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Comunione e divisione dell'eredità

si ha comunione dell'eredità quando più persone, per effetto di una vocazione congiuntiva, acquistano l'eredità

È una ipotesi che spesso si verifica nella realtà, poiché di solito la chiamata ereditaria riguarda più di una persona;
abbiamo, quindi, la figura del coerede che è titolare "pro quota" dell'asse ereditario insieme agli altri eredi; si tratta,
quindi, di titolarità di una quota ideale dei beni ereditari, e non di una parte determinata di questi, e ciò ci fa intendere
che ci troviamo di fronte una forma della ordinaria comunione dei beni regolata dagli artt. 1100 e ss. del codice civile;
da quest'ultima, però, la comunione ereditaria si distingue perché non riguarda solo la proprietà, ma una pluralità di
diritti di natura eterogenea, quei diritti che rappresentavano il patrimonio ereditario.

Altra differenza riguarda il diritto di prelazione che spetta ai coeredi in caso di alienazione della quota (o di parte di essa)
ad un estraneo;

secondo l'art. 732 c.c. tale diritto spetta sempre agli altri coeredi, a meno che non vi abbiano rinunziato.

L'erede che intende alienare la sua quota deve fare in modo che gli altri possano esercitare il diritto di prelazione; per
giungere a tale risultato dovrà notificare agli altri eredi la sua proposta di alienazione con l'indicazione del prezzo; il
diritto di prelazione dovrà essere esercitato entro il termine di due mesi dall'ultima notifica, trascorsi i quali l'erede sarà
libero di alienare la sua quota anche ad estranei all'eredità.

Viene da chiedersi cosa accade se non si effettuata la notifica;

ci risponde sempre l'art. 732 secondo cui i coeredi hanno il diritto di riscattare la quota non solo nei confronti
dell'acquirente, ma anche dagli aventi causa da questo, finché dura la stato di comunione.

È questo il "retratto successorio", cioè il diritto di riscatto della quota che spetta ai coeredi in seguito alla mancata
notifica; il coerede che avrà esercitato con successo l'azione diverrà proprietario della quota con efficacia " ex tunc", ma
dovrà corrispondere all'acquirente il prezzo che questi aveva pagato per la quota ereditaria.

I coeredi godono in comunione i beni ereditari, ma questa può sempre essere sciolta per iniziativa anche di uno solo di
loro che non intenda più farne parte con la divisione dell'eredità, disciplinata dagli artt. 713 e ss. c.c. di cui ci occupiamo
nelle successive pagine.

La divisione dell'eredità
(art. 713 c.c.)

è la facoltà che la legge attribuisce a ciascun coerede di chiedere la cessazione della comunione ereditaria

Grazie a questa facoltà riconosciuta dall'art. 713, ogni coerede può sciogliersi dalla comunione ereditaria e divenire
unico proprietario dei beni che gli verranno assegnati.

Vediamone nelle successive tabelle le caratteristiche essenziali.

termine per chiedere la divisione

l'esercizio della facoltà prevista dall'art. 713 è imprescrittibile, tuttavia se vi sono eredi istituiti minori d'età, il testatore
può disporre che la divisione non abbia luogo se non dopo un anno dal raggiungimento della maggiore età.

Il testatore, inoltre, può disporre che la divisione anche parziale non abbia luogo prima che sia trascorso dalla sua morte
un termine non eccedente il quinquennio. Il tribunale potrà, tuttavia, disporre consentire la divisione anche prima dei
termini suddetti se ricorrono gravi circostanze

oggetto della divisione

beni facenti parti dell'eredità; la divisione può aversi anche se la divisione ha per oggetto beni immobili non facilmente
divisibili.

In tal caso la divisione deve avvenire attribuendo il bene per intero nella porzione del coerede che ha diritto alla quota
maggiore o ai coeredi che ne chiedono congiuntamente l'attribuzione ( art. 720 c.c.)

La divisione può essere di tre tipi, amichevole, giudiziale o testamentaria.Cominciamo dalla prima che si ha quando i
coeredi raggiungono un accordo sulle modalità della divisone stipulando il relativo contratto.
In sintonia con la tesi che ritiene la natura dichiarativa, e non costitutiva, della divisone ereditaria, si giunge alla
conclusione cha anche questo contratto abbia tale natura dichiarativa ; di conseguenza il contratto ha effetto retroattivo
attribuendo il diritto sul singolo bene a ciascun erede sin dal momento della successione.

Passiamo alla divisone giudiziale.

divisione giudiziale

è promossa da uno o più eredi quando preferiscano adire l'autorità giudiziaria per giungere alla divisione. Si tratta di una
ipotesi di litisconsorzio necessario poiché devono essere chiamati a partecipare al giudizio tutti i coeredi

la divisione si svolge attraverso distinte fasi

1. formazione della massa ereditaria compresi i beni che sono stati donati ai coeredi dal de cuius; se il coerede era
debitore del defunto deve imputare alla sua quota il valore del suo debito ( artt. 724 e 725 c.c.)

2. stima dei beni ( art. 726 c.c.) secondo il loro valore di mercato , tuttavia il testatore può indicare una persona che
effettui la stima che non sia erede o legatario: la divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l’autorità
giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua

3. formazione delle porzioni spettanti a ciascun erede ( art. 726 c.c.), ma se il testatore ha indicato le porzioni, queste
sono vincolanti per gli eredi; nel caso vi sia ineguaglianza in natura delle quote ereditarie si provvede con un conguaglio
in denaro

4. assegnazione o attribuzione delle porzioni (art. 729 c.c.). L'assegnazione si ha quando le porzioni sono uguali ed è
fatta mediante estrazione a sorte, mentre l'attribuzione si ha quando le porzioni sono diseguali

Veniamo, infine, alla divisone testamentaria.

Questa è effettuata direttamente dal testatore che divide i suoi beni tra gli eredi ( art. 734 c.c.);

Potrebbe accadere che il testatore preveda la formazione dei c.d. "assegni divisionali" con i quali indica con quali beni
dovranno essere formate le pozioni ( art. 733 c.c.).

In tal caso vi è comunque comunione ereditaria e gli assegni divisionali sono stati previsti dal testatore in vista di una
possibile divisone; non è questa, quindi, l'ipotesi dell'art. 734 che si riferisce, secondo l'opinione preferibile, al caso in cui
la divisione del testatore impedisce il sorgere della comunione ereditaria attraverso la concreta attribuzione dei beni ai
singoli eredi.

In definitiva l'ipotesi dell'art. 734 non sarebbe vera divisione poiché mancherebbe il fondamentale presupposto della
precedente comunione ereditaria.

La divisone testamentaria è nulla quando il testatore non abbia compreso qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti
( art. 735 c.c.), mentre se dalla divisione è stato leso il diritto alla legittima l'atto non è nullo, ma il coerede leso nella sua
quota di riserva può esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi.

Gli artt. 761 e ss. del codice civile si occupano dei casi di annullamento e rescissione della divisone ereditaria, vediamoli;

annullamento

è possibile attenere l'annullamento quando la divisone è l’effetto di violenza o di dolo; non è previsto il caso di errore.
L'azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o in cui il dolo è stato scoperto

rescissione per lesione

( art. 763 c.c.)

la divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto. Non hanno
importanza, a differenza di quanto accade nella azione generale di rescissione, i motivi che hanno portato alla lesione,
essendo rilevante il solo squilibrio oggettivo di oltre un quarto. L'azione si prescrive in due anni dalla divisione. È
possibile anche quando vi sia stata divisone effettuata dal testatore quando il valore dei beni assegnati ad alcuno dei
coeredi è inferiore di oltre un quarto all’entità della quota ad esso spettante

Dalla lettura dell'art. 763 si potrebbe desumere che la rescissione sia possibile solo quando vi sia stata formale divisione
ereditaria;
l'art. 764, però, precisa che l'azione è possibile anche quando vi sia stato un qualsiasi altro atto che abbia per effetto di
far cessare tra i coeredi la comunione dei beni ereditari.

In altre parole può darsi che i coeredi invece di procedere alla divisone, abbiano compiuto degli atti con i quali si giunga
allo stesso risultato della divisone ereditaria, come, ad esempio, la cessione di quote tra coeredi. La rescissione sarà
quindi possibile anche in questo caso, vi sono dei casi, però, in cui la rescissione non è ammessa; vediamoli:

Quando con una transazione si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell’atto fatto in luogo della
medesima, anche se non si era intrapresa una lite giudiziaria;

Contro la vendita del diritto ereditario fatta senza frode a uno dei coeredi, a suo rischio e pericolo, da parte degli altri
coeredi o di uno di essi.

Se l'azione di rescissione ha successo, la divisone andrà rifatta, ma il coerede che si è visto attribuire una quota maggiore
di beni potrà impedire la divisione (o far cessare l'azione di rescissione) dando il supplemento della porzione ereditaria,
in danaro o in natura, all’attore e agli altri coeredi che si sono a lui associati.

La collazione
( art. 737 c.c.)

è il rimedio previsto dalla legge per aumentare la massa ereditaria grazie al quale i figli, i loro discendenti, e il coniuge
che hanno accettato l’eredità devono restituire alla massa ereditaria tutti i beni che sono stati loro donati in vita dal
defunto, in maniera tale da dividerli con gli altri coeredi

L'istituto della collazione è previsto dall'art. 737 al capo II del titolo IV del codice civile relativo alla divisione ereditaria.

Questa collocazione effettuata dal legislatore ci fa già intendere come la collazione sia funzionale alla divisione della
eredità ed ha lo scopo da aumentare la massa ereditaria da divedere.

Prima ancora di approfondire la dinamica dell'istituto è importante sottolineare una differenza con una situazione simile
che abbiamo già visto parlando della lesione della quota di legittima, ci riferiamo, cioè alla riunione fittizia della massa
ereditaria.

La differenza è sostanziale, anche se di non immediata percezione;

accade, infatti, che nella riunione fittizia è necessario far rientrare nella massa ereditaria i beni che sono stati donati dal
coniuge per determinare la quota disponibile ( art. 556 c.c.).

I beni donati rientrano nella massa ereditaria ma solo per l'ammontare del valore necessario per reintegrare la quota del
legittimario che sia stata lesa dalle donazioni.

Nella collazione, invece, non ci sono legittimari da tutelare, ma una eredità da dividere, ed è necessario che questa
eredità sia completamente divisa comprendendo per intero anche i beni che vi sono usciti a causa di donazioni.

Di conseguenza ben può accadere che il testatore dispensi nel contratto di donazione dalla collazione, ma tale dispensa
non avrebbe alcun valore quando leda la quota disponibile. In altre parole mentre è possibile evitare la collazione, non è
possibile evitare la riunione fittizia perché questa è funzionale alla salvaguardia del diritto del legittimario.

Fatta questa distinzione e inquadrato l'istituto, vediamone i tratti essenziali.

soggetti tenuti alla collazione

1. coniuge superstite

2. figli

beneficiari della collazione

sono gli stessi coeredi sopra indicati; questi, infatti, sono tenuti reciprocamente alla collazione per la formazione della
massa da dividere. L'azione non spetta, però, a coloro che pur rientrando in dette categorie non sono divenuti eredi,
come nel caso in cui non accettino l'eredità

oggetto
tutte le donazioni ricevute dal defunto a favore delle persone sopra indicate; alla collazione si è tenuti sia quando si è
stati beneficiati in una donazione (donazione diretta) sia quando la liberalità risulti da atti diversi dalla donazione
(donazione indiretta) come la rimessione del debito effettuata dal de cuius a favore dell'erede o anche in caso di
negozio simulato

donazioni escluse

1. donazioni di modico valore a favore del coniuge( art. 738 c.c.);

2. le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, né quelle ordinarie fatte per abbigliamento
o per nozze;

3. le spese sostenute dal defunto per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale solo quando non
eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto (art. 742 c.c.), a
meno che tali spese a favore dei discendenti non siano state effettuate per pagare i loro debiti o per soddisfare premi
relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore (art. 741 c.c.);

4. la donazione rimuneratoria di cui all'art. 770 c.c.

5. le donazioni fatte dall'erede ai suoi discendenti o al coniuge ( art. 739 c.c.)

dispensa

è possibile che il testatore dispensi validamente dalla collazione sempreché che questa non leda la quota del legittimario

Prima di analizzare le modalità della collazione è importante effettuare una considerazione; potrebbe sembrare, infatti,
che la collazione sia possibile solo nella successione testamentaria, ma invece si può avere anche nella successione
legittima, essendo solo necessario che i discendenti o il coniuge siano chiamati per quota.

Vediamo, ora, le modalità della collazione.

modalità della collazione

collazione in senso stretto o in natura; in tal caso si restituisce alla massa lo stesso bene che si è ricevuto

collazione per imputazione; in questo caso il coerede donatario imputa alla propria quota il valore che i beni donati
avevano al momento della apertura della successione;

successivamente si fa il calcolo complessivo per verificare il valore delle singole quote spettanti ad ogni erede;

il coerede donatario potrà imputare alla sua quota il valore del bene donato sino alla concorrenza della sua complessiva
quota, ma se il valore del bene imputato alla quota del coerede donatario sommato al valore quanto già avuto per
effetto del testamento o della successione legittima, supera il valore complessivo della quota di eredità a lui spettante,
dovrà versare alla massa l'equivalente in denaro

Come è facile intuire con la collazione in natura la donazione si risolve perché il coerede restituisce il bene, mentre in
quella per imputazione il conferente conserva la proprietà del bene donato seppure come quota della sua eredità.

Per i beni immobili si possono scegliere entrambe le modalità, mentre per i beni mobili l'art. 750 c.c. specifica che la
collazione può essere fatta solo per imputazione.

Divisione dei debiti e pesi ereditari


Concludiamo l'argomento relativo alla divisione della eredità analizzando come sono ripartiti tra gli eredi i debiti e i pesi
che gravano sull'eredità, argomento che assume una valenza più generale rispetto alla sola divisione della eredità.

La regola principale è espressa dall'art. 752 c.c. secondo cui:

I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie,

salvo che il testatore abbia altrimenti disposto

In altre parole c'è di solito proporzionalità tra quanto ricevuto e la responsabilità per debiti e pesi ereditari.

È bene sottolineare, però, che il riferimento ad una diversa volontà del testatore non deve far credere che i creditori
dell'eredità debbano necessariamente attenersi a quella volontà nell'esigere i loro crediti; è vero, infatti, che la volontà
del testatore è rilevante solo nei rapporti interni tra i coeredi ma non nei rapporti esterni di questi con i creditori; per
questi ultimi, infatti si deve far riferimento all'art. 754 c.c. per il quale:

Gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro
quota ereditaria e ipotecariamente per l’intero. Il coerede che ha pagato oltre la parte a lui incombente può ripetere
dagli altri coeredi soltanto la parte per cui essi devono contribuire a norma dell’articolo 752, quantunque si sia fatto
surrogare nei diritti dei creditori

I creditori, quindi, sono liberi di chiedere il pagamento dei debiti in proporzione della quota ricevuta da ogni erede, e se
c'è stata una diversa volontà del testatore, l'erede che ha pagato più di quanto doveva, lungi dal poter opporre un
rifiuto al creditore per la parte eccedente, potrà rivalersi sugli altri eredi per la differenza.

Questo è vero anche nell'ipotesi prevista dall'art. 1315 c.c. dove sembra che il testatore, nell'incaricare un coerede ad
eseguire la prestazione, sembra indicare che solo lui sarà tenuto a questa. In realtà tale regola serve solo a fornire una
scelta al creditore, ma poiché la volontà del testatore è vincolante solo nei rapporti interni, il creditore può comunque
esigere pro quota la prestazione dagli altri eredi non incaricati di eseguirla.

Se, infine, la cosa da consegnare è indivisibile ex art. 1316 c.c. accadrà che ogni erede sarà tenuto all'intera prestazione
proprio a causa della natura del bene oggetto dell'obbligazione.

La donazione
(art. 769 c.c.)

La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra,

disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione

Abbiamo riportato per intero il disposto dell'art. 769 poiché definisce in maniera completa ed efficace l'istituto.

Con la donazione s'intende "arricchire" un soggetto, cioè fargli ottenere un incremento del suo patrimonio e non un
semplice vantaggio; se, ad esempio, concedo in comodato un mio bene ad un'altra persona, non per questo ho stipulato
un contratto di donazione poiché, a parte tutte le altre possibili differenze, se è pur vero che c'è stato un vantaggio per
il comodatario è anche vero che non c'è stato alcun incremento del suo patrimonio, non c'è stato un suo arricchimento.

Il riferimento al comodato, però, ci mette in grado di comprendere una ulteriore distinzione.

Con il comodato, infatti, un soggetto può usare un bene senza versare alcun corrispettivo al proprietario; di conseguenza
ben possiamo definire il comodato come atto a titolo gratuito proprio per la mancanza del corrispettivo. La mancanza di
corrispettivo si ritrova anche nella donazione e questo già ci può far considerare questo contratto come facente parte
degli atti a titolo gratuito, ma di questi atti ne costituisce una specifica categoria perché l'art. 769 non richiede che l'atto
sia semplicemente a titolo gratuito, ma qualcosa di più, è necessario, infatti, che vi sia "lo spirito di liberalità", che vi sia,
cioè, l'intenzione di arricchire una persona con il conseguente proprio impoverimento.

Come è facile intuire lo spirito di liberalità non si riscontra, quindi, in tutti i negozi a titolo gratuito, ma solo nella
donazione e negli altri atti di liberalità.

in conclusione la donazione è un contratto che rientra nella categoria degli atti di liberalità

che, a loro volta, rientrano, senza esaurirla, nella categoria dei negozi a titolo gratuito

Fanno parte della categoria degli atti di liberalità, oltre la donazione, anche la donazione indiretta di cui all'art. 809 c.c. e
le liberalità d'uso ( art. 770 comma 2 c.c.), ma la particolarità del contratto di donazione sta nel fatto che il codice ha
tipizzato questo specifico atto, facendolo così divenire il mezzo principale con cui si può attuare una liberalità; in
proposito l'art. 809 dichiara applicabili agli altri atti di liberalità diversi dalla donazione alcune regole previste per
quest'ultima rendendo, in tal modo, ancor più chiara la scelta del legislatore di creare un solo negozio tipico per gli atti
di liberalità che costituisce anche il principale riferimento per gli altri atti dello stesso genere.

La donazione è un contratto che come tutti i contratti e negozi in generale, ha una propria causa.

elemento essenziale della causa della donazione è proprio l'animus donandi, cioè l'arricchimento dell'altra parte senza
corrispettivo

e non va confuso con i motivi che spingono a tale attribuzione


Si può donare, infatti, per beneficenza, per amore filiale o coniugale, per riconoscenza, ma l'animus donandi non varia,
perché si identifica sempre nell'arricchimento dell'altra parte; questo non vuol dire, però, che i motivi della donazione
siano sempre irrilevanti. Nella donazione rimuneratoria di cui all'art. 770, sono presi espressamente in considerazione i
motivi della donazione per un duplice ordine di ragioni;da un lato, infatti, si intende sottolineare che anche se si dona
per riconoscenza o per ricompensare qualcuno (senza, però esservi tenuti) per un qualche servizio reso, siamo pur
sempre nell'ambito della donazione;dall'altro per fornire a tale tipo di donazioni una disciplina in parte diversa da quella
ordinaria;

l'art. 805, ad esempio, dispone l'irrevocabilità delle donazioni rimuneratorie e da questa (e altre norme es. art. 437 e
797 in tema di evizione) del codice civile si comprende come l’irrevocabilità sia giustificata dalla particolare rilevanza del
motivo che ha determinato il donante a compiere la donazione.

Caratteristiche della donazione


(art. 769 c.c.)

La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa
di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione

parti contrattuali

1.donante, è colui che compie l'atto di liberalità. Per poter compiere l'atto deve essere capace di agire e di disporre del
diritto; si ritiene che donante possa essere anche una persona giuridica

2.donatario, è colui che riceve l'attribuzione patrimoniale; anche le persone giuridiche e le persone non riconosciute
hanno la capacità a ricevere senza che sia più necessaria l'autorizzazione amministrativa

causa della donazione

volontà di arricchire l'atra parte contrattuale con il conseguente proprio impoverimento; elemento essenziale della
causa della donazione è l'animus donandi, un intento diverso darebbe vita ad un altro tipo di negozio giuridico

forma del contratto

è necessaria la stipulazione per atto pubblico alla presenza di due testimoni (art. 782 c.c. art. 42 l. notarile); in mancanza
l'atto è nullo; questa regola non applica per le donazioni di modico valore, dove per la validità dell'atto è sufficiente la
consegna del bene

oggetto del contratto

tutti i beni presenti nel patrimonio del donante; se ha ad oggetto beni futuri è nulla (art. 771 c.c.); se, però, nella
donazione sono compresi beni presenti e futuri la nullità non colpirà tutto l'atto, ma solo la parte relativa ai beni futuri

motivi della donazione

sono di regola irrilevanti, anche se la legge li prende in considerazione nel caso di donazione rimuneratoria (art. 770
c.c.); è tuttavia rilevante e può portare alla annullabilità dell'atto l'errore sul motivo, quando il motivo risulta dall’atto ed
è il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità; alle stesse condizioni è nulla la donazione determinata
da un motivo illecito (artt. 787 e 788 c.c.)

elementi accidentali

condizione, l'unico caso espressamente previsto è quello dell'art. 791 c.c. che si riferisce all'ipotesi in cui il donatario (e
eventualmente i suoi discendenti) muoiano prima del donante; in questo casi i beni tornano al donante (art. 792 c.c.) si
tratta, quindi, di una condizione risolutiva apposta dal donante; oltre questo caso si ritiene comunque applicabile la
normale disciplina della condizione prevista in tema di negozi giuridici

termine, si applica l'ordinaria disciplina in tema di contratti

modo, è possibile la donazione modale, gravata, cioè, da un onere a carico del donatario che, però, non è tenuto al suo
adempimento oltre i limiti del valore della cosa donata (art. 793 c.c.)

effetti della donazione


sono quelli abituali dei contratti, ma con alcune differenze giustificate dalla particolare causa dell'attribuzione
patrimoniale ; la garanzia per l'evizione a carico donante è infatti prevista solo nei casi indicati dall'art. 797 c.c., e la
garanzia per i vizi della cosa donata è dovuta solo se il donante era in dolo ( art. 798 c.c.)

nullità della donazione

la donazione è nulla quando non si è rispettata la forma prevista dalla legge, quando è effettuata a favore del tutore o
protutore del donante, quando ha per oggetto cose future, per motivo illecito, e negli atri casi ordinariamente previsti
per la nullità dei negozi giuridici, ma secondo l'art. 799 c.c. la nullità della donazione da qualunque causa dipenda, non
può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la
morte di lui, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione. Nonostante il tenore della norma però,
non sono confermabili le donazioni nulle perché contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume

Queste le caratteristiche essenziali della donazione, ma è necessario aggiungere qualcosa in merito alla capacità del
donante e del donatario;

Per la capacità di donare è necessario che il donante abbia la " piena capacità di disporre dei propri beni" ( art. 774 c.c.),
intendendo con tale espressione la capacità di agire; di conseguenza non possono validamente donare i minori ( con
l'eccezione prevista dallo stesso art. 774), interdetti o inabilitati, mentre se la donazione è fatta da persone incapaci
d'intendere o di volere ( art. 775 c.c.) al momento del compimento dell'atto, questa può essere annullata entro cinque
anni dal giorno in cui la donazione è stata fatta.

Una regola specifica è stata dettata in tema di inabilitazione;

secondo l'art. 776 c.c. la donazione fatta dall'inabilitato può essere annullata anche dopo che sia iniziato il giudizio di
inabilitazione; in altre parole l'annullamento può chiedersi per una situazione che è ancora in corso di accertamento; se,
però, l'inabilitazione è chiesta per prodigalità, l'annullamento può essere chiesto anche nei sei mesi anteriori all’inizio
del giudizio d’inabilitazione.

Per la donazione non è ammessa rappresentanza, nel senso che il donatario non può conferire ad altri il potere di
scegliere a chi donare e cosa donare, mentre è possibile che il donante conferisca ad un terzo l'incarico di designare la
persona del donatario tra "una rosa" di soggetti o di cose indicate dal donante ( art. 778 c.c.);

Chiudiamo l'argomento parlando della capacità a ricevere;

Secondo l'art. 784 c.c. sono capaci a ricevere per donazione anche i nascituri pur se non ancora concepiti.

In questi casi l'accettazione della donazione è effettuata dai ( futuri) genitori, ma solo se vi sia per necessità o utilità
evidente del futuro figlio e dopo l'autorizzazione del giudice tutelare (art. 320 c.c.);

nel caso in cui i genitori non possono o non vogliono accettare la donazione, il tribunale nominerà un curatore speciale
autorizzato al compimento dell’atto.

Sono, inoltre incapaci a ricevere i tutori o i protutori del donante, ma sono anche incapaci a donare i rappresentati legali
( padre e madre, tutore) di una persona incapace a favore della persona che rappresentano ( art. 777 c.c.).

Le diverse figure di donazione


Da tutto quello che abbiamo detto sino ad ora della donazione siamo già in grado di ottenere un quadro preciso
dell'istituto, ora, per concludere e ulteriormente puntualizzare l'istituto, è necessario porre la nostra attenzione sugli
altri tipi di donazione.

della donazione rimuneratoria ( art. 770 c.c.) ne abbiamo già ampiamente parlato nel paragrafo precedente. Qui
dobbiamo evidenziare che il secondo comma dell'art. 770 esclude che siano donazione le c.d. "liberalità d'uso" quegli
atti, cioè, che si è soliti fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi.

La struttura di questi atti di liberalità non è diversa da quella della donazione, poiché esiste sia l'attribuzione
patrimoniale gratuita sia l'assenza di vincoli giuridici, solo che in questi casi la legge dà rilevanza al motivo della
liberalità, e anche per la frequenza con cui tali atti sono compiuti, li sottrae alla rigida disciplina della donazione; ne
costituiscono degli esempi i regali che si fanno ai compleanni, o la gratifica che un imprenditore, oltre al normale
compenso, dà a un suo rappresentante per la conclusione di un affare

Consideriamo, poi, la donazione obnunziale.


la donazione obnunziale ( art. 785 c.c.) è quella fatta dagli sposi tra loro, o da altre persone ad entrambi gli sposi o ad
uno di loro, o ai figli nascituri da questi, in vista di un determinato futuro matrimonio. La disciplina di questo tipo di
donazione è diversa da quella generale, soprattutto perché non siamo in presenza di un contratto, ma di un atto
unilaterale poiché non è necessaria alcuna accettazione da parte del donatario. Anche in questo caso, però, la legge ha
preso in considerazione i motivi della donazione per costruire la particolare disciplina dell'art. 785

Un caso particolare è costituito dal negozio misto con donazione dove tramite il compimento di un un unico negozio, si
realizzano gli effetti di due o più negozi di cui almeno un effetto è quello tipico della donazione.

Si fa l'ipotesi in cui si venda un bene alla metà del suo valore, con l'intenzione di effettuare anche una liberalità al
compratore; è chiara la necessità, per aversi questa figura, che la sproporzione relativa prezzo sia liberamente voluta e
non subita dal venditore, diversamente quest'ultimo potrebbe agire con l'azione di rescissione per lesione.

Un punto cruciale circa questo tipo di donazione è la sua collocazione giuridica; si ritiene che faccia parte della categoria
delle donazioni indirette, di quelle donazioni, cioè, che si realizzano con un mezzo diverso da quello abituale; in altre
parole il donante realizza l'effetto della donazione attraverso un negozio (o una combinazione di negozi) diversi da
quello tipico.

Esempi di questo tipo di donazioni indirette sono le remissione di un debito, il contratto a favore del terzo (ricordiamo,
infatti, che è donazione anche l'assunzione di una obbligazione senza corrispettivo), acquisto di un immobile per il figlio
con il danaro del genitore.

Altra dottrina ritiene che il negozio misto con donazione faccia invece parte dei negozi misti.

se accediamo alla tesi secondo cui il negozio misto con donazione è una forma di donazione indiretta, viene da chiedersi
quale disciplina sarà applicabile in concreto

In primo luogo osserviamo che il codice civile prende espressamente in considerazione le donazioni indirette; l'art. 737
c.c. disponendo che anche le donazioni indirette sono soggette a collazione, mentre l'art. 809 c.c. espressamente
estende anche agli atri atti di liberalità le regole relative alla donazione limitatamente alla disciplina della revocazione
per causa d'ingratitudine e per sopravvenienza di figli e a quella della riduzione per integrare la quota dei legittimari.

se consideriamo la donazione indiretta come atto di liberalità possiamo quindi concludere che a questo tipo di atti si
applicheranno le regole tipiche della forma del negozio che si è scelta in concreto, integrate, però, dalle regole che
abbiamo appena visto in tema di donazione.

Se il nostro ragionamento è corretto, dobbiamo quindi concludere che la forma di questo negozio indiretto non sarà
quella solenne della donazione, ma quella del negozio effettivamente posto in essere

Non dobbiamo confondere, infine, la donazione indiretta con quella simulata.

Con la donazione simulata non si vogliono produrre gli effetti della negozio che appare, ma quelli del negozio
dissimulato, che corrisponde, appunto, a una donazione.

Con la donazione indiretta, invece, non esiste alcun negozio simulato, e le parti vogliono che si producano proprio gli
effetti del negozio compiuto.

Revoca della donazione


Di regola le liberalità non possono essere revocate proprio perché non è moralmente corretto pretendere la restituzione
di ciò che si è donato.

Di questa esigenza morale se ne fa interprete il legislatore che vieta la revoca della donazione; in certi casi, tuttavia, il
comportamento del donatario o il verificarsi di circostanze sconosciute al donante possono autorizzarlo a revocare la
liberalità già effettuata.

La revoca della donazione (e degli atri di liberalità v. art. 809 c.c.) è quindi ammessa solo in due casi previsti dall'art. 800
del codice civile:

Ingratitudine del donatario;

Sopravvenienza di figli del donante.


I motivi che giustificano la revoca sono chiari;

se è pur vero che si è effettuata una donazione con l'animus donandi, non è poi certamente appagante essere
moralmente ripagati con l'ingratitudine; d'altro canto se si effettua una donazione pensando di contare sul proprio
patrimonio residuo solo per sé stessi o per i bisogni della propria famiglia, la sopravvenienza di figli può far riconsiderare
la liberalità effettuata.

La revoca della donazione, però, è consentita in questi casi solo a particolari condizioni, vediamole.

revoca per ingratitudine

( art. 801 c.c.)può essere chiesta quando il donatario ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il donante, il
coniuge, un discendente o un ascendente di questo; ovvero abbia commesso contro di loro un fatto al quale si applicano
le disposizioni sull’omicidio (es.: istigazione al suicidio di minore di anni 14), oppure li abbia denunciati infondatamente
o abbia testimoniato falsamente contro di loro per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo
non inferiore nel minimo a tre anni.

si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante, ritenendo l'ingiuria grave non solo quella prevista dall'art. 594 c.p.
ma anche quando abbia trattato in maniera offensiva il donante, ne abbia offeso il decoro etc.

ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui

gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433 e 436 c.c.

L'azione per ottenere la revoca può essere proposta ex art. 802 c.c. dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i
suoi eredi, entro l’anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione, ma se
le causa della revoca è l'omicidio volontario del donante oppure il donatario ha dolosamente impedito di revocare la
donazione, il termine per proporre l’azione è di un anno dal giorno in cui gli eredi hanno avuto notizia della causa di
revocazione.

Vediamo ora l'altro caso di revoca, e cioè la sopravvenienza di figli del donante (art. 803)

In questo caso possiamo avere diverse ipotesi:

donazioni fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione: possono essere
revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente del donante;

donazioni fatte in seguito al riconoscimento di un figlio: possono essere revocate, salvo che si provi che al tempo della
donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio;

figlio del donante ma solo concepito al tempo della donazione: anche in questo caso può essere domandata la
donazione

L'azione può essere proposta (art. 804 c.c.) entro cinque anni dal giorno della nascita dell’ultimo figlio nato nel
matrimonio o discendente o della notizia dell’esistenza del figlio o discendente, o, infine dell’avvenuto riconoscimento
del figlio nato fuori del matrimonio.

È poi possibile proporre l'azione, anche se il figlio del donante era già concepito al tempo della donazione. Impedisce la
proposizione o la prosecuzione dell’azione la morte del figlio o del discendente. Se l'azione ha successo, il donatario
deve restituire, se esistono ancora, i beni in natura e i frutti di essa maturatisi dal giorno della domanda, mentre se li ha
alienati ne deve restituire il valore.

Per i terzi l'art. 808 c.c. dispone che questi non sono pregiudicati dalla revoca, purché abbiano trascritto il loro acquisto
prima della trascrizione della domanda giudiziale di revoca.

Chiudiamo l'argomento ricordando che non tutti gli atti di liberalità possono essere oggetto di revoca. Ne sono escluse
ex art. 809 c.c. le donazioni rimuneratore, e quelle non soggette a collazione ex art. 742 c.c. e quelle fatte in occasione di
un determinato matrimonio.

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