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Sommario
Introduzione ................................................................................................................................. 2
Bibliografia .................................................................................................................................. 18
1
Introduzione
2
popolo ebraico”3. La soluzione assimilazionista, che al tempo di Strauss aveva
un importante esponente in Hermann Cohen4, non risolveva il problema della
discriminazione sociale, e richiedeva al popolo ebraico una forma di “schiavitù
interiore”5, cioè l’omologazione in cittadini6. Diversi saggi del 1923 tuttavia,
testimoniano l’insoddisfazione di Strauss pure rispetto a questa soluzione. Agli
occhi di Strauss il movimento sionista si propone come una soluzione “umana”
interna al pensiero politico liberale: a partire dai presupposti teorici del
movimento sionista, non la terra di Israele, ma uno stato legittimo qualsiasi
sarebbe stato la rivendicazione legittima del popolo ebreo7. Il ritorno
all’ebraismo a cui Strauss aderisce, attraverso Rosenzweig, è invece caratterizzato
da un ritorno all’ortodossia. Tale ritorno sarebbe stato possibile solo nel caso in
cui l’Illuminismo, che pretende di aver confutato l’ortodossia, si trovi nel torto.
Le obiezioni a Cohen
der philosophiscen Lehre Fr. H. Jacobis in cui si occupa di Spinoza, ma che non viene solitamente
presa in considerazione dagli studi sul soggetto in esame.
3
(1915). In Cohens Analyse der Bibel-Wissenschaft Spinozas (1924), Strauss si concentra
innanzitutto sul metodo con cui il neo-kantiano Cohen ha condotto la sua aspra
critica del Tractatus Theologico-Politicus, contrapponendo alla lettura di questi un
approccio da lui definito storico-critico10. La principale accusa che Cohen rivolge a
Spinoza è quella di aver messo insieme, nel Tractatus, due tematiche inconciliabili:
da un lato, la critica letteraria della Bibbia, dall’altro il pamphlet politico (per conto
del politico olandese Jan de Witt)11; in altre parole, da un lato il problema
scientifico-filologico, dall’altro quello politico-propagandistico. Per spiegare tale
accostamento, ritenuto “innaturale”12, Cohen ricorre ai fatti della vita di Spinoza,
in particolare al risentimento che Spinoza avrebbe provato verso il popolo
ebraico in seguito alla scomunica. Ma l’accostamento della tematica religiosa e di
quella politica, argomenta Strauss, è motivata dal contesto storico in cui vive
Spinoza, quello dell’Olanda del XVII secolo. Cohen contesta a Spinoza
l’argomentare ad hominem contro il popolo ebraico, ma il procedere di
quest’argomentazione, spiega Strauss, è sufficientemente motivato dall’uso
politico strumentale che la chiesa protestante, in particolare quella calvinista,
faceva della Scrittura. Per Strauss il Tractaus è un “evento cristiano-europeo”, il
bersaglio polemico non è la tradizione ebraica, che Cohen contesta a Spinoza di
mettere in ridicolo in favore del cristianesimo, ma il carattere inintelligibile della
rivelazione che si declina in entrambe le confessioni, e che si presenta come un
veto tanto al libero filosofare quando alla fondazione razionale dello stato
liberale. I Calvinisti olandesi si rifacevano infatti all’Antico Testamento come
modello politico, proponendo la Scrittura come fonte di legittimazione del
potere politico alternativa allo Stato liberale13. Nel decostruire il Dio-Re degli
ebrei, Spinoza tenta di delegittimare queste pretese, a partire appunto dall’analisi
tra Dio e il popolo eletto. Basti ricordare che il sola Scriptura, prima di essere il
principio esegetico adottato da Spinoza, fu uno dei principi guida (e grido di
battaglia ideologico) alla base della Riforma:
10 Cfr. L. Strauss, Cohens Analyse der Bibel-Wissenschaft Spinozas (1924), ora in Strauss (2000), p.
140.
11 Ivi, p. 141.
12 Ibid., cfr. nota 9.
13 Ivi, p. 145.
4
per i protestanti di quel periodo, la Parola di Dio, la rivelazione, la religione
universale, la legge divina e la fede; tutte queste cose, se non identiche,
erano certamente di uguale valore.14
Dunque è evidente che, sotto questo aspetto, Spinoza sia coerente con il
proposito esplicito del Tractatus, e cioè, quello di rendere autonoma la filosofia
dalla teologia. Se la conoscenza della natura è conoscenza mediata di Dio, per il
filosofo è una questione di “vita o di morte”15 per l’indipendenza del suo sistema
giudicare se la Scrittura, in quanto presume di essere conoscenza vera di Dio, sia
una fonte di conoscenza legittima: dalla sistemazione teoretica della fede dipende
l’autonomia della ragione16.
riferimenti alle opere di Spinoza, se non diversamente faccio riferimento all’edizione con testo
a fronte indicata in bibliografia). Per un resoconto critico sul secondo grado di conoscenza vedi
Spinoza (1988) nota 92, p. 383-384.
18 Cit. Strauss (1924), p. 150.
19 Cit., ivi, p. 151.
20 Cit. ivi, p. 150, corsivo mio.
5
Il contributo esegetico della Religionskritik
Per comprendere in modo “radicale” gli argomenti dei critici bisogna risalire
alle loro “motivazioni”. Da Cohen Strauss mutua, dopo averne polemizzato le
conclusioni, i presupposti della ricerca: risalire agli “originari interessi del cuore”
per cui la coscienza umana può pervenire al rifiuto della rivelazione, nel caso
emblematico del popolo ebraico, alla distruzione di “un mondo meraviglioso”23:
In questa sua ricerca, che è stata chiamata anche critica del presupposto25, Strauss
si concentra dapprima su Epicuro e sulla ricezione lucreziana della sua filosofia.
6
Nell’interpretazione di Strauss, la filosofia di Epicuro è l’unica a godere de
“l’unità e della coerenza della sua intenzione”26, poiché essa non dipende da
alcun sistema di filosofia naturale per il conseguimento del suo fine, che è la
liberazione dell’uomo dal timore. Tale liberazione non è una conseguenza
necessaria dell’atomismo di Democrito: la motivazione della filosofia di Epicuro
è superiore ai rimedi prescritti da Epicuro, e dunque non è arginabile ad alcuna
scuola filosofica. In quanto tale, essa è “l’espressione di un moto di rivolta
umano e universale”27 contro la religione. Nel pensiero di Epicuro, religione e
scienza (filosofia naturale) si trovano da un punto di vista teoretico sullo stesso
piano, sono entrambi mezzi attraverso i quali l’uomo può rivolgersi per
conseguire l’atarassia, e quindi l’eudaimonia. Ma a tal fine, solo la scienza si rivela
un mezzo adeguato, seppur provvisorio28, mentre la religione, in particolare
l’arbitrio attribuito agli dei costituisce il maggior ostacolo al raggiungimento del
sommo bene.
Gli autori del XVII secolo che si cimentano nella critica della religione si
trovano a maneggiare altre importantissime variabili, in primo luogo, il fatto che
la critica debba rendere conto in qualche modo dei contenuti testamentari, ossia
della Scrittura. Si tratta in realtà di un problema non nuovo per i filosofi e i
teologi medioevali arabi ed Europei, che trova la sua soluzione metafisica
teoricamente più rilevante nell’opera di Tommaso D’Aquino, per il quale gratia
supponit et perficit naturam. Ma per ragioni che non possiamo ricostruire in questa
sede, insieme al disordine sociale, eventi culturali come l’opera politica di
Machiavelli, le osservazioni astronomiche e filosofiche di Galileo e il sistema di
Descartes (solo per citare gli eventi culturali di maggior rilievo) destabilizzano
fino alle fondamenta il matrimonio tra metafisica e teologia.
asservirsi al fato dei filosofi naturalistici; perché i miti hanno quasi impressa in sé la speranza
che gli dei possano cedere alla preghiera e agli onori che a essi vengono tributati, il fato dei
filosofi naturalistici ha invece una necessità inflessibile”, Diogene Laerzio, X, 134 [vol. II, p.
443], citato in Strauss (2003). Questa considerazione, prosegue Strauss (cfr., ibid.), è tuttavia
oscurata dalla celebrazione lucreziana della scienza, interpretazione che frequentemente media
la ricezione di Epicuro in epoca moderna.
7
sommo bene, “scopo supremo del desiderio”29 ma una pratica volta a fuggire il
“sommo male”30. Rispetto ai filosofi classici, non più la vita buona (nel caso di
Epicuro, la vita priva dal timore degli dei e della morte) ma la vita in quanto tale
costituisce il bene primario, la conditio sine qua non31 dell’uomo fisicamente ridotto
alla sua corporeità32. Per costui, la felicità consiste nella soddisfazione sensuale33
che la ragione può orientare e perfezionare ma dalla quale non può prescindere.
La morte dunque, ma non in quanto tale, la morte violenta (spettro del tempo in
cui vive) è il sommo su cui Hobbes costruisce il suo sistema. In questa
antropologia negativa, la rivelazione non ha posto, perché la fisica ha escluso la
possibilità di conoscere Dio: l’unica forma di conoscenza possibile è quella
causale, e dunque, Dio, in quanto essere non-causato, è inconoscibile. Scrive
Strauss:
Hobbes non è ateo, nel senso teoretico del termine, ma la sua ‘vera
religione’ resta un fenomeno marginale, privo di significativa influenza nel
suo pensiero e nel suo modo di sentire. Lo spirito positivo, per il quale la
ragione non è altro che moderazione, si limita a ciò che appare veramente
accessibile allo spirito finito […] Dall’agnosticismo di Hobbes all’ateismo
c’è un solo passo, che il filosofo non ha per altro compiuto.34
potere e diritto, e professa il diritto naturale in tutte le passioni. Hobbes, invece, in virtù del
fondamento della sua filosofia politica, che non è naturalistico bensì morale, sostiene il diritto
naturale solo della paura della morte”, L. Strauss, La filosofia politica di Hobbes, p. 349, cit. in
Altini (2009), p. 51.
8
l’antropologia dell’Ethica e le tesi del Tractatus Politicus, che costituisce, rispetto al
Tractatus Theologico-politicus, una formulazione più “chiara e rigorosa” delle
conseguenze implicite al sistema dell’Ethica. Prima contro i moralisti37, ora
contro i “filosofi”, Spinoza polemizza contro chiunque attribuisca all’uomo “un
libero potere sulle sue azioni, indipendentemente dall’universale causalità
naturale”38. Nella vita politica della moltitudine, lo ius sive potentia si declina in
regimi politici differenti. La forma dello Stato, alla luce di questa equivalenza,
equivale alla potenza della moltitudine costituisce quel particolare Stato:
“l’umana potenza, l’essere dell’uomo, si dà solo dentro lo Stato”39, e il grado
maggiore di potenza (d’accordo con l’Ethica) si dà nella libertà (nell’accezione
spinoziana del termine40). Questa continuità, scrive Strauss, che permette a
Spinoza di includere la libertà nelle aspirazioni non solo legittime ma necessarie
alla vita del popolo:
Spinoza è consapevole che il bene del popolo non richiede solo la pace:
anche la teocrazia e la monarchia assoluta sarebbero in grado di garantirla,
ma si tratterebbe della pace del deserto, senza pericoli e senza poteri: vera
pace è solo quella in virtù della quale il popolo vive di vita propria e non
per l’utile altrui.41
9
essere accettata dalla multitudo a prescindere dal suo carattere “rivelato”45. Più
profonda e ambiziosa di quella di Hobbes, l’esegesi spinoziana pretende di
penetrare la Scrittura per rimuovere il pregiudizio verso il suo sistema filosofico:
si tratta di confinare all’imaginatio l’idea di un Dio trascendente46, per cui la Legge,
è quella iscritta nell’ordine naturale, immanente, dell’universo. Una volta rimosso
il pregiudizio verso il carattere trascendente della rivelazione, la Scrittura non
diventa altro che un libro “umano”47, uno strumento di rivendicazione politica
inservibile per i regimi intolleranti, e al contrario, un supporto imprescindibile
per quell’idea di Stato democratico e liberale che Spinoza è convinto essere la
migliore48.
Fin qui abbiamo illustrato gli aspetti costruttivi della lettura di Strauss, che ha il
merito più volte sottolineato di ricondurre a unità e coerenza il pensiero di
Spinoza. Il presupposto fondamentale alla base dell’esegesi di Spinoza, cioè della
sua critica della religione rivelata in quanto tale, è che la Bibbia sia un libro
umano. Ma tale presupposto è valido? In altre parole, Spinoza riesce
effettivamente a delegittimare la posizione ortodossa, paradigmaticamente
espressa da Willelm Van Blijenberg nell’epistola XX49 del carteggio con Spinoza?
La risposta di Strauss è negativa. La rivelazione si pone, in quanto tale50, su un
piano che diverso da quello della ragione, della “critica positiva”. Annullare il
carattere trascendente della rivelazione costituisce a sua volta un atto di fede nella
ragione indimostrabile al pari dell’indimostrabilità della trascendenza divina.
Questo, argomenta Strauss, è particolarmente evidente dal caso della critica al
miracolo. Rispetto al miracolo, la critica positiva non può che affermarne
45Cit.,ibid.
46 Allo stesso modo in Ethica, parte II, prop. XL, scol. I e II, Spinoza colloca gli elementi
“trascendentali” della gnoseologia classica e medievale.
47 “La Scrittura è un libro umano: in quest’affermazione si raccolgono tutti i capisaldi
dell’esegesi biblica spinoziana; il senso del termine ‘umano’ è infatti qui concretamente
determinato dalla concezione dell’uomo esplicitata nell’Ethica,” cit., Strauss (2003), p. 255.
48 Strauss aggiunge a piè di pagina l’origine storica di questo pregiudizio, ossia l’indipendenza
è il Verbo di Dio, cioè che proviene da Dio supremo e perfettissimo, che comprende in sé più
perfezioni di quante io ne possa comprendere”, corsivo mio.
50 Cfr., Strauss (2003), p. 9.
10
l’inconoscibilità: l’appello del filosofo alla continuità delle leggi della natura non
ha presa sulla credenza nel miracolo che per definizione è un evento
straordinario rispetto a tale continuità. Che il sistema filosofico si ponga su un
piano superiore rispetto a quello della “credenza”, è qualcosa da dimostrare sul
piano metafisico. Ma su questo piano, anche una volta dimostrata la perfetta
coerenza interna al sistema, la verità dei suoi principi rimane, secondo Strauss,
qualcosa di indimostrabile dal punto di vista della critica positiva, per cui
l’adesione ai principi della metafisica si pone sullo stesso piano teoretico
dell’adesione ai dogmi della fede rivelata. Alla luce di considerazioni di questo
tipo, la critica alla religione si rivela un pregiudizio storico:
La prospettiva della volgarità formale e materiale della Bibbia, cioè della sua non
scientificità, faceva tutt’uno con l’idea della superiorità dello spirito scientifico
rispetto alla Bibbia stessa. In un’epoca in cui la scienza era concepita quale ricerca
in continuo progresso, mai definitiva e compiuta, tale superiorità dovette
inevitabilmente intendersi come il segno di una fase più avanzata del pensiero
dell’uomo.51
Nella Prefazione a una raccolta di saggi53 redatti fra il 1941 e il 1948 (fra cui,
Persecution and the Art of Writing, e How to Study Spinoza’s Theologico-political Treatise)
11
Strauss argomenta l’urgenza di una “sociologia della conoscenza”54. Tale
necessità scaturisce dall’osservazione che esiste un considerevole scarto, in
favore del primo, fra il livello di studio della scolastica cristiana e quello della
filosofia medievale islamica ed ebraica. La ragione di tale scarto, secondo Strauss,
soggiace al fatto che:
Contro lo storicismo Strauss elabora una particolare ermeneutica del testo, per
cui gli elementi di comunicazione indiretti, gli artifici retorici, diventano di
fondamentale importanza per la comprensione del significato. In Persecution and
54 Cit., Strauss (1952), p. 8. Da qui in poi sono l’autore della traduzione dei passi e delle
espressioni riportate da questo testo. .
55 Cit., ibid.
56 Cfr., Altini (2000), pp. 109-114.
57 Cfr. Strauss (1948) ora in Strauss (1952), p.158.
58 Cit., Strauss (1948), p. 158.
12
The Art of Writing (1941) Strauss elabora i concetti fondamentali di
quest’ermeneutica, la lettura “fra le righe”, l’influenza della persecuzione
politicale e sociale sulla stesura di un testo e la conseguente distinzione fra
contenuti esoterici ed essoterici. Particolare importanza riveste il silenzio, la
reticenza: poiché si tratta, nel caso di pensatori estremamente acuti (e cauti), di
una reticenza volontaria59, per cui il lettore contemporaneo deve prestare la
massima attenzione al significato del tacere su qualcosa che in quel momento
l’autore poteva e avrebbe dovuto dire.
In questo quadro teorico Strauss ritorna a Spinoza con un saggio dal titolo How
to Study Spinoza’s Theologico-political Treatise (1948), che costituisce un banco di
prova per la sua ermeneutica e un importante anello di congiunzione fra la sua
produzione intellettuale giovanile e matura. Qui Strauss descrive due livelli di
lettura di un testo. Il primo livello consiste nell’interpretazione di un testo. Con
questo Strauss intende “accertare ciò che il parlante dice e come attualmente egli
ha concepito”60, senza prendere in considerazione se egli si sia espresso
esplicitamente al riguardo, o meno61. Il secondo livello di lettura consiste nella
spiegazione, cioè nell’accertare le implicazioni di quelle proposizioni di cui il
parlante era “inconsapevole” [unaware]62. Nel caso dell’interpretazione della
Bibbia, Strauss constata che il suo metodo e quello di Spinoza divergono. Il
principio ermeneutico di Spinoza consiste nel dire che la Bibbia dev’essere
compresa esattamente per sé stessa63; il principio di Strauss è invece comprendere
la Bibbia esattamente per come è stata compresa dai suoi autori e dai suoi
compilatori64. Fin qui Strauss è in linea con la prospettiva della Religionskritik,
l’apertura all’analisi storico-filologica della Bibbia è possibile solo in seguito alla
negazione del carattere rivelato della Scrittura, negazione non razionalmente
argomentabile ma frutto del pregiudizio storico della ragione moderna65. Ma a
13
questo punto Strauss cambia le carte in tavola, chiedendosi se questa
sistemazione sia sufficiente, ovvero, se effettivamente queste conclusioni
seguono dalla nuova linea interpretativa proposta se applicata agli scritti di
Spinoza. Per quanto riguarda la concezione del Tractatus, non c’è dubbio,
secondo Strauss che si tratti di un’opera pensata per essere intelligibile (a
differenza dei “geroglifici” biblici). Per comprendere dunque Spinoza, dobbiamo
considerare che Spinoza si rivolge più ai posteri che ai suoi contemporanei. Per
questo la ricostruzione delle fonti utilizzate da Spinoza, le spiegazioni contenute
nell’Epistolario e rivolte ai suoi contemporanei, sono di importanza trascurabile
rispetto alla sua interpretazione. C’è da tenere presente tuttavia, qualcosa che
Spinoza non ha calcolato nel progettare la sua ricezione, e cioè, la decadenza del
linguaggio filosofico da lui adottato. Nello specifico, per comprendere Spinoza
è necessario ricostruire il contesto da cui prende avvio il punto di vista di Spinoza
ma che non poteva essere esplicito nelle sue opere66, e questo perché: “nessuno
può dire tutto senza essere tedioso per tutti”67. Questo elemento “reticente”
necessario per la comprensione di Spinoza, consiste, secondo Strauss, nelle
indicazioni lasciate dal filosofo sparse e in maniera accidentale nei testi, dalle
citazioni di passaggio di “testi mediocri”, e di classici della cui lettura il peso viene
trascurato o omesso nella trattazione (ad. Es. Platone, Aristotele, Epicuro,
Democrito). Preliminarmente a ulteriori livelli di interpretazione dunque,
bisognerebbe prima esaminare i “silenzi” di Spinoza, silenzi riguardo a ciò che
gli doveva essere familiare o la cui menzione sarebbe stata necessaria alla
trattazione, poiché: “la soppressione di qualcosa è un’azione deliberata”68.
14
contraddizioni individuate nel Tractatus70, Strauss propone di applicare il metodo
a sua volta utilizzato da Spinoza per risolvere le eventuali contraddizioni (da lui
ritenute tali) fra l’insegnamento di Dio (nell’Antico Testamento), di Gesù (nei
Vangeli) e dell’apostolo Paolo. Adeguare l’espressione all’opinione dell’auditorio
dunque, non vuol dire semplicemente esprimere la stessa dottrina in un
linguaggio meno sofisticato: a livello esoterico il Tractatus è un testo destinato a
chi desidera iniziarsi alla filosofia71, a chi dispone di un intelletto sufficientemente
acuto da individuare le contraddizioni di ogni soluzione conciliatrice fra sapientia
e superstitio e dunque muovere dalla seconda alla prima.
15
dall’osservanza dei valori tradizionali e specificatamente religiosi. Il pensiero di
Strauss nel suo complesso, è dunque caratterizzato dalla tensione irrisolta tra
verità filosofica e verità religiosa o politica74. Ci sembra lecito affermare che
Spinoza sia stato per Strauss un autore paradigmatico rispetto alla tematizzazione
di questa cesura. Il tema dell’abisso fra il saggio e la moltitudine, caratterizzato
già nella Religionskritik nelle sue implicazioni teoretiche e politiche, è il cardine
dell’ermeneutica del pensiero classico su cui la produzione matura di Strauss si è
andata concentrandosi. Qui la figura sociale del filosofo si contrappone a quella
della città, identificata con la sofistica75. Nella lettura di Platone Strauss ritroverà
quella strategia della reticenza già esplorata nei sondaggi del Tractatus Theologico-
politicus. Il principio del “Caute” eleva Spinoza, dal punto di vista straussiano, alla
profondità dei Classici. È in questo senso che Spinoza viene a caratterizzarsi
come “Un moderno alla maniera degli antichi”76. Ma è appropriato parlare di
questa distanza incolmabile nel caso di Spinoza? Su questo punto è stato
sottolineato polemicamente che la caratterizzazione del sapiente nello Spinoza
di Strauss sia eccessivamente individualistica, un appiattimento sul modello
cartesiano77 che non rende giustizia alla ricchezza del pensiero spinoziano, al
“primato ontologico” della moltitudine, all’apertura verso l’altro latu sensu e non
solo indirizzata all’adepto78. Recuperando la sua stessa argomentazione del ’24,
si potrebbe contestare allo Strauss successivo che non è così per Spinoza, per il
quale l’immaginazione è pur sempre un genere di conoscenza79. Questo primo
genere di conoscenza, l’opinione o immaginazione, è l’unica causa della falsità80,
poiché solo le conoscenze del secondo81 (conoscenza di nozioni comuni e idee
adeguate delle proprietà delle cose) e del terzo82 (conoscenza adeguata
dell’essenza formale di certi attributi di Dio) genere sono necessariamente vere,
e dunque, criteri di verità per distinguere il vero dal falso83. Ma Spinoza non
accosta all’analogo principio della morale provvisoria, in particolare in Strauss (1948), pp. 182-
189.
78 R. Caporali, op. cit., p. 286.
79 Cfr., Ibid.
80 Cfr., Ethica, parte II, prop. XLI e dimostrazione.
81 Ethica, prop. XL, scol. II.
82 Cfr., Ibid.
83 Cfr., Ethica, prop. XLII e dimostrazione.
16
scrive che l’opinione in quanto tale è necessariamente falsa. Anzi, alla luce di una
conoscenza superiore, filosoficamente adeguata, è possibile discernere le
opinioni false da quelle vere. È proprio il caso dell’obbedienza a Dio, il caso di
un’opinione vera, poiché il filosofo che conosce e ama Dio, seppure con una
maggiore perfezione84, si adegua nella pratica al precetto dell’obbedienza e della
pietà allo stesso modo di come dovrebbe fare la multitudo, seppure attraverso una
conoscenza immaginativa di Dio per come è stato rivelato dai profeti, cioè come
un legislatore85. A prescindere da quale di queste alternative interpretative risulti
più convincente, è chiaro che sul carattere iniziatico o democratico del Tractatus
si giochi un’importante battaglia politica.
84 Cfr., TTP, cap. 4 §10, in particolare: “pura mente extra verba et imagines percipitur”
85 Cfr., TTP, cap. 4 §§6-11, pp. 745 -751.
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