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Passando dal gioco al campo dello sport e, come avviene in tutti i giochi, quando alla sola menzione del suo
nome tutti i partecipanti sanno esattamente come quello sport si svolgerà e secondo quali regole, un
determinato sport può definirsi istituzionalizzato. In questo senso un istituzione si configura come una realtà
intellettuale, di cui sono noti gli obiettivi i principi e le regole connesse con la sua esistenza e che si
distinguono da altre realtà simili.
Dunque, quando utilizziamo il termine: ISTITUZIONALIZZAZIONE per sostenere che socialmente si è
fissata la stabile conformazione delle regole di un gioco, questo gioco diviene ISTITUZIONE. Così avviene
per lo sport, dato che una competizione sportiva esige un regolamento esplicito e la specificazione degli
obiettivi e della maniera in cui raggiungere tali obiettivi.
Lo sport è anche un’attività intellettuale proprio in quanto è un’attività umana totale, comprende infatti le
motivazioni e le reazioni psicologiche del soggetto e il suo atteggiamento mentale e spirituale di fronte al
fenomeno sportivo. Questi elementi sono tutti essenziali alla definizione e descrizione dell’attività sportiva,
quindi alla performance.
Nell’VIII sec a.C. la prima olimpiade consacra e consegna alla storia il valore sublime dello sport: l’agon , la
spinta verso la competizione che da anche impulso alla vitalità creativa, all’ansia di superamento, che sono
tutti elementi strettamente connessi al desiderio di fama e di immortalità. I valori della religiosità, del mito,
del coraggio, della virtù, i concetti di bontà e di bellezza interconnessi e immortalati nelle statue degli atleti
di Sprassitele o Policleto, si fondano e si manifestano in forma attiva nell’agon dei giochi di Olimpia. Lo
sport si sublima e diventa espressione di una realtà trascendente, di una religione più alta e potente che pone
fine alle guerre e alle contese. Quando ogni 4 anni i tre espondofori o araldi di pace, dalla religione di Elide
si recavano in ogni città per annunciare la sacra tregua olimpica, la vita quotidiana sembrava restare sospesa.
Nell’estate torrida mediterranea a Olimpia giungevano cittadini di tutte le grandi e piccole città stato, come
mercanti, poeti, filosofi, illustri magistrati, eroici guerrieri. Tutti percorrevano in armonia e in concordia le
vie della città in cui anche i sogni di pace sembravano diventare realtà. Con la conquista romana, la
coscienza sportiva propria dei greci, si andò affievolendo e ciò avvenne nei secoli successivi anche per
influsso del Cristianesimo che per alcuni infrangeva l’unità fra corpo e spirito tipica dei greci, della calocai
agatìa , cioè il concetto della bontà insita nel corpo bello. In realtà i cristiani dei primi secoli costretti anche a
rifugiarsi nelle catacombe durante le persecuzioni non potevano certo rivolgere la mente ai trionfi degli atleti
(si deve precisare che in nessun passo del Vangelo o nelle parole degli apostoli sono contenute espressioni di
condanna per le olimpiadi). Invece un eretico, il vescovo scismatico e antipapa Novaziano, nel suo trattato
De Spectaculis manifesta la propria contrarietà agli spettacoli dello stadio. Inoltre Novaziano affermava che i
cristiani devono allontanare la vista e l’udito da spettacoli privi di contenuto o che risultano pericolosi e di
cattivo gusto. A parte tali critiche risulta comprensibile un’eclissi delle attività sportive in età cristiana e
medievale. Tale oscurità non è stata causata dai critici che affermavano che migliorare il corpo poteva
diventare motivo di peccato ma piuttosto dalle distruzioni, dalle pestilenze e dalle rovine che per tutto il
periodo furono la conseguenza delle invasioni e delle dominazioni barbariche. Le popolazioni si rifugiavano
nella religione e nell’ascetismo anche a causa dell’estrema precarietà dell’esistenza umana, nella quale
poteva trovare spazio solo la preoccupazione di sopravvivere.
Nel Medioevo rinascono le basi dello spirito sportivo, in quanto attraverso le invasioni dei popoli germanici,
il sangue romano comunque trova nuova linfa: intorno al Mille, con Carlo Magno; sorge una nuova civiltà
dalla fusione tra il vecchio e nuovo. Si diffondono i romanzi cavallereschi e le saghe dei popoli nordici che
propongono in maniera naif immagini di sport. Non ricompaiono gli spettacoli ginnici e atletici ma rinasce
l’agon nelle giostre dei cavalieri e dei tornei. Nell’istituzione della cavalleria, in particolare, rinasce si
diffonde e si trasmette l’olimpismo greco. Il cavaliere infatti mostra il proprio valore e mostra la propria
forza non solo in battaglia ma anche nel torneo che era definito il grande sport del Medioevo, in cui ispirato
sempre dal sentimento dell’onore e dal senso di competizione, ogni cavaliere gareggiava con rivali degni di
lui. Alla fine del Medioevo e all’inizio del Rinascimento comincia a rinascere una certa concezione sportiva.
Ma è solo nel sec. XIX che in Inghilterra si sviluppa, si organizza e si diffonde in tutto il mondo lo sport
moderno.
LA SCUOLA DI BERLINO
Friedrich Ludvig Jahn è considerato il padre della ginnastica tedesca per aver creato, nel 1811, la Turnplatz
nella Brughiera delle lepri, vicino Berlino.
Jahn, imbevuto di principi nazionalistici e spinto da sentimenti patriottici, dopo la sconfitta di Jena nel 1807
ad opera della Francia, elabora e realizza una ginnastica POLITICO-MILITARE, capace di contribuire alla
cosiddetta “rivincita” del popolo tedesco. Jahn, sostituisce at termine classico di Gimnastik, il termine
medioevale di Turnen, che inquadra a pratica ginnica in una prospettiva di mobilitazione anti-francese.
Jahn parla del rilancio dell’identità nazionale ed imprime alla ginnastica una svolta in senso militare. Gli
esercizi motori disciplinati diventano l’attività che rinsalda lo spirito del popolo tedesco e diventa l’attività
caratterizzante di quella comunità tedesca composta da individui della stessa razza, con la stessa storia e
cultura i quali consci di un destino comune, si preparano per la difesa e per la grandezza della propria patria.
Jahn si propone tutto questo attraverso la diffusione capillare dell’attività ginnica, inserita in un intenso
movimento di mobilitazione che si rispecchia insieme nel rilancio dell’esercito prussiano e nelle aspettative
di nuovi spazi e di nuovi orizzonti consoni alle aspettative e alle pretese del sentimento dell’identità culturale
nazionale. Lo stesso Jahn sarà alla testa dei suoi allievi durante l’ultima fase della guerra contro Napoleone.
Gli eccessi nazionalistici della scuola di Jahn condussero nel 1819 ad una Legge di Repressione delle
ginnastica ( Turnsperre): la ginnastica viene vietata e Jahn viene incarcerato.
Molti dei suoi sostenitori fuggono all’estero, soprattutto in Svizzera e negli U.S.A. Jahn riceve asilo politico
in Svizzera nonostante la minaccia di una reazione prussiana.
Sono diversi gli orientamenti pedagogici di un altro maestro Adolf Spiess, che svolse la sua opera prima a
Berna e poi a Basilea. La scuola di Basilea è impiantata a principi meno rigidi che lo Spiess espone nella
sua dottrina della Ginnastica nella quale viene operata una trasformazione della disciplina che non è più
concepita solo come una pratica nazionalistica ma diventa una disciplina scolastica.
Nella dottrina di Spiess la ginnastica è finalizzata alla formazione del corpo quale preparazione alla vita
intesa in senso borghese e capitalista e il suo obiettivo principale è quello di coltivare il corpo facendo in
modo che esso acquisti non solo la salute ma qualità fisica come la Destrezza e la Forza.
Altro obiettivo della dottrina di Spiess è quello di preparare l’individuo ad affrontare Doveri e Rischi della
vita sociale e di fargli acquistare le competenze fisiche adatte a svolgere il compito di soldato. Spiess
contribuisce soprattutto a dare il contenuto disciplinare e scolastico alla ginnastica che ora è concepita
essenzialmente come strumento etico e di educazione.
Spiess è dunque l’ideatore della Ginnastica Pedagogica, per cui la sua dottrina è praticamente un codice
didattico da utilizzare in qualsiasi circostanza. Il codice della ginnastica di Spiess si ispira ai movimenti
naturali, nel suo manuale sono consigliati esercizi ordinati a corpo libero e con attrezzi. Si tratta di esercizi
pianificati, da eseguire in rigida e meccanica sequenza. Sul codice di Spiess si viene a fondare una vera e
propria disciplina scolastica che ha bisogno di spazi propri, di palestre e di campi aperti. Una sua grande
novità consiste nel fatto che la ginnastica adeguatamente differenziata, entra persino nell’educazione delle
donne. Contemporaneamente alla nuova pedagogia atletica, nel mondo germanico-prussiano nasce e si
diffonde anche la Turnerschaft (l’associazione ginnica tedesca) , che richiamandosi alle teorie di Jahn, si
propone di rafforzare i tipici ideali germanici. Infatti per la nuova ginnastica nazionalistica, che si richiama a
Jahn, il ginnasta doveva possedere precise qualità perché doveva mostrarsi: fresco, libero, lieto e pio.
L’affermazione e la diffusione dell’associazione ginnica tedesca sono connesse al processo di unificazione e
di conquista dell’identità nazionale tedesca, ma sono anche connesse ad un processo si socializzazione tanto
che nel 1892 nascerà anche la Abeiter Turner Bund, un associazione ginnica voluta dall’organizzazione
socialista. Le idee teorizzate dalla Turneschaft (ass. ginnica ted), saranno diffuse dagli emigrati tedeschi
anche negli U.S.A. dove viene fondata una società ginnica che ha come modello l’atleta fresco libero forte e
devoto.
SETTIMA LEZIONE
IL MODELLO SVEDESE
Il 5 maggio 1813 sorge a Stoccolma il Reale Istituto Centrale di ginnastica, cioè la scuola in cui si delinea il
modello svedese dell’ atleta . Fu essenziale nella fondazione del reale istituto l’opera di Pehr Ling, che si era
formato seguendo le teorie di Jahn, in un suo lungo soggiorno in Germania, Ling è il sostenitore della
cosiddetta ginnastica razionale, cioè di una ginnastica che puo’ essere realizzata in senso medico , in senso
militare e anche in senso estetico e in senso pedagogico.
Ling infatti elabora una teoria dei movimenti del corpo conformi alle leggi dell’ organismo umano,
una teoria finalizzata a raggiungere non soltanto un perfetto stato di salute ma soprattutto la più alta unità
organica tra corpo ed intelletto. Anche la scuola ginnica svedese è ispirata alla formazione dell’ individuo
basata su regole medico-igieniste ed eugenetiche , che hanno cioè come obiettivo il miglioramento e la
salvaguardia della razza anche se va a moderare alcuni degli eccessi della teoria nazionalistica di Jahn. Nella
scuola svedese agli albori del ‘900 sarà elaborato per la prima volta il concetto di fitness che in meno di un
trentennio si diffonderà in tutta Europa.
IL MODELLO FRANCESE
La Francia diversamente dall’Inghilterra, risente l’ influenza delle teorie tedesche in tema di attività ginnica e
sportiva. Più precisamente, nei primi decenni dell’800, le attività ginniche vengono introdotte a Parigi dallo
svizzero Heinrich Clias e dal colonnello di origine spagnola Francisco Amoros. Entrambi insieme ad Adolf
Spiess adottano anche per la Francia come per la Germania e la Svizzera quel modello di ginnastica
finalizzata alla formazione del corpo quale preparazione alla vita e allo sviluppo di destrezza, forza fisica e
delle altre attività necessarie alla vita del cittadino soldato. A partire dal 1917 Amoros tiene a Parigi nello
spazio attrezzato di Grenelle, corpi di ginnastica militare e civile. Successivamente Amoros pubblica il suo
manuale completo di educazione fisica, di ginnastica e morale che avrà una lunga e notevole influenza nella
società francese. Sorge infatti a Parigi nel 1852 la Scuola Normale di ginnastica che si afferma ben presto
come il più importante istituto di educazione fisica militare ma anche civile della nazione. La disciplina si
diffonde rapidamente nelle scuole e per iniziativa di Eugene Paz si diffonde anche nella società civile grazie
all’ istituzione della prima società parigina di ginnastica. Dopo la sconfitta subita nel 1870 ad opera della
Prussia, sconfitta che aveva comportato la perdita delle due importanti regioni francesi dell’ Alsazia e della
Lorena, ha un nuovo impulso l’attività ginnica di tipo tedesco. Nell’ ottica della programmata rivincita, il
servizio di leva obbligatorio diviene triennale e si assegna un ruolo essenziale alla ginnastica che si pensava
avesse dato un contributo fondamentale alla vittoria ottenuta dai Prussiani.
Così in Francia una legge del 27 gennaio 1880 sancisce l’ obbligatorietà della ginnastica e nel 1882 vengono
istituiti i battaglioni scolastici che avranno fortuna per oltre un decennio.
Dunque nella prospettiva della rivincita contro la Prussia è proprio lo Stato francese che incoraggia la
formazione di società ginniche a carattere patriottico che non trascurano però di coltivare anche la
dimensione spettacolare dello sport e di esaltare dell’agonismo le fondamentali specifiche militari come il
coraggio, lo spirito di sacrificio ecc. La stessa unione delle società di ginnastica di Francia che venne
fondata nel 1873 ad imitazione di quanto era avvenuto nel mondo germanico, diffonde un motto di tre parole
che sono patria, coraggio e moralità. Si può affermare che le forme di pratica e di diffusione della ginnastica
sviluppata in Francia e in Germania, presentano delle grandi analogie, tuttavia anche se l’ attività ginnica
francese ha un impostazione decisamente patriottica e militare, ciò non impedisce la diffusione di altri tipi di
sport nel paese; nasce nel 1873 il club alpino francese e nel 1885 comincia il successo dell’ ippica che resterà
lo sport più diffuso fino al 1903. Infatti nel 1903 la popolarità del ciclismo arriva al culmine e consacra il suo
primato nazional - popolare con lo svolgimento del primo Tour de France, invece i cosiddetti sport inglesi,
come il tennis e il canottaggio sono meno popolari in Francia dato che visto le grandi disuguaglianze presenti
nella società francese sono praticati a livello amatoriale o solo nei circoli esclusivi. Nel 1872 sorge
all’interno del Club Atletico di Le Havre, la prima associazione calcistica continentale, essa pratica un misto
tra rugby e football che viene chiamata combinaison. Nel 1888 grazie barone Pierre De Coubertin, nasce il
contratto francese per la diffusione degli esercizi fisici nell’ educazione. Viene fondata successivamente la
lega nazionale dell’ educazione fisica e poi sorgono rispettivamente l’unione della società francese di corsa a
piedi e nel 1889 l’ unione delle società francesi degli sport atletici (U.S.F.S.A.); quest’ ultima sempre a
carattere dilettantistico però ha una vastissima diffusione. Il De Coubertin contesta tanto la visione patriottica
militare della scuola germanica quanto lo sport da tempo libero della società inglese, anzi egli è contrario al
termine sport tout court. Egli sostiene infatti che il termine da privilegiare è quello di atletismo e rifiuta
qualsiasi accostamento a quelle che lui chiama esibizioni da spettacolo e l’ attività connessa al solo leisure,
perché secondo de Coubertin, le performances spettacolari sono imbevute di mondanità, mentre le attività
connesse al semplice svago sono frutto di cattiva anglomania. De Coubertin infatti rivaluta il valore
educativo dello sport che si realizza pienamente solo per chi realizza l’atletismo rendendo etico lo sport e
dato che i greci avevano realizzato l’ atletismo, ciò poteva ancora avvenire unicamente col ritorno ai valori
dell’ olimpismo e con il ripristino dei giochi olimpici dopo gli ultimi celebrati nel 393 d. c.
OTTAVA LEZIONE
Sport atletici.
Il primo ad affermarsi in Italia tra gli sport atletici in Italia è sicuramente il canottaggio e a Torino nel 1888
presso il caffè nazionale nasce il Rawing CLUB italiano . L’anno dopo vengono affrontati i primi
campionato della disciplina. Il regolamento delle gare di canottaggio fatto da rawing clubh a tale rinomanza a
livello europeo da essere utilizzato anche nei giochi olimpici. Fin dall’inizio il ruolo dell’italia sarà
fondamentale per quanto riguarda quel processo che da origine alla federazione internazione delle società d’
aviron, che viene fondata a Torino il 25 giugno 1892. A Roma nel 1891 su iniziaitiva nuotatore Achille
Santoni, viene istituita la Rari Nantes con fini esclusivamente sportivi, l’anno dopo viene creato il comitato
nazionale per il nuoto. Dopo poco tempo tutte le società di nuoto ormai istituite nella penisola, si fondono
nella federazione italiana Rari Nantes che con l’avvento del fascismo diventerà la federazione italiana nuoto.
Le discipline annesse all’ atletica leggera, praticate nelle società di ginnastica, si sviluppano autonomamente.
Nasce nel 1899 l’unione pedestre italiana che organizzerà regolarmente dei campionati nazionali e nel 1909
ingloberà tra le disciplina dell’atletica i salti e lanci e prenderà il nome di federazione italiana sport atletici o
fisa. Nel 1891 viene fondata a Torino, vera capitale dello sport,l’international football club, la prima società
calcistica italiana. Nel 1897 viene fondata la Juventus, nel 1899 il Milan football club. Il primo incontro di
calcio si ha il 6 gennaio 1898 tra Genoa e Juventus e dopo pochi giorni, sempre a Torino, si disputa un torneo
a tre con l’ Unione pro sport Alessandria pro sport. Il 15 Maggio dello stesso anno nasce la federazione
italiana football (f.i.f). Al primo torneo federale partecipano in 4, il Genoa e tre squadre di Torino. Intanto
anche la federazione ginnastica nazionale aveva incoraggiato le società a lei affiliate a praticare il gioco del
calcio.
Durante il terzo concorso ginnastico, viene organizzato un incontro tra Bologna e Udinese a cui assiste anche
Umberto I. In quell’anno viene pubblicato ad Udine il primo regolamento in italiano del gioco del calcio.
La differenza tra la f.i.f. e la federazione ginnastica nazionale(entrambe federazioni del gioco del calcio)
riguarda sostanzialmente l’origine autonoma e anglofila della f.i.f che piano piano trasferì il suo centro
d’azione, oltre che la sede, a Milano, alla luce della crescita dei club Lombardi. La rottura tra le due
federazioni si ha quando la f.i.f decide nel 1908 di escludere dalle squadre gli stranieri. La crisi si ricompone
con la fondazione di una nuova federazione che sostituisce, secondo il desiderio della federazione ginnastica
italiana., il termine italiano calcio a quello di football, istituendo quindi la federazione italiano giuoco calcio
La nuova federazione ha un programma ben definito:la diffusione del calcio partendo dalla provincia; nello
stesso tempo vengono inglobate nella nuova federazione le società precedentemente nate all’interno della
federazione ginnastica nazionale. Una di queste ultime, la Pro Vercelli, dominerà le competizioni ante
guerra.
La federazione italiana giuoco calcio delinea una struttura piramidale del torneo con promozioni e
retrocessioni. Nel 1910 ha luogo il primo incontro internazionale Italia Francia. Nel 1911, ad imitazione
della referees association inglese del 1893, viene istituita l’associazione italiana arbitri (AIA).
Viene attribuito al capitano della pro Vercelli Guido Ara la famosa espressione: “il calcio non è uno sport per
signorine” con la quale il calciatore si riferiva al carattere atletico e violento del gioco del calcio.
NONA LEZIONE
Il diritto allo sport
Fermando l’attenzione sulle norme costituzionali che salvaguardano i diritti fondamentali occorre
determinare se effettivamente si configuri un diritto allo sport in capo alla persona umana in qualità di
possibile soggetto fruitore di un attività sportiva sia a livello di “loisir” (tempo libero) sia a livello
professionistico sia poi in qualità di semplice spettatore. Non può essere trascurata nemmeno la dimensione
transnazionale del fenomeno sportivo che comporta a livello di attività professionistica o a livello di club
problematiche attinenti alla circolazione dei lavoratori in ambito comunitario e non, ed il loro diritto di
stabilimento ed inoltre comporta anche i casi di immigrazione irregolare e di sanatorie o di naturalizzazioni
per un certo verso forzose e in grande contrasto con le vicende di altri lavoratori e di altri stranieri. Altro
momento dell’analisi riguarderà l’appartenenza del diritto allo sport all’ambito dei diritti fondamentali che la
costituzione riconosce alla persona, e se il diritto alla sport rientra tra i cosiddetti diritti umani o se invece si
pone in contrasto con essi, o ancora se l’attività sportiva contrasti oppure no con uno dei diritti
personalissimi. È d’obbligo dunque accennare, in prospettiva storica e comparata, all’analisi per così dire
rituale, che conduce alla sintesi delle nozioni attuali e condivise delle figure socio-giuridiche di cui si
discorre. La persona umana è titolare di una sconfinata pluralità di posizioni soggettive tra le quali rilevanza
primaria viene riconosciuta a quei diritti che sin dall’età moderna sono stati riconosciuti e sono stati
proclamati quali diritti fondamentali. Negli ultimi due secoli del secondo millennio la categoria dei diritti
umani viene a configurarsi come il più rilevante sistema di valori che si configura come manifestazione
implicita di un etica universale.
Nozione di persona
La persona è stata definita il fulcro dell’ordinamento giuridico. Infatti la nozione giuridica di persona
racchiude una molteplicità di rilevanti problematiche: non a caso molti giuristi definiscono la persona un
sistema complesso. Risalendo nel tempo vediamo che per Aristotele l’unità della persona era costituita
dall’anima che nei viventi si configurava a suo dire come “Anima vegetativa o sensitiva”. Ancora oggi, per
alcuni, l’anima della persona è identificata nell’unitarietà del rapporto mente-corpo ed il significato del
termine “mind”, connesso alla stessa radice indo-europea con il termine “anima”, esprime la non-materialità.
D’altra parte anche l’organismo umano è un sistema complesso ed a più livelli, e la sua unitarietà è data dal
rapporto tra organi ed elementi di livello diverso come: i geni, le proteine, i tessuti, gli organi. Tuttavia il
rapporto mente-corpo non è un rapporto tra elementi o livelli, anzi, non è nemmeno formalmente
configurabile come un rapporto. Infatti l’unità tra mente e corpo non è interpretabile come rapporto tra
elementi o come unità di elementi diversi, ma come modi di essere diversi di una medesima realtà. Dunque
tra “mind” e “body” non vi è la differenza ontica che si instaura tra due cose diverse, ma vi è la differenza
ontologica che si instaura tra due modi di essere della stessa cosa. Scienza e filosofia concordano quindi sulla
complessità della nozione di persona che si sottrae a qualsiasi manipolazione e a qualsiasi riduzione in
termini di meccanicità oppure in termini di pura virtualità. Per ben comprendere la complessità e la
pregnanza della nozione giuridica di persona è bene far riferimento all’etimologia e alle origini stesse del
termine persona: un termine che, come è noto, deriva dalla nostra antica lingua latina che può ben dirsi la
lingua universale del diritto. La lingua latina dispone di due termini per indicare l’essere umano che nella
“vision” patriarcale, allora dominante, erano rispettivamente: homo e vir. I due termini non erano certamente
sinonimi ma il primo, cioè homo, era utilizzato come termine comune e di genere; il secondo, vir,era riferito
piu precisamente all’ “homo honestus”, al “civis” , al “pater familias”. Con il termine persona la lingua
latina indicava nelle rappresentazioni teatrali, derivate dalla tradizione tragica e poi comica greca, quella
parte dell’abbigliamento dell’attore che impropriamente si è tradotta con la parola maschera. L’attore, infatti,
sulla scena portava davanti al viso la maschera, diversa a seconda dei casi, come ad esempio: maschera
tragica, maschera comica. È ben noto l’alto valore civico che gli ateniesi attribuivano alle rappresentazioni
tragiche. In esse i fatti rappresentati e cioè le eroiche sventure del protagonista o dei due attori comprimari,
palesavano all’ intero popolo come il dolore era la pena per il male commesso e la responsabilità del male
commesso ( solitamente un atto empio o un atto contrario alle leggi sia umane che divine) era fatalmente
trasmessa, anche in via ereditaria, ai figli e ai loro discendenti. Le rappresentazioni tragiche greche avevano
un chiaro fine didascalico (educativo). Esse avevano il compito, quindi, di educare i cittadini-spettatori
coinvolgendoli nel “pathos”, cioè inducendoli a patire insieme agli attori e a condividere l’orrore dei fatti
commessi. Infatti la reazione emotiva e psichica attraverso la “sympatheia”, cioè attraverso il sentire insieme,
il patire insieme, e attraverso l’immedesimazione col personaggio conduceva alla “catarsi”, cioè, conduceva
alla purificazione dell’anima. Attraverso la catarsi il governo ateniese spingeva i cittadini ad abbandonare le
cattive inclinazioni a vantaggio di quelle oneste, nell’intento di distoglierli dal commettere il male, ossia,
dall’infrangere le leggi. Per raggiungere il massimo grado di coinvolgimento del pubblico l’attore delle
tragedie doveva dominare la scena, giganteggiando grazie anche ad alti coturni (cioè a stivali col tacco molto
alto), grazie alle vesti imbottite e grazie all’enorme “prosopon” ( che letteralmente vuol dire oggetto posto
dinanzi al volto) che i latini indicavano col termine “persona”. Occorre , infatti, ricordare come gli attori
delle tragedie greche erano solo due o al massimo tre e alle donne non era consentito recitare. Per alcuni la
persona (la maschera) aveva il compito di amplificare la voce dell’attore, ma non è questo lo scopo dell’uso
della maschera ( o persona) dato che, tra l’altro, l’acustica perfetta ancora oggi verificabile di un teatro greco,
consentiva anche allo spettatore più lontano di cogliere persino un sospiro o un fruscio prodotto sulla scena.
In realtà il colore della veste e la “persona” che dunque solo tecnicamente possiamo definire maschera,
assieme a tutto l’ insieme dell’abbigliamento, aveva lo scopo di comunicare al pubblico, con immediatezza,
il ruolo impersonato dall’attore: che poteva essere il ruolo dell’eroe o del servo o della donna, a seconda di
un codice noto e prestabilito. In tal modo l’interprete diveniva personaggio, cioè, agendo secondo la sua
persona (maschera), si fondeva con essa e viveva narrandole le sue tragiche vicende. La persona, dunque,
consentiva al protagonista di essere visibile e riconoscibile; pertanto gli permetteva di comunicare con gli
spettatori e di consentire, attraverso la sym patheia ( il patire insieme), il verificarsi del processo di
identificazione col personaggio e la catarsi finale, ossia, la purificazione dell’anima. La persona-maschera
non nasconde ma svela l’essere umano che racchiude, il quale in tal modo viene reso a tutti visibile,
riconoscibile e valutabile.
Soggetto di diritto
Il termine subiectus cioè soggetto nella terminologia giuridica veniva adoperato rigorosamente,subiectus
che è il participio passato del verbo subicere che significa sottomettere , indica proprio il sottomesso,
l’assoggettato e subiecti sono anche i sudditi. Gaio distingue nelle sue institutiones la persona sui-iuris cioè
la persona di diritto proprio come il pater dalle persone aliene-iuris cioè soggette al diritto altrui. Gli schiavi
le mogli ei figli quindi anche se sono persone, sono soggette al potere altrui e cioè al potere del pater-
familias che è l’unica persona che ha e che può avere. Il giurista romano Ulpiano spiega che viene chiamato
padre di famiglia chi nella casa ha il dominio e viene chiamato così anche se non possiede un figlio, dunque
per essere pater e quindi per essere una persona sui-iuris e non soggetta a aliene-iuris è importante il fatto
non di avere una propria discendenza ma il fatto di non avere un padre in vita e perciò quindi di non essere
soggetto a quest’ ultimo. Nella famiglia romana quindi una sola persona aveva e poteva avere e tale capacità
era indissolubilmente connessa alla qualità del pater familias, la ragione di questa concezione si basa sulla
fondamentale importanza che per i romani ebbe la ricchezza familiare , soprattutto nei primi secoli ma anche
nell’età repubblicana e in epoca imperiale. Il potere economico assoluto del pater è la conseguenza
dell’identificazione con il suo stesso patrimonio. Nei primi secoli il patrimonio familiare è costituito
essenzialmente dalla cosa o dominus e dal fundus cioè dal campo ereditato dagli avi. Domus e fundus erano
le cose indispensabili che garantivano alla famiglia la sopravvivenza attraverso le generazioni , la famiglia
esisteva in quanto aveva le sue proprietà e cioè la domus e il fundus dunque ben può dirsi che la famiglia era
il suo patrimonio che era la garanzia delle future generazioni e nello stesso tempo la garanzia dell’identità
della misura e del valore della famiglia , il potere che veniva così tramandato in eredità veniva detto
heredium da heres cioè l’erede in quanto il dominio su di esso veniva trasmesso integro da padre in figlio.
Con l’avvento del divorzio verso il 1 secolo avanti cristo la difesa della famiglia e del suo matrimonio fu
rafforzata giuridicamente dato che la donna con il divorzio ormai poteva uscire dall’ ambito di una famiglia
e poteva non più essere soggetta al marito e quindi si stabilì che ciò che apparteneva alla moglie appartenesse
al marito e si stabilì per legge il divieto di donazioni tra coniugi e si vietò ai mariti delle classi più ricche di
designare come erede la moglie. Dunque si tende conservare la ricchezza all’interno della famiglia che ha
prodotto tale ricchezza , le donne che pure generano i figli alla famiglia rappresentano un pericolo dal quale
le persone che possiedono e che quindi hanno come i patres vanno tutelati in vita come in morte , infatti alle
vedove per legge non spetta alcuna cosa in proprietà.
DECIMA LEZIONE
Nozione di persona dal Medioevo al Rinascimento
Negli ultimi decenni dell’XI sec., nasce a Bologna una delle prime università del mondo. Nasce come scuola
giuridica e riesce a ridare vigore al Diritto romano giustinianeo che si afferma presso i territori del Sacro
romano impero d’occidente, cioè in tutto l’impero continentale. Nelle facoltà giuridiche europee, il Digesto
viene introdotto come libro di testo e di esercitazione per gli studenti e diventa oggetto di uno studio sempre
più profondo, fino a costituire un nuovo diritto perfettamente adatto alle esigenze economiche e sociali della
nuova civiltà dei liberi comuni. Già i primi giuristi bolognesi, i cosiddetti glossatori, ritrovano i testi di diritto
romano in cui si parla delle associazioni, delle città e delle eredità come di persone. Tra l’XI e XII sec.,
grazie ad Irnerio si costituì a Bologna uno studio approfondito del diritto giustinianeo. I testi giustinianei, che
erano stati redatti nel VI sec., apparivano quasi incomprensibili ad un mondo che aveva vissuto le esperienze
storiche dei Longobardi, dei Franchi e delle altre dominazioni che avevano imposto le loro regole ignorando
il diritto romano. Fu indispensabile, quindi, per la restaurazione del diritto romano l ’opera dei glossatori,
detti così dal termine glossa, che era usato nell’antichità per indicare la parola dal significato oscuro che
aveva bisogno di un’interpretazione. Questi giuristi, attraverso le loro glosse o attraverso i loro commenti,
operavano una vera e propria analisi e interpretazione del testo. La scuola di Bologna diede vita ad uno
studio ad altissimo livello dei testi giuridici, producendo un’enorme quantità di testi. Nel XIII sec. Accursio
compì un’opera di organizzazione e di razionalizzazione di questi testi nell’opera detta “Magna Glossa” o
“Glossa ordinaria. Nella Glossa di Accursio si sostiene che l’Universitas o l’Ente collettivo del Diritto
romano è costituito da singoli uomini che sono in essa, dunque l’ Universitas viene ad identificarsi con il
Comune che significa totalmente ”nei suoi cittadini”. Gli studiosi del diritto canonico, nutriti del contenuto
del diritto romano, perfezionarono l’idea della Corporazione intesa come persona. D’altra parte, i giuristi
cristiani erano in questo agevolati per il fatto che già la Chiesa rappresentava la collettività dei fedeli. Fu
proprio Sinibaldo, il futuro papa Innocenzo IV, a precisare che l’ Universitas come ente collettivo era una
persona ficta, cioè non era una realtà fisica, ma era soltanto una rappresentazione giuridica, così il diritto
medievale riesce a collocare accanto alle persone fisiche, queste persone fictae o rappresentate. La persona
può dunque definirsi una metafora giuridica, grazie alla quale i giuristi romani crearono altre categorie di
persone idonee alla titolarità del potere del “dominus”,cioè del proprietario e la metafora diventerà ancora
più astratta, fino a consentire l’esistenza della cosiddetta persona giuridica, che addirittura prescinde dalla
presenza umana e può ridursi ad una mera dotazione di beni, come nelle moderne fondazioni, capace però di
essere proprietaria, come se fosse un uomo capace di rappresentare una collettività di persone. La categoria
della persona umana, inventata ed elaborata dal diritto romano, è stata poi perfezionata dal diritto medioevale
e rinascimentale, giungendo pressoché inalterata a contatto con la filosofia del giusnaturalismo o del
naturalismo giuridico, dalla quale verrà poi trasformata nel secolo caratterizzato dalla Dichiarazione dei
diritti dell’Uomo. Nel 1500 s’impone, intanto, con maggiore evidenza, la nozione di persona che indica lo
“status”, attraverso il quale l’uomo partecipa alla vita giuridica, quindi, in piena armonia con la tradizione
storica-filosofica; dunque l’uomo-persona si propone come soggetto delle relazioni giuridiche; la persona
viene ad essere più che mai il centro della società ed è praticamente il comune punto di riferimento cui si
riferiscono tutte le situazioni giuridiche, delle quali l’individuo nella sua vita può essere titolare. Talune di
queste situazioni giuridiche sono connesse a caratteristiche fisiche e psichiche come l’età, il sesso, la salute
etc. Agli inizi del ‘600, il giurista piemontese Nicolas Lazeus, afferma che l’universitas rappresenta una
persona che è qualcosa di diverso dagli uomini partecipanti a quella determinata universitas; tuttavia, gli
uomini che appartengono a quella universitas continuavano ad essere giuridicamente diversi, in quanto non
tutti erano allo stesso modo persone. Infatti, fino a tutto il ‘700, continua ad esistere la schiavitù in tutte le
case nobili e borghesi ed era sempre presente una servitù costituita da schiavi e stranieri, slavi, saraceni,
africani acquistati per lo più da mercati veneziani ed inoltre, per tutto il ‘700, anche tra gli uomini liberi si
manterranno le cosiddette “minorità”, cioè le posizioni giuridiche delle persone con limitati diritti, come le
donne, alle quali non erano riconosciuti i poteri degli uomini. Ancora gli eretici e gli ebrei, che soffrivano di
varie limitazioni giuridiche, in particolare gli ebrei erano costretti a vivere in quartieri separati e circoscritti
del ghetto o “giudecca” ed erano esclusi da certe professioni e avevano una tutela giuridica limitata. In
Piemonte, gli ebrei fino alla fine del ‘700 non potevano essere proprietari di case, solo ai cristiani erano
riconosciuti pieni poteri e pieni diritti sia pubblici che privati, persino gli stranieri avevano diritti limitati.
Per esempio, non potevano testimoniare e non potevano neanche esercitare alcune professioni; tuttavia si
mantenevano pressoché inalterati gli statuti e gli schemi del diritto romano e la persona del “pater familias”
era ancora l’unica persona, a cui si riconosceva il diritto di avere una facoltà che non era riconosciuta a tutti
gli uomini. Tale facoltà era però riconosciuta totalmente ad enti e patrimoni considerati persone fictae,
corrispondenti all’incirca alle attuali persone giuridiche.
La stessa dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino all’art.3 afferma, ancora, e ribadisce che: “Tutti
gli uomini sono uguali per natura e davanti alla legge”. All’indomani della Rivoluzione francese il Code
Napoleon del 1804, all’art.2 stabilisce così:
“L’esercizio dei diritti civili è indipendente dalla qualità di cittadino, la quale si acquista e si conserva solo
in conformità della legge costituzionale”. Nella ABGB cioè nel codice civile austriaco, al paragrafo, 16 si
legge che:
“Ogni uomo ha dei diritti innati che si conoscono con la sola ragione, perciò egli è da considerarsi come una
persona. La schiavitù, ossia la proprietà dell’ uomo sull’uomo, e l’esercizio della potestà ad esso relativa non
sono tollerati in questo stato”. Dal contenuto del testo della Carta dei Diritti e dai codici si evince che tutti
gli uomini devono e dovrebbero godere degli stessi diritti, ma il prototipo di tali diritti risulta il diritto di
proprietà che dimostra che al centro dell’ordinamento, anche nel nuovo diritto, non è l’uomo senza qualità
ma vi è un borghese proprietario.
Questo è dimostrato anche dalla scrittura del Code Napoleon che ha una decisa impostazione
patrimonialistica: il ché significa che il vero destinatario del codice è un proprietario e non un uomo
qualunque. Anche nelle dichiarazioni delle ex colonie americane si afferma che l’uomo per natura ha alcuni
diritti innati che sorgono con la nascita, e infatti, un uomo può essere proprietario solo dopo che è nato.
Sembra quasi che in questa prima carta dei diritti dell’uomo il diritto al godimento della vita coincida con il
godimento del diritto della proprietà. Bisogna anche osservare che i diritti naturali così riconosciuti
ufficialmente vengono in pratica consegnati al tempo delle carte costituzionali e dei codici, in pratica
vengono fissati e vengono posti nella legge che li garantisce.
In tal modo il giusnaturalismo, cioè il diritto naturale, si trasforma in giuspositivismo, cioè in ius positum,
ovvero nel diritto riposto nella legge. La legge diventa il nuovo sovrano a cui tutti vanno soggetti; la
supremazia della legge sul diritto naturale e sulle persone è sancita dallo stess ABGB (o codice civile
austriaco), che dopo aver riconosciuto all’art.16 i diritti innati, al successivo art.17 afferma che:
“Tali diritti possono essere sempre ristretti dalla legge”. Dunque, andando dalle istititiones di Gaio ai codici
civili, notiamo che al centro del diritto vi è sempre la persona, ma la centralità di essa, resta ancora un fatto
formale, perché in realtà, la diversità tra le persone stesse non sono state cancellate. La principale conquista
dottrinale del XX secolo sembra però proprio il definitivo distacco dalla visione giusnaturalistica per cui,
abbandonando il campo del diritto naturale, si parla di capacità giuridica ormai solo in termini di diritto
positivo, cioè, non come diritto innato ma come diritto creato e quindi come diritto posto o ius positum,
ovvero come posto dalle norme. La capacità giuridica viene riconosciuta a tutti gli individui e viene a
configurarsi come il principio fondamentale dell’ordinamento privatistico.