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Capitolo II
Ordinamento giuridico e amministrazione: la disciplina
costituzionale
Diritto amministrativo e nozione di ordinamento giuridico.
Con il termine ordinamento giuridico generale si indica l’assetto giuridico e
l’insieme delle norme giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale.
Le prescrizioni della Costituzione prevalgono sulle norme prodotte dalle altre fonti
del diritto, ed è proprio questa analisi che consente di chiarire quale sia la
posizione dell’amministrazione nell’ordinamento giuridico generale, ossia quali
siano i suoi rapporti con gli altri soggetti del medesimo ordinamento.
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dispone a sua volta che il consiglio comunale e quello provinciale siano organi di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo.
L’amministrazione deve essere leale verso la forza politica che detiene la
maggioranza parlamentare, e deve essere uno strumento di esecuzione delle
direttive politiche impartite dal ministro che assume la responsabilità degli atti del
proprio dicastero.
Il significato del D.Lgs. 165/2001 non è quello di riservare l’attività di indirizzo ai
soli organi politici, bensì di identificare i contenuti dell’attività, qualificata come
“indirizzo politico-amministrativo”, sottratta ai dirigenti, ai quali un’attività di
indirizzo comunque spetta.
Gli organi politici possono controllare e indirizzare il livello più alto
dell’amministrazione – la dirigenza – soltanto utilizzando gli strumenti di cui al
D.Lgs 165/2001 in particolare la prefissione di obiettivi e verifica dei risultati.
A differenza degli atti amministrativi, gli atti politici sono sottratti al sindacato
del giudice amministrativo in forza dell’art.24 Legge 5992/89 (la legge istitutiva
del Consiglio di Stato), ad esempio le deliberazioni dei decreti legge e dei decreti
legislativi; gli atti di iniziativa legislativa del governo; la determinazione di porre la
questione di fiducia; lo scioglimento dei consigli regionali.
Nel diritto amministrativo è stata elaborata la categoria degli atti di alta
amministrazione (ad esempio i provvedimenti di nomina dei direttori generali
delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere) caratterizzati da
una amplissima discrezionalità, considerati l’anello di collegamento tra indirizzo
politico e attività amministrativa in senso stretto e sono soggetti alla legge ed al
sindacato giurisdizionale.
Il principio di legalità.
Il principio di legalità esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata
alla legge, anche se esso è applicabile non soltanto alla amministrazione bensì a
qualsivoglia potere pubblico.
Nel nostro ordinamento giuridico convivono più concezioni del principio di legalità.
a) esso è considerato nei termini di non contraddittorietà dell’atto
amministrativo rispetto alla legge (preferenze della legge). L’art.4 delle
disposizioni preliminari al Codice Civile stabilisce che i regolamenti
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amministrativi “non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di
legge” e l’art. 5 Legge 2248/1865 all.E, da cui discende l’obbligo per il
giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi e i regolamenti non
“conformi” alle leggi. Tale accezione, che corrisponde all’idea di
un’amministrazione che può fare ciò che vuole purché non sia impedito dalla
legge, è stata successivamente superata dalle tesi della legalità formale e
della legalità sostanziale.
b) Il principio di legalità è inteso anche nella sua accezione di conformità
formale, nel senso che il rapporto tra legge e amministrazione è impostato
non solo sul divieto di quest’ultima di contraddire la legge, ma anche sul
dovere della stessa di agire nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge
che attribuisce il relativo potere. Tale principio si applica ad alcuni atti
amministrativi normativi, quali i regolamenti ministeriali.
c) Il principio della legalità inteso come conformità sostanziale intende fare
riferimento alla necessità che l’amministrazione agisca non solo entro i limiti
di legge, ma in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge
stessa, la quale incide anche sulle modalità di esercizio dell’azione e,
dunque, penetra all’interno dell’esercizio del potere. Questa concezione si
ricava dalle ipotesi in cui la Costituzione prevede una riserva di legge.
Vi sono tuttavia alcune differenze tra il principio di legalità e riserva di legge,
quest’ultima riguarda il rapporto tra Costituzione, legge ed amministrazione e,
imponendo la disciplina legislativa di una data materia, ne limita l’esercizio del
potere normativo spettante all’esecutivo (la sua violazione comporta l’illegittimità
costituzionale della legge stessa).
Le differenze si sostanziano nel fatto che il principio di legalità attiene al rapporto
tra legge ed attività complessiva della pubblica amministrazione, quindi anche
quella non normativa, ed il mancato rispetto di tale principio determina
l’illegittimità dell’azione amministrativa.
I parametri ai quali l’attività amministrativa deve fare riferimento sono non solo di
legalità, ma anche di legittimità, la quale consiste nella conformità del
provvedimento e dell’azione amministrativa a parametri anche diversi dalla legge,
ancorché alla stessa pur sempre collegati (norme regolamentari, statutarie e così
via). Tra questi parametri sono da annoverare anche “regole non scritte”.
Il principio di legalità si risolve in quello di tipicità dei provvedimenti
amministrativi: se l’amministrazione può esercitare i soli poteri autoritativi
attribuiti dalla legge, essa può emanare soltanto i provvedimenti stabiliti in modo
tassativo dalla legge stessa.
Occorre infine richiamare il principio del giusto procedimento elaborato dalla
Corte costituzionale ed avente la dignità di principio generale dell’ordinamento: in
particolare esso esprime l’esigenza che vi sia una distinzione tra il disporre in
astratto con legge e il provvedere in concreto con atto alla stregua della disciplina
astratta.
Il principio di imparzialità.
L’art.97 Cost. pone due principi relativi all’amministrazione: il principio di buon
andamento dell’amministrazione e del principio di imparzialità.
La dottrina e la giurisprudenza hanno affermato la natura precettiva e non
programmatica della norma costituzionale, la quale pone una riserva di legge,
inoltre è stata affermata l’applicabilità diretta dei due principi sia
all’organizzazione che all’attività amministrativa.
Il concetto di imparzialità esprime il dovere dell’amministrazione di non
discriminare la posizione dei soggetti coinvolti.
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L’imparzialità impone che l’amministrazione sia strutturata in modo da assicurare
una condizione di oggettiva aparzialità, ed in tal senso, la norma costituzionale
conterrebbe una riserva di organizzazione in capo all’esecutivo.
Esempi di applicazione del principio si trovano nell’art.98 Cost. il quale sancisce
che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione e quindi non di
interessi partigiani; l’obbligo di astensione sussistente in capo ai titolari di pubblici
uffici allorché debbano decidere questioni alle quali essi siano interessati.
Il principio di imparzialità impone il criterio del pubblico concorso per l’accesso ai
pubblici uffici, inteso ad evitare la formazione di una burocrazia politicizzata e
richiede che la commissione giudicatrice sia formata prevalentemente da tecnici.
Strettamente connesso all’imparzialità è il principio della predeterminazione dei
criteri e delle modalità cui le amministrazioni si debbono attenere nelle scelte
successive, il quale consente di verificare la rispondenza delle scelte concrete ai
criteri che l’amministrazione ha prefissato (c.d. autolimite).
La parzialità ricorre quando sussiste un ingiustificato pregiudizio o una indebita
interferenza di alcuni di tali interessi, mentre l’imparzialità riferita all’attività di
scelta concreta, si identifica nella congruità delle valutazioni finali e delle modalità
di azione prescelte. Tale congruità deve essere definita tenendo conto degli
interessi implicati, di quelli tutelati dalla legge e degli altri elementi che possono
condizionare l’azione amministrativa.
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Tali principi devono essere rispettati anche dal legislatore quando pone in essere
la disciplina dell’amministrazione. Ed è applicabile anche all’attività di diritto
privato dell’amministrazione e all’organizzazione.
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Capitolo III
L’organizzazione amministrativa: profili generali
Introduzione.
Ciascun ordinamento oltre a riconoscere la soggettività e la capacità giuridica a
tutte le persone fisiche, istituisce altri soggetti-persone giuridiche e questo vale
anche per le persone giuridiche pubbliche.
La dottrina e la giurisprudenza riconoscono come soggetti di diritto – e dunque
come centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive - anche
organizzazioni che non hanno la personalità giuridica quali le associazioni non
riconosciute (dette “figure soggettive”), le associazioni sindacali, i ministeri, le
amministrazioni autonome e le autorità indipendenti non aventi personalità
giuridica.
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c) Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono
assoggettate ad un particolare regime di responsabilità penale, civile e
amministrativa.
d) Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alla pubblica
amministrazione; alcuni loro beni sono assoggettati ad un regime speciale.
e) L’attività che costituisce esercizio dei poteri amministrativi è di regola retta
da norme peculiari, quali quelle contenute nella L.241/1990 relativa ai
procedimenti amministrativi.
f) Gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la riscossione
delle entrate patrimoniali dello Stato.
g) Nell’ipotesi in cui abbiano partecipazioni in una società per azioni, l’atto
costitutivo può conferire agli enti pubblici la facoltà di nominare uno o più
amministratori o sindaci (art.2458 c.c.); la legge può attribuire allo Stato o ad
altri enti pubblici tale possibilità anche in mancanza di partecipazione azionaria
(art. 2459 c.c.).
h) Gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni (con lo Stato,
la regione, il comune, a seconda dei casi), la cui intensità (strumentalità,
dipendenza, ecc…) varia in ragione dell’autonomia dell’ente.
Dai concetti di autotutela, autarchia e autonomia devono essere distinte le nozioni
di autodichia e di autogoverno.
L’autodichia consiste nella possibilità, spettante ad alcuni organi costituzionali in
ragione della loro peculiare indipendenza, di sottrarsi alla giurisdizione degli organi
giurisdizionali comuni, esercitando la funzione giustiziale relativamente alle
controversie con i propri dipendenti.
L’autodichia è riconosciuta alla Camera, al Senato e alla Corte costituzionale.
Il termine autogoverno indica la situazione che ricorre nell’ipotesi in cui gli organi
dello Stato siano designati dalla collettività di riferimento, anziché essere nominati
o cooptati da parte di autorità centrali.
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finanziaria, patrimoniale e contabile; l’agenzia per le erogazioni in
agricoltura).
Il recente decreto di riforma dei ministeri (D.Lgs 300/1999) ha previsto l’istituzione
di strutture sottoposte ad indirizzo e vigilanza ministeriale e svolgenti attività a
carattere tecnico-operativo di interesse nazionale. Tale decreto inoltre ha
soppresso l’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPA) trasferendo
le sue funzioni alla nuova Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i
servizi tecnici.
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L’avvalimento era previsto dall’art.118 ultimo comma Cost., ma è stato
cancellato dalla legge Cost. 3/2001, tuttavia esso è ancora presente perché
previsto da una legge ordinaria (art.3 c.1 lett.f Legge 59/97), e consiste
nell’utilizzo da parte di un ente degli uffici di un altro ente. Tali uffici svolgono
attività di tipo ausiliario, ad esempi preparatoria o esecutiva, ma non costituisce
deroga di competenze trattandosi di una vicenda interna di tecnica organizzativa.
Con il termine sostituzione si indica in generale l’istituto mediante il quale un
soggetto (sostituto) è legittimato a far valere un diritto, un obbligo o
un’attribuzione che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto
(sostituito) operando in nome proprio e sotto la propria responsabilità. Le
modificazioni giuridiche che subiscono diritti, obblighi e attribuzioni incidono
direttamente nella sfera del sostituito, in capo al quale si producono gli effetti o le
conseguenze dell’attività posta in essere dal sostituto.
L’ordinamento disciplina il potere sostitutivo tra enti nei casi in cui un soggetto
non ponga in essere un atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni
amministrative ad esso conferite, e la giurisprudenza sottolinea che il legittimo
esercizio del potere di sostituzione richiede la previa diffida. Il potere sostitutivo in
caso di inerzia può essere esercitato direttamente da un organo dell’ente
sostituto, ovvero da un commissario nominato dall’ente sostituto.
In ordine ai poteri sostitutivi dello Stato sulla regione, la Corte costituzionale ha
affermato che debba essere rispettato il principio della leale cooperazione, il quale
impone allo Stato di intervenire soltanto dopo avere adottato le misure
(informazioni attive e passive, sollecitazioni, ecc…) idonee a qualificare
l’intervento del sostituto come necessario a causa dell’inerzia della regione.
L’art. 5 D.Lgs 112/1998 disciplina i poteri sostitutivi dello Stato in caso di accertata
inattività delle regioni e degli enti locali che comporti inadempimento agli obblighi
comunitari o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali.
Ai sensi dell’art.120 c.2 Cost. infine, il Governo “può sostituirsi agli organi delle
regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato
rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, oppure di
pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”, il comma 3 specifica che
“La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano
esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale
collaborazione”.
La delega di funzioni amministrative è figura che ricorre nei rapporti tra Stato
e regioni e tra regioni e enti locali. In particolare, le regioni, secondo quanto
disposto dall’art. 118 Cost (vecchia formulazione) esercitano in via normale le
proprie funzioni amministrative delegandole alle province, ai comuni ed agli altri
enti locali. Queste deleghe sono operate con legge (art. 118 c.2, art. 4 c.5 Legge
59/1997).
La recente riforma della Legge Costituzionale 3/2001 ha sostituito l’art.118 Cost,
ed ha costituzionalizzato l’istituto del conferimento di funzioni amministrative ai
vari livelli di governo locale sulla base dei “principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”.
Alcune forme associative, tradizionalmente distinte in federazioni e consorzi,
possono essere costituite tra enti. Le federazioni di enti svolgono attività di
coordinamento e di indirizzo dell’attività degli enti federati, nonché attività di
rappresentanza degli stessi (ad esempio l’ACI, il CONI e le federazioni nazionali di
ordini e collegi).
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Alcune federazioni comprendono anche soggetti privati, ed altre possono costituire
federazioni di diritto privato (come l’ANCI associazione nazionale dei comuni
italiani).
I consorzi costituiscono una struttura stabile volta alla realizzazione di finalità
comuni a più soggetti, spesso realizzano o gestiscono opere o servizi di interessi
comuni agli enti consorziati, i quali restano comunque di regola titolari delle opere
e dei servizi.
I consorzi pubblici possono essere classificati in entificati e non entificati,
obbligatori e facoltativi; esistono poi consorzi formati soltanto da enti pubblici
ovvero anche da privati.
I consorzi entificati sono enti di tipo associativo.
Nell’ambito delle forme associative tra enti, debbono altresì essere ricordate le
unioni di comuni (art.32 T.U. enti locali), mentre caratteri simili ai consorzi
hanno gli uffici comuni che gli enti locali possono costituire mediante
convenzione, e che operano con personale distaccato degli enti partecipanti ai
quali viene affidato l’esercizio di funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti
all’accordo.
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Le figure di incerta qualificazione: in particolare, le società per
azioni a partecipazione pubblica.
Le società a partecipazione pubblica sono soggette ad una disciplina particolare:
l’art. 2449 c.c. prevede che, ove lo Stato (o altro ente pubblico) abbia
partecipazioni azionarie, l’atto costitutivo possa ad esso conferire la facoltà di
nominare amministratori o sindaci, ovvero componenti del consiglio di
sorveglianza, nonché revocarli.
Questa eventualità è consentita dall’art.2450 c.c. anche quando l’ente non abbia
partecipazione azionarie, allorché così disponga la legge o l’atto costitutivo.
E’ frequente infatti il caso di società istituite direttamente ed unilateralmente dalla
legge o di società a costituzione obbligatoria.
Si possono individuare almeno tre modelli:
1) le società a partecipazione pubblica regolate da leggi speciali e chiamate a
svolgere funzioni pubbliche (ad esempio Patrimonio s.p.a., Infrastrutture
s.p.a.) possono essere accostate alle società che risultano affidatarie di
servizi in house senza necessità di una previa gara;
2) le società a partecipazione pubblica direttamente affidatarie di servizi
pubblici locali; di norma la scelta del socio privato avviene a mezzo gara;
3) le società derivanti dal processo di privatizzazione;
Affidamento in house è il concetto delineato dalla giurisprudenza comunitaria
con il quale si esclude che la disciplina sugli appalti trovi applicazione nei casi in
cui tra amministrazione e imprese sussista un legame tale per cui il soggetto non
possa ritenersi “distinto” dal punto di vista decisionale.
Il legislatore italiano, la fine di evitare di “mettere a gara” l’affidamento del
servizio locale, ha utilizzato lo stesso schema nel settore dei servizi pubblici.
Il T.U. sugli enti locali, modificato dall’art.35 della Legge 448/2001 e dalla Legge
326/2003, prevede per i servizi locali di rilevanza economica tre forme di gestione:
a) società pubbliche direttamente affidatarie del servizio come le società a
capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto
attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) società pubbliche direttamente affidatarie del servizio come le società a
capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più
importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la
controllano nella logica della concorrenza e del mercato;
c) affidamento del servizio a società di capitali individuate attraverso
l’espletamento di gare.
Per la disciplina relativa alla dismissione delle partecipazioni azionarie nelle
società in cui sono stati trasformati gli enti privatizzati, l’art.2 D.L. 332/1994
convertito in legge 474/1994, modificato dalla L.350/2004, accanto ai limiti al
possesso azionario e al divieto della cessione della partecipazione, consente allo
Stato di mantenere poteri speciali (golden share: opposizione all’assunzione di
partecipazioni che rappresentano almeno la ventesima parte del capitale sociale)
esercitabili soltanto in caso di pericolo per “interessi vitali” dello Stato medesimo
con riferimento alle società operanti nel settore della difesa, dei trasporti, delle
telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi, individuate
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Ricorre ente pubblico laddove lo statuto delle società per azioni e la disciplina
delle dismissioni implichino la impossibilità di uno scioglimento: infatti l’esistenza
e la destinazione funzionale della società sono predeterminate con atto normativo
e rese indisponibili alla volontà dei propri organi deliberativi.
Le società a partecipazione pubblica maggioritaria sono assoggettate ad una
disciplina di diritto speciale. Le società per azioni a partecipazione pubblica locale
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sono soggetti privati nei limiti in cui possano disporre della propria esistenza e del
proprio oggetto.
I concessionari di opere e gli affidatari di servizi pubblici sono categorie di soggetti
privati che presentano carattere pubblicistico, i quali, collocati in sul mercato in
regime di libera concorrenza, sono assoggettati a settori c.d. esclusi allorché
agiscano “in virtù di diritti speciali o esclusivi”.
Sono diritti speciali o esclusivi i diritti costituiti per legge, per regolamento o in
virtù di una concessione o di altro provvedimento amministrativo avente l’effetto
di riservare ad uno o più soggetti l’esercizio di attività.
L’art. 2461 c.c. si occupa delle società di interesse nazionale estendendo ad esse
la normativa di cui agli artt. 2458 e 2459 c.c. “compatibilmente con le disposizioni
delle leggi speciali che stabiliscono per tali società una particolare disciplina circa
la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli
amministratori e dei dirigenti. Tra queste società si ricorda la RAI – tv,
concessionaria del servizio pubblico.
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La prima norma afferma che le amministrazioni pubbliche definiscono “secondo i
principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi,
mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali
di organizzazione degli uffici” e “individuano gli uffici di maggior rilevanza”.
La seconda norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni assumono ogni
determinazione organizzativa “con la capacità e i poteri del privato datore di
lavoro”: alle determinazioni operative gestionali occorre garantire “adeguati
margini” e, cioè, uno spazio di discrezionalità organizzativa.
L’organo.
La personalità giuridica delle organizzazioni è riferita alle situazioni giuridiche e ai
rapporti giuridici. Per poter agire le organizzazioni potevano ricorrere a due istituti:
a) la rappresentanza, alla stessa stregua di quella necessaria disposta per le
persone fisiche incapaci di agire;
b) utilizzare la figura dell’organo;
Attraverso l’organo la persona giuridica agisce e l’azione svolta dall’organo si
considera posta in essere dall’ente. L’organo non è separato dall’ente, quindi, a
differenza di quanto accade nella rappresentanza, la sua azione non è svolta in
nome e per conto di altri, e corrisponde all’attività propria dell’ente.
La capacità giuridica spetta comunque all’ente, che è centro di imputazioni di
effetti e fattispecie.
L’organo è dunque uno strumento di imputazione e, cioè, l’elemento dell’ente che
consente di riferire all’ente stesso atti e attività; spesso l’organo permette all’ente
di rapportarsi con altri soggetti giuridici o comunque di produrre effetti giuridici.
Più in particolare l’organo va identificato nella persona fisica o nel collegio in
quanto investito della competenza attribuita dall’ordinamento (ad esempio, il
contratto stipulato dal dirigente comunale si considera concluso dal Comune).
In assenza del titolare, l’ordinamento indica colui che è chiamato a svolgere le
relative funzioni. Tra persona fisica preposta all’organo e ente pubblico corre un
rapporto giuridico, definito “rapporto di servizio”.
I poteri vengono attribuiti soltanto all’ente avente la soggettività giuridica, ed esso
si avvale di più organi, ognuno di essi, pur senza esserne titolare, esercita una
quota di quei poteri, detta competenza.
La competenza è ripartita secondo svariati criteri: per materia, per valore, per
grado o per territorio.
La competenza va tenuta distinta dall’attribuzione, che indica la sfera di poteri che
l’ordinamento generale conferisce ad ogni ente pubblico.
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Classificazione degli organi.
Sono esterni gli organi competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi
rilevanza esterna (i dirigenti, ad esempio, adottano gli atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno). Gli organi procedimentali (o organi interni)
sono quelli competenti ad emanare atti aventi rilevanza endoprocedimentale.
Organi centrali sono quelli che estendono la propria competenza all’intero
spettro dell’attività dell’ente; gli organi periferici, viceversa, hanno competenza
limitata ad un particolare ambito di attività, di norma individuato secondo un
criterio geografico.
Gli organi ordinari sono previsti nel normale disegno organizzativo dell’ente,
mentre gli organi straordinari operano invece in sostituzione degli organi
ordinari (in genere detti “commissari”).
Gli organi permanenti sono stabili, gli organi temporanei svolgono funzioni
per un limitato periodo di tempo (ad esempio le commissioni per i concorsi).
Gli organi attivi sono competenti a formare ed eseguire la volontà
dell’amministrazione; gli organi consultivi rendono pareri; gli organi di
controllo sindacano l’attività posta in essere dagli organi attivi.
La distinzione rispecchia quella tra attività amministrativa attiva (che ha la
finalità di curare gli interessi pubblici: c.d. amministrazione attiva), attività
consultiva (mediante la quale vengono espressi pareri) e attività di controllo
(la cui finalità è quella di verificare l’attività amministrativa attiva alla luce di un
parametro prefissato).
Gli organi rappresentativi sono quelli i cui componenti, a differenza degli
organi non rappresentativi, vengono designati o eletti dalla collettività che
costituisce il sostrato dell’ente. Tipico esempio di organo rappresentativo è il
sindaco, mentre organo non rappresentativo è, ad esempio, il prefetto.
Vi sono poi organi con legale rappresentanza e consistono in particolari tipi di
organi esterni, cioè che esprimono la volontà dell’ente nei rapporti contrattuali con
i terzi e che, avendo la capacità processuale, conferisce la procura alle liti per
agire o resistere in giudizio.
Per espressa volontà di legge, alcuni organi sono dotati di personalità giuridica (e
sono detti organi con personalità giuridica o organi-enti), profilandosi come
titolari di poteri e come strumenti di imputazione di fattispecie ad altro ente (in
quanto organi di quest’ultimo), un esempio è l’ISTAT, alla dipendenza della
Presidenza del Consiglio dei ministri con compiti relativi alle indagini statistiche
interessanti le amministrazioni statali.
Sono organi monocratici quelli il cui titolare è una sola persona fisica. Negli
organi collegiali si ha la contitolarità di più persone fisiche considerate nel loro
insieme.
Le ragioni per cui si procede all’istituzione dell’organo collegiale sono quella di
riunire in un unico corpo i portatori di interessi differenti e/o far confluire nel
collegio più capacità professionali e tecniche.
L’esercizio delle competenze dell’organo collegiale avviene mediante
deliberazione, la cui adozione segue un procedimento che, solitamente, consta
delle seguenti fasi:
- convocazione del collegio, cioè l’invito contenente l’ordine del giorno,
a riunirsi in un certo luogo in una certa data;
- presentazione di proposte sui punti all’ordine del giorno;
- discussione;
- votazione.
Occorre distinguere tra quorum strutturale e quorum funzionale. Il primo
indica il numero dei membri che devono essere presenti affinché il collegio sia
legittimamente costituito (nei collegi perfetti si impone la presenza di tutti i
componenti); il quorum funzionale indica il numero di membri presenti che
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debbono esprimersi favorevolmente sulla proposta affinché questa si trasformi in
deliberazione.
Nei c.d. collegi perfetti non è ammessa l’astensione; negli altri casi l’astenuto è
considerato come assente o come votante, in quest’ultimo caso, il voto di
astensione non riduce il computo dei votanti in ragione del quale deve essere
calcolato il quorum funzionale e, dunque, equivale a voto negativo.
La deliberazione si perfeziona con la proclamazione fatta dal Presidente: le sedute
vengono documentate attraverso processi verbali redatti dal segretario e servono
ad esternare la deliberazione adottata.
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In dottrina si individua una ulteriore relazione interorganica, il coordinamento,
riferendolo a organi in situazione di equiordinazione preposti ad attività che, pur
dovendo restare distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno
unitario. Contenuto di tale relazione sarebbe il potere, spettante ad un
“coordinatore”, di impartire disposizioni idonee a tale scopo e di vigilare sulla loro
attuazione ed osservanza.
Il coordinamento è definito dalla legge (es. art. 16, 17 e 25 D.Lgs 165/2001). I
compiti di coordinamento possono essere riconosciuti ad un organo ad hoc oppure
ad uno degli organi interessati al coordinamento (come gli organi collegiali). La
possibilità che un “segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente
comunque denominato” svolga funzioni di coordinamento di uffici dirigenziali di
livello generale è infine prevista dall’art. 16 D.Lgs 165/2001.
L’esigenza di coordinamento tra l’azione di più soggetti pubblici è soprattutto
soddisfatta attraverso l’utilizzo della conferenza di servizi.
Il controllo.
Il controllo è una importante relazione interorganica, che consiste nell’attività di
verifica, esame e revisione dell’operato altrui. Nel diritto amministrativo il controllo
costituisce un’autonoma funzione svolta da organi peculiari.
Il controllo consiste in un esame, da parte di un apposito organo, di atti e attività
imputabili ad un altro organo controllato. Il controllo è svolto in ogni caso
nell’ambito delle relazioni gerarchiche dove l’organo gerarchicamente superiore
controlla l’attività dell’organo subordinato.
Il controllo, che è sempre doveroso, deve essere svolto nelle forme previste dalla
legge, e si conclude con la formulazione di un giudizio, positivo o negativo, sulla
base del quale viene adottata una misura.
Il controllo si divide in interno ed esterno a seconda che esso sia esercitato da
organi dell’ente o da organi di enti diversi, un esempio di controllo interno è
costituito dal controllo ispettivo.
Il controllo sugli organi degli enti territoriali è previsto, per quanto riguarda le
regioni, dall’art.126 Cost. e dagli artt.141 e segg. T.U. sugli enti locali in ordine agli
enti territoriali diversi dalla regione.
Il controllo può essere condotto alla luce di criteri di volta in volta differenti -
conformità alle norme (controllo di legittimità, denominato vigilanza), opportunità
(denominato tutela), efficienza, efficacia, ecc… - ed avere oggetti diversi tra loro:
organi, atti normativi, atti amministrativi di organi individuali e collegiali, contratti
di diritto privato, attività.
Le misure che possono essere adottate a seguito del giudizio sono di vario tipo:
repressive (annullamento dell’atto), impeditive (le quali non eliminano l’atto ma
ostano a che l’atto produca efficacia, come rifiuto di approvazione o visti),
sostitutive (controllo sostitutivo).
1) Nel controllo sugli organi la misura è la sostituzione all’organo ordinario nel
compimento di alcuni atti, in altri casi la misura è lo scioglimento
dell’organo. Ancora diversa è la misura che consiste nell’applicazione di
sanzioni ai componenti l’organo.
2) Nell’ambito dei controlli sugli atti si distingue tra controlli preventivi
(rispetto alla produzione degli effetti degli atti) e successivi (i quali si
svolgono quando l’atto ha già prodotto i suoi effetti).
In una via di mezzo tra controlli successivi e preventivi si collocano i controlli
mediante riesame i quali procrastinano l’efficacia dell’atto all’esito di una nuova
deliberazione dell’autorità decidente.
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In particolare, il controllo di ragioneria nell’amministrazione statale
ed il controllo della Corte dei Conti.
Un particolare tipo di controllo (contabile e di legittimità) è il controllo di
ragioneria esercitato dagli uffici centrali di bilancio a livello centrale e dalle
ragionerie provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali,
i quali provvedono alla registrazione degli impegni di spesa risultanti dai
provvedimenti assunti dalle amministrazioni statali e possono inviare osservazioni
sulla legalità della spesa senza che ciò abbia effetti impeditivi sull’efficacia degli
atti.
Oggi gli uffici di ragioneria svolgono il controllo interno di regolarità
amministrativa e contabile.
Controllo successivo esterno e costituzionalmente garantito è quello esercitato
dalla Corte dei Conti “organo al servizio dello Stato-comunità” attraverso il
meccanismo della registrazione e dell’apposizione del visto.
La Corte dei conti svolge anche altre importanti funzioni di controllo potendo
“richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno
qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti
diretti”.
Nel quadro dei controlli spettanti alla Corte dei conti si contemplano:
a) un controllo preventivo sugli atti;
b) un controllo preventivo sugli atti che il Presidente del Consiglio dei
ministri richieda di sottoporre temporaneamente a controllo o che la Corte
dei conti deliberi di assoggettare per un periodo determinato a controllo “in
relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di
controllo successivo”;
c) un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al costo del personale,
sui contratti e i relativi atti di esecuzione, in materia di sistemi informativi
automatizzati, stipulati dalle amministrazioni statali e sugli atti di
liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti;
d) un controllo successivo sugli atti “di notevole rilievo finanziario individuati
per categorie ed amministrazioni statali” che le sezioni unite stabiliscano di
sottoporre a controllo per un periodo determinato;
e) un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria, esercitato da una speciale sezione della Corte;
f) un controllo sulla gestione degli enti locali effettuato dalla sezione
delle autonomie: il controllo, originariamente limitato agli enti locali con
popolazione superiore a ottomila abitanti e poi esteso ad altri comuni e
province si conclude con un referto al Parlamento.
La Legge 131/2003, nel dare attuazione all’art.118 Cost., ha individuato due
nuove forme di controllo:
1) La Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica,
verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni,
Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di
stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione Europea.
2) Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano il
perseguimento degli obbiettivi posti dalle leggi statali o regionali di
principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la
sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei
controlli interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente
ai consigli degli enti controllati;
g) un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle
amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di
previdenza comunitaria.
25
La Corte, nell’esercizio di una funzione ritenuta giurisdizionale, pronuncia il
giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato (consistente
nella certificazione di parità tra i conti della Corte medesima e quelli forniti
dall’amministrazione del tesoro), accompagnato da specifica relazione.
La disciplina del controllo preventivo risulta dalla combinazione della L.20/1994
e del T.U. Corte conti. Ai sensi dell’art.27 L.340/2000 l’atto trasmesso alla Corte
conti diviene in ogni caso esecutivo trascorsi sessanta giorni dalla sua ricezione
senza che sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo. L’esito del
procedimento di controllo è comunicato dalla sezione nelle ventiquattro ore
successive alla fine dell’adunanza e le deliberazioni sono pubblicate entro trenta
giorni dalla data dell’adunanza stessa.
Il t.u. della Corte dei conti contempla anche il meccanismo della
registrazione con riserva, il quale consente all’atto di venire vistato e
registrato. In particolare, a fronte della ricusazione del visto, il Consiglio dei
ministri può adottare una deliberazione con la quale insiste nella richiesta di
registrazione: la Corte è chiamata a deliberare a sezioni riunite e, ove non
riconosca cessata la causa del rifiuto ne ordina la registrazione e vi appone il visto
con riserva.
La registrazione con riserva impegna la responsabilità politica dell’esecutivo: per
questa ragione, ogni quindici giorni, la Corte dei conti trasmette al Parlamento un
elenco con tutti i provvedimenti registrati con riserva.
La registrazione può essere richiesta anche con riferimento ad una o più parti
dell’atto; l’atto che il governo ritenga debba avere corso diventa esecutivo se le
sezioni riunite non abbiano deliberato entro trenta giorni dalla richiesta.
26
Il c.2 dell’art.5 dispone che la valutazione abbia periodicità annuale, ma può
essere anticipato per “rischio grave di un risultato negativo”.
Il procedimento di valutazione deve ispirarsi ai seguenti principi: diretta
conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o
valutatore di prima istanza; approvazione o verifica della valutazione da
parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza;
partecipazione al procedimento del valutato.
4) La quarta tipologia di controllo interno è costituita dalla valutazione e
controllo strategico, mirante a valutare “l’adeguatezza delle scelte
compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di
determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati
conseguiti e obiettivi predefiniti”. Mediante questa attività di valutazione si
tende a verificare “in funzione dell’esercizio dei poteri di indirizzo da parte
dei competenti organi, l’effettiva attuazione delle scelte contenute nelle
direttive ed altri atti di indirizzo politico”.
I controlli interni si differiscono dai controlli generici per il fatto che i controlli
interni hanno ad oggetto l’intera attività e non soltanto i singoli atti.
28
La legge 444/1994, che si applica agli enti pubblici e agli organi dello Stato con
esclusione di regioni, province, comuni, comunità montane e organi di rilevanza
costituzionale, adottata sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n.
208/1992, ha previsto in linea generale il divieto di prorogatio, stabilendo che gli
organi possano essere prorogati di 45 giorni decorrenti dalla scadenza del termine
di durata previsto per ciascuno. Allo scadere di tale termine, gli organi
amministrativi decadono e gli atti emanati dagli organi decaduti sono nulli, come
sono nulli gli atti emanati nel periodo di proroga che non siano di ordinaria
amministrazione o urgenti o indifferibili. I titolari della competenza alla
ricostituzione sono responsabili dei danni cagionati a seguito dell’intervenuta
decadenza.
31
L’art. 17 bis D.Lgs 165/2001 inoltre, prevede l’area della vicedirigenza, la cui
istituzione è rimessa alla contrattazione collettiva di comparto.
La normativa favorisce inoltre la mobilità tra settore pubblico e settore privato.
34
Capitolo IV
L’organizzazione degli enti pubblici
Cenni all’organizzazione statale: quadro generale.
Lo Stato – amministrazione è qualificato come ente pubblico ed ha la qualità di
persona giuridica in forza di riferimenti normativi: ad esempio l’art.28 Cost. che si
riferisce alla responsabilità civile dello Stato e all’art.822 c.c. il quale disciplina i
beni appartenenti allo Stato.
Con la frammentazione dell’amministrazione statale e la distinzione in ministeri
che fanno capo a vertici differenti occorre ammettere che la unicità della
personalità statale non sussista.
35
I ministri sono gli organi politici di vertice dei vari dicasteri. Tali organi sono
molto importanti sotto il profilo amministrativo perché l’amministrazione statale è
ripartita sulla base dei ministeri. Il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei
ministeri sono determinati dalla legge (art. 95 Cost.).
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri, possono inoltre essere nominati ministri senza portafoglio i
quali sono membri del governo ma non sono titolari di dicasteri e, dunque, né di
un apparato organizzativo di uffici, né della gestione di uno stato di previsione
della spesa (es: il ministro per le pari opportunità). Ad essi possono essere
delegate funzioni dal Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio
stesso; inoltre possono essere posti a capo dei dipartimenti in cui si articolare la
presidenza del Consiglio.
Il ministro può essere coadiuvato da uno o più sottosegretari nominati con
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri, di concerto con il ministro che il sottosegretario coadiuverà, sentito il
consiglio dei ministri. Essi giurano dinanzi al Presidente del Consiglio dei ministri
ed esercitano le funzioni loro delegate con decreto ministeriale. Il loro numero non
è fissato dalla legge.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri è il segretario del
Consiglio dei ministri.
Il titolo di vice ministro può essere conferito a non più di 10 sottosegretari, se ad
essi sono conferite dal ministro competente deleghe relative all’intera area di
competenza di una o più strutture dipartimentali o direzioni generali. I vice ministri
possono essere invitati a partecipare alle sedute del Consiglio dei ministri, senza
diritto di voto, per riferire su argomenti e questioni attinenti alla materia loro
delegata.
Con D.Lgs 300/1999 è stato ridotto il numero dei ministeri ed è stata ridisegnata la
loro struttura organizzativa.
Secondo l’art. 2 del D.Lgs 300/1999 (e successive modificazioni) i ministeri sono i
seguenti: ministero degli affari esteri, ministero dell’interno, ministero della
giustizia, ministero della difesa, ministero dell’economia e delle finanze,
ministero delle attività produttive, ministero delle comunicazioni, ministero
per le politiche agricole e forestali, ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio, ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ministero del
lavoro e delle politiche sociali, ministero della salute, ministero
dell’istruzione dell’università e della ricerca, ministero per i beni e le
attività culturali.
Per alcuni ministeri si introduce il modello di organizzazione caratterizzato dalla
presenza, accanto alla figura del ministro, di strutture dipartimentali cui sono
attribuiti “compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relativi
compiti strumentali”, compresi quelli di indirizzo e coordinamento delle unità di
gestione, quelli di organizzazione e quelli di gestione delle risorse strumentali,
finanziarie e umane.
Nell’ambito di tale modello organizzativo scompare la figura del segretario
generale, i cui compiti sono distribuiti tra i capi dei dipartimenti.
Negli altri ministeri, invece, la figura del segretario generale può sopravvivere
operando alle dirette dipendenze del ministro.
In questi ministeri la struttura di primo livello è poi costituita dalle direzioni
generali (nel ministero delle comunicazioni vi sono uffici centrali di livello
dirigenziale generale ed ispettorati territoriali).
Le agenzie sono strutture che svolgono attività a carattere tecnico-operativo di
interesse nazionale attualmente esercitate da ministeri ed enti pubblici.
Il D.Lgs 300/1999 istituisce quattro agenzie fiscali (agenzia delle entrate,
agenzia delle dogane, agenzia del territorio, competente tra l’altro allo
36
svolgimento dei servizi relativi al catasto, e agenzia del demanio, cui è attribuita
l’amministrazione dei beni immobili dello Stato); l’agenzia industrie difesa;
l’agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; l’agenzia
per la formazione e l’istruzione professionale.
Le agenzie operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle
regionali e locali. Esse hanno autonomia nei limiti stabiliti dalla legge (autonomia
di bilancio ecc…) e sono sottoposte al controllo della Corte dei conti e ai poteri di
indirizzo e vigilanza del ministro; devono inoltre essere organizzate in modo da
rispondere alle esigenze di speditezza, efficienza ed efficacia dell’azione
amministrativa e si giovano di un finanziamento annuale a carico dello Stato di
previsione del ministero. A capo dell’agenzia è posto un direttore generale.
Le agenzie possono anche avere personalità giuridica (è il caso della agenzia
industrie difesa e delle agenzie fiscali).
38
Le aziende autonome.
Le aziende autonome (o amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo)
sono amministrazioni caratterizzate dal fatto di essere incardinate presso un
ministero e di avere una propria organizzazione, separata da quella ministeriale.
Le amministrazioni autonome svolgono attività prevalentemente tecnica,
amministrano in modo autonomo le relative entrate, dispongono di capacità
contrattuale e sono titolari di rapporti giuridici, pur non avendo un proprio
patrimonio (il patrimonio è infatti dello Stato).
La loro attività consiste spesso nella produzione di beni o di prestazione di servizi,
e molte di esse sono state trasformate in enti pubblici economici o società per
azioni.
Prive di norma di personalità giuridica, esse sono di solito rette dal ministro che
ne ha altresì la rappresentanza; il ministro dirige ed è affiancato dal consiglio di
amministrazione (che ha compiti consultivi e talora deliberativi) e dal direttore
(organo esecutivo). Il bilancio e il rendiconto dell’azienda sono legati allegati al
bilancio dello Stato.
Molte aziende autonome sono state soppresse, mentre altre aziende sono state
trasformate: l’amministrazione autonoma delle Poste e telecomunicazioni è stata
trasformata in ente pubblico economico ed è divenuta s.p.a.; l’azienda autonoma
delle ferrovie dello stato è stata trasformata in società per azioni, ecc…
La Cassa depositi e prestiti è stata trasformata in Cassa depositi e prestiti
società per azioni e tale soggetto finanzia lo Stato ed enti pubblici e “le opere, gli
impianti, le reti e le dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici ed alle
bonifiche”.
Le amministrazioni indipendenti.
Le amministrazioni indipendenti sono sorte per ovviare all’incapacità
dell’organizzazione amministrativa tradizionale di provvedere ai compiti ad essa
attribuiti, incapacità in via di massima imputata all’indebito condizionamento
politico ed alle carenze tecniche degli organi amministrativi.
Le autorità indipendenti prevedono l’attribuzione di compiti rilevanti a soggetti
dotati di notevole indipendenza rispetto al governo ed agli organi politici.
Come autorità indipendenti vengono generalmente ricordati: la Banca d’Italia; la
Consob (che si occupa del mercato dei prodotti finanziari, assicurando la
trasparenza e garantendo la completezza delle informazioni, a tutela del
risparmio); l’Isvap (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private, che si
occupa del settore delle assicurazioni; l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (essa subentra nei procedimenti amministrativi e giurisdizionali e
nella titolarità dei rapporti attivi e passivi facenti capo al Garante per l’editoria; tra
i compiti di tale autorità vi è quello di verificare che, nel sistema integrato delle
comunicazioni e nei mercati che lo compongono, non si costituiscano posizioni
dominanti e che siano rispettati i limiti di legge); l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato; l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici;
l’Autorità per l’energia elettrica e il gas.
Dotati di compiti di garanzia, piuttosto che di amministrazione attiva, sono il
Garante per la privacy, e la Commissione di garanzia per l’attuazione
della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali; e
l’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione.
La Banca d’Italia è qualificabile come ente pubblico a struttura associativa, è
istituto di emissione e svolge le funzioni di vigilanza sulle aziende di credito e di
governo del settore valutario e monetario. Il suo organo di vertice è costituito dal
Governatore.
Alcune di tali autorità non hanno neppure personalità giuridica.
39
Esse dispongono per lo più di autonomia organizzativa e funzionale, e sono titolari
di poteri provvedimentali talvolta sanzionatori e sono soggette al controllo della
Corte dei conti.
I vertici delle diverse autorità delle telecomunicazioni, dell’elettricità e del gas
sono nominati dal Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio
dei ministri su proposta del ministro competente e parere favorevole delle
commissioni parlamentari.
I vertici delle altre autorità sono generalmente nominati o designati dai presidenti
delle camere, oppure, come per il Garante per la Privacy, eletti per metà dalla
camera e metà dal senato.
L’elemento caratterizzante delle autorità consiste nel fatto che esse sono
indipendenti dal potere politico del governo pur dovendo trasmettere relazioni
al governo e al parlamento in ordine all’attività svolta.
Le autorità non sono tenute ad adeguarsi all’indirizzo politico espresso dalla
maggioranza, e per tal motivo sono definite neutrali (a differenza delle
tradizionali amministrazioni che devono essere “imparziali”).
Numerose tra le autorità indipendenti sono chiamate a verificare, anche
esercitando poteri giustiziali, la compatibilità del comportamento degli operatori
economici, pubblici o privati, con le regole della concorrenza. Difatti, una
“liberalizzazione” pura e semplice di particolari mercati lascerebbe irrisolto il
problema di salvaguardare esigenze collettive e rischierebbe di non impedire il
consolidarsi di nuove forme di monopolio privato anziché pubblico.
Le autorità sono preposte a vigilare alcuni settori sensibili del mercato.
Il difensore civico non rientra nella categoria delle autorità indipendenti e
non è istituito a livello di organizzazione statale, ma è una figura che presenta
alcuni profili di analogia con esse.
Esso è nato come soggetto chiamato ad atteggiarsi a snodo flessibile informale di
collegamento tra cittadini e poteri pubblici, in grado di assicurare una maggiore
trasparenza dell’organizzazione amministrativa. Tale soggetto funge da ausilio per
l’amministrazione attiva e può favorire una miglior scelta finale in vista
dell’interesse pubblico.
L’art. 11 del T.U. sugli enti locali definisce il difensore civico comunale e
provinciale come garante “dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica
amministrazione”, mentre l’art. 127 ha previsto che i difensori civici delle regioni e
delle province autonome esercitino, sino all’istituzione del difensore civico
nazionale, le proprie funzioni di richiesta, di proposta, di sollecitazione e di
intimazione anche nei confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato.
Al difensore civico spetta poi il compito di riesaminare, su istanza dell’interessato,
le richieste di accesso in caso di rifiuto o di differimento.
La legge attribuisce al difensore civico una pluralità di funzioni che costituisce
forse il limite stesso dell’istituto, difatti è difficile pensare che un medesimo
soggetto sia in grado di attuare e gestire le tantissime funzioni attribuite: poteri
che vanno dalla tutela dei cittadini al controllo all’attività amministrativa, dalla
difesa della legalità alla ricerca della trasparenza, dall’azione finalizzata al
miglioramento del rapporto cittadini-amministrazione alla responsabilizzazione dei
soggetti pubblici.
Il difensore civico dispone di poteri non incisivi, difatti non può annullare o
riformare atti, imporre misure sanzionatorie o emanare provvedimenti decisori.
Affinché possa svolgere le sue funzioni, il difensore deve comunque disporre di
poteri caratterizzati da un notevole tasso di informalità e fruire di canali per così
dire di informazione e di conoscenza in relazione all’attività degli organi di
amministrazione attiva, pur nel rispetto di una netta alterità di ruoli.
La marcata indipendenza e la riduzione del condizionamento politico costituiscono
gli ulteriori tratti essenziali del modello di difensore civico.
40
Il difensore civico riveste una posizione peculiare, nella quale l’autorevolezza del
titolare dell’ufficio si coniuga con una indipendenza notevole nei confronti
dell’amministrazione interessata. Il modello è dunque quello di un organo soggetto
esclusivamente alla legge piuttosto che quello di un organo esso stesso
direttamente responsabile o sottoposto all’attività di indirizzo di un soggetto
politicamente responsabile.
Il difensore civico, alla stessa stregua delle autorità indipendenti, trova dunque il
proprio riferimento costituzionale nell’art.97 Cost. ma esso non dispone di poteri
decisori.
41
All’interno degli enti economici, si distinguono quelli che svolgono direttamente
attività produttiva di beni e servizi da quelli che detengono partecipazioni
azionarie in società a capitale pubblico (enti di gestione delle partecipazioni
azionarie ad esempio Iri ed Eni).
Di natura pubblica è il rapporto con lo Stato, sotto il profilo della costituzione e
dell’estinzione, della nomina degli amministratori, della vigilanza e così via.
Gli enti pubblici economici sono sottratti al regime fallimentare.
Sugli enti pubblici economici esiste comunque un minimo di potestà pubblica: si
richiamano al riguardo la potestà di certificazione, i poteri di autoorganizzazione
interna e la prerogativa di autotutela di cui tutti gli enti pubblici economici
disporrebbero.
Gli ordini e collegi professionali sono enti pubblici associativi, ad appartenenza
necessaria, esponenziali della categoria di professionisti che realizzano
l’autogoverno della categoria stessa.
Essi raggruppano gli individui che svolgono peculiari attività professionali (di solito
le professioni che necessitano di laurea per l’esercizio): si pensi ai consigli
dell’ordine degli avvocati, ai consigli dell’ordine dei dottori commercialisti, ai
collegi dei geometri, ecc…
Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono enti di
diritto pubblico che svolgono funzioni di interesse generale per il sistema delle
imprese. Si tratta di enti ad appartenenza necessaria di tipo associativo a
competenza territorialmente delimitata che raggruppano i commercianti, gli
industriali, gli agricoltori e gli artigiani.
Tra i compiti vi sono la cura degli interessi delle categorie rappresentate, la tenuta
del registro delle imprese, la formazione di mercuriali e listini prezzi,
l’amministrazione delle borse valori, il supporto e la promozione degli interessi
generali delle imprese, la promozione della formazione di commissioni arbitrali e
conciliative per la soluzione delle controversie tra imprenditori e i consumatori o
tra gli imprenditori stessi.
L’art. 1, co.4 lett.d) Legge 59/1997 esclude il conferimento a regioni, province e
comuni dei compiti esercitati localmente in regime di autonomia funzionale delle
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, configurate come
autonomie funzionali.
Altri enti dotati di peculiarità proprie, e per questo motivo non ascrivibili a
categorie, sono la Siae e l’Istituto per il commercio con l’estero (ICE,
riformato dalla Legge 68/1997 che ne ha riconosciuto la natura di ente pubblico
economico).
42
Il Prefetto ha importanti compiti in tema di ordine pubblico e di sicurezza pubblica
nella provincia, di espropriazione, di elezioni politiche ed amministrative, di
esercizio del diritto di sciopero nei pubblici servizi. Ha inoltre compiti in tema di
riconoscimento delle persone giuridiche private.
Il D.Lgs 300/1999 ha istituito la conferenza provinciale permanente dei
responsabili degli uffici statali, presieduta dal Prefetto e composta dai
responsabili degli uffici decentrati delle amministrazioni statali.
L’art. 11 D.Lgs 300/1999, modificato dal D.Lgs 29/2004, ha trasformato le
prefetture in Prefetture-uffici territoriali del governo a cui sono preposti i
prefetti. Tali uffici mantengono tutte le funzioni di competenza delle prefetture, e
assicurano l’esercizio coordinato dell’attività amministrativa degli uffici periferici
dello Stato e garantiscono la leale cooperazione dei medesimi con gli enti locali.
La L.131/2003 dispone ora che “il prefetto preposto all’ufficio territoriale del
Governo avente sede nel capoluogo della regione svolge le funzioni di
rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”.
Esso ha il compito di indire delle elezioni regionali, di raccogliere notizie utili allo
svolgimento delle funzioni degli organi statali e di svolgere le attività dirette ad
assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e regione,
nonché il raccordo tra le istituzioni dello Stato presenti sul territorio, al fine di
garantire la rispondenza dell’azione amministrativa all’interesse generale, il
miglioramento della qualità dei servizi resi al cittadino e di favorire e rendere più
agevole il rapporto con il sistema delle autonomie.
44
funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo. Esse dovranno comunque
essere individuate dalle leggi statali e regionali.
L’art. 121 Cost. prevede che il presidente della Giunta regionale “dirige le funzioni
amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del
governo della Repubblica”.
In ordine alle modalità di svolgimento delle funzioni, la Costituzione prevede pure
“intese con altre regioni” per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con
individuazione di organi comuni (art. 117, c.9).
Nelle materie di sua competenza, la regione può inoltre concludere accordi con
Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, “nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato”.
Quanto ai limiti che le regioni incontrano nell’esercizio delle funzioni
amministrative, è stato configurato un potere governativo di indirizzo e
coordinamento “attinente ad esigenze di carattere unitario” (art.3 c.1 Legge
382/1975).
L’art.118, c.3 Cost. prevede oggi che la legge statale disciplini “forme di
coordinamento tra Stato e regioni” nelle materie dell’immigrazione e dell’ “ordine
pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale”, nonché
“forme di intesa e coordinamento” nella materia dei beni culturali.
L’art. 2 T.U. enti locali precisa che, ai fini del T.U. medesimo, “si intendono per enti
locali i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le
comunità isolane e le unioni di comuni”. A tal riguardo, il T.U. enti locali estende la
propria disciplina ai consorzi cui partecipano enti locali (con esclusione di
quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale e, ove
previsto dallo statuto, dei consorzi per la gestione dei servizi sociali; per essi infatti
è prevista l’applicazione delle norme sulle aziende speciali all’art.31 ultimo
comma).
La disciplina del T.U. enti locali comprende, ai sensi dell’art.93, quella della
responsabilità patrimoniale dei dipendenti.
45
principi di completezza, di efficienza e di economicità, di cooperazione tra Stato,
regioni ed enti locali, di responsabilità ed unicità dell’amministrazione, di
omogeneità, di adeguatezza, di differenziazione nell’allocazione delle funzioni, di
copertura finanziaria e patrimoniale dei costi, di autonomia organizzativa e
regolamentare e di responsabilità degli enti locali nell’esercizio delle funzioni e dei
compiti amministrativi ad essi conferiti.
La legge mira ad imporre un criterio di riparto tra funzioni statali e regionali
improntato al principio secondo cui la competenza in generale è della regione, fatti
salvi i compiti e le funzioni statali attinenti ad una serie di materie indicate come
tali dal comma 3 dell’art.1. Esse sono: affari esteri e commercio estero; difesa,
forze armate, armi e munizioni, esplosivi e materiale strategico; rapporti tra lo
Stato e le confessioni religiose; tutela dei beni culturali e del patrimonio storico-
artistico; cittadinanza, immigrazione, rifugiati e asilo politico, estradizione;
consultazioni elettorali ed elettorato; moneta, perequazione delle risorse
finanziarie, sistema valutario e banche; dogane, protezione dei confini nazionali e
profilassi internazionale; ordine pubblico e sicurezza pubblica; amministrazione
della giustizia; poste e telecomunicazioni; previdenza sociale; ricerca scientifica;
istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici,
organizzazione generale dell’istruzione scolastica e stato giuridico del personale;
vigilanza in materia di lavoro e cooperazione; trasporti aerei, marittimi e ferroviari
di interesse nazionale.
L’art.1 comma 6 chiarisce che “la promozione dello sviluppo economico, la
valorizzazione dei sistemi produttivi e la promozione della ricerca applicata sono
interessi pubblici primari dello stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti
locali assicurano nell’ambito delle rispettive competenze, nel rispetto delle
esigenze della salute, della sicurezza pubblica e della tutela dell’ambiente”.
In attuazione della l.59/1997 è stato emanato il d.lgs 112/1998, che ha proceduto
ad operare il conferimento di funzioni e compiti. Le materie interessate dal
conferimento sono: sviluppo economico e attività produttive, territorio, ambiente e
infrastrutture, servizi alla persona e alla comunità, polizia amministrativa regionale
e locale.
Il conferimento comprende anche le funzioni di organizzazione e le attività
connesse e strumentali all’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti, quali fra
gli altri, quelli di programmazione, di vigilanza, di accesso al credito, di polizia
amministrativa, nonché l’adozione di provvedimenti contingibili e urgenti previsti
dalla legge (Art.1 comma 2 D.Lgs 112/1998).
La c.d. legge Bassanini (L.59/1997), riformando l’amministrazione a Costituzione
invariata, non poteva ampliare la potestà legislativa della regione, ma soltanto
incidere sui suoi compiti amministrativi.
Al fine di rispettare, o recuperare, il parallelismo tra funzioni amministrative e
funzioni legislative all’art.2 prevedeva che “la disciplina legislativa delle funzioni e
dei compiti conferiti alle regioni ai sensi della presente legge spetta alle regioni
quando è riconducibile alle materie di cui all’art.117, primo comma, della
Costituzione. Nelle restanti materie spetta alle regioni il potere di emanare norme
attuative ai sensi dell’art. 117, secondo comma della Costituzione”.
L’art.5 D.Lgs 112/98, prevede un potere sostitutivo in relazione alle funzioni e ai
compiti spettanti alle regioni e agli enti locali “in caso di accertata inattività che
comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione
europea o pericolo di grave pregiudizio agli interessi nazionali”.
Il nuovo testo dell’art.120 Cost. disciplina il potere sostitutivo del governo nei
confronti degli “organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei
comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della
normativa comunitaria oppure di grave pericolo per l’incolumità e la sicurezza
pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’utilità
46
economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi
locali”. Ai sensi dell’ultimo comma, la legge “definisce le procedure atte a
garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto de principio di
sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
Le disposizioni attuative sono state poste dall’art.8, legge 131/2003, che introduce
tra l’altro i seguenti principi: i provvedimenti sostitutivi devono essere
proporzionati alle finalità perseguite, all’ente interessato deve essere assegnato
un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari, decorso
inutilmente il quale il Governo adotta i provvedimenti necessari, anche normativi,
ovvero nomina un apposito commissario.
La normativa prevedeva che il decentramento avvenisse anche da parte delle
regioni a favore di province, comuni e altri enti locali.
L’art. 4 comma 1 legge 59/1997 stabilisce che la regione conferisca a tali ultimi
enti “tutte le funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”.
Ai sensi del comma 5 di tale legge “ciascuna regione adotta, entro sei mesi
dall’emanazione di ciascun decreto legislativo, la legge di puntuale individuazione
delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo
alla regione stessa. Qualora la regione non provveda entro il termine indicato, il
governo è delegato a emanare, entro i successivi novanta giorni, sentite le regioni
inadempienti, uno o più decreti legislativi di ripartizione di funzioni tra regioni ed
enti locali, le cui disposizioni si applicano fino alla data di entrata in vigore della
legge regionale”.
La riforma “Bassanini” si occupa anche dei già citati poteri di indirizzo, di
coordinamento e di direttiva, stabilendo che “gli atti di indirizzo e
coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento
tecnico, nonché le direttive relative all’esercizio delle funzioni delegate, sono
adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione
interessata”.
47
La delega è stata esercitata con D.Lgs 281/1997, il quale disciplina i compiti della
Conferenza Stato-regioni, della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali e della
Conferenza unificata.
In ordine al potere di annullamento governativo degli atti amministrativi regionali,
deve essere ricordato che a garanzia dell’autonomia costituzionalmente
riconosciuta alle regioni, il potere di annullamento da parte del governo non è
esercitatile nei confronti degli atti amministrativi regionali (a seguito di
dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale dell’art. 2 comma 3
lettera p della L.400/1988).
Ai sensi dell’art.125 Cost. gli atti amministrativi delle regioni erano soggetti al
controllo di legittimità esercitato da un organo dello Stato.
Oggi l’art. 125 Cost è stato abrogato dalla L.cost. 3/2001 e l’opinione dominante è
nel senso che i controlli in esame siano stati eliminati.
Ai sensi dell’art. 3 comma 4 della Legge 20/1994, il controllo sulla gestione del
bilancio e del patrimonio esercitato dalla Corte dei conti anche nei confronti
delle amministrazioni regionali “concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti
dalle leggi di principio e di programma”.
Per quanto attiene il controllo sugli organi, l’art.126 Cost. come sostituito dalla
L.Cost. 1/1999, prevede la possibilità che il consiglio regionale venga sciolto
(potere mai esercitato fino ad oggi) e il presidente della giunta rimosso con
decreto del Presidente della Repubblica, sentita una commissione di deputati e
senatori costituita per le questioni regionali, quando abbiano compiuto atti contrari
alla Costituzione o gravi violazioni di legge.
Lo scioglimento e la rimozione possono essere disposti anche per ragioni di
sicurezza nazionale, per l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del
presidente della giunta eletto a suffragio universale diretto, nonché la rimozione,
l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso
comportano le dimissioni della giunta e lo scioglimento del consiglio. I medesimi
effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il
consiglio.
In ordine ai rapporti finanziari tra Stato e regione, ai sensi dell’art. 199 Cost. le
regioni, così come comuni, province e città metropolitane, hanno autonomia
finanziaria “di entrata e di spesa”. Esse “stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al
gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”.
Le regioni e gli enti locali possono ricorrere all’indebitamento “solo per finanziare
spese di investimento”, escludendosi “ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli
stessi contratti”.
La regione ha un bilancio autonomo rispetto a quello statale. Il D.lgs. 76/2000,
chiarito che “la finanza regionale concorre con la finanza statale e locale al
perseguimento degli obiettivi di convergenza e di stabilità derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alla Comunità europea ed opera in coerenza con i
vincoli che ne derivano in ambito nazionale” (patto di stabilità), adegua il sistema
contabile delle regioni a quello dello Stato.
La regione dispone infine di un proprio patrimonio.
L’organizzazione regionale.
Il consiglio regionale esercita le potestà legislative e le altre funzioni ad esso
conferite dalla Costituzione e dalle leggi.
La giunta regionale è l’organo esecutivo, esercita potestà regolamentare e
dispone anche di poteri di impulso e di iniziativa legislativa.
Il presidente della giunta regionale rappresenta la regione; dirige la politica
della giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti
48
regionali; dirige le funzioni amministrative delegate ed emana i regolamenti
regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione,
conformandosi alle istruzioni del governo della Repubblica (art.121 Cost.).
Ai sensi dell’art.123 Cost. la forma di governo di ciascuna regione è determinata
dallo statuto.
Il presidente della giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto (salvo
che lo statuto disponga diversamente); il presidente nomina e revoca i componenti
della giunta.
Sul piano della legislazione ordinaria, l’art.4 del T.U. enti locali, consente alla
regione di organizzare l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale
attraverso i comuni e le province.
Atteso che la regione dispone pure di funzioni amministrative, esiste anche un
apparato amministrativo regionale, che si distingue in centrale e periferico.
La regione può avvalersi anche di enti dipendenti, che si caratterizzano anche e
soprattutto sotto il profilo squisitamente strutturale come uffici regionali entificati,
ai quali residua in linea di massima una ridotta autonomia (un esempio è costituito
dai consorzi di bonifica).
Tra i soggetti di diritto pubblico operanti nell’ambito dell’organizzazione regionale,
particolarmente importanti sono le aziende sanitarie locali, aventi il compito di
assicurare livelli di assistenza sanitaria uniforme nel proprio ambito territoriale,
qualificate come aziende dotate di personalità giuridica pubblica e di autonomia
organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Le regioni possono assumere partecipazioni in società finanziarie regionali il
cui oggetto rientri nelle materie regionali. In particolare, le società finanziarie
regionali sono state create con lo scopo di porre a disposizione degli imprenditori
operanti nell’ambito delle regioni aiuti finanziari, nonché servizi, assistenza,
consulenza e sostegno.
L’art. 16 della Legge 127/1997 prevede la presenza di difensori civici regionali.
50
L’art. 19 attribuisce a tale ente le funzioni amministrative di interesse provinciale,
che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale, relative ad
una serie di settori specifici e tassativamente indicati.
Le province, alla luce dell’art. 118 Cost., sono riconosciute come titolari di funzioni
amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo
le rispettive competenze.
La provincia assume particolare rilievo anche nel settore ambientale: la l.61/1994
stabilisce che le regioni devono provvedere ai sensi dell’art.3 L.142/1990 (ora art.4
T.U.) all’organica ricomposizione in capo alle province delle funzioni
amministrative in materia ambientale e che, in attesa di tali leggi regionali, le
province esercitano le funzioni amministrative di autorizzazione e controllo per la
salvaguardia dell’igiene dell’ambiente già di competenza delle unità sanitarie
locali.
Gli artt. 19 e 20 T.U. affidano altresì alla provincia compiti in tema di promozione e
coordinamento di attività e di realizzazione di “opere di rilevante interesse
provinciale sia nel settore economico , produttivo, commerciale e turistico, sia in
quello sociale, culturale e sportivo”, nonché compiti di programmazione e
pianificazione territoriale.
51
partecipazione del consiglio alla definizione, all’adeguamento e alla verifica
periodica delle linee programmatiche.
I consigli provinciali e i consigli comunali dei comuni con popolazione superiore ai
15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i consiglieri nella prima
seduta, cui sono attribuiti autonomi poteri di convocazione e di direzione dei lavori
e delle attività del consiglio (per i restanti comuni la figura del presidente può
essere prevista dallo statuto; in caso contrario la presidenza spetta al sindaco). Il
consiglio si avvale, quando lo prevede lo statuto, di commissioni costituite nel
proprio seno con criterio proporzionale. Il funzionamento dei consigli è disciplinato
con regolamento approvato a maggioranza assoluta e sottratto al controllo
preventivo di legittimità.
I consigli sono dotati di autonomia funzionale e organizzativa. Lo statuto disciplina
i casi di decadenza per la mancata partecipazione e le relative procedure e
individua le “forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, prevedendo
l’attribuzione alle opposizioni della presidenza di commissioni consiliari aventi
funzione di controllo o di garanzia, ove costituite”.
La giunta comunale (e la giunta provinciale) è l’organo a competenza
residuale. Essa collabora con il sindaco o con il presidente della provincia
nell’amministrazione del comune o della provincia, attua gli indirizzi generali del
consiglio e svolge attività propositiva e di impulso nei confronti del consiglio. Il
sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui
un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella
prima seduta successiva alla elezione. Di rilievo è il compito consistente
nell’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto
dei criteri generali stabiliti dal consiglio. Tale regolamento disciplina anche le
dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e
le modalità concorsuali.
L’art. 53 L.388/2000 e succ. mod. ammette che negli enti locali con popolazione
inferiore ai 5000 abitanti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, il
regolamento degli uffici e dei servizi preveda l’attribuzione ai “componenti
dell’organo esecutivo” della “responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di
adottare atti anche di natura tecnica gestionale”.
Ai sensi dell’art.90 T.U. alle dirette dipendenze del sindaco (o del presidente della
provincia), della giunta o degli assessori possono essere costituiti, ove previsti dal
regolamento degli uffici e dei servizi, “uffici di supporto” per l’esercizio delle
funzioni di indirizzo e di controllo.
Il numero degli assessori, comunque non superiore a un terzo del numero dei
consiglieri, è fissato dallo statuto, il quale può anche limitarsi ad individuarne il
massimo. Nei comuni con popolazione superiore ai 15000 abitanti e nelle province
gli assessori sono nominati anche al di fuori dei componenti il consiglio. Sindaco e
presidente possono anche revocare gli assessori, dandone motivata
comunicazione al consiglio. In caso di approvazione della mozione di sfiducia nei
confronti del sindaco (o del presidente della provincia) e della giunta, il sindaco, il
presidente della giunta e le rispettive giunte cessano dalla carica e si procede allo
scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario. La giunta decade pure
nel caso di dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso
del sindaco o del presidente della provincia (in tale ipotesi si procede altresì allo
scioglimento del consiglio, ma consiglio e giunta rimangono in carica sino alla
elezione del nuovo sindaco o presidente della provincia; sino alle elezioni, le
funzioni del sindaco e del presidente della provincia sono svolte dal vicesindaco o
dal vicepresidente). Lo scioglimento del consiglio determina in ogni caso la
decadenza del sindaco o del presidente della provincia, nonché delle relative
giunte.
52
Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti a suffragio universale e diretto
dai cittadini.
Nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti l’elezione dei consiglieri
comunali si effettua con il sistema maggioritario; il sindaco viene eletto
contestualmente e la sua candidatura è collegata a una lista di candidati alla
carica di consigliere; è eletto sindaco il candidato che abbia ottenuto il maggior
numero di voti, mentre in caso di parità di voti si procede al ballottaggio tra i due
candidati cha abbiano ottenuto il maggior numero di voti; alla lista collegata al
candidato eletto sindaco sono attribuiti i due terzi dei seggi consiliari, mentre i
restanti seggi sono ripartiti secondo un criterio proporzionale tra le liste.
Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti è previsto un sistema
proporzionale con un premio di maggioranza; il sindaco è eletto con un doppio
turno elettorale, con un ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il
maggior numero di voti, salvo il caso in cui nella prima tornata un candidato abbia
ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (in questo caso tale candidato è eletto
sindaco e alla lista a lui collegata viene assegnato il 60 % se ha ottenuto almeno il
40 % dei voti validi e se nessuna altra lista abbia superato il 50 % dei voti validi).
Il sindaco, dopo la proclamazione, giura dinanzi al consiglio.
L’elezione del presidente della provincia è a suffragio universale e diretto, con
doppio turno e ballottaggio tra i due candidati che abbiano ottenuto il maggior
numero di voti, sempre che un candidato non abbia ottenuto la maggioranza
assoluta dei voti validi.
L’elezione del consiglio provinciale avviene sulla base di collegi uninominali: al
gruppo o ai gruppi di candidati collegati al candidato eletto presidente è
comunque assegnato il 60% dei seggi, mentre i restanti sono attribuiti
proporzionalmente agli altri gruppi di candidati.
I dirigenti, i quali svolgono la propria attività sulla base di incarichi a tempo
determinato, sono responsabili, in relazione agli obiettivi dell’ente, della
correttezza amministrativa e dell’efficienza della gestione ed hanno tutti i compiti
di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo adottati
dall’organo politico: ad essi spetta in particolare l’adozione dei provvedimenti “in
attuazione degli obiettivi”, nonché la direzione degli uffici e dei servizi secondo i
criteri e le norme dettate dagli statuti e dai regolamenti. Ai dirigenti è attribuita la
gestione amministrativa, finanziaria e tecnica “mediante autonomi poteri di spesa,
di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. I dirigenti, sulla
base dello statuto e del regolamento, possono esercitare funzioni delegate dal
sindaco.
L’art. 108 infine, ammette che il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai
15000 abitanti e il presidente dalla provincia, previa deliberazione della giunta
comunale o provinciale, possano nominare, secondo criteri stabiliti dal
regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi, un direttore generale al
di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato. Egli può
essere revocato dal sindaco (o dal presidente) previa deliberazione della giunta.
La durata del suo incarico non può eccedere quella del mandato del sindaco o del
presidente: tale organo costituisce quindi una sorta di fiduciario del sindaco,
incaricato di gestire i collegamenti tra livello politico e livello gestionale; più in
particolare, il direttore provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli
organi di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal
presidente della provincia e sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo
obiettivi ottimali di efficacia e di efficienza (in particolare, esso predispone un
piano dettagliato di obiettivi e propone il piano esecutivo di gestione, che la
giunta, sulla base del bilancio di previsione annuale, deve definire prima dell’inizio
dell’esercizio).
53
Nei comuni con popolazione inferiore ai 15000 abitanti è consentito procedere alla
nomina del direttore generale previa stipula di convenzioni tra comuni, le cui
popolazioni assommate raggiungano i 15000 abitanti.
Al vertice della struttura burocratica dell’ente locale era tradizionalmente collocato
il segretario, organo alle dipendenze dello Stato e nominato dall’amministrazione
degli interni. Con la riforma del T.U. tale organo, pur legato da un rapporto
funzionale con l’ente a tempo determinato, dipende da apposita agenzia avente
personalità giuridica di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza del ministero
dell’interno, ed è nominato dal sindaco (o dal presidente della provincia) tra gli
iscritti in apposito albo, per la durata del mandato di sindaco (o del presidente
della provincia). Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del
sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per
violazione dei doveri d’ufficio. I poteri disciplinari sono invece attribuiti all’agenzia.
Il nuovo sindaco (o presidente) può riconfermare il segretario, ovvero nominarne
uno nuovo non prima di sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dal suo
insediamento; decorso il termine di centoventi giorni senza nuova nomina, il
precedente segretario è confermato.
Il segretario non confermato, revocato o comunque privo di incarico è collocato in
posizione di disponibilità per la durata massima di 4 anni, decorsi i quali senza
avere preso servizio in altra sede viene collocato d’ufficio in mobilità presso altre
amministrazioni.
Il segretario “svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-
amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità
dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti” (art.97 T.U.).
Tale organo partecipa, con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle
riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione; può rogare tutti i
contratti nei quali l’ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali
nell’interesse dell’ente; esercita inoltre ogni altra funzione attribuitagli dallo
statuto e dai regolamenti, oppure conferitagli dal sindaco o dal presidente della
provincia.
Il segretario, in relazione alle sue competenze, rende il parere di regolarità
tecnico-contabile sulle proposte di deliberazione sottoposte alla giunta ed al
consiglio allorché l’ente non abbia funzionari responsabili dei relativi servizi.
Il segretario non può trovarsi in posizione subordinata rispetto al direttore
generale, anche perché le funzioni svolte sono tendenzialmente differenti: al
segretario spetta garantire la legittimità, l’economicità e l’efficacia dell’azione
amministrativa; il direttore è responsabile dell’attività gestionale in ordine al
raggiungimento degli obiettivi dell’ente.
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Le cause di scioglimento, relative a situazioni di grave deviazione funzionale
dell’organo, sono:
a) il compimento di atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni
di legge, gravi motivi di ordine pubblico;
b) l’impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei
servizi per dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza,
decesso del sindaco o del presidente della provincia, per cessazione dalla
carica per dimissioni di almeno la metà più uno dei consiglieri (le dimissioni
debbono essere contestuali ovvero presentate contemporaneamente al
protocollo, al fine di rendere evidente la volontà della maggioranza di
dissolvere l’organo), riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di
surroga alla metà dei componenti il consiglio;
c) la mancata approvazione del bilancio nei termini (in questa ultima ipotesi è
prevista la nomina di un commissario).
56
di funzioni di loro competenza” (art.32). Una particolare forma di unione è
costituita dalla comunità montana.
Le unioni possono essere promosse dalla regione “senza alcun vincolo alla
successiva fusione” (art. 33).
L’art. 33, nello stabilire i principi fondamentali ai quali dovranno attenersi le leggi
regionali chiamate a disciplinare le forme di incentivazione dell’esercizio
associato delle funzioni da parte dei comuni, afferma che occorre prevedere
“una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di fusione e di unione, rispetto alle
altre forme di gestione sovracomunale”.
Le forme associative previste dal T.U. possono essere ordinate come segue:
- accordi di programma, per la definizione e l’attuazione di opere e di
interventi (art.34);
- convenzioni, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi
determinati (art.30);
- uffici comuni, istituiti mediante convenzione, ai quali affidare
l’esercizio delle funzioni pubbliche – e non già dei servizi - , spogliandosi così
del compito di gestione diretta;
- delega, (ad un solo ente dell’esercizio delle funzioni);
- consorzi (soggetti distinti dagli enti che li costituiscono per la
gestione associata di uno o più servizi e per l’esercizio di funzioni);
- esercizio associato di funzioni e servizi;
- unioni di comuni (che danno luogo alla creazione di un ente locale).
L’ordinamento consente per i comuni con popolazione tra i 30.000 ed i 100.000
abitanti l’articolazione del territorio comunale in circoscrizioni, definite come
“organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione dei servizi di base,
nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune”.
L’articolazione in circoscrizioni è obbligatoria per i comuni con popolazione
superiore ai 100.000 abitanti. Nei comuni con popolazione superiore ai 300.000
abitanti lo statuto può prevedere particolare e più accentuate forme di
decentramento e di autonomia.
Lo statuto disciplina le forme di elezione, organizzazione e le funzioni della
circoscrizione.
L’art. 53 T.U. enti locali consente al sindaco di delegare ad un consigliere
comunale l’esercizio delle funzioni di ufficiale del governo nei quartieri o nelle
frazioni.
58
Capitolo V
Situazioni giuridiche soggettive e loro vicende
Premessa. Qualità giuridiche, status, capacità e situazioni
giuridiche.
Una delle funzioni essenziali dell’ordinamento giuridico è quella di risolvere
conflitti di interessi intersoggettivi. Gli interessi sono aspirazioni dei soggetti
verso i beni ritenuti idonei a soddisfare bisogni.
“Situazione giuridica soggettiva” è la concreta situazione di cui è titolare un
soggetto dall’ordinamento con riferimento al bene che costituisce oggetto
dell’interesse.
Le situazioni sono svariate: diritto soggettivo, interesse legittimo, potere, obbligo e
dovere.
Ogni soggetto del diritto costituisce sul piano dell’ordinamento giuridico un centro
di riferimento di una serie di situazioni e rapporti giuridici.
I “modi di essere giuridicamente definiti di una persona, di una cosa, di un
rapporto giuridico, di cui l’ordinamento giuridico faccia altrettanti presupposti per
l’applicabilità di disposizioni generali o particolari alla persona, alla cosa, al
rapporto” si definiscono qualità giuridiche. Si pensi alla qualità di coniugato con
prole, presupposto per l’applicazione della disciplina in tema di assegni di famiglia.
Le situazioni giuridiche sono i concreti modi di essere giuridici di un soggetto in
ordine a interessi protetti dall’ordinamento. La totalità delle stesse e i rapporti
imputabili ai soggetti ne definiscono la soggettività e formano la sua sfera
giuridica, la quale è riconducibile ad unità proprio attraverso il riferimento al suo
titolare.
Gli status sono le qualità attinenti alla persona che globalmente derivano dalla sua
appartenenza necessaria o volontaria ad un gruppo e rappresentano il
presupposto per l’applicazione al soggetto di una serie di norme.
La riferibilità effettiva di situazioni giuridiche ad un soggetto presuppone la
idoneità di questo ad esserne titolare. Tale idoneità è la capacità giuridica
riconosciuta dall’ordinamento ai propri soggetti; soltanto in presenza di essa
vengono dunque conferite dall’ordinamento stesso le situazioni giuridiche.
L’amministrazione ha una capacità giuridica in ordine ai poteri di diritto comune
meno estesa di quella delle persone fisiche, non comprendendo ad esempio la
idoneità ad essere titolari di situazioni strettamente collegate alla natura propria
dell’individuo. Inoltre, numerose disposizioni di legge escludono la possibilità per
alcuni enti di compiere talune attività di diritto comune, ovvero di contrattare con
soggetti diversi da quelli espressamente indicati dalla legge.
L’ente pubblico ha la capacità giuridica e quindi può impiegare gli strumenti del
diritto privato salva diversa disposizione di legge.
Dalla capacità giuridica si distingue la capacità d’agire, che consiste nella
idoneità a gestire le vicende delle situazioni giuridiche di cui il soggetto è titolare e
che si acquista con il compimento del diciottesimo anno di età, salvo che la legge
non stabilisca un’età diversa (art. 2 Cod. Civ.).
Si discute se la capacità d’agire possa essere riferita direttamente all’ente, ovvero
sia esclusiva della persona fisica preposta all’organo che fa agire l’ente.
In linea di principio, capacità giuridica e capacità d’agire non sorgono
contemporaneamente in quanto, per le persone fisiche, la capacità di d’agire si
acquista con il raggiungimento della maggiore età, e, comunque, possono non
sussistere contestualmente in capo allo stesso soggetto.
Nel diritto amministrativo, tuttavia, con riferimento alle persone fisiche la capacità
di agire è di norma strettamente connessa con la capacità giuridica, nel senso che
59
si dispone della seconda in quanto si abbia l’idoneità a gestire le vicende delle
situazioni giuridiche, escludendosi la possibilità che le situazioni siano esercitate
da soggetti diversi dai titolari (un esempio è quello del diritto di elettorato attivo,
che spetta solo ai maggiorenni che possono esercitarlo).
La capacità di agire, differisce poi dalla legittimazione ad agire, la quale si
riferisce invece a situazioni specifiche e concrete (attive o passive), effettivamente
sussistenti, ed ai singoli rapporti: ad esempio, il soggetto ha la capacità di agire in
relazione al potere di intervento nei procedimenti amministrativi ai sensi della
legge 241/90, ma ha la legittimazione ad agire soltanto se in concreto sia
pendente un procedimento che coinvolga i suoi interessi.
60
La legge, fonte dell’ordinamento generale, deve individuare tutti gli elementi del
potere (in particolare il soggetto al quale esso è attribuito, l’oggetto, il contenuto,
la forma con cui dovrà essere esercitato e l’interesse da perseguire).
Le norme che, attribuendo poteri, riconoscono interessi pubblici “vincenti” su
quelli privati, sono norme di relazione, caratterizzate cioè dal fatto di risolvere
conflitti intersoggettivi di interessi.
Il dovere è un vincolo giuridico a tenere un dato comportamento positivo (fare) o
negativo (non fare): si noti che anche l’amministrazione è soggetta ai doveri propri
di tutti i soggetti dell’ordinamento. In particolare essa deve osservare il dovere di
buona fede e correttezza, nonché quello di rispettare i diritti altrui, presupposto
dall’art. 2043 c.c.
La necessità di tenere un comportamento correlata al diritto altrui si versa nella
situazione di obbligo, che è appunto il vincolo del comportamento del soggetto in
vista di uno specifico interesse di chi è il titolare della situazione di vantaggio (si
pensi al diritto di credito, connesso all’obbligazione del debitore).
L’amministrazione può essere soggetta ad obblighi, ad esempio nel caso di un
rapporto contrattuale, o in caso di commissione di illecito, o in forza di una legge o
di un atto amministrativo.
L’interesse legittimo.
L’ordinamento generale riconosce prevalenza agli interessi che possono entrare in
conflitto tra di loro attribuendo di volta in volta diritti (se prevale l’interesse del
soggetto privato), ovvero poteri amministrativi (quando prevalga l’interesse
pubblico), i quali ultimi consentono di produrre vicende giuridiche in ordine a
situazioni dei terzi.
Nei confronti dell’esercizio del potere, il privato si trova in uno stato di soggezione.
Accanto alla disciplina che attribuisce il potere, vi è quella che regolamenta
l’esercizio in concreto dello stesso (norme di azione). Il momento dell’esercizio
non è infatti lasciato all’arbitrio dell’amministrazione, ma è retto da una serie di
disposizioni spesso molto puntuali.
Il potere deve essere esercitato in vista dell’interesse pubblico coerentemente al
principio di funzionalizzazione che informa tutta l’attività amministrativa.
La pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa è l’interesse legittimo.
L’interesse legittimo può essere definito come la situazione soggettiva di
vantaggio costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si attua non
direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed
immediata di un altro interesse del soggetto, meramente strumentale, alla
legittimità dell’atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale
interesse strumentale.
L’interesse legittimo è menzionato dalla Costituzione in 3 norme: l’art. 24, ove è
accostato al diritto soggettivo, garantendone la tutela giurisdizionale; l’art. 103,
nell’ambito del quale è contemplato come oggetto principale dalla giurisdizione
amministrativa; l’art. 113 Cost., ove si precisa che la sua tutela è sempre
ammessa contro gli atti della pubblica amministrazione.
Tra i poteri riconosciuti al titolare dell’interesse legittimo si possono ricordare, in
primo luogo, i tradizionali poteri di reazione: il loro esercizio si concretizza nei
ricorsi amministrativi e nei ricorsi giurisdizionali, volti ad ottenere l’annullamento
dell’atto amministrativo.
Accanto a quelli ora descritti possiamo poi aggiungere i poteri di partecipare al
procedimento amministrativo: i documenti e le osservazioni che rappresentano il
punto di vista del cittadino devono essere presi in considerazione
dall’amministrazione procedente. Il titolare può così stimolare l’azione
amministrativa, instaurando un dialogo che si conclude con l’emanazione del
provvedimento.
61
Tra i poteri che sono collegati alla titolarità di un interesse legittimo vi è infine
quello di accedere ai documenti della pubblica amministrazione: l’art. 22
L.241/90 ammette, infatti, siffatta possibilità per i portatori di interessi
giuridicamente rilevanti, nozione questa che ricomprende sicuramente l’interesse
legittimo.
Peculiare categoria è quella degli interessi procedimentali, che avrebbero la
caratteristica di attenere a “fatti procedimentali”. Questi hanno un campo d’azione
assai più ampio di quello dell’interesse legittimo. L’interesse legittimo, in ogni
caso, sorge quando la soddisfazione del suo interesse dipende dall’esercizio di un
potere (e non quando un soggetto venga in qualche modo implicato dall’esercizio
di un potere).
L’interesse procedimentale risulta spesso sfornito di tutela effettiva, non
potendosi ricorrere al giudice per la sua violazione, a differenza di quanto invece
accade nell’ipotesi di titolarità di interesse legittimo.
62
L’interesse legittimo non nasce dalla trasformazione di un diritto, ma è situazione
distinta e non omogenea.
Tra diritti “non degradabili”, cioè non assoggettabili ad un potere amministrativo,
l’interesse del privato risulterebbe sempre vincente.
Non sussistono situazioni intermedie tra diritto soggettivo e interesse legittimo:
inconsistente è la figura del diritto affievolito.
Va esclusa dal novero delle situazioni giuridiche la facoltà, che è la possibilità di
tenere un certo comportamento materiale: essa costituisce una delle forme di
estrinsecazione del diritto e non produce modificazioni giuridiche.
L’aspettativa è la situazione in cui versa un soggetto nelle more del
completamento della fattispecie costitutiva di una situazione di vantaggio (diritto,
potere). Essa, non essendo tutelata in via assoluta, non è un diritto. In alcuni casi,
tuttavia, l’ordinamento protegge la possibilità del soggetto privato – che parla da
una situazione di base che diritto non è – di conseguire un diritto (c.d. chance): più
in particolare, la legge accorda talora la tutela risarcitoria nelle ipotesi di lesione di
questa possibilità ad opera di una pubblica amministrazione.
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un potere che è appunto la possibilità di produrre effetti riconosciuti
dall’ordinamento, mediante provvedimenti amministrativi.
Può trattarsi della costituzione di diritti (concessioni) o di obblighi (ordini), della
modificazione di preesistenti situazioni soggettive (ad esempio le autorizzazioni),
ovvero della estinzione di situazioni giuridiche (espropriazione). L’esercizio di
alcuni poteri amministrativi produce invece effetti preclusivi.
In ordine alla dinamica norma-potere-effetto, deve essere osservato che la Corte
costituzionale, con sentenza 13/1962, ha riconosciuto il principio del giusto
procedimento, il quale richiede che per la realizzazione dell’effetto sia
previamente attribuito all’amministrazione un potere il cui esercizio produce la
vicenda giuridica.
I poteri concessori.
L’esercizio dei poteri concessori, a fronte dei quali il destinatario si presenta
come titolare di interessi legittimi pretesivi, produce l’effetto di attribuire al
destinatario medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che esulavano dalla
sua sfera giuridica in quanto precedentemente egli non ne era titolare.
Esistono molteplici esempi di concessioni: la concessione di uso di beni, la
concessione di esercizio di servizi pubblici, la concessione della cittadinanza, la
concessione del sistema di riscossione, la concessione di costruzione e gestione di
opere pubbliche.
In ordine alle concessioni di beni e di servizi pubblici, accanto al provvedimento
con il quale si esercita il potere concessorio amministrativo, si può individuare una
66
convezione bilaterale di diritto privato (detta concessione-contratto) finalizzata
a dar assetto ai rapporti patrimoniali tra concessionario e concedente. I due atti
sono strettamente legati, nel senso che l’annullamento della concessione travolge
il contratto, e quindi la permanenza del rapporto contrattuale è condizionata dalla
vigenza del provvedimento concessorio.
La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo
all’amministrazione (si pensi alla concessione di servizi pubblici) sicché esso è
“trasmesso” al privato, mentre è costitutiva nei casi in cui il diritto attribuito è
totalmente nuovo, nel senso che l’amministrazione non poteva averne la titolarità
(sarebbe tale la concessione di cittadinanza o di onorificenze).
Non è trasmissibile (o suscettibile di essere costituito mediante atto) il potere,
quindi non è corretto affermare che l’amministrazione trasferisce un potere al
privato: il soggetto pubblico può soltanto consentirne l’esercizio al concessionario.
Per quanto riguarda la concessione di opere pubbliche la legislazione, sulla
scorta dell’influenza comunitaria, mira ad equipararle all’appalto, o almeno a
limitare la discrezionalità di cui gode l’amministrazione chiamata a rilasciarle, al
fine di evitare che l’amministrazione possa svincolarsi dalle regole poste a tutela
della concorrenza. Non a caso la legislazione definisce tali concessioni come
“contratti”.
In passato era prevista la concessione di servizi pubblici che ricorreva quando
l’ordinamento intendeva garantire alla collettività alcune prestazioni ed attività e
consentiva all’amministrazione di affidarne lo svolgimento a soggetti privati
mediante un provvedimento concessorio. Attualmente questo tipo di concessione
è stato eliminato in relazione ai servizi pubblici locali a carattere industriale.
Nei provvedimenti concessori rientrano le sovvenzioni, che attribuiscono al
destinatario vantaggi economici. La categoria è disciplinata dall’art.12 della legge
241/90, che si riferisce a “sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari”,
nonché, appunto, all’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a
persone ed enti pubblici e privati.
In generale, le sovvenzioni riguardano lo svolgimento di attività imprenditoriali, i
contributi attengono ad attività colturali o sportive, mentre i sussidi sono
attribuzioni rientranti nella beneficenza generale. Il vantaggio può essere diretto
(erogazione di somme) o indiretto (sgravi da alcuni oneri) e non sussiste l’obbligo
in capo al beneficiario di pagare alcun corrispettivo.
L’art.12 L.241/90 prevede che, nelle forme prescritte dai rispettivi ordinamenti,
vengano predeterminati e pubblicati “criteri e modalità cui le amministrazioni
devono attenersi” il cui rispetto dovrà emergere dalla motivazione del
provvedimento.
I poteri ablatori.
I poteri ablatori incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario.
Essi hanno segno opposto rispetto a quelli concessori, nel senso che impongono
obblighi, ovvero sottraggono situazioni favorevoli in precedenza pertinenti al
privato, attribuendole di norma, ma non necessariamente, all’amministrazione
(ablatori reali).
Il destinatario si presenta come titolare di interessi legittimi oppositivi.
L’effetto ablatorio può incidere su diritti reali, diritti personali o su obblighi a
rilevanza patrimoniale.
Tra i provvedimenti ablatori reali vengono in evidenza le espropriazioni, le
occupazioni, le requisizioni, le confische e i sequestri.
L’espropriazione è il provvedimento che ha l’effetto di costituire un diritto di
proprietà o altro diritto reale in capo ad un soggetto (detto espropriante: non
necessariamente si tratta dell’amministrazione che emana il provvedimento),
previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto (espropriato) al fine di
67
consentire la realizzazione di un’opera pubblica o per altri motivi di pubblico
interesse e dietro versamento di indennizzo ai sensi dell’art. 42 comma 3 Cost. La
disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità è contenuta nel testo unico di cui
al d.P.R. 327/2001 e succ. mod.
Secondo la Corte Costituzionale l’indennizzo non deve necessariamente
corrispondere al valore di mercato del bene, ma deve costituire un “serio ristoro”.
La legge prevede anche la possibilità di procedere all’occupazione temporanea
di alcuni beni. In passato l’ipotesi più rilevante era costituita dall’occupazione
d’urgenza e riguardava il possesso delle cose destinate all’espropriazione, purché
fosse pagato un indennizzo e l’opera da realizzare a seguito dell’espropriazione
fosse dichiarata indifferibile e urgente. Nel caso in cui l’immobile venisse
irreversibilmente trasformato, anche se l’amministrazione non riusciva a
concludere nei termini il procedimento espropriativi si produceva comunque
l’acquisto della proprietà di esso a favore dell’amministrazione, che però era
tenuta a risarcire il danno, ed al privato era preclusa la possibilità di ottenere la
restituzione del bene.
Attualmente il T.U. citato disciplina l’istituto dell’ “occupazione anticipata” che
conferma tale indirizzo.
Può inoltre verificarsi l’ipotesi di occupazione usurpativa, caratterizzata dalla
realizzazione dell’opera in mancanza di dichiarazione di pubblica utilità (l’art.43
T.U. sulle espropriazioni per pubblica utilità prevede che l’autorità che utilizza
senza titolo un bene per scopi di interesse pubblico “modificato in assenza del
valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità,
può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al
proprietario vadano risarciti i danni”).
L’art. 49 T.U. disciplina poi l’occupazione temporanea, che può essere disposta
quando ciò sia “necessario per la corretta esecuzione dei lavori”, prevedendo la
relativa indennità.
Le requisizioni sono provvedimenti mediante i quali l’amministrazione dispone
della proprietà o, comunque, utilizza un bene di un privato per soddisfare un
interesse pubblico.
L’ordinamento conosce alcuni esempi di requisizioni in proprietà che
riguardano soltanto le cose mobili e possono essere disposte, generalmente per
esigenze militari, dietro la corresponsione di un’indennità. La requisizione in
proprietà ha effetti irreversibili.
La requisizione in uso è un provvedimento che ha come presupposto l’urgente
necessità: essa riguarda sia mobili sia immobili e comporta la possibilità di poter
utilizzare il bene (che rimane in proprietà del titolare) per il tempo necessario e
pagando un’indennità.
I caratteri dell’urgenza, della temporaneità e dell’indennità valgono a differenziare
la requisizione in uso sia dall’espropriazione sia dalle ordinanze di necessità e
urgenza, che non aprono la via all’indennizzo.
Ai sensi dell’art.7 della Legge 2248/1865, “allorché per grave necessità pubblica
l’autorità amministrativa debba senza indugio disporre della proprietà privata…,
essa procederà con decreto motivato, senza però pregiudizio di diritti delle parti”:
tale norma è in generale ritenuta come disposizione applicabile ogni qualvolta
altra prescrizione conferisca all’amministrazione il potere di disporre della
proprietà del privato, imponendo di agire appunto mediante decreto motivato.
La confisca è un provvedimento ablatorio a carattere non già espropriativi, bensì
sanzionatorio ed è la misura conseguente alla commissione di un illecito
amministrativo: si pensi alla confisca di un immobile realizzato abusivamente.
Il sequestro è il provvedimento ablatorio di natura cautelare: esso mira in genere
a salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità del bene.
68
Alcuni provvedimenti ablatori incidono non solo sui diritti reali, ma sulla complessa
sfera giuridica del privato, privandolo di un diritto o di una facoltà.
Gli ordini hanno in particolare l’effetto di imporre un comportamento al
destinatario. Essi si distinguono in comandi (ordini di fare: ad esempio l’ordine di
demolire il manufatto abusivo) e divieti (ordini di non fare: ad esempio il divieto
di circolazione stradale), nonché in generali e particolari (se rivolti a tutti o a
persone in particolare).
Alcuni ordini si inseriscono in una relazione interorganica, dunque sono rivolti ai
dipendenti, non ai privati.
Dagli ordini si distinguono le direttive, che rispetto agli ordini presentano una
minore vincolatività.
La diffida consiste nel formale avvertimento ad osservare un obbligo che trova il
proprio fondamento in altro provvedimento o nella legge.
Esistono poi poteri ablatori caratterizzati dal fatto che impongono obblighi a
rilevanza patrimoniale che hanno come effetto la costituzione autoritativa di
rapporti obbligatori: si pensi ai provvedimenti sui prezzi e a tutti i casi di
prestazioni imposte.
I poteri sanzionatori.
Per sanzione si intende la conseguenza sfavorevole di un illecito applicata
coattivamente dallo Stato o da altro ente pubblico, cioè la misura retributiva
(inflazione di un male ritenuto maggiore rispetto al beneficio che dalla violazione
possa derivare) nei confronti del trasgressore.
Per illecito si intende la violazione di un precetto compiuta da un soggetto.
La sanzione ha carattere eminentemente afflittivo ed è la conseguenza di un
comportamento antigiuridico di un soggetto, di cui è diretta e immediata
conseguenza.
Non è sanzione la misura, di carattere preventivo e cautelare, che non presuppone
l’accertamento della violazione della legge, a meno che non sia fondata
sull’accertato pericolo della violazione stessa da parte del soggetto. Non è
sanzione la dichiarazione di nullità o la rimozione dell’atto invalido, perché la
reazione dell’ordinamento opera qui soltanto nei confronti dell’atto, mentre il
soggetto rimane estraneo alla diretta considerazione normativa. Non è sanzione la
reintegrazione, in qualsiasi forma, dello stato di cose antecedente alla
trasgressione, da cui esula qualsiasi finalità afflittiva.
Nella vigente legislazione non è definito il concetto di sanzione amministrativa.
Le sanzioni amministrative non hanno un contenuto loro peculiare, ma si possono
individuare soltanto in modo residuale, quali misure afflittive non consistenti in
sanzioni penali o in sanzioni civili.
La sanzione amministrativa può definirsi come la misura afflittiva non consistente
in una pena criminale o in una sanzione civile, irrogata nell’esercizio di potestà
amministrative come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto
in violazione di una norma o di un provvedimento amministrativo.
I principi generali della sanzione amministrativa vanno ricercati nella legislazione
ordinaria, costituita dalla Legge 689/1981, nella quale sono contenuti principi di
tipo garantistico modellati su quelli penalistici.
Essi operano sul piano delle fonti (principio di legalità), sul piano della successione
delle leggi nel tempo (principio di irretroattività), sul piano della interpretazione
(principio del divieto di analogia).
La sanzione amministrativa è il risultato dell’esercizio di un potere amministrativo.
La tassatività delle sanzioni è espressamente affermata dall’art.1 della Legge
689/1981. La recente Legge Cost.3/2001 di riforma del titolo V della parte II della
Costituzione non elenca le sanzioni tra le materie riservate allo Stato o alla potestà
legislativa concorrente.
69
La cosiddette sanzioni ripristinatorie colpiscono la res e mirano a reintegrare
l’interesse pubblico leso, mentre le sanzioni afflittive – le sole sanzioni in senso
proprio – si rivolgono direttamente all’autore dell’illecito.
Queste ultime si distinguono ulteriormente in sanzioni pecuniarie e sanzioni
interdittive (che incidono sull’attività del soggetto colpito).
Posizione a parte occupano le sanzioni disciplinari che si riferiscono ai soggetti
che si trovano in un peculiare rapporto con l’amministrazione.
Con riferimento alle sanzioni disciplinari cui sono assoggettabili i dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, va ricordato che il D.Lgs 165/2001 prevede una
regolamentazione specifica in tema di responsabilità disciplinare, stabilendo che ai
dipendenti presso le pubbliche amministrazioni si applicano l’art. 2106 c.c. e l’art.7
commi 1,5 e 8 della Legge 300/70 e devolvendo al giudice ordinario tutte le
controversie attinenti il rapporto di lavoro, comprese quelle in materia di sanzioni
disciplinari. L’art. 55 D.Lgs 165/2001 prevede che le tipologie delle infrazioni e
delle relative sanzioni siano definite dai contratti collettivi.
La legge contempla anche un gruppo di sanzioni amministrativa: le sanzioni
accessorie: come l’art. 20 L.689/81 che prevede alcune misure interdittive
consistenti nella privazione o nella sospensione di facoltà o diritti derivanti da
provvedimenti della pubblica amministrazione.
La violazione del precetto dà luogo all’illecito amministrativo, per il quale la legge
n.689/81 prevede una riserva di legge.
Per quanto attiene l’elemento psicologico, ai fini della sussistenza dell’illecito di
richiede il dolo o la colpa (la giurisprudenza, introducendo una sorta di inversione
dell’onere della prova, afferma che spetta al trasgressore la dimostrazione
dell’assenza della colpa).
Infine, l’ordinamento ha previsto alcune ipotesi di sanzioni pecuniarie inflitte a
persone giuridiche, riconosciute quindi direttamente responsabili.
70
Al fine di conservare alcuni beni immobili che presentano peculiari caratteristiche
ambientali, urbanistiche e così via, la legge attribuisce all’amministrazione il
potere di sottoporre gli stessi a vincolo amministrativo.
72
La riconduzione di un atto nella categoria degli atti amministrativi generale riveste
una certa importanza giacché essi (assieme agli atti normativi, a quelli di
pianificazione e di programmazione) sono sottratti alla disciplina della
partecipazione procedimentale e del diritto di accesso; inoltre, gli atti
amministrativi generali, come quelli normativi, non necessitano di motivazione.
Una particolare categoria di atti amministrativi generali è costituita dalle
autorizzazioni generali, conosciute dalla normativa sulla liberalizzazione dei
servizi, dal D.Lgs 196/2003 in materia di autorizzazione rilasciate dal Garante per
la protezione dei dati personali per intere categorie di titolari o di trattamenti e
dalla disciplina ambientale.
75
costituiscono esercizio di azione dell’amministrazione, ma ne disciplinano il
futuro svolgimento.
Vi sono atti, poi, che hanno natura mista, come ad esempio i piani regolatori
generali.
I regolamenti amministrativi.
I regolamenti si distinguono in regolamenti governativi, ministeriali e degli enti
pubblici, in base al soggetto e all’organo da cui provengono.
La disciplina dei regolamenti governativi è fissata dalla legge 400/1988.
Per la loro emanazione la legge richiede la deliberazione del Consiglio dei ministri,
sentito il parere del Consiglio di Stato, Emanati con decreto del Presidente della
Repubblica e sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti, essi sono
pubblicati nella Gazzetta ufficiale e debbono essere espressamente denominati
“regolamenti”.
L’art. 17 della Legge 400/1988 prevede diversi tipi di regolamenti governativi.
I regolamenti esecutivi rappresentano le fonti governative mediante le quali
sono poste norme di dettaglio rispetto alla legge o al decreto legislativo da
eseguire.
I regolamenti attuativi e integrativi rispetto alle leggi che pongono norme di
principio, possono essere adottati al di fuori delle materie riservate alla
competenza regionale.
I regolamenti indipendenti sono emanati per disciplinare le materie in cui
ancora manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge.
Vi sono poi i regolamenti che disciplinano l’organizzazione ed il
funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni
dettate dalla legge.
L’art. 17 comma 2 Legge 400/1988 disciplina i regolamenti di delegificazione
(con il termine delegificazione si intende l’attribuzione al potere regolamentare del
compito di disciplinare materie anche in deroga alla disciplina posta dalla legge) o
“autorizzati”, i quali possono essere adottati solo a seguito di una specifica
previsione di legge. La norma dispone che “con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di
Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da
riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della
Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del governo,
determinano le norme generali regolativi della materia e dispongono l’abrogazione
delle norme vigenti. Con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”.
Un massiccio impiego dei regolamenti di delegificazione è previsto per l’attuazione
di direttive comunitarie ed ai fini di semplificazione dei procedimenti
amministrativi.
I regolamenti di delegificazione e quelli di organizzazione rappresentano oggi atti
di importanza essenziale nel quadro delle fonti.
La legge contempla poi i regolamenti ministeriali, nonché regolamenti
interministeriali, adottati con decreti interministeriali in quanto attinenti a
materie di competenza di più ministri.
I regolamenti ministeriali debbono autoqualificarsi come tali e non possono dettare
norme contrarie ai regolamenti governativi. Essi debbono trovare il fondamento in
una legge che espressamente conferisca il relativo potere al ministro ed essere
attinenti alle “materie di competenza del ministro”. Essi vanno comunicati al
Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione, sono sottoposti
al parere obbligatorio del Consiglio di Stato, al visto della Corte dei conti e alla
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
76
Le altre fonti secondarie; in particolare: statuti e regolamenti degli
enti locali. I testi unici e le funzioni normative delle autorità
indipendenti.
L’autonomia normativa è riconosciuta non solo a Stato e a regioni, ma anche ad
altri enti pubblici. Essa di estrinseca mediante l’emanazione di statuti e
regolamenti.
L’autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali è stata espressamente
riconosciuta dalla legge 142/90 e succ.mod. (ora t.u. enti locali) secondo un
modello nel quale alla legge spetta dettare le linee fondamentali
dell’organizzazione dell’ente.
La Costituzione riconosce una riserva di normazione sancendo che comuni,
province e città metropolitane sono enti autonomi con propri statuti.
Il potere normativo, consistente nella potestà statutaria e in quella regolamentare,
è esercitato anche dalle unioni di comuni e dalle comunità montane e isolane.
Ai sensi dell’art. 4 della legge 131/2003, lo statuto stabilisce i principi di
organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo,
nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.
Secondo quanto dispone attualmente il T.U. enti locali, lo statuto è deliberato dal
consiglio con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora la
maggioranza non venga raggiunta, “la votazione è ripetuta in successive sedute
da tenersi entro 30 giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto
favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati”.
Secondo l’art. 117 Cost, comuni, province e città metropolitane hanno “potestà
regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite”.
La legge 131/2003 ribadisce poi che l’organizzazione degli enti locali è disciplinata
dei regolamenti nel rispetto delle norme statutarie.
Il t.u. enti locali attualmente in vigore prevede svariate materie che debbono
essere disciplinate con regolamento: ricordiamo ad esempio l’accesso ai
documenti, l’individuazione dei responsabili del procedimento, l’organizzazione
delle circoscrizioni, i poteri, l’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori delle
commissioni costituite in seno al consiglio.
Gli artt. 89 e 48 comma 3 T.U. enti locali, hanno disciplinato una rilevante ipotesi
di regolamenti, emanati non dal consiglio ma dalla giunta, relativi all’ordinamento
degli uffici e dei servizi.
Tali regolamenti debbono rispettare non solo la legge e lo statuto, ma anche i
“criteri generali stabiliti dal consiglio”.
Non sono invece fonti del diritto le circolari, gli atti che pongono le c.d. norme
interne e la prassi.
Un cenno meritano poi i testi unici, i quali raccolgono in un unico corpo le norme
che disciplinano una certa materia. Il loro fine è quello di raccogliere in un testo
ufficiale le disposizioni vigenti. Questi testi unici “compilatori” (o “spontanei”) sono
da inquadrare tra le mere fonti di cognizione che non modificano le fonti raccolte.
Hanno invece forza novativa i testi unici emanati da soggetti dotati di competenza
normativa.
L’art. 20 legge 59/1997 e succ.mod. prevede, per finalità di semplificazione,
l’emanazione ogni anno di una legge per la semplificazione e il ricorso a decreti
legislativi e a regolamenti governativi di delegificazione per il riassetto normativo
e la codificazione.
La legge riconosce potestà normativa ad alcune autorità indipendenti (come
l’autorità garante per le comunicazioni, la Consob, la Banca d’Italia ecc…); la
possibilità che le autorità indipendenti emanino atti normativi, ad esclusione dei
regolamenti delegati, è stata ammessa dal Consiglio di Stato.
77
L’art. 13 Legge 249/1997 prevede che l’autorità garante per le comunicazioni,
agendo d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, adotti un regolamento per
definire le materie di sua competenza che possono essere delegate ai comitati
regionali per le comunicazioni.
78
Capitolo VI
Il procedimento amministrativo
Introduzione
Il provvedimento è l’atto normativo che produce vicende giuridiche in ordine alle
situazioni giuridiche di soggetti terzi.
L’emanazione del provvedimento finale è di norma preceduta da un insieme di
atti, fatti ed attività, tutti tra di loro connessi poiché concorrono all’emanazione del
provvedimento stesso.
Tali atti, fatti e attività sono caratterizzati dallo scopo comune ed unitario e
confluiscono nel procedimento amministrativo.
Il procedimento amministrativo è stato definito come “forma della funzione”, e la
funzione è una serie coordinata di attività e di atti endoprocedimentali.
Il procedimento è caratterizzato da peculiarità del diritto pubblico tra le quali:
a) la necessità di dare evidenza alle modalità di scelta effettuate
dall’amministrazione in vista dell’interesse pubblico.
b) L’importanza di enucleare i vari passaggi che conducono alla determinazione
conclusiva ai fini del sindacato operato dal giudice amministrativo.
c) L’esistenza di norme giuridiche (norme di azione) alle quali è soggetta
l’amministrazione nel corso della sua attività.
d) Il procedimento deve essere strutturato in modo da consentire che la scelta
discrezionale possa proficuamente avvenire.
La recente normativa configura il procedimento come un modulo nel cui interno
far confluire l’esercizio di più poteri provvedimentali, in particolare autorizzativi e
concessori, tra di loro connessi.
E’ da segnalare la disciplina relativa allo sportello unico delle attività
produttive. Gli artt. 23 e segg. Del D.lgs 112/98 prevedono che i comuni si dotino
di una struttura unica responsabile dei procedimenti attinenti alle attività
produttive (concernenti la realizzazione, l’ampliamento, la cessazione, la
riattivazione, la localizzazione, la rilocalizzazione di impianti produttivi, nonché il
rilascio delle concessioni o autorizzazioni edilizie), la quale deve dar vita ad uno
sportello unico “al fine di consentire a tutti gli interessati l’accesso, anche in via
telematica, al proprio archivio informatico contenente le domande di
autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le
procedure autorizzatorie, nonché tutte le informazioni disponibili a livelli regionale,
comprese quelle concernenti le attività promozionali, che dovranno essere fornite
in modo coordinato”.
79
In Francia sono state emanate norme sui rapporti tra amministrazione ed utenza
già dal 1978 inerenti disposizioni sull’accesso ai documenti amministrativi e sulla
motivazione degli atti amministrativi.
Nell’ordinamento inglese manca una disciplina generale sul procedimento
amministrativo, però le corti inglesi riconoscono principi procedimentali molto
importanti, come il dovere per l’amministrazione di agire correttamente.
Il procedimento amministrativo comunitario è soprattutto configurato come
modulo garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, all’interno del
quale deve essere assicurato il diritto di difesa.
Altri importanti principi sanciti dal diritto comunitario sono quello inquisitorio,
quello della tutela dell’affidamento del cittadino e quello della proporzionalità della
misura finale adottata. Lo stesso Trattato istitutivo della CE prevede alcuni
importanti principi in relazione alle decisioni, quali l’obbligo della motivazione e
della notificazione degli atti.
81
scelta discrezionale finale ovvero la produzione dell’effetto sul piano
dell’ordinamento generale.
La conoscenza delle fasi in cui si articola il procedimento è importante, giacché
l’illegittimità di uno degli atti del procedimento determina in via derivata
l’illegittimità del provvedimento finale.
Non è poi da escludere che un atto endoprocedimentale possa produrre di per sé
effetti esterni e che, se lesivo di situazioni giuridiche soggettive, possa essere
impugnato.
Il fenomeno è spiegabile ricorrendo all’idea della pluriqualificazione degli atti e
delle fattispecie giuridiche. Lo stesso atto può cioè rilevare sia come atto del
procedimento, sia come atto avente effetti esterni lesivo di posizioni giuridiche di
alcuni terzi.
L’effetto esterno può essere prodotto anche da un atto che determini l’arresto del
procedimento.
Il rifiuto puro e semplice di emanare un atto è sempre illegittimo, anche se, in
ipotesi di silenzio, si dovrà applicare la disciplina del silenzio rifiuto.
Con riferimento agli atti interni del procedimento, si deve osservare che la loro
emanazione è spesso preceduta da uno specifico procedimento, sicché in uno
stesso procedimento possono innestarsi anche più subprocedimenti che
costituiscono le serie di fasi preordinate alla emanazione di un atto che fa parte
del procedimento principale.
82
immobile situato in zona soggetta a tutela paesistica che necessita di un ulteriore
autorizzazione relativa ai beni paesaggistici e ambientali).
83
L’iniziativa d’ufficio è prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di
interessi pubblici affidati alla cura dell’amministrazione, o il continuo e corretto
esercizio del potere-dovere attribuito al soggetto pubblico, esiga che questi si
attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti indipendentemente dalla
sollecitazione esterna.
86
La comunicazione non è necessaria nei casi di subprocedimenti che confluiscono
nel solco di un procedimento principale.
L’art. 13 esclude che le disposizioni del capo IV (compreso l’obbligo di
comunicazione dell’avvio del procedimento) si applichino nei confronti dell’attività
della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché ai
procedimenti tributari.
L’art. 7 comma 1 precisa che l’avvio in esame deve essere comunicato quando
non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità
del procedimento. Tali ragioni devono essere evidenziate dall’amministrazione con
adeguata motivazione.
Nel caso di procedimento finalizzati all’occupazione d’urgenza delle aree destinate
alla costruzione di opere pubbliche e di ingiunzioni di demolizione o di sospensione
di lavori è possibile derogare all’obbligo di comunicazione.
L’art. 7 comma 2 si occupa dei provvedimenti cautelari e consente
all’amministrazione la loro adozione “anche prima della effettuazione della
comunicazione” dell’avvio del procedimento. In questi casi l’amministrazione può
soltanto differire nel tempo la comunicazione a differenza del comma 1.
Sussistono inoltre altri tipi di procedimenti, c.d. “riservati”, in ordine ai quali non
dovrebbe essere ammessa la partecipazione.
L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento configura una ipotesi
di illegittimità, che può essere fatta valere soltanto dal soggetto “nel cui
interesse la comunicazione è prevista” (art. 8 c.4 l.241/90).
L’istruttoria procedimentale.
L’istruttoria è la fase del procedimento volta all’accertamento dei fatti e dei
presupposti del provvedimento ed alla acquisizione e valutazione degli interessi
implicati dall’esercizio del potere.
L’istruttoria è condotta dal responsabile del procedimento come disposto dall’art.6
della legge 241/90 (tra gli obblighi del responsabile figura quello di curare
“l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”).
La decisione amministrativa finale deve essere preceduta da adeguata
conoscenza della realtà esterna, la quale avviene appunto attraverso l’istruttoria.
L’istruttoria del procedimento amministrativo serve per acquisire interessi e
verificare fatti.
I fatti sono eventi, o situazioni, gli interessi sono aspirazioni a beni della vita.
L’attività conoscitiva, volta ad acquisire la conoscenza della realtà di fatto, si
svolge mediante una serie di operazioni i cui risultati vengono attestati da
dichiarazioni di scienza, acquisite al procedimento. I dati di fatto rilevanti possono
essere individuati dall’amministrazione oppure rappresentati dai terzi attraverso lo
strumento della partecipazione. Essi sono spesso attestati da documenti,
certificazioni o dichiarazioni presentati o esibiti all’amministrazione o da questa
direttamente formati.
Gli interessi vengono introdotti nel procedimento attraverso l’iniziativa
dell’amministrazione procedente, l’acquisizione delle determinazioni di altri
soggetti pubblici, la indizione della conferenza di servizi e la partecipazione
procedimentale.
La partecipazione procedimentale.
Uno degli strumenti più importanti per introdurre interessi pubblici e privati nel
procedimento è costituito dalla partecipazione.
Ai sensi degli artt. 7 e 9 legge 241/90, sono legittimati all’intervento nel
procedimento:
88
1) i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a
produrre i suoi effetti diretti;
2) i soggetti che per legge debbono intervenire nel procedimento;
3) i soggetti che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, purché
individuati o facilmente individuabili;
4) i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento.
Gli statuti degli enti locali possono ampliare la cerchia dei soggetti titolari del
potere di partecipazione poiché l’art. 8 del testo unico enti locali stabilisce che
devono essere previste nello statuto forme di partecipazione degli interessati nel
procedimento relativo all’adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche
soggettive.
La disciplina degli enti locali prevede numerosi strumenti ed istituti di
partecipazioni quali la consultazione, le istanze, le petizioni, le proposte, i
referendum, le azioni popolari, il diritto di accesso e di informazione dei
cittadini.
La dottrina ha spesso utilizzato la nozione di parti del procedimento
individuando così le parti necessarie (quelle contemplate dall’art.7) e parti
eventuali (contemplate dall’art. 9).
L’unica parte necessaria è l’amministrazione procedente, poiché la legge prevede
strumenti per superare l’inerzia degli eventuali altri soggetti pubblici.
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I fatti rappresentati dagli intervenienti non possono essere accettati acriticamente,
con la conseguenza che l’amministrazione può essere chiamata ad estendere
l’ambito oggettivo della realtà indagata alla ricerca dei fatti implicati in quella
rappresentazione.
La pubblica amministrazione dovrà più precisamente verificare la pertinenza delle
memorie all’oggetto del procedimento, accertare i fatti introdotti nel procedimento
dai privati, identificare altri fatti ignoti ed elaborare le rappresentazioni dei privati.
Mediante la partecipazione è pure dato introdurre ipotesi di soluzione, le quali
vanno ad arricchire il quadro delle possibilità all’interno del quale
l’amministrazione opererà la scelta finale. L’art.11 legge 241/90 prevede infatti
che la conclusione degli accordi tra amministrazione e privati può avvenire “in
accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art.10”.
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Il rifiuto, il differimento e la limitazione all’accesso devono essere motivati, mentre
la legge non stabilisce nulla per l’accoglimento.
L’art. 25 c.4 legge 241/90 dispone che nel caso in cui l’amministrazione non si
pronunci entro 30 giorni sulla richiesta di accesso, questa si intenda respinta.
In caso di accoglimento, il diritto di accesso si esercita mediante esame gratuito
ed estrazione di copia del documento (il rilascio di copia è subordinato al rimborso
del costo di riproduzione e dei diritti di segreteria).
L’esame è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale
accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità (art. 5
d.p.r. 352/1992).
Secondo l’art. 5 c.4 d.p.r. 352/1992 l’esame dei documenti avviene presso l’ufficio
indicato nell’atto di accoglimento della richiesta ma un’altra norma prevista
dall’art. 11 D.Lgs 165/2001 prevede che debbono essere assunte iniziative volte
all’incremento delle modalità di accesso alle informazioni anche con l’uso delle
procedure informatiche.
Il differimento dell’accesso è consentito nei casi in cui (e fino a quando) la
conoscenza dei documenti non impedisca o gravemente ostacoli lo svolgimento
dell’azione amministrativa (art.24 c.6 legge 241/90);
Non tutti gli atti sono suscettibili di essere conosciuti dai cittadini.
L’art.24 legge 241/90 prevede alcune categorie di documenti sottratti all’accesso
(come ad esempio i documenti coperti da segreto di Stato, degli altri casi di
segreto o di divieto di divulgazione previsti dalla legge). Ciascuna amministrazione
è poi chiamata ad adottare regolamenti al fine di individuare le categorie di
documenti escluse dall’accesso.
L’esclusione dei documenti amministrativi dal regime dell’accesso è disposta a
salvaguardia dei seguenti interessi: sicurezza, difesa nazionale e relazioni
internazionali; politica monetaria e valutaria; ordine pubblico; prevenzione e
repressione della criminalità; riservatezza dei terzi, persone, gruppi e imprese,
“garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti
amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro
interessi giuridici”.
Con il termine riservatezza si indica quel complesso di dati, notizie e fatti che
riguardano la sfera privata della persona e la sua intimità. La privacy confligge
spesso con l’esigenza di diffondere atti che siano in possesso della pubblica
amministrazione e che contengano indicazioni relative a dati attinenti alla sfera
personale dei soggetti.
Il D.Lgs 196/2003 “codice in materia di protezione dei dati personali” ha
riorganizzato e innovato la materia ed ha contestualmente abrogato le disposizioni
precedenti, ed ha introdotto regole in relazione all’accesso alle informazioni
detenute dalle pubbliche amministrazioni.
Ai sensi dell’art.7 del D.Lgs 196/2003, l’interessato ha diritto di ottenere dai
soggetti pubblici la conferma del fatto che essi detengano dati personali che lo
riguardano (qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica,
ente o associazione, identificati o identificabili anche indirettamente mediante
riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di
identificazione personale), nonché “la loro comunicazione in forma intelligibile”. In
particolare, l’interessato ha diritto di ottenere l’indicazione della provenienza dei
dati personali trattati dall’ente pubblico; delle finalità e modalità di trattamento;
della logica applicata se il trattamento avviene con strumenti elettronici; degli
estremi dei soggetti responsabili nelle operazioni di trattamento, dei soggetti cui
potrebbero eventualmente essere comunicati tali dati personali.
Una volta conosciuti i dati personali e/o le informazioni detenuti da un ente
pubblico, l’interessato ha diritto di ottenerne l’aggiornamento, la rettifica,
l’integrazione, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima, il blocco.
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In relazione alle pubbliche amministrazioni, l’art.8 del codice della privacy prevede
che tali diritti esercitabili da ciascun soggetto sui propri dati personali non possono
essere esercitati se il trattamento di questi ultimi avviene ad opera di soggetti
pubblici “per esclusive finalità inerenti alla politica monetaria e valutaria, al
sistema dei pagamenti, al controllo degli intermediari e dei mercati creditizi e
finanziari, nonché alla tutela della loro stabilità”.
Tale diritto di accesso, regolato al di fuori della legge 241/90, non può essere
utilizzato allorché l’esibizione documentale comporti anche la conoscenza di dati
personali di soggetti terzi rispetto al richiedente. L’art. 10 del D.Lgs 196/2003
esclude che questo accesso possa riguardare dati personali relativi a terzi “salvo
che la scomposizione dei dati trattati o la privazione di alcuni elementi renda
incomprensibili i dati personali dell’interessato”.
L’art. 19 del D.Lgs 196/2003 prevede che la comunicazione e la diffusione di dati
personali da parte di amministrazioni a soggetti pubblici o privati “sono ammesse
unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento”, ed in
tale caso non è necessario il consenso dell’interessato.
L’art. 59 del codice della privacy precisa che “i presupposti, le modalità, i limiti per
l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati
personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 241/90
e succ. mod., e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi
regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e
giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di
accesso” e considera “di rilevante interesse pubblico” le attività finalizzate
all’applicazione di tale disciplina.
Quando l’accesso ai documenti la cui conoscenza potrebbe confliggere con le
esigenze di riservatezza di dati personali di soggetti terzi, il codice della privacy fa
espressamente rinvio ai principi e alle regole contenute nella legge 241/90, che in
sostanza richiede all’amministrazione di effettuare una ponderazione tra interessi
contrapposti. In particolare, la legge 241/90 prevede che la riservatezza di terzi,
persone, gruppi e imprese, costituisca una delle esigenze in relazione alle quali
può essere escluso il diritto di accesso, specificando peraltro che deve essere
garantita agli interessati “la visione degli atti relativi ai procedimenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro
interessi giuridici”. Come sostenuto anche dal consiglio di Stato, ad.plen. n.5/1997,
il diritto di accesso volto alla cura e alla difesa di interessi prevale sulla tutela della
riservatezza di terzi.
Tuttavia, nei casi di conflitto tra accesso e privacy, la legge consente non già
l’accesso pieno, bensì la sola “visione” degli atti, escludendo così il diritto di
estrazione di copia.
Il “conflitto” può avere una soluzione diversa quando un soggetto pubblico è
chiamato a trattare dati sensibili: il trattamento è consentito se la situazione
giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai
documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero
consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e
inviolabile.
E’ l’amministrazione che pondera gli interessi in conflitto decidendo caso per caso
con “valutazione ampiamente discrezionale”.
La legge 241/90 assegna al giudice amministrativo la tutela giurisdizionale
“contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso” e nei casi di rifiuto,
espresso o tacito, o di differimento (Tar in primo grado e Consiglio di Stato in
grado di appello). La legge prevede un processo abbreviato e l’art.26 legge Tar,
dispone che l’azione può anche essere proposta in pendenza di una ricorso.
L’art. 25 c.4 legge 241/90 con specifico riferimento ai casi di rifiuto, espresso o
tacito, e di differimento, consente altresì al richiedente di chiedere nel termine di
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trenta giorni al difensore civico competente il riesame della determinazione. Se il
difensore ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica a chi l’ha
disposto e, ove questi non emani il “provvedimento confermativo motivato” entro
trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico, l’accesso è
consentito. L’inerzia mantenuta sulla sollecitazione del difensore civico ha dunque
il significato di un assenso, differentemente dall’inerzia relativa alla richiesta
iniziale che equivale a diniego.
Entro 30 giorni dall’esito dell’istanza rivolta al difensore civico, il richiedente potrà
adire comunque al giudice amministrativo, perché la legge ha inteso favorire
l’impiego di questo strumento di tutela non giurisdizionale, assicurando il privato
che il suo impiego non preclude l’azione dinanzi al giudice.
Il codice della privacy affida la tutela del diritto di accesso volto a ottenere la
comunicazione in forma intelligibile dei propri dati personali al Garante del
trattamento dei dati personali e al giudice ordinario (art.145 del codice).
Infine, la legge 241/90 istituisce presso la presidenza del Consiglio una
Commissione per l’accesso ai documenti (Cada), nominata con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri,
sentito il consiglio dei ministri e presieduta dal sottosegretario di Stato alla
presidenza del Consiglio. La Commissione vigila affinché venga attuato il principio
di piena conoscibilità dell’azione amministrativa, redige una relazione annuale
sulla trasparenza dell’amministrazione e propone al governo le modificazioni
normative necessarie per realizzare la garanzia del diritto di accesso.
La fase consultiva.
Una volta acquisiti tutti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti
rilevanti, l’amministrazione deve procedere ad una valutazione di siffatto
materiale istruttorio.
In alcune ipotesi questa valutazione viene effettuata mediante atti emanati da
appositi uffici o organi che confluiscono in un ulteriore momento della fase
istruttoria, costituita dal subprocedimento consultivo. Si tratta di uffici ed organi,
di norma collegiali, distinti rispetto a quelli che svolgono attività di
amministrazione attiva e dotati di particolare preparazione e competenza tecnica.
Gli atti mediante i quali viene esercitata questa forma di attività, detta appunto
consultiva, ed aventi un contenuto di giudizio, sono i pareri.
I pareri in senso stretto devono essere nettamente distinti da altri atti, denominati
nella prassi “pareri–note”, che hanno la funzione di rappresentare il punto di vista
o gli interessi dell’amministrazione che li emana.
Non devono nemmeno essere confusi i pareri con gli atti resi da consulenti o
esperti privati, i quali non svolgono funzioni di amministrazione consultiva.
Un particolare tipo di parere è poi quello previsto, per comuni e province, dall’art.
49 T.U. enti locali: “su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al
consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine
alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora
comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria
in ordine alla regolarità contabile”.
I pareri si distinguono in:
- pareri obbligatori, se la loro acquisizione è prescritta dalla legge;
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- pareri facoltativi, essi non sono previsti dalla legge,
l’amministrazione può di propria iniziativa richiederli, purché ciò non comporti
un ingiustificato aggravamento del procedimento;
- pareri conformi, si tratta di pareri che lasciano all’amministrazione
attiva la possibilità di decidere se provvedere o meno; se essa provvede, non
può però disattenderli;
- pareri semivincolanti, tali pareri possono essere disattesi soltanto
mediante l’adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da
quello che di norma dovrebbe emanarlo, impegnandone la responsabilità
amministrativa e politica;
- pareri vincolanti, si tratta di pareri obbligatori che non possono
essere disattesi dall’amministrazione, salvo che essa non li ritenga illegittimi.
Il subprocedimento consultivo inizia con la richiesta di parere, la quale consiste
nella formulazione di un quesito, prosegue con lo studio del problema, con la
discussione, con la determinazione, con la redazione e si conclude con la
comunicazione all’autorità richiedente.
Ai sensi dell’art. 3 legge 241/90 qualora l’amministrazione procedente intenda
disattendere il parere deve adeguatamente motivare il provvedimento, perché
l’atto deve essere motivato “in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.
Il procedimento consultivo è disciplinato dall’art. 16 legge 241/90 e succ. mod.
Il parere obbligatorio deve essere reso entro 45 giorni. Per quanto riguarda i pareri
facoltativi, gli organi sono tenuti a dare immediata comunicazione alle
amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso. Trascorso
tale termine senza che sia stato comunicato il parere è facoltà
dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente
dall’acquisizione del parere.
La circostanza che la legge parli di “facoltà” di procedere pare implicare la
possibilità per l’organo di amministrazione attiva di attendere il parere anche se
tardivo.
Questa disciplina non si applica nei casi in cui il parere debba essere reso da
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della
salute dei cittadini, per evitare che l’amministrazione procedente resti “bloccata”
in attesa di un parere.
Le richieste di pareri resi dal Consiglio di Stato, che è “organo di consulenza
giuridico-amministrativa” del governo e di altre amministrazioni, sono effettuate
dagli “organi di governo che esercitano le funzioni di indirizzo politico-
amministrativo”.
L’art. 17 Legge 127/1997 individua i casi in cui essi sono richiesti in via
obbligatoria (emanazione di atti normativi del governo, emanazione di testi unici,
decisioni dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, schemi generali di
contratti tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri), e abroga
“ogni diversa disposizione di legge che preveda il parere del Consiglio di Stato in
via obbligatoria”. L’abrogazione non concerne le norme legislative che dispongono
pareri vincolanti, e stabilisce che gli stessi debbano essere resi entro 45 giorni
dal ricevimento della richiesta salvo che la legge non preveda termini più brevi,
termine decorso il quale l’amministrazione attiva può procedere
indipendentemente dall’acquisizione del parere.
I pareri del Consiglio di Stato sono pubblici e recano l’indicazione del Presidente
del collegio e dell’estensore.
Sempre l’art.17 legge 127/1997 istituisce una sezione consultiva del Consiglio di
Stato per l’esame degli schemi di atti normativi per i quali il parere è prescritto per
legge o è comunque richiesto dall’amministrazione, nonché per gli schemi di atti
normativi comunitari, se richiesto dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Il parere
è reso in adunanza generale per “gli schemi di atti legislativi o regolamentari
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devoluti dalla sezione o dal presidente del Consiglio di Stato a causa della loro
particolare importanza”.
Il parere è espressione della funzione consultiva e comporta un consiglio in ordine
agli interessi che l’amministrazione procedente deve tutelare, tenuto conto della
situazione di fatto così come accertata nell’istruttoria.
Le valutazioni tecniche attengono invece ad uno o più presupposti dell’agire che
debbono essere appunto valutati nel corso dell’istruttoria.
Il nullaosta è un atto di amministrazione attiva che viene emanato in vista di un
interesse differente da quello curato dall’amministrazione procedente.
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I vizi o le irregolarità delle operazioni di partecipazione non si trasmettono all’atto
recettizio: l’atto però non produrrà i suoi effetti, salva la possibilità di rinnovare la
fase della comunicazione.
Vi sono due importanti norme, l’art. 3 ultimo comma legge 241/90, secondo cui in
ogni atto notificato al destinatario deve essere indicato “il termine e l’autorità cui
è possibile ricorrere” e l’art. 3 co.3 legge 241/90 che sembra implicare l’obbligo
generalizzato di comunicazione della “decisione”, nonché l’obbligo di rendere
disponibile la motivazione dell’atto. Tale disposizione infatti recita “se le ragioni
della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla
decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato
e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa vi
richiama”.
Questo obbligo di comunicazione riguarda solo le ipotesi in cui “le ragioni della
decisione risultano da altro atto dell’amministrazione”.
L’art. 2 R.D. 642/1907 afferma il principio secondo il quale il provvedimento
amministrativo deve essere notificato ai soggetti “direttamente contemplati”.
Nel nostro ordinamento sono previsti altri modi finalizzati a portare atti
giuridici nella sfera di conoscibilità del destinatario. I più comuni mezzi di
partecipazione sono:
- la pubblicazione (destinata ad una generalità di individui potenziali
destinatari dell’atto ma non contemplati nell’atto stesso – come ad esempio la
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale);
- la pubblicità (destinata ad una pluralità di individui e caratterizzata
dalla predisposizione di documenti, quali pubblici registri, che realizzano la
permanenza dello stato di conoscibilità dell’atto da comunicare);
- la comunicazione individuale (rivolta ad un destinatario individuato
e posta in essere dall’autore dell’atto – la comunicazione può avvenire anche
mediante trasmissione con piego raccomandato con avviso di ricevimento e,
talora, oralmente come ad esempio l’ordine impartito dal superiore
gerarchico);
- la convocazione (consistente nell’invito al destinatario a recarsi per
ricevere un documento presso un ufficio, ove il soggetto che ritira tale
documento rilascia una dichiarazione).
- le notificazioni caratterizzate da procedure formali ad opera di
particolari soggetti; il soggetto, denominato agente notificatore, è un soggetto
terzo e qualificato che documenta il ricevimento dell’atto. Le notificazioni
sono disciplinate dal r.d. 642/1907 e dai regolamenti delle varie
amministrazioni.
Ai sensi dell’art. 10 c.5 legge 265/1999 tutte le pubbliche amministrazioni di cui al
d.lgs 165/2001 possono oggi avvalersi in modo generalizzato della notificazione a
mezzo posta; il comma 1 aggiunge che, per le notificazioni dei propri atti, esse
possono pure avvalersi dei messi comunali “qualora non sia possibile eseguire
utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di
notificazione previste dalla legge”.
“Le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai
regolamenti” sono curate dal responsabile del procedimento.
L’art. 16 c.5 legge 241/90 consente la comunicazione del dispositivo del
parere favorevole all’amministrazione richiedente “telegraficamente o con mezzi
telematici”; l’art. 6 legge 412/91 ammette che le comunicazioni tra
amministrazioni, salvo che per gli atti aventi valore normativo, siano effettuate via
telefax, “una volta che ne sia verificata la provenienza”; l’art. 14 t.u. in materia di
documentazione amministrativa stabilisce che il documento informatico (definito
come “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”)
“trasmesso per via telematica si intende inviato e pervenuto al destinatario se
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trasmesso all’indirizzo elettronico da questi dichiarato” inoltre, “la trasmissione del
documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l’avvenuta
consegna, equivale a notificazione per mezzo posta nei casi consentiti dalla
legge”. Infine, secondo quanto dispone l’art.43 t.u. in materia di documentazione
amministrativa, i documenti trasmessi ad una pubblica amministrazione tramite
fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertare la fonte di
provenienza del documento, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro
trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale
attraverso il sistema postale.
La semplificazione procedimentale.
La legge 127/1997 reca misure urgenti per lo snellimento dell’attività
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (modificata poi dalla
legge 191/1998), mentre la legge 59/1997 contiene la delega al governo per il
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma
della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
L’esigenza di semplificare è particolarmente sentita anche in materia
procedimentale.
L’art. 11 legge 137/2002 ha previsto che presso il Dipartimento della funzione
pubblica sia istituito, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, un
ufficio dirigenziale di livello generale con il compito di coadiuvare il ministro
nell’attività normativa ed amministrativa di semplificazione delle norme e delle
procedure. Presso la presidenza del Consiglio dei Ministri sono pure istituiti non più
di due servizi con il compito di provvedere all’applicazione dell’analisi dell’impatto
della regolamentazione.
Il compito di attuare il disegno di semplificazione procedimentale è affidato a
decreti legislativi e alle fonti regolamentari di delegificazione.
L’art.20 legge 59/1997 consente di affermare che la semplificazione comporta la
riduzione delle fasi procedimentali, l’adeguamento alle nuove tecnologie
informatiche, la riduzione dei termini nonché l’accorpamento e la
regolamentazione uniforme dei procedimenti che attengono alla stessa attività. La
legge 127/1997 si occupa anche di altri aspetti, quali la conferenza di servizi, la
disciplina dei pareri e la documentazione amministrativa.
La legge 241/90 definisce come istituti di semplificazione la conferenza di
servizi, gli accordi tra amministrazioni , la prefissione di termini e di
meccanismi procedurali per consentire di ottenere in termini certi pareri o
valutazioni tecniche, l’autocertificazione, la liberalizzazione di attività
private ed il silenzio assenso.
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