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Sermone: Esodo 33:18-23

18 Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!» 19 Il


SIGNORE gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia
bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia
a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà».
20 Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo
non può vedermi e vivere». 21 E il SIGNORE disse: «Ecco qui un
luogo vicino a me; tu starai su quel masso; 22 mentre passerà la
mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la
mia mano finché io sia passato; 23 poi ritirerò la mano e mi vedrai
da dietro; ma il mio volto non si può vedere».

Care sorelle, cari fratelli,

vi devo confessare di essermi arrabbiato con Mosè quando ho


letto il nostro brano, proprio con il Mosè che chiede: «Ti prego,
fammi vedere la tua gloria!»

Mi sono chiesto: ma chi pensa di essere il caro Mosè, che idea di


Dio ha? Vuole vedere uno spettacolo? Vuole procurarsi delle
emozioni forti? O vuole forse rendersi importante e autorevole
davanti al popolo, quel popolo diventato un peso morto e forse
mortale per Mosè dopo la vicenda del vitello d'oro, quella vicenda
che aveva messo in forte dubbio il progetto della Terra promessa?

Queste e altre domande mi sono venute in mente quando ho letto


il primo versetto: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!»

Che cosa c'è veramente dietro questa domanda, questo desiderio


di Mosè?

Per cercare una risposta, vorrei fare un viaggio insieme a voi


questa mattina, un viaggio a più tappe; per la prima tappa
dobbiamo andare indietro nel tempo e anche muoverci nello
spazio.
Torniamo indietro nella storia non mille, non 2000 ma più di 2500
anni e facciamo un viaggio in Babilonia dove da oltre 40 anni il
popolo d'Israele vive in un ghetto, lontano da Gerusalemme, città
distrutta dalla truppe del Re Nabucodonosor.

Andiamo nella casa di un sacerdote, lo troviamo seduto a un


tavolo. Davanti a se ha dei rotoli e dei frammenti di testi, sembra
che ci troviamo in uno studio di uno studioso. Infatti lo è, ma non
parliamo di lui, facciamolo invece parlare a noi, vediamo che cosa
sta pensando e studiando, vediamo perché ha un viso triste e
sofferente.

(Parla il sacerdote)

Avete ragione, sono triste, ma forse anche preoccupato. Sono qui


seduto e leggo ciò che esiste di racconti e di cronache del mio
popolo, del popolo di Dio, d'Israele. E' da tanti anni che – insieme
ad altri miei colleghi sacerdoti - metto insieme pezzo per pezzo,
tutto ciò che posso trovare della mia storia, del mio popolo, della
mia identità, lo assemblo in dei racconti trovati nelle diverse fonti,
lo faccio perché ho paura che siamo arrivati ad un punto in cui la
nostra storia sta per finire.

Tutto è cominciato più di una vita fa, ero giovane, ma ancora mi


ricordo le fiamme in cui è finito il tempio insieme alla città di
Gerusalemme, Nabucodonosor e le sue truppe non hanno lasciato
pietra su pietra, tutto, veramente tutto è stato distrutto. I miei, da
sempre sacerdoti al tempio, sono stati deportati e io con loro.

La deportazione è stata un trauma profondo, sia perché eravamo


costretti a vivere lontani dal tempio sia perché sapevamo che il
tempio non c'era più.

Il tempio, quel grandioso edificio in cui giorno e notte saliva odor


soave verso il cielo, in cui noi abbiamo onorato Dio, il tempio,
luogo che ci dava la certezza: Dio è presente, Dio è in mezzo al
-2-
suo popolo, Dio non ha dimenticato le sue promesse, questo
tempio non c'era più. Quanto era bello vivere nel tempio, vivere al
servizio del Signore.

Ora questo tempio non c'è più e senza il tempio aumentano i


dubbi su Dio: dov'è Dio oggi? Chi mi da la certezza della
presenza di Dio dopo la distruzione del tempio? Dov'è Dio ora
che non sale più l'odor soave? Dov'è Dio senza la nostra lode nel
tempio, senza le grandi celebrazioni e i sacrifici?

Certo, anche qui, nel paese della nostra deportazione, nel nostro
ghetto, ci riuniamo, ma che cosa sono le riunioni in cui ci
ricordiamo solo di Dio senza avere la certezza della sua presenza.
Sono convinto che Dio si deve manifestare, deve dare un segno
della sua presenza, deve scuoterci, altrimenti qui finisce male,
perché i ricordi si spengono lentamente e la tristezza dei primi
tempi, la nostalgia che ci ha fatto ardere il cuore non c'è più.

Sono passati i tempi in cui con tutta la nostra forza abbiamo


cantato: 1 Là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e
piangevamo ricordandoci di Sion. 2 Ai salici delle sponde
avevamo appeso le nostre cetre. 3 Là ci chiedevano delle canzoni
quelli che ci avevano deportati, dei canti di gioia quelli che ci
opprimevano, dicendo: «Cantateci canzoni di Sion!» 4 Come
potremmo cantare i canti del SIGNORE in terra straniera? 5 Se ti
dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; 6 resti la mia
lingua attaccata al palato, se io non mi ricordo di te, se non metto
Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.

Sapete che per ora sto facendo un pò di lavoro redazionale sui


brani che parlano di una situazione simile della nostra storia, un
periodo in cui tutto il progetto di salvezza, tutta la liberazione del
nostro popolo attraverso Dio era appeso ad un filo molto sottile.

So che avete già fatto un viaggio nel tempo, ma ora vi porto io

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stesso nel deserto in cui si trova Israele insieme a Mosè. Avete
letto il brano, un brano in cui Mosè sembra fare una richiesta
assurda, ma credetemi, io, nella mia situazione e nella mia paura
per il popolo, la capisco la domanda, capisco il desiderio di Mosè.
In tutta la tristezza qui a Babilonia vorrei tanto vedere Dio.

Allora lo voleva anche il popolo che camminava da anni, anzi, da


una vita nel deserto.

Immaginate un popolo che cammina nel deserto: quante volte la


vita nel deserto, lì dove fino all'orizzonte non si vede la vita, dove
tutto è morto, dove di giorno si soffre il caldo sotto il sole cocente
e di notte si battono i denti per il freddo, quante volte questa vita
ha portato il popolo a dubitare del suo Dio e a concretizzare questi
dubbi fino alla creazione del vitello d'oro poco prima del nostro
capitolo.

Quante volte lo spazio infinito del deserto ha fatto dubitare Israele


che ci fosse un paese dove scorrono il latte e il miele e ha
provocato la domanda: c'è davvero altro oltre il deserto?

Io capisco il popolo, capisco che è arrivato al vitello d'oro, anche


se non condivido questo atto. Il vitello però, che altro è se non il
tentativo di rendere visibile Dio, di avere delle certezze che in
mezzo al deserto c'è Dio, il Dio che ha promesso di portarci nella
terra promessa?

Mosè, quando vede il vitello, è arrabbiato e distrugge le tavole


della legge insieme al vitello, ma alla fine non ce la fa nemmeno
lui e esprime il desiderio: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!»

Questo mi dimostra che Mosè, fino al collo coinvolto nella storia


del “suo” popolo, partecipa alle sconfitte ed ai dubbi, e vuole ora
vedere che c'è altro, anzi, vuole vedere l'Altro.

«Ti prego, fammi vedere la tua gloria!»


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Il tuo dbk, come diciamo noi, che bella parola, piena di
significato, kabod, “la potenza stravolgente dell'apparizione della
grazia di Dio”1

Per Mosè ciò significa concretamente chiedere che Dio perdoni il


peccato d'Israele, il vitello d'oro.

Credetemi, il desiderio di Mosè non nasce da un sentimento


capriccioso (vedere Dio) ma è preghiera profonda: “Signore,
ricordati delle tue promesse, rivelati oggi al tuo popolo come il
vivente, fammi vedere che ho trovato grazia davanti a te!”

Quanto mi trovo in questa preghiera: Signore, ricordati delle tue


promesse, questa preghiera non guarda indietro, non rimane ferma
nella tradizione ma va oltre, apre al futuro.

E Dio, come risponde? Dio si rifiuta e comunque si rivela. Dio


parla faccia a faccia con Mosè (v. 11), ma non fa vedere il suo
volto. Il Dio nascosto si rivela: Dio crea uno spazio (21), Mosè
vede lo splendore di Dio protetto dalla mano di Dio (22). Solo
dopo “vede” un riflesso della gloria, della bellezza (ybwj)2 di
Dio.

E' questo che mi tocca molto quando cerco nelle nostre scritture, è
questo che mi da sollievo, perché Dio crea uno spazio in cui noi
possiamo sperimentarlo anche se è solo un riflesso.

Vorrei vederlo anche oggi qui in Babilonia, questo spazio, ma


forse devo solo imparare a leggere meglio i segni del tempo,
perché da qualche anno da queste parti si parla di cambiamenti
politici, chi sa se il nuovo Re di Persia, Ciro, non è un segno che
Dio è presente?

Ma non mi voglio dilungare, vi lascio, avete fatto un lungo


1 Krauß, H. J., in: Eichholz, G., Herr, tue meine Lippen auf, Band 5, Wupptertal, pagina 92
2 Il fascino, la bellezza di Dio, parola usata solo qui: Voigt, G., Die geliebte Welt, Göttingen, 19862, p.97

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viaggio nella storia, ora tornate nel vostro tempo e nella vostra
vita.

(fine racconto sacerdote)

Care e cari,

bentornati nell'oggi. Forse siamo sempre stati nell'oggi anche


durante il nostro viaggio nella storia e nella preistoria del popolo
d'Israele, siamo stati nell'oggi perché conosciamo bene la
situazione del sacerdote: non vedere, non sperimentare, non
sentire niente di Dio, dubitare in mezzo ai problemi che ci
restringono il nostro orizzonte, della presenza di Dio, situazioni in
cui dolorosamente ci accorgiamo che camminiamo per fede non
per visione3, anzi in cui la fede stessa viene meno perché di Dio
non sembra esserci traccia nella nostra vita.

Come sperimentare la presenza di Dio?

Così come Mosè o delle persone in difficoltà si pongono la


questione della presenza di Dio, molti si chiedono: come posso
sperimentare la sua presenza, il suo agire? Come posso
incontrarlo, vederlo?

Il testo parla di un Dio che non si nasconde, un Dio che non si


sperimenta in visioni estatiche nella sua pienezza divina ma
sempre nella sua azione, nella sua relazione che cerca con noi
umani. Drewermann4 e altri dicono: se vuoi parlare di Dio, devi
parlare degli uomini.

Il Dio che cerca la relazione con noi, che crea uno spazio vitale
per noi, si sperimenta nella contaminazione creata dalla relazione.

Nella relazione con gli altri possiamo scoprire un riflesso di Dio,

3 2 Corinzi 5:7
4 Drewermann, E., Leise von Gott reden, Meditationen, Patmosverlag, 2005

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vedere le spalle di Dio.

E di persone, di testimoni di un Dio presente in mezzo alle


difficoltà la storia è piena, basta pensare che per esempio durante
la guerra dei trent'anni sono stati scritti tantissimi inni di fiducia, o
ricordiamo Bonhoeffer che il 19 dicembre del 1944 scrive dal
carcere: Avvolti in modo meraviglioso da forze buone aspettiamo
consolati e coraggiosi ciò che avverrà, Dio è con noi la sera e la
mattina e certamente ogni nuovo giorno.

Sono i tempi difficili che aprono l'orizzonte non alla disperazione


ma hanno il potenziale della liberazione che Dio stesso vuole
portare. Amen.

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