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Diritto Processuale
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ARTICOLI
Luigi Paolo Comoglio, L’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile»
(aggiornamenti e prospettive) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 331
Giuliano Scarselli, Ius constitutionis e ius litigatoris alla luce della nuova riforma del
giudizio di cassazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355
Simonetta Vincre, Le misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del
2015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 368
Mirko Abbamonte, Tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 459
DIBATTITI
NOTIZIE
RECENSIONI E SEGNALAZIONI
Opere segnalate: Aldo Carrato (A. Cerrato); Livia Giuliani (a cura di) (P. P. Pau-
lesu); Nicolò Lipari (C. Punzi), Leo Piccininni (G. Finocchiaro); Lea Querzola
(A. Henke); Achille Saletti, Maria Cristina Vanz, Simonetta Vincre (G. Bon-
giorno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487
Maria Francesca Ghirga, Sulla «ragionevolezza» dell’art. 96, comma 3º, c.p.c. . . . . 501
Roberta Tiscini, Liquidazione del compenso degli avvocati e «semplificazione» dei riti
(art. 14 d.lgs. n. 150/2011) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516
Ignazio Zingales, Estinzione del processo, effetti della domanda giudiziale e definiti-
vità dell’avviso di accertamento tributario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526
SENTENZE
PANORAMI
(1) Il presente studio riprende e rielabora il testo di una Relazione, con analogo titolo,
da me svolta in Brescia, il 12 maggio 2016, presso il locale Ateneo, nell’ambito del ciclo di
seminari sul tema generale Alla ricerca del «sistema» perduto del diritto processuale civile,
ciclo organizzato dal Prof. Giuseppe Finocchiaro, d’intesa con l’Ordine degli Avvocati di
Brescia e con la Scuola Superiore della Magistratura.
(2) L.P. Comoglio, Modificazione della domanda, tutela effettiva ed economia dei giudizi
(nuovi poteri per il giudice?), in Nuova giur. civ. 2016, II, 653-662. Tale studio prende
spunto da Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, di cui si farà cenno ulteriore anche
infra, nel § 5.
(3) Comoglio, Il principio di economia processuale, Tomo I, Padova 1980, X-259, e
Tomo II, Padova 1982, XIII-375.
Reputo doveroso ricordare qui, per i suoi densi contenuti, l’articolata Recensione che di
tali volumi, con alcuni spunti critici, ebbe a redigere B. Cavallone, in questa Rivista 1984,
280-284, nonché pure l’ampia Recensione scritta da G. Monteleone in Riv. dir. civ. 1983, n.
2, 203-204.
(4) In quest’ottica peculiare, ho voluto inserire, nel titolo dello scritto, la locuzione
«assetto variabile», prendendola a prestito da altri settori dell’esperienza umana e della
tecnologia moderna (si pensi al tilting ed all’aerodinamica, riferiti al volo degli aeromobili
o al comportamento in curva degli elettrotreni ad alta velocità; od anche, se si vuole, alle
tecniche di immersione subacquea; e cosı̀ via).
Ma l’identica espressione trova talvolta riscontro anche in giurisprudenza, ad es., con
riguardo alle nullità formali e non testuali del processo, ex art. 156, comma 2˚, c.p.c. (cosı̀,
nella massima, Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 3994, in Rep. Foro it. 2016, voce
Diritti politici e civili, n. 74).
(5) Alla luce dei riferimenti scientifici di cui, all’epoca, disponevo (Comoglio, Il princi-
pio di economia processuale, cit., I, Introduzione, 3-67, testo e note). Ricordo particolarmen-
te, fra gli Autori tedeschi, cui spesso ho fatto ricorso: C. Von Mettenheim, Der Grundsatz
der Prozessökonomie im Zivilprozess, Berlin 1970; E. Schmidt, Der Zweck des Zivilprozesses
und seine Ökonomie, Frankfurt am M. 1973; P. Hütten, Die Prozessökonomie als rechtser-
heblicher Entscheidungsgesichtspunkt, Juristische Dissertation, Würzburg 1975; W. Sauer,
Grundlagen des Prozessrechts, rist. ed. Stuttgart 1929, Aalen 1970.
(6) Comoglio, Il principio di economia processuale, Tomo I, cit., Introduzione, 48-60,
63-64, testo e note.
(7) Nella dottrina di lingua tedesca, si tende a conferire alle vetuste Prozessmaximen di
quell’antica tradizione la veste moderna dei Verfahrensgrundsätze, pur mantenendone ferma
la nozione-base di «... wichtigsten normativen Richtlinien des Zivilprozesses ...» (cosı̀, ad es.,
ex multis, O. Vogel, Grundriss des Zivilprozessrechts, Bern 1984, 106). Secondo la loro
ineludibile vocazione funzionale – come sottolineava, ad es., P. Arens, Zivilprozeßrecht, 3a
ed., München 1984, Cap. I, § 2, 4 – essi «... in erster Linie die Aufgabenverteilung von
Gericht und Parteien regeln...».
Al riguardo, non si dubita che, in assenza di specifiche definizioni, perlopiù non
rinvenibili nella disciplina positiva, la loro configurazione, ricavata per induzione dall’intero
sistema processuale di un determinato ordinamento giuridico, debba sempre rivestire un
significato pratico, finalizzato a supportare in termini razionali (anche praeter legem e in via
analogica, ove occorra, per colmare le numerose lacune del predetto sistema) l’interpreta-
zione evolutiva di quelle stesse norme. Infatti – come già sottolineava W. Grunsky, Grun-
dlagen des Verfahrensrechts, 2a ed., Bielefeld 1974, § 2, 16 – «... entscheidend für die
Bedeutung der sog. Prozeßmaximen ist die Erkenntnis, daß der einer Vorschrift zugrunde
liegende Gedanke häufig weiter trägt, als sich aus dem Gesetzeswortlaut ergibt, und daß
sich so Regelungen für Fallgestaltungen finden lassen, bei denen das Gesetz schweigt...».
Per acuti spunti sul tema, sviluppati con il rigoroso supporto di ampi riferimenti alla
dottrina tedesca (ed ivi, in particolare, alla nota opera di F. Bomsdorf, Prozessmaximen und
Rechtswirklichkeit, Berlin 1971, passim), si rilegga – in garbata polemica con Edoardo Ricci,
sul brocardo judex secundum allegata et probata (non secundum conscientiam) judicare debet,
nonché sul principio di disponibilità delle prove, sancito dall’art. 115, comma 1˚, c.p.c. – il
classico studio di Cavallone, Crisi delle «Maximen» e disciplina dell’istruzione probatoria, in
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 333
questa Rivista 1976, 678-707, sp. 685-687, testo e note. A proposito della problematica
interpretazione del cit. art. 115, comma 1˚, si veda, volendo, anche il mio commento alla
norma predetta, in L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, Commentario del
c.p.c., vol. II, Art. 99-162, Milanofiori Assago 2012, 355-401, sp. 356-363, testo e note.
(8) Va tenuto presente che, nel linguaggio corrente, il termine «economia», in coerenza
con la sua classica etimologia (latina e greca), significa «uso razionale del danaro e di
qualsiasi mezzo limitato, che mira ad ottenere il massimo vantaggio col sacrificio minimo»
(cosı̀, ad es., Diz. Encicl. it., vol. IV, Roma 1970, 257), implicando dunque, per sua stessa
definizione, una fondamentale cost-benefit analysis, volta ad «ottimizzare» i risultati con la
«proporzionale» riduzione delle risorse impiegate per conseguirli.
(9) Sul punto, cfr. ancora Grunsky, op. cit., 17, secondo cui «...die Verfahrensgrund-
sätze häufig nicht ‘chemisch rein’ durchgeführt werden können, sondern zwischen verschie-
denen Grundsätze Kompromisse getroffen werden müssen...».
334 rivista di diritto processuale 2017
(13) P.S. Mancini, in Mancini, Pisanelli, Scialoja, Commentario del codice di procedura
civile per gli Stati sardi, II, Torino 1855, 6-24.
(14) Cfr. retro, nel § 1, la componente individuata come A), A2).
(15) Traggo le classiche citazioni, evidenziate in corsivo nel testo d’origine, da G.
Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3a ed., rist. con Prefazione di V. Andrioli,
Napoli 1965, 80-81, 132-133. Ma dello stesso Autore – nei corrispondenti paragrafi dedicati
all’estensione (massima possibile) dell’«attuazione» della legge nel processo, nonché ai cri-
teri orientativi ed ai limiti da riferirsi all’«interpretazione» della legge processuale – si
vedano altresı̀ le Istituzioni di diritto processuale civile, 2a ed., vol. I, rist., Napoli 1965,
39-41, 85-87.
336 rivista di diritto processuale 2017
(19) Per non dilungarmi oltre misura, mi permetto di rinviare, sul tema, ad altri miei
scritti precedenti (Comoglio, Ideologie consolidate e riforme contingenti del processo civile, in
questa Rivista 2010, 521-543; Id., «Moralizzazione» del processo e ruolo del giudice nell’e-
voluzione dei sistemi processuali europei, ivi, 2015, 131-157, con Postilla critica di B. Caval-
lone, ivi, 158-162).
(20) Cfr., nella Relazione cit., il titolo del § 12, in relazione al § 2, ove già si identificava
nel «rafforzamento dell’autorità del giudice» la «direttiva fondamentale della riforma».
(21) Cfr. gli artt. 99, 112 e 115 c.p.c.
(22) Ben si comprendono, dunque, la genesi ed il significato della rubrica «direzione
del procedimento», apposta all’art. 175 c.p.c.
(23) Nell’incipit del § 8, ad es., si proclamava che le complesse riforme (sostanziali e
processuali) dell’epoca avrebbero consentito «... di riaffermare nel giudice, al quale è affi-
dato il governo del nuovo processo, l’altissimo ufficio di austero assertore di una più forte e
più piena legalità ...»; ma, nel contempo, si voleva che lo Stato autoritario respingesse con
energia «... le tendenze, che periodicamente si affacciano nelle crisi della legalità, volte ad
innalzare il giudice per deprimere il legislatore...» (!).
(24) Si pensi al § 12 ed ai suoi elaborati contenuti, ad es., laddove si affermava
338 rivista di diritto processuale 2017
solennemente il canone (che, riletto oggi, di fronte ai disastri perduranti della giustizia
sempre più lenta e macchinosa, rischia di assumere sfumature quasi «canzonatorie») del
decidere presto e bene: «... libere le parti di porre il thema decidendum: ma i mezzi e il ritmo
per decidere presto e bene sul tema proposto, spetta al giudice regolarli...».
(25) Ibidem, §§ 20-21, 22, 23.
(26) Ibidem, § 16, ove, fra l’altro, si legge che «... ad ogni tappa del loro iter processuale
le parti e il giudice trovano dinanzi a sé, proposte dalla legge alla loro scelta, molteplici
strade: e sta a loro scegliere, secondo i bisogni del caso, la via più lunga o le scorciatoie ...».
(27) È a tutti noto, d’altronde, che anche quando vi sia la rimessione anticipata della
causa, ai sensi dei commi 2-3 dell’art. 187, essa «... investe il collegio di tutta la causa ...»
(art. 189, commi 1-2).
(28) Cfr. ancora l’art. 187, commi 1-3, in relazione all’art. 189, commi 1-2.
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 339
l’Instituto Iberoamericano de Derecho procesal nel 1988 (nel vol. Un ‘Codice tipo’ di
procedura civile per l’America Latina, a cura di S. Schipani e R. Vaccarella, Padova 1990,
pp. 517-518), l’art. 9 [Pronta y eficiente administración de justicia: «El Tribunal y bajo su
dirección los auxiliares de la jurisdicción, tomarán las medidas necesarias para lograr la más
pronta y eficiente administración de la justicia, ası́ como la mayor economı́a en la realización
del proceso»]; dall’altro, nelle Bases constitucionales mı´nimas del proceso civil ‘justo’ para
América Latina, elaborate da A. Morello e da me nel 2004 (in Comoglio, Etica e tecnica del
«giusto processo», Torino 2004, 416 ss., 419), l’art. 15 [Dirección del proceso], ove si attri-
buisce al giudice, fra l’altro, «... el poder de adoptar de oficio cualquier medida idónea para
acelerar y concentrar las actuaciones procesales, con el doble objetivo de evitar dilaciónes
indebidas y facilitar la mayor economı́a posible en la conducción del procedimiento ...».
(40) Quali esempi recenti nell’America Latina, si possono annoverare: da un lato, l’Art.
V (Principios de Inmediación, Concentración, Economı´a y Celeridad Procesales) del vigente
c.p.c. peruviano; dall’altro, gli Artt. 6˚ e 139˚, I-VI, del c.p.c. brasiliano del 2015.
(41) In tal senso, si vedano, ad es., l’art. 124, comma 1˚, e l’art. 125 del nuovo c.p.c.
elvetico (del 2011).
(42) A ciò si aggiungano, pure, le suggestioni derivate dai temi discussi in taluni simposi
internazionali di questi ultimi anni. Si vedano – a proposito del Thema 2 (denominato Wege
zur Prozessökonomie: Die Reduktion von Verfahrensdauer und Verfahrenskosten im Zivilpro-
zess) – l’intervento di P. Böhm, nonché i Generalberichte di S. Chiarloni e di A.A.S. Zuc-
kerman, all’XI World Congress on Procedural Law, tenutosi in Vienna nei giorni 23-28
agosto 1999 (nel vol. Procedural Law on the Threshold of a New Millennium, Bd. 3, Manz,
Wien 2002, 145-200).
(43) Anche a livello definitorio, si coglie, nella stessa terminologia inglese, il duplice
profilo (endo-processuale, o tecnico, ed economico lato sensu), che assume il complesso
342 rivista di diritto processuale 2017
corpus di poteri direttivi, attribuiti al giudice nel case management. La judicial economy,
infatti, viene perlopiù descritta come «... efficiency in the management of a particular
litigation or of the courts in general...», riferendosi specificamente «... to measures taken
to avoid unnecessary effort or expense on the part of the court or the court system...», «... so
as to minimize duplication of effort...» (queste citazioni sono tratte con taluni adattamenti,
sub voce, dal Webster’s New World Law Dictionary, Wiley Publishing, Inc., Hoboken, New
Jersey, 2010).
(44) Per una chiara prospettazione dei diversi profili dinamici, che assumono i poteri
direttivi del giudice (ed, in particolare, di quello inglese), nella regolamentazione dei ritmi,
dei tempi e dei costi dei procedimenti, cfr. M. De Cristofaro, Case Management e riforma del
processo civile, tra effettività della giurisdizione e diritto costituzionale al giusto processo, in
questa Rivista 2010, 282-305, sp. 293 ss.
(45) La cui specifica finalizzazione viene cosı̀ definita dalla Part 3, 3.12.(2) delle Civil
Procedure Rules (cfr., infra, la nota seguente): «The purpose of costs management is that the
court should manage both the steps to be taken and the costs to be incurred by the parties
to any proceedings so as to further the overriding objective».
(46) Questa, appunto, è la peculiare caratterizzazione impressa e voluta dalle ultime
riforme, nella vigente versione delle Civil Procedure Rules inglesi (Part 1 – Overriding Object,
1.1.-1.2.; il corsivo nella citazione è aggiunto).
Si legga, in dettaglio, l’intera Part 1, 1.1., (1)-(2) lett. a-e, 1.2.-1.4., in correlazione con
la Part 3, 3.1.-3.21., e con la Part 44.
Sull’importante rilievo sistematico da ascriversi alle predette riforme, si veda, nell’ottica
qui considerata, l’analisi di P. Comoglio, Giustizia (non) a tutti i costi – Significativo «upda-
te» delle Civil Procedure Rules inglesi e suggestioni sistematiche per la riforma del processo
civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2014, 145-160.
(47) Per adeguate informazioni, rimando ad altri miei studi precedenti (Access to Justice
and Constitutional Rights in Italy, nel vol. Rapports nationaux italiens au XVème Congrès
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 343
International de Droit comparé, Milano 1998, 511-542; Accesso alle Corti e garanzie costitu-
zionali, in Estudos em Homenagem à Professora Ada Pellegrini Grinover, Săo Paulo 2005, pp.
259-280; Etica e tecnica del «giusto processo», cit., Torino 2004, 11-37). In un’ottica com-
paratistica aggiornata, cfr. ora P. Comoglio, Questioni in tema di garanzie e accesso alla
giustizia civile, in A. Dondi, V. Ansanelli, P. Comoglio, Processi civili in evoluzione. Una
prospettiva comparata, Milano 2015, 69-76.
(48) Mi limito qui a segnalare i settori primari entro cui quell’indagine ebbe a
muoversi. Nel processo civile: regole di competenza e di connessione; utilità del giudizio
ed interesse ad agire; poteri del giudice ed economia delle attività istruttorie; economia
dell’attività decisoria (assorbimento di questioni, jus o factum superveniens, sentenze
condizionali); economia e giudizio d’appello; cassazione e giudizio di rinvio; funzione
pratica del giudicato. Non mancava, poi, un’incursione sia nel processo penale, sia in
quello amministrativo.
Sono certamente ben lieto di quel che, allora, mi riuscı̀ di fare. Ma devo realistica-
mente dare atto (all’inizio, non me ne resi conto; altrimenti, mi sarei subito scoraggiato) di
quanto fosse ambizioso l’impegno suggeritomi dall’entusiasmo per un settore di ricerca,
da noi, in gran parte inesplorato. Non posso, dunque, negare che quel medesimo entu-
siasmo mi abbia condotto a sviluppare, in determinati punti, argomentazioni assai com-
plesse e «talvolta perfino sofisticate» (come ebbe a notare l’amico Cavallone nella sua
dettagliata Recensione, cit., in questa Rivista 1984, 282).
(49) Non mancano diffusi richiami alle mie opere degli anni ’80. Nell’ambito del
processo civile, mi piace qui segnalare, ad es., gli spunti offerti, sulla funzione pratica del
giudicato e sui correlati poteri del giudice, dalle riflessioni di Giussani (Efficacia della
sentenza impugnabile in via ordinaria e sospensione per pregiudizialità, nota a Cass., sez.
II, 14 novembre 2012, n. 19938, in questa Rivista 1528-1537, sp. 1534-1535; Appunti dalla
lezione sul giudicato delle Sezioni Unite, ivi, 2015, 1564-1568, sp. 1565 ss.).
Segnalo pure, nell’ambito del processo penale: G. Segala, Il principio di economia
processuale, tesi di dottorato (Univ. Milano Bicocca 2010-2011), part. Cap. I (Nozioni
preliminari), opera che ho potuto reperire e consultare on line (Phd_Unimib_072075); C.
Marinelli, Ragionevole durata e prescrizione del processo penale, Torino 2016, di cui ho avuto
contezza pure on line.
(50) Ricordo qui, ancora una volta, per più ampi riferimenti, i contributi di B. Brändli,
Prozessökonomie im schweizerischen Recht, e di A. Koch, Die Prozessökonomie als Ausle-
gungskriterium der Zivilprozessordnung, citati retro (note 34-35).
(51) Sul punto, va dato merito, in primis, alle approfondite considerazioni di G. Oli-
vieri, La «ragionevole durata» del processo di cognizione (qualche considerazione sull’art. 111,
secondo comma, Cost.), in Foro it. 2000, V, 251-268, sp. 251-254. Gli ulteriori sviluppi
(dottrinali e giurisprudenziali) del medesimo tema sono ora ben sintetizzati, ex multis, da
344 rivista di diritto processuale 2017
1999 (52), secondo cui il «processo» come tale non potrà mai definirsi
«giusto» a pieno titolo, se la legge non gli assicuri pure una «ragionevole
durata» (53).
Anche qui bisogna subito intendersi sui reali termini del problema,
onde prevenire inutili fraintendimenti.
Senza dubbio, negli anni ’70-’80 dello scorso secolo, e poi, a seguire,
per lungo tempo ancora, si dava comunemente per pacifico il fatto che
nessuna garanzia attinente alla giustizia, nella Costituzione del 1948, fosse
in grado di assicurare a quel principio una legittimazione diretta (54). Da
noi, non si era ancora ben percepita e posta a fuoco la straordinaria
potenzialità espansiva del «principio di proporzionalità» (ossia del Verhält-
nismäßigkeitsprinzip elaborato dalla scienza tedesca) (55), ricollegabile ra-
zionalmente alle polivalenti espressioni del principio costituzionale di
eguaglianza (come inviolabile garanzia di «pari trattamento», dinanzi alla
legge ed, a fortiori, davanti al giudice) (56).
A far tempo dalla riforma del 1999 – come si è sottolineato in
dottrina (57) – la ritenuta «costituzionalizzazione» di quel principio, in
linea con le altre fonti normative internazionali sul délai raisonnable (58),
ha avuto il merito di «costituzionalizzare», nel processo, uno dei profili
più rilevanti ed incisivi del canone di «ragionevolezza», da reputarsi già
G. Vignera, La durata ragionevole del processo (civile) nel sistema delle garanzie costituzionali,
in Informazione prev. 2003, §§ 1-7, 446 ss.
Va da sé che siffatta «costituzionalizzazione», formalmente circoscritta alla «ragione-
volezza» del fattore tempo nel processo, investa soprattutto la dimensione economica, indi-
cata retro (nel § 1, sub A2) con riguardo ai costi antieconomici e «sproporzionati» delle liti
irragionevolmente lunghe, non senza ripercuotersi, però, necessariamente anche sulla di-
mensione tecnica del fenomeno considerato (sub A1).
(52) È la ben nota l. cost. 23 novembre 1999, n. 2.
(53) Art. 111, comma 2˚, seconda parte, Cost.
(54) In tal senso, ad es., cfr. C. Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. I, 19a ed.,
Torino 2007, 504-505; C. Mandrioli, A. Carratta, Corso di diritto processuale civile, vol. I,
13a ed., Torino 2016, 304-306.
(55) Cfr., retro, ancora il § 3, testo e note.
(56) Cfr., ad es., nel Grundgesetz tedesco, l’art. 3, comma 1˚ («Alle Menschen sind vor
dem Gesetz gleich»), ed il correlato art. 103, comma 1˚ (Grundrechte vor Gericht. «Vor
Gericht hat jedermann Anspruch auf rechtliches Gehör»).
(57) Sulla «costituzionalizzazione» del principio di economia processuale, cfr., ad es., i
rilievi di F.P. Luiso, Diritto processuale civile, 7a ed., vol. I, Milano 2013, 41-42. Per ulteriori
riferimenti, adde Comoglio, Etica e tecnica del «giusto processo», cit., Torino 2004, 85-90,
testo e note; Id., Le garanzie costituzionali, in L.P. Comoglio, C. Ferri, M. Taruffo, Lezioni
sul processo civile, 6a ed., vol. I, Bologna 2011, 97-99.
(58) Si pensi, nel contesto del procès équitable, agli artt. 6 e 13 della C.e.d.u., nonché
all’art. 47, comma 2˚, della Carta europea dei diritti fondamentali (norme la cui ricaduta sul
nostro sistema normativo è, per cosı̀ dire, «veicolata» dall’art. 117, comma 1˚, Cost.).
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 345
(59) Con riferimento specifico, più che all’eguaglianza in senso formale (art. 3, comma
1˚, Cost.), all’eguaglianza in senso sostanziale (art. 3, comma 2˚).
(60) Nella nostra giurisprudenza, il principio di «ragionevolezza» viene, da tempo,
normalmente abbinato al principio di «proporzionalità» (e, talvolta, pure ad altri principi,
forse meno incisivi e più sfumati: si pensi al principio di «logicità»), entro l’ampia gamma
dei potenziali contenuti precettivi, ascrivibili all’art. 3 Cost. Si vedano ex multis, nelle
massime, riferite alla varietà delle fattispecie decise: Corte cost., 3 dicembre 2015, n. 245,
in Rep. Foro it. 2015, voce Regione, n. 215; Corte cost., 15 maggio 2015, n. 82, ivi, 2016,
voce cit., n. 120, e in Foro it. 2016, I, 45-46, 58-69 con nota di G. D’Auria, 90-98; Corte
cost., 1 giugno 2016, n. 126, in Rep. Foro it. 2016, voce Ambiente (tutela dell’), n. 28. Per
analoghe statuizioni, cfr., ad es., nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, sez. III,
10 dicembre2013, n. 5910, ivi, 2014, voce Sanità pubblica e sanitari, n. 794; Cons. Stato, sez.
III, 26 maggio 2014, n. 2686, ivi, 2015, voce cit., n. 641; T.a.r. Lazio, sez. I, ord., 22 gennaio
2016, n. 780, ivi, 2016, voce Agricoltura, n. 30, nonché in Foro it. 2016, III, 129, 133-149,
con nota di P. Laghezza e A. Palmieri, 149-154.
(61) Si pensi ai diversi «modelli» interpretativi adottati dai giuristi e dai giudici nord-
americani nell’approccio sistematico ai precetti costituzionali dell’equal protection of the laws
e del due process of law (cfr. il V e il XIV Emendamento alla Costituzione federale del 1787).
Il più significativo di questi «modelli», riferito alla predisposizione di efficaci rimedi contro
le possibili diseguaglianze e discriminazioni socio-economiche nell’accesso alle corti di giu-
stizia, ha quale suo comune denominatore un «Basic Requirement of Minimum Rationality»,
ossia una reasonableness legittimata dalla «... theory of rationality as governing the relation
between means and ends ...» [sul punto, nel quadro di un’approfondita analisi giurispru-
denziale, cfr. L. H. Tribe, American Constitutional Law, 2nd Edition, Mineola, New York
1988, Ch. 16, Model VI – The Model of Equal Protection, §§ 16-1./16-59, 1436-1672, sp.
1439-1443 (§ 16-2.), 1461-1463 (§ 16-11.), 1637-1641 (§§ 16-43/45)].
Linguisticamente, poi, si rammenti che il termine reasonable annovera (non a caso) fra i
suoi sinonimi più comuni anche gli aggettivi moderate, fair, inexpensive.
(62) Cfr., retro, ancora il § 3. Si noti, per curiosità, che pure la locuzione (innerhalb)
angemessener Frist, equivalente (nella versione tedesca delle norme internazionali già citate)
alle espressioni délai raisonnable e reasonable time, contiene un implicito riferimento al
principio di «proporzionalità», poiché l’aggettivo angemessen (dal verbo anmessen) assume,
a sua volta, il significato di «conveniente, adeguato, corrispondente (allo scopo)».
346 rivista di diritto processuale 2017
(65) Si consideri, ad es.: per un verso, il nuovo art. 307, comma 4˚, c.p.c., con la sancita
rilevabilità d’ufficio dell’estinzione del giudizio per inattività di parte (art. 46, comma 15˚,
della l. 18 giugno 2009, n. 69); per altro verso, il tentativo di rendere efficiente, anche sul
piano organizzativo, una sorta di case management all’italiana, con il varo del c.d. «ufficio
per il processo» (art. 16-octies del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n.
114).
Occorre, comunque, rammentare che – a prescindere dalla predetta «riserva di legge»
– in giurisprudenza si considera la «ragionevole durata» alla stregua di un vero e proprio
principio «costituzionalizzato», immediatamente precettivo ed applicabile. Ciò appare ancor
più chiaro, se si ricorda che a quel principio – grazie ai vincoli derivanti dall’art. 117, comma
1˚, Cost. – corrisponde, pure in Italia, il riconoscimento di un diritto individuale fondamen-
tale, azionabile nelle competenti sedi giudiziarie (nazionali ed internazionali).
(66) Si tratta di quei rischi che Cavallone – fondamentalmente contrario, per una sua
meditata ed autorevole convinzione, a qualsiasi (irrazionale) incremento dei poteri direttivi
del giudice – non aveva mancato di paventare (gliene devo dare atto) sin dal 1984, recen-
sendo le mie opere (in questa Rivista 1984, 283-284). Di analogo tenore fu, d’altronde,
qualche riserva enunciata pure da Monteleone, in Riv. dir. civ. 1983, 203-204.
(67) Non cosı̀, per contro, dovrebbe accadere, in linea di principio, nelle cause inscin-
dibili, ove, secondo la ratio sottesa all’art. 331 c.p.c., talvolta si ritiene che il dovere ufficioso
di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi, ed in funzione del
loro inviolabile diritto di difesa, prevalga sulle esigenze di economia e di contenimento dei
tempi processuali. Sul punto, ad es., cfr. Cass. civ., sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20501, in
Rep. Foro it. 2015, voce Impugnazioni civili, n. 20.
(68) Cfr., ad es., Cass. civ., sez. un., 3 novembre 2008, n. 26373, in questa Rivista 2009,
1684-1696, con nota di L.P. Comoglio, Abuso dei diritti di difesa e durata ragionevole del
348 rivista di diritto processuale 2017
processo: un nuovo parametro per i poteri direttivi del giudice ?, 1686-1700, e in Giur. it.
2009, 668, con nota di A. Didone, Le sezioni unite e la ragionevole durata del processo
«giusto», 668 ss.
(69) È, soprattutto, il caso del dovere di lealtà e di probità, sancito dall’art. 88 c.p.c.,
nonché del più ampio e generale dovere di buona fede, da ricondursi entro l’ambito dei
doveri inderogabili di «solidarietà», posti dall’art. 2 Cost. fra i «principi fondamentali»
dell’ordinamento.
(70) Per opportuni approfondimenti ed ulteriori richiami, si veda, ad es., Comoglio,
Abuso del processo e garanzie costituzionali, in questa Rivista 2008, 319-354, nonché in Studi
in onore di V. Colesanti, vol. II, Napoli 2009, 355-391. Fra gli ultimi contributi scientifici, si
veda altresı̀ G. Verde, L’abuso del diritto e l’abuso del processo, in questa Rivista 2015, 1085-
1089 (sull’opera di G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo. Studio critico, Napoli
2015).
(71) Il leading case di tale orientamento risale, come è noto, a Cass. civ., sez. un., 15
novembre 2007, n. 23726, in Rep. Foro it. 2008, voce Obbligazioni in genere, n. 76, e 2007,
voce Procedimento civile, n. 59; nonché, per esteso, in Foro it. 2008, I, 1514-1528, con
commenti di A. Palmieri, R. Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile,
1515-1519, e di R. Caponi, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del
principio di proporzionalità nella giustizia civile?, 1519-1526; in Nuova giur. civ. 2008, I, 458-
461, con commenti di A. Finessi, La frazionabilità (in giudizio) del credito: il nuovo inter-
vento delle sezioni unite, 461-466, e di F. Cossignani, Credito unitario, unica azione, 466-471;
nonché in questa Rivista 2008, 1435-1437, con commento di M. Gozzi, Il frazionamento del
credito in plurime iniziative giudiziali, tra principio dispositivo e abuso del processo, 1437-
1447.
(72) Per ulteriori sviluppi, sul punto, cfr., pure, da ultimo, Cass. civ., sez. lav., ord., 25
gennaio 2016, n. 1251, in Rep. Foro it. 2016, voce Procedimento civile, n. 57, e, per esteso, in
Nuova giur. civ. 2016, I, 872-882, con commento di C. M. Nanna, Per una ricostruzione in
chiave evolutiva del problema della frazionabilità processuale del credito, 882-888.
(73) Sono parole tratte, testualmente, dalla motivazione di Cass. civ., sez. un., n. 23726/
2007, cit. supra.
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 349
(74) Comoglio, Modificazione della domanda, tutela effettiva ed economia dei giudizi
(nuovi poteri per il giudice ?), cit., retro, in nota 2.
(75) Più esattamente, in base ai commi 5˚ e 6˚, n. 1, con la memoria di precisazione e/o
di modificazione, ivi prevista entro il 1˚ termine perentorio di giorni 30.
A proposito di una identica «modificazione» della domanda, avvenuta non già in primo
grado, bensı̀ in appello, cfr., altresı̀, Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2015, n. 23131, in Foro
it. 2015, 2494-2499, con nota di A. Motto, Sulla modificazione in grado d’appello della
domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo,
2500-2504.
(76) Si tratta di Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Foro it. 2015, I, 3174-
3188, con note di M. Ciccone, 3188-3190, e di A. Motto, Le sezioni unite sulla modificazione
della domanda giudiziale, 3190-3198; nonché ivi, 2016, I, 255, con commento di C.M. Cea,
Tra «mutatio» ed «emendatio libelli»: per una diversa interpretazione dell’art. 183 c.p.c., 255-
260; ed in questa Rivista 2016, 807-816, con un’approfondita disamina di E. Merlin, Am-
missibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo grado,
816-826.
350 rivista di diritto processuale 2017
(77) Sono parole tratte dalla motivazione della sentenza in esame (Foro it. 2015, I,
3185-3186).
(78) In base all’art. 163-bis c.p.c.
(79) È il ben noto meccanismo, corroborato perdipiù da un’espressa sanzione di de-
cadenza a carico del convenuto, che deriva dal comb. disp. degli artt. 106, 167, comma 3˚, e
269, commi 1˚ e 2˚, c.p.c.
(80) Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2010, n. 4309, pubblicata (unitamente a Cass. civ.,
sez. trib., 18 febbraio 2010, n. 3830, ibid., 1788-1791) in Foro it. 2010, I, 1775-1787, con
commento critico di R. Caponi, D. Dalfino, A. Proto Pisani, G. Scarselli, In difesa delle
norme processuali, 1794-1797. La si legga, pure, in Giur. it. 2010, 2381, con nota di V.
Amendolagine, La chiamata in causa del terzo formulata dal convenuto ai sensi dell’art. 269,
2˚ comma, c.p.c.: il giudice può rigettarla nell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo ?, 2384;
nonché in Giusto processo civ. 2010, 1139-m, con commento di G. Balena, Sulla pretesa
discrezionalità del giudice, in caso di chiamata del terzo ad istanza del convenuto, 1139. Nei
medesimi termini in cui si sono espresse le Sezioni unite, cfr., poi, Cass. civ., sez. III, 12
maggio 2015, n. 9570, in Rep. Foro it. 2015, voce Intervento in causa e litisconsorzio, n. 30; e,
per altri riferimenti, Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406, ivi, 2014, voce cit., n. 13.
(81) Verso il quale – devo ammetterlo – mi ha sempre orientato e spinto la più che
ventennale esperienza, maturata («in presa diretta») nell’esercizio della funzione giurisdizio-
nale.
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 351
legem) degli schemi normativi tradizionali, con dardi metaforici che vanno
a colpire al di là del segno.
Tale rischio – a prescindere dall’indiscussa auctoritas dei predetti va-
lori – si può manifestare anche laddove, nel formale rispetto dei medesimi,
le norme sull’integrazione del contraddittorio, sulle modalità del suo ripri-
stino e sulle derivate sanzioni di nullità (82), nei casi di litisconsorzio ne-
cessario, risultino aggirabili ope judicis, se con l’impiego di quelle modalità
o con l’irrogazione di quelle sanzioni venga comunque a prodursi «... un
dispendio di energie processuali non suscettibile di meglio garantire le
esigenze della difesa e di partecipazione delle parti ...» (83).
Vero è che, in ogni caso, gli sforzi ermeneutici integrativi e gli stessi
interventi direttivi del giudice dovrebbero essere sempre ancorati ad un’at-
tenta «valutazione comparata» dei diritti e degli interessi protetti dalle
norme costituzionali, nella ricerca di soluzioni equilibrate che non com-
portino uno «scardinamento» di istituti processuali ormai radicati. Ciò,
nell’ambito del processo «giusto», equivale ad ammettere che – nel teorico
conflitto fra l’esercizio inviolabile dei diritti individuali di azione o difesa e
l’attuazione delle garanzie strutturali, attinenti all’«economia» ed alla «ce-
lerità» del procedimento – possa anche prevalere il primo sulla seconda (e
non viceversa) (84).
Dedico, infine, un rapido accenno all’«economia decisoria», la quale,
implicando talvolta anche una corrispondente «economia» nella trattazio-
ne o nell’istruzione della causa, si riferisce soprattutto al complesso feno-
(82) Intendo: sia le nullità radicali della sentenza (da reputarsi inutiliter data) che venga
pronunziata (anche con efficacia di giudicato) nei confronti di alcuni soltanto dei litiscon-
sorti necessari, sia i meccanismi preventivi di ricostituzione del relativo contraddittorio (con
la rimessione della causa, nei giudizi di gravame, al primo giudice: artt. 102, commi 1˚ e 2˚,
354, 383, comma 3˚, c.p.c.).
(83) Si consideri, in questa prospettiva, la fattispecie presa in esame da Cass. civ., sez.
trib., 18 febbraio 2010, n. 3830 (cit. supra in nota 77; le parole riportate nel testo sono tratte
dalla massima ufficiale), a proposito di un litisconsorzio necessario «originario» (ex art. 14
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), ove la concomitante pendenza, dinanzi al giudice di
legittimità, di due ordini di gravami, proposti da separati litisconsorti in giudizi diversi di
merito, ha consentito di evitare la declaratoria di nullità di quei giudizi e la conseguente
regressione al primo giudice (ex art. 383, comma 3˚, c.p.c.), previa riunione delle cause,
direttamente disposta avanti a sé dal Supremo Collegio. Valgono anche qui le stesse per-
plessità, manifestate criticamente dai commentatori di Cass., n. 4309/2010, in Foro it. 2010,
I, 1794-1797.
(84) Si tratta, in ultima analisi, di quella stessa Güterabwägung che i giuristi tedeschi
sottendono all’impiego concreto del Verhältnismäßigkeitsprinzip. In altre parole: pure in
siffatta «valutazione comparata» di valori e di interessi equi-ordinati, non è possibile pre-
scindere da un saggio impiego del principio di «ragionevolezza» o di «proporzionalità», di
cui, nei corso di queste riflessioni, si è a lungo parlato.
352 rivista di diritto processuale 2017
(85) Si pensi: a) da un lato, al meccanismo della rimessione anticipata della causa, per la
pronunzia separata su questioni pregiudiziali o preliminari, da sé sole suscettibili, se fondate,
di definire il giudizio (artt. 187, commi 2˚ e 3˚, e 189, comma 1˚, e 279, comma 2˚, c.p.c.; b)
dall’altro, al potere giudiziale di deroga al rigoroso ordo quaestionum nella fase di delibe-
razione della decisione (art. 276, comma 2˚, c.p.c.).
Si ricordi che, pure nel processo amministrativo ed in quello tributario, la fase di
deliberazione si adegua alle medesime disposizioni (infatti, l’art. 76, comma 3˚, c.p.amm.
richiama, testualmente, fra l’altro, il cit. art. 276, comma 2˚, c.p.c.; ed a quest’ultima norma,
fra l’altro, si riporta anche l’art. 35, comma 3˚, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per
quanto riguarda il processo tributario).
Sul tema, si veda, ora, lo studio di S. Menchini, L’ordine di decisione delle questioni di
merito nel processo di primo grado, in questa Rivista 2016, 975-1015, spec. 975-981.
(86) Cfr., ad es., ex plurimis: Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2006, n. 11356, in Rep. Foro
it. 2006, voce Cosa giudicata civile, n. 10 (con riferimento alle questioni «assorbenti»); Cass.
civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e 26243, ivi, 2014, voce Procedimento civile, nn.
132/135 [a proposito del rilievo d’ufficio delle nullità negoziali (anche speciali o «di pro-
tezione»), impedito unicamente da un’individuata «ragione più liquida» di rigetto della
domanda), nonché, per esteso, in Foro it. 2015, I, 862-909, con commenti di M. Adorno,
909-916, di A. Palmieri e R. Pardolesi, 916-921, di F. Di Ciommo, 922-928, di S. Pagliantini,
928-930, di S. Menchini, 931-943, e di A. Proto Pisani, 944-946; ed in Nuova giur. civ. 2015,
I, 299-315, con commento di N. Rizzo, 315-324; Cass. civ., sez. un., 8 maggio 2014, n. 9936,
in Rep. Foro it. 2014, voce Procedimento civile, n. 31 (a proposito della cognizione e della
decisione di un motivo di merito, pur in presenza di questione pregiudiziale). Nella più
recente giurisprudenza di merito, ad es., ex plurimis, cfr. Trib. Monza, 4 febbraio 2016, in
Rep. Foro it. 2016, voce Procedimento civile, n. 196; Trib. Milano, 19 luglio 2016, ivi, 2016,
voce cit., n. 187.
È, naturalmente, quasi superfluo (seppur doveroso) rammentare come – nell’odierno
linguaggio filosofico (proprio, ad es., di Z. Bauman, Liquid Life, Cambridge 2005, trad. it.,
Bari 2006, VII-XXIV, 3-177) – l’aggettivo «liquido», riferito ad altre nozioni onticamente
differenziate (quali, ad es., «vita», «modernità» e «amore») , assuma svariate declinazioni di
ben diverso significato.
(87) Ma – si badi bene – anche con un elegante (seppur non sempre consapevole)
ritorno al passato, ossia, talvolta, con la forbita «ripresa» di quel celebre «rasoio di Occam»,
cui ho fatto cenno a suo luogo (retro, § 2, testo e note 17-18). Sul tema, da ultimo, si vedano
altresı̀ le riflessioni di Verde, Considerazioni inattuali su giudicato e poteri del giudice, in
questa Rivista 2017, 13-34, sp. 22-25.
(88) Secondo quanto ebbi modo di prospettare e di proporre a suo tempo (Comoglio,
l’economia dei giudizi come principio «ad assetto variabile» 353
Il principio di economia processuale, cit., vol. I, 191-192 ss., e vol. II, 253-259), dovrebbe
dirsi «proprio» l’assorbimento che, seguendo (per cosı̀ dire, «in avanti») il rigoroso ordo
quaestionum fra rito e merito, dettato dai rapporti di pregiudizialità e di inter-dipendenza di
più questioni fra di loro concatenate, importi la risoluzione «assorbente» (o, se vogliamo,
«dirimente») di una delle questioni logicamente prioritarie, purché mature per la decisione
senza bisogno di particolari accertamenti, con la derivata preclusione dell’esame di ogni altra
questione ad essa equi-ordinata, subordinata o dipendente (tanto più se, a differenza di
quell’altra, ancora da trattare e da istruire nelle forme più opportune). Dovrebbe, invece,
dirsi «improprio» l’«assorbimento» (per dir cosı̀, «all’indietro») che, in deroga al predetto
ordo quaestionum (qual è delineato, ad es., dall’art. 276, comma 2˚, c.p.c.), comporti la
risoluzione decisoria di una questione logicamente non prioritaria o pregiudiziale, ma suc-
cessiva o comunque postergata ad altre, ove essa, a differenza di queste, sia pure idonea a
definire da sé sola il giudizio, senza alcuna necessità di specifici accertamenti, cosı̀ evitando
un inutile dispendio di energie e di attività processuali nella trattazione e/o nell’istruzione di
tutte le altre.
Va da sé, poi, che l’«assorbimento» potrebbe ben dirsi, a seconda dei casi, «tecnica-
mente preclusivo» (comportando, senza alcun rischio di conflitto con il principio sancito
dall’art. 112 c.p.c., l’omessa cognizione e, quindi, l’omessa pronunzia sulle questioni «as-
sorbite») oppure «implicitamente reiettivo», se comunque lasci trasparire un’implicita pro-
nunzia di rigetto su di una (o su altre) delle questioni dichiarate «assorbite». Il che – facile a
dirsi, in astratto, ma difficile da accertarsi, in concreto – non dovrebbe, certo, essere privo di
riflessi differenziati sulla delimitazione oggettiva dell’area di formazione del susseguente
giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.).
Su tale specifico profilo, cfr., ad es., da ultimo, Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2015, n.
5264, in Rep. Foro it. 2015, voce Cosa giudicata civile, n. 38; nonché Cass. civ., sez. VI, ord.,
20 marzo 2015, n. 5724, ivi, 2015, voce Procedimento civile, n. 220 (secondo cui, al di fuori
di qualsiasi giudicato implicito, l’assorbimento «improprio», non comportando alcun onere
di impugnazione a carico del soggetto comunque vittorioso, sarebbe legittimato dal predetto
principio della «ragione più liquida», il quale «... non segue l’ordine logico-giuridico delle
questioni, ma quello per cosı̀ dire «economico» del risparmio di energie processuali, cioè
dell’uso della ratio decidendi già pronta e di per sé sufficiente ...»).
354 rivista di diritto processuale 2017
(2) V. Aa.Vv., Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di
cassazione, in Foro it. 2017, V, 1 ss.
ius constitutionis, ius litigatoris e riforma del giudizio di cassazione 357
(3) V. in argomento Orrestano, L’appello civile in diritto romano, Torino 1953, 276;
Lauria, Contra constitutiones, in Studi e ricordi, Napoli 1983, 79; Pugliese, Note sull’ingiu-
stizia della sentenza nel diritto romano, in Studi in onore di Emilio Betti, Milano 1962, III,
775; Calamandrei, La cassazione civile, Roma 1920, I, 50.
(4) Sulla nullità della sentenza Scialoia, Procedura civile romana, Roma 1894, 266; F.
Vassalli, Studi giuridici, Milano 1960, III, 1, 389 ss.
358 rivista di diritto processuale 2017
(5) V. anche Raggi, Studi sulle impugnazioni civili nel processo romano, Milano 1961,
I, 80.
ius constitutionis, ius litigatoris e riforma del giudizio di cassazione 359
(9) V. anche il mio La crisi della cassazione civile e i possibili rimedi, in Giusto processo
civ. 2010, 653.
ius constitutionis, ius litigatoris e riforma del giudizio di cassazione 361
Essa non nasceva per fissare principi di diritto o, meno ancora, per uni-
formare orientamenti giurisprudenziali (10); nasceva, puramente e sempli-
cemente, per cassare le sentenze pronuncia in violazione di legge.
Non a caso, le prime Corti di cassazione d’Italia (1817, Regno delle
due Sicilie; 1838, Granducato di Toscana (11); 1847 Regno di Sardegna)
provvedevano tutte, solo e soltanto, a controllare la legalità delle sentenze
pronunciate in secondo grado, e ad annullare quelle pronunciate in viola-
zione di legge (12).
A seguito dell’unità d’Italia la cassazione veniva recepita nella legge
sull’ordinamento giudiziario r.d. n. 2626/1865, e ad essa veniva affidato il
compito, in base all’art. 122, di assicurare la «esatta osservanza della legge»,
e non di indicare principi di diritto per uniformare gli orientamenti della
giurisprudenza. E stesso ruolo veniva confermato alla Cassazione dalla
successiva legge di ordinamento giudiziario l. n. 2786/1923, contestuale
alla soppressione della c.d. Corti regionali in favore della Cassazione di
Roma. Anche quella legge, nell’art. 61, adoperava la stessa espressione già
usata dall’art. 122 r.d. n. 2626/1865, e assegnava ancora alla Corte di
cassazione il compito di assicurare la «esatta osservanza della legge» (13).
Solo l’art. 65 del r.d. n. 12/1941 avrebbe previsto che la Corte di
cassazione «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della
legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale», ovvero solo nel 1941, per la
prima volta, veniva riconosciuta alla Corte di cassazione una funzione di
nomofilachia, che le precedenti leggi sull’ordinamento giudiziario non
prevedevano.
E credo non dovrebbe essere oggetto di dubbio che il passaggio dalla
sola «osservanza della legge» degli anni 1865 e 1923, alla «uniforme inter-
pretazione» e alla «unità del diritto oggettivo nazionale» del 1941, costi-
tuiva lo sviluppo e il risultato di quegli orientamenti politici manifestatesi
nel ventennio (14). E parimenti credo non dovrebbe essere oggetto di
dubbio che la dizione dell’art. 65 r.d. n. 12/1941, quanto meno al suo
(10) V. infatti Taruffo, Il vertice ambiguo, Bologna 1991, 63: «Di essa (della nomofila-
chia) non vi è traccia, infatti, né nella disciplina della Cassazione in Francia, ne’ in quella
delle legislazioni italiane preunitarie».
(11) Scarselli, La Corte di cassazione di Firenze (1838 – 1923), in Giusto processo
civ. 2008, 322.
(12) Picardi, Giuseppe Pisanelli e la cassazione, in questa Rivista 2000, 637.
(13) Caberlotto, voce Cassazione e Corte di cassazione, in Digesto italiano 1887-1896,
VII, I, 36 ss.; Gargiulo, voce Cassazione, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1905, III,
II, 21 ss.
(14) V. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano 1991, 235; Meccarelli, Le
Corti di cassazione nell’Italia unita, Milano 2005, 33.
362 rivista di diritto processuale 2017
GIULIANO SCARSELLI
Professore ordinario nell’Università di Siena
LE MISURE COERCITIVE EX ART. 614 BIS C.P.C.
DOPO LA RIFORMA DEL 2015
(1) Articolo modificato dall’art. 13 del d.l. 27 giugno 2015, n. 83 in sede di conversione
dalla l. 6 agosto 2015 n. 132. Le modifiche si applicano dal 21 agosto 2015, data di entrata
in vigore della citata legge di conversione.
(2) Cosı̀, ex multis: A. Saletti, in A. Saletti, M.C. Vanz, S. Vincre, Le nuove riforme
dell’esecuzione forzata, Torino 2016, 340; B. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione
civile, 4a ed., Torino 2016, 47; M. Bove, Riforme sparse in materia di esecuzione forzata
tra il d.l. n. 83/2015 e la legge di conversione n. 132/2015, in Riv. esec. forzata 2016, 9 ss.; G.
Rampazzi, L’ambito di applicazione delle misure di coercizione indiretta ex art. 614 bis c.p.c.,
in Aa.Vv., Trasformazioni e riforme del processo civile, Torino 2015, 364 ss.; I. Gambioli, Le
misure di coercizione indiretta ex art. 614 bis c.p.c., in Giur. it. 2016, 1283 ss.
(3) Cosı̀ dalla Relazione (n. 1.3.2.1.1) al d.d.l. S. 2021 – Senato della Repubblica in 2ª
Commissione permanente (Giustizia) – Seduta n. 224 (pom.) del 28 luglio 2015: «La
riforma estende l’ambito di applicazione di queste misure a qualsiasi condanna all’adempi-
mento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro (lettera cc-ter)».
370 rivista di diritto processuale 2017
(4) La definizione è di S. Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano 1980,
15, spec. nota n. 22., che pure critica sul punto G. Borré (Esecuzione forzata degli obblighi di
fare e non fare, Napoli 1966, 136).
(5) Sottolinea questo profilo (che sarà approfondito nel § 9) M. Bove, La misura
coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ. 2010, 783.
(6) Ci si riferisce alla condivisibile affermazione di E. Merlin (Prime note sul sistema
delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009,
in questa Rivista 2009, 1553 s.), a proposito dell’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c. con la l.
n. 69/2009.
(7) Sul tema ci sia consentito rinviare all’opera di S. Chiarloni, Misure coercitive e tutela
dei diritti, Milano 1980, passim; e allo scritto (di commento a quella opera) di V. Colesanti,
Misure coercitive e tutela dei diritti, in questa Rivista 1980, 601.
(8) Senza pretesa di completezza, si ricordano il c.d. Progetto Carnelutti del 1926, il
disegno di legge Reale del 1975; il progetto predisposto dalla Commissione ministeriale
presieduta dal prof. Liebman del 1981; e, più recentemente, il progetto elaborato dalla
Commissione presieduta dal prof. Vaccarella sfociato nel d.d.l. 23 luglio 2003, n. 2430,
nonché il d.d.l. Mastella del 2007.
(9) Sul tema, ampiamente, già L. Ferrara, L’esecuzione processuale indiretta, Napoli
1915, spec. 163 ss.; e, in seguito, tra molti, soprattutto S. Chiarloni, Misure coercitive e tutela
dei diritti, cit.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 371
già negli anni novanta, era stata proposta un’estensione di tale forma di
tutela anche agli obblighi di consegna e rilascio (sia pure con notevoli
eccezioni) (10), come è poi avvenuto con la riforma qui in esame.
(10) A tal riguardo va infatti ricordato che già nel c.d. progetto Tarzia del 1996, si
contemplava la possibilità di un’astreinte anche in relazione alle obbligazioni di consegna e
rilascio, sebbene si escludesse nel caso di rilascio derivante da contratto di locazione a uso
abitativo. Il progetto è pubblicato in questa Rivista 1996, spec. 956 s.
(11) Cosı̀ ad es. F. P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano 2015, 240; M. Bove,
La misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c., cit., 783; A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma
della giustizia civile, Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009,
Torino 2009, 164; M. Taruffo, Note sull’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, in
Giur. it. 2014, 744 ss.
(12) Hanno ritenuto ammissibile l’astreinte anche in relazione a obblighi di non facere
fungibili, ad. es. A. Saletti, commento all’art. 614 bis c.p.c. in Commentario alla riforma del
codice di procedura civile, a cura di A. Saletti e B. Sassani, Torino 2009, 201; D. Amedei, Una
misura coercitiva generale per l’esecuzione degli obblighi infungibili, in www.judicium.it; L.
Barreca, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare (art. 614 bis c.p.c.), in Riv.
esec. forzata 2009, 506; S. Chiarloni, L’esecuzione indiretta ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.:
confini e problemi, in Giur. it. 2014, 732. Contra C. Consolo, Spiegazioni di diritto proces-
suale, I, 2009, 160 ss.; A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, Commento alle
disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, cit., 164.
(13) Sul punto C. Consolo e F. Godio, commento all’art. 614 bis c.p.c., in Aa.Vv.,
Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani,
372 rivista di diritto processuale 2017
e R. Vaccarella, VII, t. 1, Torino 2014, 154 ss. anche per ulteriori citazioni; S. Mazzamuto,
L’attuazione degli obblighi di fare, Napoli 1978, passim; L.Ferroni, Obblighi di fare ed
eseguibilità, Napoli 1983, passim; D. Poletti, Sull’infungibilità degli obblighi di cui all’art.
614 bis c.p.c., in Giur. it. 2014, 750 ss.
(14) Per un confronto tra l’infungibilità sostanziale e quella processuale, di recente, e
anche per citazioni, R. Siclari, Infungibilità: tra il dare e il fare, in Riv. trim. dir. proc. civ.
2015, 583 ss.
(15) Si è trattato questo aspetto in dottrina anche cercando di definire il parametro del
«c.d. contraente economicamente ragionevole». Cosı̀ C. Consolo e F. Godio, commento
all’art. 614 bis c.p.c., cit., 157.
(16) Cosı̀ S. Mazzamuto, La comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. e il concetto di
infungibilità processuale, in Europa e diritto priv. 2009, 447 ss.; A. Chizzini, in Aa.Vv., La
riforma della giustizia civile, cit., 166; F.P. Luiso, Diritto processuale civile, III, Il processo
esecutivo, 8a ed., Milano 2015, 11; sul punto anche R. Siclari, Infungibilità: tra il dare e il
fare, cit., 584. Contra B. Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 3a ed., Torino
2016, 42.
(17) Sul punto E. Merlin, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per
l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, cit., 1553 s.
(18) G. Verde, Diritto processuale civile, III, Bologna 2015, 129, ricollega la previsione
in esame, più che ad obbligazioni infungibili, a obblighi strutturati in modo da dover durare
nel tempo.
(19) Si ricorda, ad es., un precedente del Trib. Trento 8 febbraio 2011 a proposito della
mancata ottemperanza ad un ordine di rilascio; inoltre Trib. Terni 6 agosto 2009, in Giur. it.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 373
2010, 637, con nota di S. Mazzamuto, L’esordio della comminatoria di cui all’art. 614 bis
nella giurisprudenza di merito; e Trib. Siena 11 novembre 2013, in Foro it. 2014, I, 1980.
(20) L’opportunità di ricorrere alla tutela di condanna e all’art. 614 bis c.p.c., in questa
ipotesi consiste, in sostanza, nell’evitare di dover attendere il passaggio in giudicato della
sentenza costitutiva, prima di ottenere l’utilità perseguita. Sul punto C. Consolo, Una buona
«novella» al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis) va ben al di là della
sola dimensione processuale, in Corr. giur. 2009, 740 ss. Tesi precisata ulteriormente (anche
nei suoi profili problematici) in C. Consolo, V. Gordio, in Aa.Vv., Commentario del codice di
procedura civile, diretto da P.F. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R.Vaccarella, VII, t. 1,
sub. 614 bis. 174. Contra A. Saletti, Commentario alla riforma del codice di procedura civile,
cit., 203. Per un’applicazione della misura coercitiva in relazione a un obbligo di rinegozia-
zione del contenuto del contratto: Trib. Bari, ord. 14 giugno 2011, in Contratti 2012, con
nota di Patti.
(21) Sul punto la recente sentenza Cass. 22 giugno 2016, n. 12877, nella quale si nega
che vi sia per tale profilo violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Il ricorrente aveva sollevato la
questione di l.c. dell’art. 146 d.p.r. n. 115/2002, con riguardo alla differente disciplina
relativa all’anticipazione delle spese in sede fallimentare.
(22) Contra, ma prima della riforma G. Costantino, Tutela di condanna e misure coer-
citive, in Giur. it. 2014, 740.
(23) Anche il presupposto della non manifesta iniquità della concessione della m.
coercitiva non è mutato con la riforma del 2015, sicché si deve ritenere che sul punto
374 rivista di diritto processuale 2017
to, non impedisce la pronuncia di una sentenza di condanna, «in quanto la relativa decisione
non solo è potenzialmente idonea a produrre i suoi effetti tipici in conseguenza della
eventuale esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è altresı̀ produttiva di ulteriori
conseguenze risarcitorie, suscettibili di levitazione progressiva in caso di persistente inadem-
pimento del debitore». A parere della Corte, peraltro, ogni dubbio sull’ammissibilità di una
pronuncia di condanna relativa a tali obblighi è stato eliminato dal legislatore proprio con
l’introduzione dell’art. 614 bis c.p.c., norma cui si assegna «valore ricognitivo di un principio
di diritto già affermato in giurisprudenza».
(25) Per questa definizione della condanna, come provvedimento volto alla sanzione
esecutiva e alla formazione del titolo E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, 8a
ed. a cura di V. Colesanti e E. Merlin, Milano 2012, 173 (ma riguardo alle misure coercitive
e alla condanna all’obbligo di fare o non fare infungibile, si veda nella medesima opera il §
95 bis).
376 rivista di diritto processuale 2017
(26) Cosı̀ già prima dell’ultima riforma A. Chizzini, Patrimonialità dell’obbligazione tra
condanna ed esecuzione forzata, cit., 659 ss. spec. 662.
(27) Su questo tema si ricordano ad es. F. Carpi, La provvisoria esecutività della
sentenza, Milano 1978, passim; G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria
nel processo civile, Milano 2008, passim. È peraltro a tutti nota la differente posizione di
E.T. Liebman, Efficacia e autorità della sentenza (ed altri scritti sulla cosa giudicata), Ristam-
pa della 1a ed., Milano 1983, 25; Id., Manuale di diritto processuale civile, Milano 2007, 257;
seguita in particolare da E.F. Ricci, Enrico Tullio Liebman e la dottrina degli effetti della
sentenza, in Enrico Tullio Liebman oggi, Riflessioni sul pensiero di un maestro, Milano
2004, 92.
(28) Ci riferiamo ai provvedimenti del giudice, senza dimenticare peraltro che ora il n. 1
del 2˚ comma dell’art. 474 c.p.c. attribuisce la qualità di titolo esecutivo anche ad altri «atti»,
quali i verbali di conciliazione.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 377
(art. 614 bis c.p.c.), cit., 2009, 508, la quale però è contraria all’applicabilità della coercitiva a
provvedimenti possessori o nunciatori. Contra G. Costantino, Tutela di condanna e misure
coercitive, cit. 5, il quale ricorda a questo proposito che nel procedimento cautelare il
giudice ha già la possibilità di determinare i «provvedimenti opportuni» tra i quali è
possibile ricomprendere anche una misura coercitiva.
Il panorama della giurisprudenza su questo aspetto è particolarmente ampio e interes-
sante Tra i provvedimenti dei giudici di merito che ammettono la misura coercitiva anche in
relazione a provvedimenti cautelari si ricordano ad es.: Trib. Terni, 6 agosto 2009, in Giur.
it. 2010, 637; Trib. Messina, 7 luglio 2010, in Corr. merito 2011, 42; in relazione a un
provvedimento ex art. 700 c.p.c. di obbligo di manutenzione di un contratto Trib. Verona,
24 dicembre 2012, in www.ilcaso.it; Trib. Reggio Emilia, 15 aprile 2015; Trib. Milano, 9
luglio 2015, per un’ipotesi art. 700 c.p.c. che riguarda la famosa questione Uber.
(32) C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, 24a ed., Torino 2014 199.
(33) Cosı̀ recentemente in giurisprudenza Trib. Cosenza, 20 luglio 2016, in www.ilca-
so.it, in relazione all’istanza di cancellazione di una illegittima segnalazione presso la Cen-
trale Rischi.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 379
condanna) (34), per quanto qui rileva, mi pare, infatti, sostenibile, in virtù
del rilievo che tale tipo di provvedimento è idoneo a produrre in via
anticipata (ancorché provvisoria) effetti equivalenti a quelli conseguibili
all’esito della causa di merito. Si consideri, inoltre, che esso, se effettiva-
mente anticipatorio, è soggetto al regime di strumentalità attenuata (o
alterata (35)) di cui all’art. 669 octies c.p.c.: il che ne fa un provvedimento
capace di autonomia e di efficacia indefinitamente protratta (36).
Pur non trovandoci di fronte a «provvedimento di condanna» in senso
proprio, una lettura estensiva di questa locuzione, contenuta nell’art. 614
bis c.p.c., pare quindi (forse) possibile, oltre che auspicabile, perché co-
stituzionalmente orientata all’effettività della tutela anticipatoria. Come più
volte ha riconosciuto la giurisprudenza, occorre infatti garantire la piena
effettività della tutela cautelare, al pari della piena effettività della tutela di
condanna (37).
Né va trascurato che sia nell’ambito del codice della proprietà indu-
striale, dove espressamente si prevede la possibilità di una coercitiva ac-
cessoria rispetto ad un provvedimento cautelare, sia in Francia, dove
l’astreinte è ammissibile in sede di référé (38), la tutela coercitiva manifesta
anche in tale contesto una grande utilità.
(34) Sul punto si ricordano le tesi di C. Mandrioli, Per una nozione strutturale dei
provvedimenti anticipatori i interinali, in questa Rivista 1964, 551 ss.; A. Proto Pisani, I
provvedimenti d’urgenza, in Appunti sulla giustizia civile, cit., 393; F. Tommaseo, I provve-
dimenti d’urgenza, Padova 1983, spec. 146 s.; i quali ammettono che il provvedimento possa
avere contenuto pienamente anticipatorio del provvedimento di merito. Differenti sono
però le tesi di G. Verde, Considerazioni sul procedimento d’urgenza (com’è e come si vorrebbe
che fosse), in Aa.Vv., I processi speciali, Napoli 1959, 409 ss.; e – in parte – di G. Arieta, I
provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Padova 1985, 66 ss. Tra i tanti si veda anche F.
Carpi, La tutela d’urgenza tra cautela, sentenza anticipata e giudizio merito, in questa Rivista
1985, 680.
(35) Sul punto L. Querzola, La tutela anticipatoria tra procedimento cautelare e giudizio
di merito, Bologna 2006, 6 ss.
(36) C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, IV, 25a ed., Torino 2016, 303.
(37) Cosı̀ ad es. Trib. Varese, 16 febbraio 2011, in www.ilcaso.it.
(38) Nell’art. 491 Nouveau Code de Procédure Civile si prevede che il giudice anche
nella fase di référé possa pronunciare delle condanne alle astreintes, ancorché (come di
consueto) a titolo provvisorio. Sul punto tra le tante si vedano, ad es. Tribunal d’instance
de Bourges, ordonnance de référé 12 novembre 2014, in www. Dalloz.fr, dove a proposito
della interruzione della fornitura d’acqua nella abitazione dei ricorrenti si precisa che in
relazione alla previsione di cui all’art.849 alinéa 1, Code De Procédure Civile, dove si prevede
la possibilità di prescrivere in via di référé delle mesures conservatoires ou de remise en état, il
giudice ha la « possibilité de liquider cette astreinte provisoire dans l’hypothèse où le dommage
imminent viendrait à se réaliser»; e, con riferimento agli artt. L. 111-1 et L. 122-4 Code de la
Propriété Intellectuelle, nonché artt. 808 e 809 Nouveau Code de Procédure Civile, Tribunal
de grande instance de Paris, Ordonnance de référé, 16 dicembre 2005, in www. Dalloz.fr, in
380 rivista di diritto processuale 2017
relazione alla riproduzione servile di un famoso sito internet. In dottrina, tra tanti, P.Théry e
R. Perrot, Procédures civiles d’exécution, 3a ed., Parigi 2013, 82 s.; D. Cholet, in Aa.Vv.,
Droit et pratique de la procédure civile diretto da S. Guinchard, 9a ed., Parigi 2016, 134.
(39) Sul punto L. Chiavegatti, La penalità di mora ex art. 124 C.P.I. come misura di
rafforzamento dell’inibitoria, in Riv. dir. ind. 2007, 11 ss.
(40) Per un attento esame di queste ipotesi, recentemente F. De Angelis, Obblighi
infungibili e misure coercitive: questioni interpretative e soluzioni giurisprudenziali, in Riv.
esec. forzata 2015, 157 ss.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 381
Non si può in questa sede, per ovvi motivi, soffermarsi a valutare caso
per caso dove la misura coercitiva ex art. 614 bis c.p.c. possa trovare
applicazione. Ci si limita a ricordare che in relazione all’obbligo di conse-
gna dei minori, sebbene l’art. 709 ter c.p.c. preveda una misura specifica,
si è ammessa, eventualmente in via cumulativa con la medesima, anche la
condanna ex art. 614 bis c.p.c., poiché, si è sostenuto, quest’ultima ha
carattere preventivo e dissuasivo rispetto successivi ritardi o inadempimen-
ti, mentre quella prevista dall’art. 709 ter c.p.c. ha carattere repressivo e
funzione punitiva rispetto a pregressi comportamenti illeciti (41).
7. – Come si è già detto, rimane ferma anche con il nuovo art. 614
bis c.p.c. la limitazione relativa agli obblighi di pagamento di una somma
di denaro e quella che riguarda i rapporti di lavoro, limitazione per altro
più volte criticata e recentemente tacciata d’incostituzionalità dalla dot-
trina (42).
Questi limiti non sembrano, peraltro, rispondere a cogenti esigenze di
sistema: si possano considerare, piuttosto, frutto di una scelta di politica
legislativa.
Quanto alla condanna al pagamento di somme di denaro, conferma
tale convinzione la recente riforma del processo amministrativo, dove, con
la modifica dell’art. 114, comma 4, lettera e) c.p.a., anch’essa del 2015 (43),
si è introdotta una norma certamente più «coraggiosa» rispetto quella
prevista in materia di processo civile (44): in quella sede si prevede infatti
(41) Cfr. ad es. Trib. Salerno 22 dicembre 2009, in Fam. e dir. 2010, 924 ss., con nota
di E. Vullo, Affidamento dei figli, competenza per le sanzioni ex art. 709 ter e concorso con le
misure attuative del fare infungibile ex art. 614 bis; Trib. Firenze 10 novembre 2011, in
Danno e resp. 2012, 781 ss. con nota di D. Amram.
(42) Sul punto, ad esempio, A. Proto Pisani, Ancora una legge di riforma a costo zero del
processo civile, Appendice alle Lezioni di diritto processuale civile, Napoli 2009; C. Mandrioli,
A. Carratta, Come cambia il processo civile, Milano 2009, 102; E. Merlin, Prime note sul
sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili nella L. 69/
2009, cit., 1557; L. Barreca, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare (art.
614-bis c.p.c.), in Riv. esec. forzata 2009, 506. Anche per ulteriori citazioni sul tema M.A.
Iuorio, G. Fanelli, in Aa.Vv., L’esecuzione processuale indiretta, a cura di B. Capponi, Milano
2011, 84 ss.
(43) Art. 1, comma 781, lettera a), della l. 28 dicembre 2015, n. 208.
(44) Sul punto si vedano, già prima della modifica introdotta nel 2015, Cons. Stato, ad.
plen., 26 giugno 2014, n. 15, in Corriere giur. 2014, 1406, con nota di F. Scoca, Natura e
funzione della «astreinte» nel processo amministrativo, nella quale si ammette l’applicabilità
della coercitiva nel giudizio di ottemperanza anche nell’ipotesi in cui si tratti di obblighi
pecuniari; TAR. Firenze 13 novembre 2014, n. 1775 in Dejure.it. Sulla portata generale di
quella previsione già TAR Reggio Calabria 11 ottobre 2012, 621, Cons. Stato 1˚ ottobre
2012, n. 5155.
382 rivista di diritto processuale 2017
(45) Il nuovo periodo dell’art. 114, comma 4 a lettera e) c.p.a. introdotto nel 2015 si
dispone che «Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di
denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione
o notificazione dell’ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta
penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli
interessi legali».
(46) Per tutti, oltre alla dottrina francese citata nelle note n. 41 e n. 56, F. De Stefano,
Chalopin, Le astreintes nell’elaborazione della giurisprudenza francese in vista della loro
introduzione nel diritto italiano, in Riv. esec. forzata 2009, 38 ss.
(47) Cosı̀ si legge nell’art. 1, comma 2, lettera d) punto 5) del d.d.l. «Delega al Governo
recante disposizioni per l’efficienza del processo civile», approvato dalla Camera dei depu-
tati il 10 marzo 2016, consultabile in www.senato.it.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 383
8. – Una volta individuato, sia pur per sommi capi, il possibile ambito
di applicazione della nuova coercitiva, occorre passare a esaminare alcune
questioni relative alla sua esecuzione, che a seguito della riforma presen-
tano dei profili di novità.
Abolita la limitazione, quanto all’ammissibilità della misura coercitiva,
alle sole obbligazioni non suscettibili di esecuzione in via forzata, cade,
quale corollario di ciò, come si è già detto, anche l’alternatività necessaria
tra l’esecutiva forzata diretta in forma specifica e quella espropriativa che
trova titolo nella misura coercitiva (49).
Nelle ipotesi, in cui il provvedimento di condanna abbia ad oggetto un
obbligo suscettibile di esecuzione, ci troviamo quindi di fronte a due capi
di condanna, che differiscono per oggetto, ma che, sia pure attraverso
tecniche di tutela diverse, tendono, quale loro fine, all’adempimento di
uno stesso obbligo, al conseguimento da parte dell’avente diritto dello
stesso risultato: l’uno consentendo un’attività sostitutiva di quella che è
imposta all’obbligato, l’altro cercando di vincerne la resistenza, per indurlo
all’adempimento spontaneo. Occorre quindi domandarsi come, nel mo-
mento dell’attuazione forzata, tali provvedimenti si coordinino.
(48) Ci riferiamo al verbale della seduta della II Commissione giustizia del febbraio
2017 p.1.302 (Albertini, Bianconi, Anitori), in www.senato.it.
(49) Sul tema, prima della riforma di agosto 2015, Costantino, Tutela di condanna e
misure coercitive, cit., 3 ss.
384 rivista di diritto processuale 2017
(50) Sul punto si veda ad esempio con toni particolarmente critici E.F. Ricci, Ancora
novità (non tutte importanti non tutte pregevoli) sul processo civile, in questa Rivista 2009,
1363; C. Punzi, Novità legislative e ulteriori proposte di riforma in materia di processo civile,
in Riv. trim. dir. proc. civ. 2008, 1204.
(51) Come più volte la dottrina ha rilevato, nel caso di specie, nel momento in cui tale
condanna accessoria viene pronunciata, non vi può già essere stato alcun inadempimento
«successivo» o alcun «ritardo» nell’adempimento del comando portato dal capo condanna-
torio «principale»: non ci troviamo quindi di fronte ad un titolo esecutivo per un credito
certo liquido ed esigibile (art. 474, 1˚ comma, c.p.c.). È discusso in dottrina, se il provve-
dimento in esame possa essere considerato come una condanna in futuro (S. Chiarloni,
Esecuzione indiretta. Le nuove misure coercitive ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c. in www.trec-
cani.it, § 2.6; Id., L’esecuzione indiretta ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.: confini e problemi, cit.,
735; e, mi pare, G. Costantino, Tutela di condanna e misure coercitive, cit., 743) o una
condanna condizionata (E.F. Ricci, Ancora novità, cit., 1368; F. Tommaseo, L’esecuzione
indiretta e l’art. 614 bis c.p.c., cit., 281) oppure se ci si trova di fronte sia ad una condanna in
futuro, perché ha ad oggetto obblighi futuri, non ancora sorti al momento della pronuncia
del giudice, e condizionata, perché al momento dell’emissione della pronuncia giudiziale
l’inadempimento del comando contenuto nel provvedimento, cui la coercitiva accede è
senza dubbio incerto e condizionato dall’inadempimento dell’obbligato (E. Merlin, Prime
note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione degli obblighi infungibili
nella L. 69/2009, cit., 1550).
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 385
(52) Se infatti gli obblighi di astensione, in genere, possono essere adempiuti imme-
diatamente, a partire dalla notifica del provvedimento di condanna, la previsione di un
termine dilatorio si può rilevare, invece, opportuna o addirittura necessaria, quando il
provvedimento di condanna impone dei comportamenti complessi: può occorrere un certo
lasso di tempo per adempiere all’obbligo di rilascio, e, cosı̀ pure, per adempiere all’obbligo
di fare o di distruggere. Sul tema F. De Stefano, Note a prima lettura della riforma del 2009
delle norme sul processo esecutivo e in particolare dell’art. 614-bis c.p.c., in Riv. esec. forzata
2009, 525. In giurisprudenza, si veda ad es. Tribunale di Terni 6 agosto 2009, in Foro it.
2011, 287, nella quale a proposito della demolizione di un muro, si disponeva che l’effetto
della comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. decorresse «a partire dal ventunesimo giorno
dalla notifica» del provvedimento. Contra G.F. Ricci, La riforma del processo civile, Torino
2009, 90; Trib. Cagliari 19 ottobre 2009, in Foro it. 2011, 287.
(53) Sul punto si veda l’art. R 131-1 del Code des procédures civiles d’exécution esige
l’esecutività della pronuncia principale. Recentemente in dottrina sul punto C. Chainais,
F.Ferrand, S.Guinchard, Procédure civile, 33a ed., Parigi 2016, 362; P.Théry e R. Perrot,
Procédures civiles d’exécution, cit. 88; Cour de cassation, 2a, 26 giugno 2014, n. 13-16.899, in
Bull. civ. 2016 n. 154). Si veda altresı̀ sul punto l’art. 1385 bis del Code judiciaire belga.
386 rivista di diritto processuale 2017
(54) A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, cit., 180, ma sul presuppo-
sto che il giudice dell’esecuzione non possa mettere in discussione il giudicato che si è
formato sulla domanda principale, giacché in sede di merito già viene (o meglio, veniva)
valutata la fungibilità o l’infungibilità della prestazione comandata.
(55) G. Costantino, Tutela di condanna e misure coercitive, cit., 737 ss.
(56) A. Saletti, commento all’art. 614 bis c.p.c. cit., 201; L. Barreca, L’attuazione degli
obblighi di fare infungibile e di non fare (art. 614-bis c.p.c.), cit. 2009, 514; F.Tedioli,
Osservazioni critiche all’art. 614 bis, cod. proc. civ., cit., 81.
(57) Cosı̀ A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, cit., 168.
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 387
Pare quindi fondato ritenere che non vi sia alcuna preclusione nell’a-
gire, simultaneamente o in momenti differenti, con l’esecuzione in forma
specifica e con l’espropriazione per i crediti sorti dalla misura coercitiva.
Proprio la funzione della misura coercitiva, che – si ripete – consiste
nell’induzione dell’obbligato all’adempimento spontaneo (come ha affer-
mato anche di recente la Corte di cassazione (58)) porta inoltre a ritenere
che vi possa essere un accrescimento della medesima (vale a dire: che
sorgano ulteriori crediti), anche qualora l’avente diritto preannunci con
il precetto la sua intenzione di iniziare il processo esecutivo in forma
specifica: in quel momento è infatti ancora possibile l’adempimento spon-
taneo dell’obbligato e, quindi, la misura coercitiva può continuare a svol-
gere la sua funzione di coercizione della volontà del medesimo in funzione
di quel risultato.
Né differenti conclusioni si impongono, a mio avviso, quando, dopo la
notifica del precetto, venga iniziata l’esecuzione in forma specifica. Mi
pare infatti che anche in tale frangente, e fino a quando l’esecutato ha
la possibilità di adempiere spontaneamente all’obbligo imposto dal prov-
vedimento di condanna (o, meglio, dal capo del provvedimento che con-
tiene la condanna all’obbligo principale), non vi sia motivo per porre
termine alla coazione volta all’adempimento spontaneo.
Viceversa, la funzione della misura coercitiva si può dire cessata quan-
do la prestazione dell’obbligato non è più possibile (59), secondo il diverso
tipo di esecuzione diretta che si intraprende.
La coercitiva può dunque continuare ad accrescersi fino a quando
l’obbligato, ad esempio, non abbia provveduto al rilascio dell’immobile,
fino a quando non abbia distrutto il bene (o iniziato a distruggerlo). Ma
essa cessa di crescere, quando dell’opera di distruzione vengono incaricati
l’ufficiale giudiziario e i soggetti scelti dal giudice ex art. 612, 2˚ comma,
c.p.c. o quando si è provveduto all’asporto coattivo del bene o alla libe-
razione forzata dell’immobile: da quel momento l’induzione all’adempi-
mento spontaneo non ha più ragione di persistere.
10. – Poiché, come abbiamo già detto, nel momento in cui viene
emessa la condanna alla misura coercitiva siamo in presenza di un prov-
vedimento condizionato e poiché, successivamente, non c’è necessità della
quantificazione della medesima ad opera del giudice, a differenza di quello
che si prevede in altri ordinamenti (60), il creditore procedente, quando
decide di porre in esecuzione tale misura coercitiva, deve allegare nel
precetto sia l’inadempimento dell’obbligo oggetto di condanna principale,
quale fatto rilevante per la realizzazione della condicio, cui è soggetta la
coercitiva, sia l’inadempimento dell’obbligo di pagamento delle somme
rinvenienti dall’astreinte, quantificandole esattamente.
Per questo motivo il precetto – nelle ipotesi in esame – deve avere un
contenuto più ampio di quello previsto in via generale dall’art. 480 c.p.c.,
dovendosi integrare il titolo – quanto meno sotto il profilo documentale –
con una sorta di «autocertificazione» (61).
Come è noto, quest’ultimo è un punto particolarmente dolente della
disciplina dell’istituto in esame, sul quale il legislatore, tuttavia, si è mo-
strato insensibile alle sollecitazioni della dottrina e incurante dell’esempio
dato dai modelli stranieri.
È vero, peraltro, che negli ultimi anni la Cassazione ha più volte
riconosciuto, sia pure in ipotesi differenti, la possibilità di una integrazione
extratestuale del titolo esecutivo (62), sicché, sotto questo profilo, la disci-
(60) Cosı̀ è, ad esempio, nell’ordinamento francese ( ex art. 36 l. 91-560, del 1991).
(61) E. Merlin, Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l’attuazione
degli obblighi infungibili nella L. 69/2009, cit., 1550; S. Chiarloni, Esecuzione indiretta. Le
nuove misure coercitive ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., cit., §2.6, il quale richiama sul punto
l’art. 156 c.p.c.
(62) Cass., sez. un., 2 luglio 2012 n. 11066; Cass., sez. un., 2 luglio 2012, n. 11067, in
Foro it. 2012, 11, I, 3019 con nota di Gentile; e in Foro it. 2013, 4, I, 1282 (s.m.) con nota di
misure coercitive ex art. 614 bis c.p.c. dopo la riforma del 2015 389
Fabiani; Cass. 31 ottobre 2014, n. 23159. Su questo orientamento e quanto alla rilevanza del
problema relativo alle condanne «indeterminate» B. Capponi, Manuale, cit., XXXIV.
(63) La critica sul punto è pressoché unanime. Sul punto si veda ad es. B. Capponi,
Manuale, cit., 33 e 36. Per la quantificazione della misura coercitiva prevista dall’art. 124
c.p.i., si ritiene invece che il titolare del diritto violato possa, pur non essendo obbligato,
preliminarmente adire il giudice indicato dall’art. 124, co. 7, c.p.i., il quale con ordinanza
non impugnabile «sentite le parti, assunte informazioni sommarie», potrà liquidare la penale
dovuta fino a quel momento. Sul punto e anche per ulteriori riferimenti M. Vanzetti,
Contributo allo studio delle misure correttive e delle sanzioni civili nel diritto industriale: i
profili processuali dell’art. 124 c.p.i., in Riv. dir. ind. 2010, 26 ss.
(64) Sull’art. 49 del Reg. n. 44/2001 si veda il recente studio di D’Alessandro, La
circolazione della condanna ex art. 614 bis c.p.c. nello spazio europeo, in Giur. it. 2014,
1023 ss.; e cosı̀ pure A. Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, cit., 193. Un’impo-
stazione differente ha tuttavia A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, cit.,
183, il quale ritiene rilevi a tal fine solo il carattere definitivo della misura. Paventano invece
degli ostacoli alla circolazione della nostra misura coercitiva anche alla luce dell’art. 34 n. 2
del medesimo Regolamento C. Consolo e F. Godio, commento all’art. 614 bis c.p.c., in
Aa.Vv., Codice di procedura civile diretto da C. Consolo, II, 5a ed., Milano 2013, 2596. In
relazione al tema dei marchi si veda anche Corte giustizia UE, 12 aprile 2011, n. 235, nella
quale si precisa «L’art. 98, n. 1, seconda frase, del regolamento n. 40/94, come modificato
dal regolamento n. 3288/94, deve essere interpretato nel senso che una misura coercitiva,
quale ad esempio una penalità coercitiva (astreinte), disposta da un tribunale dei marchi
comunitari in applicazione del proprio diritto nazionale, al fine di garantire il rispetto di un
divieto, da esso emesso, di prosecuzione di atti costituenti contraffazione o minaccia di
contraffazione, produce effetti negli Stati membri diversi da quello cui detto giudice appar-
tiene – ai quali si estende la portata territoriale di un divieto siffatto – alle condizioni previste
dal capo III del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente
la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia
390 rivista di diritto processuale 2017
SIMONETTA VINCRE
Professore associato nell’Università di Milano
(71) Sul punto si veda, anche per ulteriori citazioni, F. Ferrari, Le misure coercitive
indirette e la compatibilità con l’ordine pubblico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2016,
1463 ss.
CONTRASTO AL TERRORISMO E CAPTATORI INFORMATICI
(1) Cosı̀ C. dir. uomo, Grande Camera, 13 dicembre 2012, El-Masri c. Ex Repubblica
yugoslava di Macedonia, § 232, in rapporto ad un caso di extraordinary rendition.
(2) In merito alla vexata quaestio della possibilità di attenuare le garanzie processuali ai
fini del contrasto al terrorismo v. R.E. Kostoris, Processo penale, delitto politico e «diritto
penale del nemico», in questa Rivista 2007, p. 5 s.
(3) V., fra le molte, C. dir. uomo, Grande Camera, 4 dicembre 2015, Roman Zakharov
c. Russia, § 163 s.
(4) Cfr. A. Gaito - S. Fùrfaro, Le nuove intercettazioni «ambulanti»: tra diritto dei
cittadini alla riservatezza ed esigenze di sicurezza per la collettività, in www.archiviopenale.it
2016, n. 2, p. 16 s.
(5) Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, n. 26889.
(6) Durante il quale il giudice, anche su sollecitazione della difesa, dovrebbe dichiarare
inammissibili i dati captati nei luoghi privati in rapporto ai quali l’intercettazione non fosse
stata autorizzata. Sulle distorsioni pratiche di tale istituto v., peraltro, E.M. Catalano, Prassi
devianti e prassi virtuose in materia di intercettazioni, in Proc. pen. giust. 2016, n. 1, p. 5 s.
contrasto al terrorismo e captatori informatici 395
disporre la misura (7), si ricava dal parametro fissato dall’art. 266 comma 2˚
c.p.p.: la presenza di un «fondato motivo» di ritenere che in un determi-
nato luogo privato «si sta svolgendo l’attività criminosa». Quest’ultimo,
per quanto non debba essere inteso in modo troppo rigoroso (8), in ogni
caso presuppone l’indicazione dei luoghi delle captazioni. Con la conse-
guenza che l’impiego dei trojan, per definizione irriducibili a qualsiasi
delimitazione spaziale, porterebbe ad eludere quanto richiesto dal co-
dice (9).
Il problema è che, in applicazione della logica del doppio binario, vige
da tempo una deroga al criterio fissato dall’art. 266 comma 2˚ c.p.p. Si
allude alla previsione dell’art. 13 comma 1˚ d.l. 13 maggio 1991, n.
152 (10); la quale, nei procedimenti per i delitti di «criminalità organizza-
ta», consente le intercettazioni ambientali nei luoghi privati indipendente-
mente dal contemporaneo svolgimento di un’attività criminosa.
Di qui la facoltà di autorizzare le intercettazioni in questione senza
nessuna limitazione spaziale? Una parte della giurisprudenza ha risposto
negativamente al quesito, sulla base di un ragionamento che, sebbene non
invocandola esplicitamente, ripropone la teoria delle prove incostituziona-
li. L’unica opzione interpretativa compatibile con il dettato degli artt. 14 e
15 Cost. – si legge in una sentenza della sesta Sezione della Corte di
cassazione – sarebbe «quella secondo la quale l’intercettazione ambientale
deve avvenire in luoghi ben circoscritti e individuati ab origine e non in
qualunque luogo si trovi il soggetto». Le captazioni effettuate in luoghi
(7) Tale facoltà è offerta dall’art. 268 c.p.p., dopo la declaratoria di illegittimità ad
opera di Corte cost., 10 ottobre 2008, n. 336.
(8) Esso si limita a richiedere la mera possibilità di supporre che, al momento dell’e-
missione del decreto di autorizzazione, in quel luogo sia in corso un attività penalmente
rilevante. L’intercettazione non sarebbe inammissibile per il solo fatto che, una volta dispo-
sta, emergesse che in realtà non si stava compiendo nessun reato. Cfr. A. Camon, Le
intercettazioni nel processo penale, Milano 1996, p. 185 s.
(9) Non varrebbe eccepire che il decreto di autorizzazione potrebbe comunque conte-
nere una delimitazione spaziale (ad esempio indicando solo i luoghi privati abitualmente
frequentati dalla persona intercettata), in modo che, laddove tecnicamente possibile, le
intercettazioni si sospendano automaticamente ogni volta in cui il dispositivo intercettato
venga a trovarsi in un altro luogo privato (v. A. Cisterna, Spazio ed intercettazioni, una liaison
tormentata. Note ipogarantistiche a margine della sentenza Scurato delle Sezioni unite, in
www.archiviopenale.it 2016, n. 2, p. 1 s.). Come Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, cit. ha
posto in rilievo, si tratterebbe di un’indicazione meramente formale, concretizzandosi in
un’autorizzazione «al buio»: il giudice non sarebbe in grado di prevedere dove il dispositivo
potrebbe essere collocato, con la «conseguente impossibilità di effettuare un adeguato
controllo circa l’effettivo rispetto della normativa che legittima, circoscrivendole, le inter-
cettazioni domiciliari di tipo tradizionale».
(10) Convertito con modificazioni dalla l. 12 luglio 1991, n. 203.
396 rivista di diritto processuale 2017
(11) Cfr. Cass., sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100. In dottrina v. L. Filippi, L’ispe-
perqui-intercettazione «itinerante»: le Sezioni unite azzeccano la diagnosi, ma sbagliano la
terapia (a proposito del captatore informatico), in www.archiviopenale.it 2016, n. 2, p. 2 s.;
Id., Il captatore informatico: l’intercettazione ubicumque al vaglio delle Sezioni unite, in
www.archiviopenale.it 2016, n. 1, 2 s.; E. Lorenzetto, Il perimetro delle intercettazioni
ambientali eseguite mediante «captatore informatico», in www.penalecontemporaneo.it, 24
marzo 2016.
(12) Per la critica alla teoria delle prove incostituzionali v. già F. Cordero, Tre studi
sulle prove penali, Milano 1963, p. 153 s.; più di recente F. Caprioli, Colloqui riservati e
prova penale, Milano 2000, p. 236 s. e N. Galantini, Inutilizzabilità della prova e diritto
vivente, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2012, p. 76 s.
(13) Cosı̀ C. dir. uomo, Grande Camera, 4 dicembre 2015, Roman Zakharov, cit.,
§ 264.
(14) Cfr. A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale
italiano e Corte europea, in Cass. pen. 2016, p. 2286.
contrasto al terrorismo e captatori informatici 397
(15) Cfr. Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, cit. Analogamente sez. VI, 10 marzo 2016, n.
13884, che aveva rimesso la questione alle Sezioni unite, nonché Id., 8 aprile 2015, n. 27536,
e 12 marzo 2015, n. 24237.
(16) Si veda A. Balsamo, Le intercettazioni, cit., p. 2284 s. Cfr. pure M. Caianiello,
Osservazioni sul documento redatto dai docenti torinesi di procedura penale sul problema dei
captatori informatici.
(17) Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, cit. Criticano tale lettura estensiva G. Spangher, La
riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. riv. trim. 2016, n. 1,
p. 99 s., e P. Felicioni, L’acquisizione da remoto di dati digitali nel procedimento penale:
evoluzione giurisprudenziale e prospettive di riforma, in Proc. pen. giust. 2016, n. 5, p. 136 s.
(18) In questo senso v. la memoria della Procura generale presso la Corte di cassazione,
redatta da A. Balsamo e A. Rossi, p. 20, in http://www.questionegiustizia.it/doc/memoria-
ssuu-procura-generale-trojan.pdf, secondo cui la categoria in questione potrebbe essere rica-
vata da «una rigorosa ricognizione di carattere sistematico del concetto di criminalità orga-
nizzata desumibile dall’ampio complesso di dati normativi esistenti nel nostro ordinamento,
e dunque certamente comprensiva delle associazioni con finalità di terrorismo e di eversione
dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.), delle associazioni di tipo mafioso (art. 416 bis
c.p.) e delle associazioni finalizzate al traffico illecito di stupefacenti di cui all’art. 74 del dpr
n. 309 del 1990». Cfr. pure A. Testaguzza, Exitus acta probat «Trojan» di Stato: la compo-
sizione di un conflitto, in www.archiviopenale.it. 2016, n. 2, p. 7 s.
(19) Cfr. G. Lasagni, L’uso di captatori informatici (trojans) nelle intercettazioni «fra
presenti», in www.penalecontemporaneo.it, 7 ottobre 2016, p. 18 s.
398 rivista di diritto processuale 2017
(20) Convertito con modificazioni dalla l. 15 dicembre 2001 n. 438, e poi modificato
dalla l. 14 febbraio 2003, n. 34.
(21) Vale a dire il delitto di associazione con finalità di terrorismo (art. 270 bis c.p.), ma
anche, tra gli altri, i delitti di arruolamento (art. 270 quater c.p.) e di addestramento o auto-
addestramento (art. 270 quinquies c.p.). Sull’auto-addestramento, fattispecie introdotta dal
d.l. n. 7 del 2015 a seguito dell’attentato terroristico presso la sede del giornale Charlie
Hebdo a Parigi, con l’intento di anticipare la soglia di punibilità dei c.d. «lupi solitari», v. A.
Valsecchi, Le modifiche alle norme incriminatrici in materia di terrorismo, in R.E. Kostoris-F.
Viganò (a cura di), Il nuovo «pacchetto» antiterrorismo, Torino 2015, p. 10 s., e R. Wenin,
L’addestramento per finalità di terrorismo alla luce delle novità introdotte dal d.l. 7/2015, in
www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2015.
(22) Ossia il delitto di assistenza agli associati, punito con la reclusione fino a quattro
anni, e il delitto di atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, punito con la
reclusione da due e cinque anni.
contrasto al terrorismo e captatori informatici 399
come limite della prova nella fase di ricerca e in sede di assunzione, in Dir. pen. cont., riv. trim.
2013, n. 3, p. 9.
(28) In senso adesivo, con diverse sfumature, v. A. Camon, Le Sezioni Unite, cit., 1561
s.;O. Mazza, I diritti fondamentali, cit., 9 s.; M.L. Di Bitonto, Le riprese video domiciliari al
vaglio delle Sezioni Unite, in Cass. pen. 2006, p. 3958 s.; F. Morelli, Videoriprese mediante
la webcam di un computer illecitamente sottratto e tutela del domicilio, in Dir. pen. proc.
2013, p. 477; F. Ruggieri, Riprese visive e inammissibilità della prova, in Cass. pen. 2006, p.
3948 s.; P. Tonini, C. Conti, Il diritto delle prove penali, 2a ed., Milano 2014, p. 105 s., 201 s.
(29) V. A. Camon, Le Sezioni Unite, cit., 1560 s.
(30) Cfr. F. Cordero, Procedura penale, 9a ed., Milano 2012, p. 851. V. pure F. Caprioli,
Nuovamente al vaglio della Corte costituzionale l’uso investigativo degli strumenti di ripresa
visiva, in Giur. cost. 2008, p. 1836 s.; M. Daniele, Indagini informatiche lesive della riserva-
tezza. Verso un’inutilizzabilità convenzionale?, in Cass. pen. 2013, p. 369 s.; C. Marinelli,
Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Torino 2007, p. 149 s.; con
specifico riguardo alle attività di localizzazione satellitare tramite tracker GPS, S. Signorato,
La localizzazione satellitare nel sistema degli atti investigativi, in Riv. it. dir. proc. pen. 2012,
p. 607.
(31) Ad esempio, i bagni dei locali pubblici, o i privé delle discoteche.
(32) Si vedano, anche per ulteriori critiche, E. Andolina, L’ammissibilità degli strumenti
di captazione dei dati personali tra standard di tutela della privacy e onde eversive, in
www.archiviopenale.it 2015, n. 3, p. 14 s.; S. Marcolini, Le indagini atipiche a contenuto
tecnologico nel processo penale: una proposta, in Cass. pen. 2015, p. 774 s.; A. Scalfati-O.
Bruno, Orientamenti in tema di videoriprese, in Proc. pen. giust. 2011, n. 1, p. 101; N.
contrasto al terrorismo e captatori informatici 401
proprio giudice, come invece previsto dall’art. 266 c.p.p. in rapporto alle
intercettazioni (ossia un mezzo investigativo altrettanto intrusivo per la
privacy)? Quali, inoltre, i requisiti di ammissibilità su cui dovrebbe cadere
la motivazione?
Di per sé, la disciplina minimale delle prove atipiche non appare in
grado di fornire un adeguato compendio di garanzie alle videoriprese nei
luoghi privati o, comunque, riservati. Tale conclusione è suscettibile di
mutare qualora si consideri l’art. 189 c.p.p. non solo in un’ottica pura-
mente interna, ma anche con la lente dell’interpretazione conforme alla
Cedu e alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Queste
ultime, pur calibrate sulle specificità di ciascun caso concreto, non omet-
tono di indicare taluni principi e criteri orientativi da cui è possibile
enucleare le garanzie processuali indefettibili in merito alla compressione
dei vari diritti. Si tratta di guideline che integrano parametri normativi di
rango superiore rispetto alla legge ordinaria (33), ed appaiono pertanto
capaci di arricchire il testo dell’art. 189 c.p.p., precisando le «modalità
di assunzione» delle prove atipiche.
Di qui un ulteriore passaggio ermeneutico: dovendo «innestare» nel-
l’art. 189 c.p.p. le prescrizioni processuali suggerite dalla Corte europea, il
giudice potrebbe applicare in via estensiva la disciplina già prevista dal
legislatore italiano in rapporto ad analoghi mezzi investigativi tipici, nella
misura in cui ponesse garanzie corrispondenti a quelle richieste dal case-
law di Strasburgo.
Questo parrebbe essere proprio il caso delle videoriprese effettuate
dagli organi inquirenti in modo tale da interferire con il diritto alla privacy.
Come si è già detto, la Corte europea esige che le attività di captazione
occulta di dati riservati nei procedimenti penali siano regolate da norme di
legge conoscibili e prevedibili, nonché in grado di conseguire un bilancia-
mento proporzionato fra i valori in gioco, mediante la previsione di ade-
guate ed effettive garanzie volte ad evitare abusi di potere (34). Ma garanzie
(38) Cfr. E.M. Mancuso, L’acquisizione di contenuti e-mail, in A. Scalfati (a cura di), Le
indagini, cit., p. 78 s.
(39) Nel senso, invece, che sarebbero applicabili alle perquisizioni on-line le norme in
tema di perquisizioni dei sistemi informatici ex art. 247 comma 1 bis c.p.p., v. A. Testa-
guzza, Digital forensics, cit., p. 90 s., e M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra
esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, in Dir. pen. proc. 2015, p. 1171 s.
Tuttavia, adottando tale impostazione, dovendo consentire la partecipazione del difensore ai
sensi degli artt. 356 e 365 c.p.p., le operazioni in questione perderebbero il loro carattere
segreto e, dunque, buona parte della loro valenza conoscitiva. Inoltre esse sarebbero sotto-
poste all’autorizzazione del solo pubblico ministero anziché di un giudice, e senza alcuna
limitazione quanto alla tipologia di reato oggetto del procedimento.
(40) Presentato il 2 dicembre 2015.
404 rivista di diritto processuale 2017
più gravi: perlomeno quelle punite con la reclusione non inferiore nel
minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, per le quali come
abbiamo visto sono consentite le intercettazioni tramite trojan senza limi-
tazioni spaziali.
Si deve aggiungere che la pervasività dei mezzi investigativi in que-
stione ne suggerirebbe un’ulteriore restrizione del campo operativo. I loro
esiti, più precisamente, non dovrebbero possedere valore probatorio – né
in giudizio né ai fini dell’applicabilità di una misura cautelare – ma uni-
camente investigativo. Vale a dire che sarebbe auspicabile configurare le
perquisizioni on-line come uno strumento di tipo ibrido: autorizzabili di
regola da un giudice in base a condizioni analoghe a quelle previste dagli
artt. 266 s. c.p.p., dovrebbero però possedere la medesima sfera di utilizzo
delle intercettazioni preventive ex art. 226 disp. att. c.p.p., nonché avere
precisi limiti temporali di durata (41).
(41) Spunti al riguardo sono suscettibili di provenire, più in generale, dalla giurispru-
denza costituzionale tedesca del Bundersverfassungsgericht. Si pensi alla sentenza del 27
febbraio 2008, che ha dichiarato illegittima la normativa nazionale in materia per contrasto
con il diritto alla riservatezza dei sistemi informatici, inteso come espressione del più gene-
rale diritto alla dignità, su cui cfr. R. Flor, Brevi riflessioni a margine della sentenza del Bun-
desverfassungsgericht sulla c.d. Online Durchsuchung in Riv. trim. dir. pen. ec. 2009, p. 695
s. Si veda anche la più recente sentenza del 20 aprile 2016, su cui cfr. L. Giordano-A.
Venegoni, La Corte Costituzionale tedesca sulle misure di sorveglianza occulta e sulla capta-
zione di conversazioni da remoto a mezzo di strumenti informatici, in www.penalecontempo-
raneo.it, 8 maggio 2016.
(42) Sottolineano la necessità e l’urgenza di un intervento del legislatore M.T. Abba-
gnale, In tema di captatore informatico, in www.archiviopenale.it 2016, n. 2, p. 7 s., e L.
Picotti, Spunti di riflessione per il penalista dalla sentenza delle Sezioni unite relativa alle
intercettazioni mediante captatore informatico, in www.archiviopenale.it 2016, n. 2, p. 9 s. Si
veda anche Necessaria una disciplina legislativa in materia di captatori informatici (c.d. ‘tro-
jan’): un appello al legislatore da parte di numerosi docenti di diritto italiani, in www.pena-
lecontemporaneo.it, 7 ottobre 2016.
contrasto al terrorismo e captatori informatici 405
(43) Cfr. A. Scalfati, Un ciclo giudiziario «travolgente», in Proc. pen. giust. 2016, n.
4, 115.
(44) Ritengono invece configurabile un’inutilizzabilità per contrasto con le norme della
Costituzione e della Convenzione europea C. Conti, M. Torre, Spionaggio informatico nel-
l’ambito dei social network, in A. Scalfati (a cura di), Le indagini, cit., p. 429; F. Iovene, Le
c.d. perquisizioni online tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, in
Dir. pen. cont., riv. trim. 2014, n. 3-4, p. 341; S. Marcolini, Le cosiddette perquisizioni on-line
(o perquisizioni elettroniche), in Cass. pen. 2010, p. 2864 s. V. anche S. Colaiocco, Nuovi
mezzi di ricerca della prova: l’utilizzo dei programmi spia, in www.archiviopenale.it 2014, n. 1,
p. 10 s. il quale, rilevando in questo caso la commissione del delitto di accesso abusivo ad un
sistema informatico (art. 615 ter c.p.), invoca la categoria delle prove illecite.
Più in generale, S. Marcolini, Le indagini atipiche, cit., p. 787 s., costruisce l’inutilizza-
bilità dei mezzi di investigazione atipici lesivi della riservatezza sulla base della decisione
della Corte di giustizia dell’Unione Europea dell’8 aprile 2014, Digital Rights Ireland Ltd, C-
293/12 e C-594/12, § 26 s., che ha ritenuto invalida la Direttiva 2006/24/CE del 15 marzo
2006 sulla conservazione dei dati di traffico per violazione del diritto alla privacy. Ma si può
obiettare che la sentenza in questione disciplina solo la retention dei dati di traffico, e inoltre
non si occupa specificamente della sorte processuale dei dati conservati in base alle norme
giudicate invalide.
(45) Mutatis mutandis, analogo il ragionamento di F. Cordero, Procedura penale, 6a ed.,
Milano 1982, p. 852 s., per giustificare l’inesistenza delle confessioni e delle testimonianze
estorte, non sottoposte ad esplicite regole di esclusione dal c.p.p. 1930.
406 rivista di diritto processuale 2017
MARCELLO DANIELE
Professore associato nell’Università di Padova
(1) Saggio destinato al volume Scritti offerti dagli allievi a Francesco Paolo Luiso.
(2) Chiara in questo senso la prefazione alla 1a ed. di F.P. Luiso, Diritto processuale
civile, Milano 1997, riprodotta anche nell’ultima 8a ed., Milano 2015.
(3) Cfr. F.P. Luiso, op. ult. cit., vol. V, 13 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile,
4a ed., Milano 2014, 183 ss.; Id., Il futuro della conciliazione: la conciliazione nel diritto
societario e nella riforma del codice di procedura civile, a cura di S. Giacomelli, La via della
conciliazione, Milano 2003, 237.
(4) Cosı̀ F.P. Luiso, Diritto processuale civile, cit., vol. IV, 199.
da un terzo soggetto (5), che interviene prima per far emergere maieutica-
mente gli interessi e i bisogni delle parti e poi per catalizzare la volontà
delle parti sull’accordo. Quando, invece, il terzo è chiamato ad imporre la
regola di condotta, anche se in via provvisoria, non è possibile distaccarsi
dalla disciplina normativamente fissata. Del resto, si osserva in dottrina, «è
indubbio che se il giudice attribuisse alla parte quanto essa stessa non
avrebbe potuto ottenere con la sentenza di merito, verrebbe in tal caso
snaturata la funzione stessa dello strumento cautelare, rivolto non già a
contemperare interessi contrapposti, ma a tutelare un diritto soggettivo di
cui si suppone verosimile l’esistenza e il bisogno di protezione giurisdizio-
nale» (6).
(5) Unico per entrambi i contendenti, come nella conciliazione o nella mediazione,
ovvero uno per ciascuna parte, come nella negoziazione assistita.
(6) Cosı̀ F. Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza. Struttura e limiti della tutela anti-
cipatoria, Padova 1983, 201, 311. Cfr. L. Dittrich, Il provvedimento d’urgenza ex art. 700
c.p.c., in Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, 4a ed., Padova 2011, 280,
secondo il quale il provvedimento d’urgenza non può che anticipare parzialmente o total-
mente il contenuto della futura sentenza di merito. Cfr. C. Mandrioli, I provvedimenti
d’urgenza: deviazioni e proposte, in questa Rivista 1985, 659 ss., ove critica la tendenza ad
emettere provvedimenti cautelari il cui contenuto spazia nel «diritto libero». Cfr. A. Panza-
rola, I provvedimenti d’urgenza dell’art. 700 c.p.c., in I procedimenti cautelari, a cura di A.
Carratta, Torino 2013, 793 s., secondo il quale il collegamento fra gli effetti giuridici anti-
cipabili in via d’urgenza e gli effetti ritraibili con il giudizio di merito va inteso nel senso che
la misura cautelare «se deve essere in relazione di “continenza quantitativa” con la decisione
di merito, ne deve pure rispecchiare (“qualitativamente”) un contenuto possibile in linea di
diritto», evitando di «consegnare al giudice civile poteri di intervento nella evoluzione dei
rapporti giuridici e cosı̀ aprirsi a forme di amministrazione urgente del diritto privato, ad
instar della cura di interessi che è propria piuttosto della giurisdizione volontaria»; A.
Panzarola - R. Giordano, Provvedimenti d’urgenza, in Commentario del codice di procedura
civile, a cura di S. Chiarloni, libro IV: procedimenti speciali (artt. 700-702), Bologna 2016,
251 ss.; A. Carratta, Profili sistematici della tutela cautelare, cit., 68, secondo il quale la
nozione tecnica di anticipatorietà del provvedimento cautelare va intesa nel senso che
conformano lo status quo a quello che prevedibilmente sarà il contenuto del provvedimento
definitivo. Cfr. A. Proto Pisani, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., in Appunti sulla
giustizia civile, Bari 1982, 396, secondo cui «il giudice non è vincolato a rispettare né i
modelli delle misure cautelari (conservative o anticipatorie) tipiche, né i modelli delle sen-
tenze di merito», senza che però egli possa «creare degli strumenti ed effetti di tutela
giudiziaria non solo diversi ma anche formalmente autonomi rispetto al contenuto della
futura decisione di merito a cognizione piena ed esauriente», pur poi precisando che questa
limitazione «è destinata a perdere gran parte del suo significato con riferimento a tutti quei
diritti rispetto ai quali il ricorso alla tutela urgente costituisce di fatto l’unica forma di tutela
giurisdizionale adeguata, nonché con riferimento a tutti quei diritti caratterizzati sul piano
strutturale dal fatto che la loro soddisfazione è assicurata dall’adempimento di un obbligo di
fare o di pati che si esaurisce uno actu». Per C.E. Balbi, Provvedimenti d’urgenza, in Dig.,
disc. priv., sez. civ., vol. XVI, Torino 1997, 87 ss., spec. 118, il contenuto del provvedimento
d’urgenza può essere fissato dal giudice nel contraddittorio con le parti, anche se diverso
dalla misura richiesta, ma comunque deve riguardare in tutto o in parte l’oggetto del
la cautela di regolamento 409
processo oppure riferirsi ad un effetto, principale o anche secondario, della tutela di merito.
Per E. Vullo, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., in I procedimenti sommari
e speciali, a cura di S. Chiarloni e C. Consolo, Torino 2005, II, 2, 1330, sono possibili
provvedimenti d’urgenza innominati con funzione conservativa. V. G. Arieta, I provvedi-
menti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., 2a ed., Padova 1985, 73 e Id., Funzione non necessaria-
mente anticipatoria dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c., in questa Rivista 1984, 595 e Id.,
Trattato di diritto processuale civile, vol. XI, Padova 2011, 66, secondo cui il contenuto del
provvedimento d’urgenza deve rispettare il limite di natura quantitativa (l’istante non può
ottenere più di quanto potrà vedersi riconosciuto in sede di tutela ordinaria), ma non
qualitativa (la salvaguardia della situazione cautelanda può realizzarsi in modalità e conte-
nuti diversi dalla futura decisione di merito), ma comunque applicando le norme che
disciplinano quella situazione. V. invece C. Consolo, Processo cautelare: problemi aperti e
linee di tendenza, in Giur. it. 1998, 611 ss. e ora in Il nuovo processo cautelare. Problemi e
casi, Torino 1998, 16 s., il quale riconosce la possibilità di «regolamentazioni interinali frutto
di bilanciamento di interessi», anche non corrispondenti alla disciplina sostanziale del rap-
porto. Diverso significato ha avuto invece la c.d. regola del minus e dell’aliud, servita da un
lato a spiegare – e limitare – la tutela cautelare anticipatoria, nel senso di negare la possibilità
di anticipare integralmente gli effetti della sentenza di merito; dall’altro lato a spiegare la
tutela cautelare conservativa, piuttosto che a legittimare una cautela di regolamento. Si
rinvia ai classici scritti di Baur, Studien zum einstweiligen Rechtsschutz, Tübingen 1967,
48 ss. e di Leipold, Grundlagen des einstweiligen Rechtsschutzes, München 1971, 125, spec.
nt. 86, il primo a favore e il secondo contro la tesi del minus. V. anche Jauernig, Der
zulässige Inhalt einstweiliger Verfügungen, in Z.Z.P. 1966, 323; Grunsky, Besprechung zu
Leipolds Grundlagen des einstweiligen Rechtsschutzes im zivil-, verfassungs – undverwaltung-
sgerichtlichen Verfahren, in Zeit Zivilpr. 1972, 362 ss.; Id., Grundlagen des einstweiligen
Rechtsschutzes, in Juristische Schulung 1976, 279 ss., nonché per la dottrina italiana F.
Tommaseo, I provvedimenti d’urgenza, cit., 153, nt. 71 e adesso A. Carratta, Profili siste-
matici, cit., 43 ss.; A. Panzarola, I provvedimenti d’urgenza, cit., 860, nt. 488.
(7) S. Recchioni, Diritto processuale cautelare, Torino 2015, 90 ss.
(8) V., in particolare, L. Querzola, La tutela cautelare nel processo comunitario: il
bilanciamento degli interessi è di nuovo il fulcro della decisione, in Riv. trim. dir. proc. civ.
2004, 317 ss.; Id., Appunti sulle condizioni per la concessione della tutela cautelare nell’ordi-
namento comunitario, ivi 2001, 501 ss.
410 rivista di diritto processuale 2017
(9) Quest’espressione (onere della mora) risale a E. Finzi, Questioni controverse in tema
di esecuzione provvisoria, in questa Rivista 1926, 50.
(10) La decisione è riportata in Reports of Cases argues and determined in the High
Court of Chancery during the time of Lord Chancellor Cottenham, a cura di Craig e Phillips,
Londra 1842, 283 ss.
(11) La decisione è riportata in All ER (All England Reports), 1975, 504 ss. Il caso
riguardava la richiesta d’inibire la commercializzazione di materiale artificiale per suture
chirurgiche, in quanto in violazione della privativa. Il giudice di prime cure aveva concesso
la cautela di regolamento 411
l’injunction, ritenendo sussistente «a strong prima facie case». Al contrario la corte d’appello
riformava la decisione, ritenendo che l’istante non aveva dimostrato «a prima facie case of
infringement»: l’istante non può ottenere una interlocutory injunction, se le chances di
successo nel merito non sono superiori al 50%, a prescindere da quanto grande possa
essere il pregiudizio che può subire ovvero quanto ridotto sia il pregiudizio che può essere
arrecato al convenuto dall’inibitoria.
(12) Queste le parole del passaggio motivazionale, su cui si sono poi appuntate le
maggiori critiche: «it is no part of the court’s function at this stage of the litigation to try
to resolve conflicts of evidence on affidavit as to facts on which the claims of either party may
ultimately depend nor to decide difficult questions of law which call for detailed argument and
mature considerations. There are matters to be dealt with at the trial».
(13) Tutto quello che l’istante deve mostrare è «that the claim is not frivolous or
vexatious; in other words, that there is a serious question to be tried». Altri termini utilizzati
nelle decisioni successive sono «an arguable case» o «a real prospect of succeeding». V. Smith
v Inner London Education Authority [1978], in All ER 1978, 411; Mothercare Ltd v Robson
Ltd [1979], in FSR (Fleet Street Reports), 1979, 466. In dottrina, v., ex multis, Andrews,
English civil procedure. Fundamentals of the new civil justice system, Oxford 2003, 463 ss.;
Zucherman, Civil procedure, Trowbridge 2003, 263 ss., spec. 272 ss.; Id., Zucherman on civil
procedure. Principles of practice, 3a ed., Londra 2013, 393 ss., 403 ss.; Gray, Interlocutory
injunction since Cyanamid, in Cambr. L.J. 1981, 307 ss.; Bean-Parry, Injunctions, 9a ed.,
Londra 2007, passim; Baker, Langan, Snell’s Principles of equity, 28a ed., London 1982, 640
ss.; Spry, Equitable remedies, 9a ed., London 2014, 487 ss.; M. Taruffo, Diritto processuale
civile nei paesi anglosassoni, in Dig., disc. priv., sez. civ., vol. VI, Torino 1990, 394 ss.; V.
Varano, Injunction, in Dig., disc. priv., sez. civ., vol. IX, Torino 1993, 487 ss.; Id., Tendenze
evolutive in materia di tutela provvisoria nell’ordinamento inglese, con particolare riferimento
all’interlocutory injunction, in Riv. dir. civ. 1985, I, 45; A. Frignani, L’injunction nella com-
mon law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano 1974, 169 ss.; A. Oberto, I procedimenti
semplificati ed accelerati nell’esperienza tedesca ed in quella inglese, in Corriere giur. 2002,
1524; F. Fradeani, I presupposti e gli effetti delle misure cautelari in Europa: l’esperienza
francese ed inglese, in La tutela sommaria in Europa. Studi, a cura di A. Carratta, Napoli
2012, 246 ss.
(14) L’irreparable harm viene apprezzato, utilizzando solitamente questi parametri: a)
uncertainty of quantification, cioè incertezza nella quantificazione del danno, come nelle
412 rivista di diritto processuale 2017
(19) Si fa riferimento alla formula matematica proposta dal giudice americano Posner
nel caso American Hospital Supply Corp v Hospital Products Ltd (7th Circuit 1986), in F 2d
(Federal Reporter, Second Series), 1986, 589; nonché nel caso Roland Machinery Co v Dresser
Industries 749 (7th Circuit 1984), in F 2d 1984, 380; formula poi ribadita in Posner,
Economic Analysis of the Law, 5a ed., New York 1998, 593. Questa la formula: P x Hp
> (1-P) x Hd, per cui il giudice deve concedere la preliminary injunction «if the harm to the
plaintiff if the injunction is denied, multiplied by the probability that the denial would be an
error (that the plaintiff, in other words, will win at the trial), exceeds the harm to the
defendant if the injunction is granted, multiplied by the probability that granting the injunc-
tion would be an error». Questa formula è stata criticata per il fatto che non sembra
richiedere all’istante di dimostrare l’irreparabilità del danno e perché limita la flessibilità
e discrezionalità della misura, tagliando fuori altri fattori che non sono esclusivamente
monetari (v. la dissenting opinion del giudice Swygert, secondo il quale «the judgment of
414 rivista di diritto processuale 2017
the district judge in an injunction proceeding must be flexible and discretionary – within the
bounds of the now settled four-prong test», riportata a 609 di F 2d 1986. V. Mullenix,
Burying (with kindness) the felicific calculus of civil procedure, in Vanderbilt Law Review
1987, 40; Silberman, Injunctions by the numbers: less than the sum of its parts, in Chicago-
Kent Law Review 1987, 63). I quattro fattori considerati per concedere la preliminary
injunction sono: a) se l’istante rischia di subire un danno irreparabile; b) se questo danno
sarà superiore a quello che sarà sofferto dall’avversario se la preliminary injunction è con-
cessa; c) se l’istante ha mostrato una probabilità di successo nel merito; d) l’impatto della
decisione su terze parti o sulla collettività).
(20) Cfr. F.P. Luiso, Istituzioni, cit., 300 s. Cfr. Normand, Les fonctions des référés, in
Le mesures provisoires en droit belge, français et italien, a cura di Compernolle e Tarzia,
Bruxelles 1998, 79 s., che parla di «une sorte de principe de proportionnalité», dovendo il
giudice del référé considerare con maggior rigore la «sérieux du différend», quando la
comparazione tra le conseguenze dannose, a cui va incontro l’istante o il convenuto a
seconda che la misura sia o meno concessa, pende dal lato del convenuto (es., ordinare la
sospensione di un cantiere di costruzione).
(21) C. Consolo, Periculum in mora e fumus boni iuris, in Giur. it. 1979, I, 2, 535 ss. e
adesso in Il nuovo processo cautelare, cit., 29 ss., spec. 36, secondo il quale il «fumus boni
iuris assume il valore di una delle variabili indipendenti, che concorrono a determinare la
(entità della) variabile dipendente, cioè – nel nostro caso – l’esito della valutazione dell’esi-
stenza del periculum», per cui non può esserci periculum, se non c’è fumus (essendo il
periculum una variabile dipendente dall’esistenza del fumus).
(22) Cfr. Cézar-Bru, Hébraud, Seignolle, La juridiction du président du tribunal. Des
«référés», Paris 1957, vol. I, 20 ss.; Perrot, L’évolution du référé, Mélanges Hébraud, Tou-
louse 1981, 645 ss. Cadiet, nella Presentazione del libro di Silvestri, Il référé nell’esperienza
giuridica francese, Torino 2005, XIX, cosı̀ si esprime: «la juridiction des référés è largamente
una giurisdizione d’equità; lo è per vocazione; lo è per necessità: l’urgence fait loi, in tutti i
sensi del termine». Sul distacco ed autonomia del référé rispetto al merito della lite si rinvia,
la cautela di regolamento 415
si paret, a D. Buoncristiani, Sistema dei référés: tutela cautelare dal pregiudizio e tutela
urgente senza pre-giudizio, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 575 ss., anche per indicazioni
di dottrina e giurisprudenza. V. anche C. Cecchella, Il référé italiano nella riforma del diritto
societario, in questa Rivista 2003, 1130 ss.; D’Amico, Novità in tema di tutela cautelare alla
luce dell’esperienza francese dei référé, in Giusto proc. civ. 2007, 873 ss. e poi 2008, 253 ss. e
555 ss.; G. Bonato, I référés nell’ordinamento francese, in La tutela sommaria, cit., 35 ss.; F.
Fradeani, I presupposti e gli effetti delle misure cautelari in Europa, cit., 220 ss.
(23) Il testo dell’art. 809 c.p.c. prevedeva che «les ordonnances sur référés ne front aucun
préjudice au principal».
(24) Si tratta della sent. 10 novembre 1947, in Jur. class. pér. sem. jurid. 1948, II, 4166,
con nota di Plaisant e in D. (Dalloz, Recueil Dalloz-Sirey) 1947, 529, con osservazioni di
Lerebours-Pigeonnière.
416 rivista di diritto processuale 2017
(25) Si tratta della decisione del giorno 11 aprile 1973, in Gaz. pal. 1973, II, 546 e in
Rev. trim. dr. civ. 1973, 80. In dottrina cfr. Normand, in Rev. trim. dr. civ. 1975, 140 ss.
(26) Cosı̀ si è affermato che urta contro una contestazione seria ed eccede i poteri del
giudice del référé la designazione di un esperto, non solo per esaminare il materiale fornito
da una società, ma anche per stabilire le responsabilità incorse (cfr. Cass. 19 dicembre 1973,
in Jur. class. pér. sem. jurid. 1974, éd. A, II, 17790, con nota di Assouline e in Rev. trim. dr.
civ. 1974, 857, con osservazioni di Perrot); al contrario è stata ammessa la nomina in référé
di un amministratore giudiziario, con il compito di ricercare tutti gli elementi di consistenza
del patrimonio dei coniugi, senza che il giudice del référé debba valutare l’esistenza dei
diritti rivendicati (cfr. Cass. 27 maggio 1974, in Jur. class. pér. sem. jurid. 1974, éd. G, IV,
258). Addirittura, proprio per rimarcare la necessaria distanza del giudice del référé rispetto
alla cognizione e decisione – anche se in termini provvisori di attendibilità – del merito della
lite, si è considerata seria contestazione anche quella di «puro diritto» (in Francia il fonda-
mento della domanda giudiziale si articola in moyens, che possono essere di fatto, di diritto,
misti di fatto e di diritto e di puro diritto. Su tali distinzioni e il loro significato, anche in
rapporto con il potere delle parti e del giudice in riferimento al rispetto del principio del
contraddittorio, v., si paret, D. Buoncristiani, L’allegazione dei fatti nel processo civile. Profili
sistematici, Torino 2002, 190 ss.), quando è molto incerta l’applicazione di disposizioni
normative ai fatti di causa ovvero ci sono serie difficoltà sull’interpretazione o sulla portata
di determinati testi giuridici (cfr. Cass. civ. 26 febbraio 1986, in Jur. class. pér. sem. jurid.
1986, IV, 128; Cass. soc. 4 marzo 1987, in Jur. class. pér. sem. jurid. 1987, IV, 163; Cass.
com. 9 ottobre 1984, in Jur. class. pér. sem. jurid. 1984, IV, 347; in materia di licenziamento,
Cass. soc. 4 marzo 1976, in Bull. civ., V, n. 140).
(27) Cosı̀ Normand, osservazioni, in Rev. trim. dr. civ. 1980, 398.
(28) Cosı̀ Normand, osservazioni, in Rev. trim. dr. civ. 1979, 655.
la cautela di regolamento 417
(29) Cfr. Solus, Perrot, Droit judiciaire privé, vol. III, Sirey 1991, 1092.
(30) Su cui v. Silvestri, Il sistema francese dei référés, in Foro it. 1998, V, 18, nt. 35 e le
ulteriori indicazioni bibliografiche ivi contenute, nonché più recentemente Il référé nell’e-
sperienza giuridica francese, cit., 62 ss.
(31) In Gaz. Pal. 1988, II, 735, con nota di Bertin.
(32) Si tratta delle Regelungsverfügungen, su cui v. Jauernig, Der zulässige Inhalt einst-
weiliger Verfügungen, in Zeit. Zivilpr. 1966, 321; Leipold, Grundlagen des einstweiligen
Rechtsschutzes, cit., passim; Kohler, Feststellende einstweilige Verfügungen?, in Zeit. Zivilpr.
1990, 184; Baur, Rechtsnachfolge in Verfahren und Massnahmen des einstweiligen Rechts-
schutzes?, in Festschrift für Schiedermair, München 1976, 19; Id., Studien zum einstweiligen
Rechtsschutz, Tübingen 1967, passim; Grunsky, Grundlagen des einstweiligen Rechtsschutzes,
in Juristische Schulung – Zeitschrift für Studium und Ausbildung 1976, 277; Id., in Stein/
Jonas, Kommentar zur Zivilprozessordnung, 22a ed., Tübingen 2002, 232; Heinze, in Münch-
ner Kommentar zur Zivilprozeßordnung, 2a ed., vol. III, München 2001, 875 e le indicazioni
bibliografiche riportate a 768, cui adde Enders, Einstweiliger Rechtsschutz, Münster 2010,
418 rivista di diritto processuale 2017
(34) Cosı̀ P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti caute-
lari, Padova 1936 e in Opere giuridiche, IX, Napoli 1983, 252. V. anche E.T. Liebman,
Unità del procedimento cautelare, in questa Rivista 1954, I, 253, che parla di «potere del
giudice, che può in largo senso qualificarsi di polizia giudiziaria». Cfr. recentemente e per
ulteriori riferimenti A. Carratta, Profili sistematici, cit., 28 ss.; A. Panzarola, I provvedimenti
d’urgenza, cit., 768 ss. V. anche la ricostruzione della tutela cautelare come provocata da una
«mera azione», in quanto slegata dall’esistenza – soltanto ipotizzata – di un diritto soggettivo
e, quindi, «il diritto al provvedimento cautelare è un diritto dello Stato, fondato sulle
necessità generali della tutela del diritto» (cosı̀ G. Chiovenda, Principii di diritto processuale
civile, Napoli 1923, 226; S. Recchioni, Diritto processuale cautelare, cit., 73 ss.). Anche in
Germania si è discusso del rechtspolizeilicher Charakter soprattutto con riferimento alle
Regelungsverfügungen di cui al § 940 ZPO, dato che nel testo normativo si indica come
presupposto per la concessione anche la necessità di ovviare al pericolo del ricorso alla
violenza (cfr. Baur, Studien zum einstweiligen Rechtsschutz, cit., 34 e, ancor prima, Schulte,
Eine Untersuchung über das Erkenntnisverfahren bei Arrest und einstweiliger Verfügung,
Mannheim-Berlin-Leipzig 1930, 7). È poi prevalso l’aggancio della tutela cautelare al diritto
soggettivo (v. per tutti Grunsky, Grundlagen des einstweiligen Rechtsschutzes, cit., 279;
Höhne, Rechtshängigkeit und Rechtskraft bei Arrest und einstweiliger Verfügung, Freiburg
1976, 75).
420 rivista di diritto processuale 2017
(35) A ben vedere, quando il danno da mora, cioè dalla durata del processo, è causato
dall’applicazione delle norme di diritto, è questa applicazione che va disinnescata, preve-
dendo delle disposizioni speciali. Sono gli effetti sostanziali della domanda. Quindi, il diritto
reagisce alle imperfezioni del processo (costo e durata) non solo con la condanna alle spese e
la sanzione (rectius: tutela) cautelare, ma anche con gli effetti sostanziali della domanda.
(36) V. retro nota 6, la c.d. regola del minus e dell’aliud.
(37) Questo è in sintesi il pensiero espresso da E. Allorio, Per una nozione del processo
cautelare, in questa Rivista 1936, I, 18 ss.
(38) In Brasile, invece, è ancor oggi affermata l’esistenza di un diritto sostanziale alla
cautela; cfr., in particolare, Baptista da Silva, Do processo cautelar, 3a ed., Rio de Janeiro
2001, 67 ss. e, recentemente ed anche per ulteriori riferimenti, Mitidiero, Anticipazione della
tutela. Dalla tutela cautelare alla tecnica anticipatoria (traduzione di Bianchi e Molinaro),
Torino 2016, 29 ss. e nt. 147.
(39) Cfr. E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale e
altri studi, vol. I, Milano 1957, 132. V. anche le critiche mosse da P. Calamandrei, Intro-
duzione, cit., 186, nt. 14; F. Carnelutti, Diritto e processo, Napoli 1958, 364; E.T. Liebman,
Unità del procedimento cautelare, cit., 248 ss. e, in part., 253; Scaglioni, Il sequestro nel
processo civile, Milano 1941, 5 ss.; Denti, Sul concetto di funzione cautelare, in Aa.Vv., Scritti
giuridici in memoria di Pietro Ciapessoni, Pavia 1948, 16 ss.
la cautela di regolamento 421
(40) Cosı̀ E. Allorio, Per una nozione del processo cautelare, cit., 37.
(41) Cfr. Mitidiero, cit., 30 s.
(42) O, ancor meno, nei Paesi di common law, come visto retro § 2.
422 rivista di diritto processuale 2017
(43) Cosı̀ F. Tommaseo, Provvedimenti di urgenza, in Enc. dir., vol. XXXVII, Milano
1988, 877. V. anche Id., I provvedimenti d’urgenza, cit., 281 ss., 310. V. anche C. Consolo,
Domanda giudiziale, in Dig., disc. priv., sez. civ., vol. VII, Torino 1991, 62; Id., in C.
Consolo, F.P. Luiso e B. Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano
1996, 580; Id., in C. Consolo, F.P. Luiso e B. Sassani, La riforma del processo civile, Milano
1991, 432; Id., Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. I, Le tutele: di merito, sommarie
ed esecutive, 3a ed., Torino 2014, 218. Cfr. F.P. Luiso, Diritto processuale civile. IV. I
processi speciali, cit., 285, «il giudice non può dare effetti che non siano stati richiesti, anche
se (sulla base dei principi generali) può dare effetti minori di quelli che sono stati richiesti».
Cfr. C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile. IV. L’esecuzione forzata. I procedi-
menti sommari, cautelari e camerali, 25a ed., Torino 2016, 376 nt. 12, seppur precisando che
«la discrezionalità dei poteri del giudice rende sufficiente la richiesta in termini generici». V.
G. Tarzia, Rimedi processuali contro i provvedimenti d’urgenza, in questa Rivista 1986, 37 s.,
il quale giudica illusorio pensare che il giudice provochi il contraddittorio con le parti sul
contenuto della misura cautelare, ove diverso da quello richiesto e discusso; Id., Intervento,
in La tutela d’urgenza. Atti del XV convegno nazionale, Rimini 1986, 157, ove paventa il
rischio di una giurisdizione d’ufficio e di una violazione del contraddittorio; G. Tarzia, A.
Saletti, Processo cautelare, in Enc. dir., aggiornamento, vol. V, Milano 2001, 843. V. L.
Salvaneschi, La domanda e il procedimento, in Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e
A. Saletti, 4a ed., cit., 405 s., la quale innanzitutto afferma che «l’art. 112 c.p.c. è norma
applicabile ad ogni procedimento civile e sancisce un principio cardinale, la cui deroga
nell’ambito di un procedimento speciale richiederebbe per lo meno una enunciazione
espressa»; inoltre avvalora tale conclusione dall’esame della disciplina del procedimento
cautelare uniforme, come si dirà infra nel testo. Ead., in Provvedimenti urgenti per il processo
civile, Commentario a cura di G. Tarzia e F. Cipriani, Padova 1992, 297; Ead, in Provve-
dimenti urgenti per il processo civile, in Nuove leggi civili comm. 1992, 297. V. S. Recchioni,
Il processo cautelare uniforme, cit., 271 ss. e 298. V. L. Dittrich, Il provvedimento d’urgen-
za ex art. 700 c.p.c., in Il processo cautelare, cit., 280. V. E. Dalmotto, Sul contenuto del
ricorso cautelare nel procedimento uniforme, in Giur. it. 1993, I, 2, 781, secondo il quale
l’approfondimento circa le misure da concedere nonché circa le modalità della loro esecu-
zione «sembra» imposto dal permanere dell’indiscusso valore dell’art. 112 c.p.c. sulla corri-
spondenza tra il chiesto e il pronunciato. V. A. Carratta, La fase cognitiva, cit., 123, secondo
il quale il rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato impone
all’istante di individuare il provvedimento cautelare richiesto; l’Autore riconosce però al
giudice il compito di interpretare la domanda proposta e di adattare il contenuto del
provvedimento cautelare richiesto all’effettivo contenuto della domanda proposta, come
risultante dall’opera di interpretazione del giudice. V. A. Panzarola, I provvedimenti d’ur-
genza dell’art. 700 c.p.c., cit., 859 ss., secondo il quale la discrezionalità del giudice non si
la cautela di regolamento 423
caso in cui si tratti di una questione di diritto, che non rende rilevanti
nuovi fatti, saranno sufficienti le «osservazioni» delle parti (ad es., per una
questione di rito, risultante dagli atti, quale la legittimazione ad agire, che
si apprezza su quanto affermato nella domanda).
Passiamo allora a valutare la proprietà transitiva tra processo di merito
e cautelare, per cui la regola della corrispondenza tra il chiesto e il pro-
nunciato, prevista dall’art. 112 c.p.c. per il giudizio di merito, deve appli-
carsi anche al giudizio cautelare. Ebbene, il fatto che il processo cautelare
e quello principale o dichiarativo siano collegati funzionalmente non vuol
dire che, per proprietà transitiva, si debbano applicare le stesse regole. C’è
un non sequitur: il legame funzionale regge, anche se ciascun procedimen-
to è disciplinato in maniera diversa. A meno che si dimostri che la diffe-
rente disciplina incrini il legame funzionale.
La regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con
correlata negazione di discrezionalità giudiziale sul contenuto del provve-
dimento cautelare richiesto, è allora desunta dalla disciplina positiva. Si
afferma che il vincolo per il giudice a rispettare il contenuto della misura
cautelare richiesta è ricavabile in particolare dall’art. 669 sexies c.p.c.,
prevedendo che gli atti istruttori da compiere sono quelli indispensabili
in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, il cui
contenuto, quindi, deve essere precisato. Inoltre, la disciplina della ripro-
posizione ovvero della revoca e modifica, cosı̀ come quella del reclamo,
presuppongono «una chiara delimitazione delle richieste della parte», per
poter apprezzare la sussistenza di nuove ragioni di fatto o di diritto ovvero
i mutamenti delle circostanze (49).
Ebbene, se anche l’istante deve precisare il contenuto della misura
cautelare richiesta al fine di orientare l’attività istruttoria ovvero per con-
sentire di valutare l’ammissibilità e/o fondatezza della riproposizione o
della richiesta di revoca o modifica o del reclamo, non vuol dire anche
che il giudice possa soltanto concedere o negare la misura cautelare con
quel contenuto. Vuol soltanto dire al più che l’istante non può rimettersi a
giustizia (50).
In sintesi, non c’è un valido appiglio normativo per annullare ogni
margine di manovra del giudice cautelare nel dare ex art. 700 c.p.c. i
provvedimenti che, secondo le circostanze, appaiono i più idonei ad assi-
curare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.
Rimane l’ultimo ostacolo: divieto di discostarsi dalla disciplina sostan-
ziale e dettare discrezionalmente un regolamento provvisorio d’interessi
diverso da quello che l’istante potrebbe ottenere con la sentenza di merito.
(50) Cfr. F. Carpi, La tutela d’urgenza, cit., 711, secondo il quale «dal distorto ed
illegittimo costume giudiziario che fa sı̀ che alle volte il ricorrente, esposti sommariamente
i fatti, si rimetta completamente al giudice affinché stabilisca lo strumento, non si dovrebbe
cadere al polo opposto di imporre al giudice il vincolo delle conclusioni specifiche del
ricorrente». V. anche per l’inesistenza di un vincolo a quanto chiesto dall’istante E. Fazza-
lari, Art. 700 e ‘ingegneria processuale’, in Giust. civ. 1984, I, 950, secondo il quale il giudice
nel provvedimento commentato fa dell’«ingegneria processuale», ma in senso buono, in
quanto la cautela atipica di cui all’art. 700 c.p.c., «per la sua funzione e per il suo attributo,
consente, anzi esige che il giudice congegni la misura adatta; coerente, sı̀, con le future
domande e sentenze di merito, ma soltanto strumentale rispetto ad esse». V. Rapisarda,
Profili della tutela civile inibitoria, Padova 1987, 133; Balbi, Provvedimenti d’urgenza, cit.,
115 ss.; L. Lanfranchi, Riflessioni de iure condito e de iure condendo sulla tutela cognitiva
ordinaria e sommaria, in Riv. giur. lav. 1982, I, 271 s.; R. Marengo, La discrezionalità del
giudice civile, Torino 1996, 73 e 246 s.; C. Consolo, Il nuovo processo cautelare, cit., 17; G.
Balena, in G. Balena e M. Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari 2006, 337 s.;
A. Oberto, Il nuovo processo cautelare, Milano 1993, 50 s.; G. Arieta, op. loc. cit.; L.
Montesano, I provvedimenti d’urgenza nel processo civile (artt. 700-702 c.p.c.), Napoli
1955, 83; E.A. Dini, in Dini e Mamone, I provvedimenti d’urgenza, 7a ed., Milano 1997,
437; V. Denti, Il ruolo del giudice nel processo civile tra vecchio e nuovo garantismo, in Riv.
trim. dir. proc. civ. 1984, 735; Id., ‘Flashes’su accertamento e condanna, in questa Rivista
1985, 261; E. Merlin, Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig., disc. priv., sez.
civ., Torino 1996, 402, secondo la quale «dominio ed onere della parte è insomma soltanto
la indicazione del tipo di “bene cautelare” perseguito in senso materiale»; A. Proto Pisani, I
provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., cit., 386, secondo il quale il giudice cautelare può
ricorrere alla propria fantasia, soprattutto nel senso di individuare forme di anticipazione
parziale, in modo da un lato di neutralizzare il pregiudizio irreparabile dell’istante e, dal-
l’altro lato, limitando al minimo l’eventuale o probabile irreversibilità dei suoi effetti; G.
Verde, Appunti sul procedimento cautelare, in Foro it. 1992, V, 439, secondo il quale deve
essere chiara l’esigenza di cautela e poi «i giudici saranno sempre meno timidi nel configu-
rare la cautela secondo ciò che appare più opportuno»; Id., Domanda (principio della), in
Enc. giur., vol. XII, Roma 1989, 10; Id., Diritto processuale civile. 4. Procedimenti speciali, 3a
ed., Bologna 2012, 51, per il quale «rappresentata l’esigenza della cautela, il giudice do-
vrebbe poter avere la possibilità di modellare in concreto lo strumento idoneo (…) Cosı̀, per
esemplificare, chiesto un provvedimento d’urgenza, spetta al giudice di modellare la cautela
idonea anche prescindendo dalle indicazioni del ricorrente, che non sembrano vincolanti.
Quando, però, si tratti di cautele appartenenti a tipi diversi, l’indicazione della parte finisce
col condizionare il giudice».
la cautela di regolamento 427
(51) Cosı̀ V. Andrioli, Il principio del ne bis in idem e la dottrina del processo, in Annali
triestini di Diritto, Economia e Politica, Trieste 1941, 255 ss., ora in Scritti giuridici, I, Teoria
generale del processo. Processo civile, Milano 2007, 46.
(52) P. Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, in
Opere giuridiche, cit., 185; S. Menchini, Le modifiche al procedimento cautelare uniforme e ai
processi possessori, in C. Consolo, F.P. Luiso, S. Menchini e L. Salvaneschi, Il processo civile
di riforma in riforma, Milano 2006, 82 ss.; C. Consolo, Il nuovo processo cautelare, cit., 16 s.;
Id., Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, in Corriere giur. 2003, 1518 ss.;
G. Balena, in G. Balena e M. Bove, Le riforme, cit., 337 s.; C. Cariglia, Profili generali delle
azioni di accertamento negativo, Torino 2013, 236.
(53) Cfr., soprattutto con riferimento all’ipotesi di contrasto tra opposti diritti, Larenz-
Canaris, Methodenlehre der Rechtswissenschaft, 3a ed., Berlin 1995, 223 ss., nonché L.G.
Marinoni, L’evoluzione della tecnica anticipatoria e della tutela preventiva in Brasile, in Riv.
trim. dir. proc. civ. 2013, 1353, spec. § 5, nt. 23, in cui utilizza l’espressione «mezzo più
soave», seppur riferito al mezzo esecutivo, da intendere come «quello che, oltre che ade-
guato e idoneo alla tutela giurisdizionale, sia il meno pregiudizievole per il convenuto».
428 rivista di diritto processuale 2017
(54) Si pensi alla guerra della carta igienica, arrivata fino in Cassazione (Cass. 9 aprile
1996, n. 3276, in Foro it. 1996, I, 1606 e in Dir. ind. 1996, 804, con nota di Toni e in Riv.
dir. ind. 1996, II, 265, con nota di Perugini), relativamente al marchio «Cotonelle», ritenuto
nullo per decettività, in quanto idoneo a trarre in inganno il consumatore, inducendolo a
credere che nel relativo prodotto, di natura cartacea, fosse presente cotone. Ebbene, in via
cautelare, poteva essere imposto di riportare l’avvertenza che non c’era cotone; le parti poi
potevano desistere o andare avanti nel contenzioso.
(55) Tale ammissibilità era molto controversa; cfr. la giurisprudenza citata da Cuonzo-
Valenti, Provvedimenti di urgenza e tutela dichiarativa: le azioni di accertamento ex art. 700
c.p.c. nelle controversie relative a diritti di proprietà industriale, in Riv. dir. ind. 1997, 91 ss.,
cui adde ex multis Trib. Milano 13 luglio 2009, in Giur. dir. ind. 2009, 1077 per la negativa;
mentre per l’ammissibilità si esprimono Trib. Genova 18 luglio 2006, in Giur. dir. ind. 2007,
349; Trib. Firenze 5 novembre 2004, in Giur. ann. dir. ind. 2005, 562 e Trib. Roma 4
dicembre 2002, in Riv. dir. ind. 2005, II, 208, con nota di Patrini, Ancora in tema di
accertamento negativo della contraffazione e provvedimenti cautelari. In dottrina, v. Ferrari,
Il d.leg. n. 131/2010 e le norme processuali del codice della proprietà industriale, in Riv. dir.
ind. 2012, I, 5; Ead, La recente riforma delle norme processuali del codice della proprietà
industriale, in questa Rivista 2011, 1473, spec. 1475 s.; Id., La disciplina cautelare in materia
di proprietà industriale, in Il processo cautelare a cura di G. Tarzia e A. Saletti, 4a ed., cit.,
712 ss.; C. Galli, Note introduttive, in La riforma del codice della proprietà industriale,
Commentario a cura di Galli, in Nuove leggi civili comm. 2011, 852; G. Ciccone, Commento
all’art. 120 c.p.i., in La riforma, op. ult. cit., 961 s.; Id., Le azioni di accertamento negativo in
sede cautelare e di merito, in Codice della proprietà industriale: la riforma 2010. Prima lettura
sistematica delle novità introdotte dal D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, Milano 2010, 152 ss.;
la cautela di regolamento 429
Id., Le azioni in materia di proprietà industriale: giurisdizione e competenza (art. 120, d.lgs.
10.2.2005, n. 30), in Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale a cura di
Galli e Gambino, Torino 2011, 1016 s., secondo il quale il provvedimento d’urgenza
comunque rafforza il diritto dell’istante, in considerazione della possibile pubblicazione o
comunque divulgazione del provvedimento, cosı̀ da evitare il grave nocumento che subi-
rebbe l’istante nel ritardare investimenti o nel bloccare il ciclo produttivo fino all’emana-
zione di una sentenza di merito; inoltre va considerato l’interesse ad avere un processo di
durata più ragionevole e l’interesse a favorire pronunce che possono offrire alle parti indi-
cazioni utili per una soluzione stragiudiziale della lite, nonché l’interesse della parte istante
ad ottenere in tempi rapidi un provvedimento che «potrebbe poi in futuro esentarla dalla
condanna al risarcimento dei danni ex art. 125 c.p.i. quale autorevole indice di buona fede»;
Casaburi, Il processo industrialistico rinovellato, in Dir. ind. 2010, 517 s., il quale critica la
formulazione atecnica adottata e l’omessa indicazione del contenuto del provvedimento;
Contini, L’accertamento negativo in via cautelare, in La riforma del codice di proprietà indu-
striale a cura di Bottero, Milano 2011, 331 ss., che esclude l’ammissibilità per carenza di
interesse, ove si intenda evitare la responsabilità anche risarcitoria per contraffazione; A.
Sirotti Gaudenzi, Proprietà intellettuale e diritto della concorrenza, vol. V, in La riforma del
codice della proprietà industriale, Torino 2010, 71 ss.; G. Ratti, La tutela cautelare e urgente
dei diritti di proprietà industriale, in Cortese, Ratti e Vitrò, Formulario commentato dei
procedimenti cautelari e urgenti nel diritto civile, Torino 2012, 775 ss.; Ead, La contraffazione
del marchio. Profili processuali, in Il diritto dei marchi d’impresa. Profili sostanziali, proces-
suali e contabili a cura di Bottero, Travostino, Torino 2009, 312; Cartella, Brevi note in
merito ai profili processuali del d.lgs. 13 agosto 2010 n. 131, in Riv. dir. ind. 2011, I, 255.; F.
Ghiretti, Commento all’art. 120 c.p.i., in Codice della proprietà industriale a cura di Vanzetti,
coordinata da Sironi, Milano 2013, 1216 ss.; C. Cariglia, op. ult. cit., 240 ss., secondo la
quale il comma 6˚ bis del novellato art. 120 c.p.i., anche per la sua formulazione atecnica,
lascia inalterate le ragioni contrarie ad ammettere una tutela cautelare atipica di mero
accertamento; L. Di Cola, I provvedimenti cautelari in materia di diritto d’autore e di pro-
prietà industriale. Profili processuali, in I procedimenti cautelari, a cura di A. Carratta, Torino
2013, 1024 ss., secondo la quale la concessione di un provvedimento cautelare di mero
accertamento negativo della contraffazione preclude l’emissione di un provvedimento cau-
telare d’inibitoria; questa quindi l’utilità che giustifica l’interesse ad agire.
(56) Esemplare il caso «Scottonelle», marchio sottoposto ad una verifica cautelare di
liceità davanti al Trib. Pescara (ord. 17 ottobre 1994, in Giur. ann. dir. ind. 1995, 616 e poi
commentata da Cuonzo-Valenti, op. cit., 93 ss.), prima ancora di lanciare ed utilizzare il
marchio, sul presupposto che ci sarebbe stata contestazione con alta probabilità, tenuto
conto di precedenti azioni di contraffazione promosse su marchi simili.
430 rivista di diritto processuale 2017
(57) Viene suggerita (L. Di Cola, op. cit., 1028) anche un’utilità giuridica di stampo
processuale: precludere l’emissione di un provvedimento cautelare d’inibitoria da parte del
concorrente, che lamenta la violazione del suo diritto di privativa. Quest’utilità non sussiste,
in quanto delle due l’una: o il titolare della privativa, benché anticipato cautelarmente dal
presunto contraffattore, può richiedere in autonomo procedimento cautelare l’inibitoria,
non applicandosi l’istituto della litispendenza/continenza tra procedimenti cautelari; oppu-
re, in caso contrario, potrà chiedere l’inibitoria in via riconvenzionale nel procedimento
cautelare di accertamento negativo della contraffazione. Altro interesse perseguibile, anche
se non confessabile, è quello di forum shopping collegato all’ulteriore interesse a perdere
tempo, silurando l’iniziativa giudiziaria altrui. È il caso delle azioni cross-border per l’accer-
tamento della non contraffazione di un brevetto europeo, promosse in Italia (o in altro Stato
con una giustizia molto lenta), ma con efficacia anche fuori dall’Italia, cosı̀ da bloccare, una
volta lanciata (di qui l’appellativo di azioni torpedo, cioè siluro), la cognizione di giudici di
altri paesi europei, anche per la notoria lentezza della giustizia italiana (o dell’altro Stato
scelto dall’istante). Infatti, in base alla regola sulla litispendenza (art. 21) di cui alla Con-
venzione di Bruxelles del 27 Settembre 1968 e della Convenzione di Lugano del 16 Settem-
bre 1988 e (art. 27) del Regolamento CE n. 44/2001 e adesso art. 29 del Regolamento CE n.
1215/2012, ha giurisdizione esclusiva la prima corte adita di uno stato membro e l’autorità
giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento, finché sia stata
accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale adita in precedenza. La scelta della
giurisdizione italiana (di qui l’appellativo di azioni Italian torpedo, cioè siluro italiano) è
facilitata dal criterio di collegamento per fissare la giurisdizione, che, in base all’art. 5.3 del
Regolamento CE n. 44/2001 e adesso art. 7 n. 2 del Regolamento CE n. 1215/2012, è il
luogo in cui il danno potrebbe verificarsi, anche se non si è ancora verificato. Cfr. Corte
giustizia Unione europea, 25 ottobre 2012, n. 133/11 (causa Folien Fischer), in questa
Rivista 2013, 1245, con nota di Garavaglia e in Int’l Lis 2013, 70, con nota di Negri e in
Dir. ind. 2013, 47, con nota di De Vecchi Lajolo; Cass., sez. un., 10 giugno 2013, n. 14508,
che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice italiano, come giudice del luogo in cui
l’illecito può avvenire, relativamente alla domanda di accertamento negativo di avvenuta
contraffazione di prodotti industriali coperti da brevetto europeo proposta da una società
estera (nella specie tedesca) nei confronti di società straniere (titolari delle frazioni italiane e
tedesche del medesimo brevetto) prive di sedi, anche secondarie, in Italia, sia per la por-
zione italiana che per quella tedesca del brevetto. In dottrina, ex multis, Ferrari, Le torpedo e
la recente giurisprudenza della corte di giustizia, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2013, 1125; C.
Consolo, La italian torpedo non fa naufragare per la seconda volta la petroliera Erika e la
buona fede processual-internazionalistica (grazie al ‘ricarburato’ e non più vituperando nostro
regolamento di giurisdizione), in Int’l Lis 2003, 97; M. Franzosi, Italian Torpedo: perché un
cavallo bianco non è un cavallo, in Dir. ind. 2004, 429. Il nuovo regolamento 1215/2012 ha
reagito a questo abuso (che sfrutta la c.d. first in time rule) limitatamente alle azioni torpedo
contrattuali: in base all’art. 31.2, se le parti in un accordo (e, quindi, di regola un contratto)
hanno attribuito competenza esclusiva all’autorità giudiziaria di uno Stato membro, «qua-
lunque autorità giurisdizionale di un altro Stato membro [anche in deroga al principio della
prevenzione] sospende il procedimento fino a quando l’autorità giurisdizionalmente adita
sulla base dell’accordo dichiara di non essere competente ai sensi dell’accordo», purché
l’accordo sia stato validamente stipulato, il giudice eletto sia «adı̀to» a norma del successivo
la cautela di regolamento 431
art. 32 e il difetto di potestas iudicandi sia stato eccepito o, in caso di contumacia, rilevato
d’ufficio. Alla competenza identificata di comune accordo tra le parti fanno comunque
eccezione le competenze speciali previste per i contratti di assicurati, consumatori e lavo-
ratori. Cfr. su tale nuovo regolamento Silvestri, Recasting Brussels I: il nuovo regolamento n.
1215 del 2012, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2013, 677. Anche con riferimento alle azioni
domestiche (cioè non cross-border) di accertamento negativo della contraffazione, pur non
applicandosi l’estensione del forum commissi delicti al luogo in cui il danno potrebbe
verificarsi, può integrarsi un fenomeno di forum shopping, ove si ritenesse che l’istante possa
convenire il titolare della privativa davanti al giudice del luogo in cui lui stesso (magari
proprio al fine di scegliersi il giudice) ha posto in essere il comportamento di cui intende
negare la lesività (in questo senso Ghiretti, op. cit., 1218; contra Contini, op. cit., 338).
(58) V., ex multis, R. Barbuto, Il risarcimento dei danni da contraffazione di brevetto e la
restituzione degli utili, in Riv. dir. ind. 2007, I, 172, spec. 182 s.; Id., La retroversione degli
utili come sanzione per la contraffazione di marchi e brevetti – Il disgorgement of profits entra
nel nostro ordinamento, in Impresa 2005, 1327; Id., Il risarcimento dei danni da contraffa-
zione di brevetto e la restituzione degli utili – Le novità dopo il recepimento della diretti-
va enforcement, in Impresa 2006, 1425. V. gli atti del convegno tenuto a Parma il 21 ottobre
2011, «La contraffazione non paga – Risarcimento del danno e reversione degli utili del
contraffattore tra problemi applicativi e strategie per le imprese»: C. Galli, Diritti Ip e
risarcimento dei danni: un rapporto difficile che sta cambiando; G. Fava, Contraffazione,
risarcimento e prevenzione: serve una visione strategica; C. Galli, Risarcimento del danno e
retroversione degli utili: le diverse voci di danno; A. Renoldi, Logica differenziale e valutazione
economica del risarcimento del danno; P. Marzano, Risarcimento dei danni e retroversione
degli utili nel diritto d’autore; P. Pardolesi, Risarcimento del danno, reversione degli utili
e deterrence: il modello nord-americano e quello europeo; Söderlund, Damages in Ipred and
in Sweden; R. Barbuto, La reversione degli utili nel diritto italiano; S. Corona, La consulenza
tecnica contabile nel processo di diritto industriale: i problemi giuridici; C. Scarpa, Proprietà
intellettuale e misurazione del danno: alcuni problemi applicativi e Magelli, Il risarcimento del
danno da contraffazione nell’esperienza giurisprudenziale italiana, in Dir. ind. 2012, 105; N.
Romanato, Danno, arricchimento ingiustificato, arricchimento ingiusto nell’art. 125 c.p.i., in
Riv. dir. ind. 2013, I, 23; M. Rutigliano, L. Faccincani, Risarcimento del danno per lucro
cessante e restituzione dei profitti dell’autore della violazione di diritti di proprietà industriale,
in Riv. dott. Commercialisti 2012, 833; P. Pardolesi, La retroversione degli utili nel nuovo
codice dei diritti di proprietà industriale, in Dir. ind. 2005, 37; A. Vanzetti, La ‘restituzione’
degli utili di cui all’art. 125, n. 3, del codice della proprietà industriale nel diritto dei marchi, in
Dir. ind. 2006, 323; M.S. Spolidoro, Il risarcimento del danno nel codice della proprietà
industriale – Appunti sull’art. 125 c.p.i., in Riv. dir. ind. 2009, I, 149.
432 rivista di diritto processuale 2017
(59) Cosı̀ F.P. Luiso, Diritto processuale civile, IV, cit., 199. V. anche Id., Istituzioni,
cit., 309. Esemplare è il caso esaminato e deciso da Cass. 15 luglio 2002, n. 10260, in Mass.
giur. lav. 2002, 788, con nota di Viceconte: il datore di lavoro aveva licenziato il lavoratore a
seguito di un giudizio di inidoneità rilasciato da strutture sanitarie pubbliche; il datore di
lavoro non può ignorare tale giudizio e non adeguarsi ad esso, esponendo in caso contrario il
lavoratore ad un danno alla salute; se non ci sono mansioni diverse a cui assegnare il
lavoratore, non può quindi che procedere al licenziamento (che pertanto non è più espres-
sione di un Wahlrecht). Se poi la contesa riguarda il giudizio d’inidoneità e viene ribaltato,
ecco che l’illecito commesso non può essere imputato al datore di lavoro, obbligato (salva la
possibilità di repêchage, non oggetto di controversia) al recesso. Al contrario, in caso di
tutela cautelare dichiarativa, non muta la natura di Wahlrecht del potere esercitato.
la cautela di regolamento 433
(60) Cfr., invece nel senso che la strumentalità attenuata o allentata si applichi soltanto
ai provvedimenti d’urgenza realmente anticipatori M. Fabiani, Il rito cautelare societario
(contraddizioni e dubbi irrisolti), in questa Rivista 2005, 1190, secondo il quale «è ragione-
vole pensare che l’allentamento del nesso di strumentalità debba giocare un ruolo soltanto
quando il bene della vita che si pretende con la domanda cautelare può essere conseguito
all’esito del procedimento cautelare, mentre in tutti gli altri casi, la tutela di merito deve
restare un valore non rimesso alla discrezionalità delle parti»; M. Bove, Evitare il processo?,
in Giusto proc. civ. 2008, 73 ss.; G. Balena, in G. Balena e M. Bove, Le riforme, cit., 334 e
339; F.P. Luiso, Diritto processuale civile. IV, cit., 224 s. Con riferimento all’abrogato (ma
non dissimile) rito societario, v. E. Dalmotto, in Il nuovo diritto societario, diretto da
Cottino, Bologna 2004, § 1.2. Nel senso invece che il nuovo regime di strumentalità si
applica sia ai provvedimenti anticipatori che a quelli «misti», S. Menchini, Le modifiche
al procedimento cautelare uniforme e ai processi possessori, cit., 84 s.; R. Caponi, La nuova
disciplina dei procedimenti cautelari in generale (l. n. 80 del 2005), in Foro it. 2006, V, 73; G.
Verde, Diritto processuale civile, vol. IV, Procedimenti speciali, 3a ed., Bologna 2012, 59. V.
anche M.F. Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in questa Rivista 2005, 793,
che propende per una lettura prudenziale del nuovo art. 669 octies c.p.c. V. D’Amico,
Novità in tema di tutela cautelare alla luce dell’esperienza francese dei référé, in Giusto proc.
civ. 2008, 564, secondo cui «non rientrerebbero nel novero dei provvedimenti che benefi-
ciano della strumentalità attenuata solo i sequestri ed alcuni procedimenti in materia di
istruzione preventiva». V. I. Pagni, Provvedimenti d’urgenza, in Il diritto enc. giur., Milano
2007, vol. XII, 482 s., la quale suggerisce di escludere l’onere di instaurare il giudizio di
merito «tutte le volte che il provvedimento richiesto rientri nel paradigma dell’art. 700
c.p.c.», salvo poi precisare che tale stabilità del provvedimento cautelare significa auto-
sufficienza della tutela (e, quindi, se la misura concessa non è autosufficiente, anche se
emessa ex art. 700 c.p.c., richiede l’inizio e/o la prosecuzione del giudizio di merito). V.
A. Saletti, Le misure cautelari a strumentalità attenuata, cit., 298 ss., secondo il quale il nuovo
regime di stabilità, quanto alle misure cautelari del codice di rito, trova applicazione in
funzione del tipo di misura cautelare, cioè del nomen di ciascuna e non del suo contenuto.
In questo senso C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. I, Le tutele: di
merito, sommarie ed esecutive, 2a ed., Torino 2012, 293 (ma v. Le prefigurabili inanità di
alcuni nuovi riti commerciali, cit., 1520, ove escludeva che potessero rimanere autonomi dal
giudizio di merito i provvedimenti cautelari «misti»); P. Biavati, Argomenti di diritto pro-
cessuale civile, Bologna 2011, 696; A. Carratta, La fase cognitiva, cit., 262, nt. 319 (a cui si
rinvia per ulteriori riferimenti); A. Panzarola, I provvedimenti d’urgenza dell’art. 700 c.p.c.,
cit., 787, nt. 181 (a cui si rinvia per ulteriori riferimenti). V. anche, si paret, D. Buoncristiani,
in Cecchella, Amadei, Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione,
Milano 2006, 111 ss.
434 rivista di diritto processuale 2017
DINO BUONCRISTIANI
Ricercatore nell’Università di Pisa
SOMMARIO: 1. Premessa: l’efficacia persuasiva del precedente giudiziario nel sistema proces-
suale italiano. – 2. I fondamenti dell’efficacia del precedente di legittimità: il criterio
della ragionevolezza della motivazione e la funzione nomofilattica della Corte di cassa-
zione. – 3. Il mutamento del precedente giudiziario in materia sostanziale tra tutela
dell’affidamento della parte e valutazione giudiziaria dei transition costs: l’esperienza
dottrinale nordamericana e le suggestioni per il dibattito italiano.
(1) Il concetto di precedente giudiziario è alquanto diffuso nel nostro panorama dot-
trinale e giurisprudenziale e ha ricevuto una certa valorizzazione anche a livello normativo
(v. infra nel testo), sebbene il significato che spesso si attribuisce a tale espressione rappre-
senti soltanto la semplificazione di un fenomeno più articolato e complesso di quello emer-
gente dalla tradizionale contrapposizione tra sistemi di common law e sistemi di civil law (v.,
per tutti, G. Gorla, Precedente giudiziario, in Enc. giur. XXIII, Roma 1990, 1 ss.).
(2) Sull’evoluzione della pratica giudiziaria orientata al rispetto del precedente nei
sistemi di common law e sulla successiva formazione di una doctrine del precedente che
ne sancisse la vincolatività in ossequio alla regola di stare decisis v., per tutti, U. Mattei, Stare
quei sistemi giuridici che hanno elevato l’attività sanzionatoria dei diritti al
rango di funzione esclusiva del legislatore. In questa sede interessa, invece,
indagare quel profilo della dottrina del precedente che attiene alla sua
incidenza sulla futura attività giuridica della parte e, specialmente, sull’af-
fidamento che la parte abbia potuto legittimamente riporre in un dato
precedente giudiziario come strumento di conoscenza degli effetti che la
legge riconnette a tale attività. È questo, infatti, l’aspetto che sembra
destare maggiore interesse, in considerazione non solo dell’attento esame
che ad esso continua a riservare la giurisprudenza interna (anche costitu-
zionale) sulla scorta di numerose pronunce delle corti sovranazionali, ma
altresı̀ delle suggestioni del dibattito – anch’esso, invero, mai sopito – della
giurisprudenza e della dottrina di common law (soprattutto, come si vedrà,
di quella americana) in punto di tutela dei c.d. reliance interests e, pertan-
to, dell’affidamento degli stakeholders (3) nel rispetto del precedente giu-
diziario.
Il rapporto (ma sarebbe forse più corretto dire: la tensione) tra la
teorica del precedente giurisprudenziale e la tutela dell’affidamento si
coglie, nel suo maggior grado di problematicità, con riguardo alla prospet-
tiva della formazione e del consolidamento di un precedente giudiziario e
del successivo cambiamento di opinione con cui sia stato disatteso – vuoi
improvvisamente, vuoi per una progressiva erosione ermeneutica – l’orien-
tamento interpretativo consolidato. Se nei sistemi di common law il vincolo
del precedente consegue necessariamente all’osservanza di una regola giu-
decisis. Il valore del precedente giudiziario negli Stati Uniti d’America, Milano 1988, 7 ss.,
185 ss.; Id., Precedente giudiziario e stare decisis, in Dig. disc. priv. sez. civ., XIV, Torino
1996, 148 ss. Sulla contrapposizione tra funzione creativa e funzione dichiarativa della
giurisprudenza di common law, v. W.D. Popkin, Evolution of the Judicial Opinion. Institu-
tional and Individual Styles, New York – London 2007, 6 ss.
(3) La figura degli stakeholders – come illustrato dalla dottrina nordamericana – allude
ad un contesto soggettivo che non è limitato alle sole parti del giudizio in cui la regola
inaugurata col precedente sia stata invocata per la soluzione di un caso analogo, ma si
estende a coloro che, sulla scorta dell’efficacia del precedente, sono indotti ragionevolmente
ad adeguare i propri comportamenti (giuridicamente rilevanti) alla stessa stregua della (o,
comunque, secondo un criterio di compatibilità con la) regola sancita nel precedente. Di
guisa che l’ambito soggettivo coinvolto dal precedente viene a interessare non soltanto i
privati cittadini soggetti alle rules proclamate dalla giurisprudenza alla stessa stregua del-
l’assoggettamento agli statutes o alle norme costituzionali (e, dunque, a prescindere dalla
deduzione in giudizio di un thema decidendum), ma anche i soggetti, per cosı̀ dire, istitu-
zionali e, specialmente, quelli che sono dotati del potere legislativo o lato sensu regolamen-
tare, la cui opera concorre ed entra, quindi, in diretto rapporto con la norma giurispruden-
ziale. Per questi aspetti si rinvia alle considerazioni e ai richiami svolti nel terzo paragrafo,
limitandosi qui a indicare, per la completezza e l’esaustività delle osservazioni, R.J. Kozel,
Precedent and Reliance, 62 Emory L.J. 1459 (2013).
mutamento del precedente giudiziario 437
(4) È nota la contrapposizione tra ratio decidendi e obiter dictum ed è nota parimenti la
reciproca influenza che tali concetti esercitano l’uno sull’altro, di guisa che capita spesso che
l’uno sia identificato con la negazione dell’altro. Nondimeno, l’elemento di discrimine tra i
due concetti si rintraccia comunemente nella decisorietà, ovverosia nella idoneità dell’argo-
mentazione giuridica a determinare autonomamente la soluzione della controversia e, quin-
di, più propriamente, l’ammissibilità e/o la fondatezza della domanda giudiziale (Cass. 7
novembre 2005, n. 21490, in Giust. civ., Mass. 2005, 11). Se entrambi assumono, pertanto,
un rilievo specifico in rapporto alla figura del precedente e al vincolo (obbligatorio o
persuasivo) di adesione da parte dei giudici successivi, è solo il principio su cui si fonda
la ratio decidendi del precedente ad essere chiamato a governare la decisione dei casi
analoghi successivamente dedotti in giudizio [J. Stone, The Ratio of the Ratio Decidendi,
22 Mod. L. Rev. 597, 600 (1959)]. Per contro, l’obiter dictum, essendo reso su questioni che,
pur avendo stretta attinenza con il thema decidendum, non possiedono il requisito della
decisorietà, è inidoneo a fungere da precedente e, dunque, a governare autonomamente la
decisione di casi analoghi [sulla funzione anticipatoria delle future rationes decidendi, v. M.
Abramowicz – M. Stearns, Defining Dicta, 57 Stan. L. Rev. 953 (2005); J.M. Stinson, Why
Dicta Becomes Holding and Why It Matters, 76 Brook. L. Rev. 219 (2010)].
(5) Cfr. Cass. 13 maggio 2003, n. 7355, in Foro it. 2004, I, 1237 ss., secondo cui, in
particolare, «benché non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la
regola dello stare decisis, essa tuttavia costituisce un valore o una direttiva di tendenza,
immanente nel nostro ordinamento, in forza della quale non ci si deve discostare da un’in-
terpretazione consolidata del giudice di legittimità, investito, istituzionalmente, della funzio-
ne di nomofilachia, senza una ragione giustificativa».
438 rivista di diritto processuale 2017
statutory interpretation del moderno giudice di common law, v. A. Vermeule, Judging under
Uncertainty. An Institutional Theory of Legal Interpretation, Cambridge – London 2006,
183 ss.).
(7) Ed infatti, sono assai frequenti, al punto che pare davvero superfluo ogni richiamo
giurisprudenziale, i casi in cui la giurisprudenza risolve il giudizio di diritto nel rinvio
all’argomentazione giuridica contenuta in una precedente pronuncia (o in un indirizzo
interpretativo consolidato) sulla scorta della mera condivisione del ragionamento giuridico
ivi espresso, talvolta senza neppure un richiamo per esteso, ma riportando soltanto gli
estremi delle relative pronunce, con omissione di qualsiasi accenno al caso concreto e,
pertanto, alla problematica essenziale della analogia tra le fattispecie (N. Picardi, Appunti
sul precedente giudiziale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1985, 201 ss., in part. 202; M. Taruffo,
La riforma delle norme sulla motivazione della sentenza, in Giur. it. 2011, 243 ss., in
part. 247).
440 rivista di diritto processuale 2017
(8) La ratio decidendi non costituisce, infatti, un astratto ragionamento giuridico sulla
norma, bensı̀ l’applicazione di un tale ragionamento alla soluzione del caso concreto, di
talché non vi può essere un’argomentazione giuridica idonea a fondare la decisione conte-
nuta nella sentenza senza che tale argomentazione rivesta una diretta attinenza alla soluzione
delle questioni (di fatto e di diritto) che siano state dedotte in giudizio dalle parti [A.L.
Goodhart, The Ratio Decidendi of a Case, 22 Mod. L. Rev. 117, 119 (1959); F. Galgano,
L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto impr. 1985, 701 ss., in part. 718].
(9) Nel senso che la disposizione in parola non possa legittimare una motivazione priva
di una ratio decidendi, ancorché limitata alla «mera trasposizione (…) di una succinta e mera
esposizione dei fatti e dei precedenti conformi», v. C. Cavallini, Verso una giustizia proces-
suale: il tradimento della tradizione, in questa Rivista 2013, 316 ss., in part. 321 (il corsivo è
dell’Autore). Per una visione complessivamente critica del novellato art. 118, disp. att., c.p.c.
in rapporto all’art. 132, comma 2˚, n. 4, c.p.c., cfr., in generale, C. Consolo, Spiegazioni di
diritto processuale civile, II, 7a ed., Torino 2010, 262 e, più specificamente, M. Taruffo, La
riforma delle norme sulla motivazione della sentenza, cit., 243 ss.; L.P. Comoglio, Ideologie
consolidate e riforme contingenti del processo civile, in questa Rivista 2010, 521 ss., in part.
541, testo e nota 53 (ove le indicazioni sui precedenti legislativi della disposizione in parola).
mutamento del precedente giudiziario 441
non sono codificate nella legge, devono tuttavia rivelarsi coerenti con
quella logica della certezza e della prevedibilità del diritto (rectius: della
lettura giurisprudenziale del diritto) (10) che mal sopporta un atteggiamen-
to di indifferenza verso il precedente conforme. Ed è appena il caso di
precisare come questa logica ispiri non solo il precetto di stare decisis nella
giurisprudenza di common law (11), ma anche la regola della persuasività
del precedente che anima, con accenti inevitabilmente diversi e significa-
tivamente meno rigorosi, i sistemi di civil law.
Orbene, accanto a quegli elementi che riguardano la formazione del
singolo precedente (12), e che spaziano, in particolare, dalla posizione ge-
rarchica assunta dall’organo giudiziario alla sua composizione in sede de-
cidente e, finanche, al grado di condivisione della pronuncia da parte dei
(10) È ampiamente condiviso che la regola del precedente sia posta a tutela di esigenze
di certezza e di prevedibilità nella determinazione ovvero nella interpretazione e applica-
zione della legge, atteso che l’uniformità generata dall’adesione al precedente assicura, di per
sé, la stabilità dei rapporti giuridici e, con essa, la programmabilità delle scelte compiute
sulla base delle previsioni di legge. Il punto è ampiamente trattato in tutta la letteratura di
common law che tende a individuare la giustificazione principale del vincolo del precedente
proprio nella certezza del diritto e in una serie di corollari che rimandano alla stabilità e
prevedibilità del diritto, al trattamento egualitario delle parti, alla efficienza della tutela giuri-
sdizionale. Nella dottrina nordamericana v., in particolare, L.F. Powell Jr., Stare decisis and
Judicial Restraint, 47 Wash & Lee L. Rev. 281, 286 (1990) [«[s]tare decisis (…) enhances
stability in the law. This is especially important in cases involving property rights and com-
mercial transactions. Even in the area of personal rights, stare decisis is necessary to have a
predictable set of rules on which citizens may rely in shaping their behavior»]; J.P. Stevens,
The Life Span of a Judge Made-Rule, 58 N.Y.U. L. Rev. 1, 2 (1983) (che evidenzia «[the]
stabilizing effect [of stare decisis] on the private ordering of economic relationships and on the
entire system of government».
(11) Sul valore della certezza e della prevedibilità nella giurisprudenza federale nord-
americana cfr., ex multis, Lawrence v. Texas, 539 U.S. 558, 577 (2003) («[t]he doctrine
of stare decisis is essential to the respect accorded to the judgments of the Court and to the
stability of the law»); Vasquez v. Hillery, 474 U.S. 254, 265-266 (1986) («[t]he decision in
this case is supported by the stare decisis doctrine, the means by which this Court ensures that
the law will not merely change erratically but will develop in a principled and intelligible
fashion»).
(12) Se è innegabile che il precedente giurisprudenziale possa assumere rilevanza anche
quando viene a consistere in un’unica pronuncia isolata, è parimenti indubbio che esso
incrementi la sua autorità mediante il consolidamento in un orientamento interpretativo
ovvero per il tramite dell’applicazione del precedente in una (seppur minima) pluralità di
casi: S.S. Ulmer, An Empirical Analysis of Selected Aspects of Lawmaking of the United States
Supreme Court, 8 J. Pub. L. 414, 431 (1959) («the [Supreme] Court has infrequently overru-
led precedents that have been followed two or more times. This suggests that the greater the
number of instances in which a precedent case has been followed the less likely it is that the
case will be overruled»); J.P. Wahlbeck, The Life of the Law: Judicial Politics and Legal
Change, 59 J. Pol. 778, 783 (1997) («[a]n accumulation of decisions in which the Court has
handled similar factual circumstances consistently, for instance, can enhance the stability of
legal rules»).
442 rivista di diritto processuale 2017
(13) Sulla sostanziale irrilevanza di tale fattore negli ordinamenti di civil law e, in
particolare, in quello italiano, ove vige il precetto del «segreto [d]ella camera di consiglio»
(art. 275, comma 1˚, c.p.c.), in contrapposizione alla rilevanza pubblica dell’iter deliberativo
e delle c.d. concurring o dissenting opinions nei sistemi di common law, cfr. N. Picardi,
Appunti sul precedente giudiziale, cit., 204 s.
(14) La formazione del common law è caratterizzata storicamente dall’impiego giudi-
ziale del parametro della reason come strumento per assicurare che l’argomentazione su cui
si fonda la decisione del caso concreto non sia «inconsistent with the law as a whole». Tale
reason, che per i giuristi classici di common law è «artificial reason», è impiegata sia in sede
di interpretazione delle (poche) leggi scritte e dei (molti) usi e precedenti giudiziari affinché
la loro applicazione non conduca a risultati inconvenient, sia in funzione sussidiaria di
completamento della stessa common law allorché il silenzio della legge debba essere colmato
dall’esperienza e dall’osservazione del giudice [«using all the resources the vast body of the
law provides, thinking by analogy and extension from all that he [: the judge] knows, to
fashion a just and workable solution, just as a good contract lawyer, who is immersed in the
details of the agreement and the day-to-day interactions of the parties, would do»: per l’evo-
luzione del pensiero giuridico di common law su questo punto, v. G. Postema, Classical
Common Law Jurisprudence (Part I), 2 Oxford U. Commw. L.J., 155, 176, 179 (2002); Id.,
Classical Common Law Jurisprudence (Part II), 3 Oxford U. Commw. L.J. 1, 11 (2003), da cui
sono tratte anche le parole tra virgolette]. Di qui, l’idea – invalsa fino all’affermazione della
dottrina di stare decisis e, poi, ampiamente recuperata dall’esperienza giurisprudenziale
nordamericana (U. Mattei, Il modello di common law, 4a ed., Torino 2014, 147 ss.) – che
l’efficacia del precedente non costituisca un dato puramente formale («in virtue of the
judge’s having so decided»), ma il risultato di una condivisione della ragionevolezza e coe-
renza con l’intero sistema giuridico degli argomenti su cui si fonda il precedente, di talché
«it is always open to future judges to test any prior court’s formulation of a rule or doctrine of
common law in light of the legal community’s shared sense of reasonableness» (G. Postema,
op. loc. citt.).
mutamento del precedente giudiziario 443
(15) L’apprezzamento degli interessi sociali sottesi alle questioni giuridiche trattate
nella sentenza, se è, per molti versi, comune a qualsiasi pronunciamento del giudice, può
dirsi particolarmente evidente in quei casi in cui la legge riconosce al giudice un certo
margine di discrezionalità nella determinazione degli effetti della fattispecie. Ciò accade
soprattutto nelle ipotesi di norme c.d. aperte o elastiche: nelle ipotesi, insomma, in cui la
struttura della fattispecie è costruita mediante il ricorso a principi o clausole generali, che
impongono al giudice di apprendere il contenuto di uno degli elementi costitutivi della
fattispecie (non attraverso l’interpretazione di categorie giuridiche, ma) attraverso la rico-
struzione hic et nunc di quel valore sociale che viene assunto come parametro precettivo.
Non dissimili sono anche le ipotesi in cui la legge processuale assegna al giudice il potere di
valutare discrezionalmente, in base a parametri non giuridici, l’efficacia delle prove libere,
sebbene in questi casi – si è osservato – l’attività giudiziale non si situi più nell’alveo
dell’opera propriamente ermeneutica della legge (come accade per le norme c.d. aperte o
elastiche), ma finisca per recuperare il parametro valutativo della prova dalle massime
d’esperienza (per un richiamo a queste situazioni in rapporto all’esame del vizio di motiva-
zione ex art. 360, n. 5, c.p.c., v. espressamente F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, 7a
ed., Milano 2013, 438 ss.; sul punto anche S. Patti, Ragionevolezza e clausole generali, 2a ed.,
Milano 2016, 6 ss.).
(16) Per un accenno, nella dottrina italiana, al requisito della ragionevolezza della
decisione come fondamento del vincolo di convincimento v., in particolare, N. Picardi,
Appunti sul precedente giudiziale, cit., 207 s.
444 rivista di diritto processuale 2017
(17) Sulla distinzione tra vertical e horizontal precedent nel sistema angloamericano, v.
infra la nota 34. Sul ruolo delle corti inferiori nella formazione del precedente cfr., invece, il
classico studio di A.L. Goodhart, Precedents in the Court of Appeal, 9 Cambridge L.J. 349
(1947). Per il sistema nordamericano v., recentemente, J.W. Mead, Stare decisis in the
Inferior Courts of the United States, 12 Nev. L.J. 787 (2012).
(18) Per la vincolatività erga omnes delle sentenze di accoglimento della Corte costitu-
zionale (art. 136 Cost.) v., per tutti, A. Pizzorusso, Stare decisis e Corte costituzionale, in La
dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di G. Treves,
Torino 1971, 31 ss. Con riferimento, invece, alle funzioni nomofilattiche della Corte di
giustizia dell’Unione europea, in rapporto anche all’art. 267 t.f.u.e., v. Corte giust., 17
febbraio 2005, n. C-453/02 Linneweber e n. C-462/02 Akritidis; rispetto all’ordinamento
italiano v., da ultimo, Corte cost. 13 luglio 2007, n. 284, in Giur. cost. 2007, 2780 ss.
(secondo cui le pronunce della Corte europea hanno «operatività immediata negli ordina-
menti interni»); Cass., 2 marzo 2005, n. 4466, in Resp. civ. prev. 2005, 1060 ss. [secondo cui
le sentenze della Corte europea hanno «il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario
(…) in quanto (…) indicano il significato ed i limiti di applicazione» delle norme comuni-
tarie], cui adde recentemente Cass. 11 dicembre 2012, n. 22577, in Riv. it. dir. pubbl. com.
2013, 835 ss.
(19) Cfr., per tutti, G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, 2a ed., Torino 2016, 29 ss.
(20) Per l’individuazione dell’art. 65 cit. come base normativa della efficacia persuasiva
del precedente di legittimità v. già, espressamente, G. Gorla, Postilla su «l’uniforme inter-
mutamento del precedente giudiziario 445
pretazione della legge e i tribunali supremi», in Foro it. 1976, V, 127 ss. e, più diffusamente,
oltre agli Autori citati nelle note precedenti, A. Bonsignori, Il precedente giudiziario in
materia processuale, in Contratto impr. 1987, 405 ss.; M. Bin, Funzione uniformatrice della
Cassazione e valore del precedente giudiziario, ivi, 1988, 545 ss.
(21) Di «singolare incrocio fra i due sostantivi e i due aggettivi» impiegati nella dispo-
sizione dell’art. 65, comma 1˚, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, di talché l’esattezza sarebbe un
attributo specifico della interpretazione e l’uniformità un carattere proprio della osservanza
della legge, discorre efficacemente C. Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, 2a
ed., Padova 2008, 214, nota 19.
(22) Per le critiche nei confronti di una lettura rigorosamente positivistico-formalistica
della disposizione dell’art. 65 cit., cfr. soprattutto M. Taruffo, La Corte di cassazione e la
legge, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1990, 349 ss., in part. 353 ss.
(23) Cfr., per tutti, P. Calamandrei, La cassazione civile, II, Milano – Torino – Roma
1920, ora in Opere giuridiche, VII, Napoli 1976, 33 ss., 57 ss., 91 ss.
446 rivista di diritto processuale 2017
(24) Accanto a questi elementi l’ordinamento processuale rinviene ulteriori indici sin-
tomatici della funzione nomofilattica della Corte nel coinvolgimento necessario del pubblico
ministero nella fase di discussione del ricorso (artt. 379, comma 3˚ e 380-ter c.p.c.) e, più in
generale, nella garanzia costituzionale del sindacato di legittimità avverso tutte le «sentenze»
(art. 111, comma 7˚, Cost.): v., sul punto, V. Denti, A proposito di Corte di cassazione e di
nomofilachia, in Foro it. 1986, V, 417 ss.; C. Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei
lodi, cit., 214 ss.
(25) Sulla scarsa efficacia in concreto della funzione nomofilattica svolta dalla Corte cfr.
V. Denti, A proposito di Corte di cassazione e di nomofilachia, cit., 418; S. Chiarloni, In difesa
della nomofilachia, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1992, 123 ss, in part. 125 s.
(26) Di norma «non già processuale, ma ordinamentale», in quanto espressione di un
«dovere funzionale (…) tutto interno alla istituzione Cassazione», discorre, in particolare, C.
Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, cit., 220 s.
(27) Cfr., in questo senso, S. Chiarloni, Prime riflessioni su recenti proposte di riforma
del giudizio di cassazione, in Giur. it. 2003, 817 ss., in part. 818, che paventava, già a
mutamento del precedente giudiziario 447
una motivazione che esprima una soluzione giuridica ispirata ad una ra-
zionalità diversa e più aderente alle specificità del caso concreto e alle
esigenze complessive del sistema giuridico (art. 374, comma 3˚, c.p.c.) (28).
Dall’altro lato, l’introduzione di un esame di ammissibilità del ricorso
sulla scorta di un giudizio di bilanciamento tra il valore della stabilizza-
zione della «giurisprudenza della Corte» e quello dell’apertura al riesame
della quaestio iuris riproposta col ricorso (art. 360-bis, n. 1, c.p.c.) eviden-
zia la considerazione che il legislatore ha inteso riservare non solo alle
peculiarità del caso concreto, ma anche a quelle argomentazioni giuridiche
che, pur concernendo un caso analogo a quelli oggetto dei precedenti
conformi, suggeriscono un differente apprezzamento degli interessi e dei
valori sottesi al giudizio di diritto della Corte (29).
Ecco dunque che il criterio della ragionevolezza traspare dalla stessa
intelaiatura normativa che compone l’insieme di quelle situazioni proces-
suali in cui si manifesta la funzione nomofilattica della Corte. Di talché la
forza di persuasione argomentativa assunta dalla pronuncia di legittimità
deve intendersi come il frutto della capacità (e del dovere) della Corte di
offrire soluzioni interpretative che, essendo destinate a valere oltre il caso
concreto, devono esprimere un significato della norma applicata che sia
non solo coerente con il contesto normativo di riferimento, ma anche
rispondente alle esigenze economico-sociali coinvolte dall’applicazione
della norma al caso concreto. È solo una interpretazione di questo tipo,
infatti, che può porsi come un parametro ermeneutico applicabile anche in
situazioni analoghe dal giudice posteriore: non è la mera collocazione
verticistica della Corte nel contesto della gerarchia giudiziaria ad imporre
commento del disegno di legge delega del 24 ottobre 2003, il rischio di una lesione alla
garanzia di indipendenza della magistratura.
(28) Sulla funzione nomofilattica della norma introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40 v. G.F. Ricci, Il giudizio civile di cassazione, cit., 477; F.P. Luiso, Il vincolo delle Sezioni
semplici al precedente delle Sezioni unite, in Giur. it. 2003, 822 ss. V. anche A. Proto Pisani,
Su alcuni problemi organizzativi della Corte di cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecni-
che di redazione della motivazione, in Foro it. 1988, V, 27 ss., secondo cui l’approdo
normativo raggiunto nel 2006 era già desumibile dall’art. 376, comma 3˚, c.p.c.
(29) Nel senso che, malgrado il «disordine sistematico» che la contraddistingue (cosı̀ G.
Scarselli, Il processo in Cassazione riformato, in Foro it. 2009, V, 310 ss.), la disposizione
introdotta dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 consenta in parte qua non solo la modifica di un
orientamento interpretativo della Corte, ma anche il suo rafforzamento, e quindi la sua
conferma, alla luce delle argomentazioni comunque proposte dal ricorrente, v., in partico-
lare, C. Consolo, Una buona novella al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360-bis e
614-bis) va bene al di là della sola dimensione processuale, in Corriere giur. 2009, 737 ss., in
part. 740; R. Poli, Il c.d. filtro di ammissibilità del ricorso per cassazione, in questa Rivista
2010, 363 ss., in part. 369 ss.
448 rivista di diritto processuale 2017
(30) Sul carattere necessariamente mutevole del precedente, seppure «per gravi o
congrue ragioni», v., nella dottrina italiana, oltre ai tradizionali spunti di G. Gorla, Les
sections réunies de la Cour de cassation en droit italien: comparaison avec le droit français, in
Foro it. 1976, V, 117 ss. e Id., Postilla su «l’uniforme interpretazione della legge e i tribunali
supremi», cit., 129 (da cui sono tratte le parole tra virgolette), S. Chiarloni, Efficacia del
precedente giudiziario e tipologia dei contrasti giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. proc. civ.
1989, 118 ss., in part. 125 ss.; Id., Un mito rivisitato: note comparative sull’autorità del
precedente giurisprudenziale, in questa Rivista 2001, 614 ss.; M. Taruffo, La Corte di cassa-
zione e la legge, cit., 382 s.
(31) Sull’applicazione rigorosa della c.d. doctrine of binding precedent del diritto an-
glosassone, riconosciuta espressamente dalla House of Lords inglese nel 1898 [London Street
mutamento del precedente giudiziario 449
Tramways Ltd v. London County Council (1898) AC 375], e sulla limitata apertura del
Practice Statement del 1966 con il riconoscimento della facoltà della Corte di «depart from
a previous decision when it appears right to do so» [Practice Statement (1966) 3 All ER 77;
British Railways Board v. Herrington (1972) AC 877], cfr. J.H. Langbein, Modern Jurispru-
dence in the House of Lords: the Passing of London Tramways, 53 Cornell L. Rev. 807 (1968).
Assai significative sono le osservazioni critiche di A.L. Goodhart, Precedents in the Court of
Appeal, cit., 349, 350, il quale, ancor prima del Practice Statement, raccoglieva le critiche
verso le rigide conseguenze della regola del binding precedent, evidenziando come l’alterna-
tiva ad una ripetizione dell’errore non dovesse realizzarsi «by the uncertain, expensive, and
dilatory method of legislation», bensı̀ «[by] the power to reconsider occasionally the wisdom
of the rules of law it [: the House of Lords] had itself established». Per i riflessi nel dibattito
italiano, v. M. Taruffo, Dimensioni del precedente giudiziario, in Riv. trim. dir. proc. civ.
1994, 411 ss., in part. 414 ss.; R. Mandelli, Recenti sviluppi del principio dello stare decisis in
Inghilterra e in America, in questa Rivista 1979, 661 ss. Recentemente v. anche D. Freda,
«Una dispotica creazione». Il precedente vincolante nella cultura giuridica inglese dell’Otto-
cento, Torino 2012, ove ampi riferimenti.
(32) L’approccio alla dottrina di stare decisis della giurisprudenza federale nordame-
ricana è ben evidenziato nelle pronunce della Suprema Corte, secondo cui, se è vero che
«[s]tare decisis is the preferred course, because it promotes the evenhanded, predictable, and
consistent development of legal principles, fosters reliance on judicial decisions, and contributes
to the actual and perceived integrity of the judicial process», è altrettanto vero che «[s]tare
decisis is not an inexorable command» [Payne v. Tennessee, 501 U.S. 808, 827-828 (1991);
Helvering v. Hallock, 309 U.S. 106, 119 (1940); Hertz v. Woodman, 218 U.S. 205, 212
(1910)]. Sul ruolo dell’overruling nella giurisprudenza nordamericana v., per tutti, S. Bren-
ner – H.J. Spaeth, Stare Indecisis. The Alteration of Precedent on the Supreme Court, 1946-
1992, Cambridge – New York – Melbourne 1995, 10 ss., 18 ss., 29 ss.
(33) La riflessione giuridica nordamericana riconosce anzi che tanto più il potere
legislativo (e regolamentare) è attivo, tanto meno quello giurisprudenziale sia indotto a
intervenire con una propria dichiarazione in materia: sulla diversa propensione al cambia-
mento dello statutory precedent e del constitutional precedent nella giurisprudenza federale,
in ragione del diverso attivismo normativo da parte del potere legislativo, v., oltre alla
celebre dissenting opinion di Justice Louis Brandeis in Burnet v. Coronado Oil & Gas
Co., 285 U.S. 393, 405, 406-407 (1932) («in cases involving the Federal Constitution, where
correction through legislative action is practically impossible, this Court has often overruled its
prior decisions»), le osservazioni di W.N. Eskridge, Overruling Statutory Precedent, 76 Geo.
L.J. 1361, 1362 (1988) («[t]he Court applies a relaxed, or weaker, form of that presumption
when it reconsiders its constitutional precedents, because the difficulty of amending the Con-
stitution makes the Court the only effective resort for changing obsolete constitutional doc-
trine. Statutory precedents, on the other hand, often enjoy a super-strong presumption of
correctness») e di R.E. Barnett, Response. It’s a Bird, It’s a Plane, No, It’s Super Precedent:
450 rivista di diritto processuale 2017
A Response to Farber and Gerhardt, 90 Minn. L. Rev. 1232 (2006). Cfr. anche Patterson v.
McLean Credit Union, 491 U.S. 164, 172-173 (1989).
(34) Mentre il principio del binding precedent obbliga i giudici di common law al
rispetto del precedente della superior court (intesa, per lo più, come organo di vertice
dell’organizzazione giudiziaria: Supreme Court, House of Lords, ecc.) e ammette una possi-
bilità di modifica del precedente soltanto ad opera della medesima superior court (c.d.
horizontal precedent), il principio del persuasive precedent tollera che i giudici di prima e
seconda istanza disattendano, seppure motivatamente, il precedente della superior court (c.d.
vertical precedent). Su questa differenza v. D.L. Shapiro, The Role of Precedent in Consti-
tutional Adjudication: An Introspection, 86 Tex. L. Rev. 929 (2008), che contrappone «the
question whether and to what extent higher court precedents should bind lower courts»
all’«horizontal problem of the effect of a court’s own precedents on its future decisions»; a
proposito dello «hierarchical precedent», v. anche E.H. Caminker, Why Must Inferior Courts
Obey Superior Court Precedents?, 46 Stan. L. Rev. 817 (1994).
(35) Cosı̀ Cass. 3 dicembre 1983, n. 7248, in Notiz. giur. lav. 1984, 111 ss. (il corsivo è
nostro) con riguardo alla posizione dei giudici di merito; nondimeno, un’analoga conside-
razione, tanto più all’indomani del novellato art. 374, comma 3˚, c.p.c., sembra valere anche
nei rapporti tra le stesse sezioni della Corte di legittimità (l’ordinanza di rimessione alle
sezioni unite, del resto, deve essere «motivata»).
mutamento del precedente giudiziario 451
(36) Come detto, un certo margine di discrezionalità può essere tuttavia recuperato dal
giudice di civil law con riguardo all’applicazione delle c.d. norme aperte o elastiche che
rimandano all’apprezzamento di valori sociali per l’individuazione del parametro precettivo
contenuto in una clausola generale: v. supra la nota 15.
452 rivista di diritto processuale 2017
(37) Cosı̀, espressamente, Cass. 17 giugno 2010, n. 14627 e Cass. 2 luglio 2010, n.
15811, in Foro it. 2010, I, 3050 ss. Sull’applicazione della rimessione in termini in parte qua
v., soprattutto, C. Punzi, Il ruolo della giurisprudenza e i mutamenti di interpretazione di
norme processuali, in questa Rivista 2011, 1337 ss., in part. 1353; G. Ruffini, Mutamenti di
giurisprudenza nell’interpretazione delle norme processuali e «giusto processo», ibidem, 1390
ss., in part. 1393 ss.
(38) Sulla sufficienza delle tecniche di controllo del rischio (quali, ad esempio, la
diversificazione delle attività produttive o l’estensione delle coperture assicurative) al fine
di contenere i transition costs dovuti ad un mutamento normativo o giurisprudenziale, v. J.E.
Fisch, Retroactivity and Legal Change: An Equilibrium Approach, 110 Harv. L. Rev. 1056,
1090-1091 (1997); L. Kaplow, An Economic Analysis of Legal Transitions, 99 Harv. L. Rev.
511, 543-550 (1986).
(39) Sui transition costs impliciti negli interventi di overruling v. R.J. Kozel, Precedent
and Reliance, cit., 1471-1485; C. Nelson, Stare decisis and Demonstrably Erroneous Prece-
dents, 87 Va. L. Rev. 1, 63 (2001); T.R. Lee, Stare Decisis in Economic Perspective: An
Economic Analysis of the Supreme Court’s Doctrine of Precedent, 78 N.C. L. Rev. 643, 651-
652 (2000).
mutamento del precedente giudiziario 453
cioè, eccessivi costi di transazione per le parti) gli effetti pregiudizievoli del
revirement. Quel che pare certo è che una tutela dell’affidamento non può
realizzarsi, in questi casi, attraverso un meccanismo che si limiti a salva-
guardare l’aspettativa specifica della parte, ma va rimessa ad una valuta-
zione generale con cui il giudice, allorché individua la ratio decidendi del
caso concreto, si impegni a considerare, unitamente alle ragioni di fatto e
di diritto della decisione, i possibili costi di transazione che il revirement
finisce per provocare sulla generalità degli stakeholders.
Laddove, infatti, si è cercato di salvaguardare l’aspettativa individuale
alla sequela del precedente, si è incorsi inevitabilmente in qualche forza-
tura sistematica che ha finito per giustificare, in misura maggiore o minore,
il rifiuto della soluzione prospettata. A tal proposito, è significativo ricor-
dare quell’impostazione dottrinale che ha inteso equiparare la regola (pro-
cessuale) sancita in una decisione innovativa (con cui, cioè, sia stato di-
satteso un orientamento giurisprudenziale consolidato) ad un vero e pro-
prio ius superveniens inidoneo ad incidere sulla lite pendente e, pertanto,
incapace di ledere l’affidamento delle parti nell’applicazione dell’indirizzo
prevalente (40). Le osservazioni critiche rivolte a tale opinione, che pur si
fonda sul valore della predeterminazione delle regole processuali, coinci-
dono sostanzialmente, se non m’inganno, con la presa di posizione assun-
ta, di fronte al problema che ci occupa, dalla stessa giurisprudenza di
legittimità, la quale, recependo un orientamento interpretativo consolida-
to, ha colto un limite invalicabile per la retroattività della decisione nel
carattere tipicamente applicativo, e cosı̀ solo dichiarativo, dell’attività giu-
risdizionale (41).
the extent to which they make affirmative and calculated choices to exploit favorable judicial
decisions as a means of achieving objectives such as profit maximization».
(51) R.J. Kozel, Precedent and Reliance, cit., 1485-1496; 1496-1506.
mutamento del precedente giudiziario 457
(52) Cosı̀ Cass., Sez. Un., 11 aprile 2014, n. 8510; in questa stessa prospettiva, v. anche
Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, in questa Rivista 2016, 807 ss., con nota di E.
Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo
grado.
(53) I precedenti richiamati sono Cass. 19 novembre 1963, n. 2995; Cass., Sez. Un., 18
febbraio 1989, n. 962; Cass. 27 novembre 1996, n. 10506; Cass. 31 maggio 2008, n. 26325 e
Cass. 27 maggio 2010, n. 13003.
(54) Si tratta di Cass. 23 gennaio 2012, n. 870.
458 rivista di diritto processuale 2017
MARCELLO GABOARDI
Ricercatore nell’Università Bocconi
(1) Sul tema relativo agli effetti e ai rimedi che interessano le pronunce sulla compe-
tenza v., in generale, P. Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo
codice, Padova 1943, 386 ss.; G. Gionfrida, voce Competenza civile, in Enc dir., vol. VIII,
Milano 1961, 39 ss.; A. Levoni, voce Competenza nel diritto processuale civile, in Dig., disc.
priv., sez. civ., vol. III, Torino 1988, 99 ss.
(2) Principio enunciato anche da Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77, in Giust. civ. 2007,
3, I, 553.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 461
2. – Nel codice di rito del 1942 il legislatore non aveva previsto una
regolamentazione unitaria dei procedimenti cautelari, limitandosi a dettare
una disciplina sufficientemente dettagliata solo in materia di sequestri.
Tale assetto normativo, estremamente carente e frammentario per ciò
che concerneva anche e principalmente le misure cautelari extra codicem,
era caratterizzato dalla mancanza di veri e propri mezzi di impugnazione o,
comunque, – se si esclude l’istituto ora abrogato della convalida del se-
questro – di rimedi contro l’esercizio del potere cautelare.
Già a partire dagli anni cinquanta l’assenza di qualsivoglia rimedio
impugnatorio, tanto per le pronunce di accoglimento quanto per quelle
di rigetto delle istanze cautelari (3), aveva invogliato dottrina e giurispru-
denza di legittimità dell’epoca ad interrogarsi circa la possibilità di con-
sentire il ricorso al regolamento di competenza, strumento originariamente
previsto e pensato per ottenere una pronuncia incontrovertibile nei giudizi
ordinari di cognizione.
Le risposte fornite in un primo momento non furono univoche e
variavano anche a seconda degli schemi procedurali e delle garanzie pre-
disposte dall’ordinamento in relazione alle singole forme di tutela (4).
(3) Fatta eccezione per i provvedimenti cautelari che disponevano il sequestro, per i
quali si applicava la disciplina della convalida.
(4) Per quanto concerne quei provvedimenti cautelari che prevedevano un successivo
giudizio di convalida (sequestro) o di merito (si pensi alla denuncia di nuova opera e danno
temuto o alla reintegrazione nel possesso), mentre alcune pronunce della Corte negavano
462 rivista di diritto processuale 2017
(6) In senso conforme cfr. Cass., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1609, in Foro it. 1989, I,
2499, con nota di D. Buoncristiani. In senso difforme v. invece Cass. 29 gennaio 1993, n.
1164, in Foro it. 1993, I, 2206, con nota di Fortini; Cass. 3 gennaio 1991, n. 19, in Corriere
giur. 1991, 162 con nota di G. Guarnieri; Cass. 17 novembre 1980, n. 6140, in Foro it. 1981,
I, 370 con nota di D. Trovato.
(7) Cfr. Cass. 21 luglio 1981, n. 4687, in Foro it. 1982, I, 451; Pret. Napoli, ord. 11
marzo 1991, in questa Rivista 1992, 1223, con nota critica di H. Massari.
(8) Cfr., ex plurimis, Cass. n. 1609/89, cit.; Cass. n. 19/1991, cit.
(9) Cfr. C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, Torino 1989, vol. III, 309;
A.M. Sandulli, Il sistema dei rimedi contro le pronunce sulla competenza, in questa Rivista
1979, 292 ss. Riteneva però ammissibile il regolamento di competenza d’ufficio in caso di
pronuncia negativa sulla competenza G. Arieta, I provvedimenti di urgenza, Padova 1985,
181 e 248.
(10) A. Massari, Del regolamento di giurisdizione e competenza, in Aa.Vv., Commentario
del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, vol. I, Torino 1973, 487.
464 rivista di diritto processuale 2017
(11) Si pensi ai primi studi sistematici sul tema condotti da P. Calamandrei, Introdu-
zione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova 1936, 147 ss., nonché da
E.T. Liebman, Unità del procedimento cautelare, in Problemi del processo civile, Napoli 1936,
104 ss.
(12) Cosı̀ A. Proto Pisani, La nuova disciplina dei procedimenti cautelari in generale, in
Foro it. 1991, V, 57.
(13) V. gli artt. 669 ter, commi 2˚ e 3˚, 669 quater, ult. comma, e 669 quinquies c.p.c.
(14) Cfr. Corte cost. 23 giugno 1994 n. 253, in Giur. cost. 1994, 2033 ss., con nota di G.
Arieta ed in Foro it. 1994, I, 2005 ss., con nota di B. Capponi; Corte cost. 26 maggio 1995,
n. 197, in Giur. it. 1995, I, 1, 369 ss., con nota di C. Consolo ed in Foro it. 1996, I, 51 ss.
con nota di G. Grasso.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 465
c.p.c. che ora fa riferimento alla «ordinanza con la quale è stato concesso o
negato il provvedimento cautelare».
La nuova disciplina del procedimento cautelare uniforme, cosı̀ come
emendata dagli interventi della Consulta, ha condotto buona parte della
dottrina (15) e della giurisprudenza (16) ad abbandonare la tesi che anno-
verava tra i rimedi avverso le pronunce del giudice cautelare il regolamen-
to di competenza – necessario e d’ufficio – (17) proprio in ragione della
sussistenza di uno specifico mezzo di controllo, il reclamo cautelare, ap-
punto, che consente di verificare oggi anche la corretta applicazione delle
regole sulla competenza (18).
Contro l’ammissibilità del regolamento, tuttavia, sono state opposte
ulteriori obiezioni.
(19) Cfr. Cass. 29 luglio 1995, n. 8373, in Foro it. 1996, I, 52 ss., con nota di G. Grasso,
Procedimento cautelare uniforme e regolamento di competenza. In dottrina v. F. Carpi, V.
Colesanti, M. Taruffo, op. cit., 219, e F. Corsini, op. cit., 189 ss.
(20) Anche dall’analisi della disciplina del provvedimento di accoglimento è possibile
ottenere una conferma dell’efficacia non preclusiva dei provvedimenti cautelari: questi
ultimi infatti sono revocabili e modificabili senza limiti di tempo ai sensi dell’art. 669 decies
c.p.c.
(21) L’art. 669 septies c.p.c. si applica anche alle pronunce emesse in sede di reclamo ai
sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. che si sostituisce all’atto reclamato, con identica natura e
funzione, e pertanto si sottrae ai mezzi di impugnazione a norma dell’art. 669 terdecies,
comma 4˚, c.p.c., ivi compreso il rimedio del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111
Cost. Cosı̀, Cass. 4 febbraio 2004, n. 2058, in Foro it. Rep. 2004, voce Procedimenti cautelari,
n. 33.
(22) Non è mancato chi ha sostenuto che l’ordinanza di incompetenza che chiude il
procedimento innanzi al giudice della cautela precluda in ogni caso la riproposizione della
domanda allo stesso giudice (sempre che l’ordinanza stessa non sia travolta dall’accoglimen-
to dell’impugnazione). Cfr., in tal senso, G. Tarzia, M. Giorgetti, Il provvedimento negativo,
in Aa.Vv., Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, Padova 2008, 482 ss. Contra,
la dottrina maggioritaria, tra cui C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, 24a ed.,
Torino 2015, vol. IV, 287, a cui si rinvia per ulteriori riferimenti bibliografici.
(23) Cfr. E. Merlin, voce Procedimenti cautelari ed urgenti in generale, in Dig. it., disc.
priv., sez. civ., vol. XIV, Torino 1996, 409.
(24) Cosı̀ la dottrina prevalente. V., tra tutti, R. Vaccarella, Il procedimento, cit., 520 ss.;
C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, 2a ed., Torino 2010, vol. III, 41; G.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 467
Olivieri, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile (l. 26 novembre 1990, n. 353), in
questa Rivista 1991, 709. Cfr. in senso conforme anche Cass. 12 giugno 1997, n. 5264, in
Giur. it. 1998, II, 12, con nota di C. Consolo, Processo cautelare e regolamento di competenza
fra art. 42 e art. 45 c.p.c. (ossia in ‘seconda battuta’). Di contrario avviso, però, A. Saletti,
Appunti, cit., 374, il quale riteneva di generale applicazione il generale principio sancito
dall’art. 44 c.p.c. sugli effetti della sentenza di incompetenza (l’Autore, tuttavia, ha abban-
donato tale orientamento dopo l’intervento della Consulta che ha introdotto l’istituto del
reclamo anche contro il provvedimento di diniego, cfr. G. Tarzia, A. Saletti, op. cit., 850).
(25) Il complesso sistema, osserva E. Merlin, Procedimenti cautelari, cit., 409, delineato
dagli art. 42 ss. c.p.c. non sembra trasponibile se non nella sua integrale e complessa unità.
(26) Cfr., ad esempio, Trib. Milano, ord. 11 settembre 1995, cit.
(27) V. in tale senso la giurisprudenza richiamata supra nt. (16).
(28) In tal senso A. Saletti, Appunti, cit., 347; M.F. Ghirga, Il controllo sulla competenza
in materia cautelare, nota a Corte cost. 23 giugno 1994 n. 253, in questa Rivista 1995, 922 ss.
468 rivista di diritto processuale 2017
rappresentano rimedi che entrano in crisi nelle ipotesi in cui, di fatto, non
vi sia un giudice disposto a pronunciarsi nel merito della domanda cau-
telare.
Nel primo caso, la semplice riproposizione della domanda, a fronte di
una precedente declinatoria (magari avanti lo stesso ufficio giudiziario, con
la speranza di ottenere una diversa valutazione da parte di un altro magi-
strato persona fisica), potrebbe rivelarsi uno strumento palesemente inef-
ficiente in quanto non assicurerebbe una rapida e definitiva risoluzione
della questione di competenza (la quale potrebbe protrarsi teoricamente
ad infinitum). Lo stesso può dirsi anche nel secondo caso: il provvedimen-
to adottato in sede di reclamo secondo l’interpretazione maggioritaria non
avrà, ai sensi dell’art. 669 septies c.p.c., nessuna efficacia preclusiva o
vincolante (29). L’affermazione o la conferma della incompetenza da parte
dell’organo collegiale, perciò, non creerà alcun vincolo in capo al secondo
giudice (eventualmente indicato come competente nell’ordinanza), il quale
potrà a sua volta, in assenza di meccanismi che regolino espressamente la
translatio iudicii, declinare la propria competenza a favore del primo o di
un terzo giudice.
Scartata, dunque, la possibilità di fare ricorso alle norme codicistiche
previste per il giudizio ordinario di cognizione, la dottrina ha tentato di
fornire soluzioni alternative al regolamento di competenza. Queste, tutta-
via, non sembrerebbero – per le ragioni che esporremo a breve – piena-
mente condivisibili.
C’è chi ha auspicato un mutamento di giurisprudenza dei giudici di
merito al fine di invogliarli a ritenere vincolanti le pronunce emesse dal
collegio in sede di reclamo: costoro, infatti, nei casi in cui dovessero
ritenere incompetente il giudice adı̀to in prima istanza dovrebbero indivi-
duare in maniera vincolante il giudice davanti al quale richiedere la tutela
cautelare ante causam (30). Tale soluzione avrebbe il pregio di individuare
in maniera celere e definitiva il giudice competente e quindi di far fronte
tempestivamente al periculum in mora. Le parti, inoltre, sarebbero invo-
gliate ad utilizzare lo strumento del reclamo per risolvere le suddette
questioni senza ricorrere ad altri mezzi previsti per il rito ordinario di
cognizione, come tali non facilmente adattabili in altri contesti. La solu-
(29) In tal senso C. Consolo, Rigetto per incompetenza, reclamo cautelare (e l’ombra del
regolamento di competenza), in Giur. it. 1995, I, 371; v. anche Cass. 4 febbraio 2004, n.
2058, cit.
(30) Soluzione questa auspicata da M. Muscardini, Giurisdizione e competenza, in Il
processo cautelare, cit., 372.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 469
Guarnieri, Reclamo cautelare in controversia del lavoro e doppio difetto per incompetenza,
nota a Cass., sez. un., ord. 9 luglio 2009, n. 16091, in questa Rivista 2010, 934 ss. v., però, in
senso critico, C. Consolo, Processo cautelare e regolamento di competenza, cit., § 5; F.P.
Nicita, Sul regolamento di competenza nel processo cautelare, in Giust. civ. 2004, 2958 ss.,
§ 1.
(34) Cfr. Cass., sez. un., 9 luglio 2009, n. 16091, cit. Nella pronunzia in esame le
Sezioni Unite, da un lato, confermano l’inammissibilità del regolamento di competenza
necessario, sia ad istanza di parte che d’ufficio; dall’altro, sanciscono – a norma dell’art.
363, comma 3˚, c.p.c. – il principio secondo cui la competenza del giudice adı̀to ai sensi
dell’art. 669 terdecies c.p.c. nelle controversie individuali di lavoro spetta non tanto al
collegio della Corte d’Appello quanto al collegio del medesimo Tribunale). I giudici osser-
vano poi che la soluzione di introdurre contestualmente il giudizio di merito non elide la
lacuna del sistema poiché sarebbe pur sempre possibile, in séguito a reclamo, il verificarsi di
una doppia declaratoria di incompetenza. Tale precisazione, tuttavia, sembrerebbe, se non si
erra, contraddittoria: se la competenza cautelare coincide con quella del giudice di fatto
adı̀to per il merito, non sarebbe possibile contestare con il reclamo la competenza in tal
modo individuata. Dubbiosi sulla soluzione fornita dalle Sezioni Unite, M. Acone, L. Ian-
nicelli, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di L.P. Comoglio, C. Consolo,
B. Sassani e R. Vaccarella, vol. I, Torino 2012, sub art. 45, 713 s. In senso sostanzialmente
analogo a quanto affermato dalle Sezioni Unite v. anche Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n.
18189, in Foro it. Rep. 2013, voce Competenza civile, n. 112; Cass. 3 luglio 2009, n. 15639,
ivi 2009, voce Competenza civile, n. 66.
(35) Propongono questa soluzione per superare eventuali conflitti negativi di compe-
tenza, G. Verde, Diritto processuale civile, cit., 45 ss.; C. Consolo, Processo cautelare e
regolamento di competenza, cit., 14; B. Capponi, L’art. 669 terdecies c.p.c. ancora al vaglio
della Corte costituzionale, nota a Trib. Verbania 11 ottobre 1994, in Corriere giur. 1995,
108 ss.
(36) In dottrina, propendono per la tesi della competenza di fatto, tra gli altri, C.
Consolo, S. Recchioni, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo,
vol. III, 5a ed., Milano 2013, sub art. 669 quater, 248 s.; C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto
processuale civile, cit., 280 (spec. nota 18); C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale
civile, vol. I, Torino 2012, 321; L. Iannicelli, Domanda cautelare in corso di causa ed incom-
petenza del giudice del merito, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 745 ss. A favore della c.d.
competenza di fatto v., da ultimo, anche P. Licci, sub artt. 669 ter-quinquies, in Aa.Vv.,
Commentario del codice di procedura civile, cit., vol. VII, 1076 s. In giurisprudenza, Cass. 9
aprile 1999 n. 3473, in Foro it. 1999, I, 3570, con nota di B. Gambineri.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 471
(42) Non è poi assolutamente pacifico stabilire a quale sorte sia destinato il provvedi-
mento cautelare emanato dal giudice dichiaratosi successivamente incompetente nel giudizio
di merito. Secondo un primo orientamento, la riassunzione tempestiva del processo ex art.
44 c.p.c., determinerebbe la sopravvivenza della misura cautelare, sı̀ che essa continuerebbe
a produrre i suoi effetti nonostante la prosecuzione della causa davanti ad un giudice diverso
da quello che ha emanato in origine il provvedimento (cfr. in tal senso C. Consolo, Spiega-
zioni, cit., 326; P. Vittoria, Translatio iudicii e giurisdizione cautelare, in Giusto proc. civ.
2009, 461 ss.). Ritengono altresı̀ possibile il trasferimento dei poteri di revoca e modifica di
cui all’art. 669 decies c.p.c. in capo al giudice adı̀to in riassunzione a séguito di translatio ai
sensi dell’art. 50 c.p.c., nonché la possibile caducazione del provvedimento a séguito di
rigetto in tale sede della pretesa attorea: A. Giussani, Inammissibilità del regolamento di
competenza avverso l’ordinanza di incompetenza del giudice adito per la tutela cautelare ma
non per il merito, nota a Cass. 14 ottobre 1995, n. 10767, in Nuova giur. civ. comm. 1996, I,
551). I sostenitori dell’opposta tesi ritengono, per converso, applicabile in via analogica la
disposizione dell’art. 669 novies c.p.c. (inefficacia del provvedimento cautelare). In tal senso
cfr. Trib. Torre Annunziata 17 marzo 2004, in Giur. merito 2004, 1995 ss. In dottrina v. G.
Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, 4a ed., Bari 2016, vol. III, 284; A. Proto Pisani,
La nuova disciplina, cit., 353; E. Merlin, Procedimenti cautelari, cit., 353; F.P. Luiso, Diritto
processuale civile, cit., 227 ss.; B. Sassani, Lineamenti, cit., 655, nt. 5. A tale orientamento si
potrebbe però opporre il principio di tassatività delle ipotesi contemplate dall’art. 669
novies c.p.c., cosı̀ come sostenuto da Cass. 21 agosto 2007, n. 17778, in Foro. it. Rep.
2007, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 61.
(43) G. Verde, L.F. Di Nanni, Codice di procedura civile, Torino 1993, 445.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 473
(44) Critica espressa da B. Capponi, Note in tema di rapporti fra competenza e merito.
Contributo allo studio dell’art. 38 c.p.c., Torino 1997, 221 ss., il quale ha adombrato l’ille-
gittimità costituzionale della tesi in questa sede respinta.
(45) In dottrina v. R. Vaccarella, Il procedimento cautelare, cit., 520.
(46) Con riferimento ad una controversia devoluta ad arbitri v. però Trib. Roma 14
maggio 2003, in Giur. rom. 2003, 372 ss.
(47) Cosı̀ C. Petrillo, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A.
Briguglio e B. Capponi, vol. I, Padova 2007, sub art. 669 terdecies, 251.
(48) In tal senso v. U. Corea, Autonomia funzionale della tutela cautelare anticipatoria,
in questa Rivista 2006, 1272.
474 rivista di diritto processuale 2017
mento a questioni di competenza. V., sul punto, C. Delle Donne, in Commentario del Codice
di procedura civile, cit., vol. IV, sub art. 362, 657 ss.
(52) In questi termini Cass. 12 giugno 1997, n. 5264, in Corriere giur. 1998, 575 ss. con
nota di G. Guarnieri, Sulla impugnabilità del ‘secondo’ rigetto per incompetenza; in Giur. it.
1998, II, 12, con nota di C. Consolo, Processo cautelare e regolamento di competenza, cit.; in
Nuova giur. civ. comm. 1998, I, 732 ss., con nota di E. Dalmotto, Sul conflitto di competenza,
cit. Tutti gli annotatori citati hanno preso le distanze dal principio enunciato nella sentenza
citata.
476 rivista di diritto processuale 2017
(57) V. F.P. Nicita, op. ult. cit., § 2, nt. 5 e 6; V. Proietti, in Codice di procedura civile, a
cura di N. Picardi, B. Sassani e A. Panzarola, vol. I, 6a ed., Milano 2015, sub. art. 45, 2221
ss. a cui si rinvia per i relativi richiami giurisprudenziali.
(58) V., per gli opportuni riferimenti giurisprudenziali, M. Acone, L. Iannicelli, sub art.
45, cit., 714 ss.
(59) V., per tutti, E. Dalmotto, Sul conflitto di competenza, cit., 734.
(60) V. l’art. 59 della legge n. 69/2009 (su cui utilmente v. A. Perin, La translatio iudicii
alla luce del nuovo articolo 59 della legge n. 69/09, in Quaestiones 2010, vol. 2, 41 ss.) e l’art.
11 c.p.a. In dottrina cfr. recentemente E. Manzo, Translatio iudicii ed effetto vincolante della
declinatoria di giurisdizione, nota a Cass., sez. un., 18 novembre 2015, n. 23539, in questa
Rivista 2016, 1303 ss.
478 rivista di diritto processuale 2017
(61) A completamento del percorso intrapreso in questi anni, Corte cost. 19 luglio
2013, n. 223, in Corriere giur. 2013, 1107 ss., con nota di C. Consolo, Il rapporto arbitri-
giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza con piena translatio fra giurisdi-
zione pubblica e privata e viceversa, ha esteso la translatio iudicii anche alla materia arbitrale,
dichiarando incostituzionale l’art. 819 ter, comma 2˚, c.p.c. nella parte in cui escludeva
l’applicazione dell’art. 50 c.p.c. In argomento, ci sia consentito il rinvio a M. Abbamonte,
Dichiarazione di incompetenza e trasmigrazione della causa nei rapporti tra giudici e arbitri, in
Giusto proc. civ. 2014, 853 ss.
(62) Cosı̀ P. Vittoria, op. cit., 461 ss., con riferimento però alla declinatoria per difetto
di giurisdizione del giudice adı̀to. In senso adesivo v. C. Asprella, La translatio iudicii.
Trasferimento del giudizio nel nuovo processo civile (l. n. 69/2009), Milano 2010, 218 ss.
In giurisprudenza v. Trib. Roma 12 gennaio 2010. Con riferimento all’applicabilità della
translatio nel caso in cui il giudice adı̀to in sede di reclamo – avverso un provvedimento del
giudice istruttore di modifica o revoca di un provvedimento temporaneo ed urgente ex art.
708 c.p.c. – declini la propria competenza a favore di un altro collegio, v. App. Bari 29
agosto 2007, in Foro it. 2008, I, 3334, con nota di richiami. V. anche, in questa direzione, già
Trib. Bari 20 settembre 1999, in Foro it. 2000, I, 295, con nota critica di C.M. Barone.
(63) Cfr. P. Vittoria, op. loc. ult. cit.
(64) Il problema relativo all’individuazione del giudice competente in sede di reclamo
assume in subiecta materia notevole importanza poiché sono rintracciabili in giurisprudenza tre
diverse opzioni ermeneutiche. Alcuni sostengono che i provvedimenti del giudice istruttore
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 479
siano reclamabili davanti al tribunale in composizione collegiale, giusta quanto statuito dall’art.
669 terdecies c.p.c. (cfr. Trib. Trani 28 aprile 2006, in Foro it. 2006, I, 2213, con nota di C.M.
Cea, La nuova torre di Babele: la legge sull’affidamento condiviso e il reclamo contro i provve-
dimenti del giudice istruttore); altri, invece, ritengono che il reclamo vada proposto davanti alla
Corte d’appello come previsto dall’art. 708, comma 4˚, c.p.c. (cfr. Trib. Genova 2 maggio
2006, in Foro it. 2006, I, 2213, con nota di C.M. Cea); altri ancora ritengono che il reclamo
non sia tout court esperibile (cfr. App. Bari 16 giugno 2006, ivi, 3242, con nota di C.M. Cea,
Ancora sul controllo delle misure nell’interesse dei coniugi e della prole: nuovi provvedimenti,
vecchi andazzi). A favore della continuazione del processo davanti al giudice indicato come
competente ove il reclamo sia proposto davanti a giudice che si ritiene incompetente, v. in
giurisprudenza App. Bari 29 agosto 2007, cit.; App. Firenze 7 luglio 2006, in Giust. proc. civ.
2008, 1213, con nota di F. Cipriani. In dottrina cfr., in senso adesivo, F. Cipriani, La nuova
disciplina dei provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole, in Giust. proc. civ. 2008, 191
ss.; C.M. Cea, La nuova torre di Babele, cit., 2214 ss. Contra l’applicabilità dell’art. 50 c.p.c. v.,
invece, Trib. Foggia 4 marzo 2008, in Foro it. 2008, I, 3334, con nota di F. Cipriani e in
dottrina, seppur in termini dubitativi, F. Gazzoni, Mandare da Erode a Pilato: ancora sulla
reclamabilità delle ordinanze del giudice istruttore date nel giudizio di separazione, in Dir. fam.
2007, 216 ss. (spec. § 8). Da ciò ne consegue che, ove il secondo giudice dovesse non
condividere l’indicazione fatta in suo favore, costui – non essendo vincolato al decisum del
giudice a quo, stante l’inderogabilità della competenza sancita dall’art. 28 c.p.c. – potrebbe
richiedere d’ufficio il regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c. (in tal senso v. App. Bari, 29
agosto 2007, cit.; in dottrina v. C.M. Cea, La nuova torre di Babele, cit., 2216).
(65) Tale conclusione troverebbe un certo riscontro anche nella prassi giudiziaria. Vi è,
infatti, una tendenza dei giudici di merito ad indicare nei provvedimenti di diniego per
incompetenza l’ufficio giudiziario secondo loro competente, davanti al quale richiedere l’ero-
gazione della tutela cautelare, e il termine perentorio entro il quale adire il secondo giudice.
Contra, v., però, Cass. 3 luglio 2009, n. 15639, cit., la quale, nel dichiarare inammissibile un
regolamento di competenza sollevato d’ufficio, ha affermato che l’indicazione nel provvedi-
mento declinatorio del giudice competente e il relativo termine perentorio entro cui «riassu-
mere» il giudizio, in realtà, tamquam non esset. A detta della Corte, ciò che è stata qualificata
«riassunzione» non ha avuto tale consistenza in quanto equivale ad introduzione ex novo del
giudizio cautelare. In dottrina, sostengono che la declinatoria di competenza debba essere
corredata dall’indicazione del giudice competente: A. Saletti, Appunti, cit., 373; L. Salvaneschi,
Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Nuove leggi civ. comm. 1992, 327. Di segno
contrario la dottrina prevalente, v., per tutti, C. Consolo, S. Recchioni, sub art. 669 septies, cit.,
284 ss.
480 rivista di diritto processuale 2017
nel primo caso dovrebbe decidere nel merito la domanda, nel secondo
caso, invece, dovrebbe limitarsi a sollevare il conflitto di competenza at-
traverso il regolamento d’ufficio (66). Infine, la realizzazione di un conflitto
reale negativo, derivante dall’inosservanza dell’obbligo di sollevare il con-
flitto da parte del secondo giudice adı̀to, legittimerebbe – quale extrema
ratio – il ricorso al regolamento di competenza ad istanza di parte (67).
La soluzione interpretativa ora esposta dovrebbe, di conseguenza,
condurre al superamento di quel consolidato orientamento restrittivo della
Corte che esclude la possibilità di ricorrere avanti la stessa (attraverso il
regolamento o per altra via) contro i provvedimenti cautelari poiché privi
di decisorietà e definitività (68). Tale auspicabile revirement, a nostro avvi-
so, troverebbe la propria giustificazione anche in due ulteriori rilievi.
In primis, non si può trascurare che «nel caso di doppia pronuncia
negativa, la vincolatività e la definitività delle due pronunce risiederebbe
nell’idoneità a creare uno sbarramento tendenzialmente completo per la
parte rispetto alla misura cautelare che si risolve in concreta compressione
del diritto ad accedere alla tutela cautelare, assumendo cosı̀ una capacità
decisoria che, alla luce del regime giuridico loro proprio, non avreb-
bero» (69).
(66) Si è obiettato, però, che in caso di incompetenza la lettera dell’art. 669 septies,
comma 1˚, c.p.c. consente expressis verbis la presentazione di una nuova domanda cautelare
la quale presuppone l’inizio di un nuovo ed autonomo giudizio cautelare, escludendo la
possibilità di una prosecuzione orizzontale di quello già incardinato dinanzi al primo giudice
della cautela. Trattasi però di questione puramente terminologica che si pone anche nel
nuovo sistema delineato dall’art. 59 l. 69/2009, di per sé non ostativa ad una interpretazione
in termini di «riassunzione». Cfr. sul punto le osservazioni svolte da G. Balena, La nuova
pseudo-riforma della giustizia civile (Un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in
Giust. proc. civ. 2009, 3, § 4.
(67) Soluzione questa generalmente accolta nell’ambito del giudizio ordinario di co-
gnizione, v. Cass. 23 gennaio 2003, n. 1009, in Giust. civ. Mass. 2003, 159. In dottrina, v. sul
punto V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli 1979, 166 e M. Acone, voce Rego-
lamento di competenza (dir. proc. civ.), in Enc. giur., vol. XXVI, Roma 1989, 11 ss. In
materia cautelare, a sostegno di tale ricostruzione P. Vittoria, op. cit., 462, spec. nt. 10,
osserva acutamente che la soluzione che postula il dovere del secondo giudice di pronun-
ciarsi sul merito della domanda o sollevare il regolamento d’ufficio delinea un percorso,
meno tortuoso di quello che ammette una seconda declinatoria, contro la quale esperire un
regolamento ad istanza di parte (come sostenuto da Cass. 12 giugno 1997, n. 5264, cit.).
(68) I Giudici di legittimità hanno da sempre sostenuto che la mancanza di definitività e
decisorietà dei provvedimenti cautelari, impedendo il ricorso straordinario in Cassazione ex
art. 111 cost., non permetterebbe di sottoporre la questione di competenza (o di giurisdi-
zione) per altra via alla Corte di cassazione. In tal senso, con riferimento al regolamento di
competenza, cfr. Cass., sez. un., 20 giugno 2007, n. 14301, cit.; Cass. 14 settembre 2007, n.
19254, cit.
(69) Cosı̀ Cass., sez. un., 9 luglio 2009, n. 16091, cit.
tutela cautelare ante causam e conflitti negativi di competenza 481
MIRKO ABBAMONTE
Dottore di ricerca
PASQUALE CICCOLO
Procuratore generale presso la Corte di Cassazione
NOTIZIE
NICOLò LIPARI, Il diritto civile tra legge e giudizio, Giuffrè, Milano 2017,
pp. XIII-311.
Negli studi di diritto processuale civile il tema del giudicato, come ben
noto, è senz’altro tanto centrale e fondamentale, quanto battuto ed esplo-
rato: il volume di Leo Piccininni, però, ha un approccio originale che
consiste, come rivelato dal suo titolo, nel considerare la possibilità di far
valere, in altro successivo (eventuale) processo, la decisione già resa in uno
precedente.
A ben pensarci, peraltro, si tratta della prospettiva più schiettamente e
recensioni e segnalazioni 491
mente centrale nella tutela esecutiva (si pensi all’iscrizione a ruolo, all’in-
fruttuosità dell’espropriazione forzata, alla relazione di stima ed ai compiti
dell’esperto stimatore, all’organizzazione degli elenchi dei professionisti
delegati e ai nuovi obblighi formativi imposti a tali soggetti).
In secondo luogo l’adozione delle forme del commento ad ogni singolo
articolo consegna agli interpreti uno strumento agile da un punto di vista
pratico. Le ampie note dedicate alla giurisprudenza ed alla dottrina dimo-
strano che l’innovazione solo se sorretta da adeguati approfondimenti può
rafforzare – e non incrinare – le fondamenta dell’architettura tradizionale
del libro terzo del codice di procedura civile.
In chiara contrapposizione alle disarmonie, alle improprietà e alle
contraddizioni del dato normativo (basti al riguardo considerare il richia-
mo all’art. 669 terdecies c.p.c. da parte dell’art. 591 ter c.p.c.) l’opera, della
quale è possibile fruire con finalità pratiche ma anche didattiche e scienti-
fiche, ha, inoltre, il pregio di essere caratterizzata da un costante equilibrio
tra l’apparato concettuale e il riferimento all’esperienza giurisprudenziale e
dottrinaria. Equilibrio che informa, altresı̀, l’apporto dei singoli autori,
capaci di illustrare con chiarezza e completezza – ognuno secondo la
propria personalità – le nuove regole nella loro disciplina concreta, preci-
sando sempre (spesso in modo esplicito ma talvolta in modo implicito
quando le esigenze di brevità non consentono un’esposizione estesa) la
matrice lato sensu politica delle soluzioni positive (Girolamo Bongiorno).
GIURISPRUDENZA
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice
di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, laddove
dispone che il giudice può anche d’ufficio condannare la parte soccombente al pagamento di
una somma equitativamente determinata a favore della controparte e non dell’Erario (massi-
ma non ufficiale) (1).
(Omissis) 1. – Viene all’esame di questa Corte la questione, sollevata dal Tribunale or-
dinario di Firenze, di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice di pro-
cedura civile «per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione nella parte in cui
dispone “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, an-
che d’ufficio, può altresı̀ condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della
controparte, di una somma equitativamente determinata”, anziché a favore dell’Erario».
2. Il rimettente richiama in premessa l’orientamento della Corte di Cassazione (ordi-
nanza 11 febbraio 2014, n. 3003), per cui la condanna, introdotta dalla disposizione censu-
rata «ha natura sanzionatoria e officiosa, sicché essa presuppone la mala fede o colpa grave
della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa».
Ne desume che la correlativa funzione non sia, pertanto, quella risarcitoria del danno
subito (e comprovato) dalla parte vittoriosa, (funzione questa) assolta dalle disposizioni di
cui ai primi due commi dello stesso art. 96 c.p.c. – bensı̀ quella, ulteriore, di «presidiare il
processo civile dal possibile abuso processuale [e] di soddisfare l’interesse pubblico al buon
andamento della giurisdizione». Atteso che non potrebbe contestarsi che il «promuovere
azioni (o resistervi con difese) manifestamente emulative, vada a costituire una massa di
giudizi del tutto evitabili, addirittura indebiti se riguardati nell’ottica del giusto processo e
della sua ragionevole durata, che costituiscono a loro volta un potente fattore di rallenta-
mento delle altre controversie non altrettanto banalmente caratterizzate».
Il rimettente trae da ciò, quindi, argomento per sostenere che «Se, mediante lo stru-
mento della sanzione officiosa dell’abuso processuale, tale e di tale rango è l’interesse presi-
diato dall’art. 96, comma 3, […] non si vede perché la medesima disposizione di legge pre-
veda la condanna ad una somma equitativamente determinata della parte soccombente a fa-
vore della controparte vittoriosa anziché dell’Erario, dal momento che la parte privata risul-
ta già munita di adeguata protezione per il risarcimento del danno che la condotta abusiva
del contraddittore abbia ad essa arrecato, cui corrisponde uno specifico diritto di azione».
La disposizione impugnata evidenzierebbe, dunque, un profilo d’intrinseca irragione-
volezza ed arbitrarietà nella modulazione dell’istituto processuale, al quale potrebbe, ap-
punto, porsi rimedio solo con la richiesta pronuncia (che il giudice a quo definisce «additi-
va», ma che sarebbe in realtà «sostitutiva», che ne dichiari l’illegittimità costituzionale nella
parte in cui la condanna di che trattasi è disposta «a favore della controparte (vittoriosa)
anziché a favore dell’Erario».
3. Alla stregua di quanto precede (e per quanto anche in narrativa riferito) è innegabi-
le che l’ordinanza di rimessione abbia adeguatamente argomentato il vulnus che sospetta
arrecato, dal denunciato art. 96, terzo comma, c.p.c., agli artt. 3 e 111, in connessione al-
l’art. 24 Cost., in ragione della prospettata irragionevolezza della scelta legislativa che, sep-
pur direttamente pertinente al parametro dell’art. 3 Cost., inciderebbe indirettamente, a
suo avviso, anche sugli obiettivi del giusto processo di cui agli artt. 111 e 24 Cost.
L’eccezione d’inammissibilità della questione, formulata dalla difesa dello Stato addu-
cendo un difetto di motivazione a tal riguardo, non è, perciò, suscettibile di accoglimento.
4. Nel merito la questione non è fondata.
4.1. L’impugnato terzo comma è stato, come è noto, aggiunto all’art. 96 c.p.c. (sotto
la rubrica «Responsabilità aggravata») dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009,
n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché
in materia di processo civile).
Nel disegno di legge presentato nella precedente legislatura, la condanna della parte
soccombente era stata, appunto, correlata alle fattispecie di responsabilità aggravata con l’e-
spresso richiamo alle ipotesi previste dai primi due commi dell’art. 96 c.p.c. Nel progetto
poi tradottosi nella legge n. 69 del 2009 è stato invece soppresso il collegamento con i pri-
mi due commi della norma, prevedendosi, inoltre, che la condanna (raccordata alla «pro-
nuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91») possa essere emessa «in ogni caso» e «anche
d’ufficio».
L’intervento legislativo muove dalla constatazione che l’istituto della responsabilità ag-
gravata, pur rappresentando in astratto un serio deterrente nei confronti delle liti temerarie
e, quindi, uno strumento efficace di deflazione del contenzioso, nella prassi applicativa ri-
sultava scarsamente utilizzato a causa della oggettiva difficoltà della parte vittoriosa di pro-
vare il danno – segnatamente in ordine al quantum – derivante dall’illecito processuale. Pre-
so atto di siffatta situazione, il legislatore, nell’intento di frenare l’eccesso di litigiosità che
affligge il nostro ordinamento ed evitare l’instaurazione di giudizi meramente dilatori, ha
quindi introdotto questo peculiare strumento sanzionatorio, che consente al giudice di li-
quidare a carico della parte soccombente, anche d’ufficio, una somma ulteriore rispetto alle
spese del giudizio.
Contestualmente all’introduzione della norma in discorso, è stato abrogato il quarto
comma dell’art. 385 del codice di procedura civile (in precedenza aggiunto dall’art. 13 del
decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 recante «Modifiche al codice di procedura civile
in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma del-
l’articolo 1, comma 2, della L. 14 maggio 2005, n. 80») che – al fine di disincentivare il ri-
corso per cassazione (cosı̀ Corte cost., ordinanza n. 435 del 2008) – stabiliva che la Corte,
anche d’ufficio, condanna, altresı̀, la parte soccombente al pagamento, a favore della con-
troparte, di una somma, equitativamente determinata non superiore al doppio dei massimi
tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa gra-
ve. Ciò che induce a ritenere che la legge di riforma abbia in tal modo voluto elevare (sia
pur con talune varianti) a principio generale il meccanismo processuale predisposto per il
procedimento di cassazione, facendolo rifluire in una disciplina valevole per tutti i gradi di
giudizio.
4.2. La nuova disposizione, probabilmente anche a seguito delle ricordate modifiche
apportate nell’iter legislativo, non è risultata di agevole lettura.
Oltre che sui (non compiutamente) definiti suoi presupposti applicativi, la dottrina e
la giurisprudenza di merito si sono soprattutto divise sul punto se la condanna della parte
soccombente contemplata dal comma terzo dell’art. 96 c.p.c. sia riconducibile allo schema
della responsabilità aquiliana ex art. 2043 del codice civile – e quindi abbia valenza, an-
ch’essa, risarcitoria del danno cagionato, alla controparte, dalla proposizione di una lite te-
500 rivista di diritto processuale 2017
legislatore identicamente volta a porre a disposizione del giudice – id est della Corte di cas-
sazione – lo strumento di una condanna «anche d’ufficio» della parte soccombente (che te-
merariamente avesse proposto il ricorso o vi avesse resistito) al pagamento di una somma,
equitativamente determinata, «in favore» pur sempre «della controparte», e non già dell’E-
rario.
4.5. La novella del 2009 – che ha, come detto, esteso, sia pur con marginali varianti, a
tutti i gradi di giudizio lo strumento deflattivo prima riferito alla sola fase di legittimità –
non presenta, dunque, connotati d’irragionevolezza, ma – come correttamente osservato
dalla difesa dello Stato – riflette una delle possibili scelte del legislatore, non costituzional-
mente vincolato nella sua discrezionalità nell’individuare la parte beneficiaria di una misura
che sanziona un comportamento processuale abusivo e che funga da deterrente al ripetersi
di una siffatta condotta.
Da qui, appunto, la non fondatezza della questione sollevata dal Tribunale a quo.
(Omissis).
(1) La sentenza è pubblicata anche in Foro it. 2016, I, 2639, con nota di richiami di E.
D’Alessandro.
(2) Sul punto v. M.F. Ghirga, La riforma della giustizia civile nei disegni di legge
Mastella, in questa Rivista 2008, 458 s.
(3) Per i riferimenti bibliografici si rinvia all’opera citata a nota 5, limitandoci in questa
sede a segnalare alcuni contributi successivi alla stessa: G.C. Salvatori, Tra abuso del diritto e
502 rivista di diritto processuale 2017
funzione punitiva: una lettura ricognitiva dell’art. 96, comma 3˚, cod. proc. civ. e prospettive
de iure condendo, in Nuova giur. civ. comm. 2015, 630 ss.; L. Frata, L’art. 96, comma 3˚,
cod. proc. civ. tra danni punitivi e deterrenza, ivi 2012, 271 ss.; M. Lupano, Il terzo comma
dell’art. 96 c.p.c. a tre anni dall’introduzione: orientamenti giurisprudenziali ed incertezze
sistematiche, in Corriere giur. 2013, 994 ss.; F. Agnino, Le spese nel processo civile tra
sanzioni e ottimizzazione del sistema giudiziario, ivi 2012, 633 ss.; F. Cordopatri, Ancora
sull’art. 96, comma 3, c.p.c. e sull’abuso del processo, ivi 2012, 244 ss.; A. Giordano, Il
litigante temerario paga «in ogni caso». Riflessioni sull’art. 96, comma 3, c.p.c. tra «abuso
del processo» e «danni punitivi», in Giur. it. 2012, 2114 ss.; R. Brenda, L’art. 96, comma 3,
c.p.c. ed i punitive damages. Considerazioni in margine ad un caso giudiziario, ivi 2013, 1885
ss.; M. Gerbi, La possibile natura doppiamente sanzionatoria dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.
tra dubbi ed incertezze, in Danno e resp. 2012, 1129 ss.; D. Covucci, Deterrenza processuale e
pena privata: il «nuovo» art. 96, terzo comma, c.p.c., ivi 2012, 523; F.D. Busnelli, E. D’A-
lessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o «condanna
punitiva»?, ivi 2012, 585 ss.; F. Benatti, Danni punitivi e abuso del diritto, in Contratto e
impr. 2015, 862 ss.
(4) Cfr. M.F. Ghirga, Recenti sviluppi giurisprudenziali e normativi in tema di abuso del
processo, in questa Rivista 2015, 445 ss.; Id., A proposito del recente libro di Tropea, di abuso
del processo e di positivismo giuridico, ivi 2016, 362 ss. Quanto agli ultimi contributi in
materia di abuso del diritto, vedili citati in G. Zaccaria, L’abuso del diritto nella prospettiva
della filosofia del diritto, in Riv. dir. civ. 2016, 744 ss., spec. 746 nota (10).
(5) Cfr. M.F. Ghirga, Abuso del processo e sanzioni, Milano 2012, 80 ss.
(6) M.F. Ghirga, Abuso, cit., 86 e per le opinioni contrarie nota (134) e (135). La
giurisprudenza si è invece orientata nel senso della necessità dello stesso elemento soggettivo
richiesto per la fattispecie prevista nel 1˚ comma dell’art. 96: v., infatti, e più di recente:
Cass. 29 settembre 2016, n. 19285, che richiama Cass., ord. 30 novembre 2012, n. 21570,
secondo la quale la condanna ex art. 96, 3˚ comma, c.p.c., «presuppone l’accertamento della
giurisprudenza 503
mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è
inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per
far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile»; Cass.,
ord. 11 febbraio 2014, n. 3003, la cui massima è riportata infra a nota (16) e la stessa
sentenza della Corte Costituzionale qui in commento. Nello stesso senso v. anche Cass. 19
aprile 2016, n. 7726; Cass. 30 dicembre 2014, n. 27534.
(7) Per una recente disamina della responsabilità da lite temeraria v. Aa.Vv., Il risarci-
mento del danno da «lite temeraria» a cura di F. Toppetti, Milano 2014, passim.
(8) Si è, infatti, considerata (M.F. Ghirga, cit., 81) non necessaria, per legittimare la
condanna per lite temeraria, la soccombenza totale, osservando come sarebbe iniquo per un
processo che aspiri davvero ad essere giusto, non sanzionare l’illecito processuale solo
perché chi lo ha compiuto è poi risultato, anche se solo parzialmente, vincitore nel merito.
Inoltre, avendo attribuito alla responsabilità ex art. 96 c.p.c. anche una funzione di deter-
renza, nel senso di scoraggiare iniziative processuali emulative o dilatorie, si è sostenuto che
non vi fosse ragione per non applicare la norma anche in caso di soccombenza parziale o
reciproca. Ciò altresı̀ in considerazione del fatto che essa tra l’altro evidenzia ex post come,
per le parti, vi sarebbe stato spazio per trovare un accomodamento dei loro interessi, che
avrebbe potuto tener conto delle ragioni di entrambe. Non si è nascosto, peraltro, che tale
tesi interpretativa, forse azzardata, voleva contribuire a promuovere quella cultura giuridica
il cui affermarsi dovrebbe portare a riservare al processo solo quei conflitti che non riescono
a sfociare in altro genere di composizione della lite. Ma la giurisprudenza continua ad essere
di contrario avviso: cfr. Cass. 14 aprile 2016, n. 7409, che esclude si possa applicare la
fattispecie della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. quando non sussiste il requisito
della totale soccombenza, per essersi verificata soccombenza reciproca.
(9) M.F. Ghirga, Abuso, cit., 88.
504 rivista di diritto processuale 2017
(10) Come da molti e autorevolmente sostenuto: li si vedano citati a p. 89 nota (144) del
contributo indicato supra.
(11) Sui rapporti tra i danni punitivi, che nulla avrebbero a che fare con i punitive
damages dell’esperienza nordamericana, e la categoria delle pene private cfr. l’opera citata
supra a p. 70 e ss. e le note da (81) a (90) e infra nel testo e in nota per considerazioni più
aggiornate.
(12) Dubbio sollevato da G. Balena e altri citati a nota (149) p. 91 dell’opera più volte
richiamata. Nello stesso senso v. anche F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano 2015,
437, per il quale la norma attribuirebbe al giudice un potere arbitrario per la mancanza di
una taxatio, vale a dire di un parametro di commisurazione della sanzione e di un suo
massimo non superabile, e sarebbe dunque incostituzionale in quanto, avendo natura san-
zionatoria, dovrebbe soggiacere al principio di legalità, che varrebbe anche per il giudice.
(13) M.F. Ghirga, Abuso, cit., 90 ss.
(14) M.F. Ghirga, op. cit., 92.
giurisprudenza 505
(15) La questione di legittimità costituzionale qui discussa è stata sollevata dal Tribu-
nale di Firenze nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, risultato
manifestamente infondato e puramente dilatorio, e dunque tale da legittimare oltre alla
condanna per lite temeraria, anche quella all’ulteriore somma equitativamente determinata
di cui al 3˚ comma dell’art. 96 c.p.c.
(16) Al riguardo il Tribunale di Firenze ha richiamato l’orientamento espresso dalla
Corte di Cassazione nell’ordinanza 11febbraio 2014, n. 3003, la cui massima ufficiale cosı̀
recita: «la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del 3˚
comma dell’art. 96 c.p.c., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanziona-
toria e officiosa, sicché essa presuppone la malafede o colpa grave della parte soccombente,
ma non corrisponde ad un diritto d’azione della parte vittoriosa».
506 rivista di diritto processuale 2017
(17) La Corte rinvia tra le tante alle ordinanze n. 138 del 2012 e 141 del 2011. Con la
prima è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, 1˚
comma, c.p.c., per contrasto con gli art. 3, 24 e 111 Cost., laddove non prevede che «la
parte soccombente o entrambe le parti, che abbiano agito o resistito in giudizio con mala
fede o colpa grave, possano essere condannate, d’ufficio, al risarcimento dei danni nei
confronti dello Stato ed, in particolare del Ministero della Giustizia, per manifesta temera-
rietà della lite». In quell’occasione la Corte ha ritenuto assorbente il rilievo per il quale la
questione sollevata presentava una pluralità di soluzioni in ordine al possibile contenuto
della richiesta pronuncia additiva, «nessuna delle quali costituzionalmente vincolata, e la cui
scelta è dunque rimessa alla discrezionalità del legislatore, che nel caso di specie sarebbe
ancor più ampia vertendosi in tema di disciplina degli istituti processuali, modulabili dal
legislatore con il solo limite di un intervento non manifestamente irragionevole o arbitrario».
(18) A cosa ha inteso alludere la Corte Costituzionale con l’utilizzo dell’avverbio
«plausibilmente»? La ricostruzione della voluntas legislatoris sembra qui essere ricavata
presuntivamente dalla Corte, che si rifà espressamente sul punto alla dottrina. In effetti,
per G. Finocchiaro, Ancora sul nuovo art. 96, 3˚ comma, c.p.c., in questa Rivista 2011, 1189,
la scelta di porre la condanna a beneficio della parte vittoriosa deriverebbe dalla convinzione
che essa, diversamente dagli organi pubblici, avrà la cura e la perseveranza di escuterla in via
coattiva.
(19) Si tratterebbe delle ragioni che stanno a monte dell’introduzione della norma per
G. Scarselli, Il nuovo art. 96, 3˚ comma, c.p.c.: consigli per l’uso, cit., 2237, il quale ritiene
che «il legislatore abbia inteso agevolare la condanna al risarcimento dei danni avverso la
parte che abbia posto in essere una lite temeraria, ma non anche voluto introdurre nel
sistema un nuovo istituto, basato su altri presupposti e finalizzato al raggiungimento di altre
finalità». Per G. Balena, La nuova psuedo-riforma della giustizia civile, in Giusto processo civ.
2009, 768, «tenuto conto che i limiti applicativi della responsabilità aggravata erano legati
soprattutto alla difficoltà di dare prova in concreto dell’esistenza e dell’ammontare del
giurisprudenza 507
illecita, anche se, secondo gli approdi dell’analisi economica del diritto, l’obiettivo di optimal
deterrence è raggiunto solo se la misura del risarcimento superi il profitto sperato) e la
sanzione (l’obbligo di risarcire costituisce una pena per il danneggiante). Si riscontra, dun-
que, l’evoluzione della tecnica della responsabilità civile verso una funzione anche sanzio-
natoria e deterrente (…) pur restando la funzione risarcitoria quella immediata e diretta cui
l’istituto è teso, tanto da restare imprescindibile il parametro del danno cagionato». Nel caso
di specie è stato più agevole ritenere che l’astreinte, comminata nel provvedimento del
giudice belga, non contrasti con l’ordine pubblico italiano, in considerazione dell’introdu-
zione nel sistema interno di una misura quale l’art. 614 bis c.p.c. che ha trovato proprio in
questo istituto di derivazione franco-belga il suo modello di riferimento. Sul punto cfr. per
tutti A. Chizzini, in Aa.Vv., La riforma della giustizia civile, Torino 2009, sub art. 614 bis,
141 ss.
(23) Per cenni all’istituto e alla dottrina italiana che se n’è occupata v. M.F. Ghirga,
Abuso, cit., 70 s. e le note. Ampia bibliografia si trova nelle note di P. Pardolesi citato sotto.
Più di recente e sui temi qui trattati v. anche F. Benatti, Danni punitivi e abuso del diritto,
cit., 862 ss.
(24) Cfr.: Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it. 2007, I, 1460, nella quale si legge
«che nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarci-
mento del danno, cosı̀ come è indifferente la condotta del danneggiante». La sentenza è
stata fortemente criticata da: G. Ponzanelli, Danni punitivi: no grazie, ivi 1461; P. Pardolesi,
Danni punitivi all’indice? in Danno e resp. 2007, 1125 ss.; S. Oliari, I danni punitivi bussano
alla porta: la Cassazione non apre, in Nuova giur. civ. comm. 2007, I, 981 ss. Sulla stessa v.
anche P. Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco, in Corriere
giur. 2007, 497 ss.; A. Giussani, Resistenza al riconoscimento delle condanne al pagamento dei
punitive damages: antichi dogmi e nuove realtà, in Giur it. 2008, 396; G. Miotto, La funzione
del risarcimento dei danni non patrimoniali nel sistema della responsabilità civile, in Resp.
civ. 2008, 188 ss.; Cass. 8 febbraio 2012, n. 1781, che ha rilevato come «nel vigente
ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto
soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all’ef-
fettivo pregiudizio subito», e dunque non ha accolto per contrarietà all’ordine pubblico,
l’istanza di exequatur di una sentenza nordamericana di condanna al pagamento di una
somma risarcitoria, che sebbene non dichiaratamente punitiva, superava in modo rilevante
la richiesta dell’attore, senza che fosse possibile rinvenire la causa giustificativa dell’attribu-
zione patrimoniale. La sentenza è pubblicata in Corriere giur. 2012, 1068, con nota di P.
Pardolesi, La Cassazione, i danni punitivi e la natura polifunzionale della responsabilità civile:
il triangolo no!, in Danno e resp. 2012, 609 ss. con nota di da G. Ponzanelli, La Cassazione
bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio.
(25) Si tratta di Cass. 16 maggio 2016, in Danno e resp. 2016, 827 ss. con nota di P.G.
Monateri, La delibabilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi finalmente al
vaglio delle Sezioni Unite e di G. Ponzanelli, Possibile intervento delle Sezioni Unite sui danni
punitivi; in Corriere giur. 2016, 909 ss. con nota di C. Scognamiglio, I danni punitivi e le
funzioni della responsabilità civile. In essa si legge che «non dovrebbe considerarsi pregiu-
dizialmente contrario a valori essenziali della comunità internazionale (e quindi all’ordine
giurisprudenza 509
pubblico internazionale) l’istituto d’origine nordamericana dei danni non risarcitori, aventi
carattere punitivo: una statuizione di tal genere potrebbe esserlo, in astratto, solo quando la
liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione, in
concreto, che tenga conto delle “circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico
dello Stato membro del giudice adito”». La Cassazione propone un più ampio concetto di
ordine pubblico, accostandolo al contenuto del giudizio di costituzionalità. Nel provvedi-
mento si mette poi in dubbio che la funzione – riparatoria compensativa, seppur prevalente
nel nostro ordinamento, sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio e che sia
possibile escludere in radice qualsiasi sfumatura punitiva e/o deterrente. Esso individua
una serie di indici normativi che testimonierebbero la già avvenuta introduzione nel nostro
ordinamento di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzio-
natoria. Tra essi, come si vedrà, viene citato l’art. 96, 3˚ comma, c.p.c., che prevede la
condanna della parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determi-
nata «in funzione sanzionatoria dell’abuso del processo». Peraltro, per G. Ponzanelli, Novità
per i danni esemplari?, in Contratto e imp. 2015, 1203 s., proprio la presenza di figure già
riconosciute nel nostro sistema indica chiaramente che un risarcimento non riparatorio
dovrà passare tramite la necessaria intermediazione legislativa. «È sul legislatore, quindi,
che ricade il compito di introdurre misure risarcitorie le quali, più o meno decisamente, si
distacchino dal modulo riparatorio».
(26) Mi riferisco in particolare a quelle sopra citate in materia di riconoscimento di
sentenze straniere portanti condanne ad astreinte(s)o a punitive damages.
(27) Sul concetto di pena privata e sulle sue caratteristiche ontologiche si rinvia all’o-
pera Abuso del processo, cit., 70 e ss. e alle note ove contenuti i riferimenti bibliografici al
tema, e le diverse opinioni di quanti se ne sono occupati.
510 rivista di diritto processuale 2017
(28) Cfr. M.G. Baratella, Le pene private, Milano 2006, 201 ss.
(29) Sul punto e sulle norme di seguito citate si rinvia a M.F. Ghirga, Abuso, cit., 94 ss.
giurisprudenza 511
avuta nelle trattazioni manualistiche e non (30). Eppure tali norme presen-
tano un indubbio interesse perché prevedono la condanna al pagamento di
una pena pecuniaria per il solo fatto che l’istanza sia stata rigettata, o
perché dichiarata inammissibile o infondata, senza che perciò sia richiesto
nessun tipo di connotazione soggettiva in termini di dolo o colpa grave,
anche se l’eliminazione dell’automatismo previsto nell’art. 54 da parte
della stessa Corte Costituzionale importa «l’attribuzione al decidente del
potere di apprezzare, nel caso concreto, se sussistono le condizioni per
escludere la condanna alla pena pecuniaria, o se invece la stessa debba
trovare applicazione» (31). Allora ho sostenuto che anche queste disposi-
zioni devono essere collocate in quel quadro normativo, più di recente
disegnato dal legislatore, che ha voluto riconoscere al giudice uno spazio
discrezionale per valutare il caso concreto e sanzionare quelle iniziative
processuali che appaiano abusive.
In questo quadro, l’art. 96, 3˚ comma, svolge il ruolo di norma gene-
rale, ed allora e per scongiurare un’altra possibile censura di illegittimità
costituzionale già sopra adombrata (32) si può ribadire che proprio perché
l’abuso processuale non è qui tipizzato si giustifica il fatto che la pena sia
rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, a differenza di quan-
to previsto nelle fattispecie prima ricordate, che invece e proprio per
questo quantificano la pena o la fissano in un minimo e/o in un massimo.
C. c. S. e altri
Le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato nei
confronti del proprio cliente previste dall’articolo 28 l. n. 794/1942 devono essere trattate
con la procedura prevista dall’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 anche nell’ipotesi in cui la do-
manda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito
sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda (massima non
ufficiale) (1).
(Omissis) 6. – Il Collegio osserva che la l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 54, commi 1˚ e
2˚, ha conferito al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di
riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito
della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale. Fra i principi e
criteri direttivi indicati al legislatore delegato si ricorda, per ciò che interessa la presente
controversia, quello di cui all’art. 54, comma 4˚, lett. b), n. 2 che prevede: «i procedimenti,
anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trat-
tazione o dell’istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizio-
ne di cui al libro 4, titolo 1˚, capo 3 bis, c.p.c., come introdotto dall’art. 51 della presente
legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito
ordinario (Omissis). Per quanto riguarda il procedimento sommarlo di cognizione è neces-
sario coordinare la l. e il d.lgs. 1˚ settembre 2011, n. 150, artt. 3 e 14-30. Il legislatore dele-
gato, sul presupposto della prevalenza di caratteri di semplificazione della trattazione o del-
l’istruzione della causa, ha individuato diciassette tipi di controversie «obbligatoriamente»
regolate dal rito sommario di cognizione fra le quali, per quello che qui interessa, sono pre-
viste: controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato (art. 14);
opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia (art. 15).
7. – È previsto che la disciplina del procedimento può variare per ogni singola mate-
ria, poiché è data dalla combinazione tra le disposizioni comuni di cui al d.lgs. n. 150/
2011, art. 3 con quelle prescritte per ogni singola specie di controversia regolata nella
stessa fonte. La competenza può spettare al Giudice di pace (come, ad esempio, nelle
controversie ex art. 18), al Tribunale in composizione collegiale (come, ad esempio, nelle
controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato ex art. 14),
al Presidente del Tribunale o della Corte d’Appello (come, ad esempio, nelle controver-
sie in materia di spese di giustizia ex art. 15), alla Corte d’Appello quale giudice di unico
grado (come, ad esempio, nelle controversie ex art. 23). Non è prevista la possibilità, in
caso di complessità delle difese delle parti, del passaggio al rito ordinario di cognizione:
ai sensi del d.lgs. n. 150 del 2011, art. 3, comma 1˚, infatti, «1. Nelle controversie disci-
plinate dal Capo 3˚, non si applicano dell’art. 702 ter c.p.c., i commi 2˚ e 3˚». L’art. 4
prevede che è possibile mutare il rito in rito sommario: quando una controversia viene
promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il
mutamento del rito con ordinanza. L’ordinanza prevista dal comma 1˚ viene pronunciata
dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. L’or-
dinanza che decide la causa non è sempre appellabile (non lo è, ad esempio, nelle «con-
Secondo la tesi della prevalente della giurisprudenza della Cassazione, in tali casi
operava la prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla sua forma. Pertan-
to, qualora il Giudice adito, a conclusione di un procedimento instaurato ai sensi della l.
n. 794 del 1942, artt. 28 ss. non si fosse limitato a decidere sulla controversia tra avvoca-
to e cliente circa la determinazione della misura dei compensi, ma si fosse pronunciato
anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all’esistenza e alla persistenza del
rapporto obbligatorio, l’intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un prov-
vedimento che, quand’anche adottato in forma di ordinanza, aveva valore di sentenza e,
dunque, poteva essere impugnato con il solo mezzo dell’appello (Cass. 3 febbraio 2012,
n. 1666). Analogamente, nel caso inverso, l’intero giudizio doveva concludersi in primo
grado con un provvedimento che, quand’anche adottato in forma di sentenza, aveva va-
lore di ordinanza, in quanto tale sottratta all’appello ed impugnabile solo con il ricorso
per cassazione ex art. 111 Cost. Cass. civile, sez. un., 11 gennaio 2011, n. 390 (seguita da
Cass. 19 maggio 2011, n. 11024) ha temperato il predetto criterio della prevalenza della
sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del principio dell’apparen-
za, affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spet-
tanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di in-
dividuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia, assu-
me rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole
scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in con-
creto svolto il relativo procedimento.
11. – Tenendo conto dei principi espressi in passato nella suddetta materia dalla
giurisprudenza di legittimità è necessario esaminare in che limiti se ne può tenere conto
anche per le controversie attualmente disciplinate dal d.lgs. n. 150/2011. Secondo la dot-
trina prevalente e parte della giurisprudenza di merito nulla sarebbe sostanzialmente
cambiato rispetto al passato, avendo il procedimento d.lgs. n. 150/2011, ex art. 14 man-
tenuto le medesime caratteristiche che aveva quello disciplinato dalla l. n. 794/1942, art.
29 tenuto anche conto che il d.lgs. n. 150/2011, art. 14 si limita a prevedere che il rito
sommario di cognizione regola le «controversie previste dalla l. 13 giugno 1942, n. 794,
art. 28», senza prevedere alcuna modifica riguardo all’ambito di applicazione di tale ulti-
ma disposizione Nel caso di contestazioni sull’an del rapporto professionale la gran parte
della dottrina, in aderenza alla giurisprudenza di legittimità formatasi nella vigenza della
normativa precedente, ha escluso il mutamento del rito sul presupposto che le difese
svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c.,
comma 2˚, tenuto conto che il d.lgs. n. 150/2011, art. 3, comma 1˚, ne prevede espressa-
mente l’inapplicabilità. In presenza di contestazioni sull’an, ed anche quando l’inesisten-
za dei presupposti per il procedimento speciale emerga all’esito della comparizione delle
parti, il giudice del procedimento speciale deve limitarsi ad una pronuncia di inammissi-
bilità. A sostegno di questa tesi, è stata richiamata la previsione di cui al d.lgs. n. 150/
2011, art. 14, comma 3˚, (mutuata dalla l. n. 794/1942, art. 29, comma 3˚), relativa alla
possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente, da cui è possibile evincere che,
allorquando le eccezioni del convenuto comportino un ampliamento del thema deciden-
dum alla sussistenza della pretesa del ricorrente, il giudizio non possa proseguire perché,
nell’ipotesi in cui il resistente non si sia avvalso dell’assistenza tecnica, egli si troverebbe
in posizione di inferiorità rispetto alla controparte proprio nel momento in cui il giudizio
diviene più complesso.
12. – In senso contrario alla tesi in esame, si è peraltro osservato che il rito sommario di
cognizione ex art. 702 bis ss. c.p.c., garantisce comunque una cognizione piena della posizione
giurisprudenza 515
soggettiva dedotta in giudizio, seppur con una trattazione ed un’istruzione semplificate e met-
te in crisi la premessa da cui muoveva il predetto orientamento giurisprudenziale. È stato ri-
chiamato il d.lgs. n. 150/2011, art. 3, comma 1˚, nella parte in cui esclude l’applicabilità del-
l’art. 702 ter c.p.c., comma 2˚, ai sensi del quale il Giudice, se «rileva che la domanda non
rientra tra quelle indicate nell’art. 702 bis, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo prov-
vede sulla domanda riconvenzionale». La predetta norma precluderebbe infatti al giudice,
d.lgs. n. 150/2011, adito ex art. 14 di dichiarare inammissibile la domanda anche qualora l’og-
getto del procedimento si estenda all’accertamento dei presupposti del diritto dell’avvocato al
compenso professionale, cosı̀ superando il precedente orientamento giurisprudenziale della
Cassazione di cui si è sopra dato conto. Inoltre, il d.lgs. n. 150/2011, art. 4 consente il muta-
mento del rito in ipotesi di controversia promossa con forme diverse da quelle previste, cosı̀
sembrando riferirsi all’ipotesi dell’errore sul rito compiuto ab origine, e non alla opportunità/
necessità, non derivante da errore iniziale, che la controversia, per effetto delle argomentazio-
ni difensive del convenuto, proceda con rito diverso. I sostenitori questa tesi rilevano che la
norma può essere letta estensivamente ed applicata anche nelle ipotesi in cui la scelta del rito
«incongruo» non sia dipesa da un errore del ricorrente (ossia dell’avvocato) ma dalle difese
del convenuto, che hanno determinato l’inapplicabilità del rito sommario, con le contestazioni
relative all’an e non solo al quantum debeatur. In sintesi, secondo la tesi in esame, il ricorso
sommario proposto dall’avvocato sarebbe suscettibile di evolvere, previa conversione del rito
d.lgs. n. 150/2011, ex art. 4 in rito ordinario, allorché il convenuto contesti anche l’an o pro-
ponga domanda riconvenzionale).
13. – Infine, secondo una terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi,
comprensivo dei temi sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il «nuovo» rito som-
mario. Conseguentemente, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con
rito ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione av-
verso il decreto ingiuntivo ottenuto dall’avvocato), il Presidente del Tribunale o della Se-
zione tabellarmente competente dovrebbe: disporre il mutamento del rito da ordinario in
sommario ai sensi del d.lgs. n. 150/2011, art. 4; nominare il Giudice relatore; fissare l’u-
dienza di comparizione parti avanti al Collegio per la trattazione. La Corte ritiene di ade-
rire a questa ultima tesi tenendo conto della la pienezza della cognizione che, secondo la
maggioranza della dottrina e la stessa relazione di accompagnamento, sarebbe assicurata
da questo procedimento e nel rispetto dell’impianto generale del d.lgs. n. 150/2011, in
cui la tipologia del rito è il frutto di una decisione legislativa senza possibilità di scelte di-
screzionali della parte o del giudice. Infatti in tal modo è rispettata la ratio che ha guida-
to il legislatore delegato secondo cui il controllo di concreta compatibilità della singola li-
te con le forme semplificate del rito, che nel procedimento sommario di cognizione facol-
tativo di cui agli artt. 702 bis ss. è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, è so-
stituito, nel procedimento sommario obbligatorio disciplinato dal d.lgs. n. 150/2011, art.
3, da una verifica, astratta ed irrevocabile, compiuta a monte da legislatore sulla base del-
le caratteristiche riscontrate in alcune specie di controversie che hanno ad oggetto deter-
minate specifiche materie. Una tale soluzione ha evidenti vantaggi di economia proces-
suale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti processuali, evitando la
declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dal d.lgs. n. 150/2011, art. 3,
comma 1˚, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702 ter c.p.c., comma 2˚. Sa-
rebbe rispettato il d.lgs. n. 150/2011, art. 4 che disciplina in via diretta soltanto l’ipotesi
dell’instaurazione, mediante forme errate, di una controversia che dovrebbe essere tratta-
ta secondo uno dei riti semplificati dal d.lgs. n. 150/2011; in altri termini, la disposizione
non regola espressamente il caso in cui venga instaurata, mediante uno dei riti semplifica-
516 rivista di diritto processuale 2017
ti, una controversia che non rientra nell’ambito di applicazione dello stesso decreto. Tale
soluzione è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza del
26 aprile 2014, n. 65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge
delega riferita al d.lgs. n. 150/2011, art. 3, comma 1˚ ed in particolare all’esclusione della
convertibilità del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata
applicazione del criterio direttivo di cui alla l. n. 69/2009, art. 54, comma 4˚, lett. b), n.
2), il quale nel ricondurre al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei
quali sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della
causa afferma che resta «esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel ri-
to ordinario». La non convertibilità del rito sommario discende quindi dalla espressa
prescrizione impartita dalla legge delega (l. n. 69/2009, art. 54, comma 4˚, lett. b, n. 2) e
corrisponde altresı̀ alla inammissibilità ripetutamente affermata anche prima della rifor-
ma del 2009 del procedimento speciale previsto dalla l. n. 794/1942 nel caso in cui il the-
ma decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del com-
penso. Il divieto di conversione del rito è stabilito dal d.lgs. n. 150/2011, art. 3, comma
1˚, per le controversie regolate dal rito sommario di cognizione; conseguentemente la ri-
chiesta caducazione di tale divieto, riferita ai soli procedimenti di liquidazione degli ono-
rari forensi, costituirebbe un’eccezione rispetto al modello procedimentale prescelto dal
medesimo d.lgs. n. 150/2011. Siffatta eccezione risulterebbe incompatibile con le finalità,
perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e semplificazione dei riti civili, introdu-
cendo un’ulteriore particolarità ad un sistema processuale, che pur essendo ispirato alla
finalità di riportare una molteplicità di procedimenti speciali ad una (almeno tendenziale)
uniformità conserva tuttora elementi di innegabile eccentricità. Si osserva che il giudizio
conclusosi con il provvedimento oggetto oggi di impugnazione era stata iniziato corretta-
mente con ricorso davanti al Tribunale competente in composizione collegiale. Di conse-
guenza ha errato il Tribunale a non proseguire il procedimento nelle forme del rito som-
mario di cognizione ex art. 702 bis e ss. c.p.c. ed ha errato nel dichiarare l’inammissibilità
in presenza di contestazione sull’an della pretesa. Il Tribunale era tenuto a provvedere
sulla domanda e sulle contestazioni sull’an proposte dalla parte convenuta. Il ricorso de-
ve essere accolto e la ordinanza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione del Tri-
bunale di Bari che si atterrà al seguente principio di diritto: Le controversie previste dal-
la l. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28 come modificato dal d.lgs. n. 150/2011, art. 34 ed a
seguito dell’abrogazione della l. n. 794/1942, artt. 29 e 30, per la liquidazione delle spe-
se, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente da parte dell’avvocato de-
vono essere trattate con la procedura prevista dal d.lgs. 1˚ settembre 2011, n. 150, art. 14
anche in ipotesi che la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudi-
ce adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità
della domanda (Omissis).
ratività del rito speciale alle liti relative al quantum del debito professio-
nale, senza possibilità che le difese del cliente (nelle forme dell’eccezioni o
di una riconvenzionale) potessero giustificare l’indagine sulla sussistenza in
sé del diritto alla prestazione.
Il nuovo regime processuale dell’art. 14 d.lgs. n. 150/2011 (che sosti-
tuisce il modello della legge del 1942 con quello sommario di cognizione)
offre linfa al dubbio ed apre la strada a contrasti interpretativi che al
momento dividono la giurisprudenza di legittimità (7), non meno che di
merito (8).
È dunque evidente l’«innovatività» della decisione che si annota (9),
laddove, rompendo con il passato, stabilisce che le controversie relative
alla liquidazione del compenso agli avvocati «devono essere trattate con la
procedura prevista dall’art. 14 d.lgs. n. 150/2011, anche nell’ipotesi in cui
la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito
di trasformare il rito sommario in ordinario o di dichiarare l’inammissibi-
lità della domanda».
liquidazione agli onorari degli avvocati, in Foro it. 2009, I, 1824; De Luca, Sul procedimento
per la liquidazione degli onorari di difensore, in Rassegna forense 2009, 746).
(7) In linea con la sentenza in epigrafe, Cass. 11 gennaio 2017, n. 548; in direzione
contraria, seguendo la strada percorsa dalla giurisprudenza previgente, Cass. 14 giugno 2016
n. 12248; Cass. 5 ottobre 2015, n. 19873, entrambe affrontando il tema dell’impugnabilità
dell’ordinanza che abbia (erroneamente) statuito sull’an della pretesa (appellabile e non
ricorribile per cassazione, in virtù del principio di prevalenza della sostanza sulla forma
già invocato dalla giurisprudenza relativa alla normativa previgente dell’art. 28 l. n. 794/
1942).
(8) In linea con l’orientamento tradizionale, che nega l’estendibilità del rito speciale alle
controversie sull’an debeatur, Trib. Mantova 4 ottobre 2016; Trib. Milano 22 settembre
2016. Contra, con una motivazione a cui la decisione in commento sembra conformarsi,
Trib. Foggia 25 settembre 2012.
(9) Anche in Foro it. 2016, I, 1712, con osservazioni di Barone e nota di Cea.
(10) Ove si legge che «non è stato ritenuto necessario specificare che l’oggetto delle
controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa
essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del
mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative. Tale conclusione, ormai costante-
mente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla
presente disciplina, in assenza di modifiche espresse dalla norma che individua i presupposti
dell’azione, contenuta nella l. 13 giugno 1942 n. 794».
giurisprudenza 519
(11) In questo senso, Cass. 27 marzo 2001, n. 4419; Cass. 9 settembre 2008, n. 23344,
cit.; Cass. 4 giugno 2010, n. 13640; Cass. 5 agosto 2011, n. 17053, cit. Il provvedimento era
ritenuto non ricorribile per cassazione, non avendo natura definitiva, dal momento che la
domanda poteva sempre essere riproposta nelle forme ordinarie (Cass. 1˚ dicembre 2000, n.
15388; Cass. 29 gennaio 1996, n. 672).
(12) Cass. 1˚ dicembre 2000, n. 15388; Cass. 29 gennaio 1996, n. 672, cit.
(13) Cass. 20 aprile 1993, n. 4619; Cass. 27 febbraio 1995, n. 2229; Cass. 30 agosto
2001, n. 11346; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3637; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21233, cit.
520 rivista di diritto processuale 2017
(14) Ciò che induce a ritenere che in tale tipo di controversie quello sommario valga
quale rito «esclusivo», essendo la valutazione di «sommarietà» e di compatibilità del relativo
contenzioso con il modello procedimentale effettuata a priori dal legislatore piuttosto che
lasciata alla discrezionalità valutativa del giudice.
(15) In questo senso, Carratta, La ‘semplificazione’ dei riti civili e le nuove modifiche del
processo civile, Torino 2012, 61, il quale, invocando l’art. 40, comma 3˚, c.p.c., giunge
ugualmente alla conclusione secondo cui, ove nel corso del procedimento dell’art. 14 cit.
emergesse una contestazione sull’an della prestazione, il procedimento sarebbe destinato a
proseguire con le forme del rito ordinario, ma senza scissione tra le domande; nello stesso
senso anche Perin, Panoramica, cit., 38. Ritiene invece tuttora necessario che il procedimen-
to prosegua nelle forme ordinarie, Abbamonte, Commento all’art. 14, cit., 194. In una
lettura «a caldo» del d.lgs. n. 150/2011, avevamo ipotizzato (Tiscini, Commento all’art. 3,
cit., 32) l’applicabilità nella specie dell’art. 702 ter, comma 4˚, c.p.c., con conseguente
potere-dovere del giudice di disporre la separazione delle cause (soluzione a cui pare aderire
Chizzini, Concinnatio, Note introduttive al d.lgs. n. 150/2011 sulla cd. semplificazione dei
riti, in Giusto proc. civ. 2011, 969 ss., spec. 990), non senza tuttavia rilevarne l’illogicità,
tenuto conto della contrarietà della disposizione all’interesse per il simultaneus processus. Il
tutto muoveva dal presupposto – all’epoca apparentemente indiscutibile, tenuto conto del
tenore del decreto e della Relazione illustrativa – di dover escludere con la nuova disciplina
qualsiasi modifica sull’ambito applicativo del procedimento. Alla luce dell’interpretazione
«avanguardistica» verso cui opta oggi la Corte di cassazione (seppure non senza contrasti),
l’opzione della separazione delle cause (già all’epoca criticabile e criticata (Abbamonte, op.
cit., 192) può senz’altro abbandonarsi.
(16) V. Infra § 4.
giurisprudenza 521
(17) Per tutti, Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it. 2009, V, 328;
Caponi, Un modello recettivo delle prassi migliori: il procedimento sommario di cognizione,
ivi, 2009, V, 337; Biavati, Appunti introduttivi sul nuovo processo a cognizione semplificata, in
Riv. trim. dir. proc. civ. 2010, 188; Dittrich, Il procedimento sommario di cognizione, in
questa Rivista 2009, 1587; Martino, Conversione del rito in sommario e processo semplificato
di cognizione, in questa Rivista 2015, 916; Perin, Panoramica, cit., 12 ss. Sul punto, sia
consentito rinviare a Tiscini, Commentario del codice di procedura civile, diretto da Como-
glio, Consolo, Sassani e Vaccarella, vol. VV, tomo 2˚, Milano 2014, 633 ss.; Id., Il procedi-
mento sommario di cognizione, fenomeno in via di gemmazione, in questa Rivista 2017,
112 ss.
(18) Balena, Commento all’art. 14, cit., 196 ss.; De Luca, Nuove norme e vecchi problemi
del procedimento per la liquidazione degli onorari agli avvocati, in Giusto proc. civ. 2013, 127
ss., spec. 136 ss.; Cea, Il nuovo procedimento per la liquidazione dei compensi all’avvocato,
cit., 1725, quest’ultimo favorevolmente annotando la sentenza in epigrafe.
(19) Sul tema, più di recente, si vis, Tiscini, op. ult. cit.
(20) In senso favorevole Cea, Il nuovo procedimento, cit., 1725, criticando peraltro la
soluzione prediletta sotto il regime previgente, in quanto contraria alla tradizione prove-
niente dal codice del 1865.
(21) Amplius infra § successivo.
(22) Per la tripartizione tra sommario «da codice», sommario «convertito», e sommario
«per la semplificazione», v. Martino, Conversione, cit., 916; nonché Tiscini, Il procedimento
sommario, cit., 113.
(23) Questa la qualificazione del modello sommario per distinguerlo da quello dell’art.
28 cit., segnando – anche con riferimento all’ambito di applicazione – uno stacco rispetto al
regime previgente.
522 rivista di diritto processuale 2017
(24) Corte cost. 1˚ aprile 2014, n. 65, in Foro it. 2014, I, 1363.
giurisprudenza 523
ROBERTA TISCINI
Professore associato nell’Università di Roma La Sapienza
(35) Luiso, Diritto processuale civile, 8a ed., vol. I, Milano 2015, 230.
(36) Di là da qualche osservazione critica intorno alla scelta legislativa, il quale in ogni
caso muove sul piano della discrezionalità e si sottrae dunque al rischio dell’incostituziona-
lità ed operante entro i confini dell’(in)opportunità.
(37) Per le pronunce che, in direzione contraria, aderiscono alla soluzione più restritti-
va, in linea con il previgente orientamento tradizionale, v. retro, nt. (7).
CORTE DI CASSAZIONE, sez. trib., sentenza 30 settembre 2016,
n. 19476
Pres. Di Amato – Rel. Greco
L’estinzione del processo tributario ai sensi dell’art. 63, comma 2˚, d.lgs. 31 dicembre 1992,
n. 546, per omessa riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, determina la definiti-
vità dell’avviso di accertamento impugnato (massima non ufficiale).
Nell’ipotesi di estinzione del processo tributario per omessa riassunzione della causa davanti al
giudice di rinvio, il dies a quo dei termini di prescrizione e di decadenza relativi all’esercizio
della pretesa tributaria va ancorato alla data di scadenza del termine utile per la riassunzione
della causa davanti al predetto giudice di rinvio, acquisendo, solo da tale momento, l’avviso di
accertamento impugnato la condizione di definitività (massima non ufficiale).
Nel febbraio del 1989, la società Alfa impugnava, dinanzi alla com-
missione tributaria di primo grado (con due ricorsi in seguito riuniti), due
distinti avvisi di accertamento concernenti l’applicazione dell’Irpeg e del-
l’Ilor per gli anni 1982-1983. Dopo due gradi di giudizio davanti al giudice
tributario che si erano conclusi favorevolmente per la società contribuente
(che vedeva in primo grado, con pronunzia poi confermata in appello,
integralmente accolto il primo ricorso e parzialmente il secondo), la con-
troversia approdava dinanzi alla Corte d’appello (adita ai sensi dell’allora
vigente art. 40 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636), la quale, in accoglimento
del gravame proposto dall’amministrazione finanziaria, respingeva i ricorsi
proposti dalla società contro gli avvisi di accertamento.
Avverso quest’ultima pronunzia la società proponeva ricorso per cas-
sazione; ricorso che veniva accolto con la sentenza n. 13667 del 5 novem-
bre 2001, con cui si disponeva il rinvio della causa ad altra sezione della
Corte d’appello adita.
Nessuna delle parti riassumeva, tuttavia, il giudizio.
Nel novembre del 2003, l’amministrazione finanziaria decideva di
iscrivere a ruolo gli importi riguardanti gli avvisi di accertamento impu-
gnati nel 1989 (e dunque ben quattordici anni prima). Detta iscrizione si
fondava, presumibilmente, sull’idea: a) che gli avvisi di accertamento de
quibus, ai fini della riscossione, dovessero considerarsi definitivi solo dal
momento della scadenza del termine previsto per la riassunzione del pro-
cesso dinanzi al giudice di rinvio, e cioè dalla fine del 2002; b) e che, di
conseguenza, non fosse ancora scaduto il termine decadenziale previsto –
dall’art. 17, lett. c (ratione temporis applicabile), d.p.r. 29 settembre 1973,
n. 602 (1) – per l’iscrizione a ruolo dei crediti contenuti in atti di accerta-
mento definitivi.
All’iscrizione a ruolo seguiva la relativa cartella di pagamento, che
veniva notificata nel marzo del 2004. Anche quest’atto veniva impugnato
(1) Questo il testo dell’art. 17, lett. c, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602: «Le somme
dovute dai contribuenti sono iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza (...) entro il
31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le
somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio». L’art. è stato abrogato dall’art. 1,
comma 5˚ ter, lett. a, n. 1, d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni in l.
31 luglio 2005, n. 156. La materia è, ora, principalmente regolata dal più volte modificato
art. 25 dello stesso d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602. In particolare, relativamente agli
accertamenti d’ufficio, viene, innanzitutto, in rilievo il comma 1˚, lett. c, secondo cui: «Il
concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato
nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre (...) del secondo
anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in
base agli accertamenti dell’ufficio».
528 rivista di diritto processuale 2017
dalla società, la quale, tra l’altro, deduceva, con riferimento alla pretesa
tributaria esercitata dall’amministrazione finanziaria, la decadenza e/o pre-
scrizione; e ciò, sul presupposto che, alla luce dell’estinzione del processo,
il momento di acquisto, da parte degli avvisi di accertamento, della con-
dizione di definitività fosse temporalmente collocabile nel lontano 1989.
Ricostruzione, questa, da cui sarebbe discesa ineluttabilmente l’illegittimità
(per tardività) della iscrizione a ruolo, in quanto avvenuta solo nel 2003, e
dunque in violazione del menzionato art. 17, lett. c, che, come già sotto-
lineato, consentiva, con riferimento agli accertamenti dell’ufficio, l’iscrizio-
ne a ruolo (delle somme dovute dai contribuenti) entro il 31 dicembre
dell’anno successivo a quello di consolidamento dell’accertamento.
Come è evidente, il punto decisivo della controversia riguardava l’in-
dividuazione del momento di acquisizione della condizione di definitività
da parte degli avvisi di accertamento.
I due gradi di giudizio di merito dinanzi al giudice tributario sfocia-
vano – seppur sulla base di motivazioni non identiche – in pronunzie, nella
sostanza, favorevoli alla società. Mentre, però, la commissione provinciale
condivideva la ricostruzione offerta dalla società in ordine al momento di
acquisizione della condizione di stabilità da parte degli avvisi di accerta-
mento, la commissione tributaria regionale si limitava a valorizzare la
circostanza della mancata comunicazione alla società contribuente dell’or-
dinanza di estinzione del processo, affermando che detta mancata comu-
nicazione avrebbe dovuto impedire di considerare definitivi gli avvisi di
accertamento oggetto del giudizio non riassunto dinanzi al giudice di
rinvio, con la conseguenza che l’Agenzia delle entrate non avrebbe potu-
to/dovuto iscrivere a ruolo gli importi relativi a detti avvisi, pretendendone
il pagamento.
L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione avverso la
sentenza di secondo grado, mentre la società contribuente proponeva a
sua volta ricorso in via incidentale condizionata (allo scopo di insistere
nella censura di decadenza e/o prescrizione della pretesa tributaria) (2).
(2) Questo il contenuto del ricorso incidentale condizionato come riassunto dalla
Suprema Corte nella pronunzia in commento: «Con il ricorso incidentale condizionato la
società contribuente, denunciando violazione degli artt. 393, 307 c.p.c., 2945, terzo comma,
c.c. e art. 17, lett. c), d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4,
assume che a seguito dell’estinzione del processo a norma dell’art. 393 c.p.c. l’avviso di
accertamento impugnato non si stabilizzerebbe a far data dalla estinzione stessa, ma dal-
l’anteriore momento di proposizione della domanda introduttiva del processo, sicché, ac-
colta tale soluzione, l’iscrizione a ruolo, effettuata sul fondamento di quell’avviso di accer-
tamento oltre l’anno successivo a quello di proposizione della domanda, sarebbe da consi-
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derarsi tardiva, con conseguente prescrizione e/o decadenza della pretesa tributaria eserci-
tata dall’amministrazione».
(3) Questo il testo della disposizione: «Se la riassunzione non avviene entro il termine
di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del
giudizio di rinvio l’intero processo si estingue».
(4) La norma riguarda il pagamento del tributo in pendenza del processo.
(5) Secondo cui: «Sono iscritte a titolo definitivo nei ruoli (...) le imposte, le maggiori
imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti definitivi».
(6) Questo il testo della disposizione: 1. «Le imposte, i contributi ed i premi corri-
spondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi
interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento,
per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accer-
tati». 2. [abrogato]. 3. «Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche per
l’iscrizione a ruolo delle ritenute alla fonte dovute dai sostituti d’imposta in base ad accer-
tamenti non ancora definitivi».
(7) V. nota n. 1.
(8) Sostanzialmente nello stesso senso, Cass., sez. trib., 15 gennaio 2016, n. 556.
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(12) Cfr. D. Coppa, La prescrizione del credito tributario, Torino 2005, 14-15.
(13) V. art. 78 d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, secondo cui: «Il credito dell’amministra-
zione finanziaria per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni».
(14) V. art. 13, comma 1˚, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, che cosı̀ recita: «Per l’accer-
tamento e la liquidazione delle imposte ipotecaria e catastale, per la irrogazione delle relative
sanzioni, per le modalità e i termini della riscossione e per la prescrizione, si applicano, in
quanto non disposto nel presente testo unico, le disposizioni relative all’imposta di registro e
all’imposta sulle successioni e donazioni».
(15) Cfr. D. Coppa, La prescrizione del credito tributario, cit., 33.
(16) Sull’applicabilità, nell’ordinamento tributario, di questo termine, cfr. D. Coppa, La
prescrizione del credito tributario, cit., 42-43. Cfr. anche M. Monteleone, Imposte sul reddito:
fino a quando Equitalia può procedere alla riscossione?, in www.laleggepertutti.it, 2013. In
giurisprudenza, cfr. Cass., sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2941 (in materia di IVA), in Giust.
civ. Mass. 2007, 309; Cass., sez. trib., 8 settembre 2004, n. 18110 (in materia di IVA), in
Giust. civ. Mass. 2004, 2353.
(17) Cfr. Cass., sez. trib., 8 settembre 2004, n. 18110, cit.
(18) Cfr. D. Coppa, La prescrizione del credito tributario, cit., 57-59, secondo cui: «il
soddisfacimento della pretesa creditoria da far valere entro il termine prescrizionale è
subordinato allo svolgimento, entro termini stabiliti a pena di decadenza, dell’attività attra-
verso la quale viene esercitato il potere impositivo»; «compiuta tale attività, attraverso la
quale viene accertato il debito d’imposta, il diritto di credito non può ancora essere fatto
valere sino a che non sia intervenuta la definitività della pretesa impositiva nei confronti del
soggetto passivo del rapporto obbligatorio»; «da tale momento decorre la prescrizione del
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