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CAPITOLO

1: LA MENOPAUSA

1.1 FISIOPATOLOGIA DELLA MENOPAUSA

Si definisce menopausa spontanea la cessazione dei flussi mestruali protratta da

almeno 12 mesi consecutivi, dovuta all’esaurimento dell’attività follicolare ovarica,

escludendo che possa essere attribuita ad altre cause fisiologiche o patologiche [1].

L’età di insorgenza è variabile, con una media a livello mondiale di circa 50 aa, ma è

comunque considerata fisiologica se compare dopo i 45 anni: in Italia l’età media del

sopraggiungimento della menopausa spontanea è 50,8 anni. Il 95 % delle donne la

raggiunge tra i 45 e i 55 anni, mentre il 10% tra i 40 e i 45 anni.

Vari fattori influenzano l’età di insorgenza della menopausa soprattutto genetici,

etnici e legati allo stile di vita (è stato dimostrato che il fumo di sigaretta tende ad

anticiparla di 1,5-2 anni [2]).

Quando la cessazione dell’attività ovarica si verifica prima dei 40 aa parliamo di

menopausa precoce spontanea o POI (premature ovarian insufficiency), un fenomeno

che interessa l’1% delle donne italiane [3]. Viene diagnosticata sulla base

dell’insorgenza di amenorrea ipergonadotropa della durata non inferiore a 4 mesi,

associata ad aumento dei livelli di FSH (generalmente >30-40 IU/L) e riduzione dei

livelli di E2 (<50 pg/ml) controllati in almeno 2 valutazioni, eseguite a distanza di un

mese.

Nei due terzi delle donne con menopausa precoce non si ritrovano cause scatenanti e

viene definita idiopatica [4]. Negli altri casi può essere causata da:
- Alterazioni cromosomiche o genetiche,

- Malattie autoimmunitarie (sindrome polighiandolare autoimmune, sindrome di

Sjogren, miastenia grave, artrite reumatoide, LES, diabete mellito di tipo 1;

celiachia, ipotiroidismo, morbo di Addison)

- Deficit enzimatici o disturbi metabolici (galattosemia, emocromatosi)

- Cause infettive, virali, batteriche, protozoarie, soprattutto in pazienti con

infezione da HIV (parotite, infezione da CMV o tbc pelvica in pazienti

immunocompromessi) [5]

Parliamo di menopausa indotta quando se si verifica in seguito alla rimozione

chirurgica di entrambe le ovaie (con o senza isterectomia) o alla soppressione

iatrogena della loro funzionalità (per chemioterapia, radiazioni, farmaci antitumorali)

[6].

La menopausa spontanea è un fenomeno fisiologico determinato dall’ esaurimento

degli ovociti a cui segue la cessazione della funzionalità ovarica e della produzione

estrogenica. Il quadro clinico e ormonale della donna in questa fase è caratterizzato

da una serie di progressive modificazioni che iniziano negli ultimi anni del periodo

riproduttivo.

Nel 2001 lo Stages of Reproductive Aging Workshop (STRAW), ha proposto una

nomenclatura dei vari stadi dell’età riproduttiva, la quale è stata aggiornata nel 2011

dallo Stages of Reproductive Aging Workshop +10 [7].


La vita riproduttiva della donna è distinta nella fase fertile, nella transizione

menopausale e nella postmenopausa, distinguendo per ognuno di questi periodi le

principali caratteristiche:

• Stadio riproduttivo iniziale (stadio -5): fase caratterizzata da cicli mestruali che

possono avere caratteristiche da variabili a regolari;

• Stadio riproduttivo “al picco” (stadio -4): cicli mestruali regolari e massima

capacità riproduttiva della donna;

• Stadio riproduttivo tardivo (stadio -3): è il periodo in cui la capacità di

fecondazione inizia a ridursi, diviso in 2 sottostadi, -3b e -3a. Nel -3b, i cicli

mestruali rimangono regolari, FSH rimane stabile, ma AMH e conta dei follicoli

antrali si riducono. Nel -3a i cicli mestruali iniziano a diventare irregolari, FSH

aumenta, AMH e conta dei follicoli antrali si riducono molto;

• Transizione menopausale iniziale (stadio -2): incrementata variabilità nella

lunghezza dei cicli mestruali, FSH elevato con valori fluttuanti, AMH e conta

dei follicoli antrali molto bassa;

• Transizione menopausale tardiva (stadio -1): cicli mestruali irregolari con

periodi di amenorrea anche di 60 giorni o più, FSH elevato (>25 IU/L), sintomi

vasomotori. Tale stadio può avere una durata di 1-3 anni;

• Post-menopausa iniziale (stadio +1a,+1b,+1c): lo stadio +1a definisce la fine

dei 12 mesi di amenorrea richiesti per parlare di menopausa, lo stadio +1b

include l’ultima parte dei rapidi cambiamenti che interessano FSH ed


estradiolo, in cui prevale la sintomatologia vasomotoria. Lo stadio +1c

rappresenta la fase di stabilizzazione degli alti valori di FSH e dei bassi valori di

estradiolo;

• Post-menopausa tardiva (stadio +2): i sintomi predominanti diventano quelli

associati all’atrofia urogenitale.

Lo stadio riproduttivo «al picco» definisce la massima capacità riproduttiva della

donna.

Lo stadio riproduttivo tardivo vede la riduzione della fertilità, pur mantenendo una

normale ciclicità mestruale. In questa fase i follicoli iniziano a perdere la capacità di

produrre inibina, una glicoproteina coinvolta nell’inibizione della produzione e

secrezione di FSH, e AMH (ormone antimulleriano), indice della riserva ovarica.

Cominciamo ad osservare inoltre un lieve aumento dell’FSH.

In premenopausa si verifica un progressivo aumento di FSH e LH, a cui

corrispondono fluttuanti concentrazioni di E2; successivamente si cominciano a

verificare raccorciamento della fase follicolare, insufficienza del corpo luteo ed

iperestrogenismo relativo. A causa dell’instabilità dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio il

quadro clinico è caratterizzato principalmente dalle irregolarità mestruali,

rappresentate inizialmente dall’alternanza di polimenorrea, oligomenorrea e

menorragie. In seguito si cominciano ad avere sempre maggiori cicli anovulatori che


si accompagnano a periodi oligomenorrea sempre più prolungati e frequenti, fino alla

definitiva cessazione delle mestruazioni.

L’aumento di FSH continua progressivamente fino ad associarsi al calo degli

estrogeni conseguente alla perdita di funzionalità ovarica. All’insorgere della

menopausa permangono nelle ovaie solo alcune centinaia di ovociti che tuttavia

perdono la capacità di rispondere agli stimoli delle gonadotropine, producendo

progressivamente minori quantità di estrogeni, androgeni e altre sostanze quali

inibina ed ormone antimulleriano (AMH).

Il quadro endocrino che si osserva durante la menopausa conclamata è quindi

caratterizzato da:

- Elevati livelli di FSH ed LH

- Bassi livelli di Estradiolo

- Diminuiti livelli di Androgeni (Androstenedione e Testosterone)

- Totale assenza di Progesterone

1.2 MANIFESTAZIONI CLINICHE POST MENOPAUSA

Con il sopraggiungere della menopausa conclamata si verificano numerosi

cambiamenti che coinvolgono tutti gli organi e apparati dell’organismo femminile.


A livello sistemico il calo degli estrogeni e l’iperandrogenismo relativo comportano

precocemente la comparsa di sintomi vasomotori e psicologici, a cui possono seguire

con il passare degli anni, atrofia genitourinaria, disturbi della sfera sessuale, patologie

osteoporotiche e cardiovascolari.

Il sintomo precoce maggiormente riportato dalle donne in menopausa è rappresentato

dalle vampate di calore, che affliggono circa l’80% delle pazienti.

Sono percepite e riferite come improvvise sensazioni di calore, per lo più localizzate

al viso, frequentemente associate a profuse sudorazioni, specialmente nelle ore

notturne, della durata variabile da 60/90 secondi ad alcuni minuti. Sono

frequentemente seguite da sensazioni di freddo e il fenomeno nel suo insieme

dipende da una instabilità vasomotoria correlata alla carenza degli estrogeni e alle

modifiche dei sistemi noradrenergico, dopaminergico ed oppioide.

Tipico di questa fase della vita è la comparsa dei disturbi del sonno e variazioni

dell’umore. Le fasi del sonno sono squilibrate e il riposo notturno è disturbato e a

volte diviene praticamente impossibile: la fase di attesa del sonno si allunga, la durata

del sonno si accorcia causando ripercussioni sulla ripresa delle attività quotidiane. Le

donne con disturbo del sonno sono infatti frequentemente nervose e irritabili, e viene

a ridursi la loro capacità ideativa, la memoria e la concentrazione.

Frequenza e intensità delle manifestazioni cliniche variano nelle varie fasi del periodo

menopausale: i sintomi vasomotori risultano più intensi durante la fase di transizione


menopausale tardiva e l’inizio della postmenopausa, con una prevalenza compresa fra

60 e 80% delle donne; i disturbi del sonno si presentano nel 32-40% nella fase

iniziale della transizione menopausale, incrementando, fino al 45% nella

postmenopausa; disturbi vaginali e urinari sono più frequenti nella postmenopausa,

con una prevalenza 3 anni dopo la menopausa del 47% e del 14% rispettivamente [8].

Più del 60% delle donne in peri-postmenopausa presenta un declino di almeno uno

degli aspetti della sfera sessuale (desiderio, frequenza dei rapporti, capacità di

raggiungere l’orgasmo e soddisfazione) [9].

Considerata la diversa frequenza e intensità della sintomatologia climaterica, sembra

che altri fattori siano implicati nella genesi e nel mantenimento delle varie

manifestazioni cliniche: fattori psicosociali, stile di vita, classe socioeconomica ed

etnia di appartenenza. Risultati di studi hanno dimostrato che l’aumento della

maggior parte dei sintomi e dei problemi delle donne di mezza età, riflette circostanze

sociali e personali e non solo fenomeni endocrini legati alla menopausa.

1.3 MODIFICAZIONI METABOLICHE

La riduzione degli estrogeni aumenta la probabilità di patologia coronarica, attraverso

alterazioni nei meccanismi che regolano componenti metaboliche lipidiche e

glucidiche e la risposta vascolare [10].

Durante l’età fertile gli estrogeni esercitano effetti benefici sui livelli dei lipidi nel

sangue favorendo il mantenimento di livelli elevati di lipoproteine ad alta densità

(HDL) con la sintesi di apoproteina A1 (principale frazione proteica per la sintesi


delle HDL che agevola l’allontanamento del colesterolo dal circolo) e di bassi livelli

di lipoproteine a bassa densità (LDL), che risultano essere al contrario, fattori

aterogenici.

Inoltre la presenza di recettori per gli estrogeni a livello endoteliale rivela un ulteriore

ruolo protettivo sulle pareti vasali. Essi favoriscono la vasodilatazione, mediante

l’aumentata produzione di fattori rilassanti (EDRFs, endothelial relaxant factors) e la

diminuita produzione di fattori contraenti (EDCFs, endothelial contraent factors),

contribuendo a ridurre la probabilità di formazione di placche ateromatose.

I cambiamenti nel profilo lipidico sono evidenti spesso già nella premenopausa, e

sono rappresentati da:

- Aumento dei trigliceridi, del Colesterolo totale e LDL,

- Riduzione dei livelli medi di HDL

- Aumento dei livelli circolanti di Lipoproteina a

Nella pazienti con storia familiare per malattia aterosclerotica coronarica che

presentano elevati livelli di lipoproteina a, il rischio di sviluppare malattia coronarica

è alto. Inoltre esiste un rapporto di inversa proporzionalità fra livelli di HDL e

patologia cardiaca. Il ruolo delle HDL è quello di limitare il metabolismo ossidativo

delle LDL, pertanto i bassi livelli circolanti rappresentano un importante fattore di

rischio cardiovascolare, anche in presenza di valori normali di colesterolo totale e

LDL.
La menopausa rende la donna particolarmente vulnerabile alla patologia

cardiovascolare anche per le significative alterazioni emodinamiche responsabili di

alterata pressione arteriosa [11]. Dati di un ampio studio, condotto su donne di età

compresa tra 45 e 65 anni analizzate per la fascia d’età di insorgenza della

menopausa (menopausa precoce, menopausa tardiva e periodo postmenopausale),

hanno evidenziato che il significativo e progressivo incremento dei fattori di rischio,

rappresentati dall’ipertensione e dai cambiamenti metabolici, erano il risultato della

menopausa e non strettamente correlati all’invecchiamento: la percentuale di ipertese

aumentava dal 7% in perimenopausa al 12% in postmenopausa [12]

L’aumento della pressione arteriosa è conseguenza di modifiche che causano una

diminuzione della compliance vascolare:

- Incremento dei livelli di catecolammine circolanti

- Riduzione della sintesi di ossido nitrico

- Aumento della biodisponibilità di mediatori di vasocostrizione (trombossano,

endoteline)

- Diminuzione del numero e della sensibilità dei recettori estrogenici in sede

endoteliale

A questi fattori di rischio cardiovascolare si aggiungono modifiche a carico di

alcuni marcatori di danno vascolare e dell’emostasi, in senso protrombotico, come

la riduzione dell’attività fibrinolitica.


Questa situazione viene aggravata dalle modifiche che si verificano a carico del

metabolismo glucidico caratterizzate da:

- Riduzione della tolleranza al glucosio

- Progressivo aumento dell’insulino resistenza

- Aumento del rischio di sviluppare diabete tipo II

- Aumento del BMI (body mass index)

- Modificazione della composizione corporea con aumento dell’obesità centrale

Si osservano frequentemente cambiamenti relativi alla quantità e alla disposizione

della massa grassa: all'aumento di peso si associa un accumulo preferenziale di grasso

in sede addominale (distribuzione “a mela” od androide) mentre precedentemente la

distribuzione era di tipo periferico (cosce e glutei o distribuzione “a pera” o

ginoide). L’accumulo di grasso a livello addominale è indice di maggiore rischio di

sviluppare malattie metaboliche (diabete, sindrome metabolica) e cardiovascolari

(infarto, ictus) ma anche il tumore della mammella [11]. L’incremento di massa

grassa e l’aumento del grasso viscerale contribuiscono nella donna in menopausa a

ridurre la sensibilità all’insulina sia dei muscoli sia del tessuto adiposo, in un quadro

dismetabolico associato all’aumento di rischio di diabete.


Il TSH tende ad aumentare con l’età e con il sopraggiungere della menopausa. La

patologia tiroidea subclinica è riscontrata nel 23% delle pazienti, mentre un

ipotiroidismo conclamato raggiunge percentuali del 74% [10].

1.4 EFFETTI SUL TESSUTO OSSEO

Gli estrogeni intervengono attraverso vari meccanismi nella regolazione del

metabolismo scheletrico, svolgendo un ruolo protettivo. Sono in grado di inibire il

turnover osseo, cioè riducendo sia il riassorbimento che la neoformazione, stimolano

la sintesi di calcitonina, determinano un incremento dei recettori per la vitamina D a

livello dell’intestino tenue e la sua metabolizzazione [14].

L’osteoporosi è un’affezione caratterizzata dalla riduzione della massa ossea e dal

suo deterioramento microarchitetturale. La perdita di tessuto interessa sia la matrice

organica che quella inorganica, rendendo l’osso più fragile e aumentando di

conseguenza il rischio di fratture spontanee.

Sono considerate “primitive” le forme di osteoporosi postmenopausali e senili,

“secondarie” quelle determinate da un ampio numero di patologie e farmaci [15].

La caduta della produzione ovarica di estrogeni è la condizione responsabile

dell’osteoporosi postmenopausale. La demineralizzazione ossea che consegue al

fisiologico processo di invecchiamento viene infatti ad essere accelerata ed aggravata

dalla condizione di ipoestrogenismo.


Dati italiani evidenziano la presenza di osteoporosi nel 32% delle donne di età

compresa fra i 60 e i 69 anni e nel 45% delle donne fra i 70 e i 79 anni [16] [17]

La densità ossea diminuisce di 1-2 % ogni anno dopo la menopausa e il calo è

particolarmente evidente entro i primi 5-10 anni della menopausa. Immediatamente

dopo il sopraggiungere della menopausa si ha una fase di alto turnover osseo,

particolarmente evidente a carico dell’osso trabecolare, e quindi a carico della

colonna, con possibili fratture spontanee da schiacciamento. Questa fase è tanto più

intensa, tanto più precocemente insorge la menopausa [18].

L'osso trabecolare è infatti caratterizzato da una ricca vascolarizzazione e risente più

precocemente di tutti i possibili modificazioni endocrino-metaboliche dell'individuo.

Quindi per il suo elevato turnover, l'osso trabecolare è il primo ad andare incontro ai

processi di osteoporosi postmenopausale, che invece compaiono più tardivamente a

livello dell'osso corticale.

La perdita associata all'invecchiamento si aggira intorno a circa 1% per anno, mentre

la quota di decremento osseo correlata all'ipoestrogenismo si aggira mediamente

intorno al 2-3 % per anno nei primi 10 anni dalla menopausa [19]. E’ stato dimostrato

che la perdita di massa ossea conseguente alla ridotta produzione di estrogeni, a

livello della colonna vertebrale, inizia già 1.5 anni prima dell’ultimo ciclo mestruale;

la BMD (Bone Mass Density) si riduce del 3% circa l’anno e prosegue per 5 anni. A

livello dell’anca, la BMD declina dello 0.5% - 2%/anno nella perimenopausa e poi

del 5-7%/ anno in menopausa [20].


Il tessuto trabecolare è quello che risente maggiormente dell’ipoestrogenismo

menopausale. Tuttavia, la carenza ormonale colpisce in misura analoga il tessuto

corticale, per cui anche a livello femorale nella donna il decremento della densità

ossea è quasi interamente dovuto a fattori ormonali e non all’invecchiamento. La

differenza sta nella velocità di perdita, che nell’osso corticale è minore e richiede più

tempo per evidenziarsi in tutta la sua gravità.

Nel tessuto osseo trabecolare, prevalentemente rappresentato a livello della colona

vertebrale, l'osteoporosi è caratterizzata da un assottigliamento delle trabecole che

appaiono più fini e frammentate. Nell'osso compatto, l'osteoporosi si manifesta con

una riduzione dello spessore della corticale e un allargamento dei canali haversiani,

sino a giungere nei casi estremi alla spongiosizzazione della compatta.

La diagnosi di osteoporosi si basa sulla valutazione del contenuto minerale dell’osso

eseguita con una tecnica radiologica, la densitometria ossea, che rappresenta la

tecnica di quantificazione della massa ossea e quindi il test diagnostico di osteoporosi

e di rischio di frattura. Il parametro di riferimento è la “Bone Mineral Density”

(BMD) in g/cm2 di superfice ossea proiettata. Per uniformare e rendere comparabili i

valori, questi vengono espressi in T-score che rappresenta la differenza del valore

individuale rispetto a quello medio di giovani donne adulte sane (Picco di massa

ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard del suddetto picco

(T-score). È stato osservato che il rischio di frattura inizia ad aumentare in maniera

esponenziale con valori densitometrici di T-score < -2.5 SD.


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