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SESTA LEZIONE

SPORT COME MOMENTO DI SINTESI


La dottrina giuridica basandosi anche sull’apparato della sociologia definisce lo Sport come quel particolare
comportamento umano caratterizzato dal’esercizio fisico e finalizzato ad una performance, cioè appunto
finalizzato al conseguimento del miglior risultato.
Se noi consideriamo lo sport moderno, cioè l’attività sportiva che si è venuta sviluppandosi nelle principali
nazioni d’Europa a partire dall’800 , possiamo affermare che lo sport viene ad essere il fenomeno sociale
emergente più importante del sec. XX.
L’attività sportiva è stata presente nella società umana fin dalle sue origini, essa è comparsa non appena
l’uomo conobbe la necessità e l’utilità della vita aggregata e almeno in minima parte della vita organizzata.
Secondo i sociologi infatti lo sport ebbe origine quando l’uomo scoprì la gratificazione derivante dal
cosiddetto impegno superfluo, infatti dalla scoperta della fatica superflua, volontariamente accettata e ben
diversa dalla fatica obbligata, cioè il lavoro che è imposto dalla necessità di soddisfare le esigenze primarie,
all’origine l’arte è proprio l’attività sportiva.
I primissimi frutti dell’impegno superfluo sono ancora oggi testimoniati dai graffiti presenti in tanti siti
preistorici, graffiti che costituiscono la prima libera e gratuita espressione dell’arte umana al di là di ogni
intento religioso o aprotopaico (superstizioso), infatti si credeva che disegnare una belva avesse il potere
magico di allontanare il pericolo della sua comparsa. La gratificazione, cioè la gioia liberatoria che prova
l’individuo nella pratica individuale di uno sport al di là di ogni altro fine e al di là della conquista del
risultato, risulta essere la base essenziale dello sport. Il piacere di dedicarsi alla fatica superflua è riemerso
nel sec. XIX in Inghilterra con la scoperta del loisir , dell’impegno del tempo libero non dedicato quindi né al
lavoro e né al riposo ed è appunto la motivazione ancora oggi di tanta parte della pratica sportiva individuale.
In questo senso lo sport è stato sempre presente in ogni epoca e in ogni civiltà, tanto che viene
concordemente definito intrinseco alla stessa natura dell’uomo, proprio perché attinente esclusivamente alla
persona umana. Lo sport nasce in forma di gioco di natura sportiva e in tale forma ha accompagnato tutte le
età dell’uomo, anzi, la sua esclusiva pertinenza alla natura umana è stata costantemente parte della sua vita
ordinaria. Inoltre proprio per il fatto che in ogni sport ci sono delle regole da rispettare si può dire che
proprio nelle primitive regolamentazioni e nelle prime attività, si riscontrano le prime manifestazioni del
diritto e precisamente del diritto dello sport.

PASSAGGIO DAL GIOCO ALLO SPORT


Anche se la relazione tra gioco e sport appare a molti evidente, non tutti collegano al gioco l’origine
dell’attività sportiva. Qualcuno infatti intravede la comparse dei primi esercizi fisici proprio nelle danze
rituali connesse ad un culto religioso, e per la verità spesso giochi e competizioni erano collegati all’ambito
del sacro tanto che uno storico tedesco Carl Diem nel 1971 individua le prime pratiche protosportive proprio
nei giochi che venivano celebrati come manifestazioni collaterali alle grandi manifestazioni religiose antiche.
Gli antropologi e gli etnologi, applicando allo studio della questione i metodi moderni delle loro scienze,
fondati su elementi oggettivi e sul metodo comparativo, concordano invece nel collegare al gioco l’origine
dello sport. L’uomo, specialmente nel periodo dell’infanzia e nel periodo della giovinezza ma, in modi
diversi, anche in età adulta, sin dagli albori dell’umanità avverte ed obbedisce all’insopprimibile bisogno di
giocare, anzi si è autorevolmente affermato che l’uomo è interamente uomo solo quando gioca in quanto il
gioco è una delle più serie ed organiche esigenze della psiche umana. Per Schiller infatti ogni gioco è
innanzitutto e soprattutto un atto libero, il gioco comandato non è più gioco. Un bambino e un giovane
animale giocano per divertimento perché ne hanno diletto e in ciò sta la loro libertà. Per l’uomo adulto e
responsabile il gioco è un’attività che potrebbe tralasciare perché esso è superfluo. Il bisogno di giocare è
urgente solo quando il desiderio lo rende tale. Il gioco può in qualunque momento essere differito oppure
non avere luogo. Il gioco non è imposto da una necessità fisica e tanto meno da un dovere morale, non è un
compito, si fa nell’ozio, nel momento del tempo libero dopo il lavoro. Solo in un secondo momento,
facendosi il gioco funzione culturale e attività regolamentata, si congiunge con i concetti di: DOVERE,
COMPITO e IMPEGNO. Suggestiva è la nascita del primo gioco sportivo immaginata da due antropologi,
Blanchard e Cheska che in un loro studio del 1986 descrivono degli adolescenti che 1 milione e mezzo di
anni fa si rincorrono e si sfidano sullo stesso posto erboso, in un gioco poi che è divenuto una consuetudine
tanto che per il ripetersi delle corse il prato è segnato dai loro passi come un sentiero. Dopo qualche tempo,
spontaneamente la gara fra i giovani consiste nel raggiungere più velocemente di tutti un albero o una roccia
poco lontana che vengono scelti come termine. Uno di loro, più accorto, sceglie una via diversa dal solito
sentiero e riesce ad arrivare per primo. Tutti gli altri protestano perché il vincitore non ha seguito la solita
via. Dopo una accalorata discussione i giovani adottano alcune regole esplicite, che superano quelle che fino
a quel momento avevano accettato implicitamente senza alcuna formalità. Si fissa così oltre alla meta, il
percorso a cui tutti devono attenersi, in tal modo la cosa non è più soltanto un gioco, in virtù delle condizioni
fissate per la gara, il gioco si è trasformato in uno sport. Il testo fondamentale su cui si fonda LA TEORIA
DELLO SPORT NATO DAL GIOCO è certamente l’ Homo ludens cioè l’uomo che gioca di Huizinga, per
il quale in ogni gioco le norme sono OBBLIGATORIE e INCONFUTABILI. Infatti non appena si
trasgrediscono il mondo del gioco crolla e non esiste più e il giocatore che si oppone o che si sottrae alle
regole toglie al gioco l’illusione, cioè etimologicamente l’essere nel gioco. Per Huizinga il gioco può essere
definito come un complesso sistema culturale, il gioco si fissa come una forma di cultura, infatti giocato una
volta il gioco permane come una creazione o come un tesoro dello spirito e viene tramandato e ripetuto in
qualunque momento, sia subito sia dopo un lungo intervallo.
Quando il gioco si trasforma in un’attività fisica regolamentata e misurabile, questa attività viene
istituzionalizzata in quanto la società a cui appartiene ha riconosciuto e fatto proprio, ha assimilato, nella
propria cultura, le REGOLE, gli OBIETTIVI e i PRINCIPI di tale attività. Questo è avvenuto quando il
gioco si è trasformato in sport.

Passando dal gioco al campo dello sport e, come avviene in tutti i giochi, quando alla sola menzione del suo
nome tutti i partecipanti sanno esattamente come quello sport si svolgerà e secondo quali regole, un
determinato sport può definirsi istituzionalizzato. In questo senso un istituzione si configura come una realtà
intellettuale, di cui sono noti gli obiettivi i principi e le regole connesse con la sua esistenza e che si
distinguono da altre realtà simili.
Dunque, quando utilizziamo il termine: ISTITUZIONALIZZAZIONE per sostenere che socialmente si è
fissata la stabile conformazione delle regole di un gioco, questo gioco diviene ISTITUZIONE. Così avviene
per lo sport, dato che una competizione sportiva esige un regolamento esplicito e la specificazione degli
obiettivi e della maniera in cui raggiungere tali obiettivi.
Lo sport è anche un’attività intellettuale proprio in quanto è un’attività umana totale, comprende infatti le
motivazioni e le reazioni psicologiche del soggetto e il suo atteggiamento mentale e spirituale di fronte al
fenomeno sportivo. Questi elementi sono tutti essenziali alla definizione e descrizione dell’attività sportiva,
quindi alla performance.

L’EVOLUZIONE DELLO SPORT IN ETA’ STORICA ( Passaggio


dalle tavolette mesopotamiche di Kikuli all’età moderna)
Nelle tavolette d’argilla ritrovate nel sito di Kikuli in Mesopotamia è stata scoperta una dettagliata
descrizione, quasi giornaliera, del trattamento riservato ai cavalli del re, per prepararli alle corse dei carri in
pista. in tal modo vi si trova traccia di uno sport che è stato molto popolare nel vicino oriente ed è stato assai
seguito fino alla caduta di Costantinopoli che è avvenuta nel 1453 per opera dei turchi.
Le prime attività vicine ad una pratica sportiva come la corsa, pugilato, nuoto, lotta, corse dei carri e bighe
tutte testimoniate nei reperti archeologi delle varie epoche, sembrano rivolgersi per lo più a potenziare nelle
competizioni quella capacità e quelle abilità militari che dal terzo millennio a.C. in poi erano essenziali e
vitali in guerra e in combattimento.
Le notizie riguardo all’antico Egitto sono ben più numerose e le pratiche e le competizioni sportive erano
molto più diffuse rispetto a quanto avveniva nelle popolazioni della Mesopotamia, anche se non vi è traccia
di istallazioni sportive, a parte la pista per la corsa rituale che occupava parte del monumento funerario del
faraone Djoser. In proposito, l’egittologo John Wilson, dell’università di Chicago, attribuisce la maggiore
inclinazione verso l’attività sportiva mostrata dagli antichi egizi al loro carattere allegro. Per Wilson la loro
allegria si manifesta nell’amore per i giochi e nell’amore per lo sport in tutto l’arco della loro storia ed è
espressione di una gioia di vivere che costituiva una sorta di contrappeso alle loro preoccupazioni riguardo
l’oltretomba. Nelle sculture del bassorilievo, nelle incisioni e negli affreschi dei più importanti monumenti
archeologici, ammiriamo, oltre alle schiere dei carri e di arcieri della tomba di Tutankhamon,possiamo notare
le scene del faraone che doma i cavalli, che armato di lance va a caccia dei tori selvaggi e che attacca con le
frecce i leoni.
Nelle raffigurazioni che adornano il monumento funerario di Ramses III ammiriamo ancora la corsa rituale
che era parte della celebrazione della salita al trono del faraone e infine dalle annotazioni dei papiri rinvenuti
nella tomba del principe Kheti apprendiamo della passione del defunto per le gare di nuoto. Nel sito della
tomba del faraone Antefoqer , le immagini ci mostrano come veniva offerto largo spazio alla ginnastica
acrobatica, attività che coinvolgeva finalmente sia uomini che donne.
Esistono circa 250 rappresentazioni che descrivono una coppia di lottatori nei diversi ingaggi del
combattimento ma altre ci informano che gli egizi si dedicavano abitualmente anche alla scherma nella quale
adoperavano bastoni di legno con la punta rinforzata dal metallo e una impugnatura che ricorda vagamente
l’elsa con la guardia a protezione nella mano.
Nel Regno Medio accanto alle scene di ginnastica acrobatica appaiono scene di danza con figure di
straordinaria flessibilità che rappresentano sicuramente i risultati di lunghi allenamenti e di lunghe
esercitazioni. Ma la stele ti Tutmosis III assieme a quella di Amenofis II sembra riprodurre il ritratto
dell’atleta perfetto: infatti un’intera dinastia, la XVIII, è stata soprannominata la dinastia dei Re Atleti, anche
se probabilmente la definizione esagera e trascende la realtà. Ma in un momento storico in cui con
l’invasione degli Hycsos il faraone sembra aver perso la sua divina infallibilità e invulnerabilità agli occhi
del suo popolo, evidentemente appariva necessario proiettare comunque l’immagine del leader: e in quel
momento il Re Atleta vincitore facilmente poteva richiamare l’immagine del guerriero vincitore. Così il
faraone poteva recuperare il prestigio perduto nello scontro con i guerrieri armati di ferro grazie
all’immagine dello sportivo invincibile nella lotta.
Prima degli sport immortalati nei versi di Omero, legati alle celebrazioni funebri, durante le quali si offriva
all’eroe defunto il dono dell’AGON (quindi della competizione) intessuto di fede, di onore e forza tesa al
superamento del limite umano per uguagliare gli dei, nell’età minoico-micenea, invece spiccano le gare
incruente dei volteggi dei giovani sul dorso del toro. Il toro nelle cui sembianze volle incarnarsi Giove, era
simbolo di potenza creatrice e come animale totemico il suo culto, trasportato dalle popolazioni sfuggite
dalla catastrofe sismica che segnò la fine della civiltà cretese, si diffuse dall’Egeo all’estremo tallone della
nostra penisola, l’odierna Calabria. Proprio la Calabria era chiamata in origine Italìa o Ditalìa secondo alcuni
dal nome di un ipotetico Italòs o Uitalòs . Ma in realtà il mitico eroe probabilmente non era un eroe e non era
neppure umano se è vero che sulle antiche monete degli Italòi era raffigurata una testa taurina, con, per
legenda, la scritta: UITELIU O UITULòS, l’animale totemico che appunto diede il nome ai colonizzatori
italòi. E il uitulòs non è altro che un giovane toro.
Come è noto le popolazioni posteriori accostarono etimologicamente il nome UITALòI al termine latino
vitis, la vite che cresceva rigogliosa nella zona anche allora famosa per la produzione del vino, tanto che nei
secoli dopo l’arrivo degli adoratori del sacro totem del vitelium, i greci pensarono bene di tradurre nella loro
lingua il nome di uitalòi in oinotroi ossia produttori di vino dal termine greco oinos che significa vino e dal
nome greco derivò oinotria che poi è divenuto enoitra, nome antico proprio dell’Italia meridionale.

Nell’VIII sec a.C. la prima olimpiade consacra e consegna alla storia il valore sublime dello sport: l’agon , la
spinta verso la competizione che da anche impulso alla vitalità creativa, all’ansia di superamento, che sono
tutti elementi strettamente connessi al desiderio di fama e di immortalità. I valori della religiosità, del mito,
del coraggio, della virtù, i concetti di bontà e di bellezza interconnessi e immortalati nelle statue degli atleti
di Sprassitele o Policleto, si fondano e si manifestano in forma attiva nell’agon dei giochi di Olimpia. Lo
sport si sublima e diventa espressione di una realtà trascendente, di una religione più alta e potente che pone
fine alle guerre e alle contese. Quando ogni 4 anni i tre espondofori o araldi di pace, dalla religione di Elide
si recavano in ogni città per annunciare la sacra tregua olimpica, la vita quotidiana sembrava restare sospesa.
Nell’estate torrida mediterranea a Olimpia giungevano cittadini di tutte le grandi e piccole città stato, come
mercanti, poeti, filosofi, illustri magistrati, eroici guerrieri. Tutti percorrevano in armonia e in concordia le
vie della città in cui anche i sogni di pace sembravano diventare realtà. Con la conquista romana, la
coscienza sportiva propria dei greci, si andò affievolendo e ciò avvenne nei secoli successivi anche per
influsso del Cristianesimo che per alcuni infrangeva l’unità fra corpo e spirito tipica dei greci, della calocai
agatìa , cioè il concetto della bontà insita nel corpo bello. In realtà i cristiani dei primi secoli costretti anche a
rifugiarsi nelle catacombe durante le persecuzioni non potevano certo rivolgere la mente ai trionfi degli atleti
(si deve precisare che in nessun passo del Vangelo o nelle parole degli apostoli sono contenute espressioni di
condanna per le olimpiadi). Invece un eretico, il vescovo scismatico e antipapa Novaziano, nel suo trattato
De Spectaculis manifesta la propria contrarietà agli spettacoli dello stadio. Inoltre Novaziano affermava che i
cristiani devono allontanare la vista e l’udito da spettacoli privi di contenuto o che risultano pericolosi e di
cattivo gusto. A parte tali critiche risulta comprensibile un’eclissi delle attività sportive in età cristiana e
medievale. Tale oscurità non è stata causata dai critici che affermavano che migliorare il corpo poteva
diventare motivo di peccato ma piuttosto dalle distruzioni, dalle pestilenze e dalle rovine che per tutto il
periodo furono la conseguenza delle invasioni e delle dominazioni barbariche. Le popolazioni si rifugiavano
nella religione e nell’ascetismo anche a causa dell’estrema precarietà dell’esistenza umana, nella quale
poteva trovare spazio solo la preoccupazione di sopravvivere.
Nel Medioevo rinascono le basi dello spirito sportivo, in quanto attraverso le invasioni dei popoli germanici,
il sangue romano comunque trova nuova linfa: intorno al Mille, con Carlo Magno; sorge una nuova civiltà
dalla fusione tra il vecchio e nuovo. Si diffondono i romanzi cavallereschi e le saghe dei popoli nordici che
propongono in maniera naif immagini di sport. Non ricompaiono gli spettacoli ginnici e atletici ma rinasce
l’agon nelle giostre dei cavalieri e dei tornei. Nell’istituzione della cavalleria, in particolare, rinasce si
diffonde e si trasmette l’olimpismo greco. Il cavaliere infatti mostra il proprio valore e mostra la propria
forza non solo in battaglia ma anche nel torneo che era definito il grande sport del Medioevo, in cui ispirato
sempre dal sentimento dell’onore e dal senso di competizione, ogni cavaliere gareggiava con rivali degni di
lui. Alla fine del Medioevo e all’inizio del Rinascimento comincia a rinascere una certa concezione sportiva.
Ma è solo nel sec. XIX che in Inghilterra si sviluppa, si organizza e si diffonde in tutto il mondo lo sport
moderno.

IL XIX SECOLO E LA RINASCITA DELL’ ATTIVITA’ SPORTIVA


Lo sport, come sistema strutturato e dotato di regole autonome, si inserisce in una costante dialettica con i
vari ordinamenti giuridici. Si inserisce nel portamento della cultura e dei valori della società di ogni tempo.
Pierre de Fredi, barone di Coubertin propone al Congresso Internazionale degli sport atletici, tenutosi presso
l’università della Sorbona di Parigi, la restaurazione dei Giochi Olimpici con modalità conformi alla
necessità del tempo presente.
De Coubertin riassume le vicende dell’attività fisica nella società europea facendo riferimento
principalmente alle città che egli definisce le capitali dell’attività sportiva nel mondo moderno. Esse sono:
Berlino, Stoccolma e Londra.

LA SCUOLA DI BERLINO
Friedrich Ludvig Jahn è considerato il padre della ginnastica tedesca per aver creato, nel 1811, la Turnplatz
nella Brughiera delle lepri, vicino Berlino.
Jahn, imbevuto di principi nazionalistici e spinto da sentimenti patriottici, dopo la sconfitta di Jena nel 1807
ad opera della Francia, elabora e realizza una ginnastica POLITICO-MILITARE, capace di contribuire alla
cosiddetta “rivincita” del popolo tedesco. Jahn, sostituisce at termine classico di Gimnastik, il termine
medioevale di Turnen, che inquadra a pratica ginnica in una prospettiva di mobilitazione anti-francese.
Jahn parla del rilancio dell’identità nazionale ed imprime alla ginnastica una svolta in senso militare. Gli
esercizi motori disciplinati diventano l’attività che rinsalda lo spirito del popolo tedesco e diventa l’attività
caratterizzante di quella comunità tedesca composta da individui della stessa razza, con la stessa storia e
cultura i quali consci di un destino comune, si preparano per la difesa e per la grandezza della propria patria.
Jahn si propone tutto questo attraverso la diffusione capillare dell’attività ginnica, inserita in un intenso
movimento di mobilitazione che si rispecchia insieme nel rilancio dell’esercito prussiano e nelle aspettative
di nuovi spazi e di nuovi orizzonti consoni alle aspettative e alle pretese del sentimento dell’identità culturale
nazionale. Lo stesso Jahn sarà alla testa dei suoi allievi durante l’ultima fase della guerra contro Napoleone.
Gli eccessi nazionalistici della scuola di Jahn condussero nel 1819 ad una Legge di Repressione delle
ginnastica ( Turnsperre): la ginnastica viene vietata e Jahn viene incarcerato.
Molti dei suoi sostenitori fuggono all’estero, soprattutto in Svizzera e negli U.S.A. Jahn riceve asilo politico
in Svizzera nonostante la minaccia di una reazione prussiana.
Sono diversi gli orientamenti pedagogici di un altro maestro Adolf Spiess, che svolse la sua opera prima a
Berna e poi a Basilea. La scuola di Basilea è impiantata a principi meno rigidi che lo Spiess espone nella
sua dottrina della Ginnastica nella quale viene operata una trasformazione della disciplina che non è più
concepita solo come una pratica nazionalistica ma diventa una disciplina scolastica.
Nella dottrina di Spiess la ginnastica è finalizzata alla formazione del corpo quale preparazione alla vita
intesa in senso borghese e capitalista e il suo obiettivo principale è quello di coltivare il corpo facendo in
modo che esso acquisti non solo la salute ma qualità fisica come la Destrezza e la Forza.
Altro obiettivo della dottrina di Spiess è quello di preparare l’individuo ad affrontare Doveri e Rischi della
vita sociale e di fargli acquistare le competenze fisiche adatte a svolgere il compito di soldato. Spiess
contribuisce soprattutto a dare il contenuto disciplinare e scolastico alla ginnastica che ora è concepita
essenzialmente come strumento etico e di educazione.
Spiess è dunque l’ideatore della Ginnastica Pedagogica, per cui la sua dottrina è praticamente un codice
didattico da utilizzare in qualsiasi circostanza. Il codice della ginnastica di Spiess si ispira ai movimenti
naturali, nel suo manuale sono consigliati esercizi ordinati a corpo libero e con attrezzi. Si tratta di esercizi
pianificati, da eseguire in rigida e meccanica sequenza. Sul codice di Spiess si viene a fondare una vera e
propria disciplina scolastica che ha bisogno di spazi propri, di palestre e di campi aperti. Una sua grande
novità consiste nel fatto che la ginnastica adeguatamente differenziata, entra persino nell’educazione delle
donne. Contemporaneamente alla nuova pedagogia atletica, nel mondo germanico-prussiano nasce e si
diffonde anche la Turnerschaft (l’associazione ginnica tedesca) , che richiamandosi alle teorie di Jahn, si
propone di rafforzare i tipici ideali germanici. Infatti per la nuova ginnastica nazionalistica, che si richiama a
Jahn, il ginnasta doveva possedere precise qualità perché doveva mostrarsi: fresco, libero, lieto e pio.
L’affermazione e la diffusione dell’associazione ginnica tedesca sono connesse al processo di unificazione e
di conquista dell’identità nazionale tedesca, ma sono anche connesse ad un processo si socializzazione tanto
che nel 1892 nascerà anche la Abeiter Turner Bund, un associazione ginnica voluta dall’organizzazione
socialista. Le idee teorizzate dalla Turneschaft (ass. ginnica ted), saranno diffuse dagli emigrati tedeschi
anche negli U.S.A. dove viene fondata una società ginnica che ha come modello l’atleta fresco libero forte e
devoto.

SETTIMA LEZIONE

IL MODELLO SVEDESE
Il 5 maggio 1813 sorge a Stoccolma il Reale Istituto Centrale di ginnastica, cioè la scuola in cui si delinea il
modello svedese dell’ atleta . Fu essenziale nella fondazione del reale istituto l’opera di Pehr Ling, che si era
formato seguendo le teorie di Jahn, in un suo lungo soggiorno in Germania, Ling è il sostenitore della
cosiddetta ginnastica razionale, cioè di una ginnastica che puo’ essere realizzata in senso medico , in senso
militare e anche in senso estetico e in senso pedagogico.
Ling infatti elabora una teoria dei movimenti del corpo conformi alle leggi dell’ organismo umano,
una teoria finalizzata a raggiungere non soltanto un perfetto stato di salute ma soprattutto la più alta unità
organica tra corpo ed intelletto. Anche la scuola ginnica svedese è ispirata alla formazione dell’ individuo
basata su regole medico-igieniste ed eugenetiche , che hanno cioè come obiettivo il miglioramento e la
salvaguardia della razza anche se va a moderare alcuni degli eccessi della teoria nazionalistica di Jahn. Nella
scuola svedese agli albori del ‘900 sarà elaborato per la prima volta il concetto di fitness che in meno di un
trentennio si diffonderà in tutta Europa.

IL MODELLO INGLESE DI ATLETA


Anche nella società inglese lo sport ha una grande importanza nell’ educazione del cittadino, ma la
concezione di atleta è diversa da quella del modello svedese. Il filosofo John Locke affermava che il
fanciullo doveva formarsi attraverso il libero gioco senza essere plagiato da nessuno. Riguardo la ginnastica,
essa era utile ed importante perché educava all’esercizio del dominio di sé, e quindi educava a tenere a bada
gli istinti ed i desideri smodati tipici degli adolescenti.
Quindi una sana attività ginnica abituava l’individuo a rafforzare il corpo con i sacrifici e le privazioni, in tal
modo sia il corpo che lo spirito acquistavano forza e volontà. In Inghilterra l’attività sportiva segue
sostanzialmente due linee di sviluppo, la cosiddetta sportyfashion, cioè la trasformazione in sport di antiche
millenarie tradizioni come le corse dei cavalli o la caccia alla volpe e l’istituzionalizzazione dei giochi
sportivi che avvenivano in inverno nelle Public School, le esclusive scuole superiori della gentry inglese. La
gentry inglese nel XVII sec. Era una classe sociale intermedia tra l’aristocrazia e la borghesia, essa era
costituita da grandi e piccoli proprietari terrieri e dai piccoli ereditieri detti Gentlemen. La county gentry o
gentry maggiore si distingueva dalla parochial gentry o gentry minore in quanto la prima possedeva maggior
potere della seconda e deteneva cariche piu’ o meno importanti nelle varie contee, come ad esempio le
cariche di sceriffo, di giudice di pace ecc…
Nel 1617 il re Giacomo I emanò la prima declaration of sports in cui indicava le attività sportive che il
popolo poteva praticare. Verso la fine dello stesso 1600 suo nipote Carlo II si interessava degli sport ippici e
così 50 anni dopo, nel 1751 fu fondato a Londra il Jockey Club con il compito di regolare le corse dei
cavalli. Sempre a Londra nel 1780 Edward Stanley,12° conte di Derby, istituisce la gara ippica che ancora
porta il suo nome, e cioè il derby che si corre per la prima volta il 4 maggio 1780 all’ ippodromo di Epsom
che era una cittadina della contea del Surrey.
Nel 1788 viene fondato invece il Marylebone club che si preoccupa di rendere uniformi le regole del
popolare gioco del cricket. L’origine del nome cricket potrebbe derivare dalla parola fiamminga CRICK
cioe’ bastone, a testimonianza degli scambi economici del sud dell’ Inghilterra con le Fiandre. Nel 1300
alcuni pastori fiamminghi avrebbero portato nell’ Inghilterra meridionale questo gioco simile nella sostanza
al baseball in cui invece del tipico bastone si usava e si usa una mazza piatta.
Durante il 1600 si verifica la crescita della pratica di questo gioco e al termine del secolo già vengono
registrate le prime partite con delle squadre organizzate. Si gioca in un campo in erba dalla forma ovale e
rettangolare e dalle dimensioni non precisate, al centro del prato è collocata una corsia dove l’ erba è rasata
molto corta e questa corsia è lunga 20 metri e larga 3 , chiamata Pitch che rappresenta l’ area di lancio. Ai
due estremi sono posti 3 paletti sovrastati da una traversa di legno che formano il ticket o la base, davanti al
ticket si pone il battitore , dietro al ticket vi è un wicket-keeper che ha i compito di prendere le palle che il
battitore non riesce a colpire ed evitare che queste finiscano fuori campo assegnando così il punto
all’avversario. Data la sua posizione subito dietro il battitore, il wicket-keeper ha buone probabilità di essere
colpito con la mazza del battitore, per questo è anche l’unico giocatore a cui è concesso indossare particolari
protezioni oltre ad un guanto per proteggersi la mano nella presa della palla. I punti si fanno correndo tra le
due basi (tra i wickets), per segnare, il battitore, dopo aver colpito la palla, deve correre verso il wicket del
lato opposto dell’ area di lancio, mentre contemporaneamente il suo compagno, che non ha seguito la battuta
e si trova al lato opposto, correva verso la linea di battuta, per questo il punto è detto RUN o corsa e i
giocatori, mentre eseguono la corsa sono detti RUNNERS.
Ogni volta che i battitori si scambiano di base toccando il terreno con la mazza viene assegnato il punto.
Scopo del gioco, come quello che sarà il baseball, è quello di mettere a segno più punti possibili e di non
farsi eliminare quando si è in battuta e viceversa di non far segnare punti e invece eliminare i battitori
avversari quando questi sono al lancio. La vera particolarità di questo antichissimo gioco è stata fin dall’
origine il suo carattere assolutamente corretto e pacifico. Il manuale che da sempre porta il nome di leggi del
cricket sottolinea nella sua premessa che esso deve essere giocato non soltanto secondo le relative leggi e
regole ma anche secondo lo spirito del gioco. Qualsiasi azione che viene vista contraria a questo spirito del
gioco o spirito di fair play, causa un danno al gioco stesso. La responsabilità principale di assicurarsi che il
gioco sia condotto secondo lo spirito del fair play compete ai capitani. Nel manuale sono anche elencate una
serie di regole che solitamente negli altri sport sono non scritte e sono affidate al buon senso dei giocatori.
Queste regole comprendono ad esempio il rispetto verso l’avversario e verso gli umpires ,cioè gli arbitri del
cricket, e verso i valori tradizionali del gioco; comprendono inoltre il divieto di indirizzare verso un umpires
e verso gli avversari parole irrispettose e offensive. È addirittura vietato avanzare verso un umpires o verso
un avversario con un passo aggressivo e soprattutto vi è la condanna assoluta di qualsiasi atto violento tra i
giocatori sul campo di gioco.

SPORT PRATICATI ALL’ INTERNO DELLE PUBLIC SCHOOLS


Riguardo agli sport ben più scatenati ed accaniti praticati all’ interno delle public schools, Thomas Arnold ,
headmaster (preside) del college di Rugby, tra il 1828 e il 1842, organizzò gare di quello sport piuttosto
violento che proprio dalla stessa località prese il nome di Rugby. In realtà alcuni affermano che il rugby fu
inventato da un tale William Webb Ellis per trasgressione delle regole del football, cioè, con l’introduzione
della possibilità di portare la palla con le mani. Il football era diffuso in Inghilterra a livello nazionale fin dal
1300 nelle due antiche varianti dell’ Hurling at gol e dell’Hurling to the country. L’Hurling era un antico
gioco di squadra irlandese velocissimo praticato con una palla ed una mazza, importato poi tra i contadini
inglesi ed era cosi’ violento da essere poi anche vietato. Nella prima variante l’hurling at gol, la palla doveva
essere gettata nella porta avversaria , la seconda versione, l’ hurling to the country consisteva invece in una
vera e propria battaglia per riuscire a portare la palla nel villaggio avversario. In Italia nel medioevo il calcio
fiorentino si giocava nelle piazze delle città e consisteva in uno scontro tra due squadre di 27 giocatori che
dovevano condurre un pallone oltre la metà avversaria utilizzando i piedi e le mani, queste ultime fasciate
con un bracciale di legno utilizzato per colpire con forza la palla ; le conseguenze di una partita erano cruente
e spesso mortali. Il vero e proprio antenato del gioco del pallone era l’ Arpastrum che consisteva nello
strappare la palla ad una folla di contendenti e venne esportato dai legionari dell’impero romano fino
all’Inghilterra . Il football vero e proprio è invece lo sport preferito praticato in altre Public Schools come ad
esempio i colleges di Eton, di CharterHouse, di Harrow, di westminster dove trovarono codificazione le
regole della variante definita come Football Association. In realtà al preside Arnold della città di Rugby si da
il merito di aver contribuito più di ogni altro alla nascita della formazione sportiva per mezzo della
codificazione e per mezzo dell’utilizzazione dello sport nell’ educazione delle classi dirigenti inglesi. Tra
l’altro ciò accadeva in un momento decisivo dello sviluppo sociale e culturale dell’ Inghilterra, che era
protesa verso la costruzione di un grande impero coloniale. Lo stesso preside Arnold di Rugby, sempre
utilizzando lo sport come strumento educativo, da il via ad altre numerose manifestazioni che sono divenute
poi classiche come ad esempio la regata tra Oxford e Cambridge, due sedi universitarie che sono sempre
state molto in competizione tra loro. Così la pratica sportiva si diffonde anche nelle università, ma nelle
università i tradizionali giochi sportivi spontanei vengono ammessi, organizzati e istituzionalizzati per
evitare eccessi anche violenti legati alla rivalità e all’agonismo, ossia legati al senso di competizione. Così,
grazie alle varie regolamentazioni degli sport, nell’ ambiente universitario inglese, tranquillità e ordine
aumentano considerevolmente. Il sistema educativo inglese è dunque basato essenzialmente sul fattore
sportivo e le sue qualità si esprimono al meglio nelle scuole in cui i ragazzi vengono educati sia dal punto di
vista intellettivo, che dal punto di vista fisico, senza che un aspetto prevalga sull’ altro. Dalle università lo
sport si trasferisce quasi naturalmente nella vita sociale dei ceti medio-alti, cioè i ceti di appartenenza degli
studenti universitari e in questo contesto nasce la nozione di leisure time (tempo libero), cioè di tempo nè
dedicato al lavoro e nè al riposo. Si fa strada in tal modo la caratteristica fondamentale dello sport inglese
che può essere definito come la pratica di giochi competitivi durante il periodo di leisure da parte delle classi
elitarie, dove si intende per leisure il tempo libero dedicato alle attività di puro piacere. Nasce così quello che
sarà chiamato il dilettantismo così come definito e codificato dai gentlemen ex universitari della Amateur
Athletic Club, fondato a Londra nel 1866. Vi è chi definisce questa esperienza come il primo esempio di
istituzione sportiva moderna che trasferisce lo sport dall’ambiente scolastico e universitario alla dimensione
del tempo libero dei gentlemen. Tale processo di diffusione dell’ attività sportiva è certamente lontanissima
dal sistema della ginnastica militare e patriottica del modello Prussiano-Tedesco ed anche diverso dalla sua
differente ideologia. Sul finire del 1800 avviene però in Inghilterra la grande diffusione e socializzazione
dell’ attività sportiva. Emergono in modo dirompente gli altri ceti sociali e con l’inarrestabile processo di
sportisation popolare, lo sport da pratica del tempo libero a carattere ludico-competitivo riservato a ceti
elitari , riesce ad emergere e si impone diventando uno spettacolo fruibile dalla masse. Ne è un esempio il
football. Il gioco del calcio infatti allontanandosi ben presto dai confini ottocenteschi elitari e amatoriali tra il
1880 e il 1890, diventa una delle più tipiche manifestazioni dello svago operaio. Infatti già il 2 ottobre 1962
si riuniscono a Londra nella famosa Freemason Tavern di Holborn, i rappresentanti di undici squadre
amatoriali di football e costituiscono la football association o F.A. che invece negli U.S.A. successivamente
viene chiamata Soccer. I rappresentanti delle squadre di dilettanti riuniti nella taverna di Holborn, impiegano
più di un anno per concordare le regole di gioco e l’organizzazione del gioco. Successivamente si
propongono e si concordano i tornei . Nel 1872 si istituisce la football association cup, nel 1873 la coppa di
Scozia, mentre nel 1888 inizia il campionato inglese di lega. La prima società calcistica del mondo è lo
Sheffield Club che viene fondato nel 1855. Successivamente dalla passione degli imprenditori, dei ceti medi
e degli operai sorsero via via tutti gli altri club: il Manchester United nacque nel 1885 grazie ad un gruppo di
ferrovieri , il Coventry nel 1883 ebbe origine per iniziativa degli operai di una fabbrica di biciclette, il West
Ham united e l'Arsenal nacquero ad opera di operai del settore industriale. Nasceva intanto nel 1886 l'
L'International Football Association Board ( I.F.A.B. ), quella che qualcuno definisce la suprema corte delle
regole del gioco. Ancora oggi l' I.F.A.B., anche se integrata nella struttura della FIFA e anche se è composta
da solo 8 membri, ottiene il potere di stabilire qualsiasi innovazione delle regole del gioco del calcio a livello
internazionale e nazionale, vincolando alla loro osservanza tutte le federazioni, tutte le organizzazioni e tutte
le associazioni calcistiche che praticano il calcio a livello professionale e dilettantistico. In Inghilterra viene
istituzionalizzato anche il ruolo dell' arbitro, infatti nel 1889 per la prima volta, al Referee, cioè proprio all'
arbitro, armato di fischietto, viene affidato il controllo del match. Dopo la conclusione della prima fase del
processo di istituzionalizzazione dello sport, in Inghilterra le pratiche sportive si estendono alle classi
emergenti, ponendo così il presupposto del riconoscimento della funzione sociale dello sport.

IL MODELLO FRANCESE
La Francia diversamente dall’Inghilterra, risente l’ influenza delle teorie tedesche in tema di attività ginnica e
sportiva. Più precisamente, nei primi decenni dell’800, le attività ginniche vengono introdotte a Parigi dallo
svizzero Heinrich Clias e dal colonnello di origine spagnola Francisco Amoros. Entrambi insieme ad Adolf
Spiess adottano anche per la Francia come per la Germania e la Svizzera quel modello di ginnastica
finalizzata alla formazione del corpo quale preparazione alla vita e allo sviluppo di destrezza, forza fisica e
delle altre attività necessarie alla vita del cittadino soldato. A partire dal 1917 Amoros tiene a Parigi nello
spazio attrezzato di Grenelle, corpi di ginnastica militare e civile. Successivamente Amoros pubblica il suo
manuale completo di educazione fisica, di ginnastica e morale che avrà una lunga e notevole influenza nella
società francese. Sorge infatti a Parigi nel 1852 la Scuola Normale di ginnastica che si afferma ben presto
come il più importante istituto di educazione fisica militare ma anche civile della nazione. La disciplina si
diffonde rapidamente nelle scuole e per iniziativa di Eugene Paz si diffonde anche nella società civile grazie
all’ istituzione della prima società parigina di ginnastica. Dopo la sconfitta subita nel 1870 ad opera della
Prussia, sconfitta che aveva comportato la perdita delle due importanti regioni francesi dell’ Alsazia e della
Lorena, ha un nuovo impulso l’attività ginnica di tipo tedesco. Nell’ ottica della programmata rivincita, il
servizio di leva obbligatorio diviene triennale e si assegna un ruolo essenziale alla ginnastica che si pensava
avesse dato un contributo fondamentale alla vittoria ottenuta dai Prussiani.
Così in Francia una legge del 27 gennaio 1880 sancisce l’ obbligatorietà della ginnastica e nel 1882 vengono
istituiti i battaglioni scolastici che avranno fortuna per oltre un decennio.
Dunque nella prospettiva della rivincita contro la Prussia è proprio lo Stato francese che incoraggia la
formazione di società ginniche a carattere patriottico che non trascurano però di coltivare anche la
dimensione spettacolare dello sport e di esaltare dell’agonismo le fondamentali specifiche militari come il
coraggio, lo spirito di sacrificio ecc. La stessa unione delle società di ginnastica di Francia che venne
fondata nel 1873 ad imitazione di quanto era avvenuto nel mondo germanico, diffonde un motto di tre parole
che sono patria, coraggio e moralità. Si può affermare che le forme di pratica e di diffusione della ginnastica
sviluppata in Francia e in Germania, presentano delle grandi analogie, tuttavia anche se l’ attività ginnica
francese ha un impostazione decisamente patriottica e militare, ciò non impedisce la diffusione di altri tipi di
sport nel paese; nasce nel 1873 il club alpino francese e nel 1885 comincia il successo dell’ ippica che resterà
lo sport più diffuso fino al 1903. Infatti nel 1903 la popolarità del ciclismo arriva al culmine e consacra il suo
primato nazional - popolare con lo svolgimento del primo Tour de France, invece i cosiddetti sport inglesi,
come il tennis e il canottaggio sono meno popolari in Francia dato che visto le grandi disuguaglianze presenti
nella società francese sono praticati a livello amatoriale o solo nei circoli esclusivi. Nel 1872 sorge
all’interno del Club Atletico di Le Havre, la prima associazione calcistica continentale, essa pratica un misto
tra rugby e football che viene chiamata combinaison. Nel 1888 grazie barone Pierre De Coubertin, nasce il
contratto francese per la diffusione degli esercizi fisici nell’ educazione. Viene fondata successivamente la
lega nazionale dell’ educazione fisica e poi sorgono rispettivamente l’unione della società francese di corsa a
piedi e nel 1889 l’ unione delle società francesi degli sport atletici (U.S.F.S.A.); quest’ ultima sempre a
carattere dilettantistico però ha una vastissima diffusione. Il De Coubertin contesta tanto la visione patriottica
militare della scuola germanica quanto lo sport da tempo libero della società inglese, anzi egli è contrario al
termine sport tout court. Egli sostiene infatti che il termine da privilegiare è quello di atletismo e rifiuta
qualsiasi accostamento a quelle che lui chiama esibizioni da spettacolo e l’ attività connessa al solo leisure,
perché secondo de Coubertin, le performances spettacolari sono imbevute di mondanità, mentre le attività
connesse al semplice svago sono frutto di cattiva anglomania. De Coubertin infatti rivaluta il valore
educativo dello sport che si realizza pienamente solo per chi realizza l’atletismo rendendo etico lo sport e
dato che i greci avevano realizzato l’ atletismo, ciò poteva ancora avvenire unicamente col ritorno ai valori
dell’ olimpismo e con il ripristino dei giochi olimpici dopo gli ultimi celebrati nel 393 d. c.
OTTAVA LEZIONE

L’esperienza italiana e il modello di Torino.


Nel 1833 giunge a Torino lo svizzero Rudolf Oberman, ginnasta risultato vittorioso nelle gare federali di
Zurigo. Egli era un convinto sostenitore del metodo dello Spiess, sia per la pratica degli esercizi a corpo
libero,sia per l’evoluzione agli attrezzi,ed era un convinto sostenitore,anche, della formazione del cittadino
soldato. Cesare Saluzzo, il comandante dell’accademia militare Torinese, diede ad Oberman l’incarico di
insegnare ginnastica al corpo degli artiglieri. Nella Torino degli anni pre-48,( anni in cui si avvertivano nello
stesso tempo sia i fermenti risorgimentali sia i primi germi di sviluppo industriale, di urbanizzazione e di
aspettative proletarie) nacque attorno ad Oberman un vasto consenso soprattutto tra gli intellettuali, i quali
individuarono anch’essi nella pratica ginnica un utile strumento per la formazione morale e civile del
cittadino. Già nel 1840 l’istruzione ginnica compare negli asili di infanzia, secondo il disegno di Camillo di
Cavour. Intanto la palestra militare del parco del Valentino vedeva crescere giorno dopo giorno il numero di
frequentatori al corso di ginnastica. Oberman propose di costituire una società libera di ginnastica, che
prevedeva un raduno due volte alla settimana: il giovedì e la domenica. Essi presero in affitto un locale che si
trovava tra il corso del re e l’antico Viale del Valentino, dove eressero una tettoia per effettuare gli esercizi al
coperto. La società dotata di uno statuto, era ufficialmente costituita e aveva lo scopo di procurare ai soci un
regolare coso di lezioni, di fornire lezioni di educazione fisica ai loro figli e ad un numero di fanciulli poveri
da loro proposti. Altro scopo della società libera di ginnastica era anche quello di formare i futuri maestri di
ginnastica per diffondere gli esercizi ginnici tra la gioventù. In una grande campagna di stampa, Carlo
Boncompagni su un periodico intitolato: ”Letture di famigla”, scriveva che la ginnastica doveva essere
raccomandata agli uomini del popolo, ai quali doveva essere insegnata anche più che agli altri perché, a sua
dire, li addestrava agli esercizi nei quali buona parte di essi doveva impiegare la propria vita. Per questo,
sosteneva Boncompagni, gli esercizi ginnici riuscirebbero utilissimi ai soldati, ai marinai, ai barcaioli, ai
copri tetti, ai muratori, cocchieri. Inoltre si sosteneva che dall’educazione ginnica scaturivano non poche
utilità morali, in quanto la pratica ginnica scuoteva gli animi dalla mollezza e dalla pigrizia, che sempre e
soprattutto nella prima gioventù sono fonte di inclinazioni funeste. Sulla gazzetta piemontese “Felice
Romani”scriveva che l’educazione fisica e la ginnastica agevolano l’educazione morale, in quanto lo spirito
prende forza e vigore dal vigore del corpo. La diffusione della ginnastica nell’ambiente torinese ebbe cosi un
grande impulso. Nel 1867 la società di ginnastica istituì, per incarico del municipio di Torino, il primo corso
gratuito di ginnastica per le maestre municipali. Questo primo corso magistrale femminile aveva sia lo scopo
di formare abili maestre e sia quello di influenzare l’opinione pubblica per vincere la diffidenza delle
famiglie verso la ginnastica femminile. Naturalmente la ginnastica impartita alle donne doveva astenersi da
qualsiasi uso di ogni genere di attrezzi e l’insegnamento era limitato agli esercizi elementari, a passi ritmici,a
marce e a giochi ginnici . Mentre ad Oberman e ai soci della libera società di ginnastica giungevano
dimostrazioni di stima da parte di molti illustri pedagogisti; per tal motivo la palestra creata nel 1844
diventava insufficiente per accogliere il sempre più crescente numero di sportivi. Nel 1851 il muncipio di
TORINO concedeva alla società ginnastica l’uso gratuito di un terreno nel sito dell’antica Piazza D’armi in
cambio del diritto di inviare nella scuola gratuita 60 allievi delle scuole pubbliche elementari. Fu eretta una
nuova sede, progettata dall’ing. Ernesto Camuso con i fondi raccolti tra i soci con l’emissione di 200 azioni.
Con regio decreto il 13 luglio 1861 fu istituito un corso magistrale gratuito presso la società ginnastica a cui
era affidata la direzione e l’insegnamento. I corsi si svolgevano ogni anno da Agosto ad Ottobre e avevano lo
scopo di formare gli insegnanti di ginnastica. Essi erano tenuti da Rodolfo Oberman e da Alberto Gamba per
la parte di anatomia e igiene. Nello stesso anno la società ebbe l’incarico di insegnare ginnastica agli allievi
delle scuole secondarie per tutto l’anno scolastico. Fu necessario quindi la costruzione di una nuova palestra
coperta che comprendeva una vasta sala dotata di tutti gli attrezzi e poteva accogliere fino a 150 allievi. Non
mancavano un loggione per gli spettatori, delle salette destinate alla ginnastica femminile, sale destinate alla
scherma e ai soci adulti. La palestra esterna poteva accogliere ben 400 allievi. Autorizzando l’apertura del
primo corso magistrale femminile governativo il ministro della pubblica istruzione raccomanda
l’introduzione dei primi attrezzi come la trave di equilibrio e le parallele nella ginnastica femminile, ma
soprattutto il ministro ricordava come il carattere distintivo di questa scuola era la riservatezza femminile.
Seguendo questo metodo e spingendo la riservatezza a non permettere mai che i maschi, compresi i padri di
famiglia, assistessero ai saggi di ginnastica femminile, la società ginnastica si assicurò il favore delle madri
e dell’opinione pubblica. Per tutto l’anno, oltre a tenere corsi per i soci, la società organizzava attività per
bambini e ragazzi e per bambine e damigelle. Mentre nei mesi estivi il lavoro si svolgeva soprattutto con gli
allievi dei licei e degli istituiti professionali e tecnici. Nel 1866 la società ginnastica fondò una scuola di
nuoto sul fiume Po nei pressi del castello del Valentino che venne frequentata soprattutto dagli allievi delle
scuole superiori. Negli stessi anni, sempre per gli studenti, vennero istituiti dei corsi di scherma, di tiro a
segno e di equitazione. Intanto la riforma Casati del 1859 rendeva obbligatorio lo studio della ginnastica
negli istituti di istruzione secondaria e riservava al ministro della pubblica istruzione la nomina del maestro
di ginnastica e dell’istruttore militare. In occasione dell’esposizione nazionale del 1898 si svolse un concorso
a cui parteciparono oltre 2000 atleti e in esso la società ginnastica di Torino ottenne il diploma di grande
medaglia d’oro. Invece al concorsi ginnastico federale internazione organizzato in occasione dell’esposizione
di Torino nel 1911 presero parte circa 25 mila atleti. Le gare si articolavano in un concorso preliminari tra gli
allievi delle scuole elementari di Torino seguito dal concorso degli allievi delle scuole maschili e femminili
di tutta Italia. Poi si svolse un concorso tra le società di ginnastica italiane e straniere; e infine si svolse un
concorso nazionale militare con la partecipazione dell’esercito, della marina e della guardia di finanza. Infine
nel 1912 ai giochi di Stoccolma la società ginnastica torinese conquistò la medaglia d’oro nel concorso
completo generale a squadre. Come si è osservato, l’attività ginnica nel regno di SARDEGNA si colloca nel
sistema classico di stampo patriottico militare di modello germanico di importazione francese e si diffonde
dall’esercito alla scuola alla società civile. Dopo l’unità d’Italia lo sviluppo delle istituzioni sportive procede
in parallelo con la piemontizzazione del regno d’Italia , vale a dire in considerazione di una unificazione
rapidissima. Il primo momento dell’unità vede l’istituzione amministrativa e politica del Piemonte
semplicemente estendersi a tutta la penisola. Analogamente il modello torinese resta esemplare nel campo
delle istituzioni sportive e soprattutto ginniche anche dopo il trasferimento della capitale a Firenze e a
Roma. Dopo l’annessione del regno di Napoli Francesco de Sanctis divenne ministro nel primo governo
d’Italia unificato da Cavour e nell’emanare nel 1862 alcune disposizioni finalizzate all’eliminazione della
resistenza dell’opinione pubblica che riteneva la ginnastica attività alquanto pericolosa per la salute dei
giovani ribadiva che la ginnastica era innanzitutto istruzione militare che comprendeva una parte di
esercitazione di livello inferiore destinate a tutte le scuole secondare formate da schieramenti,marce, ed
evoluzioni ginnastiche militari e vari esercizi con gli attrezzi;mentre la parte di esercitazione di livello
superiore era destinata alle ultimi tre classi del liceo e prevedeva esercizi di maneggio delle armi di
schieramento e di evoluzioni, la scuola di tiro al bersaglio col fucile una serie di giochi applicati ai
movimenti militari. Le finalità di questo tipo di istruzioni erano molto esplicite sviluppare e rendere
progressivamente perfette le facoltà fisiche affinché si preparasse la gioventù studiosa agile e robusta.
Quindi si preparava questa gioventù ad essere utile non solo con l’istruzione della mente e con l’educazione
del cuore ma anche con la prontezza del braccio, a protezione della libertà e della patria comune. Le
motivazioni di tale ginnastica fortemente militarizzata vanno individuate soprattutto nell’urgenza di
costituire una sorta di nazione in armi sempre pronta ad imbracciare un fucile per la protezione dei giovani
confini nazionali. Malgrado le buone intenzioni e le supreme urgenze di difesa la ginnastica militare non si
diffuse come previsto. Nel 1864 solo il 56% delle scuole secondarie aveva attivato l’insegnamento ginnico;
solo dal 1870 si avrà un’espansione totale dalla ginnastica nelle scuole medie regno d’Italia. Resta però del
tutto evidente la chiara impostazione culturale della ginnastica che entra nelle scuole pubbliche che è pur
sempre quella della ginnastica educativa di Oberman. Tale impianto resterà riconoscibile anche nella scuola
del 900 dall’età di Giolitti al fascismo ai primi anni della repubblica le caratteristiche della ginnastica
insegnata a scuola conserveranno un diretto legame con le scelte dell’origine ma sul finire del secolo esplode
la polemica tra i fautori dell’apertura dei sistemi inglesi allo sport e gli esponenti ministeriali legati alla
tradizione dell’attività ginnica di tipo patriottico risorgimentale. Assieme ad altri educatori, il fisiologo e
pedagogista Angelo Mosso faceva notare che la stessa Germania, da lui definita madre dell’attività ginnica
aveva oramai abbandonato la pratica del c.d. ginnastica delle scimmie cioè quella fatta di esercizi di palestra
e di movimenti ordinati e aprendo la strada agli sport educa la sua gioventù con metodi e criteri sportivi.
Anche in Italia dunque andava incoraggiata la ginnastica agonistica e quella caratterizzata da giochi
competitivi e dall’emulazione delle squadre. E così nei nuovi programmi scolastici di fine secolo si parla per
la prima volta di educazione fisica e vengono in essa introdotti giochi che hanno origine nella tradizione
italiana come ad esempio il gioco della palla e altri giochi di netta marca inglese come il football volley,
cricket e low tennis che poi assume la definizione di tennis su campo erboso quando i termini anglofoni di
tutte le federazioni saranno italianizzati(col fascismo accade tutto ciò)Malgrado la ferma opposizione della
federazione ginnastica nazionale che ribadiva il primato della ginnastica tradizionale immune dal virus
dell’agonismo con la legge 805 del 1909 nei governi Giolitti e Sannino viene a disciplinarsi la disciplina
dell’educazione fisica che comprende giochi ginnici, ginnastica, tiro a segno, canto esercizi ginnici volti a
rinvigorire il corpo e formare il carattere. Ogni studente che si iscrive all’università è tenuto alla frequenza
semestrale di un corso di educazione fisica che viene istituito presso tutte le facoltà di medicina. Negli ultimi
anni del secolo però ad opera del magistrato Luigi Lucchini si fa strada un’iniziativa che con varie azioni di
propaganda e di coordinamento intende ancora tradurre in realtà in Italia anche come in Svizzera e altrove il
grande sogno di Garibaldi del cittadino soldato e della nazione armata. Infatti ad opera del Lucchini nasce
l’istituto nazione per l’ampliamento dell’educazione fisica,; rinasce così il protetto patriottico militare; ci
riprovano ora in prospettiva nazionalistica che intende imporre un freno all’estendersi di sport inglesi
favorendo la scoperto di sport tradizionali come l’antico gioco del calcio fiorentino o come il tamburello. Dal
1909 nasce in questa ottica la federazione nazionale sursum cordae che a imitazione dell’esperienza francese
per altro da qualche tempo abbandonato intende coordinare Cl’organizzazione di battaglioni studenteschi. Va
osservato altresì che accanto a società ginniche essenzialmente filo governative e laiche si erano diffuse nel
paese società cattoliche che erano convinte della valenza educativa della pratica dei più moderni sport
atletici, il che già aveva avuto riflessi sugli ordinamenti delle scuole cattoliche a cominciare dagli istituiti
Salesiani di Don Bosco. E così mentre la generazione ginnastica rigettava nel 1903 la domanda di adesione
delle principali associazioni sportive ginniche cattoliche, due anni dopo, in occasione del pellegrinaggio
internazionale dei patronati cattolici, soprattutto belgi e francesi, nel cortile di San Damiano veniva eseguita
dalle associazioni sportive cattoliche davanti al papa Pio decimo, una imponente dimostrazione ginnica. Di li
a poco, su iniziativa dell’associazione ginnica maschile cattolica, veniva istituita la federazione delle
associazioni sportive cattoliche italiane, che escluse dai circuiti nazionali e dalla federazione nazionale, si
dedicano alla diffusione dello sport a livello popolare. Tuttavia l’Italia era ancora ultima tra le nazioni del
continente per quanto riguarda la diffusione della pratica atletico sportiva. Secondo i dati raccolti in quel
tempo dal ministero della pubblica istruzione, le società ginniche in Germania contavano più di 750 mila
iscritti, in Francia 250 mila, in Svizzera 50 mila, in Italia solo 12 mila.

Sport meccanici di inizio secolo.


Nei primi anni del 900 in Italia con un processo precoce rispetto agli altri paesi in Europa, nascono le
federazioni autonome dei nuovi degli altri sport popolari. Sotto questo aspetto, il ruolo svolto dal nostro
paese a livello internazionale era importante, indubbiamente le nuove federazioni erano istituzioni ancora
fragili, addirittura avevano la loro sede nei circoli o in caffè. Le federazioni operano come associazioni non
riconosciute per l’organizzazione delle competizioni nazionali e per la definizione dei regolamenti ed hanno
anche una funzione più generale di propaganda sportiva. Compaiono allora in Italia, come forme elitarie di
associazionismo accanto alla federazione più antica il club alpino italiano, inoltre anche le federazioni degli
sport meccanici come il ciclismo, automobilismo, il volo, e le federazioni degli sport atletici, come il rugby e
il calcio. Quanto agli sport ippici, presenti in Europa dall’inizio del 1800, nasce nel 1881 il jokei club Italia
dedicato alle corse di galoppo che aveva anche un giornale dedicato denominato semplicemente “lo sport”.
Con l’istituzione delle scuola ippica di tor di quinto di Roma nel 1891 si afferma la versione più moderna
dello sport equestre, grazie all’impegno del capitano Federico Caprilli, ideatore del cosiddetto sistema
naturale, il quale è il cavaliere ad adattarsi al cavallo senza pretendere la sua completa sottomissione come
esigeva l’’equitazione del tempo. Si diffondono anche i club velistici, come il reale yacht club italiano e la
scuola magistrale di scherma fondata a Roma nel 1884. Tra i cosiddetti sport meccanici, il ciclismo si
afferma presto come sport di grande popolarità, grazie ai premi in denaro e grazie alla grande affluenza di
pubblico che affolla le gare, completamente organizzate a cura del’Uvi,(unione velocipedistica italiana)nata
a Torino nel 1884. Grande è il fascino esercitato dal cosiddetto originario biciclo che ben presto viene
utilizzato dall’esercito francese e dall’esercito italiano. In considerazione della discussione del ciclismo in
bicicletta ben presto all’uvi si affianca il milanese Touring club ciclistico italiano che successivamente
assume il coordinamento di tutte le attività ciclistiche connesse con il turismo e rivolge l’attenzione anche
all’automobilstica , da poco comparsa sulle strade italiane. Per cui semplifica il suo nome in Touring club
italiano interpretando d’ora in poi un grande rilievo nell’ambito dello sport. I due giornali dedicati al
ciclismo”il ciclista” e la “tripletta” nel 1896 si fondono dando vita alla gazzetta dello sport dedicato
inizialmente solo al ciclismo, nel 1916 diventa un quotidiano testimoniando la diffusione popolarità
raggiunte da ogni sport nella società italiana. Il quotidiano lega il suo nome al giro d’Italia, ad imitazione
della tradizione del tour de france che già si disputava dal 1903 mentre il primo giro ‘Italia parte da mila il 13
maggio 1909 e vi ritorna il 30 maggio dopo aver toccato Napoli. Per un ventennio il giro d’Italia rappresenta
il più importante evento sportivo almeno fino al 1927 quando s’istituì la gara automobilistica delle mille
miglia e fino al 1929 anno d’istituzione del girone unico del campionato di calcio. Nel 1911 ad opera dei
membri della società aeronautica di Roma, viene fondato l’Areo club d’italia. Che il 12 ottobre 1904 a Parigi
insieme ai rappresentati di Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Svizzera e Stati Uniti aveva dato vita
alla FAI(federazione aeronautica internazionale) Ben presto gli sport che utilizzano mezzi meccanici
vengono chiamati sport estremi anche per la loro considerazione in prospettiva militare. Infatti con la legge
del 16 febbraio 1908 n° 48 venne istituito il corpo nazionale dei volontari ciclisti e automobilisti soggetto
alla vigilanza del Ministero della Guerra. Nella guerra di Libia e nella prima guerra mondiale gli sport
meccanici daranno effettivamente un importante contributo.

Sport atletici.
Il primo ad affermarsi in Italia tra gli sport atletici in Italia è sicuramente il canottaggio e a Torino nel 1888
presso il caffè nazionale nasce il Rawing CLUB italiano . L’anno dopo vengono affrontati i primi
campionato della disciplina. Il regolamento delle gare di canottaggio fatto da rawing clubh a tale rinomanza a
livello europeo da essere utilizzato anche nei giochi olimpici. Fin dall’inizio il ruolo dell’italia sarà
fondamentale per quanto riguarda quel processo che da origine alla federazione internazione delle società d’
aviron, che viene fondata a Torino il 25 giugno 1892. A Roma nel 1891 su iniziaitiva nuotatore Achille
Santoni, viene istituita la Rari Nantes con fini esclusivamente sportivi, l’anno dopo viene creato il comitato
nazionale per il nuoto. Dopo poco tempo tutte le società di nuoto ormai istituite nella penisola, si fondono
nella federazione italiana Rari Nantes che con l’avvento del fascismo diventerà la federazione italiana nuoto.
Le discipline annesse all’ atletica leggera, praticate nelle società di ginnastica, si sviluppano autonomamente.
Nasce nel 1899 l’unione pedestre italiana che organizzerà regolarmente dei campionati nazionali e nel 1909
ingloberà tra le disciplina dell’atletica i salti e lanci e prenderà il nome di federazione italiana sport atletici o
fisa. Nel 1891 viene fondata a Torino, vera capitale dello sport,l’international football club, la prima società
calcistica italiana. Nel 1897 viene fondata la Juventus, nel 1899 il Milan football club. Il primo incontro di
calcio si ha il 6 gennaio 1898 tra Genoa e Juventus e dopo pochi giorni, sempre a Torino, si disputa un torneo
a tre con l’ Unione pro sport Alessandria pro sport. Il 15 Maggio dello stesso anno nasce la federazione
italiana football (f.i.f). Al primo torneo federale partecipano in 4, il Genoa e tre squadre di Torino. Intanto
anche la federazione ginnastica nazionale aveva incoraggiato le società a lei affiliate a praticare il gioco del
calcio.
Durante il terzo concorso ginnastico, viene organizzato un incontro tra Bologna e Udinese a cui assiste anche
Umberto I. In quell’anno viene pubblicato ad Udine il primo regolamento in italiano del gioco del calcio.
La differenza tra la f.i.f. e la federazione ginnastica nazionale(entrambe federazioni del gioco del calcio)
riguarda sostanzialmente l’origine autonoma e anglofila della f.i.f che piano piano trasferì il suo centro
d’azione, oltre che la sede, a Milano, alla luce della crescita dei club Lombardi. La rottura tra le due
federazioni si ha quando la f.i.f decide nel 1908 di escludere dalle squadre gli stranieri. La crisi si ricompone
con la fondazione di una nuova federazione che sostituisce, secondo il desiderio della federazione ginnastica
italiana., il termine italiano calcio a quello di football, istituendo quindi la federazione italiano giuoco calcio
La nuova federazione ha un programma ben definito:la diffusione del calcio partendo dalla provincia; nello
stesso tempo vengono inglobate nella nuova federazione le società precedentemente nate all’interno della
federazione ginnastica nazionale. Una di queste ultime, la Pro Vercelli, dominerà le competizioni ante
guerra.
La federazione italiana giuoco calcio delinea una struttura piramidale del torneo con promozioni e
retrocessioni. Nel 1910 ha luogo il primo incontro internazionale Italia Francia. Nel 1911, ad imitazione
della referees association inglese del 1893, viene istituita l’associazione italiana arbitri (AIA).
Viene attribuito al capitano della pro Vercelli Guido Ara la famosa espressione: “il calcio non è uno sport per
signorine” con la quale il calciatore si riferiva al carattere atletico e violento del gioco del calcio.

IL PASSAGGIO DELLO SPORT ISTITUZIONE ALL’ORDINAMENTO SPORTIVO.


Come abbiamo osservato, per la definizione del fenomeno sportivo risulta essenziale la nozione di
istituzione. Lo sport nasce infatti nel momento in cui, il ripetersi di una determinata attività fisica, grazie
all’assunzione di regole precise e di principi in base ai quali essa risulta organizzata e riconoscibile, si
trasforma in una realtà socio culturale.
In tal modo lo sport diventa istituzione. E’ un dato di fatto che lo sport costituisce essenzialmente un sistema
istituzionalizzato di pratiche competitive prevalentemente fisiche delimitate, codificate e regolate
convenzionalmente.
In prospettiva giuridica Santi Romano definisce istituzione ogni ente sociale che possiede determinate
caratteristiche, e precisamente:
1) che abbia un esistenza obbiettiva, che abbia quindi una caratteristica esteriore e visibile.
2) che sia espressione della natura sociale e non individuale dell’uomo.
3)che costituisca un ente chiuso circoscritto in se e per se che ha una specifica individualità
4) che si configuri come un’unità definita e permanente, anche se cambiano i suoi elementi.
In definitiva l’istituzione è un’organizzazione sociale che ha la sua essenza nell’organizzazione.
Inoltre, come abbiamo detto, ogni istituzione costituisce un ordinamento giuridico; dunque lo sport, in
quanto istituzione, è un ordinamento giuridico. Nello sport inoltre si verificano le condizioni che consentono
di parlare di ordinamento: plurisoggettivà, normazione, organizzazione. Dato che stato e ordinamento
giuridico sono una sola cosa, per Santi Romano anche la nozione di sport coincide con quello di ordinamento
sportivo in quanto, egli afferma, lo sport per la sua natura istituzionale si giuridifica e diviene uno dei vari
ordinamenti giuridici, ossia, diventa una unità indipendente di diritto oggettivo. Dunque lo sport è diritto, o
meglio una parte del diritto.
Altri definiscono lo sport istituzione come una comunità organizzata cioè un collettività di uomini, quale che
sia il loro numero, che agiscono per uno scopo comune.
Oggi i diversi sport costituiscono una molteplicità di istituzioni sportive che insieme formano lo sport, quindi
l’istituzione delle istituzioni, quindi un ordinamento superiore che confluisce a sua volta nel movimento
sportivo internazionale che qualcuno definisce come una super istituzione.

NONA LEZIONE
Il diritto allo sport
Fermando l’attenzione sulle norme costituzionali che salvaguardano i diritti fondamentali occorre
determinare se effettivamente si configuri un diritto allo sport in capo alla persona umana in qualità di
possibile soggetto fruitore di un attività sportiva sia a livello di “loisir” (tempo libero) sia a livello
professionistico sia poi in qualità di semplice spettatore. Non può essere trascurata nemmeno la dimensione
transnazionale del fenomeno sportivo che comporta a livello di attività professionistica o a livello di club
problematiche attinenti alla circolazione dei lavoratori in ambito comunitario e non, ed il loro diritto di
stabilimento ed inoltre comporta anche i casi di immigrazione irregolare e di sanatorie o di naturalizzazioni
per un certo verso forzose e in grande contrasto con le vicende di altri lavoratori e di altri stranieri. Altro
momento dell’analisi riguarderà l’appartenenza del diritto allo sport all’ambito dei diritti fondamentali che la
costituzione riconosce alla persona, e se il diritto alla sport rientra tra i cosiddetti diritti umani o se invece si
pone in contrasto con essi, o ancora se l’attività sportiva contrasti oppure no con uno dei diritti
personalissimi. È d’obbligo dunque accennare, in prospettiva storica e comparata, all’analisi per così dire
rituale, che conduce alla sintesi delle nozioni attuali e condivise delle figure socio-giuridiche di cui si
discorre. La persona umana è titolare di una sconfinata pluralità di posizioni soggettive tra le quali rilevanza
primaria viene riconosciuta a quei diritti che sin dall’età moderna sono stati riconosciuti e sono stati
proclamati quali diritti fondamentali. Negli ultimi due secoli del secondo millennio la categoria dei diritti
umani viene a configurarsi come il più rilevante sistema di valori che si configura come manifestazione
implicita di un etica universale.

Nozione di persona
La persona è stata definita il fulcro dell’ordinamento giuridico. Infatti la nozione giuridica di persona
racchiude una molteplicità di rilevanti problematiche: non a caso molti giuristi definiscono la persona un
sistema complesso. Risalendo nel tempo vediamo che per Aristotele l’unità della persona era costituita
dall’anima che nei viventi si configurava a suo dire come “Anima vegetativa o sensitiva”. Ancora oggi, per
alcuni, l’anima della persona è identificata nell’unitarietà del rapporto mente-corpo ed il significato del
termine “mind”, connesso alla stessa radice indo-europea con il termine “anima”, esprime la non-materialità.
D’altra parte anche l’organismo umano è un sistema complesso ed a più livelli, e la sua unitarietà è data dal
rapporto tra organi ed elementi di livello diverso come: i geni, le proteine, i tessuti, gli organi. Tuttavia il
rapporto mente-corpo non è un rapporto tra elementi o livelli, anzi, non è nemmeno formalmente
configurabile come un rapporto. Infatti l’unità tra mente e corpo non è interpretabile come rapporto tra
elementi o come unità di elementi diversi, ma come modi di essere diversi di una medesima realtà. Dunque
tra “mind” e “body” non vi è la differenza ontica che si instaura tra due cose diverse, ma vi è la differenza
ontologica che si instaura tra due modi di essere della stessa cosa. Scienza e filosofia concordano quindi sulla
complessità della nozione di persona che si sottrae a qualsiasi manipolazione e a qualsiasi riduzione in
termini di meccanicità oppure in termini di pura virtualità. Per ben comprendere la complessità e la
pregnanza della nozione giuridica di persona è bene far riferimento all’etimologia e alle origini stesse del
termine persona: un termine che, come è noto, deriva dalla nostra antica lingua latina che può ben dirsi la
lingua universale del diritto. La lingua latina dispone di due termini per indicare l’essere umano che nella
“vision” patriarcale, allora dominante, erano rispettivamente: homo e vir. I due termini non erano certamente
sinonimi ma il primo, cioè homo, era utilizzato come termine comune e di genere; il secondo, vir,era riferito
piu precisamente all’ “homo honestus”, al “civis” , al “pater familias”. Con il termine persona la lingua
latina indicava nelle rappresentazioni teatrali, derivate dalla tradizione tragica e poi comica greca, quella
parte dell’abbigliamento dell’attore che impropriamente si è tradotta con la parola maschera. L’attore, infatti,
sulla scena portava davanti al viso la maschera, diversa a seconda dei casi, come ad esempio: maschera
tragica, maschera comica. È ben noto l’alto valore civico che gli ateniesi attribuivano alle rappresentazioni
tragiche. In esse i fatti rappresentati e cioè le eroiche sventure del protagonista o dei due attori comprimari,
palesavano all’ intero popolo come il dolore era la pena per il male commesso e la responsabilità del male
commesso ( solitamente un atto empio o un atto contrario alle leggi sia umane che divine) era fatalmente
trasmessa, anche in via ereditaria, ai figli e ai loro discendenti. Le rappresentazioni tragiche greche avevano
un chiaro fine didascalico (educativo). Esse avevano il compito, quindi, di educare i cittadini-spettatori
coinvolgendoli nel “pathos”, cioè inducendoli a patire insieme agli attori e a condividere l’orrore dei fatti
commessi. Infatti la reazione emotiva e psichica attraverso la “sympatheia”, cioè attraverso il sentire insieme,
il patire insieme, e attraverso l’immedesimazione col personaggio conduceva alla “catarsi”, cioè, conduceva
alla purificazione dell’anima. Attraverso la catarsi il governo ateniese spingeva i cittadini ad abbandonare le
cattive inclinazioni a vantaggio di quelle oneste, nell’intento di distoglierli dal commettere il male, ossia,
dall’infrangere le leggi. Per raggiungere il massimo grado di coinvolgimento del pubblico l’attore delle
tragedie doveva dominare la scena, giganteggiando grazie anche ad alti coturni (cioè a stivali col tacco molto
alto), grazie alle vesti imbottite e grazie all’enorme “prosopon” ( che letteralmente vuol dire oggetto posto
dinanzi al volto) che i latini indicavano col termine “persona”. Occorre , infatti, ricordare come gli attori
delle tragedie greche erano solo due o al massimo tre e alle donne non era consentito recitare. Per alcuni la
persona (la maschera) aveva il compito di amplificare la voce dell’attore, ma non è questo lo scopo dell’uso
della maschera ( o persona) dato che, tra l’altro, l’acustica perfetta ancora oggi verificabile di un teatro greco,
consentiva anche allo spettatore più lontano di cogliere persino un sospiro o un fruscio prodotto sulla scena.
In realtà il colore della veste e la “persona” che dunque solo tecnicamente possiamo definire maschera,
assieme a tutto l’ insieme dell’abbigliamento, aveva lo scopo di comunicare al pubblico, con immediatezza,
il ruolo impersonato dall’attore: che poteva essere il ruolo dell’eroe o del servo o della donna, a seconda di
un codice noto e prestabilito. In tal modo l’interprete diveniva personaggio, cioè, agendo secondo la sua
persona (maschera), si fondeva con essa e viveva narrandole le sue tragiche vicende. La persona, dunque,
consentiva al protagonista di essere visibile e riconoscibile; pertanto gli permetteva di comunicare con gli
spettatori e di consentire, attraverso la sym patheia ( il patire insieme), il verificarsi del processo di
identificazione col personaggio e la catarsi finale, ossia, la purificazione dell’anima. La persona-maschera
non nasconde ma svela l’essere umano che racchiude, il quale in tal modo viene reso a tutti visibile,
riconoscibile e valutabile.

La persona come soggetto di diritto


Se trasferiamo il significato originario del termine nel contesto sociale e giuridico, la persona indica l’essere
umano che si pone in relazione col mondo, con se stesso e con i propri simili; vale a dire, in senso più
generale: la persona è un soggetto di relazioni. Proprio a causa della complessità della nozione di persona, è
stata molto lunga l’elaborazione dottrinale che ha condotto alla definizione del concetto giuridico di persona.
Tale processo di elaborazione nelle sue tappe ripercorre la storia dell’intero diritto e della stessa civiltà
umana.
Nascita della categoria giuridica di persona nella Roma antica
In epoca romana il termine persona era utilizzato in origine come riferimento ai soli esseri umani, il diritto
romano infatti adoperava il termine persona sia per indicare un uomo libero e sia per indicare un subiectus
cioè uno schiavo. Nei primi secoli dell’impero romano il termine persona viene utilizzato per indicare il
destinatario di quella parte del diritto che riguarda gli uomini ed le loro relazioni, tale parte del diritto è detta
ius-paersonarum, e cioè il diritto delle persone, ciò ha indotto la stragrande maggioranza degli studiosi a
ritenere che presso i giuristi romani persona sia sinonimo di uomo e in verità il diritto delle persone (ius-
paersonarum) riguarda “omnes- homines”, quindi, tutti gli uomini indipendentemente dal loro status di liberi
o schiavi. In questa prospettiva si è sostenuto che la categoria giuridica persona possiede una base
sostanzialmente naturalistica per cui persona è sinonimo di homo, ma se in diritto romano tutti gli uomini
sono persone tra esse esistono varie distinzioni come quella già citata tra liberi e schiavi quindi le varie
categorie di persone hanno ciascuna un proprio statuto giuridico cioè hanno un proprio insieme di regole che
disciplina le diverse situazioni giuridiche. Possiamo dunque affermare che il termine persona trasporta gli
uomini in un’altra dimensione non naturalistica ma artificiale e cioè quella delle regole e dei relativi status
giuridici. La categoria persona è una diretta derivazione del significato originario del termine, la varietà
delle diverse persone o maschere teatrali indica sulla scena giuridica la varietà degli statuti in base ai quali
ciascun uomo interpreta la propria parte nelle relazioni con gli altri uomini, si tratta dunque di una categoria
istituzionale che esiste” in societate” ma non in natura e la categoria giuridica della persona indica il ruolo
investito dall’uomo nella vicenda artificiale del diritto. Nella trama del diritto tutti gli uomini devono agire
secondo il ruolo che viene loro affermato dalle regole giuridiche e proprio così in questo modo diventano
persone.
Per i romani i ruoli corrispondono agli “status persona” cioè agli stati personali e il ruolo di protagonisti
compete ai padri di famiglia ai maschi cittadini non soggetti ad alcuna potestà che essi esercitano sulle mogli
, figli oltre che sulle cose della famiglia , tra le quali erano compresi anche altri uomini cioè gli schiavi che
venivano considerati come cose della famiglia. Fin dalle origini, a Roma le persone che avevano lo status di
patres ( padre di famiglia) gestivano l’intera realtà socioeconomica romana mentre a tal fine erano
completamente irrilevanti altre persone e cioè quelle con lo status di figli, mogli e schiavi. Si può dunque
affermare che la categoria persona abbia una carenza positiva solo nei patres nei quali si rivestiva di autorità
e prerogative anche patrimoniali, dunque la vera persona nel contesto giuridico era il pater familias l’unico
ad avere poteri e diritti ad esclusione di qualunque altro membro della famiglia. In questo modo lo stato
romano garantiva l’unitarietà nella gestione del patrimonio familiare finalizzato alla sua conservazione e
accrescimento. Nel 170 D.C il giurista GAIO scriveva nelle sue “institutiones” che tutto il diritto riguarda le
persone le cose e le azioni. Le res (le cose) per i romani sono essenzialmente materiali cioè si possono
toccare (come ad esempio: un fondo, uno schiavo, un vestito, l’oro ecc) Attraverso la mano che tocca e
afferra la persona si può impossessare delle cose e pertanto la persona si può impossessare di ciò che è al suo
esterno. La mano crea anche le cose: costruisce il vomere, traccia sul terreno un segno che distingue una
porzione nella vastità del terreno ancora incolto, cioè traccia il confine che isola il mio dal tuo, quel confine
che praticamente crea un'altra cosa cioè il fondo da cui la persona e la sua famiglia possono trarre i frutti per
vivere e per sopravvivere. La Manus come quella di Romolo che traccia il confine sacro della città è potere e
crea potere; il regolo serve a tracciare sulla terra le linee dritte è detto in latino regula il cui significato è
speculare e corrisponde a quello della regula che è la norma che permette la civile convivenza garantendo ad
ogni persona un proprio spazio di potere esclusivo. Il pater familias aveva la manus cioè il dominio sulle
cose di una famiglia e su tutti gli appartenenti alla famiglia , la donna che generava in una famiglia ,quindi,
sia la moglie del dominus cioè del pater familias sia le mogli dei figli e degli eventuali nipoti e discendenti
apparteneva alla famiglia . La struttura del patrimonio romano era conforme alla necessità
dell’assoggettamento delle donne al titolare del patrimonio della famiglia, dunque, la radice romana
dell’idea giuridica di persona si basa sulla premessa che le persone non sono uguali, le persone
originariamente sono diverse a seconda che possano oppure no avere come proprie delle cose. Dunque la
capacità di avere coincide con la capacità di essere persona, nel senso più pieno. La persona che ha la
capacità di avere possiede anche la facoltà di difendere,difendere per esempio in un processo la sua proprietà
, cioè di assumere la parte dell’ actor (attore) che prende l’iniziativa nel processo civile e così agit cioè
agisce per la difesa delle cose private cioè delle sue cose. Tale potere era posseduto solo dal pater ed egli
era l’uomo che possedeva i tre status principali: lo status di libero, lo status di cittadino romano e lo status di
diritto proprio o sui-iuris cioè non era soggetto all’autorità di un altro pater; ma altre persone non hanno e
non possono possedere , esse sono gli schiavi e le mogli che fin dall’origine erano sottoposti al potere ossia
alla manus o al mancipium e cioè al potere di prendere con la mano: un potere unico indistintamente riferito
alle persone e alle cose soggette al potere al padre di famiglia. In seguito il mancipium e cioè il potere del
pater fu diversificato in potestas che indicava il potere esercitato nei confronti delle persone e dominium che
invece era il potere esercitato nei confronti delle cose.

Soggetto di diritto
Il termine subiectus cioè soggetto nella terminologia giuridica veniva adoperato rigorosamente,subiectus
che è il participio passato del verbo subicere che significa sottomettere , indica proprio il sottomesso,
l’assoggettato e subiecti sono anche i sudditi. Gaio distingue nelle sue institutiones la persona sui-iuris cioè
la persona di diritto proprio come il pater dalle persone aliene-iuris cioè soggette al diritto altrui. Gli schiavi
le mogli ei figli quindi anche se sono persone, sono soggette al potere altrui e cioè al potere del pater-
familias che è l’unica persona che ha e che può avere. Il giurista romano Ulpiano spiega che viene chiamato
padre di famiglia chi nella casa ha il dominio e viene chiamato così anche se non possiede un figlio, dunque
per essere pater e quindi per essere una persona sui-iuris e non soggetta a aliene-iuris è importante il fatto
non di avere una propria discendenza ma il fatto di non avere un padre in vita e perciò quindi di non essere
soggetto a quest’ ultimo. Nella famiglia romana quindi una sola persona aveva e poteva avere e tale capacità
era indissolubilmente connessa alla qualità del pater familias, la ragione di questa concezione si basa sulla
fondamentale importanza che per i romani ebbe la ricchezza familiare , soprattutto nei primi secoli ma anche
nell’età repubblicana e in epoca imperiale. Il potere economico assoluto del pater è la conseguenza
dell’identificazione con il suo stesso patrimonio. Nei primi secoli il patrimonio familiare è costituito
essenzialmente dalla cosa o dominus e dal fundus cioè dal campo ereditato dagli avi. Domus e fundus erano
le cose indispensabili che garantivano alla famiglia la sopravvivenza attraverso le generazioni , la famiglia
esisteva in quanto aveva le sue proprietà e cioè la domus e il fundus dunque ben può dirsi che la famiglia era
il suo patrimonio che era la garanzia delle future generazioni e nello stesso tempo la garanzia dell’identità
della misura e del valore della famiglia , il potere che veniva così tramandato in eredità veniva detto
heredium da heres cioè l’erede in quanto il dominio su di esso veniva trasmesso integro da padre in figlio.
Con l’avvento del divorzio verso il 1 secolo avanti cristo la difesa della famiglia e del suo matrimonio fu
rafforzata giuridicamente dato che la donna con il divorzio ormai poteva uscire dall’ ambito di una famiglia
e poteva non più essere soggetta al marito e quindi si stabilì che ciò che apparteneva alla moglie appartenesse
al marito e si stabilì per legge il divieto di donazioni tra coniugi e si vietò ai mariti delle classi più ricche di
designare come erede la moglie. Dunque si tende conservare la ricchezza all’interno della famiglia che ha
prodotto tale ricchezza , le donne che pure generano i figli alla famiglia rappresentano un pericolo dal quale
le persone che possiedono e che quindi hanno come i patres vanno tutelati in vita come in morte , infatti alle
vedove per legge non spetta alcuna cosa in proprietà.

Nozione di persona in età cristiana e la disumanizzazione del concetto


di persona
Quando l’impero romano diventa cristiano e sorgono chiese e monumenti il diritto riconosce tali enti la
facoltà di avere e di ereditare beni dunque riprendendo una intuizione comparsa già nei primi seco,i
dell’impero ci si avvia verso la disumanizzazione della nozione di persona cioè per esistere giuridicamente
ad una persona non è necessario essere un uomo , vediamo quindi che l’impero romano cristiano agevola la
realizzazione di attività benefiche gestite dai religiosi come ad esempio la cura degli infermi oppure
l’assistenza degli orfani, soccorso ai poveri ecc.
Queste attività venivano chiamate pie cause e materialmente erano praticate presso gli ospedali, orfanotrofi,
e gli spizi. Queste pie cause non erano però associazioni di persone ma propriamente erano dotazioni di beni
finalizzate all’erogazione di quelle attività benefiche quindi erano una sorta di fondazioni. Anche le pie cause
avevano la qualità del pater-familias , potevano cioè avere anche se la loro esistenza era reale solo nel mondo
del diritto. Alla fine del 6 secolo d.C con l’arrivo dei longobardi e con la cacciata dei bizantini passano in
secondo piano il digesto di Giustiniano e il diritto romano. Come afferma il Vico nella sua ”Scienza nuova”,
nella crudezza della barbarie le nazioni rifiutarono le leggi romane onde il corpo delle leggi di Giustiniano ed
altri libri del diritto romano vennero seppelliti. Ma nel 11 secolo il diritto romano torna a governare l’Europa
e le elaborazioni dei grandi giuristi hanno come base il digesto e le altre competizioni giustinianee come il
codice e come le istituzioni.

DECIMA LEZIONE
Nozione di persona dal Medioevo al Rinascimento
Negli ultimi decenni dell’XI sec., nasce a Bologna una delle prime università del mondo. Nasce come scuola
giuridica e riesce a ridare vigore al Diritto romano giustinianeo che si afferma presso i territori del Sacro
romano impero d’occidente, cioè in tutto l’impero continentale. Nelle facoltà giuridiche europee, il Digesto
viene introdotto come libro di testo e di esercitazione per gli studenti e diventa oggetto di uno studio sempre
più profondo, fino a costituire un nuovo diritto perfettamente adatto alle esigenze economiche e sociali della
nuova civiltà dei liberi comuni. Già i primi giuristi bolognesi, i cosiddetti glossatori, ritrovano i testi di diritto
romano in cui si parla delle associazioni, delle città e delle eredità come di persone. Tra l’XI e XII sec.,
grazie ad Irnerio si costituì a Bologna uno studio approfondito del diritto giustinianeo. I testi giustinianei, che
erano stati redatti nel VI sec., apparivano quasi incomprensibili ad un mondo che aveva vissuto le esperienze
storiche dei Longobardi, dei Franchi e delle altre dominazioni che avevano imposto le loro regole ignorando
il diritto romano. Fu indispensabile, quindi, per la restaurazione del diritto romano l ’opera dei glossatori,
detti così dal termine glossa, che era usato nell’antichità per indicare la parola dal significato oscuro che
aveva bisogno di un’interpretazione. Questi giuristi, attraverso le loro glosse o attraverso i loro commenti,
operavano una vera e propria analisi e interpretazione del testo. La scuola di Bologna diede vita ad uno
studio ad altissimo livello dei testi giuridici, producendo un’enorme quantità di testi. Nel XIII sec. Accursio
compì un’opera di organizzazione e di razionalizzazione di questi testi nell’opera detta “Magna Glossa” o
“Glossa ordinaria. Nella Glossa di Accursio si sostiene che l’Universitas o l’Ente collettivo del Diritto
romano è costituito da singoli uomini che sono in essa, dunque l’ Universitas viene ad identificarsi con il
Comune che significa totalmente ”nei suoi cittadini”. Gli studiosi del diritto canonico, nutriti del contenuto
del diritto romano, perfezionarono l’idea della Corporazione intesa come persona. D’altra parte, i giuristi
cristiani erano in questo agevolati per il fatto che già la Chiesa rappresentava la collettività dei fedeli. Fu
proprio Sinibaldo, il futuro papa Innocenzo IV, a precisare che l’ Universitas come ente collettivo era una
persona ficta, cioè non era una realtà fisica, ma era soltanto una rappresentazione giuridica, così il diritto
medievale riesce a collocare accanto alle persone fisiche, queste persone fictae o rappresentate. La persona
può dunque definirsi una metafora giuridica, grazie alla quale i giuristi romani crearono altre categorie di
persone idonee alla titolarità del potere del “dominus”,cioè del proprietario e la metafora diventerà ancora
più astratta, fino a consentire l’esistenza della cosiddetta persona giuridica, che addirittura prescinde dalla
presenza umana e può ridursi ad una mera dotazione di beni, come nelle moderne fondazioni, capace però di
essere proprietaria, come se fosse un uomo capace di rappresentare una collettività di persone. La categoria
della persona umana, inventata ed elaborata dal diritto romano, è stata poi perfezionata dal diritto medioevale
e rinascimentale, giungendo pressoché inalterata a contatto con la filosofia del giusnaturalismo o del
naturalismo giuridico, dalla quale verrà poi trasformata nel secolo caratterizzato dalla Dichiarazione dei
diritti dell’Uomo. Nel 1500 s’impone, intanto, con maggiore evidenza, la nozione di persona che indica lo
“status”, attraverso il quale l’uomo partecipa alla vita giuridica, quindi, in piena armonia con la tradizione
storica-filosofica; dunque l’uomo-persona si propone come soggetto delle relazioni giuridiche; la persona
viene ad essere più che mai il centro della società ed è praticamente il comune punto di riferimento cui si
riferiscono tutte le situazioni giuridiche, delle quali l’individuo nella sua vita può essere titolare. Talune di
queste situazioni giuridiche sono connesse a caratteristiche fisiche e psichiche come l’età, il sesso, la salute
etc. Agli inizi del ‘600, il giurista piemontese Nicolas Lazeus, afferma che l’universitas rappresenta una
persona che è qualcosa di diverso dagli uomini partecipanti a quella determinata universitas; tuttavia, gli
uomini che appartengono a quella universitas continuavano ad essere giuridicamente diversi, in quanto non
tutti erano allo stesso modo persone. Infatti, fino a tutto il ‘700, continua ad esistere la schiavitù in tutte le
case nobili e borghesi ed era sempre presente una servitù costituita da schiavi e stranieri, slavi, saraceni,
africani acquistati per lo più da mercati veneziani ed inoltre, per tutto il ‘700, anche tra gli uomini liberi si
manterranno le cosiddette “minorità”, cioè le posizioni giuridiche delle persone con limitati diritti, come le
donne, alle quali non erano riconosciuti i poteri degli uomini. Ancora gli eretici e gli ebrei, che soffrivano di
varie limitazioni giuridiche, in particolare gli ebrei erano costretti a vivere in quartieri separati e circoscritti
del ghetto o “giudecca” ed erano esclusi da certe professioni e avevano una tutela giuridica limitata. In
Piemonte, gli ebrei fino alla fine del ‘700 non potevano essere proprietari di case, solo ai cristiani erano
riconosciuti pieni poteri e pieni diritti sia pubblici che privati, persino gli stranieri avevano diritti limitati.
Per esempio, non potevano testimoniare e non potevano neanche esercitare alcune professioni; tuttavia si
mantenevano pressoché inalterati gli statuti e gli schemi del diritto romano e la persona del “pater familias”
era ancora l’unica persona, a cui si riconosceva il diritto di avere una facoltà che non era riconosciuta a tutti
gli uomini. Tale facoltà era però riconosciuta totalmente ad enti e patrimoni considerati persone fictae,
corrispondenti all’incirca alle attuali persone giuridiche.

Il passaggio dall ‘Illuminismo alla Rivoluzione francese


Con l’illuminismo emerge un concetto più generale di status, con il quale si indica ogni qualità che possa
assumere rilevanza in merito alla situazione giuridica dell’uomo. Si individua uno ”status moralis”, che è
proprio dell’uomo, che nella società è titolare di diritti e doveri di natura privatistica. Ora si affianca il
termine persona all’utilizzo del termine soggetto, in una distinzione sempre più evidente, nella quale al
soggetto viene riconosciuta la titolarità dei diritti e doveri propri dello “stutus naturalis”, mentre alla persona
fa capo la titolarità dei diritti e doveri emergenti dal diritto positivo, cioè dallo “ius positum”, cioè posto,
creato dalle leggi. Contemporaneamente, si fa strada anche la nozione di capacità giuridica; con l’avvento del
criticismo kantiano, prevale l’unitarietà della persona umana, ricostituita tramite il riconoscimento della sua
dignità morale, supportata dalla ragione e arricchita della libertà. Alla persona umana sono riconosciuti tutti i
diritti innati, propri della visione del naturalismo giuridico, ossia di derivazione giusnaturalistica, come il
diritto alla vita e il diritto alla dignità, mentre la capacità giuridica è ora attribuita essenzialmente ad ogni
uomo. Sulla base della dignità della persona, di cui è partecipe l’intera umanità, si fa strada il principio di
eguaglianza. Tuttavia, in Francia, alla vigilia della Rivoluzione, il grande giurista Robert Joseph Pothier,
magistrato e docente dell’Università di Orleans, nel suo “Trattato sulle persone e sulle cose” del 1772,
individua ancora sei divisioni delle persone: la prima divisione di persone riguarda gli stati o ordini sociali.
In essa il Pothier precisamente distingue il primo stato degli ecclesiastici, il secondo stato della nobiltà e il
terzo stato, costituito dalla gente comune e dagli schiavi. La seconda divisione distingue la popolazione tra
cittadini e stranieri; nella terza divisione vengono distinte le persone, secondo le entità dei diritti civili da essi
goduti, dato che i diritti civili si perdevano, in seguito a gravi condanne penali o diminuivano a causa
dell’infamia che derivava dalle pene minori. Nella quarta divisione, distingueva i figli illegittimi dai figli
naturali, definiti letteralmente “bastardi”; la quinta divisione discriminava le persone in base al sesso o
all’età; la sesta, o ultima divisione, distingueva dalle altre persone, le persone soggette alla potestà maritale o
paterna. Stupisce, davvero, che un grande giurista come il Pothier elenchi, senza alcuna esitazione, delle
divisioni che, entro pochi anni, saranno formalmente cancellate dalla Rivoluzione francese. Tra l’altro, le
divisioni riguardavano anche i privilegi concessi ad alcune categorie di persone, ad esempio per i nobili gli
anni di studio, necessari per avere una laurea in diritto civile oppure canonico, erano ridotti da cinque a tre.
Tra l’altro il Pothier affermava che riguardo alla gente comune del terzo stato, non vi era nulla da osservare,
invece il giurista continentale, di li a poco, guarderà proprio all’uomo comune ed ordinario e lo porrà al
centro di una nuova visione giusnaturalistica, cioè improntata al diritto naturale, per elaborare nuovi schemi
giuridici, orientati proprio al principio di eguaglianza.

La nozione di persona e di capacità giuridica dall’800 ai giorni nostri


I celebri esponenti del giusnaturalismo, come Grozio, Hobbes, Locke, Rousseau, avranno una grande
influenza sul modello costituzionale e tale influenza durerà fino ai giorni nostri. Le loro teorie armeranno le
rivoluzioni e porteranno alle grandi codificazioni, soprattutto al Codice napoleonico del 1804, che avrà una
grande influenza sul Codice civile italiano del 1865. L’uomo comune viene proiettato al centro dell’universo;
la nuova persona lontana dagli schemi, dagli status, e dalle divisioni formali del’700, diventa il fulcro del
sistema giuridico. Nello stesso tempo, si avverte l’esigenza di un sistema giuridico più semplice e ordinato, il
più possibile comprensibile a tutti. Nel nuovo sistema giuridico, si colloca, accanto alla persona, il soggetto a
cui sono imputati diritti e doveri. La persona soggetto è al centro della norma e, anzi, è al centro di tutte le
norme; la persona è qualunque uomo, in quanto gli uomini sono uguali tra loro e hanno gli stessi diritti e
obblighi, e questi diritti e questi obblighi sono innati. Queste nuove costruzioni della filosofia
giusnaturalistica del diritto naturale, rappresentano un distacco dall’antico diritto romano.
Proprio perché gli obblighi e i diritti innati sono concepiti come universali, tutti gli uomini hanno una
comune essenza naturale. La ricerca di una persona, che è il soggetto unico del diritto, contrasta, infatti, con
la pluralità delle persone del diritto romano e con le divisioni della successiva successione romanistica,
riportate dal Pothier. Nel giusnaturalismo, la natura dell’uomo è determinata da Dio, per cui tutti gli uomini
sono uguali davanti a Dio e i diritti riconosciuti dalla legge agli uomini, sono gli strumenti per mezzo dei
quali essi devono adempiere ai loro obblighi, per raggiungere un fine superiore. Le conquiste del
giusnaturalismo si riflettono nel mondo del diritto, ma soprattutto nelle prime Dichiarazioni dei diritti
dell’uomo e nelle Carte costituzionali.
Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo, formulata in Virginia nel 1776, si afferma che tutti gli uomini sono
per natura liberi ed indipendenti e hanno alcuni diritti innati, e cioè:
il diritto al godimento della vita e della libertà mediante l’acquisto e il possesso della proprietà.
il diritto di perseguire la felicità e la sicurezza.
Un anno dopo, nella dichiarazione dei Vermont, così si legge al capitolo 1:
“Tutti gli uomini sono nati ugualmente liberi e hanno certi diritti naturali innati e inalienabili”, tra cui vi
sono:
Il diritto al godimento e alla difesa del diritto alla libertà
Il diritto all’acquisto, al possesso e protezione della libertà
Il diritto a perseguire la felicità e la sicurezza.
Nella Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793, all’ art. 1 si legge così: “Scopo
della felicità comune: il governo ha istituito per garantire all’uomo il godimento dei suoi diritti naturali e
imprescrittibili”, nella stessa dichiarazione all’art.2 si afferma che:
“I diritti naturali ed imprescrittibili sono
L’eguaglianza;
La libertà;
La sicurezza;
La proprietà.

La stessa dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino all’art.3 afferma, ancora, e ribadisce che: “Tutti
gli uomini sono uguali per natura e davanti alla legge”. All’indomani della Rivoluzione francese il Code
Napoleon del 1804, all’art.2 stabilisce così:
“L’esercizio dei diritti civili è indipendente dalla qualità di cittadino, la quale si acquista e si conserva solo
in conformità della legge costituzionale”. Nella ABGB cioè nel codice civile austriaco, al paragrafo, 16 si
legge che:
“Ogni uomo ha dei diritti innati che si conoscono con la sola ragione, perciò egli è da considerarsi come una
persona. La schiavitù, ossia la proprietà dell’ uomo sull’uomo, e l’esercizio della potestà ad esso relativa non
sono tollerati in questo stato”. Dal contenuto del testo della Carta dei Diritti e dai codici si evince che tutti
gli uomini devono e dovrebbero godere degli stessi diritti, ma il prototipo di tali diritti risulta il diritto di
proprietà che dimostra che al centro dell’ordinamento, anche nel nuovo diritto, non è l’uomo senza qualità
ma vi è un borghese proprietario.
Questo è dimostrato anche dalla scrittura del Code Napoleon che ha una decisa impostazione
patrimonialistica: il ché significa che il vero destinatario del codice è un proprietario e non un uomo
qualunque. Anche nelle dichiarazioni delle ex colonie americane si afferma che l’uomo per natura ha alcuni
diritti innati che sorgono con la nascita, e infatti, un uomo può essere proprietario solo dopo che è nato.
Sembra quasi che in questa prima carta dei diritti dell’uomo il diritto al godimento della vita coincida con il
godimento del diritto della proprietà. Bisogna anche osservare che i diritti naturali così riconosciuti
ufficialmente vengono in pratica consegnati al tempo delle carte costituzionali e dei codici, in pratica
vengono fissati e vengono posti nella legge che li garantisce.
In tal modo il giusnaturalismo, cioè il diritto naturale, si trasforma in giuspositivismo, cioè in ius positum,
ovvero nel diritto riposto nella legge. La legge diventa il nuovo sovrano a cui tutti vanno soggetti; la
supremazia della legge sul diritto naturale e sulle persone è sancita dallo stess ABGB (o codice civile
austriaco), che dopo aver riconosciuto all’art.16 i diritti innati, al successivo art.17 afferma che:
“Tali diritti possono essere sempre ristretti dalla legge”. Dunque, andando dalle istititiones di Gaio ai codici
civili, notiamo che al centro del diritto vi è sempre la persona, ma la centralità di essa, resta ancora un fatto
formale, perché in realtà, la diversità tra le persone stesse non sono state cancellate. La principale conquista
dottrinale del XX secolo sembra però proprio il definitivo distacco dalla visione giusnaturalistica per cui,
abbandonando il campo del diritto naturale, si parla di capacità giuridica ormai solo in termini di diritto
positivo, cioè, non come diritto innato ma come diritto creato e quindi come diritto posto o ius positum,
ovvero come posto dalle norme. La capacità giuridica viene riconosciuta a tutti gli individui e viene a
configurarsi come il principio fondamentale dell’ordinamento privatistico.

La capacità giuridica e il dibattito dottrinale


La capacità giuridica viene dunque definita dalla dottrina dominante come attitudine alla titolarità di diritti e
doveri giuridici, vale a dire, come idoneità ad essere oggetto di diritto. Essa si configura come attitudine
astratta e generica, e viene estesa a tutti, per cui la capacità giuridica si propone anche come fattore di
eguaglianza. Entra nel dibattito il concetto di personalità che ora è considerato come un invariabile attributo
dell’uomo, mentre si ammette anche una graduazione della capacità. Per altri, invece, la personalità viene a
configurarsi come la sfera in cui la persona agisce e si esplica pienamente. E la capacità giuridica viene
considerata come la misura della personalità; come abbiamo già osservato, dalla positivizzazione dei diritti
naturali nel testo dei codici e nelle leggi emerge una massima di ordine generale secondo la quale qualunque
uomo possiede dei diritti. Tuttavia, se alcuni diritti a contenuto non patrimoniale sono effettivamente comuni
a tutti come il diritto alla vita e il diritto all’integrità fisica, altri diritti, come quelli a contenuto patrimoniale,
ossia il diritto alla proprietà, in realtà sono posseduti solo da alcuni, anche se in astratto tutti potrebbero
goderne. Va ancora sottolineato, comunque, che una volta positivizzati, cioè trasformati in norme di legge, i
diritti naturali sono integralmente affidati alla legge scritta, il che implica possano essere variati per effetto di
altre leggi.
Quindi diventano ammissibili nuove divisioni tra le persone purchè almeno formalmente sia salvaguardato il
principio di uguaglianza; dunque la nuova massima generale sui diritti dell’uomo diventa che qualunque
uomo ha dei diritti, fatte salve le eccezioni stabilite dalla legge.
Questo è puntualmente riscontrabile nella storia del 900, ad esempio il codice civile svizzero del 1907
all’art.11 precisa che ogni persona gode dei diritti civili ma che spetta ad ognuno, nei limiti dell’ordine
giuridico, solo una eguale capacità di avere diritti e obbligazioni. D’altra parte, il codice civile italiano del
1942, all’art.1 affermava che:
“La capacità giuridica si acquista al momento della nascita, i diritti che la legge riconosce a favore del
concepito sono subordinati all’evento della nascita, le limitazioni alla capacità giuridica derivanti
all’appartenenza a determinate razze sono state stabilite da leggi speciali”.
Il Savigny aveva già affermato che :
l’uomo è sempre capace di essere soggetto di un rapporto giuridico
la legge può restringere tale capacità naturale.
L’insegnamento del Savigny sembra la base degli articoli citati; la motivazione del testo del codice civile
italiano del 1942 è insito nella relazione del ministro guardasigilli (il ministro di Grazia e Giustizia) al re-
imperatore, nella quale si legge l’intenzione di cambiare il vecchio codice civile del 1865, molto vicino al
Code Napoleon e nella quale con riferimento al primo libro del codice civile intitolato: ”Delle persone
fisiche” si afferma che:
”tutta la disciplina degli istituti giuridici inerenti a questa materia è stata intermante rinnovata ed adeguata
alle esigenze dello Stato fascista provvedendovi alla difesa delle nostra razza da ogni pericolosa
contaminazione che possa in qualche modo minacciare la salvezza delle sue forze sia fisiche che spirituali”.
Questa precisazione è rafforzata dal quasi contemporaneo commento del docente dell’Università di Roma
Fulvio Maroi, che nel 1940, richiamando all’art.16 del codice civile austriaco (ABGB) e all’idea di persona
elaborata dalla scuola storica tedesca, sosteneva che in base all’art.1 del codice civile ogni individuo
possiede dei diritti che lo Stato tutela contro tutti gli altri individui come: il diritto alla vita, all’integrità
fisica, al nome, all’immagine, alla libera esplicazione delle proprie energie fisiche e spirituali; fatte salve la
pregiudiziale dell’appartenenza alla razza ariana. Dunque, veniva rispettato il diritto all’eguaglianza,
limitatamente agli appartenenti alla razza ariana, che possedevano dunque una eguale capacità giuridica;
l’eccezione era costituita dagli ebrei, che non potevano contrarre matrimonio con gli ariani, non potevano
possedere immobili oltre un certo limite, non potevano dirigere aziende con oltre 100 dipendenti. Nelle altre
norme riguardanti le persone, riemerge ancora il diritto romano; lo stesso Maroi ammette che la persona è
essenzialmente il proprietario, e in materia di successioni e di diritti del concepito, vi è un patrimonio in
attesa di un dominus. Una volta tramontati gli Stati totalitari ed assieme ad essi la teoria del diritto di Kelsen,
che riconosceva la superiore validità della norma giuridica e che negava la rilevanza giuridica di persona e
soggetto, la persona ora si propone nel mondo del diritto con le sue aspettative di tutela. Si compilano le
Costituzioni dei diritti e le carte costituzionali di seconda generazione e si moltiplica l’elenco dei diritti
umani giuridicamente tutelati; si stabilisce, anzi, che la loro categoria è sempre aperta a qualsiasi
integrazione determinata dalle esigenze della realtà sociale e quindi anche il diritto allo sport è compreso tra i
diritti, anzi tra i diritti fondamentali, perché anche nella attività sportiva si esplica liberamente la personalità
della persona umana.

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