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Breve viaggio nel mondo delle tastiere.

La tastiera elettronica è uno strumento musicale in grado di emettere diversi tipi di suoni per mezzo
di tasti analoghi a quelli del pianoforte.

La tipologia più diffusa consta di ottave e di tasti: il loro numero è variabile; per quanto riguarda le
ottave, i modelli più moderni possono arrivare sino a sette, mentre per i tasti vanno da sessantuno a
ottantotto, anche se modelli più piccoli possono andare dai 25 ai 49, anche se si tratta di casi più
specifici e ridotti.

Classificazione
La sempre crescente potenzialità delle tecnologie musicali ha reso possibile il proliferare di tastiere di
diverse tipologie. Le più diffuse sono:

Organo elettronico: il primo prodotto di questo tipo ad aprire delle serie prospettive sul mercato fu
l'organo Hammond (elettromeccanico), divenuto famoso per il suo timbro; il classico suono
Hammond poi beneficiava dell'uso di diffusori speciali chiamati a cabina di suono e uniti ad unità di
diffusori ruotanti perlopiù prodotti dalla Leslie. L'organo Hammond fu ampiamente usato nei generi
come il jazz, il gospel, la musica pop e la musica rock. L'organo più popolare della Hammond fu il
B3.
Con lo sviluppo dei transistor, nacquero gli organi elettronici privi di parti meccaniche per la
generazione di forme d'onda, e quindi più pratici; esempi famosi di organi elettronici sono Vox e
Farfisa.

Hammond B3 con Leslie Vox Continental a tastiera singola

Pianoforte elettrico: è uno strumento musicale a tastiera amplificato elettricamente per mezzo di pick-
up, molto in voga negli anni sessanta e settanta. Nel 1969 nacque lo storico Fender Rhodes;
contemporaneo e di funzionamento simile al Rhodes fu il Wurlitzer Electric Piano, dal suono più
aggressivo. Intorno agli anni settanta la Hohner propose i suoi modelli di Clavinet e Pianet.

Il suono è diverso nei vari tipi di piano elettrico, infatti nel Rhodes i martelletti percuotono dei
diapason mentre nel Wurlitzer e nel Clavinet il suono è generato da lamelle metalliche; solo nel CP 70
Electric Piano Yamaha, prodotto alla fine degli anni ’70, sono presenti corde simili a quelle del
pianoforte.

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Fender Rhodes Wurlitzer 200A

Clavinet D6 Yamaha CP-70M

Mellotron: è un tipo di tastiera che ebbe ampia diffusione tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70.
Tra i maggiori interpreti si ricordano i Beatles, i Genesis, gli Yes, i Pink Floyd, King Crimson, e
P.F.M.. Viene considerato il padre dei campionatori dal momento che il suono viene trasmesso da un
nastro magnetico.
La durata del suono era limitata a otto secondi che terminati bloccavano il suono: per ricrearlo bisogna
premere nuovamente il tasto. In questo breve periodo di tempo una molla riavvolgeva il nastro
riportandolo a start. Le prime edizioni permettevano la riproduzione di un solo suono, ma poi fu
ideato un sistema “a cartucce” che permetteva la smontatura del blocco dei nastri e la sostituzione con
uno diverso (i più utilizzati erano cori, archi e flauti). La particolare delicatezza di questo strumento ne
ha limitato l’uso nei concerti live.

Mellotron M400
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Sintetizzatore: strumento elettronico, a tastiera o non, che tramite un generatore analogico o digitale
emette segnali elettrici continui. Per questo motivo, quasi tutti gli strumenti musicali elettronici
possono essere ritenuti "sintetizzatori", ma questa definizione oggi identifica per lo più quegli
strumenti che si limitano a emettere timbri di stampo puramente elettronico.
I primi sintetizzatori erano analogici, costituiti con componenti analogici. Il suono prodotto è così
affascinante che ancora oggi, sebbene esistano macchine molto più sofisticate e potenti, sono utilizzati
in molti generi musicali.
Il principio generale del loro funzionamento è l’utilizzo di moduli musicali elettronici controllati in
tensione (la tensione è una grandezza continua). Verso la fine degli anni sessanta, comparvero i primi
esemplari di sintetizzatori portatili, fabbricati in piccole serie per impiego nella musica dal vivo;
precursori di questa generazione furono Robert Albert Moog e Alan R. Pearlman, rispettivamente
fondatori delle più note case produttrici di questi strumenti: Moog Inc. e ARP Instruments.
Il periodo fino alla fine degli anni settanta vide lo sviluppo di strumenti monofonici (possibilità di
suonare un tasto solo alla volta) con tecnologia esclusivamente a sintesi sottrattiva, sviluppati su scelte
progettuali diverse: ad esempio, i sintetizzatori Moog erano largamente apprezzati per il suono sempre
leggermente stonato e pertanto molto ricco, mentre i prodotti ARP avevano fama di estrema
intonazione e stabilità.
Il passaggio dal sintetizzatore analogico a quello digitale è stato piuttosto graduale e intercalato da una
classe di sintetizzatori che ha saputo fondere insieme i vantaggi della tecnologia analogica e quelli
della tecnologia digitale: sono i sintetizzatori digitali a generazione analogica, macchine cioè in cui la
generazione sonora è analogica ma il controllo delle varie sezioni è digitale.
Successivamente iniziò la produzione di sintetizzatori digitali in tutti i sensi, in cui sia la sintesi che il
controllo del suono avvengono in maniera completamente digitale.

Minimoog, il più famoso sintetizzatore analogico Prophet 5, sintetizzatore digitale a generazione


(monofonico) analogica (polifonico)

DX7 Yamaha, il primo sintetizzatore basato sulla


Sintesi FM (in realtà una modulazione di fase e Casio XWP1, sintetizzatore di ultima generazione
non di frequenza)

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Arranger: sintetizzatore multitimbrico focalizzato sull'accompagnare l'esecuzione del musicista con
parti di altri strumenti, quali batteria, basso, chitarra o archi, fino a emulare una band intera - funzione
molto utile per le one-man-band e i piano-bar.

Korg PA300

Pianoforte elettronico: tastiera elettronica pensata per un suono e un utilizzo che tende a sostituire il
pianoforte acustico, spesso dotato di elementi aggiuntivi quali la registrazione e la possibilità di
emettere timbri di altri strumenti, come archi o organi.

Yamaha Clavinova CLP525 White

Campionatore: sintetizzatore che riproduce suoni precedentemente registrati ("campionati")


estendendo il campione all'intera tastiera, in modo da renderlo suonabile.

Emulator II (1984)
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Workstation: tastiera pensata per poter eseguire, soprattutto dal vivo, tutti i compiti richiesti da un
musicista, come l'esecuzione di svariati tipi di suoni di alta qualità, il campionamento, la registrazione
e la riproduzione di parti.

Yamaha MOXF8

Tastiera muta o master keyboard: tastiera che non genera direttamente suoni, ma la cui unica funzione
è quella di inviare messaggi MIDI ad altri strumenti, come i sintetizzatori privi di tastiera (moduli
expander).

Studiologic SL-990 Pro

Modulo Expander Rack: è un apparecchio che contiene i processori, le schede, la memoria ecc del
rispettivo modello a tastiera; in pratica è un modulo sonoro, ovvero è una versione "senza tasti"della
tastiera originale; necessita di una tastiera con collegamento MIDI per poter essere suonato.

Clavia Nord Lead 4R

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Componenti e funzioni
I componenti di una tipica tastiera elettronica moderna sono:

• tastiera da pianoforte, con tasti bianchi e neri: ognuno di essi, se premuto, invia al
sintetizzatore interno allo strumento un segnale interpretato come la corrispondente nota
musicale;
• display di interfaccia utente: esso consente all'esecutore di scegliere il suono, gli effetti
(riverbero, eco ecc) e altre caratteristiche (es. trasposizione delle note);
• pannello dotato di controlli per la modifica in tempo reale di diversi parametri.

Keyboard velocity

Poiché lo strumento è elettronico, ogni pressione del tasto invia un segnale al modulo di sintesi
interno. Ogni segnale comprende le proprietà della pressione, come la nota corrispondente al tasto e la
durata della pressione. La proprietà che regola l'intensità del suono si chiama velocity. Quando il
riconoscimento della velocity è attivo, un sistema misura in quanto tempo il tasto raggiunge la
posizione più bassa; tanto più in fretta, e quindi con forza, è premuto il tasto, tanto più il suono sarà
forte. Talvolta, oltre a cambiare il volume del suono, a seconda della forza/velocità con cui il tasto
viene premuto, si ottiene anche un cambiamento del timbro. Spesso è possibile regolare la sensibilità
del riconoscimento, così da adattarlo alle esigenze del suono e del musicista.

Applicazione di effetti

L'elettronica permette di applicare degli effetti al suono prodotto, al fine di dare spazialità e migliorare
la resa della tastiera all'interno di un contesto di diversi strumenti. Alcuni dei più comuni sono:

• Riverbero
• Chorus
• Flanger
• Tremolo

Sequencing

Il sequencer, che talvolta è uno strumento distinto dalla tastiera, è uno strumento la cui funzione è
quella di registrare e riprodurre sequenze audio (come la registrazione di una parte cantata o
dell'esecuzione di un chitarrista) o MIDI (cioè, l'esecuzione delle note di una parte, da indirizzarsi a
una generazione sonora a scelta). In una tastiera, esso è utile per riprodurre parti che un solo tastierista
non potrebbe suonare.

Controlli: pitch bend e modulation


In quasi tutte le tastiere elettroniche, a sinistra della tastiera, si trovano due rotelle dette “Pitch
Bender” e “Modulation Wheel”. La prima regola l'intonazione generale dello strumento, la seconda
regola quanto il LFO deve influire sulla frequenza degli oscillatori (nei sintetizzatori); la Modulation
Wheel può avere anche altre funzioni come quella di regolare la velocità del LFO, la frequenza del
filtro, ecc. (è spesso interpretata come la generazione di un vibrato). Nei sintetizzatori più complessi
può essere assegnata a uno qualsiasi dei parametri modificabili, come in un sintetizzatore modulare. I
costruttori hanno adottato vari tipi di controlli per ottenere il pitch bend e la modulation: alcuni
strumenti sono dotati di un’ unica leva che agisce sia da Pitch Bender, spostando orizzontalmente, che
da Modulation Wheel spostando verticalmente (soluzione adottata dalla Roland); il Joystick per

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esempio è stato usato con successo dalla Korg negli anni ottanta ma anche da molti altri costruttori;
alcuni sintetizzatori utilizzano anche il controllo a nastro (ribbon), adottato soprattutto nei keytar.

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Korg Jeytar

La leva adottata da Roland

Grazie a questi due controlli, presenti già nel Minimoog (il primo sintetizzatore normalizzato), sono
stati offerti al musicista due mezzi espressivi molto importanti. L'effetto ottenuto con il Pitch Bender
infatti ricorda quello che si ha tirando le corde di una chitarra e la Modulation Wheel ricorda il vibrato
della voce, degli strumenti a corda e di tanti altri suoni generati da strumenti acustici. La rotella o leva
del Pitch Bender, in molti sintetizzatori, ha delle molle che la fanno ritornare sempre alla posizione
centrale che equivale all'accordatura standard, poi può essere usata sia per scendere che salire
nell'intonazione. Nel corso degli anni si è creata una tecnica esecutiva legata appunto a questi nuovi
controlli e saper suonare bene un piano o un organo non significa quindi sempre essere un bravo
esecutore con il sintetizzatore, visto che lo studio classico degli strumenti a tastiera non prevede l'uso
di rotelle.

Esempio di controlli a doppia rotella

Analizziamo ora il pitch bend che è probabilmente il controllo ausiliario che richiede la maggior
abilità. Un uso appropriato del pitch bend si basa sulla capacità di modificare l'intonazione in modo
accurato, musicalmente appropriato e a tempo e ciò richiede l'essere in grado di percepire
microvariazioni d'intonazione e l'abilità manuale nel controllarlo.
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Passiamo alla tecnica manuale che richiede accurati gesti nel controllare il pitch bend e coordinazione
con la mano che suona le note. L'azione delle dita può variare a seconda della forma del controllo
ausiliario: tipo ruota, joystick o nastro (ribbon). Le possibilità d'intervento sul controllo in tempo reale
sull'altezza di una nota non si esauriscono qui: si può controllare il pitch bend con la pressione sul
tasto (aftertouch), con un pedale d'espressione, con controlli a cursore o con breath controller.

L'estensione più comune del pitch bend è +/- due semitoni e la massima è solitamente +/- dodici
semitoni, ovviamente più ampia è l'estensione maggiore è la difficoltà nell'ottenere effetti "intonati".

Altre funzioni
Un interessante progresso tecnologico dell'inizio degli anni '70 è rappresentato dall'aftertouch: come
suggerisce il nome, questa funzione rileva la pressione del tasto successiva alla prima pressione.
Grazie a esso si può superare il limite del pianoforte per cui, una volta che il tasto è premuto, l'unica
azione disponibile all'esecutore è rilasciare il tasto: con l'aftertouch, mentre il tasto è premuto,
premendo con più forza viene inviato un segnale liberamente interpretabile dal sintetizzatore, che
dietro questo comando può generare, per esempio, un vibrato, un bending o un crescendo. Con questa
funzione si può dare molta espressività artistica all'esecuzione (si pensi ai vibrati o ai crescendo e
diminuendo ottenibili con gli ottoni o con gli strumenti ad arco).

Spesso le tastiere più "tuttofare" permettono di suddividere i tasti ("split") assegnando suoni diversi a
determinate frazioni della tastiera, in modo da poter suonare due parti diverse con un solo strumento.
L'accompagnamento può consistere nell'assegnazione alle ottave apposite di un suono di basso o, nel
caso degli arranger, anche di un arrangiamento automatico creato al momento in base agli accordi
suonati con la mano sinistra.

Alcune tastiere consentono la tecnica del vocoding: parlando o cantando in un microfono direttamente
collegato al sintetizzatore, gli inimitabili suoni prodotti dalla voce umana vanno a modulare il suono
elettronico generato dalla pressione dei tasti, con il risultato che il suono del synth sembra cantare.

A partire dalla fine degli anni '70, i sintetizzatori (a tastiera e non) sono quasi sempre dotati di
connessioni MIDI, uno standard la cui funzione è quella di far scambiare messaggi tra strumenti
diversi: con esso si può, per esempio, suonare un sintetizzatore tramite i tasti di un'altra tastiera, se i
due strumenti sono opportunamente collegati.

Esempio di connessioni MIDI

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Come funziona un sintetizzatore
Tipologie di sintesi sonora

Esistono diverse metodologie e relativi filoni di pensiero per sintetizzare un suono, innanzitutto
facciamo una prima distinzione in: sintesi astratta (additiva, sottrattiva, modulazione di frequenza,
ecc…), sulla quale sono basati tantissimi modelli di sintetizzatori (in particolar modo i modelli vintage
e i loro remake moderni) e sintesi emulativa (Sampling, Physical modeling, ecc…), la quale si basa
su concetti e modelli matematici più complessi che hanno l’obbiettivo di ricreare un suono “reale” (ad
esempio di un pianoforte) mediante opportuni algoritmi di emulazione appunto, questa parte seppur
molto affascinante non la tratteremo in questo articolo.
In particolare in questa guida ci soffermeremo sulla sintesi sottrattiva e gli strumenti che si basano su
di essa.

La sintesi sottrattiva

La sintesi sottrattiva si basa sul concetto di avere a disposizione una sorgente (in genere un
oscillatore) che sia in grado di generare un suono molto ricco di armoniche, il quale, mediante
opportune operazioni di filtraggio, verrà modificato nel suo contenuto spettrale per costruire il
suono desiderato. Proprio da questo concetto deriva il nome di questa tipologia di sintesi (sottrattiva
appunto) che sta a sottolineare il fatto di partire da un suono di base, e man mano togliere tutte le parti
che non ci interessano.
La sintesi sottrattiva viene spesso associata al concetto di sintesi analogica in quanto la maggior parte
dei synth analogici utilizza questo metodo di generazione sonora. Tra i pionieri della sintesi sottrattiva
non possiamo non citare Robert Moog, il quale nel 1964 ideò il modello che tuttora viene utilizzato
per la realizzazione dei sintetizzatori moderni (vedi immagine sotto):

Il modello di Moog si basa sulla catena Generatore d’onda/Filtro/Amplificatore, in particolare come


sorgente abbiamo un oscillatore, chiamato VCO (Voltage Controlled Oscillator) capace di generare
diverse tipologie di onde (onde quadre, triangolari, dente di sega, ecc..), un filtro chiamato VCF
(Voltage Controlled Filter) che, mediante l’aggiustamento dei suoi parametri, consente di rimuovere le
componenti del segnale che non ci interessano, e una sezione di amplificazione del segnale chiamata
VCA (Voltage Controlled Amplifier) che consente di portare il segnale in uscita ad un livello udibile.
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Oltre a questi dispositivi il modello di Moog aggiunge un LFO (Low Frequency Oscillator), un
oscillatore a bassa frequenza che può essere utilizzato per modulare alcuni parametri degli altri tre
componenti, consentendo quindi di realizzare dei suoni che “si muovono” in base alla frequenza
dell’LFO.

A “vigilare” sul tutto ciò troviamo l’ADSR o Envelope Generator (Attack-Decay-Sustain-Release),


cioè dei controlli che ci consentono di variare i parametri relativi all’attacco del suono, il suo
decadimento, il sostegno, e il rilascio; tali parametri vengono generalmente espressi in millisecondi e
possono essere rappresentati mediante il seguente schema grafico:

dal quale possiamo ben capire il comportamento del segnale in uscita in funzione del tempo: ad
esempio nell’immagine proposta notiamo che quando “parte” il suono il suo volume si alza in maniera
graduale fino a raggiungere il suo massimo (questo indica l’Attack), poi abbiamo un decadimento di
volume (Decay), ne quale il suono perde un po di energia, e arriviamo alla linea orizzontale che
rappresenta il Sustain (in questo caso se noi continuiamo a tenere premuta la nota, il suono continua
ad uscire), nel momento in cui rilasciamo il tasto, notiamo che il volume in uscita non decade
immediatamente, ma passa un po di tempo prima che il suono scompaia (Release). Nel caso la linea di
Sustain fosse stata coincidente con l’asse x (Tempo), anche se continuassimo a tenere premuto il tasto
della nota oltre il tempo di Decay, comunque non sentiremmo in uscita alcun suono, proprio perchè il
Sustain indica il livello di volume che il suono deve mantenere durante il periodo in cui la nota rimane
premuta, se questo è settato a zero, dopo il decay non avremo più nulla.

Possiamo avere anche diversi ADSR racchiusi in un unico sintetizzatore, ad esempio un ADSR per il
filtro e uno per l’amplificatore.

Infine troviamo la tastiera musicale, (la maggior parte dei sintetizzatori sono strumenti a tastiera) che
ha appunto il compito di inviare a tutto il sistema dei messaggi (nei virtual instruments in formato
digitale, negli strumenti analogici sotto forma di variazioni di tensione) che notificano eventi di
pressione del tasto, nota premuta, rilascio del tasto.

Questa è la struttura di base che si trova in ogni sintetizzatore analogico (o di una sua simulazione
virtuale).

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Oltre a questi elementi che costituiscono la base di un sintetizzatore moderno, in genere troviamo
anche un generatore di rumore (noise generator) (rumore bianco, rosa ecc…) la quale consente di
ampliare la gamma di suoni riproducibile dallo strumento.

Approfondiamo ora il discorso sull’utilizzo dell’LFO, come utilizzare questo oscillatore a bassa
frequenza?

L’LFO è un dispositivo che possiamo utilizzare, come abbiamo detto in precedenza, per modulare
alcuni parametri degli altri componenti in maniera automatizzata, ma cosa significa ciò? In un
sintetizzatore l’LFO può essere utilizzato non solo per modulare la frequenza del filtro ma
anche altri parametri come il pitch, la risonanza, il pan, ecc…consentendoci di creare suoni più
particolari e soprattutto meno “statici”.

Il “Portamento”.

Il "Portamento" chiamato anche "Glide", è un circuito che permette di passare tra due tensioni in
modo graduale in un tempo impostato dal programmatore, questo significa che se si mandano due
segnali di diversa tensione dalla tastiera (suonando consecutivamente due note diverse) al portamento
e da questo agli oscillatori questi passeranno da una frequenza all'altra con un glissato che durerà il
tempo voluto (solitamente da pochi millisecondi a qualche secondo).

Le principali forme d’onda di un oscillatore

Una suono può essere rappresentato da una forma d’onda periodica. Qualunque forma d’onda a sua
volta può essere rappresentata dalle armoniche (sinusoidali), le armoniche danno il timbro, mentre la
frequenza fondamentale rappresenta la tonalità (pitch o tune). L’ampiezza da il volume.

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La forma d’onda sinusoidale non ha armoniche (quindi non ha timbro) ed ha solo il tono della
frequenza fondamentale. La frequenza fondamentale (F) è la frequenza base, ad esempio A3 è 440
Hz. Le armoniche viaggiano da una frequenza multipla della frequenza fondamentale e diminuiscono
in ampiezza.

• Onda triangolare. Il suo suono e il suo aspetto sono simili a quelli dell’onda sinusoidale, ma
ha delle lievi armoniche dal suono un po’ cupo o sordo. E` fatta di sole armoniche dispari.
• Onda quadra. Ha spigoli molto ben definiti, ha un suono cupo con armoniche abbastanza
marcate. E` fatta di sole armoniche dispari.
• Onda a dente di sega. Esiste nella forma Crescente (RampUp) o Decrescente (RampDown)
pur avendo lo stesso suono. Ha un suono molto brillante e ricco con armoniche molto marcate.
E` fatta di tutte le armoniche.
• Onda ad impulso. Il suo suono dipende da quanto la Larghezza dell’Impulso si sposta
dall’onda quadra. La Larghezza dell’Impulso (Pulse Width, il periodo quando l’onda e` “su”)
e` normalmente espresso come una percentuale (di tutto il ciclo dell’onda), cosicche` un’onda
quadra e` un impulso al 50%. Un impulso al 10% e uno al 90% suonano allo stesso modo (per
tutti gli usi). Come la Pulse Width devia dal 50%, il suono diventa sempre piu` brillante e
ricco, ma quando tale Pulse Width diventa molto stretta, il suono diventa piu` “fino” e
“nasale”. Generalmente, e` fatta di tutte le armoniche.

Nei sintetizzatori è inoltre presente un generatore di rumore (rumore bianco e rumore rosa), che può
essere usato da solo o in combinazione con le forme d’onda degli oscillatori.

La sintesi additiva

Questa sintesi parte dal presupposto che qualunque suono udibile sia divisibile in un numero infinito
di onde sinusoidali di diversa frequenza e intensità.
Capovolgendo questa affermazione sarà possibile generare qualsiasi tipo di suono sommando infinite
onde sinusoidali. Ovviamente, la distanza tra la teoria e la pratica è vasta perché se è sicuramente
accettabile questa tesi, altro discorso è riuscire ad applicarla in modo semplice o per lo meno fattibile.
Prima di tutto infatti, si dovrà ridurre quel numero infinito di onde a finito se si vuole dare concretezza
alla programmazione di un suono, e in seconda istanza, bisognerà ricordare che l'intensità di ogni
singola sinusoide deve cambiare nel tempo anche molto velocemente per poter ottenere suoni
interessanti o che riescano a simulare una qualsiasi altra esperienza acustica.
Questo comporta che ogni sinusoide dovrà essere dotata di un inviluppo dedicato, il sistema quindi si
complica enormemente a seconda del numero di onde adottato. Ovviamente più onde si mettono
insieme, più raffinato ed interessante sarà il risultato e più complessa la gestione dei programmi.

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La sintesi a modulazione di frequenza (FM)

La sintesi a modulazione di frequenza (detta anche sintesi FM) è una delle tipologie più utilizzate
negli ultimi 20-30 anni. Il primo synth FM fu prodotto dalla Yamaha nel 1982.
Si basa sul concetto di modulazione: la timbrica di un oscillatore base viene modulata in funzione di
un secondo oscillatore detto “portante”. In questo modo il suono “puro” di un oscillatore prettamente
“statico” si arricchisce di nuove armoniche in modo molto variabile. Questo sistema è utilizzato per
riprodurre timbri estremamente verosimili; in natura la maggior parte dei suoni viene generata in
questo modo. Questi synth sono molto adatti per riprodurre bassi e pianoforti.

La sintesi granulare

Questa tipologia di sintesi si basa su una concezione corpuscolare del suono: minuscoli grani
elementari (sample molto corti, nell’ordine di poche decine di millisecondi) vengono riprodotti in loop
per generare suoni complessi. E’ una tecnica molto instabile e sperimentale.

 Questi però non sono gli unici tipi di sintetizzatori esistenti; esistono anche synth a
modellazione fisica, altri basati su analisi e resintesi e infine quelli basati su sample (campioni
audio).

I plugin VST
Un plugin nell'informatica musicale è un componente aggiuntivo che, utilizzato in un programma di
produzione audio - video, permette di aggiungere effetti audio o generare nuovi suoni. Il termine
deriva dall'inglese plug, ovvero spina o connettore: si riferisce al fatto che il plugin viene virtualmente
inserito o attivato nel programma che lo utilizza.

In pratica si tratta di un modulo contenente una serie di istruzioni di elaborazione o di generazione di


segnali, che non ha funzionamento autonomo bensì deve essere richiamato da un'applicazione "host",
che può essere un sequencer, un software di produzione audio/video, un audio editor oppure un
dispositivo hardware autonomo. Alcuni plugin vengono forniti anche in versione stand-alone, ovvero
incorporati in un programma eseguibile che ospita e attiva il plugin senza necessità di un ulteriore
host. Possono essere controllati con mouse e tastiera di un computer, ma anche con unità di controllo
MIDI come tastiere, pad percussivi, chitarre MIDI, pedali, controller di vario tipo (rotativi, a fader,
ecc.), che inviano il segnale MIDI all'host il quale a sua volta lo indirizza al plugin desiderato.

I plugin audio si possono suddividere in due categorie principali:

• effects detti anche "effetti software" o "effetti virtuali", include tutti i plugin che accettano un
segnale audio in ingresso e lo restituiscono modificato: Riverberi, Delay, Distorsori, Chorus,
Equalizzatori, simulatori di amplificatori e altro.
• instruments detti anche "strumenti software" o "strumenti virtuali": include i plugin che
accettano un segnale MIDI in ingresso e in base a quello restituiscono un segnale audio: il
segnale MIDI è generalmente un segnale di nota, e il segnale audio restituito è il suono
sintetizzato o campionato corrispondente alla nota suonata. I plugin appartenenti a questa
categoria sono generalmente delle riproduzioni software di strumenti reali: pianoforti, organi,
percussioni, sintetizzatori analogici vintage, fiati, archi, chitarre, voci, cori, sezioni di
orchestra, didjeridoo.

Questa classificazione ha solo un significato di esempio, in quanto la flessibilità dei linguaggi di


programmazione e degli standard di plugin permettono di ottenere anche dei plugin di collocazione
intermedia fra le due categorie (ad es. sintetizzatori pilotati da segnali audio).

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Il Virtual Studio Technology (VST) è uno standard di plugin musicali ideato da Steinberg, che ha
inizialmente implementato la tecnologia nel suo prodotto di punta Cubase.

Lo standard VST è stato lanciato nel 1997 ed ha avuto fin dall'inizio un'ampia diffusione grazie ad una
relativa semplicità di realizzazione di plugin e alla presenza di un valido supporto per il
programmatore costituito da un kit di sviluppo software reso pubblico gratuitamente: un gran numero
di sviluppatori ha iniziato a rilasciare plugin anche gratuiti, e di buon livello.

La diffusione di massa dei plugin è coincisa con l'introduzione di versioni di Cubase con funzionalità
di hard disk recording a basso costo: si tratta di un'evoluzione del sequencer MIDI degli anni ottanta,
che oltre alle tracce MIDI è in grado di gestire simultaneamente anche tracce audio digitali.
Contemporaneamente sul mercato iniziavano a comparire un'ampia gamma di interfacce audio
multicanale anche di elevata qualità. Questo ha significato la quasi definitiva sostituzione nello studio
di registrazione del classico registratore a bobine con il personal computer, trasformatosi in
Workstation Audio Digitale - DAW, con il conseguente moltiplicarsi di piccoli studi casalinghi
definiti "home studio", e in genere di piccoli studi definiti "project studio" dove realizzare con un
buon livello qualitativo anche singole fasi della produzione musicale.

Questi eventi hanno costituito una rivoluzione nel settore musicale, infliggendo un duro colpo al
mercato dell'hardware musicale: alcuni produttori di strumenti e dispositivi musicali reali, anziché
soccombere, hanno invece "cavalcato" l'onda dell'informatizzazione musicale e collaborato con
sviluppatori per realizzare degli omologhi software dei propri prodotti di punta.

Esempi di plugin VST

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