Esso nella fase iniziale può immaginarsi composto dai soli gruppi di operatori
economici: famiglie e imprese e dei rapporti di scambio che si instaurano tra questi due
gruppi. In relazione a tale circuito possiamo osservare che:
le imprese decidono cosa produrre e quanto produrre: in relazione a ciò esse
stabiliscono indirettamente anche per chi produrre, perché le imprese decidono anche
quanta parte dei servizi produttivi sono disposte ad acquistare dalle famiglie. In questo
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
calibrare le proprie decisioni”. Tale teoria, dal lato della teoria del consumatore, fa sì
che quest’ultimo vuole minimizzare i costi e massimizzare l’utilità che trae
dall’utilizzo del bene; dal lato della teoria dell’impresa fa sì che questa voglia
massimizzare il proprio prodotto e minimizzare i costi di produzione.
Tale approccio microeconomico ad oggi è superato dall’«economia
comportamentale» che include anche l’elemento psicologico; questo significa che
esistono dei “biases cognitivi”, cioè degli errori cognitivi, in cui ogni individuo ogni
giorno incappa. (Ad ogni modo quella che tratteremo sarà la microeconomia fondata sulla teoria
delle aspettative razionali).
Macroeconomia: Studio dell'economia per grandi gruppi e aggregati economici (es. il
PIL) con il fine di individuarne il comportamento sistemico. L’idea è che la
macroeconomia per come la si studia oggi è una “macroeconomia microfondata”:
ciò significa che si vanno a sommare tutti i comportamenti di ogni singolo individuo
per creare la macroeconomia, ossia il funzionamento del sistema economico in
generale. La macroeconomia «studia il modo in cui un sistema economico determina i livelli
globali di attività e più precisamente studia le forze ed i meccanismi economici che per una data
collettività spiegano i livelli totali della produzione complessiva, il livello di occupazione globale, il
livello generale dei prezzi»; la prospettiva della macroeconomia consiste nel considerare
il sistema economico come se fosse un tutto.
Modelli economici
Un modello economico è una «rappresentazione semplificata della realtà o comunque
la rappresentazione esatta di una realtà ipotetica e semplificata». Un modello si
presenta come un insieme di relazioni tra fenomeni economici, tra loro interrelate, ed
organizzate in modo da formare un «sistema». Distinguiamo i modelli in due tipi di
categorie:
modelli teorici: in cui le relazioni elementari che descrivono i fenomeni oggetto di esame
sono definite e rappresentate come relazioni astratte, costituite da funzioni matematiche.
modelli astratti: in cui le relazioni elementari che descrivono i fenomeni oggetto di esame
sono definite e rappresentate come relazioni di tipo statistico.
{Cross-sections di dati : sono le misurazioni di una stessa variabile in uno stesso periodo di tempo ma
riferite a settori od operatori diversi}
Frontiera di produzione, scarsità ed efficienza
Come già anticipato, utilizzando una rappresentazione grafica nota come “curva o
frontiera delle possibilità di produzione”, otterremo una rappresentazione dell'idea di
scarsità. Un sistema economico in generale produce una molteplicità di beni ma per
semplicità possiamo assumere che tale molteplicità consista di due beni, A e B. Dato
che le risorse sono limitate, anche le combinazioni di beni A e B producibili utilizzando
tutte le risorse a disposizione, nelle stato corrente delle conoscenze tecniche, saranno
limitate. Possiamo determinare l'insieme di tutte queste possibili combinazioni di beni
adottando un artificio: «immaginare di volta in volta di aver deciso quanta parte delle risorse sono
assegnate alla produzione di un solo bene, ad esempio B. Se si assegnano predeterminata quantità di
risorse alla produzione del bene B, per differenza resta determinato un ammontare residuale limitato
di risorse disponibili per ottenere il bene A. Tali risorse, limitate, consentono di ottenere una quantità
finita anche del bene A. La quantità del bene A ottenibile in corrispondenza di una data quantità del
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bene B costituisce la massima quantità ottenibile del bene A, data la prefissata quantità prodotta del
bene B».
«consideriamo ora il caso estremo in cui tutte le risorse disponibili sono assegnate alla produzione del
solo bene A: essendo uguali a zero le risorse residuali disponibili, ciò vuol dire che il bene B è
simultaneamente prodotto a livello 0. Riguardo il bene A, da risorse finite non è possibile ottenere una
quantità infinita di bene i prodotti, e perciò, anche con l'impiego della totalità delle risorse nella produzione
di A, la massima quantità ottenibile di tale bene sarà limitata, ad esempio a 200 unità».
«allo stesso modo, se tutte le risorse fossero assegnate alla produzione del solo bene B, otterremmo che
per effetto della limitatezza delle risorse, associata a una quantità nulla del bene A, la massima quantità
ottenibile per il bene B sarà una finita, diciamo 220 unità».
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«ogni possibile combinazione intermedia tra e può essere pensata fissando la quantità di B che si
vuole ottenere ed individuando la quantità, finita, del bene A, ottenibile con le risorse residuali disponibili.
(Es. Una combinazione intermedia Q= (110,100) ha il significato che, se si assegnano la produzione del bene B risorse appena sufficiente ottenere
110 unità complessive di B, con le restanti risorse la massima quantità ottenibile del bene A è pari a 100 unità)».
«le combinazioni intermedie del tipo Q hanno solo la differente caratteristica di rappresentare produzioni
positive di entrambi i beni, ma continuano a mantenere il significato di "massima quantità tecnicamente
ottenibile del bene A, data la quantità prodotta del bene B", e viceversa. Risulta evidente che immaginando
di assegnare alla produzione del bene B le risorse per ottenere ogni possibile livello tra quelli compresi tra 0
e , è possibile identificare almeno concettualmente tutte le possibili combinazioni di entrambi i beni che
è possibile ottenere con le risorse date».
La curva riprodotta nel grafico precedente e denominata "frontiera delle produzioni
possibili" si presta molto bene a raffigurare l'idea che la scarsità delle risorse è un
“vincolo”; da ciò scaturisce l'inevitabilità del dover fare delle scelte e quindi la necessità di
dover individuare dei criteri in base ai quali effettuare tali scelte. Possiamo quindi
concludere che una maggiore disponibilità di risorse, in quanto allenta il vincolo della
scarsità, amplia le possibilità di produzione accessibili alla collettività, e tale allentamento
si riflette graficamente nello spostamento verso l'alto della frontiera delle possibilità di
produzione.
La forma concava della curva (a gobba) riflette le seguenti proprietà: «il costo di opportunità
per ottenere sempre maggiori quantità del bene B è crescente al crescere della produzione del
bene B». Detto altrimenti la rinuncia alla quantità del bene A è tanto maggiore quanto più
grande è la quantità del bene B che la collettività desidera avere a disposizione, e quanto
minore è la quantità disponibile del bene A.
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Uno dei tratti caratteristici della teoria neoclassica è che essa valuta costi e benefici sulla
base del «principio della scelta al margine», vale a dire in base al confronto tra gli
incrementi di benefici e gli incrementi di costi che ogni eventuale modifica dello status quo
comporta.
«Ritornando all'analisi della «scarsità», l'allentarsi del vincolo della scarsità attenua anche l'urgenza del
dovere effettuare delle scelte. Supponiamo che aumenti la dotazione di risorse di cui il paese dispone,
sappiamo che ciò comporta uno spostamento della frontiera delle possibilità di produzione verso l'alto nel
piano; la possibilità per questi paesi di spostare verso l'alto la frontiera delle possibilità permette
l’espansione di alcuni consumi senza imporre rinunce rispetto ad altri beni. E’ bene però avvertire che lo
spostamento della frontiera allenta il peso dei costi di opportunità rispetto alle scelte allocative correnti
che i punti inefficienti interni alla frontiera impiegano comunque tutte le risorse
disponibili, cioè impiegano le stesse risorse che permetterebbero di ottenere maggiori
quantità di entrambi i beni se usate in modo efficiente. I costi che i punti inefficienti
impongono alla collettività consistono nella «rinuncia» a ottenere la produzione aggiuntiva
dei beni che l'uso della stessa quantità di risorse permetterebbe solo se fosse utilizzata in
maniera appropriata. È possibile affermare che mentre una scelta tra punti sulla frontiera
impone dei costi di opportunità espliciti, punti interni alla frontiera pongono costi di
opportunità impliciti in quanto consistono nel mancato possibile aumento di almeno la
produzione di un bene e perciò sono meno percettibili dalle opinioni pubbliche.
Il quesito che ora si pone è se un sistema economico decentralizzato come quello descritto
nel circuito economico tenderà a collocarsi su punti efficienti della frontiera e se esistono
meccanismi che spingono tale sistema verso punti sulla frontiera, qualora dovesse
discostarsene collocandosi su punti interni della stessa frontiera. La risposta è che tale
meccanismo esiste ed è il «meccanismo di mercato», esso tende a realizzare allocazioni
efficienti della produzione attraverso la «formazione del prezzo dei beni».
Considerazioni finali
per effetto della scarsità occorre fare delle scelte
tali scelte si riconducono a quale allocazione delle risorse, tra quelle accessibili per la
collettività, è conveniente attuare
ogni allocazione efficiente può essere realizzata tramite il meccanismo di mercato
il meccanismo di mercato consiste il meccanismo della formazione del prezzo
Possiamo quindi concludere che spiegando come il mercato determina il prezzo dei beni, noi
cogliamo in uno sia l'allocazione delle risorse sia il funzionamento del sistema capitalista.
2° Cap: “Prezzi e mercati”
La teoria del prezzo di mercato di un singolo bene
La «teoria del prezzo di mercato» è ispirata al «metodo dell’equilibrio parziale», ideato
dall’economista inglese Marshall tra la metà del XIX sec. e gli inizi del XX sec., che
consiste nell’imporre la clausola del “coeteris paribus”, cioè la condizione “a parità di
altre cose”. Secondo tale impostazione, la formazione del prezzo prende in
considerazione il solo mercato del bene a cui si riferisce , presupponendo date e note
tutte le altre condizioni relative agli altri mercati. Con questa procedura tuttavia
bisogna essere cauti a considerare la validità generali delle conclusioni che si
raggiungono. Nei sistemi moderni le interrelazioni tra i differenti mercati sono talmente
estese e profonde da aver reso luoghi comuni termini quali “mercato globale”,
“globalizzazione” ed è difficile pensare a mercati isolati i cui fenomeni non siano
influenzati né influenzino gli avvenimenti degli altri mercati. Tuttavia la «teoria del
mercato del singolo bene» ha un contenuto analitico che la rende uno schema molto
utile.
Prezzo di un bene: è la quantità di moneta che occorre cedere per ottenere in
cambio una unità di un bene.
Mercato: l’insieme delle transazioni relative ad un dato bene effettuate da una
costellazione di venditori e compratori.
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libertà di entrata e uscita dal mercato, quindi non c'è il vincolo dei costi di
transazione;
i consumatori hanno chiare le loro preferenze e le imprese conoscono le tecnologie
messe a loro disposizione, che sono uguali per tutti e non possono essere sostituite;
gli agenti economici dispongono delle stesse informazioni in maniera certa;
la chiusura di un'impresa, giungerà quando essa non sarà più in grado di coprire i
costi variabili, e quando il prezzo di vendita del bene sul mercato sarà inferiore al
costo variabile unitario del bene;
sono resi certi i diritti di proprietà delle risorse disponibili, in modo da conferire agli
agenti economici una certa responsabilità nell'impiego dei propri mezzi;
Ora immaginiamo un mercato in cui ci siano due acquirenti, ognuno con il proprio
prezzo di riserva:
Ipotesi: =7 e =5
- Dal prezzo 7 fino al prezzo 5 solo il primo acquirente comprerà un’unità
- Al prezzo 5 si aggiunge un’unità poiché compra anche il secondo acquirente.
- Se = 8 allora nessuno compra
- Se = 4 la quantità acquistata sarà di 2 unità (una per ciascun acquirente), ed
inoltre entrambi gli acquirenti ottengono un surplus:
1° Surplus = − = 7−4=3
2° Surplus = − = 5−4=1
(Poiché con riferimento all'intero mercato, per estensione, si chiama surplus del
consumatore o “surplus del mercato” la sommatoria dei surplus individuali di tutti
gli agenti del mercato) avremo allora che:
∑( − = (7 − 4) + (5 − 4) = 3 + 1 = 4
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In generale diremo che «la curva di domanda è il luogo geometrico dei punti che
definisce la relazione inversa che intercorre tra prezzi e quantità domandate in un
mercato per un dato bene».
La funzione di domanda si presenta nel seguente modo: → La quantità
domandata è funzione del prezzo. (P=variabile indipendente, = variabile dipendente)
( è la funzione di Domanda Diretta. Generalmente si rappresenta P sull’asse verticale e
Q su quello orizzontale. Quando P è scritto in funzione di Q, ossia la funzione di domanda è espressa
come P = f( ), si ha la cosiddetta funzione di Domanda Inversa]
Un agente economico razionale risponde ad un aumento del prezzo del bene con la
diminuzione della quantità domandata dello stesso. Pertanto, ipotizzando il rispetto
del postulato di razionalità, tra la quantità domandata e il prezzo di un bene esiste
una relazione inversa ( Se il prezzo aumenta, la quantità domandata diminuisce; se il prezzo
diminuisce la quantità domandata aumenta). Le diverse combinazioni di quantità e prezzo possono
essere rappresentate graficamente su un diagramma cartesiano con il prezzo alle ordinate e le
quantità domandate sulle ascisse. Trasponendo le combinazioni quantità/prezzo come coordinate
(x,y) del diagramma si disegna la curva di domanda. Sia che sia presa in considerazione una
funzione di domanda lineare (retta), sia una funzione di domanda non lineare
(iperbole), in entrambi i casi la curva di domanda si presenta con una inclinazione
negativa. Nel disegnare la curva di domanda sono prese come costanti tutte le altre
variabili economiche (reddito, prezzo altri beni, ecc.) che possono influire sulla domanda.
Difatti, la quantità domandata non è funzione solo del prezzo ma vi sono anche altre
variabili che la determinano.
Cause di spostamenti della curva di domanda del mercato di un singolo bene
Appunti di Stefania Bortone
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La ragione per cui la curva di domanda e offerta possono spostarsi risiede nella clausola
"coeteris paribus"; in virtù di tale clausola, nel determinare l'equilibrio come
intersezione tra domanda e offerta si suppongono date sia le condizioni relative agli
altri mercati, sia le grandezze significative per la condotta degli operatori sul dato
mercato. In particolare, abbiamo supposte date le seguenti grandezze che influenzano
la curva di domanda:
I prezzi dei beni correlati al bene considerato: i beni sono legati tra loro da
rapporti di sostituibilità o complementarietà.
«Due beni si dicono tra loro sostituti quando sono sufficientemente simili da
soddisfare le stesse esigenze in modo più o meno equivalente» . In tali
circostanze un aumento del prezzo dell'uno implica un aumento della
quantità domandata dell'altro, a causa del fatto che un improvviso eccesso di
domanda nel mercato di un bene tende a tracimare nel mercato dell'altro.
Appunti di Stefania Bortone
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«Graficamente, ipotizziamo un aumento del prezzo dell'altro bene non rappresentato nel grafico.
In conseguenza di tale aumento, nel mercato del bene sostituto che stiamo esaminando si riverserà
una parte della domanda che precedentemente si rivolgeva all'altro bene e ciò farà registrare un
aumento della quantità domandata desiderata dai compratori. Rispetto inizia alle posizioni di
equilibrio, sul mercato si registrerà ora una domanda maggiore che in precedenza. Questa reazione dei
compratori è però vera non solo rispetto al prezzo di equilibrio ma anche per ogni altro livello di
prezzo ammissibile in quanto è cambiata l’attitudine dei compratori rispetto al bene in questione
e tale mutamento di attitudine si riflette nello spostamento verso destra dell'intera curva di
domanda. Rispetto all’equilibrio di partenza, uno spostamento della curva di domanda verso destra
muta la natura del prezzo iniziale che ora non è più di equilibrio e ciò attiva il meccanismo di
mercato che prima era quiescente. Terminati gli aggiustamenti di mercato, l'effetto finale causato alla
collocazione della nuova curva di domanda a destra della curva originaria, sarà di determinare un
nuovo prezzo di equilibrio più elevato rispetto a quello iniziale. Se al contrario il prezzo del bene
sostituto diminuisce, la curva di domanda si sposta verso sinistra e il nuovo prezzo di equilibrio sarà
in corrispondenza di un punto di intersezione con la curva di offerta più basso di quello iniziale».
«Due beni sono tra loro complementari quando per soddisfare determinati
bisogni essi sono utilizzati congiuntamente». Dati due beni tra loro
complementari, l'aumento del prezzo di un bene induce una riduzione
anche nella quantità domandata dell'altro bene.
Appunti di Stefania Bortone
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«Graficamente, nel caso di aumento del prezzo di un bene complementare rispetto a quello
considerato nel grafico, nel mercato del bene considerato si registra uno spostamento della curva
di domanda verso sinistra. In conseguenza di ciò, a parità di curva di offerta e terminati gli
aggiustamenti conseguenti al fatto che l’iniziale prezzo di equilibrio genera uno stato di
disequilibrio, il nuovo prezzo determinato all'intersezione tra la data curva di offerta e la nuova
curva di domanda ed è inferiore a quello iniziale».
«al contrario se un numero minore di compratori desidera acquistare quel bene, la curva di
domanda si sposta verso sinistra»
Appunti di Stefania Bortone
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Si definisce «quantità offerta di un bene» la quantità totale che l’insieme dei venditori
è disposto a vendere ai compratori al prezzo che prevale in un dato momento per quel
bene. Tale quantità si modifica al modificarsi del prezzo: di fronte a prezzi differenti del
bene, essi venderanno quantità differenti del bene. L’attitudine a vendere differenti
quantità a seconda del prezzo viene descritta tramite la curva di offerta.
Definiamo «prezzo di riserva» per il venditore, il prezzo minimo che egli è disposto ad
accettare per vendere un’unità di bene o un servizio su un mercato (questo viene
deciso ad esempio in base ai costi di produzione). [Di fatto il prezzo di riserva coincide col costo
marginale; per vendere la quantità y* il prezzo di riserva è p*, ma per venderne di meno è inferiore ( =
Cm)]
Proviamo a immaginare come il surplus del venditore agisce rispetto a un prezzo di
mercato:
Ipotesi: = 5
- Se = 8 il venditore deciderà di vendere poiché > , proprio per questo egli
otterrà un surplus = − = 8−5=3
Ora immaginiamo un mercato in cui ci siano due venditori, ognuno con il proprio prezzo
di riserva:
Ipotesi: =5 e =7
- Al prezzo 5 solo un venditore è disposto a vendere.
- Dal prezzo 7 in su si aggiunge un’unità poiché vende anche il secondo venditore.
- Se = 4 allora nessuno vende
- Se = 8 la quantità venduta sarà di 2 unità (una per ciascun venditore), ed inoltre
entrambi i venditori ottengono un surplus:
1° Surplus = − = 8−5=3
2° Surplus = − = 8−7=1
(Poiché con riferimento all'intero mercato, per estensione, si chiama surplus del
produttore la sommatoria dei surplus individuali di tutti gli agenti del mercato)
avremo allora che:
∑( − = (8 − 5) + (8 − 7) = 3 + 1 = 4
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
In generale diremo che «la curva di offerta è il luogo geometrico che descrive la
relazione diretta che intercorre tra prezzi e quantità offerte in un mercato per un dato
bene». La curva di offerta si basa su una funzione matematica in cui il prezzo è la
variabile indipendente (input) e la quantità di produzione del bene la variabile
dipendente (output); il rapporto tra le variazioni della quantità offerta ed il prezzo del
bene ha segno positivo, perciò prezzo e quantità offerta si muovono nella stessa
direzione, tale proprietà indica che all’aumentare del prezzo del bene, aumenterà
corrispondentemente anche la quantità offerta, pertanto si può affermare che la curva
di offerta è funzione crescente del prezzo.
La funzione di offerta si presenta nel seguente modo: q= f(p). Il prezzo e la quantità di
produzione del bene consentono di determinare il profitto d'impresa. Come è facile
intuire, il comportamento di ogni impresa consiste nella massimizzazione del profitto.
Pertanto, a parità di altre condizioni, per massimizzare il profitto quanto maggiore è il
prezzo di mercato di un bene, tanto maggiore è la quantità del bene che una impresa è
disposta a produrre. La curva di offerta è quindi una funzione crescente con il prezzo.
La curva di offerta ha una inclinazione positiva per effetto della legge dell'offerta
(secondo la legge dell'offerta un aumento del prezzo genera un incremento della quantità offerta di un
bene o servizio, e viceversa).
Appunti di Stefania Bortone
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possibile livello di prezzo del bene si associa una maggiore produzione e dunque aumenta la
quantità che i venditori desiderano vendere sul mercato. Pertanto la curva di offerta, a seguito
di un mutamento tecnologico che aumenta la produttività, si sposta verso destra».
Occorre tener conto però che l'adozione di una nuova tecnica in generale non è
istantanea ma è un processo che si svolge nel tempo e nello spazio economico.
Pensiamo a tipi di innovazioni o invenzioni che incidono su produzione di beni
diffusi su larga scala (es. La robotica nell'industria automobilistica): in tal caso
inizialmente l'adozione della nuova tecnologia è possibile che avvenga a prezzi dei
nuovi fattori sensibilmente elevati. Dovendo le singole imprese diverse
l'introduzione delle nuove tecnologie da parte loro concorrenti, ciò può
inizialmente determinare un aumento dei costi. Questa eventualità comporta
conseguenze simili a quello dell'aumento del prezzo dei fattori con la differenza
che ora l'aumento di costi riguarda non i fattori variabili ma le strutture e gli
impianti produttivi, quindi i fattori fissi di produzione. In tal caso a uno
spostamento verso sinistra della curva offerta dovute maggiori costi di adozione
della nuova tecnologia, si accompagna però un successivo spostamento verso
destra dovuta una maggiore produttività che la mutata tecnologia consente.
Sintetizzando, la diffusione di nuove tecnologie determina spostamenti sull'offerta
riconducibili a due effetti:
un effetto ristrutturazione: dovuto alla modifica dei costi indotta
dall'introduzione dei nuovi metodi che sposta verso sinistra la curva di offerta.
un effetto produttività: dovuto alla maggiore produttività dei nuovi impianti che
sposta verso destra la curva di offerta del bene.
L'effetto finale sul prezzo del bene risulta dalla somma algebrica dei due effetti
(bisogna riferirsi la somma algebrica perché l'effetto ristrutturazione spinge sul mercato
in direzione all'aumento di prezzo, mentre l'effetto produttività spinge in direzione della
diminuzione).
Variazione nella dotazione della capacità produttiva relativa ad un dato bene
(mutamenti nella disponibilità di fattori produttivi durevoli): quando costruiamo la
curva di offerta, si assume che tra le grandezze date nel breve periodo sia anche
data una determinata capacità produttiva di un settore produttivo. Tale
capacità consiste del capitale fisico costituito dagli impianti, macchinari,
Appunti di Stefania Bortone
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«Qualora il prezzo corrente sia (superiore a quello di equilibrio), la corrispondente quantità domandata
Q (che è l'ascissa corrispondente al punto A) è minore della quantità offerta Q (che è l'ascissa del
punto B). L'eccesso negativo di domanda (graficamente coincidente col segmento AB che misura la distanza
tra i punti A e B) spinge il prezzo corrente al ribasso verso il punto E. Viceversa se il prezzo corrente è
(minore di quello di equilibrio), l'eccesso di domanda è positivo e ciò genera una spinta al rialzo del prezzo
corrente verso il punto E. L'unico prezzo che non tende a modificarsi è il prezzo di equilibrio P*; in sua
corrispondenza nessuna delle forze che nel mercato generano spinte al rialzo e al ribasso è attiva. Lo stato
di quiete tende a perpetuarsi nel tempo fino a quando non si verifica un qualche evento esterno che,
agendo come elemento di disturbo, modifica lo stato corrente dell'eccesso di domanda rendendolo
Appunti di Stefania Bortone
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nuovamente diverso da zero. In tale circostanza, si innesca nuovamente sul mercato il processo di
aggiustamento che riconduce il mercato stesso verso un differente equilibrio».
2.5 Elasticità della domanda: elasticità rispetto al prezzo, elasticità incrociata ed elasticità
rispetto al reddito
L’elasticità permette di caratterizzare non solo la direzione della reattività ma anche l’intensità della
reattività della domanda e dell’offerta rispetto alle variazioni di un prezzo.
DOMANDA: la legge della domanda è se aumentano i prezzi diminuisce la quantità domandata, perché
aumentando il rezzo di vendita il consumatore tende a ridurre la quantità domandata del prodotto, volendo
questi acquistare a prezzi bassi.
𝑄𝐵 𝑄𝐴
Nel caso dell’OFFERTA succede il contrario se aumenta il prezzo aumenta la quantità offerta quindi la
funzione sarà positivamente inclinata, perché aumentano i ricavi totali delle imprese che sono il prodotto
tra prezzo e quantità, quindi se cresce il prezzo aumentano anche i ricavi totali e poiché il profitto è dato
dai ricavi meno i costi, è evidente che se aumentano i ricavi aumentano i profitti a parità di costo di
produzione. In formule R.I.=PxQ; (profitto) = R - CT=(P-C’)D
Se è vero che l’impresa tende ad aumentare la quantità offerta all’aumentare dei prezzi, allora l’imprese
per aumentare i ricavi totali sarà portata ad aumentare i prezzi di vendita. Poiché nella realtà non esiste né
la concorrenza perfetta né i monopoli ma esistono delle situazioni intermedie come il potere di monopoli,
ovvero non un monopolio assoluto ma un potere di monopolio, cioè possono aumentare il prezzo di
vendita: dato il costo marginale di produzione, poiché il margine di profitto è dato da prezzo meno i costi
marginali, l’impresa ricarica il prezzo al di sopra del costo marginale. Però c’è un problema dal lato
dell’impresa perché se il prezzo aumenta la quantità domandata si riduce allora l’impresa deve cercare di
ottenere una crescita del margine di profitto maggiore della caduta della quota di mercato. E quindi entra
in gioco l’elasticità, cioè la sensibilità o reattività della domanda alla variazione dei prezzi (es. la domanda
del bene benzina è poco reattiva alla variazione dei prezzi, si dice che la domanda è (quasi) perfettamente
rigida rispetto al prezzo, mentre altri prodotti sono (quasi) perfettamente elastici, che sono facilmente
sostituibili, come la tazzina di caffè a Napoli). Quindi, le imprese prima di effettuare il rincaro dei prezzi
sanno bene che devo valutare in quale mercato si inseriscono. L’importanza dell’elasticità sta nella
possibilità delle imprese di fare politiche di prezzo, cioè deve sapere se il suo prodotto ha una domanda
rigida o elastica, evitando di subire perdite; nel primo caso i prezzi possono aumentare molto rispetto ai
costi di produzione entro il limite del prezzo massimo che i consumatori sono disposti a spendere per un
dato prodotto (per questo anche esistono le gamme di prodotti che relazionano il prezzo di vendita alla
qualità, nonché ai costi di produzione) , nel secondo caso si deve ricaricare il prezzo molto poco.
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L’elasticità delle domanda rispetto al prezzo è il rapporto tra la variazione percentuale della quantità
domandata e la variazione percentuale del prezzo del bene.
Un’esatta comprensione del concetto di elasticità richiede la specificazione della nozione di variazione
percentuale di una grandezza.
𝐷𝑥
x 100 = variazione percentuale di una grandezza x rispetto ad un valore iniziale 𝑥
𝑥0
Quando la grandezza di cui si parla è il prezzo P di un bene e si ipotizza che abbia subito una modifica, dal
livello iniziale al livello corrente , la variazione assoluta di P, P, risulterà
P = 𝑃 - 𝑃
La variazione percentuale di P si ottiene dal rapporto tra la sua variazione assoluta ed il valore di partenza,
e poi moltiplicando tale rapporto per 100:
P% = P/𝑃 = [ 𝑃 - 𝑃 )/ 𝑃 ] x 100
Con riferimento all’elasticità della domanda rispetto al prezzo del bene otteniamo la seguente definizione:
l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è la variazione percentuale della quantità domandata rispetto
ad una variazione percentuale del prezzo.
Dove
Pertanto
Vi sono alcuni valori notevoli dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo che è opportuno considerare.
Tali valori sono:
a) Elasticità = 0 sta a significare che qualunque variazione di prezzo lascia la quantità domandata
invariata. La domanda è indipendente dal prezzo e graficamente essa nel piano è rappresentata da
una retta verticale. La curva di domanda in tal caso è totalmente rigida o inelastica.
b) Elasticità = 1 sta a significare che ad ogni variazione % del prezzo si accompagna una identica
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Attrezzati col concetto di elasticità proviamo ora a rispondere al quesito: l’aumento del prezzo delle
automobili aumenterà sempre l’incasso ( il ricavo totale) delle imprese venditrici?
Occorre osservare che, quel che le imprese del settore è l’incasso totale dalle vendite, costituisce per i
compratori di automobili la loro spesa totale in acquisti di automobili.
Partendo da condizioni di equilibrio, dove la quantità venduta coincide con la quantità domandata, in
quali situazioni l’aumento del prezzo induce un aumento della spesa totale da parte da parte dei
compratori di automobili?
Se è vero che aumentando il prezzo la quantità domandata da parte dei compratori si riduce, l’effetto
complessivo sulla spesa totale dei compratori, e quindi sugli incassi delle imprese venditrici, dipenderà
dal modo in cui l’aumento di prezzo unitario viene controbilanciato dalla riduzione della quantità
acquistata. I tre casi di elasticità uguale, maggiore o minore di uno ci aiutano a dare una risposta.
Se elasticità = 1, in tal caso ad un dato aumento percentuale del prezzo corrisponde una identica
diminuzione percentuale della quantità. In questa ipotesi, la spesa dei compratori di automobili resta
immutata, e dunque anche gli incassi dei venditori di automobili.
Se, viceversa, l’elasticità è maggiore dell’unità, un aumento del prezzo non risolve, ma aggrava la crisi.,
perché ad un dato aumento percentuale del prezzo corrisponde una riduzione percentuale maggiore
della quantità. In questa ipotesi la spesa complessiva dei compratori si riduce, e conseguentemente
anche gli incassi totali dalle vendite di automobili si riducono per i venditori.
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Un caso concreto che permettere di integrare il quadro teorico delle implicazioni di un differente grado
di elasticità della domanda, è costituito dall’esempio della condizione degli agricoltori nell’UE. In
generale, nella produzione agricola è stato osservato un paradosso. Per il singolo agricoltore un
raccolto abbondante può significare ricchezza laddove un raccolto scarso significa povertà. Al contrario,
Un raccolto elevato causa uno spostamento verso destra della
curva della curva di offerta. In figura, la curva di offerta si
sposta da S a S’, e tale spostamento comporta, a parità di
curva di domanda, un prezzo più basso di equilibrio P’. Ma la
domanda è inelastica. In virtù di tale inelasticità, alla riduzione
di prezzo conseguente al maggior raccolto si accompagna ad
un aumento delle vendite dei prodotti agricoli
percentualmente inferiore alla riduzione di prezzo. La
conseguenza è la riduzione del reddito degli agricoltori.
per la totalità degli agricoltori, un abbondante raccolto può significare povertà laddove un raccolto
scarso può significare ricchezza. Il concetto dell’elasticità della domanda ci aiuta a capire tale
paradosso. Si consideri la figura 32.
Il paradosso appena illustrato è forse l’unica argomentazione a dare una giustificazione a politiche
agricole aberranti come quelle della CEE che compra dagli agricoltori dei paesi membri prodotti agricoli
per distruggerli. Lo scopo di tali politiche è di “restringere” l’offerta per mantenere il prezzo elevato e
proteggere in tal modo il reddito degli agricoltori.
quando i beni sono sostituti le variazioni di quantità e prezzo sono dello stesso segno, mentre dette
variazioni sono di segno opposto quando i beni sono complementari, possiamo affermare che:
a) Se l’elasticità incrociata della domanda ad es. del bene A rispetto al prezzo del bene B è positiva
i due beni A e B sono tra loro sostituti.
b) Se l’elasticità incrociata è negativa, i due beni A e B sono tra loro complementari.
Immaginiamo che un’impresa produca due beni sostituibili tra loro, es. coca cola e fanta, userà tale politica
di prezzi: la domanda dell’impianto A è molto elevata, la domanda del bene B scarseggia; l’impresa alza il
prezzo del bene A in maniera da spostare la domanda da A a B. Un’impresa che produce beni
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
complementari tra loro, si può fare politica di prezzo, ma se il prezzo viene percepito male dal mercato si
abbassa sia la domanda del prodotto primario ma anche la domanda del prodotto secondario.
a) se l’elasticità della domanda del bene rispetto al reddito è positiva ma minore dell’unità, il bene
in questione è di prima necessità;
b) se l’elasticità della domanda del bene rispetto al reddito è maggiore dell’unità, il bene è
normale, ma in più diremo che è un bene di lusso.
2.6 l’elasticità arcuale della domanda rispetto al prezzo
Il concetto di elasticità che abbiamo presentato in precedenza viene spesso ulteriormente distinto con la
denominazione di elasticità puntuale della domanda rispetto al prezzo. Come l’aggettivo suggerisce esso
misura l’elasticità in un punto della curva. Si è però notato che, per variazioni non eccessivamente grandi di
prezzo e quantità, la misura dell’elasticità soffre di un significativo inconveniente. Infatti l’elasticità
puntuale è misura non invariante rispetto a identiche variazioni di prezzo a seconda se tali variazioni si
riferiscono ad aumenti o diminuzioni di prezzo. infatti, dati due prefissati valori, iniziale e finale, di prezzo, a
secondo se guardiamo alla differenza tra il prezzo corrente e quello iniziale come ad un aumento o ad una
diminuzione, l’elasticità puntuale risulta differente .
Esempio 1
Considerando gli stessi dati dell’es. precedente, assumiamo una diminuzione del prezzo da 4 a 2, a tale
riduzione corrisponde un aumento della quantità domandata da 4 a 12. Applicando alla stessa variazione
assoluta di prezzo la formula per il calcolo delle variazioni %, considerandola però una diminuzione di
prezzo, otteniamo rispettivamente i seguenti valori
% à
L’elasticità puntuale che ne risulta è %
=- = -4 che è diversa da – 0,67 ottenuta
prima.
la stessa variazione di prezzo è misurata da due valori diversi dell’elasticità. Per ovviare a questo
inconveniente si ricorre al concetto di elasticità arcuale della domanda rispetto al prezzo. L’elasticità
arcuale misura l’elasticità della domanda rapportando le rispettive variazioni assolute di prezzo e di
quantità non ai valori di partenza, ma, rispettivamente, rispetto al prezzo medio e alla quantità media.
Più esattamente,
à
variazione % quantità = à
; quantità media = (quantità iniziale + quantità
finale)/2
In tal modo la misura dell’ elasticità che si ottiene è la stessa, sia rispetto ad aumenti che a diminuzioni di
prezzo.
Esempio 2
con i dati dell’es. 1 è
prezzo medio = = 3; quantità media = = 8.
Pertanto :
a) in caso di un aumento del prezzo da 2 a 4; variazione % P = x100 = 66,6; variazione % Q = x100
= -100
quindi elasticità arcuale è - = -1,5
b) in caso di diminuzione del prezzo da 4 a 2 ; variazione % P = x100 = - 66,6; variazione % Q =
x100 = 100
quindi elasticità arcuale è - = -1,5
2.7 Elasticità dell’offerta
% à
Elasticità dell’offerta = .
%
La ragione per cui non è particolarmente significativo il valore dell’elasticità dell’offerta rispetto al prezzo è
che il prezzo e quantità offerta si muovono nella stessa direzione. Un aumento del prezzo implicherà
sempre un aumento della quantità offerta da parte dei venditori. Possiamo allora dire che l’elasticità
dell’offerta è sempre positiva, o nulla, e che tre sono i valori interessanti della elasticità dell’offerta rispetto
al prezzo:
a) elasticità dell’offerta = 0. La quantità offerta resta immutata per qualsiasi variazione di prezzo. La
curva di offerta del bene, è verticale, ed è detta inelastica o totalmente rigida.
b) elasticità dell’offerta > 0. La curva dell’offerta ha normale inclinazione, e quanto maggiore è il
valore dell’elasticità tanto più elastica è la curva di offerta.
c) elasticità dell’offerta = ∞. La curva dell’offerta è orizzontale e l’offerta è detta infinitamente o
perfettamente elastica.
Possiamo definire: elasticità incrociata dell’offerta del bene A rispetto al prezzo del bene B =
%
%
con riferimento ai consumatori, i beni offerti sono tra loro in concorrenza rispetto ai
compratori. I beni offerti competono per una limitata capacità di spesa dei compratori, dovuta
alla finitezza del reddito. Un aumento del prezzo del bene B assorbe una maggiore spesa dei
compratori ed in un certo senso restringe il mercato per il bene A. Quando il prezzo del bene B
aumenta, l’offerta di A si riduce.
Dal lato dei produttori, quando il prezzo del bene B aumenta significativamente i venditori del
bene A possono essere indotti ad abbandonare la produzione di A per sostituirla con quella del
bene B. In tal modo, in risposta ad un aumento del prezzo del bene B, la riduzione della
produzione del bene A avviene non solo per effetto della riduzione della produzione di
operatori ancora presenti sul mercato, ma anche per effetto dell’abbandono di produttori di A
a favore della produzione del bene B.
A tal proposito, occorre rilevare che anche dal lato dell’offerta è possibile estendere la distinzione
tra beni sostituiti nella produzione e beni complementari nella produzione. Due beni sono sostituiti
nella produzione se le risorse impiegate nella produzione dell’uno possono anche essere adoperate
Appunti di Stefania Bortone
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nella produzione dell’altro. In tal caso un aumento del prezzo del bene sostituito induce su un altro
bene una contrazione della produzione, a causa dello spostamento di risorse verso il bene il cui
prezzo è aumentato.
utilizzare questo grafico per descrivere reagisce a mutamenti nelle condizioni di offerta data la
differente elasticità della domanda nel breve e nel lungo periodo.
Partiamo da una situazione E che si colloca simultaneamente sia sulla curva sia nella curva di domanda
(meno elastica) di breve periodo che sulla curva (più elastica) di lungo periodo . Uno spostamento
improvviso della curva di offerta, da S ad S’ determina nel breve periodo un aumento del prezzo da E a E’.
Ma col passare del tempo i compratori adeguano il loro comportamento alla mutata situazione e
cominciano ad indirizzare la loro domanda verso beni sostituti. I cambiamenti di abitudine si riflettono nella
lenta rotazione della curva , la quale si sposta ruotando intorno al punto E verso sinistra, determinando
così differenti prezzi di equilibrio nel breve periodo di mercato. La direzione del movimento è tracciata
dalla sequenza di intersezioni tra una data curva di offerta e le varie differenti curve di domanda , che nel
grafico sono indicate dalle frecce che indicano il percorso lungo la curva di offerta S’. La curva di domanda
nel passaggio dal breve al lungo periodo diventa via via più elastica, e perciò si muove attraverso delle
rotazioni in senso antiorario. Quando l’aggiustamento, attraverso rotazioni successive della curva di
domanda termina, la posizione di equilibrio di lungo periodo apparirà corrispondente al punto E’’. in questa
posizione, il prezzo di mercato è superiore rispetto ad E di partenza., a causa dello shock negativo
dell’offerta, ma inferiore a quello di equilibrio iniziale di breve periodo E’ , rispetto al quale l’adattamento
Appunti di Stefania Bortone
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dei compratori porta ad un parziale riassorbimento dell’impatto iniziale dello shock negativo dal lato
dell’offerta.
Questa situazione viene descritta affermando che, nel breve periodo l’adeguamento dei mercati a shock
esterni mostra dei fenomeni di overshooting ovvero fenomeni di “sovra aggiustamento” che portano i prezzi
ad essere temporaneamente più elevati, ma poi gradualmente si riaggiustano verso il basso in un periodo di
tempo sufficientemente lungo.
In modo equivalente, anche per la curva di offerta di un bene possiamo parlare di curva di offerta di breve
periodo e curva di offerta di lungo periodo. La prima descrive la quantità offerta dai produttori di un bene in
corrispondenza dei vari possibili beni in un intervallo di tempo breve, nel quale l’adeguamento dei
produttori a shocks esterni sul mercato è incompleto.
La curva di offerta di lungo periodo descrive la stessa relazione quando i produttori si sono adeguati
completamente alle mutate condizioni di mercato. Essa è più elastica della curva di offerta di breve
periodo. Nel breve periodo, infatti, la quantità prodotta reagisce in misura contenuta a variazioni di prezzo
di mercato in quanto la capacità produttiva è data e si adegua solo gradualmente nel tempo. Tuttavia,
quando il periodo è sufficientemente lungo, l’adeguamento completo della capacità produttiva manifesterà
i suoi effetti attraverso una maggiore o minore quantità prodotta. Il modo in cui il processo di modifica
dell’elasticità della curva di offerta dal breve al lungo periodo innesca un processo di aggiustamento di
mercato si può cogliere esaminando la risposta del mercato ad uno shock positivo di domanda. Rispetto ad
un punto iniziale E, uno spostamento verso destra della domanda da DD a D’D’ determina in E’ un equilibrio di breve
periodo con prezzo più elevato. Col passare del tempo, in risposta al prezzo di equilibrio più elevato, la capacità
produttiva si espande e la curva diventa via via più elastica ruotando intorno al punto E’ fino alla posizione . La
successione di intersezioni tra la data curva di domanda e la famiglia di curve di offerta sempre più elastiche, è
rappresentata dalle frecce, che indicano il percorso delle intersezioni lungo la curva di domanda.
TASSI DI CAMBIO
Il tasso di cambio è un prezzo e come tale esso si forma su un mercato: il mercato delle divise estere (detto
anche mercato dei cambi). Le valute o divise straniere, cioè le monete straniere, si acquistano e si vendono
come un bene qualsiasi. L’insieme delle transizioni relative ad una particolare valuta straniera costituisce il
mercato di quella valuta straniera. Il mercato delle valute in generale è l’insieme dei mercati delle singole
valute straniere.
Il mercato di una divisa è costituito da :
Curva di domanda per quella divisa;
Curva di offerta di quella divisa;
Il prezzo della divisa.
La domanda di valuta in un paese scaturisce da tutti gli operatori residenti nel paese che hanno necessità di
effettuare pagamenti all’estero in quella valuta. Ad es. sul mercato italiano del dollaro la domanda di dollari
di tutti gli operatori italiani che hanno necessità di effettuare pagamenti in dollari e perciò comprano dollari
pagando in euro ( “cambiano” euro in dollari). Le ragioni per cui operatori italiani coprano dollari trovano
origine negli scambi commerciali con operatori dell’area dollaro. L’insieme dei rapporti di scambio e di
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debito e credito tra i residenti nazionali e residenti esteri contribuiscono a determinare la situazione
corrente della bilancia dei pagamenti di un paese.
Chi offre valuta? Ad es. chi offre dollari in Italia? L’offerta di valuta straniera proviene da tutti quegli
operatori in possesso di valuta straniera che desiderano acquistare valuta nazionale.
In un sistema economico moderno gli scambi relativi ad una data valuta in realtà concretamente
avvengono, non già direttamente tra richiedenti e offerenti dollari, ma tramite sistema bancario. Il sistema
bancario assume sia le vesti di venditore di valuta straniera sia di acquirente di valuta straniera. Le singole
banche acquistano e vendono valute presso la banca centrale e la borsa valori.
Con l’avvento dell’euro il Sistema europeo delle banche centrali che somma la Banca Centrale Europea sia le
Banche Centrali Nazionali con a capo la BCE che gestisce la totalità delle valute dell’Eurosistema, cioè
l’insieme dei paesi e delle banche centrali che hanno adottato l’euro. Dal 1° gennaio 1999 anche l’Italia
partecipa con la sua banca centrale nazionale all’organismo che agisce da banca centrale nell’UE. Con
l’adozione di una valuta nazionale comune a tutti i paesi dell’Eurosistema, per valuta straniera deve
intendersi ogni valuta al di fuori dell’area euro . la gestione delle valute straniere nell’Eurosistema è
affidata alla BCE. Essa in campo valutario opera tramite BCN, le quali, in questo campo, agiscono su
disposizione della BCE. Restano, invece, mercati locali le borse valori dei singoli paesi.
Il tasso di cambio può intendersi in due modi:
il prezzo di una unità di valuta nazionale in termini di valuta straniera: il tasso di cambio esprime la
quantità di valuta straniera che è necessaria per acquistare una unità di valuta nazionale (euro)
Il prezzo di una unità di valuta straniera in termini di valuta nazionale: il tasso di cambio esprime la
quantità di valuta nazionale che è necessaria per acquistare una unità di valuta straniera.
L’avvento dell’euro ha introdotto una difficoltà nella comprensione della nozione di prezzo di valuta. Si
ricorderà che il prezzo di un bene è la quantità di moneta necessaria per acquistare una unità di un bene.
Se dovessimo applicare questa nozione al caso della valuta, ad es. dollaro, sarebbe naturale pensare al
prezzo della valuta dollaro come alla quantità di euro necessaria per acquistare un dollaro. In tale ipotesi
sarebbe anche immediato pensare alla formazione del prezzo del dollaro in euro come risultante dalla
intersezione tra una curva di domanda di dollari, inclinata negativamente, ed una curva di offerta di dollari,
inclinata positivamente come in questa figura:
Le cose però non sono così dirette. Vi è una leggera complicazione in quanto la quotazione del dollaro non
è espressa in termini di prezzo in euro ma viene espressa in termini del tasso di cambio dell’euro in dollari.
L’aspetto importante di questa nozione di tasso di cambio è : invece di esprimere il prezzo del dollaro come
quantità di euro necessaria per acquistare un dollaro, noi facciamo al contrario: il tasso di cambio esprime
la quantità di dollari necessaria per acquistare un euro. Ma allora, l’apparato della domanda e dell’offerta, il
quale determina il prezzo del dollaro come quantità di euro occorrente per acquistare un dollaro non
spiega affatto il tasso di cambio del dollaro contro l’euro? Dobbiamo dare una risposta al seguente: in che
relazione sta il tasso di cambio dell’euro espresso in dollari con il prezzo del dollaro espresso in euro?
Per scoprire questa relazione facciamo riferimento anche qui alla generica nozione di spesa del caso di un
bene, cioè la somma di moneta definita dal prodotto aritmetico del prezzo di un’unità del bene per la
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
quantità totale del bene che si vuole acquistare. Immaginiamo ora che la quantità che si vuole acquistare
sia una data quantità di dollari (es. mille dollari). Quanti euro saranno necessari per acquistare una data
quantità di dollari? La somma in euro applicando la nozione di spesa sarà determinata dalla relazione
Noi però dalle quotazioni giornaliere non conosciamo il prezzo ma il tasso di cambio, cioè conosciamo la
quantità di dollari che occorre per acquistare un euro, e dalla conoscenza del tasso di cambio siamo in
grado di calcolare non la spesa in euro ma la segue espressione
Siamo in grado, ora, di raggiungere la conclusione che chiarisce la relazione tra prezzo del dollaro e tasso di
cambio dell’euro in dollari. Ponendo a confronto le due precedenti relazioni
Somma in euro = prezzo del dollaro x quantità di dollari
Se in entrambe si considera la stessa identica somma in euro, sostituendo la prima uguaglianza nella
seconda si ricava
Quantità di dollari = tasso di cambio dell’euro x prezzo del dollaro x quantità di dollari
Ovvero, semplificando la quantità di dollari che appare come termine moltiplicativo ad entrambi i lati,
avremo
1 = tasso di cambio dell’euro x prezzo del dollaro
Quest’ultima uguaglianza ci rivela che il tasso di cambio ed il prezzo del dollaro sono in relazione inversa
l’uno con l’altro. Infatti da essa, risolvendo rispetto al tasso di cambio dell’euro, si ricava
Possiamo concludere che il tasso di cambio ed il prezzo del dollaro sono l’uno l’inverso dell’altro e ciò
giustifica la seguente rappresentazione grafica della determinazione del tasso di cambio dell’euro rispetto
al dollaro. Includendo il tasso di cambio col simbolo e, la figura 36 a) riporta sull’asse delle ascisse la
quantità di dollari scambiata, e sull’asse delle ordinate il prezzo del dollaro, che indichiamo con (1/e). il
prezzo del dollaro di equilibrio (1/e*) è individuato dal punto E di intersezione tra domanda e offerta di
dollari. La figura 36 b) rappresenta graficamente la relazione (1/e). Essa associa ad ogni prezzo del dollaro,
indicato sull’asse delle ordinate, il suo reciproco, il cui valore è il tasso di cambio dell’euro in termini di
dollari.
Appunti di Stefania Bortone
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Perciò dato il prezzo di equilibrio del dollaro (1/e*) resta determinato un unico valore del tasso di cambio
dell’euro in dollari e* , che è il valore dell’ascissa associato al punto E’ sulla curva (1/e).
Noi possiamo spiegare il tasso di cambio dell’euro in termini di dollari come il risultato dell’uguaglianza tra
domanda ed offerta purché resti precisato:
Che le curve di domanda ed offerta si riferiscono alla valuta straniera
Che il prezzo della valuta straniera che si determina con l’apparato della domanda e dell’offerta è
l’inverso del tasso di cambio che quotidianamente si determina nelle quotazioni ufficiali all’interno
dell’area euro
Il regime dei tassi di cambio che si rappresenta attraverso il meccanismo del mercato è un regime di tassi di
cambio flessibili, perché esso presuppone un contesto nel quale i cambi delle valute sono liberamente
fluttuanti, secondo il gioco della domanda e dell’offerta. L’esperienza internazionale di un sistema di cambi
flessibili è riferita a poco più dell’ultimo trentennio. Dal 1945 al 1971 il sistema dei pagamenti internazionali
è stato regolato dagli accordi di Bretton Woods. Il sistema di cambi di Bretton Woods era un sistema di
cambi fissi o di parità aggiustabili , perché per le varie valute prevedeva un rapporto di cambio fisso con il
dollaro ( di questo con l’oro) con lievi margini di oscillazione dell’ ±1% rispetto al rapporto ( detto parità
centrale) di cambio fisso. Al di sopra o al di sotto dell’±1% di oscillazione, la banca centrale del paese
interessato si impegnava ad intervenire con vendite o acquisti di dollari in modo da ridurre o aumentare , in
virtù della maggiore pressione dell’offerta o della domanda, il prezzo del dollaro. Le curve di domanda e
offerta di valuta straniera assumevano tale configurazione:
La figura illustra che fin tanto che l’intersezione tra le curve di domanda e offerta di dollari cadeva
all’interno della fascia di oscillazione, nessun intervento era richiesto alle autorità monetarie ed il risultante
prezzo del dollaro in valuta nazionale era il risultato del libero gioco di domanda e offerta con normali
inclinazioni. Domanda e offerta di dollari, viceversa, divenivano sostanzialmente orizzontali in
corrispondenza dei margini superiore e inferiore di oscillazione, in virtù degli impegni delle autorità
monetarie interessate, vincolate ad interventi che operavano in modo da contenere domanda ed offerta di
valuta entro i margini di oscillazione rispetto alla parità centrale. Presupposto per il buon funzionamento di
un simile sistema, era l’esistenza di una sufficiente disponibilità di valuta straniera (dollaro) da parte della
banca centrale di ogni paese aderente all’accordo di Bretton Woods per sostenere l’offerta di valuta
necessaria a contenere il cambio all’interno del punto superiore di oscillazione. Che cosa accadeva se un
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paese , a causa della scarsa disponibilità di valuta di riserva, non era in grado di far fronte ad improvvisi
spostamenti della curva di domanda di dollari dovuti a ondate speculative? In tal caso, tramite una
rinegoziazione degli accordi, veniva modificata la parità centrale della moneta nazionale rispetto al dollaro.
Il sistema Bretton Woods, infatti, configurandosi come un dollar-exchange standard, implicava che la parità
centrale di ognuna delle valute era espressa tramite il prezzo del dollaro in termini di valuta nazionale. Di
conseguenza, il tasso di cambio esprimeva il prezzo corrente del dollaro in termini di valuta nazionale.
L’atto di modifica della parità centrale prendeva il nome di svalutazione, se la parità centrale era
aumentata, ed esso indicava un deprezzamento della valuta nazionale rispetto al dollaro, o di rivalutazione,
se la parità centrale era diminuita, ed indicava un apprezzamento. Attualmente, tali termini vanno riservati
esclusivamente a mutamenti del potere d’acquisto esterno, cioè rispetto a mercati internazionali, della
moneta nazionale. Inoltre, poiché ora, il cambio della nostra valuta nazionale, l’euro, esprime il prezzo
dell’euro in termini di dollari un aumento del tasso di cambio indica un apprezzamento ( rivalutazione)
dell’euro rispetto al dollaro. I mercati di cambio si sono ridotti a tre grandi aree valutarie: zona euro, dollaro
statunitense e yen giapponese ( in attesa, forse, dello yuan cinese) i cui rapporti reciproci sono regolati dal
sistema dei cambi flessibili.
Quando nel luglio 1971 fu abbandonato il sistema Bretton Woods, a seguito della dichiarazione di
inconvertibilità del dollaro, il mercato internazionale dei cambi diventò un sistema di cambi flessibili. I
rapporti tra le monete dei paesi dell’UE, prima dell’adozione dell’euro, erano regolati dal Sistema
Monetario Europeo, un accordo di cambio che riproduceva in piccolo il sistema di Bretton Woods.
L’adozione dell’euro ha sostituito all’atto dell’introduzione i rapporti di cambio bilaterali tra 12 valute dei
paesi dell’Eurosistema e di queste con il dollaro. I tassi di conversione di ognuna delle valute per un euro
furono stabiliti in maniera irrevocabile il 31 dicembre 1998 dalla Commissione Europea. Per la lira italiana
fu fissato un tasso di conversione in lit 1936,27 per un euro.
A.2.3 teoria microeconimica dell’inflazione
Inflazione è l’aumento persistente e generalizzato di tutti o quasi tutti i prezzi dei beni.
In virtù dell’operare del meccanismo di aggiustamento di mercato, una situazione di disequilibrio dà origine
fenomeni inflazionistici quando vi è un eccesso positivo di domanda di mercato. Possiamo spiegare
l’inflazione in termini di simultanea esistenza di un eccesso positivo di domanda su quasi tutti i mercati di
beni di un sistema economico. Questa spiegazione può essere valida come spiegazione generale
dell’inflazione ma soffre di due importanti limitazioni :
Contrasta con l’osservazione che i prezzi non aumentano solo a fronte di situazioni di domanda in
eccesso. Vi sono casi in cui i prezzi aumentano quando un mercato è in fase di recessione, cioè le
imprese non riescono a vendere la propria produzione, si parla di stagflazione, cioè inflazione e
stagnazione della produzione.
La spiegazione in termini di disequilibrio del mercato dei beni è valida solo per fenomeni
inflazionistici di natura temporanea.
Adottando la spiegazione in chiave di disequilibrio cogliamo solo una dimensione del fenomeno
dell’inflazione, cioè la positività della variazione del prezzo, ma non la sua persistenza nel tempo.
Un secondo tipo di spiegazione è invece quello che considera le variazioni di prezzo come modifiche del
livello dei prezzi di equilibrio che si propongono nei mercati e si susseguono nel tempo. Evidentemente
modifiche dell’intersezione tra domanda e offerta dei beni, dovuti a spostamenti nel tempo delle curve di
domanda e offerta nel piano, sono in grado di spiegare la persistenza nel tempo di aumenti del prezzo di
equilibrio. Con riferimento alla domanda, taluni spostamenti possono essere attribuiti alle relazioni di
sostituibilità e complementarità tra beni. Se a partire da una situazione di equilibrio aumenta il prezzo di
un bene sostituto, tale aumento è già di per sé inflazione. Ma questa inziale spinta inflazionistica viene ad
essere amplificata in virtù dell’esistenza di relazioni di sostituibilità tra beni. L’aumento inziale dei prezzi si
trasmette all’interno del sistema economico a tutti i beni tra loro sostituti. Allora l’inflazione è conseguenza
di riallocazione della spesa da parte dei compratori e può essere interpretata come un tentativo del sistema
economico di riaggiustare i prezzi relativi in modo da riequilibrare le preferenze dei consumatori.
Appunti di Stefania Bortone
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Ma aumenti dei prezzi possono essere anche generati da aumenti di redditi nominali dei compratori che
corrispondono a compensi di servizi impiegati nella produzione. Vi sono, infatti, aumenti di redditi che a
volte non sono compatibili con la situazione di stabilità dei prezzi dei mercati. Tali sono gli aumenti di
reddito non accompagnati da mutamenti nelle condizioni di produzione, che, accanto agli iniziali
spostamenti delle curve di domanda verso l’alto, non vedono un simultaneo spostamento della curva
dell’offerta, determinato da aumenti generalizzati di produttività, innescando tendenza di aumenti di
prezzo che possono persistere nel tempo.
Infine, la causa di tensioni inflazionistiche può anche essere costituita da fenomeni speculativi. Supponiamo
di riferirci ad un’iniziale situazione di equilibrio E del prezzo del dollaro in euro. Le aspettative di mutamenti
del cambio dell’euro possono andare in due direzioni: diminuzione ( deprezzamento o svalutazione
dell’euro) o aumento ( apprezzamento o rivalutazione ). Se ci si aspetta un deprezzamento dell’euro e
quindi un prezzo più alto del dollaro, i compratori del dollaro possono cautelarsi contro questo aumento
atteso acquistando oggi una maggiore quantità di dollari. Questa situazione è spiegata con il contributo di
Keynes del “beauty contest” , cioè il concorso di bellezza in cui gli scommettitori non tentano di capire
quale reginetta è a loro avviso più carina, ma quale il pubblico riterrà che sia la più carina.
Nella nuova posizione di equilibrio, data dalla nuova intersezione tra la curva di domanda D’D’ e la curva di
offerta, il prezzo del dollaro in euro è più elevato. La presenza stessa delle aspettative comporta che si
determinano le condizioni perché l’euro rispetto al dollaro effettivamente si svaluti. Ciò è dovuto
all’operare delle forze di mercato, poiché se le aspettative di svalutazione inducono ad uno spostamento
verso destra della curva di domanda, le forze di mercato ristabiliscono l’equilibrio in un punto nel quale sia
il prezzo in euro del dollaro sia la quantità di dollari scambiati sono maggiori che in precedenza. Data la
posizione iniziale E, se maturano aspettative di svalutazione, per l’improvviso aumento di domanda si
registrerà al vecchio prezzo di equilibrio (1/e*) un eccesso di domanda positivo. Questo eccesso positivo
innescherà il meccanismo di riequilibrio di mercato con tendenza all’aumento del prezzo del dollaro. Data
la nuova posizione della domanda D’D’, l’eccesso di domanda infine si annullerà in corrispondenza del
nuovo punto di equilibrio E’. Qui il prezzo del dollaro è più alto e l’euro effettivamente deprezzato. Per
quanto riguarda i mutamenti della posizione della curva di offerta, tensioni inflazionistiche possono essere
alimentate da aumenti dei prezzi dei fattori produttivi. Tali aumenti determinano spostamenti verso l’alto a
sinistra della curva di offerta e a parità di domanda si traducono in aumenti di prezzo. L’infezione
alimentata da aumenti dei prezzi dei fattori si chiama inflazione dei costi. La spinta inflazionistica dovuta
agli aumenti dei costi può essere attenuata da aumenti della produttività. Tali aumenti di produttività
spostano la curva di offerta in basso e verso destra.
EQUILIBRIO SBOBINATURA
L’equilibrio si ottiene quando c’è l’incontro tra la domanda e l’offerta. Cioè significa trovare la combinazione tra
quantità e prezzo o anche quantità e qualità/prezzo che soddisfa sia il venditore sia il compratore. Quotidianamente
noi stipuliamo contratti, il quale definisce il prezzo di vendita e la quantità/ qualità di un prodotto.
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Saggio marginale sostituzione (Sms tecnico) = il grado di sostituibilità tra prodotti ,nel caso del consumatore tra
prodotto x e prodotto y (e nel caso dell’imprenditore tra capitale e lavoro) ,al fine di mantenere costante il livello di
soddisfazione(o, per l’imprenditore, il livello di quantità prodotte).
Quando si stipulano contratti noi ci troviamo nel punto di tangenza tra la curva di indifferenza del consumatore e la
curva tecnica dell’impresa, cioè c’è l’uguaglianza tra saggio marginale di sostituzione e il saggio marginale di
sostituzione tecnico, per questo si dice che domanda e offerta sono entrambi soddisfatti, perché sia venditori che
compratori hanno ottenuto il massimo che potevano ottenere da quella vendita.
Ma se il prezzo di vendita è l’espressione di uguaglianza tra scelta ottima dell’imprese e scelta ottima del consumatore,
perché esistono diversi prezzi? Perché l’impresa quando aumenta la qualità del prodotto si sposta su una curva diversa,
cioè costi di produzione diversi per l’impresa e cambia il suo Smst. Si raggiunge nuovo equilibrio quando cresce anche
l’Sms del consumatore.
Nella curva dei contratti abbiamo tutti i possibili livelli di prezzo che soddisfano contemporaneamente domanda e
offerta, a seconda del reddito del consumatore. L’impresa sa che per redditi diversi deve produrre diversa qualità e
diversa quantità. Essa è data dall’equilibrio tra il lato della domanda e lato dell’offerta ed è rappresentata come
incontro tra isoquanto rovesciato e curva di indifferenza rovesciata. Dove nel punto di tangenza A, SmsA = SmstA. Su
questa curva troviamo, però, infiniti punti che garantiscono questa uguaglianza (infiniti contratti) e sono tutti i livelli di
prezzo accettati dal mercato e l’equilibri di mercato garantisce la piena soddisfazione tra lato della domanda e lato
dell’offerta a seconda di vari livelli di prezzo/quantità. Ciascun equilibrio, ciascun livello di prezzo, si ottiene
uguagliando il grado di sostituibilità dei beni da parte del consumatore e il grado dei fattori produttivi dal lato
dell’imprenditore, a cui corrisponde una certa qualità/ quantità di equilibrio.
L’idea neoclassica è che fatte tante piccole contrattazioni se vanno in equilibrio sono in grado di rendere anche il
sistema economico in equilibrio a livello macro. Gli equilibri garantiti dalla curva dei contratti, quindi dal sistema dei
prezzi, dovrebbero portare a livello macroeconomico un equilibrio tra domanda aggregata e offerta aggregata, cioè
tra risparmio e investimento. La moneta non serve nel sistema neoclassico. Nella tesi neoclassica l’aumento dell’offerta
genera domanda, ma in realtà nessuno ce la garantisce. La conseguenza dell’offerta genera domanda è la vendita, la
vendita genera ricavi, i ricavi, al netto dei costi, sono profitti aggregati e di questi una parte è utilizzato per i consumi,
un’altra parte è utilizzata per gli investimenti; questo investimento è il risparmio dell’impresa. Il risparmio è k, cioè
accumulazione di capitale, che a sua volta diventa investimento. Quindi risparmio = investimento, se la domanda
aggregata è uguale all’offerta aggregata. La razionalità neoclassica si basa sull’idea che homo economicus, razionale
che ottimizza sempre le proprie risorse. Si tratta di una logica meccanicistica che vede l’equilibrio come una bilancia,
perché hanno trasformato tutta la teoria economica in teoremi matematici che seguono una logica sillogistica di tipo
aristotelico.
Mentre la leggi degli sbocchi ci dice che offerta genera domanda in un periodo nel quale lo Stato dà formazione
economica e codificazioni delle leggi. Altra alterazione che ha portato alla teoria neoclassica è stata quella fatta alla
teoria della mano invisibile di Smith.
Alternative alla teoria neoclassica: Scuola austriaca nel mercato ciascun individuo esprime la propria idea di razionalità
e nasce così la contrattazione e si arriva all’equilibrio finale, che porta a livello macro economico all’ordine sociale
normale. Poi un altro studioso della scuola austriaca fonda la teoria psicologica, secondo la quale l’essere umano ha un
proprio cervello che condiziona la rappresentazione della realtà. Quindi ognuno ha una propria razionalità, che
esprimo nel mercato, attraverso la contrattazione. Se questa poi si rivela non sufficientemente valida, si è portati
cambiare strategia. Equilibri sono mobili ma dipendono da fattori microeconomici, cioè la razionalità.
TASSI DI CAMBIO
Il tasso di cambio è il rapporto tra prezzo interno e prezzo esterno. Si dice allora che, in Europa, non c’è competitività
fatta sulla base del valore della moneta. Ora le importazioni e le esportazioni dipendono in parte del gioco dei cambi e
in parte dal reddito. Se il reddito interno è alto si tende ad importare, se il reddito interno è basso si tende ad
esportare. Ma il rapporto importazione/ esportazione non può prescindere dai cambi. Questo comporta che i paesi
forti avrebbero dovuto essere importatori, non esportatori; ma ciò non si è verificato in Europa. Se hai una bilancia
commerciale data da esportazioni meno importazioni, le esportazioni aumentano quando il paese diventa competitivo
e viceversa; con il cambi fissati dall’Europa, la Germania e i paesi del Nord Europa diventano molto competitivi grazie
ai cambi, che sono stati bloccati in maniera fissa tra prezzo di euro e moneta interna, rendendo alcuni paesi
avvantaggiati in termini di competitività, mentre altri hanno perso in termini di competitività. La Germania, quando
entra l’euro in circolazione, annulla il proprio saldo negativo della bilancia commerciale, perché il cambio è stato molto
favorevole. Affidandosi alla logica dell’ordine sociale naturale, della razionalità, c’era la convinzione che si creasse un
meccanismo di sussidiarietà tra i paesi, per cui la Germania avrebbe dovuto trasferire il proprio surplus nei paesi che
avevano subito perdite. Il meccanismo doveva essere : bilancia dei pagamenti è data da bilancia commerciale
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
(esportazioni – importazioni) ± K (cioè i movimenti di capitale); dati i cambi che sono stati fissati, la bilancia
commerciale della Germania è cresciuta, mentre quella degli altri paesi è calata. Nel caso Italia, ad es., doveva
succedere che per mantenere in bilancio la bilancia dei pagamenti dovevano entrare capitali, cioè K >0 : investimenti
provenienti dall’estero, cioè paesi che avevano in surplus la bilancia commerciale, perdevano il loro surplus trasferendo
i capitali che ci avrebbero consentito di ottenere il pareggio di bilancio…ma in sistema concorrenziale, si vuole vincere,
cioè la Germania non vuole investire in paesi rischiosi ma investe su se stessa, obbligando i paesi con bilancio
commerciale in deficit a indebitarsi. È questo un esempio del fallimento della scuola neoclassica.
Infatti keynes ci dice delle cose importanti: la microeconomia è macro fondata.
di tutti i possibili livelli di utilità ottenuti dal consumatore in corrispondenza di ogni possibile combinazione
di beni.
Considerato il grado di utilità associato a ogni combinazione di beni, noi siamo in grado di definire il profilo
delle preferenze del consumatore. È, infatti, possibile affermare che un consumatore preferirà sempre un
paniere che contiene quantità maggiori di almeno uno o di entrambi i beni, in quanto una maggiore
quantità di un bene apporta un grado di soddisfazione maggiore. Questa proprietà riflette il principio dell'
utilità totale crescente: panieri con maggiori quantità di due beni procurano al consumatore maggiore
utilità. Il principio della utilità totale crescente si esprime con maggiore precisione analitica, facendo
ricorso alla nozione di utilità marginale di un bene. Essa misura di quanto aumenta l’utilità a fronte dell'
aumento di una unità si quel bene. Così, ad es., se il bene considerato è il bene A, l'utilità marginale del
bene A misurerà l'incremento che subisce l'utilità totale quando aumenta di una unità la quantità del bene
A. In particolare, l'utilità marginale del bene A sarà definita dal rapporto tra l'incremento dell' utilità totale,
conseguente all'aumento del bene A, e l'incremento (arbitrario) di quantità del bene A.
Con la nozione dell'utilità marginale, si può affermare che le preferenze del consumatore misurate per
mezzo dell'utilità totale sono concepite in modo da rispettare due principi:
a) Il principio dell'utilità marginale positiva;
b) Il principio dell'utilità marginale decrescente.
Col principio dell' utilità marginale positiva si vuol rappresentare l'idea che un consumatore ottiene sempre
un aumento di utilità dall'aumento della quantità anche di uno solo dei beni.
Il principio dell'utilità marginale decrescente indica che tale aumento di soddisfazione è minore se il
consumatore in partenza possiede già una quantità del bene una quantità del bene, e per converso è
maggiore se il consumatore in partenza possiede una piccola quantità del bene. [Più esattamente, dire ad
es. che L'utilità marginale del bene A è decrescente è come dire che un identico aumento della quantità del bene A
aumenta in misura diversa l'utilità totale: quanto maggiore è la quantità del bene A posseduta in partenza, tanto
minore è l'aumento dell'utilità totale ricavato dal consumatore per identici aumenti di quantità del bene, e al contrario,
minore è la quantità del bene A posseduta in partenza, tanto maggiore è il corrispondente incremento di utilità totale].
Ne consegue che il rapporto tra incremento di utilità totale e l'incremento della quantità di un bene (cioè
l’utilità marginale, che è la tangente alla curva dell’utilità totale) è funzione decrescente della quantità
posseduta di quel bene. Umgx = .
Curva che descrive l'andamento dell' utilità totale al variare della quantità del bene A
La forma del diagramma riflette i principi dell' utilità totale crescente ( o utilità marginale positiva ) e
dell'utilità marginale decrescente. Il principio dell'utilità totale crescente è riflesso nel fatto che,
graficamente, la curva dell'utilità totale associa, a valori crescenti della quantità del bene A, valori anch'essi
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
crescenti del livello di soddisfazione o utilità totale. Il principio dell'utilità marginale decrescente è viceversa
riflesso nel fatto che la curva dell'utilità totale nel piano volge la sua concavità verso il basso.
La decrescente dell' utilità marginale può anche raffigurarsi più direttamente ponendo la quantità del bene
A sull' asse delle ascisse e l'utilità marginale del bene sull' asse delle ordinate, si nota
Che la curva dell'utilità marginale è interamente contenuta nel quadrante positivo del piano
cartesiano, quindi, indica che l’utilità marginale di un bene è sempre positiva.
Che a quantità crescenti del bene, misurate sull'asse delle ascisse, si associano, in corrispondenza
dei punti sulla curva dell' utilità marginale, valori via via minori sull’asse delle ordinate. Questo
conferma che, al variare della quantità del bene A, l'utilità marginale di tale bene è positiva e
decrescente.
3.3 Un approfondimento delle nozioni di utilità totale e, e delle rispettive proprietà, tramite esempi
numerici
Ipotizzano che i panieri consistano di due beni A e B. Supponiamo di conoscere i livelli di utilità per tutte le
possibili combinazioni dei due beni A e B :
Quantità del Quantità del Utilità totale Vogliamo verificare il significato della proprietà che l’utilità
bene A bene b
totale del consumatore è sempre crescente.
0 0 0
1 1 1 In questa tabella assumiamo che la quantità di entrambi i beni si
3 5 3.87
modificano simultaneamente nella stessa direzione. In
6 8 6.93
particolare entrambe le quantità aumentano
9 11 9.35
12 15 13.42 contemporaneamente.
Cose accade quando i beni si modificano simultaneamente in direzioni differenti, ad es. l’un bene aumenta
quando l’altro diminuisce? In tale caso potremmo osservare che ad es. aumentando contemporaneamente
la quantità di A e riducendo la quantità di B, l’utilità tot. aumenta, ed in un’altra circostanza allo stesso
modo aumentando la quantità di A e riducendo la quantità di B, ma in misura diversa, l’utilità tot.
diminuisce. Cosa potremmo concludere? Evidentemente la sola osservazione della direzione della modifica
di entrambe le quantità dei beni non è sufficiente a comprendere in che direzione si modifica l’utilità totale.
Ma il consumatore deve essere sempre in grado di valutare gli incrementi e riduzioni di utilità, causati dai
rispettivi aumenti e diminuzioni di quantità dei due differenti beni, anche in situazioni contrastanti. Allo
scopo di ottenere univoche indicazioni è conveniente considerare l’utilità totale non di generici possibili
panieri, ma di ammissibili panieri specifici. Ad es. con riferimento ai due beni A e B i panieri specifici
possono comporsi prendendo quantità ad arbitrio del bene A ed una prefissata quantità del bene B (o
viceversa). In tali circostanze, poiché a modificarsi è la sola quantità del bene A , siamo in grado di
constatare che le modifiche dell’utilità totale sono causate dalle variazioni del bene A. In particolare,
confrontando gli incrementi dell’utilità, possiamo desumere che l’utilità totale è crescente se ad incrementi
positivi della quantità del bene A corrispondono incrementi anch’essi positivi del livello di utilità, e
viceversa se ad incrementi negativi (riduzioni) corrispondono incrementi negativi (riduzioni) del livello di
utilità. Es.
Quantità del Quantita del Utilità totale A maggiori quantità consumate del bene A corrispondono
bene A bene B
maggiori livelli di utilità.
costante
0 5 0 Questa tab. rispetto alla precedente ci permette anche di
1 5 2.24
calcolare e confrontare direttamente le variazioni delle
3 5 3.87
grandezze considerate.
6 5 5.48
9 5 6.71
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
12 5 7.76
Con i dati ipotizzati, relativi ai prezzi dei beni ed al reddito, la condizione di uguaglianza tra la spesa nominale per
l’acquisto dei beni A e B ed il reddito monetario corrisponde alla seguente scrittura del vincolo di bilancio:
4 +2 =100, ossia * x+ * Y= M cioè prezzo del bene X moltiplicato per la quantità di quel bene + prezzo del
bene X moltiplicato per la quantità di quel bene, deve essere al reddito totale.
Considerando incognita la quantità Q(B), dalla precedente uguaglianza si ottiene una riscrittura equivalente del
vincolo di bilancio nella seguente forma esplicita: Q(B) = (100/2) – (4/2) Q(A), ossia *Y=M– * x ); Y =
[M/ ] – [ / ]*X , dove M/P(Y) è q cioè l’intercetta, invece, / , prezzo relativo cioè rapporto tra i due prezzi, è
m cioè coefficiente angolare (pendenza retta) e abbiamo l’equazione della retta Y = q + mX.
Attribuendo a piacere dei valori numerici a ,si ricava corrispondentemente la quantità che, ai dati prezzi e
reddito monetario, il consumatore può permettersi di acquistare.
Prendendo due panieri possibili, ad esempio (0, 50), (25, 0), dove 50 è M/ invece 25 è M/ , restano individuati nel
piano due punti le cui coordinate sono le coppie di valori delle quantità dei due beni del paniere considerati. Facendo
passare una retta per i due punti nel piano cartesiano ( ), si definisce una ed una sola retta, coincidente con
quella rappresentata.
3.5 Le condizioni che definiscono la scelta del paniere ottimale per il consumatore
Il criterio in base al quale un consumatore razionale sceglie il proprio paniere desiderato consiste
nell’acquistare quel paniere dal quale egli ottiene il massimo livello possibile di utilità totale.
Al fine di individuare il paniere da cui il consumatore ricava la massima utilità abbiamo già raggiunto una
conclusione preliminare: qualunque esso sia, tale paniere dovrà rispettare il vincolo di bilancio. Ma, al
momento, con le conoscenze acquisite, siamo solo in grado di individuare il paniere ottimale per il
consumatore, che massimizza l’utilità totale, per mezzo delle proprietà generali che tale paniere.
Il giudizio di convenienza da parte del consumatore se acquistare o no una differente combinazione deve
basarsi sulla valutazione di come cambia la sua utilità in conseguenza delle modifiche della quantità del
bene A e simultaneamente di quella del bene B.
La misura della variazione dell’utilità totale quando aumenta la quantità del bene A si può scrivere:
Incremento dell’utilità totale (rispetto ad un aumento del bene A) = utilità marginale del bene
A x incremento della quantità del bene A.
In modo simile ( convenendo di indicare anche una riduzione come un incremento preso con il segno
negativo) sapendo che, a causa del vincolo di bilancio, ad un aumento della quantità del bene A deve
corrispondere una diminuzione del bene B, la riduzione dell’utilità dovuta alla riduzione del bene B può
porsi:
- Incremento dell’utilità totale (rispetto ad un aumento del bene B) = - utilità marginale del
bene B x incremento della quantità del bene B.
Al fine di verificare cosa accade all’utilità totale passando da Q a Q’ della figura 45 introduciamo la nozione
di variazione netta dell’utilità. Essa è la differenza tra l’incremento di un’utilità causato dall’aumento di A e
la riduzione di un’utilità causata dalla diminuzione di B.
Variazione netta dell’utilità = incremento di utilità totale (rispetto ad un aumento del bene A) - [-
incremento dell’utilità totale ( rispetto ad un aumento del bene B)]
Incremento utilità totale (rispetto ad un aumento del bene A) – [- incremento dell’utilità totale ( rispetto
ad un aumento del bene B)] = 0
Ma, spostando a destra il secondo addendo a destra del segno di uguaglianza, si può affermare che
l’utilità totale non potrà essere aumentata quando si verifica l’uguaglianza :
Incremento utilità totale (rispetto ad un aumento del bene A) = - incremento dell’utilità totale ( rispetto
ad un aumento del bene B)
Che equivale a
Utilità marginale del bene A x incremento della quantità del bene A = - utilità del bene B x incremento
della quantità del bene B
Al fine di rispettare il vincolo di bilancio, qualora il consumatore ad es. aumenta l’acquisto del bene A,
siccome ha un reddito dato, egli per finanziare i maggiori acquisti dovrà ridurre la spesa per l’acquisto del
bene B. Ad es, immaginiamo che il consumatore aumenti di un euro l’acquisto di A e nel contempo riduca di
un euro l’acquisto di B. in tale ipotesi la spesa totale resta immutata ed il vincolo di bilancio è rispettato.
Chiedersi quanto il consumatore potrà acquistare in più del bene A con 1 euro equivale a chiedersi : qual è
il potere d’acquisto di 1 euro in termini del bene A? la risposta è 1/ In modo analogo, quando il
consumatore riduce di un euro la spesa per il bene B, in modo da poter spendere tale euro per acquistare
1/ unità di A, a quante unità dovrà rinunciare ad acquistare del bene B? la risposta è: dovrà rinunciare a -
1/ unità di B, cioè il potere di acquisto di 1 euro in termini di B.
Se il consumatore aumenta la spesa di un euro per acquistare 1/ unità del bene A, e nel contempo riduce
di un euro la spesa per il bene B, rinunciando ad acquistare – 1/ del bene B, è sicuro che la spesa totale
resta inalterata, e dunque il vincolo di bilancio, è soddisfatto. Ne consegue che se poniamo:
Incremento della quantità del bene A lungo il vincolo di bilancio = 𝑃
𝐴
Che riscritta nella forma Uma/ =Umb/ acquista il significato espresso dalla uguaglianza:
Utilità marginale per euro speso in A = utilità marginale per euro speso in B
Il consumatore razionale massimizza la propria utilità, subordinatamente al risultato del vincolo di bilancio,
se sceglie quel paniere di beni in corrispondenza del quale le utilità marginali ponderate dei beni Uma/P(A) e
Umb/P(B), sono tra loro uguali
3.6 Dagli effetti sul paniere di consumo ottimale di modificare dei prezzi e reddito alla curva di domanda
individuale per un bene del consumatore
Esaminiamo le influenze che esercitano modifiche di prezzo dei beni e modifiche del reddito monetario
sulle scelte del consumatore. Tale analisi ha l’obiettivo di comprendere se, e per quali ragioni, la reazione
del consumatore razionale ad aumenti o diminuzioni di prezzo si traduce in modifiche del paniere prescelto,
e della quantità di un singolo bene in esso contenuta, riconducibili a quelle descritte dalla curva di domanda
di quel bene. La quantità di ciascun bene contenuta nel paniere ottimale ( che uguaglia le utilità marginali
ponderate dei beni) corrisponde alla quantità domandata dei due beni che compongono il paniere, e
rappresenta un punto sulla curva individuale di domanda, ai dati prezzi ed al dato reddito monetario.
Volendo individuare l’intera curva di domanda di uno dei beni, dovremmo esaminare in che modo il
consumatore modifica la quantità di quel bene, quando il suo prezzo si modifica in tutti i modi possibili. Il
reddito monetario e il prezzo si assumono immutati. L’ esame dell’influenza delle modifiche dei prezzi sul
paniere prescelto dal consumatore ha anche lo scopo di accertare se la curva di domanda di mercato, come
somma delle curve individuali di domanda, è inclinata negativamente.
Le scelte del consumatore sono influenzate dai prezzi dei beni, dalle preferenze e dal livello reddito
disponibile. Ne consegue che anche la quantità ottimale dei beni dipenderà simultaneamente da queste
grandezze, e non solo dal prezzo del bene. E la quantità ottimale di un bene è la quantità domandata di
quel bene.
Supponiamo che i prezzi di tutti i beni ed anche il reddito monetario del consumatore aumentino
simultaneamente della stessa proporzione, ad es. raddoppiano. In questa ipotesi le scelte del consumatore
restano immutate ed il consumatore sceglierà esattamente lo stesso paniere che sceglieva prima. Due sono
le ragioni a sostegno di questa conclusione. In primo luogo una modifica di entrambi i prezzi nelle stesse
proporzioni lasciano immutato il prezzo relativo dei beni e ciò evita il manifestarsi di effetti di sostituzione,
dovuti appunto all’esistenza di relazioni di sostituibilità tra i beni. Infatti, ipotizziamo =2 , =2 , il
prezzo relativo dei beni non cambia, essendo / = / . In secondo luogo, la modifica del reddito
monetario nella stessa proporzione dei prezzi lascia immutato anche il potere d’acquisto che il
consumatore ha a disposizione. Avendo il consumatore a disposizione un dato reddito monetario R, il
reddito reale in termini del bene A è R/ , cioè la quantità del bene A acquistabile nell’ipotesi che il reddito
R sia interamente speso per A. in termini del bene B, il reddito reale in termini di B sarà R/ Quando
anche il reddito monetario R per ipotesi raddoppia, allora avremo R’=2R. Ai nuovi prezzi e il potere
di acquisto di R’ in termini del bene A è R’/ = 2R /2 = R/ e analogamente in termini del bene B. Non
vi è, pertanto, alcuna motivazione a modificare né la scala, cioè la dimensione, né la proporzione del
paniere ottimale in precedenza prescelto dal consumatore. Il caso esaminato evidenzia i due fenomeni che
influenzano la quantità domandata di un bene in risposta ad una variazione qualsiasi del prezzo.
Al variare del prezzo di un bene, infatti, a parità di reddito monetario e fermo restante il prezzo di altri beni,
si manifestano sia un effetto-prezzo, connesso alla modifica del reddito reale in termini del bene il cui
prezzo è variato, sia un effetto-sostituzione connesso al cambiamento dei prezzi relativi. In risposta ad una
variazione di prezzo, sulle scelte del consumatore si determina un complessivo effetto-prezzo, il quale, alla
luce delle risultanze appena emerse, si può scomporre nella somma di un effetto-sostituzione ed un effetto-
reddito. Effetto reddito ed effetto sostituzione non sempre agiscono nella stessa direzione. Mentre ad es.
nel caso dell’aumento di possiamo sicuramente affermare, in risposta, alla riduzione del prezzo relativo
di A in termini di B, il consumatore tenderà a diminuire il consumo di B e ad aumentare quello di A, non
altrettanto possiamo essere sicuri della possibile risposta in termini del consumo di B rispetto alla riduzione
del reddito reale R/ . Infatti, se il bene B è un bene normale, sappiamo che una riduzione del reddito
tende a far ridurre la quantità domandata di B. Tuttavia non si può escludere che il bene B in questione
possa essere un bene inferiore. In questo caso una riduzione del reddito in realtà determina una tendenza
all’aumento della quantità domandata di B. da questo ragionamento, emerge che, a fronte di un aumento
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
del prezzo di un bene, vi è la possibilità che gli effetti sostituzione ed effetto reddito, vadano in direzione
opposta, se il bene in questione è un bene inferiore.
Per essere più precisi, conveniamo di indicare ognuno degli effetti appena evidenziati (prezzo, sostituzione
e reddito) come negativo se esso, in risposta all’aumento del prezzo di quel bene, induce una tendenza alla
riduzione del consumo del bene stesso, ed al contrario diremo che l’effetto è positivo se, a fronte
dell’aumento di prezzo, determina la tendenza ad aumentare il consumo del bene.
In generale vale la relazione Effetto prezzo = effetto sostituzione + effetto reddito
L’effetto sostituzione è sempre negativo. Quando l’effetto reddito, a fronte dell’aumento di prezzo, è
anch’esso negativo ( caso dei beni normali), l’effetto prezzo ( in quanto somma di due termini negativi)
risulta anche esso negativo e allora la quantità domandata del bene diminuisce rispetto ad aumenti del
prezzo. La variazione del bene normale rispetto ad una variazione del suo prezzo è conforme alla reazione
descritta da una curva di domanda, cioè ad incrementi del prezzo del bene corrispondono riduzioni della
quantità desiderata del bene, proprio come postulato dalla curva di domanda. Viceversa, quando a fronte
dell’aumento del prezzo l’effetto reddito è positivo (come nel caso dei beni inferiori, per i quali una
riduzione del reddito induce la tendenza all’aumento del consumo) occorre distinguere due situazioni. Se il
reddito è in valore assoluto minore dell’effetto sostituzione, l’effetto sostituzione è prevalente rispetto
all’effetto reddito e l’effetto prezzo continuerà ad essere negativo. Se l’effetto reddito è in valore assoluto
maggiore dell’effetto sostituzione, allora l’effetto reddito prevarrà sull’effetto sostituzione determinando
un effetto prezzo positivo. In questo caso ad un aumento di prezzo corrisponde un aumento della quantità
domandata. Ciò smentisce la proprietà che la curva di domanda è sempre decrescente rispetto al prezzo.
Possiamo, allora, enunciare il risultato fondamentale della teoria delle scelte del consumatore basata sul
principio della massimizzazione dell’utilità totale: la reazione di un consumatore razionale rispetto ad
aumenti di prezzo configura una curva di domanda individuale che ha pendenza negativa rispetto al prezzo,
ad eccezione dei beni di Giffen. La curva di domanda di mercato, ottenuta sommando le curve individuali di
domanda, avrà, perciò, pendenza sempre negativa rispetto al prezzo, ad eccezione del caso dei beni di
Giffen.
3.6 L’approccio dell’utilità ordinale e le curve di indifferenza
Abbiamo fin qui ammesso che il livello di soddisfazione ricavato dal consumatore per ogni possibile paniere
di beni fosse misurabile numericamente per mezzo di una funzione di utilità totale. L’assunto della
misurabilità del livello di utilità equivale dal punto di vista tecnico ad ammettere che l’utilità sia misurabile
in senso cardinale. Ciò vuol dire, ad es. , che una misura dell’utilità totale pari a 20 esprime un livello di
soddisfazione doppio dell’utilità totale pari a 10. Allora, partendo dalla constatazione che l’utilità è una
grandezza eminentemente psicologica a cui non è possibile attribuire una qualche misura “oggettiva”,
l’approccio ordinale, di cui fu ideatore l’economista italiano Vilfredo Pareto, considera la misura espressa
dalla funzione di utilità come misura ordinale invece che cardinale. La differenza tra i due approcci è sul
significato da attribuire ai numeri che misurano l’utilità totale apportata da un paniere di beni. L’approccio
ordinale richiede che la misura di utilità assegnata ad ogni paniere indichi non già il corrispondente grado di
soddisfazione ma semplicemente l’ordine occupato da ciascun paniere nell’ambito di una complessiva
graduatoria di preferenze tra i possibili panieri elaborata dal consumatore. In questa interpretazione, ad
es., ai numeri 10, 20, 30, assegnati a tre panieri, si attribuisce il solo significato che il paniere
contrassegnato 10 ha un grado di preferenza minore di quello contrassegnato 20 o 30, ma non implica che
il paniere 10 diano una soddisfazione due volte inferiore a quella contrassegnato 20 e così via. In generale,
in una graduatoria i numeri hanno il solo significato di etichetta che precisa l’ordine con cui gli oggetti si
susseguono. E alla concezione dell’utilità totale come misura di soddisfazione subentra quella di utilità
intesa come indice del grado di preferenza dei panieri di beni all’interno di una graduatoria o scala di
preferenze. Inoltre, per la teoria fondata sulla utilità di tipo ordinale ciò che conta è il concetto di saggio
marginale di sostituzione (esprimibile anche tramite la nozione di utilità marginale).
Appunti di Stefania Bortone
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Il concetto di cui si serve l’approccio ordinale è quello di insieme di indifferenza. Questo insieme è costituito
da tutti i panieri dei beni che occupano uno stesso predeterminato posto nella graduatoria di preferenza
del consumatore. Perciò, per un consumatore, i panieri contenuti in un dato insieme di indifferenza,
avendo tutti lo stesso indice di preferenza, sono preferiti nella stessa misura e dunque sono indifferenti. Nel
caso specifico di panieri composti da due soli beni, A e B, l’insieme di indifferenza coincide con una curva,
denominata curva di indifferenza. Questa curva, nel piano cartesiano, è il luogo dei punti di tutte le
possibili combinazioni (tutti i panieri) dei due beni che per il consumatore hanno lo stesso indice di
preferenza (hanno la stessa utilità totale) e dunque apportano lo stesso livello di soddisfazione. Quindi
U tot = 0.
Nel piano cartesiano così definito, una data
curva di indifferenza presenta le seguenti
caratteristiche :
La curva di indifferenza è decrescente in quanto, a quantità crescenti del bene A, associa quantità via via
minori del bene B. Questo significa che, dato un iniziale paniere, se la quantità del bene A si modifica in
modo che il nuovo paniere contiene una maggiore quantità di A, questo nuovo paniere continuerà ad
essere ugualmente preferito a quello di partenza solo se la maggiore quantità di A è combinata con una
minore quantità del bene B. Adottando la convenzione di indicare una diminuzione come un incremento
preso col segno negativo, possiamo indicare il legame inverso che sussiste tra le variazioni delle quantità
dei due beni su una curva di indifferenza con la seguente relazione
- Incremento della quantità del bene B = Sms x incremento della quantità del bene A
Il simbolo Sms indica in che proporzione occorre ridurre la quantità del bene B a fronte di un incremento di
un’unità del bene A, in modo che il paniere così composto continui ad essere collocato sulla curva di
indifferenza.
Che la precedente relazione corrisponda ad una curva decrescente lo si può facilmente constatare con
qualche semplice considerazione. Assunto che Sms sia una grandezza positiva:
Ad un incremento positivo della quantità del bene A resta associato un incremento negativo della
quantità del bene B
Ad un incremento negativo della quantità del bene A resta associato un incremento positivo della
quantità del bene B
Pertanto, caratterizzando la curva di indifferenza come associazione tra incrementi del bene A e incrementi
del bene B che si muovono in direzione opposta, la curva risulta effettivamente decrescente. Nella
definizione di curva di indifferenza, il termine Sms svolge un ruolo cruciale. Due modi tra loro equivalenti ci
consentono di precisarne il significato.
Il primo è fare riferimento al Sms come rapporto tra le variazioni delle quantità dei beni. Si
ricorderà che il rapporto tra le variazioni ci indica la direzione delle modifiche della variabile
dipendente in risposta a modifiche arbitrarie della variabile indipendente. Poiché abbiamo
appena verificato che lungo una curva di indifferenza gli incrementi delle quantità dei due beni
si muovono nella direzione opposta, il rapporto delle variazioni tra le quantità dei beni lungo
Appunti di Stefania Bortone
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una curva di indifferenza è negativo. La grandezza Sms è positiva, ed essa coincide proprio col
rapporto tra variazioni delle quantità dei beni, però preso con il segno negativo. Vale infatti :
Sms = - [( incremento quantità del bene B) / (incremento quantità del bene
A)]
La sigla Sms indica il saggio marginale di sostituzione. Esso esprime di quante unità occorre ridurre B per
compensare un aumento di un’unità del bene A per comporre un paniere che, pur costituito da quantità
differenti di beni, è però indifferente per il consumatore.
Il secondo modo per desumere il significato di Sms consiste nel porre Incremento quantità del bene A =
1
nella precedente formula degli incrementi dei beni lungo la curva di
Indifferenza .
Questa procedura equivale a chiedersi : di quanto si riduce la quantità del bene B se la quantità del bene A
aumenta costantemente di un’unità? La risposta si ricava osservando che in tale ipotesi risulta che la
diminuzione del bene B è -Incremento della quantità del bene B = Sms x 1 = Sms
Questo risultato conferma che Sms misura di quanto occorre ridurre la quantità del bene B affinché il
paniere continui ad essere indifferente, qualora la quantità del bene A venga aumentata di una unità.
Possiamo ora utilizzare la nozione di saggio marginale di sostituzione per comprendere perché la curva è
concessa. Geometricamente questa proprietà indica che, qualora si considerassero incrementi costanti
(unitari) del bene A, per comporre panieri indifferenti per il consumatore occorre prendere diminuzioni
via via decrescenti del bene B. Equivalentemente si può affermare che Sms è decrescente al crescere della
quantità del bene A.
In definitiva, le due proprietà della curva di indifferenza corrispondono alle due proprietà ora evidenziate
del saggio marginale di sostituzione, ovvero:
La positività e decrescenza del Sms al crescere della quantità del bene A implicano rispettivamente
la decrescenza e la convessità della curva di indifferenza.
La curva di indifferenza permette di rappresentare l’intero sistema delle preferenze del nostro
consumatore, in particolare:
Una curva di indifferenza collocata più in alto nel piano cartesiano, rispetto ad un’altra indica dei
panieri con un grado di preferenza maggiore. In conseguenza dell’assunto che il consumatore
preferirà sempre un paniere che ad es. a parità del bene B contiene una maggiore quantità del
bene A, in figura il paniere corrispondente al punto Q’ è sempre preferito rispetto a quello che
corrisponde al punto Q. Principio di non sazietà. Inoltre, un consumatore, per il principio di
completezza, qualunque sia il paniere di beni sottopostogli è sempre in grado di metterli in
graduatoria.
Tutti i panieri appartenenti alla curva
di indifferenza passante per Q’, in
quanto egualmente preferiti a Q’,
saranno maggiormente preferiti a tutti
i panieri indifferenti rispetto a Q.
La proprietà appena illustrata richiede che le preferenze rappresentate tramite le curve di indifferenza
rispettino una condizione di coerenza la quale porta ad escludere situazioni simili a quella ipotizzata in
appartengono a curve di indifferenza collocate più in basso nel piano. Le curve di indifferenza, dunque,
disegnano una precisa graduatoria delle preferenze del consumatore, assegnando un grado di preferenza
maggiore a curve collocate più in alto nel piano, ed un grado di preferenza minore a curve di indifferenza
collocate più in basso nel piano.
3.7 La relazione tra l’approccio ordinale basato sulle curve di indifferenza e l’approccio cardinale basato
sul concetto di utilità marginale
Che l’approccio classico cardinale sia compatibile con quello ordinale si dimostra si dimostra provando che
le curve di indifferenza e le loro caratteristiche possono effettivamente essere ricavate anche utilizzando i
concetti di utilità totale e marginale.
In termini di utilità, la curva di indifferenza può intendersi come il luogo dei punti di isoutilità totale. Le
combinazioni di beni tra loro indifferenti appartenenti ad una curva di iso-utilità hanno la proprietà della
utilità totale costante. Perciò, assumendo il prefissato livello di utilità come indice di preferenza, la curva di
iso-utilità coincide con una curva di indifferenza. Cioè U tot = Incremento utilità totale (rispetto ad un
aumento del bene A) – [- incremento dell’utilità totale ( rispetto ad un aumento del bene B)] = 0
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
Le combinazioni di beni corrispondenti a punti collocati sulla curva di iso-utilità verificano le seguenti
condizione
Incremento della utilità per aumenti del bene A = - incremento della utilità
per aumenti del bene B
Ma gli incrementi di utilità si possono esprimere come il prodotto aritmetico tra l’utilità marginale e
l’incremento della quantità del bene. Perciò la relazione tra punti su una curva di iso-utilità può riscriversi :
Utilità marginale del bene A x incremento della quantità del bene A = - utilità marginale del bene B x
incremento della quantità del bene B oppure possiamo anche scrivere u tot = 0 = [(Umgx *x) +
(Umgy * y)] e ancora Umgx *x = -Umgy * y
La quale si riconduce alla scrittura
(Utilità marginale del bene A / utilità marginale del bene B) = -
(incremento di quantità del bene B/ incremento di quantità del bene
𝒖𝒎𝒈𝒙 ∆𝒚
A) = Sms oppure possiamo anche scrivere − 𝑺𝒎𝒔
𝒖𝒎𝒈𝒚 ∆𝒙
Segue da quest’ultima uguaglianza che, partendo dall’approccio cardinale, il Sms può reinterpretarsi come
rapporto tra utilità marginali, cioè io rinuncio in maniera proporzionale ad una unità rispetto ad un’altra
rispetto all’utilità che io traggo delle due unità.
La decrescenza della curva di indifferenza si spiega in base alla proprietà dell’utilità totale crescente. Infatti
per tale principio se la quantità del bene A aumenta, aumenta anche l’utilità totale. Ma siccome lungo la
curva di indifferenza si vuol preservare un livello costante di utilità, per ricondurre l’utilità totale al livello
iniziale prefissato, dopo che è aumentata la quantità del bene A, occorrerà ridurre la quantità del bene B.
La diminuzione dell’utilità che la riduzione del bene B comporta, elide il precedente aumento ed il livello
dell’utilità totale rimane costante.
La convessità della curva d’indifferenza si spiega in base alla proprietà che l’utilità marginale di ciascuno dei
beni è decrescente. Infatti va ricordato che l’utilità marginale decrescente significa anche che, quando la
quantità del bene diminuisce, la sua utilità marginale aumenta.
Immaginiamo ora di percorrere una data curva di indifferenza attraverso aumenti successivi della quantità
del bene A. Tali aumenti causano anzitutto una riduzione dell’utilità marginale del bene A. Inoltre, siccome
ad aumenti di A si accompagnano riduzioni della quantità di B, queste ultime riduzioni causano un aumento
dell’utilità marginale del bene B. L’effetto ultimo di movimenti lungo la curva di indifferenza è che il
rapporto tra le utilità marginali di A e di B si riduce, sia a causa della riduzione del numeratore, sia a causa
dell’aumento del denominatore. Il Sms inteso come rapporto tra le utilità marginali risulta decrescente al
crescere della quantità del bene A, e ciò conferma che la curva di indifferenza anche intesa come curva di
iso-utilità è convessa.
3.8 Un approfondimento delle nozioni di curva di indifferenza, di saggio marginale di sostituzione, e delle
rispettive proprietà, tramite esempi numerici
Iniziamo con la nozione di curva di indifferenza, riferendoci sempre al caso di due beni A e B , assumiamo
come costante il livello di utilità totale.
Quantità del Quantità del Livello utilità
bene A bene B costante
1 14,98 3,87
3 4,99 3,87
6 2,50 3,87
9 1,66 3,87
12 1,25 3,87
Per come è costruita la tabella indica l’insieme delle combinazioni dei due beni A e B che danno al
consumatore lo stesso prefissato livello di utilità e dunque sono indifferenti per il consumatore. Circa
l’interpretazione, consideriamo ad es. la 2° riga che mostra che con 3 unità del bene A, al fine di comporre
Appunti di Stefania Bortone
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un paniere che permette di ottenere l’utilità pari a 3,87, occorre combinare 4,99 unità del bene B e così via.
Le coordinate corrispondenti alle quantità A e B si organizzano nel piano cartesiano in modo da descrivere
una curva di indifferenza simile a quella rappresentata in figura 45.
Prendiamo ora a riferimento la tabella e calcoliamo le variazioni delle quantità dei due beni A e B.
Variazione Variazione Rapporto tra le
delle quantità quantità bene variazioni = -
del bene A b saggio
marginale di
sostituzione
2 -9,99 -5
3 -2,49 -0,83
3 -0,84 -0,28
3 -0,41 -0,14
Dal rapporto tra le variazioni dei beni B ed A risulta evidente:
a) Il rapporto è sempre negativo;
b) Al crescere delle quantità del bene A detto rapporto, in valore assoluto, è decrescente e
perciò la curva di indifferenza è convessa.
La proprietà a) è la conferma che, muovendosi le variazioni in direzione opposta, la curva di indifferenza è
decrescente. Ad es., con riferimento alla riga 2, il rapporto tra le variazioni è pari a -0,83, ed indica che
l’aumento di 3 unità del bene A compone un paniere indifferente se associato con la riduzione di 2,49 unità
del bene B. per ogni unità del bene A, è necessaria una compensazione in riduzione di -0,83 unità del bene
B, in modo che il nostro consumatore continui ad ottenere lo stesso livello di utilità pari a 3,87.
Per la seconda riga vale la relazione : -2,49 = (-0,83) x 3. Cioè lungo una curva di indifferenza la riduzione
necessaria della quantità del bene B si ottiene moltiplicando il coefficiente relativo ad un incremento
unitario del bene A per incremento complessivo della quantità del bene A.
Si noti, inoltre, che il saggio marginale di sostituzione si ricava cambiando di segno al rapporto tra le
variazioni delle quantità dei due beni.
3.10 La riproposizione delle scelte del consumatore secondo l’approccio delle curve di indifferenza e la
rappresentazione grafica del paniere ottimale
L’apparato delle curve di indifferenza appena elaborato consente di descrivere le scelte di un consumatore
razionale il cui obiettivo è di massimizzare la propria utilità subordinatamente al rispetto del vincolo di
bilancio. È opportuno ricordare : all’indice di utilità si attribuisce il significato di etichetta per indicare
l’indice di graduatoria delle preferenze e poi il consumatore può permettersi di acquistare tutte e sole le
combinazioni corrispondenti a punti sulla retta di bilancio.
Per ogni parere sulla retta di bilancio, il livello di soddisfazione che esso apporta al consumatore nel
piano cartesiano può individuarsi per mezzo della curva di indifferenza che passa per quel punto.
Ad es., nella fig. 51, nell’intersezione A tra vincolo di bilancio e curva di indifferenza, il consumatore ricava
un livello di utilità corrispondente alla curva di indifferenza contrassegnata u(o). Analogamente per punto B
e D e E. L’obiettivo del consumatore di massimizzare la sua utilità si può esprimere graficamente come
quello di individuare l’intersezione con la retta di bilancio che si colloca sulla curva di indifferenza più
elevata. È importante comprendere che quando si passa da una intersezione ad un’altra, tra la curva
d’indifferenza e la retta di bilancio, non solo cambia il livello di utilità ( perché si passa da una curva di
indifferenza ad un’altra), ma cambia anche la composizione della spesa (perché si passa da un punto ad un
altro sulla retta di bilancio) pur restando fisso (pari al reddito) il livello di spesa totale. Questo aspetto può
essere evidenziato ricordando che maggiori acquisti del bene A, per rispettare il vincolo di bilancio, devono
essere finanziati da uguali riduzioni degli acquisti di B. pertanto possiamo anche affermare che le
combinazioni che rispettano il vincolo di bilancio verificano anche la condizione :
Incrementi nella spesa per il bene A = - incrementi nella spesa per il bene B
Poiché i prezzi dei beni per il singolo consumatore sono dati, in tali circostanze le variazioni di spesa da
parte del consumatore possono avvenire solo mutando le quantità dei beni. Conseguentemente la
condizione di bilanciamento tra aumenti e riduzioni di spesa può come:
Tra tutte le possibili intersezioni tra la retta di bilancio ed una curva di indifferenza, quella( che in verità è
punto di tangenza tra la retta di bilancio e una curva di indifferenza) che si colloca sulla curva di
indifferenza più elevata nel piano indica il più elevato indice di preferenza.
La pendenza della retta di bilancio =
𝑃𝑋
-
𝑃𝑌
Secondo l’approccio ordinale: il consumatore razionale massimizza l’utilità nel rispetto del vincolo di
bilancio se sceglie il paniere la cui combinazione di beni rende uguali il saggio marginale di sostituzione,
Sms, ed il rapporto tra i prezzi, .
In che relazione si pone questa condizione con quella già ottenuta in base all’approccio cardinale
dell’utilità?
Si ricorderà che Sms è esprimibile come rapporto tra le utilità marginali dei due beni, donde la condizione
per un massimo di utilità può leggersi anche come 𝑈𝑀𝐴 𝑃
𝑈𝑀𝐴 𝑈𝑀𝐵 𝑈𝑀𝐵
= Sms = 𝑃𝐴
𝐵
Che è come porre 𝑃 = 𝑃
𝐴 𝐵
Che è la condizione di uguaglianza tra le utilità marginali ponderate già ottenuta a partire dall’utilità intesa
in senso cardinale.
3.11 Effetti sulla composizione del paniere ottimale delle variazioni dei prezzi e reddito in un’analisi
grafica
Appunti di Stefania Bortone
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Vediamo ora graficamente gli effetti delle variazioni dei prezzi dei beni e del reddito monetario sulla
composizione del paniere che massimizza l’utilità del consumatore.
Data una iniziale posizione ottimale del consumatore, ogni modifica di una delle grandezze che definiscono
il prezzo relativo dei due beni A e B, ed il reddito reale del consumatore, modificherà anche la posizione
della retta di bilancio. Ciò comporterà una modifica del punto di tangenza e perciò della combinazione
ottimale dei beni prescelta dal consumatore.
Infatti, la posizione della retta del vincolo di bilancio dipende sia dal rapporto tra i prezzi dei beni P(A)/P(B),
sia dal reddito reale in termini di entrambi i beni R/ , R/ .
Supponiamo che, a prezzi dei beni immutati, il reddito monetario diminuisca da R a R’. A parità dei prezzi
dei beni e , i rapporti R’/ e R’/ che misurano il reddito reale in termini di ognuno dei beni sono
minori essendo per ipotesi i numeratori minori dell’iniziale R. Le grandezze R’/ e R’/ hanno anche un
significato grafico. Esse definiscono le intercette con gli assi cartesiani, le quali possono indentificarsi con le
qualità del bene A o del bene B ottenibili destinando interamente il reddito all’acquisto dell’uno o l’altro.
Possiamo concludere che : ogni modifica del reddito monetario graficamente induce uno spostamento
Utilizziamo i precedenti risultati per separare graficamente l’effetto prezzo nelle due componenti
dell’effetto reddito e dell’effetto sostituzione.
Partiamo dalla posizione iniziale E*, dove la retta di bilancio è tangente alla curva di indifferenza u’.
consideriamo il caso dell’aumento del prezzo del bene B, a seguito del quale la retta di bilancio ruoterà
verso il basso. Questa rotazione definirà una nuova posizione di equilibrio del consumatore, in
corrispondenza del punto E’* in cui la nuova retta di bilancio è tangente ad un’altra curva di indifferenza,
indicata con u. nella nuova posizione ottimale per il consumatore, la mutata quantità Q’(B) del bene B, il cui
prezzo è aumentato, è la conseguenza ultima dell’effetto prezzo. Ma l’effetto prezzo è la somma
dell’effetto reddito e dell’effetto sostituzione. Proprio partendo dall’effetto prezzo possiamo ricavare gli
effetti reddito e sostituzione. Se fossimo in grado dall’effetto prezzo di eliminare l’effetto reddito, il
restante effetto misurerà l’effetto sostituzione.
Si è visto che a seguito dell’aumento del prezzo rispetto al bene B si manifesta anche un effetto reddito
dovuto al fatto che cambia il reddito in termini reali R/ . Noi, ora, elimineremo questo effetto ipotizzando
che il nostro consumatore possa usufruire di una variazione compensativa del reddito monetario, di segno
opposto alla diminuzione del potere d’acquisto. Ipotizzeremo, infatti, che, a seguito dell’aumento di prezzo
il reddito monetario del consumatore aumenti, nella misura esatta per compensare la perdita di potere
d’acquisto che l’aumento di ha causato.
Il consumatore usufruisce di un aumento del reddito monetario di tipo compensativo se detto aumento è
tale da consentire al consumatore di ottenere l’identico livello di utilità che otteneva prima che aumentasse
il prezzo del bene B.
Nel nostro caso, un aumento del reddito graficamente sposta la nuova retta di bilancio, corrispondente al
nuovo prezzo parallelamente verso l’alto. Ma essendo l’aumento compensativo, in figura 54, lo
spostamento è tale che la retta è di nuovo tangente alla curva di indifferenza di partenza, ad es. nel punto
della fig.54. Possiamo, ora, nella figura 54, definire l’effetto sostituzione causato dall’aumento di prezzo
da a Nella figura 54 l’effetto sostituzione è la variazione che il bene B registra passando da a
. L’aumento compensativo del reddito annulla la perdita del potere d’acquisto, ma non il
cambiamento del prezzo del bene B. Sicché dopo tale aumento, la posizione di tangenza con la retta di
bilancio, pur collocandosi sulla iniziale curva di indifferenza, non ritorna al punto iniziale di tangenza E*, ma
si situa in un diverso punto, nella figura 54. Nella realtà, comunque, quando il prezzo aumenta, il
consumatore non ottiene alcun simultaneo aumento compensativo del reddito. Pertanto, se, dopo, aver
ipotizzato l’aumento compensativo del reddito, riconduciamo il reddito al suo livello di partenza, è come se,
a partire dal punto , assoggettassimo il nostro consumatore di nuovo ad una riduzione del reddito. In tale
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Ma lo spostamento definitivo da E* a E’* è l’effetto prezzo. Perciò tale effetto può graficamente
considerarsi come il risultato finale dovuto alla somma degli effetti di sostituzione e di reddito. La figura 54
raffigura B come bene normale, perché l’effetto reddito è negativo . Ma noi sappiamo che esistono beni
inferiori, per i quali l’effetto reddito è positivo. Inoltre ci è noto che quando l’effetto reddito positivo supera
quello di sostituzione siamo nel caso dei beni di Giffen. Otteniamo la rappresentazione di un bene di Giffen.
Infatti, con riferimento alla figura 55, in risposta all’aumento di si verifica che la quantità di B aumenta,
passando da a > , il che qualifica il bene B come un bene inferiore, e per di più un bene di
Giffen.
La reazione di un consumatore razionale
ad aumenti di prezzo configura una
curva di domanda individuale che ha
pendenza negativa rispetto al prezzo, ad
eccezione dei beni di Giffen. La curva di
domanda di mercato, ottenuta
sommando le curve individuali di
domanda, avrà, perciò, pendenza
negativa rispetto, ad eccezione del caso
dei beni di Giffen.
ESERCIZIO IN AULA
Reddito M= 150 euro; =10; =30
1. Grafico vincolo di bilancio
Funzione di bilancio : innanzitutto la spesa per i due beni è uguale a M; M = (prezzo del bene x) * X (quantità x
acquistate) + * Y.
X=0 allora 30y= 150 cioè y=5.
Y=0 allora 10x=150 cioè x=15
2. Si immagini il raddoppio di x e del reddito. Tracciare il nuovo vincolo di bilancio.
= 20; =30; M=300. Poiché è raddoppiato si che la moneta allora graficamente il punto sull’ascissa resta fisso
perché non cambia niente rispetto a x, su y invece raddoppia la quantità acquistabile.
3. Se in corrispondenza del paniere ottimo, l’utilità marginale x = 5. Qual è l’ ?
Sappiamo = 20 e Py=30 e Umgx=5 allora possiamo ricavare
/ = / cioè 20/30= 5/ .
qualsiasi fattore misura di quanto aumenta il prodotto totale a fronte dell’aumento di una unità di quel
fattore. Così, la produttività marginale del lavoro misura l’incremento che subisce il prodotto totale quando
il fattore lavoro aumenta di una unità. La produttività marginale del fattore è definita come il rapporto tra
∆
l’incremento della produzione totale e l’incremento (arbitrario) del fattore produttivo: ∆
Confrontando successive variazioni di un fattore produttivo con le corrispondenti variazioni del prodotto, il
fatto che il prodotto totale sia crescente significa che le variazioni del prodotto avvengono nella stessa
direzione di quelle del fattore produttivo. Ne consegue che il rapporto tra la variazione del prodotto e la
variazione del fattore produttivo impiegato è sempre positivo, sia se la quantità del fattore produttivo
aumenta, sia se la quantità diminuisca. Sicché, il principio del prodotto totale crescente si esprime anche
con la proprietà che la produttività marginale di un fattore è positiva.
Nel caso del fattore lavoro, la produttività marginale del lavoro è il rapporto tra la variazione del prodotto
totale e la variazione della quantità di lavoro impiegata, e per il principio del prodotto totale crescente la
produttività marginale del lavoro è sempre positiva.
L’andamento della produttività marginale è anche decrescente al crescere della quantità del fattore
impiegato. La decrescenza della produttività marginale di un fattore produttivo (variabile) coglie
un’importante caratteristica del processo produttivo. Se ad es. si misurano gli aumenti della produzione
dovuti ad identici incrementi del fattore produttivo, è vero che si registreranno incrementi positivi nella
quantità di prodotto, ma tali incrementi non saranno sempre uguali. Essi, infatti, risulteranno via via minori
al crescente della quantità totale del fattore produttivo impiegata nella produzione. L’idea sottostante alla
proprietà della produttività marginale decrescente è che il contributo fornito all’aumento della produzione
da predeterminati aumenti del fattore produttivo variabile, è tanto maggiore quanto minore l’iniziale
quantità impiegata del fattore, e viceversa è tanto maggiore quanto minore è l’iniziale quantità impiegata
del fattore.
Talora si afferma che l’andamento del processo produttivo descritto dalla funzione del prodotto totale è
governato da due “leggi”:
a) La “legge” del prodotto reale crescente, secondo la quale un maggior prodotto si ottiene solo con
l’impiego di maggior fattore produttivo;
b) La “legge” dei rendimenti marginali decrescenti, secondo la quale il prodotto marginale di un
fattore, a parità degli altri fattori supposti fissi, è definitivamente decrescente, cioè almeno dopo
un certo livello d’impiego del fattore, il prodotto marginale del fattore è sicuramente decrescente
al crescere della quantità impiegata del fattore produttivo.
Entrambe le leggi che governano il processo produttivo imprimono alla curva del prodotto totale una forma
ben determinata. Infatti, con riferimento alla curva del prodotto reale quando il solo fattore variabile è il
lavoro, la corrispondente rappresentazione grafica che riflette entrambe le “leggi” del prodotto totale
crescente e del prodotto marginale decrescente è quella riprodotta in figura:
Appunti di Stefania Bortone
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Il grafico nella figura 62 rappresenta il prodotto marginale del lavoro. Tale curva, in virtù della proprietà
della produttività marginale positiva e decrescente, è una curva decrescente nel piano cartesiano ed
interamente contenuta nel quadrante positivo.
Infine, un ulteriore importante concetto riferito al processo produttivo è quello di prodotto medio o
produttività media di un fattore.
Con riferimento al fattore lavoro, il prodotto medio del lavoro è definito dal rapporto tra il livello (numero di
unità) del prodotto totale ed il livello (numero di unità) della quantità di lavoro impiegata nella produzione: .
Il significato del prodotto medio è quanto produce in media un fattore di produzione. Il grafico delle curve
del prodotto medio del lavoro, valido anche per ogni altro fattore produttivo variabile, è riprodotto nella
figura 63, unitamente alla curva del prodotto marginale del lavoro.
La figura 63 mostra che il prodotto medio del lavoro, eccetto che per la produzione nulla, è sempre positivo
ed è decrescente al crescere del numero dei lavoratori impiegati nella produzione. Geometricamente il
prodotto medio è l’inclinazione della corda che unisce la funzione all’origine, ossia tracciano un punto
vediamo qual è l’inclinazione (la quale prima cresce e poi tende a decrescere) congiungendo tale punto con
l’origine; il prodotto marginale del lavoro è raffigurato giacente interamente al di sotto della curva del
prodotto medio. Gli andamenti del prodotto marginale e quello del prodotto medio sono legati da una
Appunti di Stefania Bortone
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relazione, cioè se il prodotto medio è decrescente allora il prodotto marginale è sempre minore del
prodotto medio. Infatti, il prodotto marginale è l’inclinazione della tangente sul grafico del prodotto totale
e l’inclinazione cresce in maniera più repentina rispetto all’inclinazione della corda, cioè rispetto al
prodotto medio. Figura 64.
La proprietà della curva del prodotto totale, medio e marginale descritte nei paragrafi precedenti
presuppongono un processo produttivo nel quale la legge dei rendimenti (marginali) decrescenti prevale
per qualsiasi livello positivo di produzione.
Occorre però precisare che nella teoria economica si ammette anche una versione “debole” della legge dei
rendimenti decrescente, rispetto a quella “forte” fin qui illustrata. Tale versione assume che il prodotto
marginale dei fattori per un iniziale intervallo di quantità di fattori impiegati, ovvero per valori positivi del
prodotto totale, possa anche essere crescente. In questa versione, la proprietà della decrescenza del
prodotto marginale viene mantenuta, ma si ammette ch’essa si verifichi solo a partire da un qualche livello
positivo di produzione sufficientemente grande, ovvero solo dopo una certa quantità positiva del fattore
produttivo variabile. Se si ammettono rendimenti marginali crescenti per un intervallo iniziale di valori di
produzione, gli andamenti delle curve del prodotto totale, medio e marginale sono lievemente differenti
rispetto a quelli considerati in precedenza. È possibile distinguere tre diversi stadi della produzione :
a) primo stadio, l’andamento crescente del prodotto totale evidenzia un prodotto medio del fattore
crescente. In tale stadio il prodotto marginale sarà superiore a quello medio, e per un limitato
intervallo di produzione il prodotto marginale del fattore può anche essere crescente;
b) un secondo stadio in cui il prodotto medio è stazionario, cioè smette di crescere, ed il prodotto
marginale è proprio uguale a quello medio. Quando la produzione è in questa fase, il principio del
prodotto marginale del fattore decrescente è già operante, per quantità del fattore (crescenti) non
troppo distanti da quel valore cui si associa un prodotto medio stazionario;
c) un terzo stadio è quello in cui il prodotto medio è decrescente. Qui definitivamente prevale la legge
dei rendimenti decrescenti, con l’andamento del prodotto medio e marginale.
La rappresentazione grafica più generale del prodotto totale, medio e marginale che riflette i tre stadi ora
descritti corrisponde a quella di figura 64:
a) se il prodotto medio è crescente, il prodotto marginale è superiore al prodotto medio. La curva del
prodotto marginale giace al di sopra di quella del prodotto medio , come nell’intervallo A-B della
quantità impiegata di lavoro;
b) il prodotto marginale coincide col prodotto medio nel punto in cui quest’ultimo raggiunge il suo massimo
valore. La curva del prodotto marginale interseca la curva del prodotto medio nel punto di massimo
di quest’ultima, il punto B.
c) quando il prodotto medio è decrescente, il prodotto marginale è minore del prodotto medio. La curva del
prodotto marginale si colloca interamente al di sotto della curva del prodotto medio . Nel punto C il
prodotto il prodotto totale è massimo ed il corrispondente prodotto marginale del lavoro è nullo.
Quindi la curva della funzione di produzione è prima convessa poi concava e poi comincia a decrescere.
Quando è convessa, l’andamento è una forte accelerazione ossia cresce in maniera più che
proporzione, poi comincia sempre più a rallentare, fin tanto che diventa negativa. Quando comincia ad
avere un andamento decrescente per l’imprenditore non conviene più. La funzione, comunque, cresce
anche se a ritmo decrescente.
Appunti di Stefania Bortone
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Significato logico : se il capitale è fisso, quando aumenta il lavoro aumenta, in maniera proporzionale,
anche la produzione fin tanto che non raggiunge il punto ottimale in cui si hanno abbastanza lavoratori.
Se comincio a sovraccaricare di lavoratori la mia impresa, la produttività di quel lavoratore aggiuntivo
produce meno che proporzionalmente.
4.3 un approfondimento della nozione di prodotto totale, medio e marginale, e delle rispettive
proprietà, tramite degli esempi numerici
Ipotizziamo che la produzione di impresa consista di un sol prodotto Q, ottenuto con l’utilizzo di due
soli fattori di produzione, rispettivamente macchine m e lavoro L. L’attività di produzione è descritta in
termini di quantità di fattori impiegati e di corrispondente livello di produzione finale ottenuta con tali
quantità di fattori produttivi.
Quantità di Quantità di lavoro Prodotto totale
macchine
2 1 1,19
5 3 3,41
8 10 9,45
11 22 18,49
15 35 24,2
Si è detto che nel breve periodo alcuni fattori produttivi possono essere fissi. Nel caso che stiamo
considerando, di due soli fattori produttivi, se supponiamo ad es. data e fissa la quantità di macchine, il
processo produttivo è descritto come relazione tra quantità di lavoro (unico fattore variabile) e
produzione totale, e tale relazione corrisponde alla funzione del prodotto totale. Per es.
Quantità macchine Quantità lavoro Prodotto totale
8 1 1,68
8 3 3,83
8 10 9,45
8 22 17,07
8 30 21,54
Al crescere della quantità di lavoro impiegato anche il prodotto ottenuto cresce.
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Possiamo calcolare le variazioni del fattore lavoro e le corrispondenti variazioni del prodotto totale.
prodotto totale (descritto dalla funzione di produzione), l’impresa deve impiegare una maggiore quantità di
fattori variabili nel breve periodo (il lavoro), e perciò sostiene una maggiore spesa per remunerare tali
fattori (nel caso del lavoro la maggiore spesa è per remunerare un maggior numero di lavoratori). Per
meglio precisare l’andamento del costo totale al variare della quantità prodotta, è utile anche in questo
contesto fare ricorso alla nozione di costo marginale. Il costo marginale misura di quanto aumenta il costo
totale a fronte dell’aumento di una unità del prodotto finito. Il costo marginale è definito come il rapporto
tra l’incremento del costo totale e l’incremento (arbitrario) della quantità prodotta.
In formule :
Confrontando successive variazioni del costo totale con le variazioni del prodotto, dire che il costo totale sia
crescente significa che le variazioni del costo totale avvengono nella stessa direzione delle variazioni del
prodotto. Anche il rapporto tra la variazione del costo totale e la variazione del prodotto è sempre positivo,
sia se aumenta la quantità prodotta, sia se diminuisce. Sicché, il principio del costo totale crescente si
esprime anche con la proprietà che il costo marginale è positivo in corrispondenza di ogni livello di
produzione. Il costo marginale, oltre ad essere positivo, è anche crescente al crescere della quantità
prodotta. Questa proprietà si può far discendere dalla legge dei rendimenti decrescenti che disciplina il
processo produttivo. In conseguenza di tale legge, a parità di prezzi dei fattori, incrementi costanti della
produzione (ed in particolare incrementi unitari del prodotto) richiedono quantità crescenti di fattori
produttivi, e ciò comporta incrementi di costi via via crescenti. Graficamente, incrementi crescenti di costo
associati ad incrementi costanti della produzione determinano una funzione del costo totale come :
La curva è :
crescente : la crescenza della curva del costo totale è conseguenza della proprietà che il costo
marginale è positivo per ogni livello di produzione.
convessa : la convessità della curva è conseguenza della proprietà che il costo marginale del
prodotto è crescente al crescere del livello di produzione.
Infine, nella figura 65 la curva del costo totale mostra un’intercetta con l’asse delle ordinate,
contrassegnata nel grafico col punto . Tale intercetta indica il costo totale che l’impresa sostiene anche
quando la curva è inattiva, cioè quando la produzione è nulla. La curva , in quanto presuppone,
l’esistenza dei costi fissi positivi pari a , corrisponde al costo totale di breve periodo ( quindi, possiamo
dare come definizione di costi fissi di breve periodo anche la seguente : costi che l’impresa sostiene anche
quando la produzione è nulla). Ancora la figura 65 evidenzia che il costo totale di breve periodo può
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
intendersi come la somma dei costi fissi e costi variabili. In essa le ordinate della curva del costo totale di
breve periodo possono pensarsi ottenute dalla somma delle ordinate dei corrispondenti grafici dei costi
fissi e costi variabili . La curva dei costi fissi in figura 65 è la retta parallela all’asse delle ascisse, che
passa per l’ordinata dei costi fissi. La retta è parallela all’asse delle ascisse perché, per definizione di costo
fisso, qualunque sia il livello della quantità prodotta, resta associata sempre lo stesso valore dei costi fissi.
La curva del costo totale variabile , invece, esce dall’origine, è crescente e convessa al crescere della
quantità prodotta. È proprio questo tipo di andamento dei costi variabile che imprime ai costi totali le
caratteristiche della crescenza e convessità nel piano. Infine, per valori notevolmente grandi della
produzione, la curva tende a confondersi con quella del costo totale.
Con riferimento alla funzione del costo totale, si definisce anche la nozione di costo medio: il costo medio
indica quanto costa in media una unità di prodotto. Esso è denominato anche costo unitario ed è definito
dal rapporto tra costo totale e le unità di prodotto.
4.5 proprietà della curva di costo medio
Partendo dalla definizione di costo totale di breve periodo come somma tra costi fissi e costi variabili, per
ottenere il costo medio facciamo il rapporto tra costo totale e quantità prodotta. In tal modo otteniamo:
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒
𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
= 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
+ 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
Oppure in formule: 𝐶𝑇 𝐶𝐹 𝐶𝑉 𝑄
CTmc= = + .
𝑄 𝑄 𝑄
Il costo medio complessivo è somma di costo medio fisso e costo medio variabile, dove il costo medio fisso è
sempre decrescente al crescere della quantità prodotta. Esso è il costo che in media sostiene un
imprenditore per ogni singola unità di prodotto. Infatti, nella definizione del costo medio fisso, il costo
totale è costante, mentre il livello di produzione assume ogni possibile livello positivo. Ne consegue che il
costo fisso medio diminuisce all’aumentare della produzione. In termini di teoria economica, l’andamento
del costo fisso medio si spiega con il fatto che il dato costo fisso totale si ripartisce tra un gran numero di
unità all’aumentare della quantità prodotta di prodotto, sicché il costo fisso imputabile a ciascuna unità di
prodotto va diminuendo all’aumentare della produzione.
Graficamente, l’andamento del costo medio fisso è quello della curva (iperbole equilatera) in figura 66.
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Per quel che riguarda il costo variabile medio, esso è, invece sempre crescente. Il suo andamento grafico è
quello della curva . La curva , curva del costo marginale, è crescente e si colloca interamente al di
sotto della curva del costo medio variabile. Sommando le ordinate del costo variabile medio e del
costo fisso medio per ogni quantità prodotta otterremo la curva . Tale curva ha una tipica forma ad “U”,
come in figura 67.
L’andamento prima decrescente e poi crescente del costo medio totale è conseguenza del fatto che, per i
livelli di produzione molto bassi, i consumi di materie prime e fattori produttivi variabili sono trascurabili, e
la parte preponderante dei costi totali è costituita dai costi totali è costituita da costi fissi decrescenti. Oltre
un certo livello di produzione, però, il peso relativo delle due componenti si investe e per elevati livelli di
produzione sarà la componente crescente dei costi variabili ad imprimere l’andamento ai costi medi totali.
Nella figura 67 è riportata anche la curva dei costi marginali. La curva del costo marginale interseca la curva
del costo medio totale nel punto minimo di quest’ultima. Inoltre, dalla posizione relativa delle curve, risulta
evidente che, quando il costo medio è decrescente, il costo marginale è inferiore al costo medio. Nel punto
di minimo del costo medio, in cui quest’ultimo è stazionario, si ha uguaglianza tra costo medio e marginale,
e la curva di quest’ultimo interseca la curva del costo medio in quel punto. Infine quando il costo medio è
crescente, la curva del costo marginale si colloca al di sopra della curva di costo medio, essendo il marginale
La curva del costo totale nella figura 68 presenta un tratto iniziale in cui essa è concava. Questa è una
conseguenza dell’ammissione che nel processo produttivo, per quantità di produzione inizialmente positive
vi sono dei rendimenti marginali crescenti. Nell’intervallo in cui la produzione esibisce dei rendimenti
marginali crescenti si ottengono incrementi costanti di produzione con incrementi decrescenti del fattore
variabili, ed in tale intervallo il costo medio è decrescente al crescere della quantità prodotta. Nel punto di
svolta, in corrispondenza del quale la curva del costo totale smette di essere concava, ma non è ancora
diventata convessa, il costo medio è minimo. Da questo punto in poi il costo medio ridiventa crescente. Se
la curva dei costi totali è inizialmente concava e poi convessa, sussistono le seguenti proprietà:
a) quando il costo medio è decrescente, il costo marginale è inferiore al costo medio;
b) quando il costo medio è stazionario, il costo marginale coincide col costo medio;
c) quando il costo medio è crescente, il costo marginale è superiore al costo medio.
Esempio numerico:
1° Lavoratore produce 10 e due Lavoratori producono 25. Ogni lavoratore ha un costo marginale di 100. Il prodotto marginale del
primo lavoratore è 10, il prodotto marginale del secondo lavoratore è 15. Il prodotto totale è 35. Il prodotto medio 17,5. Quindi, la
produttività aggiuntiva deve essere distribuita. Il costo marginale del 1° L è 100/10 =10. Il costo marginale del 2° è 100/25=4, cioè il
suo costo aggiuntivo marginale è più basso. Il costo medio 100+100= 200, 200/35, cioè l’incremento viene distribuito anche sul
primo lavoratore.
Le curve dei costi variabili medi e dei costi marginali che riflettono le proprietà a)-c) sono rappresentate in
figura 69
La produzione di impresa consiste di un sol prodotto Q ed il costo totale misura la somma che l’impresa
deve spendere per ottenere ogni data quantità di prodotto.
Prodotto totale Costo totale (euro) Mentre la singola riga indica il livello di costo
1,68 5,98 totale in corrispondenza di una data quantità
prodotta, l’intera tabella descrive la funzione del
costo totale del prodotto.
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3,83 17,90
9,45 59,49
17,07 130,61
21,54 177,97
Dal punto di vista dei costi, un impianto è tecnicamente efficiente allorquando, combinando con
quell’impianto in tutti i modi possibili i fattori variabili, non è possibile a parità di costo totale ottenere una
produzione maggiore, ovvero a parità di produzione non è possibile ottenere quella produzione con costi
minori. Quest’ultima nozione di efficienza tecnica, per analogia alla identica nozione riferita alla funzione di
produzione, ci permette di identificare la funzione di produzione di lungo periodo come il luogo dei punti in
cui i costi di produzione sono minimi, data la tecnologia di produzione esistente e supposto che l’impresa
possa liberamente variare tutti i fattori di produzione.
Quindi contempliamo questi due fattori della produzione K e L e fissiamo le quantità ottimali di capitale e
lavoro per produrre una certa quantità di prodotto (10,20..). Vediamo quale combinazione mi produce
queste quantità ottimali. Ogni curva rappresenta il livello di produzione attraverso la combinazione di
capitale e lavoro; questa curva si chiama isoquanto di produzione : mi dice che in una curva la quantità di
produzione è la stessa. È il luogo geometrico dei punti che mi definisce l’infinita combinazione dei panieri
dell’input che ricavano la stessa quantità di produzione.
Se mi trasferisco dal punto A al punto B per l’imprenditore non cambia perché la produzione è la stessa,
∆
tuttavia, diminuisce il capitale e aumenta la quantità di lavoro: = SMST= . Più alto è l’isoquanto
∆
più è preferibile.
Il costo totale CT= i x K + w x L cioè la remunerazione del capitale, investimento, moltiplicato per il capitale
impiegato sommato alla remunerazione del lavoro, salario, moltiplicato per il salario. Si ricava l’isocosto,
cioè la funzione che riporta la varie combinazione tra capitale e lavoro che mi danno lo stesso livello di
costo.
quindi la pendenza (coef. angolare m) è data da salario/ tasso di interesse, cioè il prezzo dei fattori della
produzione (come per il vincolo di bilancio). Mentre CT/i è l’intercetta q e k è la y.
Mettiamo insieme isoquanto di produzione e isocosto, il punto di ottimo è il punto di tangenza. In questo
punto le inclinazioni di isoquanto e isocosto sono identiche, ovvero: ∆𝑘 𝑃𝑚𝑔𝐿 𝑤
SMST= ∆𝐿 =𝑃𝑚𝑔𝐾= 𝑖
DAL LIBRO
Ottenendo la curva dei costi di lungo periodo a partire da quella di breve periodo, diventa possibile
verificare sia le proprietà e la forma che la curva dei costi di lungo periodo possiede, sia la relazione che
sussiste tra la curva dei costi di breve periodo e quella di lungo periodo. il procedimento di cui si tratta è un
procedimento grafico, che, partendo da una data funzione dei costi di breve periodo, esamina le successive
modifiche degli impianti. Quest’ultime si manifestano come modifiche dell’intercetta della curva del costo
totale di breve periodo. La fig. 70 riporta tre diverse curve di costi totali, ciascuna riferita a dimensioni di
impianti che comportano costi fissi ordinati secondo un andamento via via crescente < < .
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Dalla lettura del grafico di figura 70 si nota che l’impianto è quello conveniente fino al livello di
produzione A. Oltre il punto A i corrispondenti impianti fissi e attrezzature diventano antieconomici e
converrà all’impresa adottare la dimensione corrispondente a , in modo da collocarsi sulla curva di costo
totale . Questa dimensione degli impianti sarà conveniente fino al punto B, oltre il quale converrà
all’impresa adottare la dimensione corrispondente a , collocandosi sulla costo totale , e così via.
Passando al lungo periodo, dunque, è come se l’impresa avesse di fronte a sé non una singola curva di coto
totale, ma un’intera famiglia di funzioni di costo totale di breve periodo, ciascuna associata ad una diversa
dimensione degli impianti. Il passaggio da una dimensione all’altra degli impianti è conseguenza della
convenienza da parte dell’impresa a produrre a costi minori, e dunque ad adottare una differente
dimensione degli impianti. Immaginiamo, ora, che le variazioni nella dimensione degli impianti avvengano
in maniera continua. Al limite si può pensare che ogni modifica della quantità prodotta avviene
contemporaneamente a modifiche della dimensione degli impianti. In tale ipotesi è come se ad ogni
quantità prodotta si associassero punti del tipo A, B, ecc. in cui i costi di produzione associati comprendono
anche ogni passaggio da un impianto all’altro. L’insieme di questi punti che disegna il “percorso” seguito dai
costi sostenuti dall’impresa costituisce la curva di costo di lungo periodo (riprodotta in fig.70 e 71).
La curva di costo totale di lungo periodo in fg.71 viene ad avere una tipica forma a “S”, con il tratto inziale
concavo, e, dopo un certo livello di produzione, la forma diventa definitivamente convessa. La curva di
costo di lungo periodo così strutturata è detta curva di inviluppo delle curve di costo totale di breve
periodo, perché ha le seguenti proprietà:
a) ogni curva di costo totale di breve periodo si colloca interamente al di sopra della curva di
costo totale di lungo periodo, CTL, eccetto che in un punto nel quale ogni curva CTB è tangente alla
curva CTL;
b) nel punto di tangenza, la quantità del fattore che, supposta fissa nel breve periodo, qualifica
l’impianto fisso, coincide con la quantità ottimale di tale fattore che l’impresa avrebbe scelto se tale
fattore fosse stato liberamente modificabile, per rendere minimo il costo totale della rispettiva
produzione.
Tutto quanto fin qui espresso in termini di curve di costo totale trova un equivalente riscontro in termini di
curve di costo medio. La curva di costo medio di lungo periodo può infatti essere ottenuta come l’inviluppo
delle curve di costo medio di breve periodo. Infatti, se rappresentiamo le curve di costo medio
corrispondenti alle curve di costo totale di breve periodo, relative agli impianti associati ai costi fissi
< < , otteniamo la figura 72
Appunti di Stefania Bortone
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c) un tratto in cui la curva del costo medio di lungo periodo , è crescente, e la curva del
costo marginale di lungo periodo si colloca in tale tratto interamente al di sopra di
.
La figura 73 rappresenta graficamente la relazione tra costi medi e marginali nel lungo periodo che
rispecchia le proprietà da a) fino a c). La curva di costo medio di lungo periodo è l’inviluppo della curva di
costo medio di breve periodo.
La curva dei costi marginali di lungo periodo, viceversa, non può essere ottenuta come inviluppato delle
curve dei costi marginali di breve, ed è desunta direttamente dalla curva dei costi totali di lungo periodo
come rapporto tra incremento di costo di lungo periodo e incremento della produzione.
Se si suppone che nel processo produttivo prevalgono ovunque solo economie di scala, assenza di
economie di scala o presenza di diseconomie di scala, avremo differenti curve di costo medio.
Nel caso di economie di scala positive ovunque nella produzione, la curva del costo medio di lungo
periodo è una curva sempre decrescente.
In assenza di economie di scala ovunque nella produzione, il costo medio di lungo periodo è costante
e graficamente corrispondente ad una retta parallela all’asse delle ascisse.
Infine, nel caso di diseconomie di scala prevalenti ovunque nella produzione, la curva del costo
medio di lungo periodo è una curva crescente al crescere della produzione. Tali casi sono mostrati in
figura 74.
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Si può osservare che è possibile definire le economie e diseconomie di scala in base alla nozione
elasticità del costo totale di lungo periodo. Definiamo elasticità del costo totale di lungo periodo
, il rapporto tra la variazione percentuale del costo totale di lungo periodo rispetto alla
%
variazione percentuale della quantità prodotta: = .
%
I tre tipi di economie di scala si riconducono ai seguenti valori dell’elasticità del costo totale di
produzione:
;
;
scelte in modo da massimizzare l’obiettivo prescelto, con dati mezzi propri a disposizione, oppure in modo da
minimizzare l’impiego di mezzi per raggiungere un prefissato risultato). Per quel che riguarda il livello di
produzione dell’unico bene prodotto, si assumerà che un’impresa razionale sceglie la
produzione con l’obiettivo di ottenere il massimo profitto monetario (inteso come «differenza tra
ricavi totali e costi totali»). A partire dall’obiettivo del massimo profitto, si costruirà una “teoria
dell’offerta del bene prodotto da parte della singola impresa”. Successivamente, la curva di
offerta per l’intero mercato sarà ottenuta come somma dell’offerta di tutte le imprese
produttrici di quel bene. In tal modo, si sarà in grado di verificare se la curva di offerta di
mercato di un bene, desunta dall’ipotesi di razionalità dell’impresa, ha delle proprietà
coerenti con quelle assunte alla base del meccanismo di funzionamento del mercato di un
singolo bene, e anche coerenti con i risultati rispetto a perturbazioni dell’equilibrio di
mercato, nel breve e nel lungo periodo. Ma una teoria delle scelte di impresa, rispetto a
quella del consumatore, presenta una difficoltà aggiuntiva: essa, con riferimento alla
produzione del bene, richiede la specificazione del contesto “ambientale” del mercato in cui
l’impresa opera, in quanto non sempre la singola impresa può considerarsi parte trascurabile
del mercato in cui produce. La complicazione risiede nel fatto che il tipo di mercato in cui
l’impresa opera condiziona le scelte di impresa, ma è anche condizionato dalla condotta di
impresa (nel senso che i comportamenti della singola impresa concorrono a determinare il tipo di mercato in
cui essa si trova ad agire). Si determina perciò una sorta di circolo chiuso, per evitare il quale è
opportuno procedere affrontando innanzitutto i casi più semplici. L’ipotesi iniziale a cui si
ricorre nella letteratura economica è l’assunto che il mercato in cui la singola impresa opera
sia un «mercato di concorrenza perfetta». La concorrenza perfetta è una forma di mercato
molto particolare, che nella realtà si riscontra solo in borsa e nei mercati di alcuni prodotti
agricoli. Ciononostante, essa è utile per due motivi:
Ci fornisce un modello nel quale è rigorosamente vera la teoria del mercato di un singolo bene.
Ci fornisce la pietra di paragone alla quale possiamo ricondurre lo studio delle altre forme di
mercato, che vanno dal monopolio alla concorrenza imperfetta.
Tutte queste condizioni hanno un’importante implicazione: il prezzo del bene prodotto per la
singola impresa appare un dato esogeno. Da ciò discende che al prezzo corrente la singola
impresa può vendere qualunque quantità essa ritiene più conveniente. In termini di curva di
domanda è come se la singola impresa fronteggiasse una curva di domanda per il suo bene
infinitamente elastica, sicché graficamente tale curva rispetto alla singola impresa appare
come una retta parallela all’asse delle ascisse. Dato il prezzo del bene, l’impresa sceglierà la
quantità prodotta in modo da ottenere il massimo profitto possibile (il profitto è definito come
differenza tra ricavo totale e costo totale, cioè PROFITTO TOTALE = RICAVO TOTALE - COSTO TOTALE).
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Già conosciamo il concetto e le caratteristiche del costo totale in funzione della quantità
prodotta, perciò per comprendere il significato del profitto totale, è sufficiente studiare il
ricavo totale di un’impresa: esso è l’insieme degli incassi monetari derivanti dalla vendita del
prodotto, ed è determinato dalla relazione
RICAVO TOTALE = PREZZO x QUANTITA’ PRODOTTA
Quindi il PROFITTO TOTALE = PREZZO x QUANTITA’ PRODOTTA - COSTO TOTALE.
Con quest’ultima definizione, il profitto totale diventa una funzione della quantità prodotta.
Infatti il ricavo totale, essendo il prezzo del bene venduto un dato per la singola impresa in
concorrenza perfetta, si modifica al variare della sola quantità prodotta (allo stesso modo del
costo totale). Essendo il prezzo del bene dato per la singola impresa, la curva del ricavo è una
retta che esce dall’origine.
CURVA DEL COSTO
CURVA DEL
TOTALE DELLA
RICAVO
SINGOLA IMPRESA
TOTALE
Per determinare il profitto, dobbiamo riunire questi due grafici in una sola figura. Il
profitto totale, in quanto differenza tra ricavi e costi totali, per ogni quantità prodotta è
misurato dalla distanza tra i grafici.
Ognuno dei rapporti di questa definizione, rispetto all’incremento della quantità prodotta, è
una grandezza marginale. Difatti:
Profitto marginale: à
Ricavo marginale: à
Costo marginale: à
Di conseguenza, la definizione del profitto marginale è:
PROFITTO MARGINALE = RICAVO MARGINALE − COSTO MARGINALE
E la condizione di massimo profitto può essere ora formulata come «condizione di
annullamento del profitto marginale» ovvero PROFITTO MARGINALE = RICAVO MARGINALE − COSTO MARGINALE = 0.
Ne consegue che, per massimizzare il profitto, la produzione corrispondente deve verificare
RICAVO MARGINALE = COSTO MARGINALE.
«Un’impresa il cui obiettivo è di ottenere il massimo profitto sceglierà la quantità di prodotto totale
che realizza l’uguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale».
Dalla definizione di ricavo totale, dato il prezzo del bene prodotto, per la singola impresa in
concorrenza perfetta otteniamo la seguente definizione dell’incremento del ricavo totale:
INCREMENTO DEL RICAVO TOTALE = PREZZO x INCREMENTO DELLA QUANTITA’ PRODOTTA
Da questa, dividendo entrambi i lati per l’incremento della quantità prodotta, segue che:
= prezzo
à
Questa è un’importante proprietà della concorrenza perfetta, infatti ciò vale a dire:
Prezzo del bene = costo marginale
Cioè «l’impresa concorrenziale massimizza il profitto allorché produce una quantità il cui
costo marginale è proprio uguale al prezzo del bene».
Appunti di Stefania Bortone
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«Il punto E in cui la retta del prezzo interseca la curva del costo marginale Individua la produzione Q* che eguaglia il
costo marginale al prezzo. Che tale punto renda massimo il profitto lo si desume confrontando delle quantità
differenti da , es. e . In corrispondenza di il profitto marginale è misurato dalla distanza tra e , cioè
il segmento AB; tale distanza è positiva quindi l'impresa può aumentare il profitto aumentando la produzione.
Viceversa, in corrispondenza di , il costo marginale supera il prezzo. In tal caso il profitto marginale, misurato dalla
distanza DF, è negativo e l'impresa può aumentare il profitto riducendo la quantità. L'unica quantità dalla quale
l'impresa non ha più convenienza a discostarsi è la quantità in corrispondenza della quale il profitto marginale è
nullo. Distanziandosi da essa, l'impresa non riesce per nessun'altra produzione (né maggiore né minore) ad ottenere un
profitto più grande che in ».
La precedente procedura di ricerca della quantità ottimale va qualificata ulteriormente, a seconda
se il problema di impresa è riferito al breve o al lungo periodo. Per introdurre l'argomento
possiamo pensare che l'impresa risolva il problema di massimo profitto in due momenti (ha senso
interpretare la ricerca della quantità ottimale come procedura a due stadi solo nel breve periodo poiché una simile
procedura presuppone l'esistenza dei costi fissi e solo nel breve periodo ha senso distinguere tra costi fissi e costi
variabili):
In un primo momento l'impresa individua la quantità ottimale sulla base dell'uguaglianza tra prezzo
e costo marginale come se dovesse effettivamente produrre qualsiasi livello di prodotto finito
risultasse da tale eguaglianza.
In un secondo momento l'impresa si chiede se la quantità ottimale positiva individuata deve
effettivamente essere prodotta, o in alternativa se per essa non sia più conveniente non produrre
affatto .
Il motivo del procedere a due stadi deriva dalla circostanza che «non è detto che il profitto massimo
realizzato dell'uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale risulti necessariamente positivo»; può
infatti accadere che il profitto massimo sia negativo e pertanto l'impresa In tali condizioni subisce
una perdita. Per verificare questo punto riferiamoci al grafico:
Il ricavo totale dal punto di vista grafico corrisponde all'area del rettangolo OPEQ* (difatti la
definizione per la quale Il ricavo totale il prodotto aritmetico "prezzo x quantità" geometricamente
corrisponde al prodotto tra il segmento OP e il segmento OQ*)
Il prodotto aritmetico dei due lati fornirà l'area del rettangolo OPEQ*
Si passa poi alla misurazione grafica del costo totale: visto che il costo medio è per definizione il
costo di una unità prodotta, il costo totale può definirsi come:
COSTO TOTALE = COSTO MEDIO x QUANTITÀ.
In corrispondenza del punto E il costo medio della quantità ottimale è individuato dall'ordinata
del punto A sulla curva del costo medio CM. Indicando con B l'ordinata del punto A, il costo totale
corrisponde al prodotto tra il segmento OB del costo medio e il segmento OQ* della quantità
ottimale. Tale prodotto definisce l'area del rettangolo OBAQ*.
La differenza tra l'area OPEQ* e l'area OBAQ*, essendo il costo totale superiore al ricavo totale,
definisce la perdita realizzata dall'impresa pari all'area tratteggiata del rettangolo PBAE.
A questo punto all'impresa che si trova in tale situazione conviene chiudere la propria attività e
conseguentemente produrre Q=0, oppure conviene produrre la quantità ottimale positiva Q*,
nonostante la perdita in cui incorre? La risposta è: dipende.
Nel breve periodo, l'impresa che chiude produce 0. Ma una produzione nulla sebbene renda nulli i
ricavi totali, non annulla i corrispondenti costi totali; difatti i costi che l'impresa sostiene quando la
produzione è nulla sono i costi fissi, i quali sono positivi. Perciò l'impresa che non produce nel breve
periodo incorre in una perdita uguale ai costi fissi.
Un'impresa razionale che subisce una perdita in corrispondenza della produzione ottimale, dovrà
confrontare la perdita subita per ottenere il livello di prodotto Q* > 0 con la perdita sostenuta
per produrre la quantità nulla Q = 0. Se la perdita realizzata producendo la quantità Q* è
maggiore della perdita realizzata producendo la quantità Q = 0, all'impresa conviene essere
inattiva; viceversa, se la perdita dovuta ad inattività è superiore alla perdita derivante dalla
produzione positiva ottimale, converrà all'impresa produrre la quantità positiva ottimale perché
così facendo essa minimizza le perdite, cioè tra le due subisce la perdita minore possibile.
Vi è una semplice condizione che permette all'impresa in perdita di decidere nel breve periodo se
produrre la quantità positiva o non produrre ha fatto, essa si ricava dal confronto tra il prezzo del
bene ed il costo medio variabile di produzione. Da tale confronto si comprende che:
• quando il prezzo è maggiore del costo variabile medio, la perdita sostenuta producendo una quantità
positiva Q* è inferiore alla perdita sostenuta quando la produzione è nulla.
• quando il prezzo è minore del costo variabile medio, la perdita sostenuta producendo una quantità Q* è
superiore alla perdita sostenuta quando la produzione è nulla.
• quando il prezzo è uguale al costo variabile medio, per l'impresa è indifferente produrre Q = 0 oppure
Q* > 0, essendo in entrambi i casi la perdita è uguale.
Il confronto tra prezzo e costo medio variabile acquista un significato differente a seconda della
curva dei costi con la quale l'impresa si confronta: quando la curva dei costi totali è convessa, per ogni
livello positivo ottimale di produzione il ricavo totale è sempre maggiore del costo totale variabile; in tal
caso il costo marginale è sempre superiore al costo variabile medio.
Nei seguenti grafici sono riportate tutte le situazioni di impresa che è possibile riscontrare in un
determinato settore produttivo nel breve periodo:
A B
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C D
Viceversa quando la tecnologia produttiva determina una curva dei costi totali che
ammette un tratto iniziale concavo, l'insieme delle intersezioni tra le rette di tutti i
possibili livelli di prezzo e la curva del costo marginale coincide col tratto di curva di costo
marginale al di sopra della curva di
costo variabile medio.
In entrambi i casi la curva di offerta è crescente nel piano, in quanto a prezzi crescenti
associa quantità crescenti che l'impresa desidera vendere. Il secondo grafico evidenzia però
con un tratto concavo dei costi totali, ovvero con una curva del costo medio decrescente,
esiste un prezzo positivo P0 > 0 al di sotto del quale la produzione è nulla. Tale prezzo è
quello corrispondente al punto di minimo del costo variabile medio CVM ed esso è talora
denominato prezzo di chiusura o “punto di fuga”. Difatti un prezzo inferiore al prezzo di
chiusura rende conveniente a quel prezzo la fuga dell'impresa dal mercato in quanto per
l'impresa diventa conveniente offrire la quantità nulla.
La curva di offerta di mercato è la somma delle curve di offerta di tutte le imprese che producono
il bene in quantità positiva.
In conclusione si può affermare che «la reazione di un'impresa razionale ad aumenti di prezzo
configuro una curva di offerta individuale che ha pendenza positiva rispetto al prezzo. La curva di
offerta di mercato, ottenuta sommando le curve di offerta delle singole imprese avrà perciò pendenza
positiva rispetto al prezzo»
Gli spostamenti della curva di offerta di mercato possono essere spiegati in base alle cause
che determinano gli spostamenti delle curve di costi medi e marginali delle imprese. infatti:
una variazione dei prezzi dei fattori variabili sposta la curva CVM e, data la relazione tra costi
medi e marginali che impone a quest'ultima di collocarsi al di sopra della curva CVM, ovvero
nel caso di una curva dei costi variabili medi ad "U" di passare per il punto di minimo della
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curva CVM, anche la curva Cm si sposterà nella stessa direzione. In particolare, un aumento
dei salari sposta in alto verso sinistra le curve CVM e Cm. A parità di prezzo, si riduce la
quantità ottima delle singole imprese che subiscono l'aumento di salario, e perciò si riduce
l'offerta del bene in questione.
mutamenti nella tecnologia riducono CM e CVM spostando le curve in basso verso destra, e
dunque spostano nella stessa direzione anche la curva Cm. Nuove tecnologie permettono, a
parità di costi, di produrre maggiori quantità, ovvero di ottenere le stesse quantità con minori
fattori produttivi e quindi con minori costi.
5.3 L'equilibrio di concorrenza perfetta dell'impresa singola e del settore nel lungo periodo
Fino ad ora le nostre considerazioni hanno riguardato il breve periodo, per estendere l'analisi
della determinazione della curva di offerta lungo periodo è necessario distinguere tra
equilibrio della singola impresa ed equilibrio di settore o industria. Per quanto concerne
l'equilibrio della singola impresa, la condizione rimane quella del massimo profitto, statuita
dall'uguaglianza prezzo =costo marginale. Tuttavia, nel lungo periodo, l'equilibrio dell'impresa
singola deve essere compatibile anche con l'equilibrio del settore. Quest'ultimo si realizza
quando i profitti conseguiti da tutte le imprese produttrici del bene sono ad un livello tale da
lasciare immutato il numero delle imprese attive in quel settore. Per comprendere ciò, occorre
tener conto che nel breve periodo il numero delle imprese è dato, ma nel lungo periodo esso
tende a modificarsi. L'ipotesi del libero accesso al mercato e dell'informazione perfetta
comporta l'operaio di un meccanismo che nel lungo periodo tende a determinare l'equilibrio
attraverso la determinazione del numero di imprese operanti in un dato settore. Il numero
delle imprese è funzione dell'ammontare dei profitti realizzato nel settore:
fino a che nel settore si realizza un profitto positivo vi sarà un incentivo per i produttori non
ancora presenti nel mercato ad entrarvi, espandendo in tal modo l'offerta complessiva del
bene. Come conseguenza di questa espansione, il prezzo di equilibrio del bene si ridurrà e nel
settore tenderà a modificarsi: La diminuzione del prezzo del bene, a costi dati, comporterà
che le imprese del tipo B, ed a maggior ragione quella del tipo C (cfr. ai 4 grafici), saranno
totalmente espulse al mercato, mentre quelle di tipo A vedranno ridursi il loro profitto.
Questo processo di attrazione-espulsione dal settore può continuare solo fino a che esiste
qualche possibilità di realizzare un profitto positivo per qualche impresa.
quando il profitto è nullo per tutte le imprese dell'Industria, non vi sarà alcun incentivo per
altri produttori ad entrare nel mercato. Non essendoci più né espulsione né attrazione nel
settore, il numero di imprese resta inalterato e questo determina la posizione di equilibrio di
lungo periodo. Quest'ultima è raffigurata graficamente in termini di “equilibrio dell'impresa
rappresentativa” nel grafico seguente. L'equilibrio di lungo periodo richiede ancora
l'uguaglianza prezzo = costo marginale, ma in più, per richiesta anche la condizione di
annullamento dei profitti che si verifica quando prezzo = costo medio. Dell'uguaglianza tra
prezzo e costo medio ne consegue che in equilibrio di lungo periodo deve aversi costo
marginale = costo medio.
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
Questa coincidenza si realizza nel punto di minimo del costo medio, e pertanto può anche
affermarsi che nel lungo periodo l'intersezione prezzo = costo marginale avviene in
corrispondenza del minimo costo medio. La condizione di equilibrio dell'impresa
rappresentativa è la semplice riproduzione dell'equilibrio di tutte le imprese presenti e attive
nel settore, e quando essa si realizza il numero delle imprese resta stazionario.
5.4 Una digressione teorica sul significato della condizione marshalliana di annullamento dei
profitti di impresa concorrenziale nel lungo periodo.
Per meglio comprendere la natura della condizione di equilibrio di lungo periodo della scuola
marshalliana di annullamento dei profitti di impresa, vi è da fare qualche approfondimento
dottrinario. È evidente quanto sia opinabile una teoria del sistema capitalista che sostiene
che "gli imprenditori lavorano gratis"; tale è il significato della condizione di annullamento del
profitto, essendo il profitto totale il reddito delle imprese. Per superare questo obiezione,
secondo la tradizione marshalliana, l'annullamento dei profitti deve intendersi come
condizione di annullamento degli extra profitti. Sottostante a questa interpretazione vi è il
concetto di «profitto normale» definito come il profitto minimo che l'impresa richiede per poter
continuare la propria attività. In tale ottica, al profitto normale si viene ad attribuire la natura
di una sorta di «compenso di direzione di impresa» per l'imprenditore; esso costituirebbe il
corrispettivo del fattore di produzione "direzione aziendale" che finora non è stato
esplicitamente considerato. Ma il compenso corrisposto all'impresa alla funzione
imprenditoriale costituisce una componente aggiuntiva del costo di produzione. Per tener
conto di questo ulteriore costo, la nozione di profitto totale fin qui considerata va modificata
in quanto il profitto totale appare ora definito come profitto totale = ricavo totale − costo totale relativo ai
fattori produttivi −costo totale del fattore imprenditorialità.
La condizione di annullamento del profitto totale ora si può leggere nel seguente modo:
ricavo totale = costo totale relativo ai fattori produttivi + costo totale del fattore imprenditorialità . Secondo questa
prospettiva, la condizione marshalliana del profitto totale nullo nel lungo periodo comporta
che l'intero ricavo venga distribuito tra i fattori partecipanti al processo produttivo sotto
forma di compenso dei fattori stessi. Avendo chiamato il costo dell'imprenditorialità "profitto
normale", si può affermare che la condizione marshalliana di equilibrio di lungo periodo è
equivalente alla seguente condizione: RICAVO TOTALE = COSTO TOTALE RELATIVO AI FATTORI
PRODUTTIVI + PROFITTO NORMALE. È evidente che, con questa reinterpretazione, l'obiezione che
l'imprenditore lavora gratis è superata in quanto il profitto normale può essere positivo ed
elevato nel lungo periodo. Resta però aperto un interrogativo: in che relazione si pone la
condizione che, nel lungo periodo, l'intero ricavo totale è distribuito ai fattori incluso il fattore
imprenditorialità, con la condizione di equilibrio di uguaglianza tra prezzo e costo medio? Tenuto
conto che il rapporto tra ricavo totale e quantità prodotta coincide col ricavo medio e che in
concorrenza perfetta il ricavo medio è il prezzo del bene; e considerato che il rapporto tra il
costo totale e la quantità prodotta è il costo medio, otteniamo che: PREZZO = COSTO MEDIO DI
FATTORI PRODUTTIVI + COSTO MEDIO DEL FATTORE IMPRENDITORIALITÀ.
È ora evidente che l'uguaglianza tra prezzo e costo medio richiesta dall'equilibrio di lungo
periodo resta valida anche quando si aggiunge il compenso di direzione per unità di prodotto,
ed è coerente con l'interpretazione del profitto normale come compenso di direzione di
impresa, purché nel conteggio dei costi medi si includa il costo per unità di prodotto di tale
fattore produttivo. Il prezzo del bene perciò remunera non solo i fattori produttivi ma anche
l'imprenditore.
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
In modo analogo, è possibile enunciare che: «se il costo medio dell'Industria è costante, e perciò nel
settore prevalgono economie esterne costanti di scala, la curva di offerta di mercato nel lungo
periodo sarà perfettamente orizzontale, e dunque infinitamente elastica».
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
Viceversa, il caso delle economie esterne di scala positive resta escluso in quanto
incompatibile con la nozione di concorrenza perfetta e su questa incompatibilità concettuale
si legge la conclusione che, in concorrenza perfetta, resta escluso che la curva di offerta di
lungo periodo possa essere inclinata negativamente.
5.6 L'impresa nei mercati non perfettamente concorrenziali
Le condizioni effettive dei mercati nella realtà si discostano da quelle ideali della concorrenza
perfetta. La differenza più evidente è che nella pratica spesso le imprese sono in grado di
controllare il prezzo del bene da esse prodotto quando c'è il possibile, si dice che il mercato è
di concorrenza imperfetta o in perfettamente concorrenziale. Questa espressione non vuol
dire che è esclusa la concorrenza tra produttori, ma che dal lato dell'offerta le scelte e i
comportamenti dei produttori si manifestano in maniera differente da quelli dell'impresa in
concorrenza perfetta. L'elemento distintivo cruciale è la possibilità che le decisioni della
singola impresa influenzano il prezzo di mercato. Questa possibilità è l'altra faccia del fatto
che l'impresa non concorrenziale può decidere anche il prezzo del bene. Il fatto che l'impresa
non sia più parte trascurabile del mercato significa che essa, nel determinare la quantità
prodotta che massimizza il profitto, non può più ignorare nel calcolo del ricavo totale le
conseguenze che hanno sul prezzo di mercato le sue decisioni sulla propria quantità
prodotta. Quando un'impresa decide di aumentare la quantità venduta, deve tener conto che
la domanda anche per la sua produzione è decrescente rispetto al prezzo (difatti in
concorrenza imperfetta il ricavo totale della singola impresa è definito come ricavo totale = prezzo di
vendita x quantità. Il prezzo di vendita della singola impresa che decide la quantità da produrre
coincide col prezzo per compratori sono disposti a pagare per comprare quella quantità. In altri
termini, il prezzo di vendita è il prezzo di domanda). Per cogliere questo aspetto è utile
considerare il concetto di ricavo medio, esso definisce il ricavo che l'impresa ottiene in media
per ciascuna unità venduta, e coincide con il rapporto tra il ricavo totale ed il prodotto totale:
ricavo medio = ricavo totale/quantità prodotta = prezzo. In virtù della relazione inversa tra
prezzo e quantità che caratterizza una normale curva di domanda, anche tra ricavo medio e
quantità prodotta dell'impresa viene a stabilirsi una relazione inversa: per ogni aumento
della quantità prodotta, il ricavo medio dell'impresa diminuisce. Difatti, poiché la curva di
domanda è decrescente, affinché possa aumentare la quantità venduta da parte dell'impresa
il prezzo di vendita del bene deve diminuire. Per ciò che concerne il ricavo marginale, per
l'impresa in concorrenza imperfetta esso non coincide più col prezzo del bene, ma è inferiore
ad esso. Intuitivamente ciò è vero perché, a causa della curva di domanda inclinata
negativamente, l'impresa che aumenta le vendite subisce contemporaneamente una
diminuzione di prezzo. Perciò, l'incremento del ricavo totale conseguente ad un incremento
della quantità venduta può scomporsi in due effetti:
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
• il primo effetto positivo è dovuto al fatto che l'aumento della quantità venduta tende a far
aumentare i ricavi.
• il secondo effetto negativo è dovuto al fatto che l'aumento della quantità, in quanto induce
delle riduzioni di prezzo, tende a deprimere il ricavo.
Il risultato netto di tali effetti contrapposti determina il ricavo marginale dell'impresa, il
quale perciò non può più coincidere col prezzo del bene. Esiste una precisa relazione tra il
ricavo marginale e l’elasticità della domanda che permette di dire per quali valori
dell’elasticità della domanda il ricavo totale del monopolista aumenta. Ricordiamo che il
ricavo marginale è la risposta del ricavo totale al variare della quantità prodotta; al contrario,
l’elasticità è la variazione percentuale della quantità domandata rispetto a variazioni
percentuali di prezzo. Il ricavo marginale è:
Positivo se l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è maggiore di 1 ( )
Nullo se l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è uguale a 1 ( )
Negativo se l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è minore di 1 ( )
La relazione tra ricavo medio e marginale dell'impresa non concorrenziale è descritta dal
grafico:
Vediamo che la curva RM è decrescente, essendo la curva del ricavo medio semplicemente l'inversa
della curva di domanda da parte dei compratori per la produzione di impresa, e tale curva inversa di
domanda è funzione decrescente della quantità. Il ricavo marginale Rm è inferiore a RM, e la curva
Rm, eccetto che nell'origine, giace interamente al di sotto di RM.
Le varie forme di mercati non concorrenziali, dal lato dell'offerta, si distinguono in base alla
numerosità delle imprese:
• Monopolio (esiste una sola impresa): C'è monopolio quando in un'industria esiste una sola
impresa che produce e offre un bene per il quale non vi sono sostituti in senso stretto ed è difficile o
impossibile che a quell'unica impresa si affianchino altre imprese. Questa definizione contiene 3
caratteristiche: l'unicità dell'impresa, l'assenza di prodotti sostituti in senso stretto, la difficoltà o
l'impossibilità che esistono concorrenti potenziali. Se mancano di queste caratteristiche non si può
dire che ci sembra proprio monopolio o monopolio puro (es. Se una grande impresa è l'unica rifornire di
gas metano una città, questa impresa non è monopolista in assoluto perché i consumatori possono acquistare
prodotti sostituti del metano come l'olio combustibile o il carbone). Nell'industria dominata da una sola
impresa inoltre dovrà essere difficile o impossibile l'ingresso di nuovi produttori se il monopolio dovrà
persistere (difatti le cause del monopolio che rappresentano delle barriere all'entrata per le altre industrie
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
possono essere: impedimenti di tipo legale, i brevetti esclusivi, il controllo di una risorsa rara, o l'esperienza
tecnica inimitabile). Esiste poi un altro tipo di monopolio: il monopolio naturale, nel quale un'impresa è
capace di produrre un bene o un assortimento di beni su ampia scala e per questo i costi medi di
produzione sono tanto bassi che nessun altro concorrente è capace di competere con quell'impresa. Il
monopolio è dovuto alla natura della produzione, cioè al fatto che in questa produzione prevalgono
economie di scala le quali si manifestano sotto forma di costi medi decrescenti al crescere della
produzione. Le economie di scala fanno sì che quando un'impresa abbia raggiunto una certa
dimensione produttiva sufficientemente ampia rispetto alla domanda, quell'impresa produce a costi
medi molto più bassi di qualunque altra impresa concorrente di dimensione inferiore. Perciò l'impresa
che gode delle economie di scala prima o poi distruggerà le imprese minori praticando prezzi più
bassi rispetto al costo medio minimo di qualunque concorrente. Le economie di scala più importanti
sono le cosiddette economie reali che hanno a che fare con il processo produttivo oppure con i canali
di vendita oppure ancora con le spese di trasporto e di immagazzinamento: un'impresa che produce
su larga scala è in grado di economizzare sui costi, in quanto questi ultimi visto il grande volume delle
vendite, incideranno poco su ogni unità di bene prodotto. Oltre a queste, la produzione su larga scala
gode anche di economie pecuniarie dovute a prezzi più bassi che la grande impresa è in grado di
spuntare acquistando in massa le materie prime o magari dovute alle tariffe di trasporto più basse
concesse alla grande impresa in quanto cliente privilegiato. Bisogna infine tener conto che il
monopolista può decidere l’ottima dimensione produttiva e una volta decisa la quantità da produrre,
lascia al mercato di fissare il prezzo in corrispondenza del quale tutta l’offerta potrà essere acquistata
oppure fissa il prezzo e lascia che il mercato determini la quantità del bene che i compratori sono
disposti ad acquistare a quel prezzo. In entrambi i casi il monopolista, in quanto operatore razionale,
baderà che la quantità da smerciare o il prezzo siano tali da assicurargli il massimo profitto, cioè che
essi corrispondano all’uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale (eq. monopol.)
• Oligopolio (esistono poche grandi imprese): L'oligopolio è un mercato dominato da poche
grandi imprese ciascuna delle quali è capace di influire sul prezzo perché copre una quota significativa
dell'offerta totale. L'oligopolio è la forma di mercato che prevale nelle Industrie manifatturiere.
Quando in un industria coesistono poche grandi imprese, sorge il problema dei rapporti reciproci che
si vengono a stabilire tra di loro.Il comportamento di ciascuna grande impresa è infatti per certi
aspetti indipendente da quello delle altre ma per altri aspetti le decisioni che una di esse assume da
un lato dipendono dalle decisioni che assumono le altre e dall'altro influenzano le decisioni altrui. Se
prendiamo ad esempio il mercato europeo delle automobili ci sono quelli grandi imprese tra cui la Fiat.
Quest'ultima può lanciare un nuovo modello oppure può aumentare i prezzi di listino dei modelli già esistenti, nel
prendere queste decisioni i dirigenti devono tener conto delle reazioni delle altre grandi imprese le quali possono
ad esempio non c'era un modello simile offrirlo a prezzi più bassi Oppure posso non seguire la Fiat nella decisione
di aumentare i prezzi di listino dei modelli già in produzione. Se i dirigenti della Fiat sottovalutano le reazioni
delle altre poche case automobilistiche operanti in Europa, essi possono essere sorpresi dai risultati e perdere
così una parte della clientela a favore dei concorrenti. Queste sempre ci fa capire che le decisioni delle
imprese oligopolistiche sono interdipendenti. Le imprese oligopolistiche possono evitare però
l'incertezza che deriva dalle interdipendenze raggiungendo un'intesa in maniera da limitare la
concorrenza; tale intesa può dare vita ad un cartello, cioè un accordo più o meno esplicito mediante il
quale gli oligopolisti fisse nel volume delle vendite e il prezzo per tutta l'industria, segnando poi a
ciascuna impresa una quota del mercato. In tal caso l'oligopolio si trasforma in un monopolio. I cartelli
però spesso hanno vita breve perché se il prezzo è stato fissato a un livello sufficientemente alto,
qualche impresa che partecipa al cartello può essere tentata di praticare sconto sul prezzo ufficiale
per sottrarre il cliente alle altre. Inoltre un prezzo troppo alto per l'industria caratterizzata può trarre
nell'industria stessa nuovi concorrenti che rompono il monopolio. Una forma di Intesa tacita che
spesso si raggiunge costituita dalla leadership nel prezzo, che è un accordo e quale assegna
all'impresa dominante dell'industria il ruolo di fissare i prezzi anche nell'interesse delle altre imprese.
Tale accordo ha lo scopo di evitare una guerra dei prezzi che può essere rovinosa per tutte le imprese
oligopolistiche. Il prezzo una volta stabilito viene cambiato il solo in circostanze riconosciuto
Appunti di Stefania Bortone
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necessarie da tutti (es. Se aumentano i costi delle materie prime per tutte le imprese, l'impresa dominante per
aumentare il prezzo di vendita dei prodotti). Perciò si dice anche che i prezzi per l'industria oligopolista
sono relativamente stabili (vischiosità dei prezzi) e le variazioni rispondono alle esigenze comunemente
riconosciute da tutte le imprese.
• Concorrenza monopolistica (esistono molte imprese, ciascuna delle quali ha qualche
potere di mercato): Un mercato si dice caratterizzato dalla concorrenza monopolistica quando, pur
esistendo tutte le condizioni della concorrenza (pluralità delle imprese e degli acquirenti, ognuno dei quali
non è in grado di controllare né l'offerta né la domanda, libertà di accesso), ogni impresa offre un prodotto
eterogeneo (dotato cioè di caratteristiche diverse anche se di poco conto rispetto ai prodotti dei concorrenti).
Spesso ciò che distingue il bene o servizio da altri similari è una caratteristica del tutto secondaria
come l'imballaggio o un benefit aggiuntivo (market col parcheggio). L'impresa in concorrenza
monopolistica occupa una zona del mercato all'interno della quale essa gode entro certi limiti degli
stessi privilegi di un'impresa monopolistica. Ogni imprenditore in concorrenza monopolistica ha una
clientela che gli è legata a causa delle circostanze particolari in cui l'imprenditore offre o
semplicemente presenta il suo prodotto distinguendolo dagli altri. Perciò l'imprenditore in questa
forma di mercato può aumentare il prezzo entro certi limiti, senza preoccuparsi di perdere la sua
clientela e può eventualmente diminuire il prezzo senza riuscire però a sottrarre tutti i clienti agli altri
concorrenti. L'imprenditore in concorrenza monopolistica nel breve periodo fronteggia una
particolare curva di domanda che è quella della clientela che gli è legata egli quindi, così come il
monopolista, conosce la linea del ricavo marginale relativa a quella particolare domanda ed è perciò
in grado di stabilire, come il monopolista, la combinazione prezzo-quantità che gli assicura il massimo
profitto. Tale combinazione è nuovamente quella che corrisponde al punto in cui la linea del ricavo
marginale incontra la curva del costo marginale. C'è però una differenza tra la situazione dell'impresa
in concorrenza monopolistica e quella in monopolio puro: la curva di domanda del concorrente
monopolista sarà tale che una variazione del prezzo comporterà variazioni più ampie della quantità
domandata rispetto al caso di monopolio puro; questo perché la clientela del concorrente
monopolista può spostarsi verso altre imprese che producono beni similari. Graficamente la linea
della domanda è perciò in questo caso meno inclinata rispetto alla linea della domanda del monopolio
puro. Quando l'impresa in concorrenza monopolistica realizza dei profitti, c'ho richiama nell'industria
altre imprese oppure spingere imprese già esistenti ad imitare l'impresa privilegiato nella produzione
una presentazione dei prodotti, fino al punto in cui la clientela e di adottata l'impresa inizialmente
privilegiata alle altre imprese concorrenti. Ciò significa che nel lungo periodo l'impresa in concorrenza
monopolistica a causa dell'ingresso di concorrenti perde clienti e quindi perde i profitti. La
concorrenza monopolistica comporta uno spreco di risorse: troppa gente fa la stessa cosa anche se
può apparire che produca cose diverse.
Un ulteriore elemento distintivo è la differenziazione del prodotto, ovvero quando le imprese
producono dei prodotti simili, tra loro imperfetti sostituti, e la concorrenza tra produttori si
esercita anche tramite la qualità di prodotto (es. Settore del vino o della moda). In tale ipotesi si
parla di oligopolio con prodotti differenziati (nel caso di poche grandi imprese) o di concorrenza
imperfetta. Quando imperfezioni del mercato riguardano il lato della domanda, nel qual caso
sono i compratori che con le loro decisioni influenzano il prezzo, a seconda delle condizioni, si
parla di monopsonio, oligopsonio o concorrenza monopsonistica. Possono inoltre concepirsi
forme non concorrenziali combinando mercati con imperfette condizioni sul lato della
domanda oltre che sul lato dell'offerta (es. Il monopolio bilaterale è una forma di mercato che
ammette la contemporanea presenza di monopolio e monopsonio, quindi un solo venditore e un
singolo acquirente, nello stesso mercato. In questo mercato il prezzo e la quantità scambiata sono
determinati dal potere contrattuale del compratore e del venditore).
Cap. 8: I fallimenti di mercato
Appunti di Stefania Bortone
Corso di Economia Politica (Docente G. Di Taranto) A.A.2017/2018
Quando parliamo di «fallimenti di mercato» facciamo riferimento al fatto che nei mercati reali le
ipotesi del modello di “concorrenza perfetta” non si verificano mai, se non per puro caso e mai
tutte insieme. Difatti il fallimento di mercato è proprio il fallimento del modello della concorrenza
perfetta nella realtà della prassi quotidiana. Una delle caratteristiche dei mercati concorrenziali è
che in equilibrio permettono a consumatori e produttori di massimizzare i loro rispettivi surplus.
Il surplus del consumatore esprime la differenza tra la somma massima che egli è disposto a pagare e la
somma effettiva che egli paga per ottenere al prezzo corrente la quantità desiderata. Aumenti del prezzo
del bene comportano per i consumatori non solo una variazione della spesa ma anche una variazione netta
del surplus che misura un costo che grava sui consumatori senza beneficiare i venditori. Per questa ragione
la variazione netta del surplus e anche denominata «perdita secca dei consumatori».
Il surplus del produttore esprime la differenza tra il ricavo corrente e il ricavo minimo al quale il produttore
è disposto a vendere la quantità corrente.
I mercati di concorrenza perfetta l'uguaglianza prezzo del bene = costo marginale garantisce la
massimizzazione del profitto di impresa e comporta nel contempo anche la massimizzazione del
surplus dei consumatori. In equilibrio di mercato quindi la somma dei surplus dei produttori e dei
consumatori è massima. Da un altro punto di vista, questo esito di mercati concorrenziali può
riguardarsi come la massimizzazione della redditività sociale connessa ad un dato tipo di
produzione. La redditività sociale misura il valore che la collettività attribuisce ad una data
disponibilità di un bene; massimizzarla vuol dire che la collettività ottiene di ciascun bene la
quantità a cui attribuisce il massimo valore. La redditività sociale di un bene non può misurarsi
direttamente, essa può ottenersi indirettamente come somma degli incrementi di redditività
sociale corrispondenti a ogni incremento unitario della quantità del bene. L'incremento di
redditività sociale corrispondente ad un incremento di unità del bene è definito dalla differenza
tra il prezzo di domanda ed il costo marginale del bene prodotto − . Nel punto di intersezione
tra domanda e offerta tale differenza è nulla. Pertanto, se la redditività marginale sociale è nulla,
la corrispondente produzione del bene realizza la massima redditività sociale. Una condizione di
ottimo per la collettività è quella in cui la redditività sociale di tutti i beni è massima; a
dimostrazione di ciò ogni allontanamento dall'equilibrio concorrenziale in qualche mercato implica
una redditività sociale minore di quella massima e dunque una perdita di surplus sia dei
consumatori che dei produttori. Quando l'equilibrio dei mercati determina per qualche operatore
delle perdite di surplus rispetto al massimo livello di surplus possibile si afferma che nel sistema
economico si registrano dei fallimenti di mercato. il termine indica una situazione in cui un
sistema economico organizzato in mercati è incapace di realizzare la situazione di ottimo Paretiano.
Ricordiamo quali sono le ipotesi della concorrenza perfetta, per capire quali tipi di fallimento di mercato si
possono verificare:
Il mercato, per i neoclassici che adottano il modello di concorrenza perfetta, è in perfetta
armonizzazione (nel mercato esiste un numero molto elevato di imprese, tale fenomeno di
numerosità delle imprese produce due effetti: crescita dell’offerta → che provoca la caduta dei
prezzi). Quando le imprese producono vogliono ovviamente realizzare un profitto che è sempre dato
dalla differenza tra ricavi totali e costi totali, e tecnicamente è esprimibile come − ′
′
− − [laddove − indica il margine di profitto cioè la differenza tra prezzo di
vendita e costo marginale. Il prezzo di vendita moltiplicato per le quantità vendute dà il ricavo. Il
costo marginale è il costo dell’ultima unità prodotta.]. Quindi il profitto è dato dalla domanda di
prodotti fatta dai consumatori moltiplicata per il margine di profitto meno i costi fissi [che
normalmente sono i costi legati all’investimento del capitale (cioè tassi di interesse + quantità di
capitale impiegata nella produzione, poiché le imprese fanno investimenti in capitale nel breve
Appunti di Stefania Bortone
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periodo ma poi devono ammortizzare questi investimenti nel medio-lungo periodo prima di fare alcun
investimento e per questo si considerano un costo fisso) e i costi di ingresso nel mercato (la barriera
all'entrata è un elemento che ostacola la concorrenza in un mercato poiché la sua presenza, rende più
difficoltoso l'ingresso nel mercato alle nuove imprese entranti, al fine di garantire un profitto superiore
alle imprese attive già operanti sul mercato. Per questo motivo le barriere in ingresso generano
un'asimmetria tra le imprese attive e le imprese entranti. Esse possono avere un'origine economica,
tecnologica o istituzionale: La barriera economica consiste in un aumento dei costi e dei rischi
commerciali a carico delle nuove imprese entranti. La barriera tecnologica consiste nell'impossibilità
delle imprese entranti di dotarsi della tecnologia necessaria per avviare la produzione; l'ostacolo può
avere origine da un brevetto o dal know-how in possesso delle imprese già attive. La barriera
istituzionale è una barriera di ingresso imposta dal policy maker sotto forma di regolamenti e norme
che impediscono oppure ostacolano l'ingresso nel mercato da parte delle nuove imprese; questa
decisione può essere giustificata ad es. da politiche protezionistiche)]. In concorrenza perfetta i costi
di ingresso nel mercato sono talmente bassi che possiamo annullarli [ − ′ −
], ciò che resta sono almeno i tassi di interesse. Una cosa da notare è che quanto più si riducono i
prezzi per effetto della crescita dell’offerta del prodotto, tanto più si avvicina al costo marginale, di
conseguenza tanto più tendono a 0 i margini di profitto -> ES. Immaginiamo che l’impresa vende il
prodotto a 100 euro, e poniamo che il costo marginale è di 50 euro; man mano che nuove imprese
entrano nel mercato, il prezzo comincia a decrescere fino ad arrivare a 50 euro, a quel punto il
margine di profitto, cioè la differenza tra prezzo di vendita e costo marginale si annulla. Ciò comporta
che il margine di profitto nullo moltiplicato per la domanda è pari a 0 e si annulla. Quindi l’impresa
rimane di fatto indebitata dei tassi di interesse sul capitale. -> Questa è la funzione del modello
classico: i neoclassici ci dicono che la caratteristica del mercato in concorrenza perfetta è che il
prodotto si vende al costo marginale, quando succede ciò il margine di profitto si annulla e quindi
l’impresa resta indebitata dei tassi di interesse che si ammortizzano nel lungo periodo. I neoclassici ci
dicono anche che quando si verifica questa condizione, vuol dire che il mercato è saturo (tutto il
guadagno è stato preso dalle altre imprese e quindi non c’è più margine di guadagno) e quindi non
entreranno altre imprese nel mercato poiché i margini di profitto sono nulli e quindi non vi è interesse
ad entrarvi. Il grande vantaggio della concorrenza perfetta è che da un lato le imprese hanno questo
comportamento di lungo periodo per cui si arriva al punto in cui le imprese producono generando
profitti senza surplus (N.B. il profitto c’è comunque poiché dato dai ricavi - i costi), quindi il prezzo è
uguale al costo marginale, almeno sul lungo periodo (dal lato del consumatore questo è un vantaggio
poiché egli non paga di più di quanto l’impresa sostiene per realizzare l’ultima unità prodotta, per cui
non vi è un rincaro di prezzo.
Le imprese producono un bene omogeneo.
C’è perfetta informazione: nei mercati di concorrenza perfetta si suppone che l’informazione sia
perfettamente distribuita tra gli operatori del mercato, cioè i consumatori conoscono tutto delle
imprese e queste ultime sanno tutto dei consumatori. Questo presuppone che non possano esserci
ricarichi di prezzo legati ad una mancanza informativa, ed anche che ad es. i consumatori conoscano i
costi di produzione delle imprese o che le stesse imprese conoscano i costi di produzioni delle sue
concorrenti. Nei mercati di concorrenza perfetta, nel lungo periodo, i fattori produttivi si possono
facilmente muovere da un settore industriale all’altro, si definiscono perfettamente sostituibili e
mobili. In pratica l’idea è che se vi è un settore in cui c’è troppo lavoro ed uno in cui il lavoro
scarseggia, il lavoratore si può facilmente trasferire dall’uno all’altro settore.
se è impossibile migliorare l'utilità di un consumatore, tramite una variazione delle sue scelte,
senza che ciò comporti un peggioramento dell'utilità dell'altro consumatore.
Per illustrare graficamente la nozione di ottimo paretiano, consideriamo una semplice
collettività costituita dagli individui 1 e 2. Ammettiamo che l'insieme dei livelli di utilità dei due
individui associati ad ogni possibile redistribuzione delle risorse tra gli individui 1 e 2,
si possa rappresentare per mezzo di una curva della frontiera delle utilità totali. Da un punto
di vista concettuale la frontiera delle utilità definisce l'insieme delle combinazioni di utilità
totale ottenibili per i due individui, considerando tutti i modi possibili di distribuzione tra i due
individui delle risorse in dotazione in un dato istante. La forma della curva dipende dalla
circostanza, Essa può essere concava, convessa e alternativamente in parte concava in parte
convessa. La condizione sine qua non è che essa sia decrescente.
usate è di buona e l’altra metà di cattiva qualità. Ciò significa che saranno pronti a offrire un
prezzo medio di 7500 euro. Se i venditori di auto buone attribuiscono alle stesse un valore (prezzo
di riserva), per es., di 7000 euro e quelli di auto cattive di 4000 euro, nel mercato delle auto usate
verranno scambiate auto sia di buona sia di cattiva qualità, ma con benefici dello scambio
fortemente distorti. Mentre i venditori di auto di cattiva qualità ottengono un grande vantaggio
dallo scambio al prezzo di 7500 euro a danno dei compratori, i venditori di auto di buona qualità si
devono accontentare di un piccolo margine sugli acquirenti.
Le conseguenze dell’informazione nascosta possono però essere ben più gravi se i venditori di
auto buone attribuiscono alle stesse un prezzo di riserva, per es., di 8000 euro. In tal caso, essi
saranno costretti a ritirarle dal mercato per evitare una perdita. Rendendosi conto del fatto che
vengono offerte solo auto non buone, il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare diventa
quindi solamente di 5000 euro. La s. a. consiste così nella scomparsa del mercato delle auto di
buona qualità, nonostante il fatto che la disponibilità a pagare dei compratori sia maggiore del
prezzo di riserva dei venditori. Si verifica pertanto un’inefficienza allocativa. Il sistema delle
garanzie offerte dai venditori è una risposta del mercato volta a contenere gli effetti negativi della
selezione avversa.
Fenomeni di s. a. si presentano anche in altri settori: nel mercato del lavoro (con riferimento alla
conoscenza della produttività dei singoli lavoratori) e nelle assicurazioni (con riferimento alla
conoscenza del rischio dei singoli contraenti). È noto, comunque, da tempo nel campo del
bimetallismo monetario come legge di Gresham, che afferma che la moneta cattiva (l’argento)
scaccia la buona (l’oro).
Nozione di azzardo morale: condizione in cui un soggetto, esentato dalle eventuali conseguenze
economiche negative di un rischio, si comporta in modo diverso da come farebbe se invece
dovesse subirle. L’azzardo morale in campo assicurativo: quando un individuo deve dedicare
tempo ed energie per rendere meno probabile il verificarsi di un rischio che implica un certo
danno, è incentivato a farlo se il danno, almeno in parte, è a suo carico e non se ricade su altri o
sulla comunità. Tale è la situazione del settore assicurativo, difatti il fenomeno del moral hazard
sta ad indicare la modifica dell’attitudine del titolare di polizza, proprio in conseguenza dell’essere
egli possessore di un’assicurazione. La rimozione totale del rischio, trasferendolo a carico della
compagnia assicurativa, porta l’assicurato ad alterare la propria condotta. Nel caso in cui i
comportamenti negligenti dell’assicurato fossero osservabili, per scongiurare il moral hazard
basterebbe congegnare contratti con risarcimento subordinato alla verifica della diligenza
dell’assicurato. Dal momento che spesso nel mondo reale tale verifica è impossibile, ci si trova in
presenza di una situazione di asimmetria informativa. Tuttavia esso non va confuso con la
selezione avversa; anche in questa si ha un problema di asimmetria informativa, legato però
direttamente all’informazione, e non alla difficoltà del principale di ottenere informazioni sulle
azioni dell’agente (problema dell’informazione nascosta e non dell’azione nascosta).