


FONAGY e TARGET (1997) propongono una lettura evolutiva della funzione riflessiva:
“la mentalizzazione avviene attraverso l’esperienza che il bambino fa di quanto i
propri stati mentali siano capiti e pensati grazie a interazioni cariche di affetto con il
genitore”.
Lo sviluppo del Sé psicologico è dunque legato alla qualità della relazione tra
bambino e caregiver e all’esperienza del bambino nel percepire i propri stati mentali
“capiti e pensati”.

108
Il caregiver deve comprendere ed intuire gli stati mentali del bambino e lo deve
incoraggiare a servirsi della mente del genitore al fine di consentirgli, mediante
l’internalizzazione dei propri stati mentali, la formazione dei suoi.

Il caregiver deve essere capace di:

- cogliere e significare gli stati mentali del bambino, riconoscerlo come un essere
mentale dotato di intenzioni, sentimenti, desideri e conferire intenzionalità al suo
comportamento.

- contenere il bambino e rispondergli in termini di cure fisiche, così da dimostrare la


consapevolezza dello stato mentale del piccolo e la capacità di farvi fronte con la
riflessione”.

La MANCATA MENTALIZZAZIONE crea l’incapacità di cogliere la natura


rappresentazionale di un pensiero e di un giudizio.

Il bambino non sarà in grado di rappresentare un proprio pensiero o giudizio a causa di


un mancato funzionamento del rispecchiamento col caregiver attraverso due
modalità:

- rispecchiamento troppo vicino: lo stato mentale del bambino viene restituito al


caregiver come il bambino lo ha pensato senza elaborazione e modificazione.

- rispecchiamento lontano: vi è scarto tra gli stati mentali del bambino e quelli che gli
sono stati restituiti dal caregiver

L’assenza/distorsione delle funzioni di rispecchiamento:


- genera un mondo psicologico nel quale le esperienze interiori sono scarsamente
rappresentate,

- determina un disperato bisogno di modalità alternative di contenimento


dell’esperienza psicologica
L’incapacità del bambino di comprendere la natura rappresentazionale del proprio e
altrui pensiero, lo rende particolarmente vulnerabile di fronte a un comportamento
materno poco coerente per cui è costretto ad accettare le implicazioni del rifiuto dei
genitori e a sviluppare un’immagine negativa di se stesso.

Al contrario, un bambino in grado di pensare gli stati mentali degli altri, può pensare
alla possibilità che il rifiuto da parte dei genitori sia basato su false credenze e riuscire a
moderare l’impatto delle esperienze negative (Fonagy, Target, 1996).

109
Caratteristiche dei DPB
BATEMAN & FONAGY (2010) ipotizzano che i pazienti borderline abbiano una
specifica carenza della capacità di mentalizzazione, derivata da relazioni in età
infantile vissute in un ambiente non in grado di mentalizzare l’esperienza affettiva.

Il DPB vede la prevalenza di un funzionamento psichico caratterizzato da tre modalità


pre-mentalizzanti o non integrate:
1. pshychic equivalence - equivalenza psichica

2. pretend mode - modalità del far finta/pseudomentalizzazione

3. teleological mode - modalità teleologica

Nei pazienti BPD si assiste ad una mancata integrazione delle modalità di psychic
equivalence e del pretend mode.

1. Equivalenza psichica - si tratta di un isomorfismo tra pensiero e realtà, interno/


esterno: comporta un’uguaglianza rigida tra mondo interno e mondo esterno, ciò che
esiste nella mente esiste all’esterno e viceversa. Non c’è spazio per possibilità
alternative con conseguente carico d’angoscia: qualsiasi fantasia è sentita come
reale, ciò che si pensa di sé stessi è reale.

A. La comprensione degli stati mentali altrui segue lo stesso iter, ciò che si pensa
dell’altro coincide con quello che pensa o sente l’altro e genera una certezza rigida
non corroborata da fatti
B. le migliori tecniche di risoluzione dell’equivalenza psichica sono la validazione
empatica e la comprensione di come si arrivi a tale certezza.

2. Pseudomentalizzazione - si tratta di una disconnessione dalla realtà per cui si


mentalizza su basi ontologiche inesistenti: l’esperienza interna non riflette la realtà
esterna, non c’è riconoscimento della natura rappresentazionale del proprio pensiero.

A. è alla base dei fenomeni dissociativi, niente può essere legato a qualcos’altro,
niente ha implicazioni nel reale: deliri.
B. La comprensione della mente altrui è poco aderente alla realtà
3. Modalità teleologica - si tratta dell'impossibilità di interpretare pensieri e affetti in
assenza di un’evidenza fisica e concreta: modalità pre-mentalizzante tipica del
periodo prelinguistico:

110
A. gli oggetti della realtà esterna sono legati a quanto è osservabile, non sono
veramente mentali (rappresentazioni di).

B. Gli stati intenzionali e previsionali che precedono un’azione sono riconosciuti


solo in presenza di aspetti manifesti.

Pattern ricorrente di gruppo dei BDP


Alcuni clinici hanno identificato un pattern ricorrente dei BDP nelle modalità di
partecipazione al gruppo:
A. reagiscono emotivamente molto più rapidamente e in maniera più intensa di altri in
relazione a sentimenti di rabbia e a situazioni di separazione con una successiva
fase di diminuzione delle capacità mentalizzanti.

B. deve passare molto tempo prima che questi pazienti imparino a fidarsi del gruppo,
soprattutto se emozioni di colpa e invida, sentimenti di vergogna e disperazione li
portano a immaginare che c’è qualcun altro che “riceve di più dal gruppo” in termini di
affetto, cura o attenzione.

C. Sono prevalenti meccanismi difensivi arcaici, quali scissione, proiezione o diniego


che possono essere agiti nel gruppo e la sensazione di “sentirsi fuori luogo”, non
trovare una collocazione, non avere un ruolo che si traduce sovente in continue
assenze che rendono precario il loro “posto”, ne rallentano il percorso di cura e
causano ripercussioni nello sviluppo del processo dell’intero gruppo.

D. BDP risultano tuttavia “intriganti”, la sensazione è quella del “sentirsi tirati dentro”
dall’interesse e dall’attivazione emotiva che connotano le storie di questi pazienti.

E. le narrazioni appaiono non congruenti con gli stati emotivi vissuti: sono
pseudomentalizzazioni, caratterizzate da espressioni manieristiche e disconnesse
dall’esperienza reale, un effluvio di parole, incapace di cogliere l’essenza delle
emozioni, che genera discussioni di gruppo poco efficaci.

Gruppo per pazienti borderline

La letteratura sul trattamento di gruppo per BPD è abbastanza controversa.

Alcuni autori sostengono che le interazioni personali che il gruppo attiva sono eccessive
per essere tollerate e gestite e utilizzate per finalità terapeutiche.

I pazienti Borderline mostrano gravi problemi interpersonali per questo la terapia di


gruppo può risultare troppo intensa e sono caratterizzati da forte instabilità emotiva.

111
MASTERSON ha descritto e rappresentato in modo efficace il BPD facendo riferimento al
dilemma in cui si sente intrappolato.

Il BPD nell’interazione prova panico, eccessivo coinvolgimento e controllo totale,


mentre quando è separato vive una condizione di totale abbandono.

Questo conflitto è l’aspetto centrale della personalità borderline e descrive il continuo


entrare ed uscire dalle relazioni, compresa la relazione terapeutica.

La faticosità che contraddistingue il BPD è riuscire a gestire questa condizione conflittuale


di DISTANZA vs VICINANZA EMOTIVA.

Del resto, anche il trattamento individuale può essere troppo “incalzante” per un
paziente borderline, mentre il gruppo può “diluire” il transfert attraverso l’investimento
su più persone. La molteplicità del gruppo può aiutare a contenere la contraddittorietà
delle rappresentazioni interne.

Al contrario, un aspetto che sottolinea l’efficacia del gruppo rispetto alla terapia
individuale è la gestione del conflitto sull’autorità: i BPD tendono ad accettare con più
facilità un intervento confrontativo con un pari percepito come simile piuttosto che col
terapeuta, percepito come l’autorità giudicante.

Il gruppo, quindi, è il DISPOSITIVO TERAPEUTICO che può meglio contenere la


conflittualità di questi aspetti interni del paziente.

Un altro aspetto da sottolineare è che la terapia di gruppo psicodinamica classica può


risultare non adeguata, in quanto è volutamente poco strutturata: il terapeuta attende
che sia il gruppo ad attivare qualcosa che diventerà il materiale del lavoro analitico.

Con i BPD la modalità destrutturata del setting psicodinamico può risultare poco
adeguata a causa della loro fragilità emotiva che può coinvolgerli in dinamiche emotive
troppo destrutturate e confuse.

A sua volta, Il gruppo sembra favorire alcuni atteggiamenti difensivi tipici che possono
generare situazioni difficili da gestire, nelle quali le emozioni sono non-mentalizzate e
caotiche, e nascondere il livello di arousal dei pazienti che accentuano la conflittualità e
l’antagonismo e favoriscono fenomeni di scissione e dinamiche distruttive che
portano ad una Spirale negativa con sentimenti di rifiuto, incomprensione, non
appartenenza al gruppo.

112
Terapia bimodale o integrata - LINEHAN (1993)

Per ovviare a queste controindicazioni sono stati implementati setting integrati che si
avvalgono di uno spazio individuale + uno spazio di gruppo. Ciascuno di questi setting
permette di:

- elaborare aspetti diversi del funzionamento psichico

- attivare emozioni e funzioni differenti.


Nella terapia integrata le parti individuale e gruppale, possono lavorare sinergicamente:

• il lavoro individuale aiuta il paziente ad elaborare aspetti relativi a tematiche


intrapsichiche, o ad emozioni esperite in gruppo.

• Il gruppo consente l’esplorazione delle problematiche interpersonali e di effettuare


un lavoro sul funzionamento sociale dei pazienti.

La TERAPIA BIMODALE è il setting maggiormente idoneo al trattamento del


paziente BPD: consente di sperimentare l’esperienza di continuità ed integrazione delle
parti di sé.

La terapia bimodale può essere condotta dallo stesso terapeuta: questo aumenta la
congruenza e la continuità del lavoro.

In molti casi la terapia bimodale è condotta in modo congiunto da due terapeuti per
cui è necessario un continuo lavoro di raccordo e confronto che facilita l’attivazione di
“parti diverse” del paziente e un’esplorazione più ampia degli stati mentali.

Spesso i terapeuti tendono a sovrastimare le capacità di mentalizzazione dei pazienti


BPD e questo crea una spirale negativa con sentimenti di rifiuto, incomprensione e non
appartenenza al gruppo.

MBT-G Terapia di gruppo basata sulla mentalizzazione - KARTERUD

La Mentalization Based Therapy o MBT-G è una terapia di gruppo ad approccio


psicodinamico che prevede una modalità di conduzione più strutturata della terapia
di gruppo psicodinamica classica e presenta notevoli differenze rispetto allo scambio
verbale e alla sequenza di interventi tra i pazienti.

Caratteristiche
113
La MBT-G si pone l’obiettivo di esplorare le strutture interpersonali ed il focus
terapeutico é posto:
• sulle emozioni non mentalizzate
• sugli scambi interpersonali nel qui-e-ora e là-e-allora

• sullo sviluppo delle capacità di mentalizzazione.

La MBT-G, rispetto alla terapia psicodinamica di gruppo e individuale, attua un


maggior controllo dei processi del gruppo con una più attiva gestione delle emozioni
incontrollate e distruttive attraverso un controllo dell’esclalation di sentimenti aggressivi
e fenomeni di regressione collettiva mediante l’adozione di specifiche strategie - ad
es. evitare che un paziente resti in silenzio , favorendo il dialogo, per evitare l’emergere di
cariche distruttive - e l’utilizzo di interventi tesi a facilitare e regolare lo scambio
verbale: la priorità è sull’esplorazione delle interazioni interpersonali.

La maggiore strutturazione e le tecniche sono finalizzate a favorire il raggiungimento


dell’obiettivo in linea con con l’idea di gruppo che si propone come un vero e proprio
gruppo di training per aumentare le capacità di mentalizzazione.

La MBT-G è rivolta a pazienti con patologie gravi, caratterizzati da una capacità


relativamente bassa di riflessione sui propri pensieri e stati mentali: disturbi di
personalità a basso funzionamento, e scarse capacità di mentalizzazione, stati mentali
caotici, modalità di pseudomentalizzazione.
La tecnica classica delle libere associazioni è poco utilizzabile: necessita di buone
capacità introspettive e capacità associative ,tra stati mentali diversi o tra stati mentali,
pensieri ed emozioni e comportamenti, carenti nei BDP.

TRAINING sulla MENTALIZZAZIONE


Il training sulla mentalizzazione prende avvio dalle parole del conduttore: il terapeuta
ad ogni seduta riprende il lavoro fatto nella precedente seduta per facilitare la
continuità tra una seduta e l’altra; il terapeuta ricorda al gruppo qual è lo scopo del
lavorare insieme, così da consentire la capacità di continuazione ed elaborazione degli
eventi e degli stati mentali e contrastare la frammentazione delle esperienze.
La NARRAZIONE, prende avvio dalle parole del terapeuta e si evolve a partire dal modo
in cui i pazienti in gruppo raccontano gli eventi.

114
LA NARRAZIONE deve basarsi su alcune modalità e regole codificate e condivise:

1. deve essere chiaro chi sono gli attori coinvolti nel racconto,

2. deve emergere quali sono le emozioni dominanti e in quale modo è stato possibile, o
non possibile gestirle.

La narrazione può evidenziare deficit di mentalizzazione, o buone capacità.

Compito del terapeuta nella fase di narrazione è:

1. stimolare un clima di coinvolgimento, integrare le istanze individuali (gli argomenti


da trattare) con gli aspetti interazionali ( alleanze, conflitti) e con i processi del gruppo
come insieme ( cooperazione, resistenza collettiva o formazione di sottogruppi).

2. coinvolgere l'intero gruppo sugli aspetti positivi - i successi della


mentalizzazione - e gli aspetti più problematici - i fallimenti della mentalizzazione
- emersi dal racconto.

3. chiedere al paziente perché si è comportato in quel dato modo per lavorare sul
riconoscimento delle emozioni, sulla capacità di comprenderle e tollerarle, e sulla
modalità con cui sono state espresse, tanto nel là-e-allora quanto nel qui- e-ora.

Tuttavia, il terapeuta non svolge il lavoro di mentalizzazione per il gruppo, bensì


promuove il lavoro del singolo membro e di tutti i membri del gruppo affinché possano
sviluppare la capacità di integrare aspetti emotivi e cognitivi della comprensione di
eventi importanti, delle relazioni all’esterno del gruppo e delle relazioni del qui-e-ora del
gruppo.

AZIONI del terapeuta nel processo di gruppo

- promuovere e facilitare il racconto di eventi significativi,


- individuare l’evento significativo,

- far soffermare il gruppo su quell’evento,

- esplorare l’evento dal punto di vista della mentalizzazione,

- coinvolgere il gruppo nel processo di esplorazione (la transazione interpersonale),

- determinare il significato dell’evento per il singolo membro e per il gruppo,

- considerare gli effetti dell’evento sul protagonista della storia coinvolgendo l’intero
gruppo.

SCHEMA MBT-G - Modalità e regole


I pazienti vengono informati su alcuni aspetti specifici della terapia:

115
1. L’enfasi è posta sulle relazioni interpersonali:
- i pazienti, devono impegnarsi a collaborare per esplorare in chiave mentalizzante le
interazione e gli eventi dentro e fuori dal gruppo.

- il gruppo, è organizzato in modo da dare spazio di elaborazione ed esplorazioni di


eventi importanti.

- gli interventi del terapeuta sono improntati ad aumentare le capacità di


mentalizzazione dei pazienti.

2. Le regole del setting:

- numero prestabilito di pazienti, gruppi chiusi o con un turnover limitato,

- il terapeuta può interrompere uno o più pazienti che interferiscono, diversamente dal
classico gruppo analitico

3. Struttura del processo congruente con l’obiettivo:


- il lavoro del terapeuta consiste nell’insegnare ai pazienti a mentallizzare: come
riconoscere e riflettere sui propri e altrui stati mentali.

- il lavoro viene condotto sulla base dei contenuti interpersonali che i pazienti
portano in gruppo, non su materiale astratto.
- il terapeuta interviene attivamente per evitare o risolvere qualsiasi ostacolo
all’esplorazione degli eventi interpersonali e all’apprendimento delle modalità di
mentalizzazione.

- Mantenere basso il livello di aggressività e conflittualità: i pazienti condividono un


contratto implicito basato sulla reciprocità e su un clima di positivo coinvolgimento.

4. modalità attiva del terapeuta nel gestire il turntalking. Il terapeuta sollecita tutti i
membri del gruppo a prendere parola e a portare contenuti personali e interpersonali
per aumentare le capacità di mentalizzazione. Ciò rimanda senso di
responsabilità e conferisce un “ruolo” all’interno del gruppo.

MODULO 8 – I GRUPPI IN AMBITO ORGANIZZATIVO E LAVORATIVO, GRUPPI


MEDIANI E LARGE GROUP

8.1 ISTITUZIONE, ORGANIZZAZIONE, GRUPPI DI LAVORO

Il gruppo di lavoro è un insieme di membri che:


- fanno parte integrante del gruppo

116
- perseguono mete comuni
- lavorano all’interno di un’organizzazione

Il motivo strutturale che determina il gruppo di lavoro è dato dall’organizzazione.

Il gruppo di lavoro può essere definito in due modi:


1. gruppo etero-centrato: organizzato e strutturato intorno al compito, dipende dal
compito ed è temporaneo, può essere mantenuto dopo l’assoluzione del compito per
affrontare nuovi problemi.

2. gruppo formale: finalità e modalità sono definiti da norme precise, hanno un


responsabile e le interazioni sono distribuite attraverso i ruoli formali definiti
dall’organizzazione.

Il gruppo di lavoro si basa su metodi e strumenti d’azione propri


L’EFFICACIA LAVORATIVA del gruppo di lavoro è determinata dalle due dimensioni
individuale e gruppale che sono oggetto di studio della PSICOLOGIA DEI GRUPPI DI
LAVORO:
- sul piano della dimensione individuale, è necessario comprendere le esigenze e i
bisogni dei singoli che possono interferire con l’ottenimento di un obiettivo.

- sul piano della dimensione gruppale è importante comprendere che lavoro e


appartenenza ad un gruppo sono intrecciati fra loro e legati ai bisogni sociali
dell’individuo, pertanto sono potenti motivatori.

Un GRUPPO FORTE è un gruppo che si trova bene e rappresenta una spinta


motivazionale più potente di un incentivo economico.

MAYO - anni ’30 - ORGANIZATION DEVELOPMENT

Mayo sviluppò l’Organization Development: un metodo di intervento finalizzato a


utilizzare le scienze umane per migliorare l’organizzazione del lavoro ed il funzionamento
dei gruppi di lavoro.

MAYO adotta una visione opposta al Taylorismo, un modello razionalista ed efficientista


che esclude ogni “intralcio” legato all’umano.

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Egli intuì il valore e l’importanza della dimensione informale ed introduce il fattore
umano nelle organizzazioni.

Il lavoro e il gruppo di appartenenza sono elementi cardine su cui si struttura e si


mantiene l’identità di un individuo: un gruppo forte rappresenta una spinta
motivazionale più potente di un incentivo economico.

Il lavoro di MAYO

- è orientato alla reintroduzione del “fattore umano” nella vita organizzativa,

- concepisce l’organizzazione come formata da gruppi piuttosto che da individui,

- concepisce i comportamenti organizzativi come l’espressione delle appartenenze


ai gruppi più che come istanze personali.

LEWIN e i T-group - TRAINING GROUP

Contributo fondamentale nell’ambito dell’utilizzo dei gruppi all’interno delle


organizzazioni, in particolare per lo sviluppo del TRAINING GROUP (T-group)
e della Teoria del Campo. La teoria del cambiamento di Lewin si basa sull’idea che
l’aumentata conoscenza di sé, degli altri e delle relazioni è il motore del cambiamento
nella vita organizzativa.

La Teoria del Campo (Field Theory) legge il gruppo come una totalità di enti ed
eventi in interdipendenza in uno spazio e un tempo definiti che caratterizzano il
campo del gruppo.
Il GRUPPO è un campo di influenza tra più persone, caratterizzato da interdipendenza
tra le parti che lo compongono.

Il campo del gruppo ha un carattere sovrapersonale: è una totalità dinamica alla quale
l’individuo sente di appartenere.

Attraverso il senso appartenenza il T-group si pone come un metodo di


apprendimento delle relazioni interpersonali per generare un cambiamento nei
modelli di comportamento sociale.

Il TRAINING GROUP

- è nato non primariamente in ambito organizzativo-lavorativo, ma è ad esso applicabile.

118
- promuove il cambiamento della cultura organizzativa.
- ha l’obiettivo di facilitare il processo di apprendimento e di comunicazione, ed
incoraggia l’espressione dei sentimenti,

- utilizza il consenso come modalità di risoluzione dei conflitti,

- focus sulla divergenza tra istanze individuali e istanze collettivo-organizzative.

- promuove il cambiamento della cultura e del funzionamento organizzativo.

Caratteristiche del T-group:


1. obiettivi di apprendimento di tipo generale e di tipo specifico:

A. generale: apprendimento sociale come esperienza personale, aumento della


consapevolezza di sé nel rapporto con gli altri
B. specifici: relazioni interpersonali, potere, leadership, conflitto, intelligenza
emotiva

2. L’esperienza dei rapporti interpersonali è centrata sul qui-e-ora: nessun evento


viene letto secondo la logica del là e allora, con riferimento a conflitti, tensioni o ai
comportamenti reali dell’organizzazione, ma a ciò che accade nel setting gruppale
nel qui ed ora. Per questa ragione tali gruppi sono spesso chiamati “gruppi di
sensibilizzazione”.
3. composizione e durata: composti da 8-14 membri, la partecipazione può essere
preceduta da colloqui motivazionali; la durata varia dai 3 ai 15 giorni. Il setting
prevede un unico luogo in cui risiedono i partecipanti che non dovrebbero incontrare
altre persone durante l’esperienza.

4. modalità: lavoro è scansionato in unità di circa un’ora e mezza; la disposizione dei


partecipanti circolare,

5. conduzione: staff di trainer esperti e un osservatore silenzioso che fornisce feedback


ai trainer tra le sessioni di lavoro.

Action research
Il contributo di Lewin nel campo psicosociale e organizzativo risiede anche nella
creazione dell’action-research (o ricerca-intervento): modello di intervento che è un
paradigma metodologico nel campo della psicologia.
L’Action Research è una sintesi che struttura l’intervento organizzativo attraverso tre
azioni/fasi principali:

119
A. fase di analisi del contesto e della domanda dell’utenza; da quest’analisi si crea la
progettazione dell’intervento e la strutturazione di un setting funzionale al
benessere psicologico;
B. fase di valutazione dell’intervento rispetto alla congruenza tra i processi della
progettazione e della realizzazione
C. fase di revisione della congruenza tra obiettivi e processi, attraverso i vissuti che
si attivano nella dinamica di gruppo a cui segue un’eventuale ristrutturazione del
progetto e del setting.

Il gruppo e le istituzioni - ANALISI ISTITUZIONALE

Dal punto di vista psicologico, è importante il ruolo del movimento dell’analisi


istituzionale originatosi negli anni ’40 in Francia nel campo della psichiatria e degli
istituti di cura ed estesosi ad altri ambiti istituzionali e organizzativi.

L’analisi istituzionale è un metodo di lavoro che mette insieme teorie e metodiche


differenti:

- è una TEORIA dei gruppi, delle organizzazioni, delle istituzioni ed aspetti


sociologici
- è un METODO DI ANALISI ED INTERVENTO all’interno delle organizzazioni

Il termine ISTITUZIONE rimanda a ciò che è stato istituito, ovvero stabilito e che quindi
comporta qualità di inamovibilità ed immodificabilità: le istituzioni sono un insieme di
regole immodificabili se non attraverso dei lunghi processi.

CHEVALLIER (1981): le ISTITUZIONI sono “fenomeni sociali, impersonali e collettivi,


che presentano caratteristiche di permanenza, continuità e stabilità”.

Le istituzioni sono istanze collettive che assicurano la coesione sociale, l’integrazione e


la permanenza, in quanto deposito di una cultura e delle regole che una società si dà.

L’istituzione è un gruppo derivato da un gruppo originario che emerge come mentalità


dell’istituzione, linguaggio condiviso, norme derivate in parte dall’esterno e in parte
espressione della storia del gruppo (abitudini, credenze, vicende, eventi significativi della
vita collettiva).

120
L’ANALISI ISTITUZIONALE è impregnata di concetti psicologici e psicoanalitici e ciò
fa sì che l’ISTITUZIONE venga vista in una modalità che può essere paragonata ad una
personalità: come nella personalità di un individuo, ci sono degli elementi che vanno a
caratterizzare la personalità di un’istituzione. L’istituzione è un ente caratterizzato da
elementi specifici che si aggregano e costituiscono un’identità paragonata ad una
“personalità”.

Elementi costitutivi dell’organizzazione


Secondo l’Analisi Istituzionale, l’ISTITUZIONE rappresenta un gruppo derivato
dall’evoluzione di un gruppo originario, caratterizzato da una serie di elementi
costitutivi dal punto di vista della struttura:
- affettività,
- storia e memoria
- linguaggio

1. affettività: è il motore dell’istituzione. Connota la spinta motivazionale progressiva


per l’attuazione del suo mandato ma anche gli attributi aggressivi,
onnipervasivi,rigidi e coercitivi.

Comprende: senso di appartenenza, spirito di gruppo, identificazione con il


compito, aspirazioni. Questi affetti esercitano un’influenza potente sui membri
dell’istituzione e attivano fantasie di identificazione.
Come evidenziato da FREUD, l’identificazione con l’istituzione svolge una funzione
fondamentale per lo strutturarsi psichico dell’individuo: alcuni ne sono così
“incorporati” da farne la loro prima identità, per cui la propria identità si sovrappone
a quella dell’istituzione.

2. storia: l’istituzione è sia l’insieme di rapporti del gruppo nel qui e ora, ma anche la
storia di questi rapporti, la loro evoluzione nel corso del tempo che definisce
l’identità storica: il patrimonio ideativo-affettivo definito sulla mentalità
collettiva, la memoria, l’insieme di idee e affetti che si sviluppa nel tempo. Nel
corso della sua storia l'istituzione assimila e trasforma:

- regole, norme, tecniche, collegate alla realizzazione dei compiti


- pensieri, immagini, concetti e affetti che strutturano la rappresentazione di Sé.

121
3. linguaggio: ogni gruppo istituzionale crea un proprio linguaggio, definito sulle
trasformazioni linguistiche frutto della storia del gruppo e di cui condivide il lento
evolversi. E’ uno degli aspetti più denotativi del gruppo: nell’istituzione si forma
un linguaggio specifico con termini tecnici o un uso di termini con significazione
diversa da quella dell’uso quotidiano. Le parole stabiliscono e denotano senso di
appartenenza che rimanda alla storia e alla cultura dell’istituzione: il linguaggio è
sottoposto alla pressione degli eventi storici e ne condivide il lento evolversi.

8.2 Caratteristiche del gruppo di lavoro

L’ORGANIZZAZIONE è costituita da GRUPPI DI LAVORO che interagiscono al suo


interno e sono caratterizzati da una serie di elementi di base:
1. obiettivo, 2. metodo, 3. ruolo, 4. leadership, 5. comunicazione, 6. clima

1. Obiettivo: il risultato atteso dal gruppo di lavoro, coerente con compiti. L’obiettivo
deve essere:

- definito in termini di risultato;


- costruito su fatti, dati osservabili e risorse disponibili;

- finalizzato in modo esplicito;


- articolato in sotto-compiti;
- perseguibile;
- misurabile e valutato.
Aspetto importante dell’obiettivo è il COME: la modalità in cui l’organizzazione
definisce e assegna il compito al gruppo. Tale modalità influisce sui rapporti
all’interno dell’organizzazione, sulla motivazione e sull’efficacia realizzativa del gruppo.

Un obiettivo ben definito consente al gruppo di sviluppare:

- maggiore motivazione al lavoro, creatività ed iniziativa,

- minori richieste di management,

- miglior uso del tempo e delle risorse,

- minore conflittualità interna al gruppo.

Un obiettivo non ben definito produce effetti opposti, e non permette al gruppo di
verificare operato e capacità.
2. Metodo: l'insieme dei principi e dei criteri che orientano e strutturano l’attività
del gruppo. Si articola attraverso specifiche tappe:
122
- analisi delle risorse e dei vincoli;
- discussione di dialogo e confronto su tempi e modalità

- decisione sugli aspetti centrali e modalità decisionali (maggioranza, scelte pesate)

- pianificazione dell’uso del tempo e planning


- uso degli strumenti di problem solving
3. Ruolo: l'insieme dei comportamenti di chi occupa una posizione all’interno del
gruppo: riguarda le parti assegnate in funzione della specificità di ognuno e
caratterizza i comportamenti prescritti e proibiti.
I ruoli sono caratterizzati da interdipendenza, per cui rivestono particolare importanza:
le aspettative centrate sul ruolo e la flessibilità prevista per quel ruolo, in cui si
colloca la dimensione personale dell’individuo.

• L’espressione effettiva del ruolo è influenzata da vari fattori: aspettative personali;


attese organizzative; attese di altri ruoli; conoscenza del ruolo; motivazione a
ricoprire il ruolo; consapevolezza delle proprie competenze; modalità con cui ci si
relaziona agli altri.

• La definizione precisa dei ruoli aumenta la funzionalità del lavoro, la possibilità di


espressione e riduce l’aspetto conflittuale dell’organizzazione.

L’analisi dei ruoli è di centrale importanza in quanto la dinamica dei ruoli può
essere strumento di conservazione o cambiamento della vita dei gruppi.

Categorie di ruoli - i partecipanti ad un gruppo percepiscono se stessi e gli altri


membri del gruppo attraverso 4 categorie di ruoli:

A. Relativi al compito, facilitano e coordinano l’impegno del gruppo per la


definizione degli obiettivi e dei mezzi: “coordinatore del lavoro”, “propositore di
idee”, “esperto informatore” etc;

B. Relativi alla vita collettiva socio-affettiva, orientano il gruppo verso un clima e


stato morale migliore: attenuano/risolvono i conflitti interpersonali, favoriscono un
clima di sicurezza, facilitano la comunicazione etc; “mediatore”, “protettore
rassicurativo”;

C. Relativi alla vita collettiva valoriale, facilitano la comprensione e l’affermazione di


aspetti valoriali: coesione, l’efficienza etc; “verificatore dei risultati”, ”osservatore-
commentatore”, ”uomo-squadra” etc;

D. Individuali, non rivolti alla vita del gruppo ma al suo utilizzo per soddisfare i propri
bisogni individuali: “dominatore”, “manipolatore”, ”arrivista” etc.

123
4. Leadership: la posizione di preminenza con funzione di guida in
un’organizzazione. La leadership ha una doppia valenza:

- esercizio di autorità e potere

- capacità di produrre influenza sociale

La leadership svolge una funzione di influenzamento sul gruppo sul piano


prestazionale, sul clima, sulla comunicazione e sul piano decisionale.
La leadership può essere identificata in relazione a:

- aspetti tecnici, in base alla competenza,

- climi relazionali e socio-emotivi: in base alla qualità delle interazioni e delle


comunicazioni,

- aspetti normativi e gerarchici: in base al rispetto delle norme e degli obblighi che
determinano un ascendente personale verso l’ottemperanza.

Differenziazione tipi di leadership - Si distingue un:

- leader istituzionale o formale, designato dall’organizzazione e responsabile verso


l’organizzazione del lavoro prodotto,

- leader informale che risulta dalla negoziazione e condivisione tra l’individuo e il


gruppo.

Le due figure possono non combaciare creando tensione e disgregazione nel gruppo
di lavoro.

5. Comunicazione: il processo di scambio di informazioni e di influenza che orienta


le relazioni interpersonali. E’ essenziale nei processi di accordo e disaccordo,
attraverso le polarizzazioni di conflitto e collaborazione.

Lo Stile di comunicazione è l'insieme delle caratteristiche linguistiche, relazionali


e pragmatiche che si esprimono nel processo di gruppo. Si danno due opposti stili
di comunicazione nei gruppi:

- stile supportivo: ascolto attivo, valorizzazione di risorse e persone,


riconoscimento di somiglianze e differenze;

- stile difensivo: distanza relazionale, mancanza di scambio, inibizione del


dissenso, mancanza di confronto tra punti di vista differenti.

La COMUNICAZIONE EFFICACE nei gruppi di lavoro è un aspetto fondamentale, in


quanto possiede valore informativo (trasmissione conoscenze), valore interattivo
(relazionale), valore trasformativo (promuove o inibisce creatività e cambiamento) ed è
caratterizzata da:

124
A. finalizzazione: coerente con l’obiettivo e funzionale al compito;
B. pragmaticità: coglie gli aspetti salienti del problema e condurre alla
risoluzione;

C. trasparenza: non occulta dati a scopi di potere e consente il monitoraggio


delle situazioni;

D. situazionalità: coerente con la fase di lavoro che il gruppo vive.

6. Clima: l’insieme di opinioni, sentimenti, percezioni dei membri che colgono la


qualità dell’ambiente del gruppo. Sinonimi sono “atmosfera”, “distanza
relazionale”, “temperatura”, fanno riferimento al rapporto col compito del gruppo, al
rapporto tra membri, al rapporto tra membri e leader.

Fattori che influenzano il clima del gruppo:


• fattori personali: le percezioni dei singoli componenti,

• fattori sovra personali: le dimensioni sistemiche emergenti: cultura del gruppo, le


norme, i valori, gli stili comportamentali.

Indicatori del clima di gruppo di lavoro


- sostegno: la fiducia;

- calore: la qualità della relazione interpersonale:

- riconoscimento dei ruoli: l’accettazione delle differenze

Un clima ottimale si ha quando:

- vi è il giusto sostegno e calore tra i membri,

- i ruoli sono riconosciuti attraverso la valorizzazione delle capacità dei membri,


- la comunicazione è aperta e autentica;

- i feed-back chiari e accettabili in relazione ai comportamenti e ai risultati ottenuti.

8.3 GRUPPI DI LAVORO NELLE ORGANIZZAZIONI


Organizzazione deriva da organo - mezzo o strumento - per cui organizzare significa
adattare, dotare di strumenti.

BARUS-MICHEL, ENRIQUEZ, LEVY (2003) hanno sviluppato il concetto di


organizzazione come l’insieme di persone e di gruppi associati che mettono in comune
risorse e strumenti per realizzare obiettivi di produzione di beni o servizi o per perseguire
finalità di tipo culturale, religioso, educativo etc.

125
Un’organizzazione è una struttura sociale intermedia tra individuo o gruppi ristretti e
società globale che ha senso se persegue e/o raggiunge i compiti e gli obiettivi assegnati
e la cui caratteristica peculiare è la specializzazione (diversamente dalle comunità).

L’organizzazione può essere pensata dal punto di vista sociologico o psicologico:


Dal punto di vista sociologico - è uno spazio sociale che si definisce in base a:

- finalità, definisce la funzione dell’organizzazione

- regole, definiscono comportamenti e relazioni

- criteri, definiscono la suddivisione e l’organizzazione del lavoro

- storia, rappresenta l’arco temporale di esistenza dell’organizzazione.

Dal punto di vista psicologico - può essere pensata come:

- un contenitore e regolatore relazionale, un processo che struttura il modo in cui le


persone concepiscono e regolano i rapporti tra loro, finalizzato al raggiungimento
di un obiettivo.

- La dimensione inconscia dell’organizzazione rimanda alla dimensione


transpersonale: il modo in cui ciascun individuo concepisce il rapporto con l’altro,
frutto della sua storia personale, delle sue relazioni presenti e passate, del modo in
cui ha internalizzato le modalità di stare in relazione con l’altro.

Il gruppo all’interno della società

COOLEY (1902) distingue tra gruppi primari e gruppi secondari.

A. gruppi primari - unità fondativa di tutte le società, forniscono all’individuo la prima


e completa esperienza dell’unità sociale.

- sono caratterizzati da:


- interazione diretta tra i membri,

- presenza di un numero ristretto di persone,

- legami intimi favorenti,


- senso di appartenenza e identificazione.

- tipi di gruppi primari: la famiglia, il gruppo di pari, i gruppi di amici coinvolti in


solidarietà ed affetti, i gruppi ideologici, politici o religiosi.

- L’intensità della relazione affettiva tiene in connessione i membri anche in assenza


di una compresenza fisica.

126
- I membri esperiscono la condizione del sentirsi dentro una totalità indicabile
come “noi”, fondativa del senso di appartenenza.

B. gruppi secondari - definiti e costituiti in funzione dell’obiettivo da raggiungere,

- le relazioni tra i membri sono indirette e formali, di tipo contrattuale,

- la dimensione affettiva dell’appartenenza si limita alla condivisione di un


medesimo obiettivo,

- tipi di gruppi secondari: enti economici, giuridici, scolastici, ospedalieri,


amministrativi etc.

ANZIEU e MARTIN (anni ’80) hanno elaborato un’ulteriore distinzione gruppi primari /
gruppi secondari:

1. gruppi primari: si caratterizzano per l’interdipendenza e la consapevolezza degli


scopi e della propria identità;

2. gruppi secondari: si caratterizzano per l’articolazione di ruoli e funzioni: grado di


strutturazione elevato e relazione tra i membri centrata sulle funzioni attive.

Inoltre definiscono una terza tipologia di gruppo:

3. gruppo allargato: insieme formato da un numero variabile tra le 25 e le 50 persone

- obiettivo: esprimere opinioni su un tema comune.

- la numerosità determina impossibilità di intimità della relazione e induce una


sensazione di minaccia, spesso polarizzata:

A. direzionando i sentimenti negativi verso il conduttore o un “capro espiatorio”

B. esperendo sentimenti positivi verso gli altri partecipanti.

Interventi di gruppo nelle organizzazioni

In ambito organizzativo il gruppo è lo strumento ideale per accedere alla dimensione


della rappresentazione sociale: consente di cogliere gli aspetti della cultura e del
contesto dell’istituzione/organizzazione.

La dimensione sociale gruppale è idonea per l’intervento in campo psicosociale ed è


lo strumento privilegiato per analizzare le rappresentazioni sociali attive relative agli
insiemi psico-socio-cognitivo-affettivi e ai modi di ricostruzione e appropriazione della
realtà sulla base del sistema di valori del soggetto e dell’organizzazione.

127
L’analisi delle rappresentazioni sociali tiene conto di tre aspetti: la cultura, il contesto
e il setting.

A. cultura: l’insieme delle modalità affettive e cognitive attive nel nostro modo di
relazionarci col mondo interno ed esterno.
• è la base su cui edificare qualsiasi significazione dell’esperienza,

• dà forma, al modo in cui significhiamo gli eventi, consapevolmente o meno.

B. contesto: l‘insieme delle relazioni e la struttura entro cui si svolge l’esperienza di un


soggetto.
• evoca ed orienta l’esperienza delle simbolizzazioni affettive.

• si pone come un inconscio organizzativo con valenze prescrittive e proscrittive sul


mondo interno dei partecipanti.

C. setting: l’insieme di parametri visibili e invisibili che definiscono il campo di analisi


organizzativo. E’ formato da:

• aspetti manifesti - il tempo, il luogo, l’utilizzo di strumenti, le regole esplicite

• aspetti impliciti - le concezioni scientifiche sottostanti, le caratteristiche personali e


professionali dello staff, la teoria della tecnica etc.

Gli elementi del setting contribuiscono alla costruzione dell’oggetto osservato:


devono essere consapevolizzati per attuare una osservazione valida.

8.4 Gruppi mediani e large group (allargati)

La caratteristica di questi gruppi è la loro dimensione istituente: il dato ineludibile del


gruppo di essere concepito all’interno di una situazione o di una organizzazione data.
La dimensione istituente è la condizione originaria dei gruppi allargati e mediani ed
influenza e determina il progetto di gruppo e la sua direzionalità ed i processi dinamici
del gruppo. Quindi è fondamentale che il conduttore sia consapevole della dimensione
istituente che è alla base del gruppo: da chi riceve il mandato, le pre-concezioni del
gruppo, le aspettative inconsce sul gruppo così da capire dove si colloca il gruppo
allargato/mediano all’interno dell’istituzione.
Possiamo capire la DIMENSIONE ISTITUENTE in relazione ai gruppi allargati e mediani
attraverso 3 Configurazioni/modalità istituenti:

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1. comunità terapeutiche: i gruppi di ampio formato funzionano come dispositivi di
lavoro all’interno di una istituzione definita con finalità lavorativa; iniziati in strutture
ospedaliere per pazienti psichiatrici, col tempo applicati in contesti istituzionali e in
strutture amministrative. I partecipanti appartengono alla stessa istituzione e spesso
anche i conduttori;

2. struttura istituzionale propone l’esperienza di un gruppo, vedi le associazioni


professionali e scientifiche che promuovono i gruppi come parte dei programmi di
ricerca e di formazione e sono estranei al corpus dell’istituzione. I conduttori sono
membri della dimensione istituente, mentre i partecipanti ai gruppi non hanno di
solito conoscenza e vincoli lavorativi;

3. comitato scientifico o organizzativo, un singolo, un gruppo di fatto propone un


dispositivo di gruppo: non vi sono vincoli istituzionali, il gruppo è costituito per
programmare e realizzare l’iniziativa: non vi è una struttura istituzionale del gruppo ma
solo un rimando finalizzato ad un obiettivo.

La dimensione istituente è:
- individuabile quando è un'istituzione a formare un'esperienza di gruppo.

- ignorata nella terza tipologia istituente, soprattutto quando un singolo propone


privatamente un dispositivo di gruppo.

Il CONDUTTORE in tutti e 3 i casi è importante che si predisponga alla consapevolezza


preliminare di funzione di guida, basandosi sul contesto istituzionale della dimensione
istituente che intenziona il gruppo.

Egli funge da ponte tra il gruppo e l’istituto che stabilisce i parametri, tenendo
presente che le istanze possono essere anche molto conflittuali. Il GRUPPO ha infatti una
duplice funzione creativa e sovversiva e tra questi due aspetti si colloca il lavoro del
conduttore.

Questa funzione di PONTE è stato evidenziato da ROUCHY (1998) che ha analizzato gli
aspetti salienti del rapporto tra dimensione istituente e gruppi mediani/allargati che
si palesano come domanda anticipata dei conduttori, controtransfer anticipato di
gruppo, temi culturali.
1. domanda anticipata e non riconosciuta dei conduttori: riguarda intenzionare il
gruppo, in modo più meno consapevole. Primo elemento da tener presente in

129
quanto origina dai desideri e dagli investimenti che il conduttore riversa sul progetto.
Si tratta di un processo che precede la domanda dei partecipanti stessi.
2. Controtransfert anticipato di gruppo: indica l’insieme degli effetti prodotti dalla
struttura del dispositivo nell’esperienza di gruppo.

• Tali effetti discendono dalle scelte e dai nodi non elaborati dal conduttore e non
riconosciuti nella loro relazione con la dimensione istituente, per cui rendono
confusa l’esperienza e invalidano i processi di apprendimento.

3. i temi culturali: riguardano i contenuti dell'esperienza di gruppo dei partecipanti


in relazione alla dimensione istituente:

• le dinamiche dell’identità personale, professionale e di ruolo (sociale e istituzionale)

• le dinamiche psicologiche connesse alle relazioni dei membri, ai loro investimenti, ai


loro compiti e scelte

Principali temi culturali:

- gruppi universitari: periodo della formazione accademica;

- gruppi in area sanitaria: salute, sofferenza, morte, relazioni di coinvolgimento e


distanza rispetto ai pazienti;

- gruppi penitenziari: giustizia, sicurezza sociale, riabilitazione, condizione di carico


emotivo degli operatori all’interno degli istituti di detenzione, etc.

ASPETTI SALIENTI del SETTING di gruppo allargato

I gruppi allargati mostrano una duplicità relativa alla tipologia di setting:


- da un lato, sono considerati come lo sviluppo delle dinamiche del piccolo gruppo,
estese a dimensioni sociali più ampie.

- dall’altro, si sono sviluppati sulla base della specificità dei processi dei grandi gruppi e
del tipo di esperienza personale che in essi si realizza: il gruppo allargato pone i
partecipanti a contatto con gli aspetti primitivi della personalità.

Obiettivi del Large Group


Il Gruppo Allargato è molto usato in ambito organizzativo e formativo e le finalità, gli
obiettivi di lavoro e di intervento istituzionale sono definiti. Sono meno scontati:
- l’utilizzo di questo formato nei contesti terapeutici e di sostegno

- la teoria della prassi.

130
In questo contesto, alcuni autori sostengono che questo formato consente di esplorare
alcuni aspetti della personalità e dinamiche inconsce difficilmente elaborabili in altri
contesti.

KROEGER - sostiene che la partecipazione a un gruppo allargato può contribuire a


una piena comprensione di se stessi e allo sviluppo della personalità.

Le implicazioni sociologiche e politiche che caratterizzano il gruppo allargato


consentono di studiare le manifestazioni sociali che influenzano la strutturazione della
personalità degli individui.

FOULKES sostiene l’utilizzo in contesti terapeutici del gruppo allargato e mediano in


quanto si caratterizza per aspetti non riconducibili al piccolo gruppo: in particolare pone i
partecipanti con gli aspetti primitivi dello sviluppo della personalità che non vengono
elicitati o elicitati in modo differente nei gruppi di piccole dimensioni.

Nei GRUPPI ALLARGATI e MEDIANI emergono parti di personalità che non emergono
in contesti quali le relazioni individuali e di piccolo gruppo. FOULKES (1975) sulla base
degli obiettivi del gruppo definisce tre tipologie di setting dei gruppi allargati:
1. centrati sul problema - socioterapia come le comunità terapeutiche con funzione
curativa, o la gestione di dinamiche sociali

2. centrati sull’esperienza - studio e approfondimento del comportamento e dei vissuti


come i gruppi esperienziali e formativi il cui tema centrale è la riflessione
sull’esperienza dello stare insieme.

3. centrati sulla terapia - large group psicoterapeutico vero e proprio che si struttura in
dimensioni quali ospedali, comunità, centri di cura..

Per quanto riguarda la teoria della tecnica di gruppo il focus viene posto sui fenomeni
ed i processi emergenti, tipici di questo tipo di gruppo, in quanto il partecipante si trova
in presenza di una massa amorfa e caotica - le relazioni interpersonali sono da stabilire
e mantenere in modo attivo perché indistinte, senza confini - e l’ampiezza del gruppo e
la disposizione spaziale concentrica rendono impossibile la reciprocità (vedere/essere
visto) e creano fenomeni psicotizzanti: esperienze di minacce all'identità, angosce,
difficoltà a mantenere il confine io-noi-altri, stato di confusione, violenza verbale o agita,
deindividuazione e diffusione dell'identità.

131
Per TURQUET, (1975); MAIN, (1975) - il sentimento di diffusione dell’identità nel
gruppo allargato è espressione del mancato riconoscimento delle identità personali
dei partecipanti:
- i punti di vista sono generici, eludono l’implicazione personale.

- la partecipazione è possibile solo se il soggetto individua un confine che lo delimiti


offerto da gruppi di appartenenza preesistenti.

Ne consegue l’emergere di continue richieste (implicite o esplicite) di dipendenza,


orientamento e direttività da parte del gruppo.

Modalità di conduzione di un gruppo allargato.

Gran parte delle teorie sul large group partono dal punto di osservazione delle
dinamiche e dei fenomeni emergenti dei piccoli gruppi, influenzando così l’impostazione
teorica dei large group. Al contrario, DE MAREE’ sviluppa un modello che si basa su
aspetti specifici.

MODELLO DEL GRUPPO ALLARGATO DI DE MARE’ (1991)


Sviluppa un modello teorico ampio e coerente dei gruppi allargati definito sulla base
delle seguenti caratteristiche:
• individua nell’ODIO la dimensione emotiva precipua del gruppo allargato: la natura
del gruppo allargato è diversa da quella del piccolo gruppo 'familiare' che è
rassicurante.

• nel gruppo allargato sentimenti ed emozioni sono inibenti, violente e frustranti: ciò
produce ansia e difficoltà ad esprimersi, con l’aumento della frustrazione, dell’odio e
dell’aggressività.

• individua una proporzione tra l’intensità dei sentimenti e la dimensione del gruppo:
quanto maggiori le dimensioni del gruppo, più il gruppo alimenta tali fenomeni di
aggressività e odio e favorisce l’insorgenza di meccanismi psicotici.

• si generano meccanismi di difesa arcaici come scissione, proiezione, introiezione,


spostamento, contraddizione, mitologizzazione, regressione e distorsione.

• Nelle fasi iniziali, il gruppo allargato, è frustrato e genera nell’individuo una reazione
di furore: le energie sono intense e caotiche e sfuggono al controllo della volontà
collettiva e si crea un clima persecutorio da cui nasce l’odio.

132
• se si è in grado di gestire il dialogo l’odio può essere trasformato in energia
endopsichica al servizio della simbolizzazione e dei comportamenti non istintuali.

DE MARE’ - Importanza della Funzione del Dialogo: il DIALOGO è lo strumento


operativo grazie al quale si realizza il passaggio dalle culture arcaiche alle culture della
compartecipazione:

- promuove il confronto con gli altri ed il riscontro di somiglianze e differenze.

- favorisce l'abbandono dell’assetto difensivo e delle barriere narcisistiche


individuali,

- il dialogo con l'esterno permette la rielaborazione del dialogo con l'interno,

- è il fine del gruppo allargato: apprendere a comunicare e dialogare con l’altro,


sviluppando condivisione e confronto delle diverse culture di appartenenza.

DE MARE’ (1994) nella sua analisi distingue dal punto di vista socioculturale tra piccoli
gruppi, gruppi intermedi e gruppi allargati, in base alla dimensione numerica ed ai
fenomeni di gruppo distingue:

A. la dimensione numerica:

- da 5 a 12 per il piccolo gruppo

- da 12 a 30 per il gruppo intermedio


- da 30 a centinaia, per il gruppo allargato
B. i fenomeni di gruppo: ciascun tipo di gruppo si caratterizza per una dimensione
culturale emergente specifica che attiva specifici registri socio-culturali: bio-
culturale, psico-culturale, socioculturale e politico-culturale, evidenziando la
relazione tra contesto culturale e gruppo allargato.

Il contributo più rilevante di DE MARE’ è aver individuato nel setting di gruppo


allargato il dispositivo idoneo per far emergere le influenze provenienti dal contesto
socioculturale che nel setting duale sono ricondotte a dinamiche intrapsichiche e nel
setting di piccolo gruppo a dinamiche familiari che delineano strutture che restano
inconsce. Al contrario, il gruppo allargato permette di creare collegamenti tra la
dimensione micro e quella macro sociale, favorendo la cultura della cittadinanza.

La relazione tra CONTESTO e GRUPPI è una delle dimensioni principali attraverso cui
comprendere le caratteristiche del gruppo allargato come dispositivo di lavoro.

133
Recentemente, NUTUNAN - SHWARTZ - SHAY (2000) hanno ripreso lo studio della
relazione tra contesto e gruppi allargati ed hanno individuato le dimensioni
emergenti del gruppo allargato: contesto organizzativo, interazioni sociali, contenuto
inconscio, pensiero e dialogo:
A. contesto organizzativo: riguarda i contenuti nascosti relativi alle organizzazioni e
al contesto sociale che il gruppo allargato rende emergenti nel qui-e-ora in cui i
partecipanti sono inseriti.

B. interazioni sociali: riguarda le difficoltà di comunicazione che nel gruppo allargato


frustrano i bisogni di base di sicurezza e di controllo dei confini, ostacolano il
dialogo ed il feedback;

C. contenuto inconscio: riguarda il senso di caos e di confusione che il gruppo genera:


il gruppo allargato mina l’integrità del self, con svalutazione di sé e dei partecipanti.
Ne risultano bisogni di dipendenza rivolti verso i conduttori o che determinano la
costituzione di sottogruppi con cui identificarsi. Si tratta di difese che:

• proteggono dalla confusione e salvaguardano la stabilità dell'identità personale.

• comportano la proiezione dell’aggressività e di emozioni non accettabili verso gli


altri sottogruppi e il conduttore,

• alimentano il senso di confusione contro il quale viene messo in atto;

D. pensiero e dialogo: svolgono una funzione di direzionalità. Sono i mezzi con cui i
partecipanti realizzano l’obiettivo, cioè apprendere a comunicare per
- superare le barriere psichiche ed emozionali attivate dal dispositivo stesso
- comprendere i processi del gruppo

- osservare il proprio comportamento e le proprie emozioni nel contesto sociale

WILKE (2003) ha analizzato la dinamica tra caos e ordine nei gruppi allargati,
assimilando il processo dei gruppi allargati a quello delle società tribali:
- ogni gruppo tribale ha bisogno di un’autorità politico-religiosa che lo accompagni e
lo guidi.

- il conduttore del gruppo allargato vive le dinamiche transferali e contransferali del


gruppo: svolge funzioni di contenimento, interpretazione e salvaguardia dello spazio-
tempo ed è osservatore partecipante.

134
- il conduttore ha una funzione specifica: trasformare le dinamiche transferali in
dono, riconoscendo l'esigenza dei partecipanti di ricostruire una “matrice di
interdipendenza” e favorendo questo processo.

TRIEST (2003) invece mette in relazione i vissuti nei gruppi allargati con quelli nelle
organizzazioni, evidenziandone la natura ambivalente:
- da un lato offre ordine e sicurezza: è un sistema di difesa contro il caos,

- dall’altro restringe la libertà individuale e la possibilità di autonomia e nuove forme di


pensiero.

Nel gruppo allargato, attraverso l'attacco all’autorità e ai ritardi alle sessioni, i


partecipanti tendono a sovvertire il sistema organizzativo da cui dipendono.

WEINBERG (2003) confronta i gruppi allargati face-to-face con i gruppi allargati


virtuali su internet, evidenziando una dicotomia funzionale di questi ultimi:

- il meccanismo della proiezione è più massiccio e assomiglia agli scambi veloci e alle
scariche emozionali presenti nei gruppi allargati face-to-face.

- al contempo, si sviluppa, apparentemente, un’atmosfera calda e intima diversa


dall’esperienza dei gruppi face-to-face.
La ragione di questo paradosso risiede nel fatto che il continuo scambio tra i
partecipanti al gruppo virtuale crea l'illusione di essere in un piccolo gruppo e favorisce
intimità e apertura verso gli altri.

RAPPORTO tra gruppo allargato e cultura

Il gruppo allargato si contraddistingue per processualità e dinamiche proprie, come


evidenziato da DE MAREE’ che lo rendono irriducibile al piccolo gruppo: il dispositivo
del gruppo allargato come campo mentale ed il vissuto tra i partecipanti è del tutto
diverso ed attiva e rende emergenti tematiche e processi socioculturali e antropologici
specifici, non rilevabili nel piccolo gruppo. Nei gruppi allargati è possibile osservare
l’individuo:
• in relazione all’ambiente sociale e organizzativo,

• in relazione alla sua funzione antropologica di tramandare modelli e forme di


cultura determinanti per l'identità collettiva e personale.

135
ANCONA - La Matrice di base antropologica

ANCONA sostiene che il gruppo allargato ha ulteriori possibilità di utilizzo in quanto

rende possibile esplorare fattori legati alla dimensione biologica e alla dimensione
transpersonale e rendere visibile la matrice di base: ciò che è inscritto nell’identità del
singolo soggetto o dei gruppi a cui appartiene.

FOULKES aveva ricondotto la MATRICE DI BASE ai fattori legati alla costituzione


biologica e sociale dell’individuo, per il fatto che le persone del gruppo parlano una
stessa lingua, hanno una stessa formazione educativa e possiedono un corredo biologico
comune che permette di capirsi gli uni con gli altri,

Per ANCONA la MATRICE DI BASE ha un significato più antropologico ed ampio di


quello definito da FOULKES:
- è la situazione che trascende il qui-ed-ora ed attiene all’aspetto socio-culturale
del là-e-allora: tutto ciò che è inscritto nell’identità del singolo e dei gruppi a cui
appartiene.”

- riguarda le dimensioni culturali transpersonali che fondano l’individuo nella sua


identità e delle quali ha consapevolezza se non all'interno di contesti relazionali
eterogenei.

Il gruppo allargato è il luogo di osservazione della dimensione culturale


transpersonale che attraversa l’individuo e lo fonda nella sua identità intima: è uno
spazio trasformativo le cui potenzialità consentono di:

- superare l'esperienza di disorientamento causata un contesto a significazione “zero”

- accedere a una forma di pensiero extrafamiliare che attiva forme di legame sociale su
cui costruire rappresentazioni di identità più ampie.

Il gruppo allargato si pone come luogo di osservazione culturale e transpersonale


che può produrre cambiamenti culturali da un codice di appartenenza familiare ad un
codice di appartenenza sociale, mediante il fenomeno della trasposizione.

136
La TRASPOSIZIONE è quel fenomeno per cui i partecipanti di un gruppo utilizzano
categorie simboliche e relazionali del gruppo familiare per pensare una situazione caotica
e debordante del gruppo nella fase di avvio.

La trasposizione opera una serie di semplificazioni attraverso dei fenomeni


transferali e attribuzioni proiettive: si considerano i conduttori come figure parentali, gli
altri componenti come fratelli oppure come estranei e/o nemici.

In realtà, le trasposizioni non sono funzionali: gli individui si rendono conto del
malfunzionamento del gruppo, in quanto il gruppo allargato non permette di portare a
compimento l’operazione transferale a causa delle sue caratteristiche di numerosità e
diffusione - come invece avviene nei piccoli gruppi - per cui si generano odio e
frustrazione che attivano sofferenza.

La capacità di tollerare la frustrazione ed il caos conduce verso forme più complesse e


contestualizzate di pensiero permettendo un passaggio dalle matrici personali e
familiari alle matrici transpersonali intersoggettive (Brown, Zinkin, 1994).

Secondo RUVOLO e DI STEFANO (2002) ogni contesto relazionale genera vissuti


intersoggettivi che si manifestano quando si passa ad un contesto sociale e mentale
allargato di cui non si hanno riferimenti nella precedente esperienza e non si conoscono i
codici relazionali e culturali. Infatti, la partecipazione ad un gruppo allargato
destrutturato presuppone la sospensione delle regole, dei codici e dei modelli relazionali
conosciuti.

- Questa esperienza di sospensione genera disorientamento, insicurezza e angoscia.

- Per uscire da questa angoscia, ciascuno cerca di ripristinare l'ordine simbolico e


istituzionale conosciuto del gruppo di origine (la matrice di base).

- Di conseguenza, nei gruppi allargati possono essere riconosciuti e riformulati gli


scambi comunicativi, affettivi e simbolici tra persone, consentendo di operare sulla
dimensione culturale trans-soggettiva.

L’ambito di applicazione dei gruppi allargati è la dimensione culturale trans-


soggettiva. I gruppi allargati transculturali sono gruppi in cui si incontrano e
confrontano culture ed appartenenze differenti.

137
ROUCHY (2003) ha operato una distinzione nel modo in cui la partecipazione ai gruppi
transculturali può avere effetti sulle matrici Culturali del Sé dell’individuo.

Vi sono esperienze di gruppi allargati interculturali in cui il contatto è tra matrici


culturali differenti dei membri del gruppo: in tali contesti si possono palesare situazioni
culturali in cui si viene in contatto con matrici culturali diverse senza che vi sia una vera
trasformazione ed integrazione della matrice di appartenenza. I partecipanti non
modificano gli aspetti della loro identità culturale, e non integrano nelle proprie matrici la
nuova esperienza di incontro con altre culture.

Il setting di gruppo allargato transculturale

LE ROY (1987) ha studiato i gruppi allargati transculturali intesi come spazi operativi
per il trattamento dei traumi dovuti ad eventi storico-sociali.

L’incontro con altre matrici culturali e la tensione emotiva, dovuta al confronto con
l’alterità culturale, che da esso originano sono oggetto di analisi del setting di gruppo
allargato transculturale:
1. si caratterizza per la presenza di partecipanti con diversa provenienza geografica e
culturale
2. crea un contenitore in cui il trauma può essere integrato e trasformato a livello
personale e sociale.

3. oggetto di esplorazione e compito di lavoro psicologico sono l’incontro con l’altro e la


tensione che da esso origina.

Le ROY propone i gruppi allargati transculturali anche per il trattamento dell'angoscia


da traumi culturali e pone al centro della discussione il problema della lingua dei
membri del gruppo.
Secondo LE ROY, i gruppi allargati transculturali riattualizzano l’angoscia dei
partecipanti dovuta ai traumi culturali e alle prime esperienze di individuazione così da
possono produrre manifestazioni regressive, frammentazione e perdita dei punti di
riferimento.

Questi gruppi utilizzano la regola delle libere associazioni che ruota intorno al problema
della lingua materna e al rapporto con le altre lingue straniere:

- La comunicazione nella propria lingua permette una mentalizzazione dei ricordi e


delle associazioni d’idee;

138
- la comunicazione in una lingua straniera paralizza la possibilità di associazione delle
idee e dunque dei ricordi.

La difficoltà che i partecipanti avvertono rispetto alle libere associazioni in una lingua
straniera diventa espressione del non-dicibile e del non-pensabile, per cui la
sofferenza per l’impossibilità di esprimersi o comprendere è espressione della sofferenza
e dell'angoscia del trovarsi in uno spazio estraneo. Dallo scontro linguistico si opera
un passaggio allo scontro culturale, in quanto la lingua è lo strumento identificativo
culturale per eccellenza.

II lavoro psicologico nel gruppo allargato transculturale consiste:

- nell'accogliere i vissuti che emergono e nell’integrarli all’interno di una organizzazione


del Sé più matura.

- Il setting di gruppo allargato transculturale può creare "una neo-struttura, un neo-


gruppo che offre un oggetto pulsionale e permette di affidarsi ad un contenitore
abbastanza buono” (Kaes et al.. 1979).
I GRUPPI ALLARGATI consentono di ampliare il modo come un individuo si vede e di
esplorare gli aspetti identificativi che tendiamo a ridurre ed evitare nel gruppo familiare
primario, che è la matrice del piccolo gruppo.

MODULO 9 - LA RICERCA IN PSICOTERAPIA DI GRUPPO

9.1 INTRODUZIONE E ASPETTI METODOLOGICI

Nella pratica clinica il gruppo è sempre più utilizzato come strumento di cura,
soprattutto nei servizi pubblici in ragione del vantaggioso rapporto costi-benefici, per far
fronte all’ingente domanda di cura: la psicoterapia di gruppo, è un’ottima strategia di
razionalizzazione dell’attività sanitaria pubblica, in ragione dell’economia di tempi e
spazi che consente (COSTANTINI, 2000).

Oggi assistiamo ad un aumento dell’utilizzo di gruppi psicodinamici, long term e


semiaperti (rolling groups) in Comunità Terapeutiche, Unità Ospedaliere, Programmi di
trattamento in day-hospital, Istituzioni per la Salute Mentale.

VALUTARE IL GRUPPO

139
Valutare gli effetti della psicologia e psicoterapia di gruppo attraverso la ricerca è
necessario: parte della ricerca sui gruppi è centrata sui risultati degli esiti delle terapie
gruppali: verificare l’efficacia ci permette di comprendere l’efficacia del lavoro, riflettere
sugli errori e supportare le teorie attraverso gli esiti positivi.

Inoltre, la valutazione del proprio lavoro attraverso questionari self-report permette al


paziente di avere una garanzia del proprio trattamento.

Affinché la psicoterapia abbia una legittimazione sociale e sia valutata positivamente è


necessario effettuare una META-ANALISI degli interventi che individui gli elementi
comuni ai vari modelli funzionali per lo sviluppo di prototipi/modelli condivisi di cura
ed intervento e per l’affermazione della psicoterapia come strumento scientifico
valido.

La LEGITTIMAZIONE SOCIALE della psicoterapia è importante in quanto ha a che fare


con la diffusione di una CULTURA PSICOLOGICA. Si assiste, quindi, allo sviluppo di
PROTOTIPI DI RICERCA in cui inserire i progetti di cura e ricerca al fine di valutarne
l’efficacia e l’effectiveness.

Ricerche meta-analitiche
La ricerca sui gruppi è un ambito in forte espansione in quanto ciò che è stato pensato
per le terapie individuali non può essere traslato sulla terapia gruppale, per cui è
necessario diversificare la ricerca sugli aspetti di processo dei due ambiti.

Recenti ricerche metanalitiche hanno dimostrato l’efficacia delle terapie di gruppo


con differenti tipologie di pazienti: disturbi legati all’abuso di sostanze, disturbi dell’umore,
disturbi da attacchi di panico e/o agorafobici, bulimia nervosa, disturbi di personalità.
Tale efficacia dimostrata dalla ricerca unita alla efficienza del format di gruppo sono
la chiave per un utilizzo esteso di queste terapie nella cura della salute mentale.

In merito agli studi sulle terapie di gruppo, BURLINGAME, evidenzia una


contraddizione relativa alle psicoterapie di gruppo psicodinamiche e psicoanalitiche
e di lungo periodo: da un lato, le evidenze empiriche sono molto più limitate rispetto
ad altri tipi di terapie; dall’altro, ottengono risultati maggiormente persistenti che

140
tendono ad aumentare nel tempo rispetto a quelli ottenuti con i trattamenti brevi e/o
individuali.
La presenza limitata di ricerche sulle terapie di gruppo di lungo periodo è legata ad
una serie di fattori:
- la grande varietà dei modelli gruppali,

- le difficoltà metodologiche della ricerca a causa delle variabili in esame.

- la diffidenza dei clinici nei confronti di ricerche ritenute invasive nei confronti
dell’intimità analitica e con risultati poco fruibili e utilizzabili.

DAZZI, LINGIARDI, & COLLI (2006) - sostengono che i limiti della valutazione delle
psicoterapie sono dovuti soprattutto alla difficoltà di gestire due opposte esigenze:

- la correttezza metodologica, che porta a eccessive semplificazioni,

- la complessità della situazione clinica.

ASPETTI METODOLOGICI della ricerca sui gruppi.

La ricerca in psicoterapia di gruppo utilizza una grande varietà di metodologie di


indagine. Una ricerca utile per la clinica deve prevedere correttezza metodologica di
fondo e competenza clinica.

La valutazione della relazione pazienti-conduttore nel setting gruppale non è uguale


alla valutazione della relazione paziente-terapeuta del setting individuale, ma prevede
la valutazione di un COMPLESSO DI RELAZIONI che lega ciascun membro al
conduttore, oltre a dover valutare la relazione membro-membro e membro-gruppo.

Per questo è necessario tener presente alcune criticità della ricerca sui gruppi:
1. La metodologia relativa alla generalizzazione dei risultati
Nei trattamenti in gruppo, le osservazioni che si raccolgono per ogni singolo
paziente non possono essere considerate indipendenti dal contesto gruppale,
violando l’assunto di base dell’analisi statistica inferenziale.
I membri di un gruppo molto coeso:

A. influenzano reciprocamente i propri comportamenti, tramite imitazione,


apprendimento interpersonale, rispecchiamento;

B. condividono lo stesso terapeuta che ha un’influenza importante nel modo di


vivere la terapia da parte dei singoli pazienti.

141
La MOLTEPLICITA’ DI RELAZIONI influenza il modo in cui il gruppo funziona: la
stretta relazione che unisce i membri rappresenta una difficoltà nel valutare l’esito
della terapia a causa dell’EFFETTO DI DIPENDENZA.

Di conseguenza è necessario calcolare la misura della dipendenza tra i soggetti


che influenza la valutazione dell’esito del trattamento. Lo strumento preposto a
questo calcolo è l’INDICE DI CORRELAZIONE INTERCLASSE (ICC) che misura
l’ampiezza della dipendenza delle osservazioni dei membri di uno stesso gruppo.

BURLINGAME et al., (1994) hanno visto che non considerare il valore dell’ICC
porta a ritenere efficaci trattamenti che non lo sono (errore di I Tipo).
2. L’ICC consente di calcolare correttamente l’efficacia dei gruppi terapeutici che
altrimenti risulta viziata da una sovrastima dell’effetto positivo dei gruppi sui
pazienti. Baldwin et al. (2005) evidenzia che anche la letteratura sugli EST ha
sottovalutato il problema: in un lavoro su 33 studi tratti dalla lista degli EST relativi a
trattamenti di gruppo in cui l’unità di analisi era il singolo paziente, se i risultati
venivano corretti tramite il calcolo dell’IIC, gli effetti statisticamente significativi
diminuivano in modo drammatico.

3. I problemi di misurazione dell’efficacia sono comuni a tutti i tipi di trattamento di


gruppo e mettono in guardia dalla superficialità metodologica anche quando si pone
come evidenza di tipo oggettivo. Per ovviare a questo problema KENNY et al., (2002)
hanno sviluppato una metodologia (APIM) che consente di differenziare l’effetto di
gruppo dall’effetto individuale mediante una proporzione per differenza tra i
punteggi del singolo rispetto al resto del gruppo.

Metodologie per la ricerca


Dal punto di vista metodologico si differenziano due principali approcci: la ricerca
longitudinale sul caso singolo e le griglie di osservazione:
1. ricerca longitudinale sul caso singolo - metodo che studia un soggetto (o gruppo
di soggetti) attraverso rilevazioni ripetute nel tempo per analizzare il trend di
miglioramento del singolo paziente (Elliott, 2002). Tale metodologia è
prevalentemente adottata per le terapie individuali, meno frequente per i setting
gruppali, per questo rimangono irrisolte questioni su come analizzare i dati che
provengo da un gruppo teorizzato come caso singolo.

142
2. Le griglie di osservazione - metodo che consente di tenere in considerazione la
molteplicità delle variabili nel campo gruppale, idoneo a concettualizzare e
organizzare in termini rigorosi l’intervento clinico: cosa si fa, perché, con quali
parametri, scopi e rischi.
Particolarmente utile negli studi di esito–processo che indagano i fattori che
facilitano la guarigione del paziente, insieme alle misure self-report e alle metodologie
sull’analisi delle interazioni terapeutiche (videoregistrazioni o trascritti delle sedute
terapeutiche).

Sono un inquadramento di carattere qualitativo:

- creano la possibilità di confronto di dati e aumentano la trasparenza scientifica del


lavoro.

- consentono di visualizzare meglio i singoli aspetti, mettendoli in connessione tra


loro e con il contesto in cui si svolgono;

9.2 L’EFFECTIVENESS DEI GRUPPI TERAPEUTICI

E’ difficile definire il lavoro di gruppo, la sua efficacia sperimentale/teorica (efficacy), e la


sua efficacia clinica, risultato della valutazione dei trattamenti clinici (effectiveness).

Le prospettive teoriche degli orientamenti e le tipologie di gruppo producono approcci


differenti di valutazione dell’efficacia e dell’effectiveness dovuti a molte fonti di
confusione, tra cui:

- la presenza di soggetti con disturbi differenti,

- le diverse modalità di trattamento,

- i vari metodi per misurare il processo di gruppo.


Tutto ciò crea dinamiche complesse, a causa di una quantità eccessiva di informazioni
che rendono difficile la rassegna sulla ricerca sui gruppi.

La tendenza della ricerca attuale è studiare l’efficacia clinica del trattamento


(effectiveness) basandosi sul tipo di disturbo in quanto metodo semplice e di facile
gestione (HILL - 1990).

Le ricerche sono effettuate mediante questionari somministrati dai clinici oppure self-
report dai membri per indagare aspetti dell’esito e della relazione nel gruppo.

143
Una meta-analisi sull’effectiveness differenziale della psicoterapia di gruppo ha
fornito riscontri ed evidenze per questo tipo di approccio per diversi tipi di disturbo
(Burlingame et al. 2003).

MODELLI DI FUNZIONAMENTO DEL GRUPPO


I modelli di funzionamento dei gruppi fanno riferimento al modello gruppoanalitico, al
modello psicoanalitico e al modello interpersonale: si tratta di approcci che si basano
tutti su una teoria per cui risentono dell’impostazione data da essa.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati dei MODELLI ATEORICI che non si basano su una
teoria psicologica ma cercano di fondare le proprie teorizzazioni per leggere il gruppo
partendo dai DATI EMPIRICI raccolti sui gruppi. Tali modelli ci permettono di individuare
quali sono gli elementi centrali nello sviluppo del gruppo.

STUDI SUI PROCESSI (meccanismi di cambiamento)

CORSINI e ROSENBERG (1955) svilupparono il primo studio sui meccanismi


terapeutici che influiscono sul processo in psicoterapia di gruppo, prendendo in
considerazione i fattori comuni ed i meccanismi terapeutici dei piccoli gruppi:
- identificarono tre fattori terapeutici: fattore intellettuale, fattore emotivo, fattore di
azione.

- sostennero che questi fattori avessero un’influenza sui processi all’interno dei gruppi.

YALOM (1995) amplia il format originale sui fattori terapeutici e propone un insieme di
11 fattori indipendenti dall’orientamento terapeutico: 1. dare speranza, 2. universalità,
3. scambio di informazioni, 4. altruismo, 5. esperienza correttiva del gruppo familiare
primario, 6. tecniche di socializzazione, 7. comportamento imitativo, 8. apprendimento
interpersonale, 9. coesione di gruppo, 10. catarsi, 11. fattori esistenziali.

Secondo LESE e MacNAIR-SEMANDS “la classificazione di YALOM dei fattori


terapeutici in terapia di gruppo è la versione più ampiamente completa di questo
famoso concetto”.

In merito allo studio sui processi in terapia di gruppo, BURLINGAME evidenzia una
problematica:

144
A. da un lato l’adozione dei fattori terapeutici non ha condotto ad una forte base
empirica per la comprensione del processo di gruppo a causa:

- delle troppe misure psicometriche divergenti che valutano sottoinsiemi di fattori: ciò
rende impossibile raccogliere i risultati in modo attendibile.

- della mancanza di chiarezza concettuale su costrutti principali come “coesione”,


“clima di gruppo”, e “alleanza”.

- della letteratura empirica eccessivamente varia sui fattori terapeutici.

B. dall’altro, BURLINGAME riconosce l’importanza di strumenti e metodologie


avanzate per la comprensione dei meccanismi di cambiamento, di cui un esempio è il
“questionario sui fattori terapeutici” (TFI) di LESE - MACNAIR-SEMANDS (2000)
che valuta i fattori terapeutici di Yalom: strumento psicometrico valido che correla
in modo differenziale con i problemi interpersonali dei membri ed è sensibile allo
sviluppo del gruppo.

Molti studi empirici sulla relazione terapeutica sono focalizzati sui fattori terapeutici e
su come funzionino in psicoterapia di gruppo.

Uno dei più interessanti è quello della JOHNSON che ha trattato le componenti della
relazione terapeutica di gruppo dal punto di vista empirico e teorico e valuta:
1. le componenti di “clima di gruppo”, “coesione”, “alleanza”, “empatia” in studi di
esito e di processo ed il loro contenuto specifico

2. le “relazioni terapeutiche” che si formano tra i membri del gruppo, tra i membri ed il
conduttore, o tra i membri del gruppo ed il gruppo nel suo insieme.

9.4 MODELLI EMPIRICI PER STRUTTURARE IL GRUPPO

I modelli empirici per strutturare il gruppo terapeutico si basano sul Handbook of


Psychotherapy and Behavior Change di LAMBERT (2004)

Le rassegne sulla psicoterapia di gruppo analizzano gli studi in due ampie categorie:
1. ESITO - verificano l’efficacia del trattamento (outcome studies)

2. PROCESSO - descrivono o predicono i meccanismi di cambiamento (process


studies)

145
Il PROCESSO DI GRUPPO viene inteso come quell’insieme di eventi e dinamiche che
portano il gruppo da uno stato A ad uno stato B.

Su questa considerazione del processo dal 2004 BURLINGAME, STRAUSS e


MACKENZIE hanno sviluppato un modello sull’evidenza dell’effectiveness dei modelli
di cambiamento che illustra le componenti del formato di gruppo e le loro influenze
reciproche. Tale modello ha portato alla definizione della teoria dei principi del
processo del piccolo gruppo e allo sviluppo di un modello operativo chiamato modello
anatomia-fisiologia dei gruppi.
Questo modello:
- prende spunto dai principi delle precedenti rassegne della letteratura sui gruppi

- costruisce un ponte tra gli studi sull’esito e gli studi sul processo

TEORIA DEI PRINCIPI DEL PROCESSO del piccolo gruppo


La teoria di BURLINGAME, STRAUSS e MACKENZIE fa riferimento alle caratteristiche di
questo format e tende ad integrare aspetti teorici ed empirici sia di esito (la valutazione
del trattamento) che di processo (il funzionamento dei gruppi).

Il modello studia le COMPONENTI del trattamento di gruppo che spiegano i benefici


ottenuti dal paziente, individuando 5 componenti interattive multiple in relazione tra loro
che si modificano nel corso del tempo e che influenzano l’efficacia del trattamento di
gruppo:
1. La “Teoria del cambiamento formale” di riferimento: concerne i modelli della
psicoterapia di gruppo (psicodinamica, cognitiva, comportamentale, interpersonale,
umanistica) adottati

2. La “Teoria dei principi del processo” del piccolo gruppo, che consente di definire
l’identità della terapia gruppale.

3. Le caratteristiche del “conduttore” rappresentano l’elemento comune tra la teoria


del cambiamento formale e la teoria dei principi del processo del piccolo gruppo
ed evidenzia caratteristiche quali apertura interpersonale, calore, empatia, che
risultano associate a un maggiore livello di coesione di gruppo.

4. Le caratteristiche del paziente”, i fattori personali che facilitano il miglioramento


nei gruppi (PIPER, 1994) che hanno una posizione centrale nelle diverse formulazioni
teoriche (Yalom, 1995): capacità di ascolto, abilità a comprendere, empatizzare o
aiutare gli altri.

146
5. La variabilità dei “Fattori strutturali del gruppo”, riguarda elementi quali numero,
lunghezza e frequenza delle sedute, setting, la presenza di un co-terapeuta.

La complessità del trattamento di gruppo è il risultato dell’interazione di queste 5


componenti.

Il modello anatomico-fisiologico dei piccoli gruppi - BURLINGAME - MACKENZIE -


STRAUSS (2004)
La ricerca sul processo del piccolo gruppo verte intorno all’importanza del processo
di cambiamento ed è contraddittoria rispetto ai risultati clinici e alla definizione delle
componenti e dei processi del gruppo in quanto risente degli orientamenti teorici che
la influenzano:
- per alcuni è necessaria l’attenzione sistematica a tutti gli aspetti del funzionamento del
gruppo (training pre-gruppo, induzione del ruolo, interventi di gruppo focalizzati
durante le sedute),

- per altri è necessaria una generale applicazione del principio della coesione di gruppo,
incoraggiata dal conduttore

Il modello anatomico-fisiologico dei piccoli gruppi è un MODELLO ATEORICO


EMPIRICO, quindi applicabile a prescindere dal modello terapeutico e si propone come
una cornice organizzativa dei meccanismi di cambiamento in cui il gruppo è
considerato un sistema complesso i cui membri e sottosistemi sono in interazione
dinamica. Questa concezione si fonda sulle idee di DURKIN (1972) che considera il
processo di gruppo come “un flusso di informazioni emotive e reali tra i confini dei
sottosistemi”.

Caratteristiche del modello anatomico-fisiologico


I concetti di struttura e di processo di gruppo si collocano ai lati opposti del modello e
sono la cornice concettuale all’interno della quale configurare i meccanismi di
cambiamento: sono definiti “anatomia di gruppo” (struttura del gruppo) e “fisiologia di
gruppo” (processo di gruppo):

La definizione di anatomia-fisiologia risale a BERNE (1966) secondo cui la conoscenza


delle dinamiche di gruppo per un conduttore è fondamentale quanto la conoscenza della
fisiologia per un medico.

147
A. La struttura di gruppo riguarda l’anatomia, lo scheletro su cui si costruisce un
gruppo, ci consente di pensare il gruppo come il veicolo del cambiamento ed è data
da due aspetti parziali: struttura imposta e struttura emergente

- La struttura imposta ha a che fare col compito di fondazione, comprende la


preparazione pre-gruppo, la selezione, la composizione e la fondazione iniziale.

- La struttura emergente comprende i modi imprevedibili di cambiamento


strutturale una volta avviato il gruppo, ad es., la formazione dei sottogruppi e la
definizione di norme.

B. La fisiologia del gruppo riguarda il processo e lo scambio interpersonale in


quanto meccanismi di cambiamento ed è costituita da processi fondativi
psicologico-sociali e processi emergenti:
- I processi fondativi psicologico-sociali sono influenzati dal gruppo e si
riferiscono a: ruolo reciproco, conformità, potere, conflitto, performance, processo
decisionale, caratteristiche di stile del leader, teoria dell’identità sociale.
- I processi emergenti sono gli unici che possono cambiare in modo imprevedibile
durante il trattamento gruppale e comprendono fattori terapeutici, feedback
interpersonale, autosvelamento, coesione e clima di gruppo. Sono oggetto di
ricerca sui processi del piccolo gruppo.

C. Il conduttore ha una importanza fondamentale:

- aiuta il gruppo a sviluppare e mantenere un ambiente terapeutico favorevole


all’interazione positiva tra i membri,

- facilita il cambiamento di comportamenti, credenze e abilità


- ha la responsabilità di percepire i processi emergenti in gruppo ed influenzare il
processo di cambiamento.

D. I risultati empirici evidenziano un’influenza sia positiva che negativa sul processo di
cambiamento individuale della struttura emergente e dei processi emergenti, del
setting interpersonale e dello scambio interpersonale.

STUDI SUL FEEDBACK INTERPERSONALE


Gli studi empirici sul feedback interpersonale nei piccoli gruppi sono ritenuti complessi.

Il feedback interpersonale è un’interazione tra due o più membri del gruppo che si
scambiano reazioni o risposte interpersonali.

148
Molte rassegne sugli studi sul feedback offrono una analisi comprensiva dei possibili
processi emergenti.

MORRAN et al., hanno trovato una correlazione tra feedback interpersonale e


motivazione al cambiamento ed il fatto che un maggiore insight sul proprio
comportamento ha influenza sugli altri.

Il MODELLO A 3 FATTORI - JOHNSON

Il modello tripartito si occupa della relazione terapeutica nei gruppi e vede il gruppo
come un aggregato in cui si possono individuare TRE DIREZIONI di legame: membro-
membro, membro-gruppo, membro-conduttore.
JOHNSON evidenzia quattro costrutti chiave del PROCESSO DI GRUPPO: clima di
gruppo, coesione, alleanza ed empatia, con l'obiettivo di definire quei fattori
terapeutici che hanno in comune tali costrutti.
Lo studio della JOHNSON tiene conto della mancanza di chiarezza concettuale dei
costrutti e degli studi che indicano un’alta correlazione tra i costrutti e, attraverso i
modelli di equazione strutturale, esamina la struttura fattoriale di tutti e quattro i
costrutti.

In questo modo, sulla base della definizione tripartita di gruppo: membro-membro,


membro-gruppo e membro-conduttore (che attiene alla “struttura del gruppo”)
definisce un modello a tre fattori della relazione terapeutica che consente di pensare il
processo di gruppo attraverso 3 MACRO-AREE (che attengono alla “fisiologia del
gruppo”):

- “relazione di legame positivo” - si riferisce alla coesione, al coinvolgimento


membro-gruppo e all’empatia membro-conduttore.

- “relazione di lavoro positivo” - si riferisce all’alleanza membro-membro e membro-


conduttore sui compiti e gli obiettivi della terapia.

- “relazione negativa” - si riferisce ai conflitti e ai comportamenti membro-gruppo che


indicano mancanza di empatia da parte del conduttore e da parte dei membri del
gruppo.

Il MODELLO si propone come un tentativo di collegamento tra l’anatomia del gruppo


(membro, conduttore, gruppo come totalità) e la fisiologia del gruppo (clima di gruppo,
coesione, alleanza ed empatia), secondo il modello anatomico-fisiologico dei piccoli
149
gruppi sviluppato da McKENZIE e indica che “se un membro del gruppo percepisce
positivamente la relazione, tende a percepire positivamente l’intero gruppo.

LA RELAZIONE TERAPEUTICA IN PSICOTERAPIA DI GRUPPO - I costrutti della


relazione terapeutica: Clima di gruppo - Coesione - Alleanza - Empatia
CLIMA e COESIONE sono i costrutti più studiati della relazione di gruppo.

CLIMA DI GRUPPO - si riferisce all’atmosfera all’interno di un gruppo e ai modelli di


comportamento dei membri ed include il livello di coinvolgimento, l’evitamento ed il
conflitto.
Strumento elettivo per la valutazione del clima di gruppo è il GCQ - Questionario sul
clima di gruppo - forma breve - Group Climate Questionnaire–Short Form, (GCQ-S
MacKenzie, 1983 - GCQ-L; MacKenzie, 1981), composto da tre sottoscale -
coinvolgimento, conflitto ed evitamento come predittori di esito:

a. “coinvolgimento” misura l’atmosfera positiva di lavoro, il livello di coinvolgimento dei


membri nella risoluzione dei problemi nel gruppo.

b. “conflitto” misura il conflitto interpersonale, l’ostilità e la sfiducia.

c. “evitamento”, misura la disposizione ad evitare la responsabilità dei propri processi


di cambiamento.

Le raccolte sull’esito in base al clima di gruppo mostrano dati discordanti:

- molti studi riportano una relazione positiva tra esiti migliori ed alti punteggi nella
scala coinvolgimento del GCQ.
- altri studi non riportano una relazione tra coinvolgimento ed esiti della terapia, ma
solo che il clima di gruppo positivo è associato ad altri processi di gruppo favorevoli
come il lavoro terapeutico e l’autosvelamento. Gli studi sul GCQ sono 13.

COESIONE - l’insieme di forze che tengono unito il gruppo: l’insieme dei legami
relazionali tra i suoi membri, i membri ed il terapeuta, ed il gruppo nel suo insieme.
Il senso di connessione al gruppo: una forte coesione consente di lavorare ad un
obiettivo comune ed è il fattore di cambiamento più forte.
YALOM (1985) evidenzia che la coesione di gruppo è una pre-condizione necessaria
per una terapia efficace: è l’essenza della relazione nella psicoterapia di gruppo.

150
BURLINGAME et al. (2002)” evidenziano l’evoluzione del concetto di coesione nel
tempo:
- da costrutto ampio e diffuso (le forze che portano i membri a rimanere in gruppo) a
ristretto (attrazione, alleanza),

- da ambiguo a coerente (per esempio, la relazione tripartita);

- dall’enfasi sull’intero gruppo all’enfasi sull’interscambio tra le parti,

- da fenomeno di piccolo gruppo a fattore terapeutico

Strumento per l’indagine e la valutazione della coesione è il GMLCS - Group/Member/


Leader Cohesion Scale - PIPER et al. (1984, 2002) - 3 questionari self-report che
valutano la coesione nei confronti del terapeuta, del gruppo nel suo insieme e dei singoli
partecipanti al gruppo. Gli studi che utilizzano il GMLCS sono 4.

Le rassegne sugli studi sull’esito relativi alla COESIONE sono contraddittori ed


evidenziano due punti:
1. l’influenza della coesione sull’esito differisce in base alla scelta metodologica

2. la coesione è un elemento utile per l’attivazione di altri fattori terapeutici

BURLINGAME et al. (2002) hanno individuato un’ampia diffusione di strumenti,


risultato delle differenti definizioni di coesione:

a. coesione come composta da spontaneità, supporto, affiliazione, partecipazione,


realizzazione e chiarezza

b. coesione come “il senso di connessione del gruppo con un coinvolgimento


costruttivo su temi comuni, atteggiamento aperto e di fiducia

c. DION (2000) coesione da “campo di forze” a costrutto multidimensionale.

KIPNES, PIPER, e JOYCE (2002) hanno analizzato i metodi usati per valutare il livello
della fonte di valutazione della COESIONE ed individuato le seguenti polarità: livello
individuale - livello gruppale e livello dei partecipanti - livello degli osservatori
Lo studio mostra che:

A. le valutazioni sulla coesione fatte dai membri di un gruppo differiscono dalle


valutazioni fatte dagli osservatori esterni.

B. “i membri del gruppo rispondono alla loro esperienza relazionale globale in gruppo
piuttosto che distinguere le relazioni con i membri, col conduttore e col gruppo nel

151
suo intero”.


JOHNSON ha analizzato l’influenza della coesione sull’esito della terapia verificando che

1. i risultati della misurazione della coesione possono differire sulla base degli
strumenti e delle differenti definizioni.

2. il ruolo della coesione varia a seconda della teoria del cambiamento formale
adotta e con differenti popolazioni.

MARZIALI et al. (1997) hanno indicato l’influenza della coesione e dell’alleanza


sull’esito in gruppi di terapia interpersonale per BDP, rilevando un peso maggiore
dell’alleanza rispetto alla coesione nella spiegazione della varianza.

WOODY e ADESSKY (2002) in uno studio dei gruppi cognitivo-comportamentali per


pazienti con fobia sociale mostrano che né la coesione, né l’alleanza sono predittori
di esito.

ALLEANZA - la base di aiuto per gli elementi attivi della terapia, la componente
essenziale per sviluppare il cambiamento. E’ un costrutto multicomponenziale:
l’alleanza di gruppo è la somma delle alleanze col conduttore, per cui la sua
valutazione deve considerare le caratteristiche interpersonali dei pazienti.

E’ un fattore di protezione contro l’evitamento ad una situazione nuova e la paura


rispetto alla terapia (SCHREIBER - 1987), consente di aumentare l’autostima e di
supportare i pazienti fragili. Le prime ricerche sull’alleanza riguardavano la terapia
individuale.

Lo strumento per l’indagine e la valutazione dell’alleanza terapeutica nei gruppi è il WAI


- Working Alliance Inventory di Horvarth e Greenberg.
I risultati degli studi sull'ALLEANZA sono simili a quelli sulla COESIONE, l’alleanza
esercita un’influenza sul processo non direttamente: rappresenta un fattore di
protezione contro l’evitamento del paziente e la paura in terapia di gruppo”. Altri studi sul
processo hanno mostrato una correlazione tra i fattori terapeutici “alleanza” ed
“empatia” così come con la “coesione”.

152
JOHNSON come GLATZER (1990) sostiene che l’alleanza terapeutica può contribuire
ad aumentare l’autostima dei membri, supportare i pazienti fragili, tollerare gli errori del
terapeuta, motivare i membri del gruppo e riporta le differenti concezioni di alleanza:

L’alleanza può essere valutata da differenti prospettive (paziente, terapeuta, osservatore


esterno), come le altre componenti della relazione terapeutica:
1. MARZIALI et al., (1997); BROWN, O ́ LEARY, (2000); GILLASPYet al., (2002)

valutano l’alleanza dei membri del gruppo con il conduttore: è l’approccio degli
studi sui gruppi terapeutici cognitivo-comportamentali che trascura le
caratteristiche interpersonali della terapia di gruppo.

2. PINSOFF e CATHERALL (1986), GLATZER (1990) e TRAD (1993) definiscono


l’ALLEANZA in base all’orientamento teorico come:

1. una base di aiuto per gli elementi attivi della terapia (molte teorie cognitive,
comportamentali e psicodinamiche/psicoanalitiche)

2. una componente centrale del cambiamento (teorie umanistiche, interpersonali


e alcune teorie psicodinamiche psicoanalitiche)

JOHNSON riporta in 11 studi su 13 un’associazione tra alleanza terapeutica ed esito


del trattamento, anche se non viene considerato il modo in cui l’alleanza è definita e
misurata: se come relazione tra un membro del gruppo e il conduttore, tra molti membri e
il conduttore, tra tutti i membri e il conduttore.

L’alleanza individuale dei membri con il conduttore è risultata predittore di esito nei:

A. gruppi cognitivo-comportamentali:
- per donne partner di uomini violenti, (Brown, O ́ Leary, 2001; Taft et al., 2003).
- per pazienti con rischio coronarico (van Andel et al., 2003),
B. gruppi psico-educazionali per coppie che vivono un forte stress (Bourgeois,
Sabourin, Wright, 1990),
- gruppi psicodinamici a lungo-termine per pazienti residenziali

McCALLUM et al. (2002) e WOODY e ADESSKY (2002) individuano delle eccezioni


rispetto all’alleanza come fattore terapeutico e predittore dell’esito.

- McCALLUM et al. (2002): l’alleanza non predice il drop out in gruppi supportivi con
situazioni di lutto.

153
- WOODY e ADESSKY (2002), i gruppi cognitivi per pazienti con fobia sociale non
mostrano associazioni tra alleanza ed esito e tra cambiamento dell’alleanza ed esito.

EMPATIA - la capacità e la volontà di mettersi nei panni di un’altra persona,


caratterizzata dal riconoscere pensieri e sentimenti di altre persone e dal
comprenderne le cause. I processi cognitivi ed affettivi sono fondamentali per
l’empatia, che differisce dalla simpatia e dalla compassione.

Ciascun modello teorico considera l’empatia una variabile importante della relazione
in terapia di gruppo, la descrive con un proprio linguaggio e riporta punti di vista
differenti rispetto al suo ruolo:

- teorici psicodinamici: permette la stessa relazione.

- teorici delle relazioni oggettuali: permette di stabilire un setting contenitivo per


affrontare l’ansia provocata dalla vergogna e dai sensi di colpa.

- teorici umanistici: la condizione sufficiente e necessaria per attivare il processo di


cambiamento.
Lo strumento che misura l’empatia nel gruppo è l’Empathy Scale di Persons.

Non ci sono molti studi di esito che correlano EMPATIA ed esito terapeutico e sugli
effetti positivi dell’empatia nei gruppi. Tuttavia, i ricercatori sono d’accordo sulla sua
importanza. JOHNSON presenta due studi sugli effetti negativi dei fallimenti
dell’empatia in gruppo:

1. KARTERUD (1988), ha confrontato le differenze di comportamento del conduttore


in un gruppo con un buon funzionamento con 5 gruppi con un funzionamento
scarso, indicando che i gruppi non miglioravano molto con conduttori predisposti
al confronto o che si mostravano distanzianti.

2. DOXSEE e KIVLIGHAN (1994) hanno esaminato la classificazione degli eventi non


facilitanti in gruppi di crescita personale con counselors, indicando molti clusters
relazionali tra cui la sensazione di essere non considerato o frainteso, di sentirsi
sconnesso dagli altri membri del gruppo.

9.5 STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE DELLA PSICOTERAPIA DI GRUPPO


CORE-Battery

154
Negli anni ’80, l’Associazione Americana di Psicoterapia di Gruppo (AGPA) ha
sponsorizzato lo sviluppo e la diffusione della CORE-Battery: un insieme di strumenti
per fare ricerca nel gruppo con l’obiettivo di affiancare il giudizio clinico per la
valutazione del trattamento gruppale.

MacKENZIE e DIES guidarono una task-Force per produrre un manuale di 50 pagine


che funge da kit di autovalutazione per la misurazione della effectiveness in terapia
di gruppo: un metodo empirico per valutare il gruppo ed il progresso dei singoli membri.

La CORE Battery originale:


- si focalizzava sugli esiti clinici,

- raccomandava un piccolo insieme di misure di esito per monitorare il cambiamento.

- era uno strumento pilota: mancavano gli strumenti di valutazione del processo.

- prevedeva lo sviluppo di un database della effectiveness

La CORE dette risultati misti e non fu mai pienamente accolta a causa di vari motivi:

1. costo elevato degli strumenti che ha scoraggiato i clinici.

2. complessità di misurazione per la mancanza di computers e programmi operativi.

3. complessità di processo: dover monitorare simultaneamente più misurazioni di test.

4. non vennero inclusi gli strumenti di processo per monitorare aspetti come il clima
di gruppo ed i fattori terapeutici.

5. Il database non fu mai realizzato

Lo sviluppo della CORE Battery-Revised.

BURLINGAME - STRAUSS (2003), hanno guidato una Task force per lo sviluppo di una
CORE-revised grazie a tre eventi concomitanti:
1. I due ricercatori stavano lavorando per produrre raccomandazioni di strumenti per il
trattamento di gruppo

2. Il presidente dell’AGPA decise di rivitalizzare la CORE per supportare la validità del


trattamento di gruppo basato sull’evidenza.
3. diversi membri dell’AGPA avevano sviluppato e testato strumenti di validazione
empirica del trattamento di gruppo.

155
La CORE-R è un protocollo applicabile come strumento di selezione dei partecipanti,
di valutazione dell’esito e di analisi del processo del trattamento gruppale:
- analizza il modo i cui il gruppo si sviluppa nel corso della sua esistenza, integrando
aspetti relativi alla teoria con aspetti empirici di ricerca.

- inizia con un capitolo che spiega l’uso degli strumenti di misurazione nella pratica
clinica e come devono accordarsi al clima basato sull’evidenza.

- è divisa in tre sezioni principali riferite ai materiali e metodi di supporto per:

a. iniziare un gruppo e selezionare i membri


b. valutare gli esiti terapeutici del membro;
c. monitorare i processi a livello del gruppo.
- Obiettivo della CORE-R : fornire linee-guida di valutazione e monitaraggio, informare
sulle raccomandazioni e rimandare alle fonti originali.

Aspetti pragmatici della CORE-R:


- l’approccio minimizza le narrative,

- include le misure discusse, così da non doverle cercare

- ogni paragrafo contiene nozioni fondamentali sulle dimensioni di base della sezione,
l’autore e la fonte degli strumenti, considerazioni logistiche, proprietà psicometriche e
riferimenti bibliografici.

Per i terapeuti non è pratico effettuare una batteria estensiva di misure: la CORE-R
consiglia misure brevi, complessive, semplici da somministrare, libere da bias di tipo
teorico, sensibili al cambiamento, ampiamente utilizzate.

CORE-R - STRUMENTI PER LA SELEZIONE DEL GRUPPO (GSQ -GTQ)

La preparazione dei pazienti per i gruppi è importante nel processo della terapia di
gruppo. Il paragrafo della CORE-R sugli strumenti per la selezione del gruppo:

A. suggerisce delle modalità di descrizione della terapia di gruppo, per facilitare la


comprensione del candidato dei benefici e dell’efficacia della terapia gruppale
B. include quattro dispense sul paziente per costituire un singolo gruppo o un
programma di gruppo da un ampio numero di potenziali membri.

Variabili di selezione del paziente

156
La CORE-R raccomanda le seguenti variabili di selezione:
• il tasso di interruzione prematura della terapia con varianza dal 20 al 50 %
prevedibile tramite una precisa misura di screening che permette di distinguere i
pazienti che possono trarre beneficio dalla terapia di gruppo da quelli che non possono.

• la frequenza irregolare: ha attinenza con la coesione del gruppo ed è legata alle


aspettative dei pazienti e alla motivazione al trattamento. La misura di selezione
serve ad identificare i pazienti che manifestano ostilità e inibizione sociale: segnali
collegati alla bassa frequenza delle sedute. L’abilità a partecipare efficacemente al
lavoro interattivo nel gruppo identifica:
• membri meno aperti a livello interpersonale mostrano un miglioramento minore
all’esito della terapia;

• membri con uno stile aperto e partecipativo mostrano un maggiore miglioramento.

• pazienti con scarsa efficacia sociale presentano fallimenti in terapia di gruppo.

• il potenziale per la devianza dal gruppo: connesso alla qualità complessiva del
processo, al logorio e all’esito include aperture di sé inappropriate e tendenze a
monopolizzare, come il dominare il tempo in seduta.

BURLINGAME e STRAUSS raccomandano due misure di selezione per predire l’esito


terapeutico:
1. GROUP SELECTION QUESTTIONAIRE - GSQ (COX et al.,, 2004),

2. GROUP THERAPY QUESTIONNAIRE - GTQ (MacNAIR, CORAZZINI, 1994;


MacNair-Semands, 2002).

1. Group Selection Questionnaire (GSQ; Cox et al.,, 2004):

1. obiettivo: gestire la fasi di selezione dei membri e composizione del gruppo.

2. strumento self-report - 20 items utile nel selezionare quei membri di gruppo


che hanno più possibilità di trarre benefici dal formato di gruppo, predice
processo ed esito ed indaga tre dimensioni sottostanti: aspettativa, capacità di
partecipare e competenze sociali.

3. i pazienti con minori aspettative hanno più probabilità di droppare la terapia.

4. i punteggi totali predicono il cambiamento di fine trattamento:

• i punteggi maggiori indicano prognosi peggiore in terapia di gruppo.

• I punteggi cutoff non sono stati stabiliti, possono essere generati i punteggi
delle sottoscale.

157
• le sottoscale sono più predittive del processo, dell’esito e del logorio rispetto al
punteggio totale.

2. Group Therapy Questionnaire (GTQ - MacNair, Corazzini, 1994; MacNair-


Semands, 2002):

1. GTQ - Strumento di valutazione complessiva, misura le variabili pre-esistenti


dei pazienti che influenzano il comportamento di gruppo: esperienze di terapia,
aspettative verso il gruppo, ruoli familiari, uso e abuso di sostanze, sintomi
somatici, pensieri e crisi suicidarie, obiettivi per il gruppo, barriere al trattamento e
paure riguardo la terapia gruppale.

2. Il GTQ predice con successo il dropout del membro di gruppo.

3. composto da 44 items suddivisi in 9 sottoscale, una checklist interpersonale


di 34 items e strumento proiettivo sulla costellazione familiare.

4. completato in 30-45 minuti e somministrato una volta, prima dell’ingresso in


terapia di gruppo.

5. Il punteggio del test, calcolato manualmente - i punteggi delle sottoscale sono


sommati con l’ausilio delle norme fornite nel manuale. I punteggi quantitativi
delle sottoscale, relativi a: aspettative verso il gruppo, abuso di sostanze,
problematiche, somatizzazioni e problemi interpersonali.

6. Diversi items elicitano risposte di tipo narrativo per:

- aiutare i conduttori a farsi delle idee sui pazienti

- essere usati come punti di discussione,

- ridurre le aspettative negative ed incrementare l’interesse ed il coinvolgimento


del paziente.

STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE DELL’ESITO DEL GRUPPO (OQ-45 - IIP - SES -


GES - TC)

Le valutazioni di esito:
- consentono una valutazione formalizzata sul cambiamento ottenuto dal paziente

- espandono il quadro clinico formulato dal terapeuta,

- forniscono informazioni qualitative riguardo il progresso compiuto dal paziente.

158
I pazienti spesso comunicano più informazioni in un questionario che verbalmente,
specialmente in una fase precoce della terapia.

Attraverso queste informazioni, un terapeuta può facilitare la discussione con il paziente


su temi rilevanti connessi al suo progresso in terapia.

OUTCOME QUESTIONNAIRE-45 OQ-45 (LAMBERT et al., 1996) è il principale


predittore di esito della terapia di gruppo:

1. è uno strumento self-report che misura i livelli di 3 aree di funzionamento:


malessere sintomatico (“Mi sento disperato riguardo il futuro”), funzionamento
interpersonale (“Mi sento solo”), partecipazione nel ruolo sociale (“Mi sento
stressato al lavoro/a scuola”).

2. fornisce un punteggio totale generale e punteggi relativi alle sottoscale per


ciascuna delle aree di funzionamento. Il punteggio totale varia da 0 a 180, i
punteggi più alti indicano una maggiore patologia.

3. La somministrazione richiede dai 5 ai 7 minuti in base al livello di patologia. può


essere facilmente calcolato a mano in circa 3-5 minuti.

Misure di esito addizionali


Per una valutazione più completa dell’esito del trattamento, la CORE-R propone
quattro misure di esito addizionali:
1. INVENTORY OF INTERPERSONAL PROBLEMS - HOROWITZ;
2. SELF ESTEEM SCALE - ROSENBERG;
3. GROUP EVALUATION SCALE - HESS;
4. TARGET COMPLAINTS - BATTLE
L’utilizzo delle quattro scale addizionali, insieme all’OQ-45, fornisce una valutazione
completa dei benefici della terapia di gruppo senza intrusione eccessiva nel tempo dei
terapeuti e dei pazienti.

1. Inventory of Interpersonal Problems (IIP-32 - HOROWITZ, 1999):


valuta i problemi nelle interazioni interpersonali o le difficoltà di eseguire
particolari comportamenti (“È difficile per me di...”) o difficoltà a frenarsi (“Io faccio...
troppo”).

159
1. misura di 32 items sul malessere interpersonale attuale, fornisce punteggi su 8
sottoscale che riflettono i problemi interpersonali caratterizzati da aggettivi quanti
dominante, vendicativo, freddo, evitante, non assertivo, accuditivo, intrusivo, etc.

2. punteggio totale. I punteggi più alti = maggiori problemi interpersonali.


3. calcolato a mano o utilizzando un programma di computer.

2. Self-Esteem Scale (SES - ROSENBERG, 1965):

misura l’autostima, il valore globale attribuito a se stessi e l’autoaccettazione


1. 10 items. singolo punteggio globale che varia da 10 a 40, punteggi più alti =
autostima più grande.

2. calcolato a mano facilmente. 


3. Group Evaluation Scale (HESS, 1996):


valuta i sentimenti generali del paziente riguardo il gruppo: utilità degli altri
membri, sentimenti di essere compreso, autonomo e responsabile.

1. misura di 7 items sull’esperienza del paziente in terapia di gruppo.


2. Il calcolo dei punteggi fornisce un punteggio totale da 7 a 35, punteggi più alti
= più grande beneficio dal gruppo, calcolabile a mano.

4. Target Complaints (BATTLE et al., 1966):

misura di esito self-report della psicoterapia individuale, riguardo problemi e


difficoltà per i quali è stato richiesto il trattamento. Al paziente viene chiesto di:

• identificare tre obiettivi del trattamento

• valutare ogni obiettivo su una scala likert a 5 o 11 punti, sulla base della
gravità del malessere e dell’aspettativa di miglioramento.

1. il terapeuta valuta ognuno degli obiettivi descritti lungo le stesse dimensioni.

STRUMENTI PER IL MONITORAGGIO DEL PROCESSO DI GRUPPO (GQ - WAI - ES -


GCQ-S - TFI - CTS)

Il processo di gruppo è l’insieme delle proprietà terapeutiche e delle dinamiche che


avvengono durante una seduta di terapia, indipendentemente dalla teoria di
cambiamento che guida il trattamento.

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Il processo di gruppo include:

- dimensioni direttamente osservabili, come la qualità delle interazioni

- dimensioni che devono essere inferite, come la coesione di gruppo

L’analisi del processo di gruppo:


A. fornisce elementi importanti riguardo la qualità delle funzioni di gruppo e la tutela di
un ambiente terapeutico.

B. esamina le interazioni tra i membri del gruppo, le interazioni del terapeuta e del gruppo
stesso.

Il paragrafo sul processo di gruppo della CORE-R si basa sul modello a 3 fattori della
relazione terapeutica di gruppo di JOHNSON che individua le componenti del
processo terapeutico, ciascuna composta da un numero di variabili costitutive:
legame positivo, lavoro positivo, relazione negativa.

La CORE-R propone 6 misure del processo di gruppo:


1. GROUP QUESTIONNAIRE - KROEGEL
2. WORKING ALLIANCE INVENTORY - HORVATH - GREENBERG
3. EMPATHY SCALE - PERSONS
4. GROUP CLIMATE QUESTIONNAIRE-S - MACKENZIE
5. THERAPEUTIC FACTORS INVENTORY - LESE
6. COHESION TO THE THERAPIST SCALE - PIPER

1. Group Questionnaire - GQ (Kroegel et al., 2013)


misura come i membri del gruppo percepiscono la relazione terapeutica.
1. 30-item (7-point Likert scale); è composto da 3 sottoscale che ricalcano le 3
componenti del modello a 3 fattori della JOHNSON:
• Positive Bonding (PB): il senso di appartenenza e legame che il paziente ha
con il terapeuta, il gruppo nel suo insieme ed i suoi membri.

• Positive Working (PW): l’accordo del paziente con il terapeuta e gli altri
membri del gruppo riguardo i compiti e gli obiettivi della terapia di gruppo.
Negative Relationship (NR): la percezione di mancanza di fiducia, autenticità
e distanza interpersonale con il terapeuta e gli altri membri.

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2. Working Alliance Inventory - WAI (Horvath, Greenberg, 1989)
misura fondamentale per la valutazione della qualità dell’alleanza terapeutica. Una
forte alleanza di lavoro è fondativa per il buon funzionamento del processo
terapeutico.

1. è composto da 36 item - può essere completato in 10 minuti - il punteggio


totale riflette la qualità complessiva dell’alleanza
2. tre sottoscale di valutazione:

1. Legame (Bond) valuta l’attaccamento personale (fiducia, accettazione) del


paziente e del terapeuta;

2. Compiti (Tasks) valuta il livello di accordo sui comportamenti e le attività


della seduta;

3. Obiettivi (Goals) valuta il livello di accordo sugli obiettivi da raggiunegere


nel trattamento.

3. Empathy Scale - ES (Persons, Burns, 1985)


valuta la percezione del paziente su calore, empatia e capacità di prendersi cura
del terapeuta.

1. composta di 10 item. 5 item sono formulati positivamente (buona relazione


terapeutica) e 5 sono espressi negativamente (relazione terapeutica povera).

2. i punteggi predicono chi rimane e chi compie drop-out dalla terapia, e sono
associati con il cambiamento terapeutico nelle misure di depressione
(Persons, Burns, 1985).

4. Group Climate Questionnaire-Short Form - GCQ-S (MacKenzie, 1983)


forma breve del GCQ - composto di 12 items; valuta il tono emozionale
dell’interazione di gruppo da parte dei membri, sulla base delle 3 dimensioni del
clima di gruppo coinvolgimento, conflitto ed evitamento:
- Coinvolgimento (Engaged) (5 item) il grado di apertura di sé, feedback e
comprensione, confronto presenti nell’interazione di gruppo

- Conflitto (Conflict) (3 item) il grado di tensione e sfiducia interpersonale tra i


membri del gruppo.

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- Evitamento (Avoiding) (4 items) il grado in cui i membri evitano di prendersi la
responsabilità per il lavoro della terapia.

5. Therapeutic Factors Inventory (Lese, MacNair-Semands, 2000)


valuta i fattori terapeutici formulati da Yalom (1995). I 9 item della sottoscala
Coesione riflettono il senso di appartenenza del membro al gruppo e le sue
esperienze di accettazione, fiducia e cooperazione nel gruppo.

6. Cohesion to the Therapist Scale - CTS (Piper, Marrache, Lacroix, et al., 1983) -
sviluppata in origine per valutare il “legame di base” tra paziente e terapeuta, è un
indicatore delle qualità percepite del terapeuta come conduttore di gruppo.
Composta di 9 item fornisce punteggi su tre sottoscale.

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