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Le dimensioni del tempo

Indice

Le dimensioni del tempo


La mente intenzionale
La mente multiforme
Mente e realtà
Mente e linguaggio
Il cervello e le idee
L’anima e il cervello
Mente e vita

1
Le dimensioni del tempo
Tutto si svolge nel tempo.
C’è un tempo per piovere e un tempo per il sole.
C’è un tempo per l’amore e un tempo per la solitudine.
C’è un tempo per vivere e un tempo per morire.
Nel big-bang, origine dell’universo, tutto è stato deciso in pochi minuti.
Ma cos’è il tempo?
Esiste un tempo per ogni osservatore.
Nel tempo si procede in avanti, i secondi si susseguono uno dopo l’altro, ma forse si può andare
indietro nel tempo come suggerisce la simmetria temporale delle equazioni della fisica.
Noi sperimentiamo il presente, il passato esiste solo nella memoria e il futuro ci è ancora ignoto.
Secondo Laplace un’intelligenza sufficientemente potente potrebbe conoscere il passato, il presente
e il futuro abbracciandolo in un unico sguardo. Le leggi della fisica sono deterministiche, date le
condizioni iniziali tutto si svolge secondo binari prestabiliti.
La meccanica quantistica introduce un elemento di indeterminazione, le equazioni prevedono il
comportamento di una popolazione di particelle: l’evento singolo non è determinato.
Le persone però non si comportano come le particelle elementari.
Esse vivono in un caos indefinito in cui non è possibile rintracciare leggi di causa ed effetto come
invece si evince dalle leggi della fisica.
Ognuno è padrone del proprio destino, ognuno è soggetto alle conseguenze delle proprie azioni.
Forse quando uno nasce il suo destino è già prestabilito in anticipo, ma nel flusso quotidiano degli
eventi che viviamo non riusciamo a rintracciare la benché minima previsione: istante per istante
seguiamo il flusso degli eventi senza riuscire a trovare la minima causa apparente.
In effetti agiamo e prendiamo decisioni in una situazione paradossale.
Se con una telefonata fisso un appuntamento con un amico per il mese prossimo è molto probabile
che l’evento si verificherà anche se tutto quello che mi capiterà nel frattempo è assolutamente
imprevedibile. Non sappiamo prevedere, nemmeno con i più potenti computer, che tempo farà la
prossima settimana.
Noi viviamo nel caos e siamo bombardati da una moltitudine di messaggi.
Tutto questo produce una esplosione computazionale di fronte alla quale si arrestano anche i più
potenti calcolatori; il cervello no, in qualche modo esso riesce a districarsi in questo mare di
incertezza fornendo prestazioni che a dir poco sono sbalorditive.
La mente razionale cerca di mettere ordine anche laddove le condizioni sembrano proibitive.
Ognuno di noi è al centro dell’universo, tutto quanto ci succede è rapportato al nostro
particolarissimo punto di vista: la finestra da cui guardiamo il mondo.
Un evento all’apparenza innocuo ci può influenzare profondamente, ci ricordiamo per anni di una
frase proferita da un amico in una conversazione informale.
Ci ricordiamo perfino i nostri stessi pensieri, il tutto forgiato nella fucina dell’inconscio.
Nella solitudine del nostro ufficio continuiamo a produrre pensieri, pensieri che prendono corpo e
che possono trasformare la nostra realtà.
La meccanica quantistica ci insegna che l’osservatore modifica irreversibilmente la realtà in cui
vive con il solo atto conoscitivo. L’osservatore e la realtà osservata si intrecciano in un’unica entità
in cui il soggetto e la realtà si definiscono in una modalità indissolubile.
Quotidianamente interagiamo con degli oggetti che ci appaiono nel loro evolversi assolutamente
reali; ma cos’è un oggetto?
Un oggetto si dà con immediatezza alla percezione, ma si danno anche oggetti inesistenti come una
montagna d’oro, oppure oggetti contraddittori come un quadrato rotondo.

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Ma cosa se ne fa l’uomo della strada di questa filosofia così astrusa, egli è preso dal contingente, dal
particolare, dall’immediato; a lui non servono concezioni che mettano in dubbio il risultato del
semplice esperire: basta aprire gli occhi per vedere.
Inoltre il semplice vedere, la visione, è un processo di una incredibile complessità, come mettono in
risalto i tentativi di riprodurla a calcolatore.
Il semplice problema di osservare una scena e di descriverne gli oggetti contenuti si è rivelato essere
di una incredibile complessità computazionale, tale da mettere in ginocchio anche i più potenti
calcolatori, di più, non si riescono ad individuare delle strategie algoritmiche in grado di risolvere il
problema.
La scena si staglia in tre dimensioni, e già questo è un problema, inoltre occorre individuare gli
oggetti tramite qualche algoritmo in grado di individuarne i contorni, e non ultimo ci si scontra con
un problema semantico ovvero l’attribuzione di nomi agli oggetti.
Se poi per giunta dubitiamo dei nostri sensi allora l’esistenza della realtà diviene davvero un
rompicapo.
Nel nostro ragionare prendiamo in considerazione molti fatti in parallelo, anche se siamo coscienti
al massimo di solo sette concetti per volta, è l’inconscio che ci viene in aiuto originando i pensieri
che poi sequenzialmente la mente cosciente riesce a manipolare; noi ragioniamo per simboli.
In una normale conversazione nessuna parola è pronunciata a caso, ogni parola si inserisce nel
contesto con un preciso significato; inoltre un gesto, un tono di voce, un ammiccamento sono
particolarmente significativi per l’ascoltatore, convogliano un significato che va oltre le singole
parole. Ogni parola è un simbolo collegata a una miriade di informazioni come la punta di un
iceberg, la serie di rimandi di un concetto costituisce una serie praticamente infinita.
Mettere ordine, questo è l’imperativo della mente razionale.
Mettere ordine nel caos in cui ci dibattiamo, trovare il bandolo della matassa.
Ma gli organismo viventi non si possono controllare come le macchine, si possono solo stimolare e
il loro comportamento è imprevedibile, anche se funzionale alla sopravvivenza.
La vita sociale è regolamentata da leggi, e i cittadini vivono queste leggi come imposizioni cadute
dall’alto, ma come recita un vecchio adagio popolare: fatta la legge trovato l’inganno.
Ogni attività umana è regolamentata da leggi promulgate dallo stato, ma l’individuo singolo sovente
aggira queste leggi secondo il proprio impulso individuale: nasce il ribelle.
Comunque nei rapporti sociali è necessario ottemperare ai contratti.
Perfino il matrimonio tra un uomo e una donna è in effetti, dal punto di vista sociale, un contratto.
Poi esiste la separazione legale, contrastata dalla chiesa, che annulla il contratto di matrimonio, ma
che è origine di successivi problemi per la coppia e per i figli.
Di più: non esiste un matrimonio uguale ad un altro, ogni coppia stabilisce un proprio modo di
rapportarsi unico ed irripetibile.
È l’evento singolo nudo e crudo che si dà nel quotidiano che sfugge ad ogni definizione, che non è
trattabile da alcuna teoria e che risulta un rompicapo per i tentativi di comprensione di una mente
razionale.
La mente razionale vuole capire: inserire il dato in un contesto comprensibile.
Noi creiamo continuamente delle teorie per spiegarci il flusso degli eventi.
Che belle quelle teorie che spiegano tutto ma non sono verificabili, terreno fertile per l’aspirazione
al metafisico dell’uomo di tutti i tempi.
La scienza accetta solo quelle teorie che sono verificabili, anzi secondo Popper quelle che sono
falsificabili.
È l’esperimento fisico che ci guida nelle valutazioni scientifiche di una determinata teoria.
Ecco una bella teoria: l’anima è immortale.
Quale esperimento fisico potremmo mai escogitare per verificarla?
Nell’esperimento in laboratorio la scienza trae il proprio nettare vitale, ma nel contempo si scontra
con il proprio limite.

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I filosofi ne hanno pensato di tutti i colori, è difficile avere un pensiero originale, qualcuno da
qualche parte del mondo in qualche tempo l’aveva già detto.
È impossibile conoscere tutto quanto è stato pensato dall’umanità, per quanto cerchiamo di
documentarci c’è sempre qualcosa che non conosciamo.
Nell’era di internet le nostre conoscenze sono aumentate a dismisura anche se siamo letteralmente
bombardati da una miriade di informazioni delle più disparate: dal motto di un antico filosofo allo
spot pubblicitario di un nuovo modello di automobile.
Una notizia impiega pochi minuti per fare il giro della terra, diventa molto difficile orientarsi in
questo mare di informazioni, inoltre continuamente cadono molte delle nostre certezze.
Con la logica si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, diventa molto arduo continuare a
perseguire una propria linea di pensiero o continuare a credere in un nostro ideale.
Per controllare una notizia ne valutiamo la fonte, desideriamo una fonte autorevole ma anche la
frase di un bambino intervistato dalla TV può impressionarci notevolmente.
Nella nostra ricerca della verità incontriamo ostacoli che sembrano insuperabili, occorre molta
tenacia e determinazione per conseguire il nostro scopo.
Possiamo essere convinti di una cosa per lungo tempo, poi una notizia all’apparenza innocua
scardina alle fondamenta quanto avevamo creduto, e questo ci costringe a ricominciare tutto da
capo mettendoci di nuovo in discussione: anche le convinzioni più radicali oggigiorno hanno vita
breve, non serve la caparbia di un mulo, tutto cambia e si trasforma.
La tecnologia ha del miracoloso, sta raggiungendo delle vette incredibili, stiamo assistendo ad una
trasformazione globale, quasi tutti ormai hanno un computer in casa.
Incredibilmente in questo potenziale di comunicazione sempre crescente ci sentiamo sempre più
soli, i nostri rapporti con le altre persone stanno divenendo sempre più superficiali.
Tra tanto parlare solo poche parole giungono a segno.
Questa è una incredibile contraddizione presente nella nostra era della informazione.
Sappiamo cosa succede all’altro capo della terra e non sappiamo come vive la nostra vicina di casa.
Gli incontri su internet ci mettono in contatto con persone lontane a cui confidiamo i nostri pensieri
più intimi ma poi non ci vediamo mai di persona. Uno strano paradosso del nostro nuovo modo di
vivere i rapporti personali, compreso l’innamoramento e le storie d’amore.
Nel quotidiano siamo presi dal contingente dal particolare, ci sfugge l’essenza dell’universale,
concetti come eterno, infinito, assoluto ci sono estranei: non riusciamo più a concepire teorie
universali di spiegazione come facevano gli antichi greci. Pitagora fondava sul numero il vero senso
della realtà, oramai questo concetto non ci appaga più, vogliamo e dobbiamo andare oltre, anzi,
spiegazioni del genere non ci interessano più, la scienza ha spazzato il campo da tutte quelle sintesi
universali di cui sono pieni i trattati di filosofia.
Tutto si spiega con il DNA, ma senza una cellula che possegga un metabolismo il meccanismo del
DNA non funziona più e questo non lo si dice mai nelle spiegazioni degli scienziati.
Esiste una continuità della vita che si riproduce, che nasce, vive e muore in un ciclo che da miliardi
di anni sostiene la vita stessa sulla terra.
Ognuno di noi vede il mondo dal proprio particolarissimo punto di vista.
Il mondo non è bianco o nero ma dipende dall’osservatore.
Noi giudichiamo e prendiamo decisioni sulla base di ciò che ci capita, su ciò che ci riguarda da
vicino, su ciò che costituisce la nostra percezione diretta delle cose e non potremmo fare altrimenti.
Se vedo un uomo vestito di rosso per me quell’uomo è “sempre” vestito di rosso, non prendo in
considerazione che potrebbe trattarsi di una circostanza particolare. È strano ragionare così, ma è
proprio quello che facciamo di solito, giudichiamo dalle apparenze e in questo modo la realtà ci
sfugge di mano. La realtà è multiforme, varia e imprevedibile e spesso le cose non corrispondono a
quello che vediamo. La realtà non si esaurisce in quello che appare.
Molti filosofi lo hanno già detto, ma noi viviamo tranquillamente senza considerare questo fatto.
Noi pianifichiamo nel tempo tutte le nostre attività per poi imbatterci un evento imprevedibile che
scombina tutti i nostri piani.

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Vediamo un pinnacolo all’orizzonte e ne concludiamo che c’è una nave in arrivo, traiamo le nostre
conclusioni basandoci su indizi della nostra percezione, dall’effimero traiamo conclusioni generali.
Ciò che vale per me vale anche per gli altri, ciò che è contingente diviene assoluto, ciò che colpisce
i nostri sensi diviene la vera realtà.
Il cervello è un potente elaboratore di informazioni, prende in considerazione tutto ciò che gli capita
attorno, è plastico e variegato e analizza i dati di fatto colorandoli con proprie interpretazioni.
Il lavoro che fa il cervello è veramente stupefacente se analizzato in termini informatici.
Il computer elabora informazioni ma è statico e monolitico, anche il cervello elabora informazioni
ma è dinamico e multiforme, se trova un ostacolo non si blocca come fa invece il computer ma
prosegue trovando soluzioni alternative, fa prove, esperimenti, congetture, mette in atto tutta una
serie di strategie idonee a risolvere il problema. Di fronte ad una contraddizione devia per un altro
percorso. Tutto ciò mette in crisi il concetto di dimostrazione per assurdo tanto cara ai modelli
matematici. Di fronte all’assurdo la vita procede per nuove vie. Incredibilmente il cervello trova una
soluzione di fronte all’impasse matematico, la suddivisione tra vero e falso non funziona più.
Il sillogismo aristotelico viene così superato nel tempo tramite un processo dinamico.
Solo la morte dell’organismo mette la parola fine, e la morte è funzionale alla vita.
Il tempo scandisce gli eventi che si susseguono.
Un evento particolare può essere un caposaldo di un intero periodo storico, sia per l’umanità sia per
il singolo individuo.
Il giorno in cui mi sono laureato è stato un punto fermo per l’intero corso della mia esistenza.
La caduta del muro di Berlino costituisce un fatto storico di grande implicazione per le generazioni
future, una tappa importante nella storia dell’umanità.
Una semplice formula matematica E=mc2 costituisce una possibilità enorme per la tecnologia, la
possibilità di costruire la bomba atomica, fatto che ha avuto e avrà incalcolabili conseguenze nel
destino dell’intero genere umano.
Una scoperta fatta da uno sconosciuto ricercatore in un anonimo laboratorio può influenzare il
pensiero degli uomini più potenti della terra modificando in maniera drastica il corso degli eventi.
La realtà è complessa ed eventi minimi possono avere effetti grandissimi, questa circostanza è nota
in letteratura come effetto farfalla. Un battito d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un
uragano dagli effetti devastanti in Texas.
Matematicamente i sistemi complessi ci costringono ad un cambiamento di paradigma per esempio
utilizzando la matematica dei sistemi dinamici; ma i sistemi complessi non sono l’eccezione ma
piuttosto la norma nella pratica quotidiana.
La fisica Newtoniana è solo un caso particolare di una realtà molto più vasta.
Restando nella fisica classica esistono problemi che dipendono in maniera sostanziale dalle
condizioni iniziali, per esempio il problema della dinamica dei tre corpi.
Descrivere il comportamento di tre corpi legati dalla forza gravitazionale, per quanto possa
sembrare semplice, si è rivelato essere un problema non risolubile utilizzando solo equazioni lineari
come si fa di solito per descrivere il moto di palle di cannone.
Una piccola variazione nelle condizioni iniziali porta a stati finali lontani a piacere.
Viviamo in un mondo complesso e il cervello si è adattato a trattare la complessità.
Il cervello non analizza tutte le possibili combinazioni legate alla soluzione di un problema, come
invece fa il computer, piuttosto taglia corto: utilizza l’intuito.
Cosa sia l’intuito è veramente difficile da definire, anche gli animali in una certa misura lo hanno.
È buffo guardare il comportamento di un gattino davanti ad uno specchio, pensa di vedere un altro
gatto e non capisce di essere lui l’artefice di tutte le sue movenze.
Anche noi facciamo uguale, riflettiamo su noi stessi e non ci rendiamo conto di essere gli artefici,
nel bene e nel male, della realtà che ci circonda.
Compiamo continuamente azioni senza rifletterci su, ma queste azioni modificano il nostro mondo
in una maniera irreversibile, costruiamo da noi stessi la gabbia in cui viviamo.
Azioni all’apparenza innocue possono avere un effetto devastante sul lungo periodo.

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Una scelta, una opzione, possono influenzare l’intero corso degli eventi futuri.
Da questo punto di vista la stabilità e la precisione con cui si sviluppa il processo della meiosi nella
cellula vivente ha veramente dello stupefacente, le possibilità di errore sono minime.
Nel processo della meiosi i due filamenti del DNA si accoppiano e si riproducono per dar origine al
processo che produrrà un intero organismo vivente, in particolare un uomo sapiens.
In solo nove mesi all’interno dell’utero materno si ripete l’intera evoluzione, durata miliardi di anni,
della cellula vivente che darà alla luce un organismo complesso: un bambino.
Nel cervello umano sono stratificate tutte le tappe evolutive, da quelle rettili a quelle più evolute.
Nel lobo prefrontale hanno sede le funzioni più complesse, la scienza moderna sta cercando di
trovare la sede della coscienza.
Se seguiamo uno stimolo, come per esempio vedere un oggetto rosso, passo passo all’interno del
sistema nervoso quello che troviamo sono segnali elettrochimici che si propagano dalla periferia al
sistema nervoso centrale. Ora come è possibile che uno stimolo nervoso possa diventare una
percezione cosciente, come il vedere l’oggetto rosso?
Questo è veramente un rompicapo.
Oggettivo e soggettivo sembrano proprio inconciliabili.
Che dire poi della concezione indiana che pone la coscienza al centro dell’essere?
Esiste un’anima disincarnata dal corpo?
Domande millenarie che ancora non hanno trovato una risposta definitiva.
Comunque la scienza procede trionfante verso la demistificazione di tutto ciò che è spirituale.
Esiste solo ciò che si vede e si tocca, in contrapposizione a ciò che hanno professato tutti i mistici
nella storia dell’umanità. Non esiste nulla di eterno: tutto ha un limite.
Anche il tempo ha avuto un inizio, forse avrà anche una fine.
Nella mente umana grande ruolo è rivestito dall’inconscio, è nell’inconscio che si forgiano i
pensieri come in una fucina di un fabbro. Dapprima in forma rudimentale quindi in forma sempre
più definita si formano i concetti che vengono visualizzati e quindi formalizzati in parole che
possiamo proferire o scrivere. Le dimensioni del pensiero sono sconosciute. Facendo un’analogia
con il computer il pensiero si sviluppa in un processo che si svolge nel tempo. Il pensiero segue gli
stimoli percettivi sia interni che esterni; per esempio se vedo una banana posso pensare di
mangiarla, e posso anche pensare all’albero di banane e all’intero processo evolutivo che l’ha
prodotto, il pensiero sta stretto nelle definizioni contingenti e particolari.
Il pensiero ha una dimensione universale.
Cogito ergo sum diceva Cartesio e ancora non ci sono modifiche rilevanti.
L’uomo è la misura di tutte le cose diceva Leonardo da Vinci ed effettivamente solo ciò che è
pensato da un uomo in carne ed ossa può essere comunicato all’intera umanità.
L’essere umano è vincolato alla carne che pensa e non può essere nient’altro.
La mente che pensa dentro di noi è vincolata alla vita del nostro stesso organismo.
Perché mi cresce la barba senza che io ne sia cosciente?
Il cuore pulsa, lo stomaco digerisce e il cervello pensa.
Il tutto in una incredibile armoniosità di forme, meccanismi e realizzazioni.
Perché esiste il mondo anziché il nulla?
Prima del big-bang, secondo la scienza moderna, non esisteva nulla.
Perché l’anima ha bisogno del corpo, e il tutto realizzato con meccanismi così complicati?
Vedo un passero che vola, quale incredibile realizzazione della natura.
Anche un aereo vola ma quale differenza di realizzazione, anche se sono stupito del fatto che un
oggetto così pesante possa alzarsi in volo e conosco i principi fisici che ne consentono il volo non
posso fare a meno di stupirmi del volo degli uccelli.
Ci sono poi stormi di uccelli che volano in formazione meglio delle frecce tricolori.
Che dire poi degli uccelli migratori che percorrono enormi distanze per riprodursi?
Quale prodigio della natura sotto gli occhi di tutti.

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Il cervello poi, in grado di raggiungere le più elevate vette della conoscenza ma anche di far
esplodere una bomba al supermercato. Quale meravigliosa realizzazione.
La mente funziona per analogie, ciò che è valido nel piccolo è valido anche nel grande, ciò che è
valido nel particolare è valido anche nel generale, ciò che è valido nel contingente è valido anche
nell’assoluto. La monade e l’universo come diceva Leibniz.
Le principali forme di astrazione sono l’aggregazione, la generalizzazione e la classificazione.
Ogni volta che incontriamo una informazione nuova la vogliamo classificare all’interno di uno
schema di fatti che già ci sono noti. Se non riusciamo in questo intento diventiamo nervosi ed
accantoniamo nell’inconscio il fatto senza spiegazione: tutto ciò ci rende irrequieti.
La nostra conoscenza procede per strati successivi, accumulando le nozioni e classificandole.
In un antico insegnamento indiano si trova il consiglio di abbandonare gli strumenti che abbiamo
utilizzato per la conoscenza come una zattera da lasciare una volta raggiunta la riva.
Tutto è un passaggio da uno stato di conoscenza ad un altro, in cui ciò che ci è servito per
raggiungere uno scopo diventa obsoleto ed è necessario farne a meno. La famosa rinuncia
all’attaccamento: uno dei capisaldi dell’insegnamento buddista.
Per poter accedere alla nuova conoscenza dobbiamo rinunciare alla vecchia.
La scienza procede proprio in questo modo: le rivoluzioni scientifiche sono caratterizzate da un
cambiamento di paradigma in cui le nuove generazioni procedono facendo a meno della vecchia
concezione. Comunque la tradizione è importante almeno quanto la storia seguita dall’evoluzione
delle idee in un quadro storico che ne riveli l’origine e i presupposti.
Viviamo in un mondo in rapida evoluzione dallo sviluppo frenetico.
Siamo alle soglie di una rivoluzione radicale del nostro modo di vedere e di rapportarci agli altri.
Pressioni economiche sociali e politiche ci inducono ad un drastico cambiamento di prospettiva.
Ormai il pianeta è governato da leggi globali che interessano tutti indistintamente.
La tecnologia sforna continuamente nuovi sofisticatissimi prodotti ad un prezzo sempre più basso
mentre il costo del pane continua a salire. Una delle molte contraddizioni dei nostri tempi.
Il volano dello sfruttamento del petrolio stritola tutti i tentativi di utilizzare fonti alternative e
rinnovabili di energia. Abbiamo sempre più bisogno di energia e il petrolio ben presto sarà esaurito.
La ricerca sulla fusione fredda, per esempio, è stata avversata dalla scienza ufficiale poiché secondo
i canoni della fisica nota non potrebbe funzionare. Per fortuna alcuni ricercatori continuano a
portare avanti questa ricerca che potrebbe risolvere il problema energetico. Ci si trova di fronte ad
una nuova frontiera scientifica una rivoluzione nelle teorie della fisica moderna che ci riporta ai
tempi dei vecchi pionieri della ricerca scientifica.
Produrre energia tramite la tecnica della fusione fredda significa rubare al sole i suoi segreti e
portarli sulla terra: confinare il plasma di atomi di idrogeno all’interno di un reticolo cristallino.
La materia è energia: basta tirarla fuori.
Muovo la penna su questo tavolo: il pensiero muove la materia.
La mia intenzione di muovere la penna scaturita dalla mente utilizza il corpo con tutti i relativi
meccanismi di utilizzazione e produzione di energia, fatti di materia e processi fisiologici, per
manifestarsi e realizzarsi in un evento concreto.
Nella filosofia indiana è lo spirito ad avere la supremazia sulla materia.
Comunque prima o poi dobbiamo fare i conti con gli oggetti concreti presenti intorno a noi.
Il dato materiale grezzo che immancabilmente ci condiziona.
Ma lo spirito può volare alto, molto alto, e viaggiare in mondi fantastici limitati solo dalla propria
fantasia e dalla propria immaginazione.
Viene prima lo spirito o la materia: antica domanda a cui intere generazioni di filosofi hanno
cercato di dare una risposta.
Secondo la filosofia indiana tutto è maya, pura illusione a cui si sovrappone l’essere assoluto.
Avere o essere, parafrasando un libro di From.
Oggigiorno sembra che l’importante sia avere. Fare soldi, anzi averne sempre di più.
Con i soldi si fa tutto: hai un sogno nel cassetto, tutto si compra.

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Anche una laurea in ingegneria si può comperare.
Nella società moderna siamo tutti a stretto gomito l’un l’altro.
La polverizzazione del lavoro ci rende partecipi solo di una infinitesima potenzialità produttiva, non
sappiamo costruire ciò che la società continuamente produce.
Continuamente utilizziamo manufatti che qualcun altro ha costruito.
Qualcuno ha un’idea qualcun altro la sviluppa e qualcun altro la realizza in un prodotto tecnologico.
Tutto è collegato a tutto in una modalità estremamente complessa.
Condividere le nostre conoscenze con altri è naturale e inoltre una fonte di piacere.
Nella nostra società le informazioni si pagano.
Si paga per fare una dichiarazione dei redditi, si paga per fare un atto notarile.
Ma a cosa servono i notai dal punto di vista dell’essere assoluto?
Professionisti che attestano dati di fatto; detto così sembra un assurdo.
Nella lingua tedesca esistono due parole distinte per il lavoro manuale e per il lavoro intellettuale.
Cosa serve pensare se poi nessuno fa niente?
Può esistere una società di soli informatici o di soli filosofi?
La filosofia è la più nobile delle scienze e la fisica è un ramo della filosofia.
Grazie allo studio delle leggi della fisica sono stati realizzati manufatti straordinari.
La società nel suo complesso costruisce oggetti estremamente sofisticati ma io, pur essendo un
fisico teorico ed avendo studiato la natura del tempo, non so costruire l’orologio che porto al polso.
Galileo si costruì con le proprie mani il suo famoso cannocchiale.
Siamo diventati estremamente dipendenti gli uni dagli altri con il denaro come unico valore di
scambio, tutto ciò è veramente una polveriera.
Il mondo sta procedendo verso una globalizzazione informatica in cui il valore principale è quello
economico; nuovi attori si affacciano nel processo produttivo come l’india e la cina mentre viene a
mancare il motore trainante dell’america.
Il consumo di energia pro capite cresce continuamente mentre la fame nel mondo non si arresta.
Stiamo consumando tutte le risorse del pianeta e lo sfruttiamo fino all’osso.
Va da sé che questa visione non è delle più rosee.
Sulla rivista Alba Magica si prospetta una visione allargata della coscienza mondiale e una crescita
delle potenzialità umane, si afferma che siamo alle porte di un cambiamento della coscienza
individuale e collettiva.
Stiamo vivendo una delle contraddizioni più pressanti del nostro secolo.
La teoria fisica della meccanica quantistica afferma il principio di indeterminazione secondo il
quale non è possibile misurare contemporaneamente, e quindi conoscere, la posizione e la quantità
di moto di una particella elementare. Esiste quindi un limite alle possibilità di conoscere la realtà
ultima e questo limite non dipende dalle nostre capacità di misurazione delle variabili ma è una
impossibilità di principio. Una particella ferma potrebbe essere ovunque nell’universo. È il famoso
concetto di complementarietà che torna fuori, lo ying e lo yang della filosofia indiana, onda e
particella, posizione e quantità di moto, il bianco e nero: entrambi possono manifestarsi ma noi ne
possiamo conoscere solo uno per volta a seconda delle misure che facciamo. La particella
elementare è un’onda di probabilità ed è anche un corpuscolo, questa contraddizione concettuale
viene superata dalla meccanica quantistica grazie alla descrizione matematica dello stato della
particella. Per far fronte alle realizzazioni della natura dobbiamo rinunciare alla coerenza logica dei
nostri modelli di spiegazione. Questa mancanza di coerenza logica fece andare su tutte le furie
Einstein che non riusciva ad accettare le implicazioni della meccanica quantistica, che egli stesso
aveva contribuito a sviluppare; egli si chiese: La luna esiste solo quando la osservo? Questo
principio di complementarietà può essere messo a fondamento delle nostre teorie sulle
caratteristiche manifestate dalla vita come illustrato nel libro “i quanti e la vita” di Bohr. Il cervello
è abituato alle contraddizioni, ne incontra continuamente, ed è stupefacente come possa nondimeno
procedere e continuare a perseguire una logica di spiegazione dei fatti secondo un procedimento

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razionale. La contraddizione concettuale fa irrompere il mare dell’irrazionale nel nostro pensiero e
fornisce una base inevitabile al senso di mistero.
Viene in mente i mantra della filosofia indiana, come quello di chiedersi che suono fa il battito di
una mano sola, fatti apposta per mettere in crisi la mente aprendola al senso oceanico dell’ineffabile
dell’indefinibile che ci portano verso la concezione dell’assoluto.
Famoso è il gatto di Schrodinger, il cui stato è descritto dalle equazioni della meccanica quantistica,
che si trova in una sovrapposizione di stati: vivo o morto.
Il gatto è sia vivo che morto fin quando un osservatore non apre la scatola in cui si trova.
Oppure il “qbit”, generalizzazione del bit informatico definito dalla meccanica quantistica e
probabilmente alla base di futuri calcolatori, che si trova in una sovrapposizione di stati 0 e 1, vero e
falso: un elaboratore basato sul qbit elabora contemporaneamente tutti gli stati possibili realizzando
una incredibile potenza di calcolo.
Il computer segue una logica ferrea, si dimostra molto utile per memorizzare informazioni e per
correggerci quando compiamo un errore nel suo utilizzo.
Oggigiorno l’interazione con il computer è divenuta un indispensabile strumento di lavoro e di
comunicazione: il computer ha sempre ragione.
Con l’utilizzo del computer impariamo ad utilizzare la logica nei nostri ragionamenti.
Senza rendercene conto stiamo affidando tutta la nostra conoscenza al computer, questa è una
rivoluzione culturale senza precedenti nella storia.
Computer e internet sono all’ordine del giorno, tutto ormai si fa on line dalla spesa fino alle pratiche
burocratiche.
I collegamenti telematici stanno diventando sempre più sofisticati e di sempre crescente potenza.
Presto ci basterà un tesserino per compiere tutte le nostre attività ovunque nel globo.
La realtà sta diventando sempre di più una realtà virtuale.
Che se ne fanno le nuove generazioni di Platone e del suo mito della caverna?
Forse le idee di Platone diventano di nuovo di attualità.
In un mondo in cui l’esperienza individuale concreta vacilla, forse occorre una visione più allargata
su cosa sia veramente reale. Forse è giunta l’ora di superare i propri limiti percettivi per raggiungere
una conoscenza più vasta che solo i filosofi hanno immaginato esistere.
Se guardo una trasmissione televisiva in cui si mostra l’atterraggio dell’uomo sulla luna vengo
trasportato in una realtà molto diversa dal divano su cui sono seduto per immergermi in un altro
mondo: il suolo lunare.
Siamo talmente abituati a questi messaggi che oramai non ci facciamo nemmeno più caso.
In un film di fantascienza siamo trasportati in un mondo in cui le idee più strabilianti della scienza
sono portate dalla fantasia a mirabolanti realizzazioni.
Come il teletrasporto di Star Trek: ora sembra che in laboratori di ricerca si sia riusciti
effettivamente a teletrasportare un fotone.
La realtà supera la fantasia.
Teletrasporto, calcolo quantistico, l’uomo cibernetico, viaggi nello spazio, contatto con civiltà
aliene, ecco alcune promesse della scienza futura, chissà dove arriveremo.
La musica è una delle realizzazioni dell’uomo tra le più belle e variegate.
È possibile concepire il mondo come una sinfonia e il moto degli atomi come la musica delle sfere.
La vita dell’universo è una composizione musicale in cui tutto danza seguendo il ritmo
dell’esistenza. Noi osserviamo quest’armonia in tutte le cose, dal fiore che sboccia al bambino che
cresce. Esiste un ordine nascosto in ogni aspetto dell’essere, una melodia che scaturisce dal
profondo, e che si rispecchia nell’animo umano: nelle sue aspirazioni.
La musica è una costruzione matematica in cui sono rispettate tutte le parti componenti in un ordine
preciso descritto dalle regole armoniche. Le note ci riportano alla natura del numero. Tutto è uno,
poi c’è il due il tre il quattro; il cerchio il triangolo il quadrato.

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Il principio di esclusione di Pauli afferma che un elettrone può occupare solo uno dei possibili stati
descritti da quattro numeri quantici. Questo principio consente di ricavare la tavola periodica degli
elementi e di spiegare come sia possibile la precisa conformazione del guscio di elettroni.
Esiste poi un numero magico: il 137. È il numero della costante della struttura fine della materia ed
è una grandezza adimensionale ricavata combinando le costanti fisiche di massa momento angolare
costante di Plank e velocità della luce. Se questo valore fosse diverso non sarebbe possibile la vita
sulla terra: la materia non sarebbe stabile così come la osserviamo.
Il cerchio rappresenta l’uno incorruttibile e l’infinito, il triangolo la trinità divina e il quadrato la
razionalità. I numeri sono infiniti.
Ma che se ne fa dell’infinito l’uomo della strada, tutto ha un limite, importante è il contingente il
particolare, le impellenze della vita di tutti i giorni.
Viviamo nella precarietà dell’essere.
Oggi sono qui e posso anche essere felice, ma che ne sarà di me domani?
La complessità del mondo è enorme eppure cerchiamo sicurezza e conferma delle nostre idee.
Incontro un amico per strada: coincidenza fortuita o ineluttabile destino?
Molte cose sono scritte nel DNA e gli scienziati si accaniscono nel trovare il gene che produce
anche quel determinato comportamento come per esempio essere gay.
Che fine ha fatto il nostro libero arbitrio?
Siamo liberi di scegliere e di volere, di desiderare e di pensare ma dobbiamo accettare le
conseguenze delle nostre azioni: il famoso karma indiano.
Sono stipato nella metropolitana oppure sono sdraiato sulla sabbia in riva al mare; sono due
condizioni in cui mi posso trovare, ma sono sempre io l’attore. Tutto ruota intorno a me.
La mia mente prende in continuazione rapide decisioni che determinano il mio comportamento.
La mente è libera di pensare e nello stesso tempo è condizionata dagli stimoli esterni ed interni che
vengono percepiti ad ogni istante e al vissuto storico personale.
Mi vengono in mente ricordi lontani nel tempo passato, scene in cui mi sono comportato in un certo
modo, immagini indelebili del mio vissuto e che ancora mi condizionano.
Esiste in filosofia un noto problema descritto come il problema delle altre menti.
Esiste una coscienza oltre a quella che sperimento in prima persona?
Non è possibile entrare nella testa di un’altra persona, non si può sapere cosa pensa.
Tramite il linguaggio posso diventare partecipe del pensiero altrui ma il linguaggio è esso stesso
una mera convenzione che può essere così o altrimenti.
I rapporti interpersonali sono problematici e dischiudono vecchi problemi filosofici.
Per fortuna che la gente parla o scrive, altrimenti cadremmo in un solipsismo insopportabile.
Per inciso il solipsismo può essere sostenuto con grande coerenza logica.
So di non sapere diceva Socrate.
Cosa potrebbe fare un individuo completamente isolato dalla società?
Non saprebbe nemmeno parlare.
La legge è uguale per tutti e la legge non ammette ignoranza.
Cosa dobbiamo sapere per essere accettati da questa società?
Ci sono cose grandi e cose piccole sotto il sole ma a volte le cose piccole sono più importanti delle
cose grandi: questo è il paradosso del vivere quotidiano.
Cos’è l’uomo di fronte all’universo?
Eppure io sono importante per me stesso ed è nella mia mente che vive l’universo.
Questo è valido per tutti gli uomini indistintamente.
Ogni attimo di vita è prezioso, in un attimo posso raggiungere mete elevatissime col pensiero.
L’uomo è riuscito a costruire una teoria in cui nasce l’universo e tutto ha origine.
Col pensiero ogni cosa ha una sua ragion d’essere.
L’uomo cerca una spiegazione razionale degli eventi che si succedono nel tempo.
Non ci sono limiti alla speculazione filosofica, poi ognuno sceglie la filosofia che più gli aggrada,
che più lo soddisfa, che più gli piace, salvo crearsene una propria su misura.

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Leggere gli scritti dei filosofi antichi e moderni allarga a dismisura la nostra concezione del mondo.
La filosofia è il nutrimento della mente del ricercatore.
Poi viene il contingente il quotidiano a far cessare il volo pindarico e a confutare le certezze
filosofiche tanto faticosamente accumulate.
Bene o male dobbiamo fare i conti con ciò che i nostri sensi ci dicono sul mondo.
Esiste sempre l’evento traumatico che scardina alle fondamenta le nostre credenze più radicate.
Il tempo è tiranno: ci vuole tempo per pensare e ci vuole tempo per fare.
La gente giudica dall’apparenza e l’apparenza inganna.
Dietro ad un fatto all’apparenza innocuo può celarsi una intera incredibile realtà, raccontarlo non
serve, solo vivendolo in prima persona ci si può rendere conto di cosa effettivamente significa.
La gente è colpita dalla notizia di un fatto eccezionale ma un semplice batterio che attacca la
produzione delle patate può modificare il corso degli eventi in misura maggiore che una guerra.
Viviamo in un mondo complesso e ognuno lo vede a modo suo.
Cosa è importante fare, dove vogliamo andare?
Potrei fare questa domanda al mio gelataio chissà cosa mi risponderebbe, forse che bisogna fare
gelati sempre più buoni in un crescendo di infinita dolcezza.
Ironia del quotidiano!
Occorre trovare un maestro, un maestro di vita.
Nella meditazione trascendentale si può raggiungere la contemplazione, ma per praticarla ci vuole
un maestro che ce la insegni, un maestro che ci guidi nei meandri della mente.
Si può cercare un maestro nei libri, ma non serve ci vuole un maestro in carne ed ossa.
Pur tuttavia ognuno è maestro di se stesso.
Ognuno trova la propria ragione di vivere seguendo i propri desideri e le proprie aspirazioni.
Non tutti sono fortunati allo stesso modo.
Uno su mille ce la fa, recita una canzone di Gianni Morandi.
Quale filosofia può avere un minatore costretto a lavorare nelle cave di carbone?
Eppure ogni vita è importante, ogni uomo è una finestra sul mondo unica e irripetibile.
Il cervello è un potente elaboratore di informazioni.
Le informazioni sussistono in coincidenze spazio-temporali che mettono in relazione
rappresentazioni corrispondenti in diverse memorizzazioni di fatti.
Nell’intelligenza artificiale si cerca di emulare le prestazioni del cervello umano.
Secondo il test di Turing una macchina che fosse in grado di conversare con un essere umano
sarebbe da considerare effettivamente intelligente, tuttavia non sarebbe ancora umano.
Le macchine possono essere intelligenti?
Dipende da cosa intendiamo per intelligenza, comunque un essere umano è anche vivo il computer
no; forse per essere intelligenti occorre essere anche vivi.
Studiando l’intelligenza artificiale ci si rende conto delle incredibili potenzialità del cervello umano.
Compiti all’apparenza banali si dimostrano essere di una incredibile complessità computazionale.
Riconoscere il volto materno, compito in cui un bimbo riesce benissimo, richiede un computo e una
struttura computazionale estremamente complicata. Anche se una semplice calcolatrice sembra
essere intelligente nondimeno l’intelligenza si manifesta in una grande varietà di forme.
Esiste anche un’intelligenza nel fare non solo nel parlare.
Un uomo non può competere nei cento metri di corsa con un’automobile e così il campione del
mondo di scacchi è un computer. Il gioco degli scacchi richiede intelligenza.
Se andiamo ad analizzare i principi su cui si basa il programma che gioca a scacchi ci rendiamo
conto che il computer vince grazie all’utilizzo della forza bruta mentre l’uomo utilizza l’intuito ed
elabora strategie di gioco.
È più intelligente un fabbro o un ingegnere?
Incredibilmente il computer si è dimostrato più adatto a risolvere problemi matematici piuttosto che
problemi di manipolazione di oggetti all’apparenza banali.
Mentre una pattinatrice riesce a compiere volteggi mirabili un robot riesce a malapena a camminare.

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Comunque il saper utilizzare il linguaggio parlato è un compito di incredibile complessità.
Questo è stato messo chiaramente in luce dal tentativo di realizzare programmi di traduzione
automatica da una lingua ad un’altra.
Per tradurre correttamente un testo occorre capirlo e questo è proprio quello che i computer non
sanno fare. La semantica sfugge all’elaborazione sintattica.
Non c’è nessuno nella testa del computer, anche se è in grado di eseguire a gran velocità sillogismi
aristotelici.
Il computer elabora segnali elettrici e il cervello segnali elettro-chimici.
Il computer è veloce e il cervello lento.
Secondo Crik noi non saremmo altro che una complessa elaborazione di segnali elettro-chimici.
Il computer funziona secondo il paradigma SE condizione ALLORA conseguenza.
Il cervello funziona per attivazioni neuronali complesse.
Un solo neurone non può vedere il rosso, solo l’intero sistema cerebrale è in grado di percepire il
rosso: la percezione del rosso è il risultato di una complessa interazione tra neuroni.
La coscienza è un mistero.
Come fa un insieme di neuroni cablati nel cervello a produrre l’intenzionalità nessuno lo sa.
Se seguiamo lo stimolo passo passo all’interno del sistema nervoso quello che troviamo sono delle
attivazioni di segnali che dalla periferia giungono all’interno del sistema nervoso centrale; ma come
faccia un impulso elettro-chimico a produrre quella consapevolezza di sé che ognuno sperimenta è
veramente difficile da spiegare.
È molto facile programmare un computer affinché scriva: cogito ergo sum. Tuttavia tutto ciò non
contiene niente di essenziale: il computer non acquisisce un’anima.
Soggettivo ed oggettivo sono inconciliabili.
Anche un neurologo che spiasse con elettrodi i segnali elettro-chimici che si producono nel cervello
non troverebbe l’anima.
Tuttavia la scienza moderna sta cercando di trovare la sede della coscienza nella mappa cerebrale.
La coscienza sarebbe come un monitor sequenziale in grado di prendere decisioni e di vagliare le
esperienze completamente in balia degli stimoli dell’inconscio generato da una elaborazione
massicciamente parallela.
Tutto ciò è in netta contrapposizione con la visione mistica propria della filosofia orientale.
La filosofia orientale attribuisce alla coscienza il primato sulla materia.
La fisica consiste nello studio del comportamento della materia secondo leggi descritte in
linguaggio matematico. Le ultime frontiere della fisica si sono imbattute in entità non materiali.
La funzione d’onda potenziale di Bohm ne è un esempio.
La funzione d’onda potenziale guiderebbe le particelle elementari a seguire determinati percorsi in
funzione di un campo non materiale ma di pura informazione.
Entità immateriali produrrebbero un effetto fisico sul comportamento della materia.
L’anima cacciata dalla porta rientra dalla finestra.
Un altro aspetto misterioso messo in luce dalla fisica moderna consiste nell’intima correlazione che
sussiste tra due particelle gemelle: l’entaglement. Due particelle emesse dalla stessa fonte risultano
correlate istantaneamente senza che vi sia scambio di segnali fisici tra le due. Se misuriamo una
grandezza fisica su una particella correlata istantaneamente avremo il collasso della funzione
d’onda anche dell’altra.
Questo fatto porta ad una visione dell’universo come ad un immenso ologramma in cui tutto è
correlato a tutto.
Questo è un duro colpo al paradigma riduzionistico tipico del metodo scientifico utilizzato in fisica
in cui il sistema da studiare viene ridotto in parti separate interagenti.
Da più fronti di ricerca ci si imbatte in questo limite in cui il tutto è più che l’insieme delle parti
componenti: un livello ulteriore di astrazione.
Divide et impera recita un antico detto romano, ora sembra che questo non sia più vero.
La correlazione istantanea tra particelle gemelle sembra che non abbia limiti di spazio o di tempo.

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Questa correlazione è contenuta nel formalismo della meccanica quantistica in cui per la struttura
delle equazioni utilizzate le singole parti sono correlate a tutte le altre.
È come dire che un sasso posto in un campo gravitazionale conosce il suo stato e quindi cade.
Anche nella struttura dell’atomo sembra che i singoli elettroni “conoscano” lo stato degli altri
elettroni componenti e quindi si comportino di conseguenza.
Questa idea è alla base del principio di esclusione di Pauli.
La differenza tra un sasso e il cervello consisterebbe quindi solo nella enorme differenza di
complessità strutturale.
Certo che ognuno di noi conosce solo ciò che ha visto o toccato con mano e sembra arduo attribuire
ad un sasso la benché minima coscienza anche se c’è chi sostiene proprio questo.

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La mente intenzionale
Una delle caratteristiche che appare sempre più chiaramente nel confronto tra computer e cervello
consiste nell’intenzionalità della mente. Il computer non vuole nulla, non sperimenta nulla, non
decide nulla, non sa si esistere; la mente no, la mente ha intenzionalità: vuole, sperimenta, decide e
sa di esistere. Se compio un’azione sono io che intenzionalmente la compio, mentre il computer
esegue automaticamente delle procedure. Anche nell’interazione col computer sono sempre io che
decido: il computer esegue e controlla che i miei comandi siano corretti secondo quanto già
predisposto in anticipo dal programmatore ma non prende nessuna iniziativa e non si vede come
potrebbe farlo: non c’è nessuno all’interno del computer mentre nella testa di un uomo c’è qualcuno
che pensa, decide, si emoziona e agisce intenzionalmente.
Questa è una differenza fondamentale che sta alla base dell’interazione uomo computer.
Una macchina si può controllare ma un essere vivente no: lo si può solo stimolare.
I computer stanno diventando sempre più complessi e lavorano a livelli di astrazione sempre più
elevati, ma nessun principio noto utilizzato nella loro implementazione è in grado di dar origine
all’intenzionalità: i computer rimangono sempre degli esecutori di istruzioni.
Il computer è programmato per risolvere un problema, il cervello si trova continuamente a risolvere
problemi non programmati ma che dipendono dalle circostanze in cui ci si imbatte.
Se cambia il problema il computer non funziona più, mentre la mente riesce a trovare nuove vie e
nuove strategie di soluzione. Continuamente siamo pressati da una miriade di problemi diversi e il
cervello è abituato ad operare con dati incerti e in uno stato di precarietà ed è inoltre in grado di
passare da un ambito di discorso ad un altro con estrema facilità.
I pensieri sono pilotati dai ricordi e dalle circostanze contingenti: un evento che ci è capitato tempo
fa può ancora essere vivido nella nostra memoria ed influenzarci profondamente.
Che i nostri pensieri siano determinati come lo è l’elaborazione del computer è molto difficile da
credere: noi pensiamo di essere liberi da condizionamenti deterministici.
Si riaffaccia il tema filosofico dell’esistenza del libero arbitrio.
Il calendario maya prevede la fine del mondo nel 2012, se questo fosse vero allora tutto è già
predeterminato: il libero arbitrio non esisterebbe.
Comunque noi agiamo liberamente utilizzando il comodo e utile concetto di caso.
Siamo bombardati da eventi all’apparenza casuali eppure ogni parola è scelta con cura e si inserisce
nel contesto con grande precisione. Sono le sincronicità quelle che maggiormente ci colpiscono:
coincidenze di fatti significativi. Sulla base di pochi indizi prevediamo l’andamento degli eventi nel
futuro inserendoli nel nostro contingente. Quell’amico mi ha detto così e così: e via a trarne
conseguenze che riguardano il significato di tutto quel discorso.
Ognuno di noi agisce in relazione al proprio contesto personale ignorando quello che non ci tocca
da vicino: ignorando cosa succede globalmente nel mondo.
C’è la guerra in Irak, oggi c’è la congiunzione di due pianeti, c’è poi il crollo delle borse: che
effetto ha tutto ciò con il corso della mia vita?
Secondo l’astrologia il moto degli astri influenza il corso delle nostre esistenze.
Ma, come dice Margherita Hack, secondo le forze fisiche conosciute ci dovrebbe influenzare di più
il campo magnetico del nostro frigorifero.
Quale strana concezione del mondo è sottintesa dall’astrologia: l’esistenza di un campo immateriale
che condiziona l’evolversi degli eventi.
Noi ci possiamo sbagliare nel giudizio o nel ragionamento: errare umanum est.
Nessuna mente razionale può perseverare nell’errore totale.
Come mai l’astrologia possiede tanti seguaci e anche fisici importanti hanno seguito il mondo del
mistero e dell’ineffabile?

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Qualcosa spinge l’uomo a superare la visione materialistica del mondo con l’accettazione di un
disegno più vasto che presuppone lo spirito.
A questo scopo è molto utile il concetto di Dio che tutto vede e provvede.
Ma anche l’ateo più incallito non può fare a meno di cadere nella trascendenza.
La meccanica quantistica introduce poi un concetto sconcertante: l’osservatore influenza in modo
irreversibile la realtà!
Se voglio osservare un’onda l’elettrone si comporta come un’onda, se voglio osservare un
corpuscolo l’elettrone si comporta come tale. Il reale viene messo alle strette di un’operazione di
misura tramite un processo irreversibile come l’annerimento di una lastra fotografica.
I fisici mettono alle strette il comportamento della materia tramite esperimenti sempre più
sofisticati, esperimenti che servono a corroborare o confutare le loro teorie matematiche.
Recentemente è stato realizzato un potentissimo acceleratore di particelle in cui si attuano collisioni
dall’energia comparabile a quella avvenute nel big-bang. In esso si potrebbe generare un buco nero
che inghiottirebbe la terra intera. Ma i fisici continuano a sperimentare per verificare l’esistenza del
bosone di Higgs: la particella di Dio.
Ma, come afferma la filosofia indiana, la realtà ultima è inconoscibile e la scienza moderna trova il
proprio limite nell’esperimento fisico.
L’uomo può cogliere la verità con un atto di illuminazione, la scienza procede sedimentando le
conoscenze in un corpus accettato dalla comunità scientifica senza mai giungere alla verità.
Ma chi può andare contro la scienza e i dati di fatto?
Viene in mente il mito della caverna di Platone, noi siamo incatenati alla nostra quotidianità e non
accettiamo il parere del guru illuminato.
Viene in mente Osho che afferma di essere una corrente oceanica in continuo divenire.
Leggiamo i suoi libri con stupore ma poi li mettiamo nel dimenticatoio e continuiamo la nostra vita
come sempre. Ognuno vede il mondo a modo suo.
Personalmente i libri di Osho mi hanno influenzato profondamente. Una visione senza punti di
riferimento in cui anche le certezze più radicate non trovano fondamento: non chiedetemi la ragione
di questa mia affermazione perché domani non sarò più qui (Osho).
La storia è piena di guru illuminati, maestri di vita, ognuno però sceglie quegli insegnamenti che più
gli piacciono, che più si confanno alla propria indole: nessuno ripete esattamente l’esperienza che
ha portato quel tal santone a quella particolare affermazione.
Ognuno è unico ed irripetibile.
Ama il prossimo tuo come te stesso.
Ecco una bella affermazione che ognuno interpreta secondo il proprio sentire.
Seguendo la logica per amare il prossimo occorre prima amare se stessi.
Stare bene in salute e vivere bene: chi non è d’accordo?
La mente razionale vuole mettere ordine nel caos dell’esistente: quale titanica impresa.
Contrastare il principio di crescita indefinita dell’entropia nell’universo.
Qualsiasi cosa uno faccia nel bilancio ordine disordine vince sempre il disordine.
Ma la mente non demorde: dove c’è disordine deve subentrare l’ordine.
La mente vuole capire e per far ciò elabora teorie esplicative.
Lo facciamo tutti, dal fisico premio Nobel all’uomo della strada.
Vogliamo interpretare i fatti secondo una nostra logica di spiegazione, salvo poi arrenderci quando
proprio non riusciamo ad incasellare nel nostro vissuto quel particolare avvenimento.
Ci sono, però, cose talmente banali che le facciamo senza pensarci su, tanto da non ricordarci
nemmeno più di averle fatte.
Se ci concentriamo su queste azioni banali, come per esempio aprire la porta di casa, ci rendiamo
conto che in effetti proprio così banali non lo sono. Per esempio per aprire la porta di casa ci vuole
innanzitutto la casa e poi la chiave per aprire.
Per mescolare il caffè ci vuole il cucchiaino e così via.
Ogni cosa facciamo utilizziamo manufatti e manipoliamo oggetti.

15
Questa tastiera su cui sto digitando qualcuno l’ha costruita chissà dove chissà come.
Questa tastiera esiste per davvero? Se qualcun altro me lo conferma allora sono più tranquillo!
Per la tastiera è facile decidere che esiste per davvero ma ci sono altre realtà per cui è molto più
difficile essere convinti della loro reale esistenza.
Per esempio un neutrino non ancora osservato negli esperimenti.
Ascolto una notizia al telegiornale: ma sarà vera?
Ne va della reputazione del cronista e via di questo passo.
Se uno mi dice “ho traslocato” mi viene da pensare ma come avrà fatto a spostare tutti i mobili.
Per me è una cosa incredibile poiché io mi troverei in grande difficoltà.
Inevitabilmente rapportiamo ogni informazione alla nostra realtà, al nostro punto di vista.
Può il computer avere un punto di vista?
Il punto di vista di un computer consiste in quello di una logica ferrea che non sbaglia mai, al
massimo non risponde, ma è sempre l’essere umano che attribuisce un significato all’intero
colloquio con la macchina. Lavorare quotidianamente col computer crea una forma mentis basata
sulla logica aristotelica. Comunque recentemente sono state sviluppate logiche a più valori, non
solo vero e falso, ma addirittura una infinità di valori intermedi (Fuzzy Logic). Queste logiche
allargano il modo di pensare e rendono possibili elaborazioni di più ampio respiro.
La logica intuitiva, per esempio, lavora analogamente al modo di operare dell’intuito umano.
Non è più vera la dimostrazione per assurdo, sono vere solo le proposizioni affermative.
Se la macchina di Giorgio non si trova in garage può darsi che Giorgio si trovi al circolo del golf.
Questa induzione non è detto che sia vera però può essere vera con una certa probabilità.
Così come l’elettrone è descritto da un’onda di probabilità, anche gli eventi del mondo reale si
possono verificare con un certo grado di probabilità.
L’elemento statistico diviene indispensabile per comprendere i dati reali.
L’evento singolo è imprevedibile però possiamo prevedere il comportamento di una popolazione di
casi dotati di una certa probabilità.
In particolare una correlazione statistica suggerisce l’esistenza di una qualche legge che governa il
fenomeno studiato. Analisi di questo tipo divengono utili strumenti in molte discipline scientifiche e
non, come per esempio l’economia.
Nelle assicurazioni la polizza viene calcolata sulla base statistica degli incidenti.
L’incidente singolo non può essere previsto però possono essere previsti un certo numero di
incidenti in un determinato periodo.
Anche la probabilità può essere definita dal punto di vista soggettivo.
Un'altra possibile definizione è quella frequentista, ma in questo caso occorre avere a disposizione
la storia passata degli eventi e confidare nella persistenza delle cause.
Un’altra possibilità è data dalla definizione di probabilità equiprobabile che come si vede è un gatto
che si morde la coda.
Il concetto di probabilità è molto utile per il pensiero matematico.
Qual è la probabilità che il sole sorga di nuovo domani?
Qual è la probabilità che un sasso lanciato in alto cada al suolo?
Potrebbe anche finire in orbita!
Non tutto è così scontato.
Noi diamo per scontate un sacco di cose che ci riguardano e ci interessano in prima persona.
Diamo per scontato che domattina alle sette in punto partirà il nostro treno
Ma non è così, il treno potrebbe essere in ritardo o addirittura essere deragliato.
Le possibilità di evoluzione del reale sono molteplici, non esiste che tutto corra lungo un unico
irremovibile binario. Tutto cambia. La realtà è complessa.
Cambiamenti minimi oggi possono portare a drastici cambiamenti domani.
Il futuro è incerto e il passato non c’è più.
Certo è vero che sono qui e che fra pochi secondi sarò ancora qui, ma non è possibile dilatare il
tempo per un periodo troppo lungo: qualcosa può succedere in pochi istanti.

16
Una donna cerca in un uomo sicurezza.
La certezza del futuro, per poter portare in grembo per nove mesi la nascitura creatura.
Un uomo che non dia sicurezza alla donna ha molte difficoltà di approccio.
Una donna capisce al volo certe cose, possiede un intuito infallibile.
Prodigio dell’evoluzione, l’intuito femminile si genera e si sviluppa in funzione della sopravvivenza
della specie: le donne selezionano gli uomini più adatti alla riproduzione.
Bisogna dire, per amor del vero, che poi una volta risolto il problema esistenziale le donne sono
attratte dagli uomini fuori norma: i più scapestrati.
Forse anche questo, che porta ad una diversificazione della specie, è funzionale all’evoluzione.
Maschile e femminile si fondono per dar origine all’unità dell’essere.
Il mondo delle donne è un mondo per me misterioso.
Per quanto cerchi di capire una donna il suo comportamento è sempre, per me, imprevedibile.
Forse perché non ho mai saputo darle sufficiente sicurezza.
Per me tutto è possibile e questo una donna non lo manda giù facilmente.
Tornando al computer bisogna dire che esso esegue il programma con una notevolissima sicurezza
una precisione del cento per cento. Certo può andare in errore o addirittura essere spento ma il
computer è uno strumento che fornisce all’uomo una certezza di calcolo mai raggiunta prima.
Il pensiero vacilla di fronte a tanta potenza di calcolo.
Programmare un computer è un’arte e una volta cablato l’algoritmo questo può funzionare
innumerevoli volte con estrema precisione.
Ormai si fa tutto con il computer, basta premere un clik e il gioco è fatto.
Ma la realtà non si esaurisce con il semplice calcolo formale, occorre anche saper fare e non solo
calcolare: per costruire una casa occorre mettere pietra su pietra e non basta il solo progetto.
L’arte del fare, manipolare oggetti, ecco una cosa che i computer non sanno fare.
I computer manipolano informazioni e l’informazione è immateriale.
Per calarsi nel mondo occorre anche il corpo e in particolare le mani.
Non si dà intelligenza senza un oggetto su cui applicarla.
Viene in mente l’arte costruttiva dimostrata dagli antichi popoli, come per esempio la costruzione
delle piramidi egizie. Si può ritrovare quest’arte manifatturiera nelle fattezze di antichi mobili che
popolano i negozi di antiquariato. Gli eschimesi riescono a sopravvivere in un ambiente
estremamente ostile dimostrando grande intelligenza.
Con il computer se sbagli puoi correggere, nel mondo reale no, se fai un lavoro mal fatto questo
rimane e non si cambia più. Se fai un foro in un muro e sbagli la misura non c’è verso di rimediare
all’errore, il buco rimane e non si cambia.
L’utilizzo del computer ha creato un mondo virtuale dove è possibile correggere i propri errori.
C’è un piccolo inghippo però, e cioè che diventa sempre più difficile distinguere il reale dal
virtuale: le giovani generazioni sono disorientate da questa circostanza.
Nel mondo reale una volta che una cosa è fatta è fatta e non si cambia più; a nulla vale il piangere
sulle conseguenze indesiderate. Nel mondo virtuale la realtà virtuale si confà di buon grado ai tuoi
desideri e consente un allargamento della fantasia. Voli pindarici in un mondo ineffabile.
Guardiamo la televisione e pensiamo che ci sia un intero mondo là dentro, in realtà sono solo
elettroni che spazzano il video a gran velocità.
Cosa succede in realtà in uno studio televisivo non è dato di sapere: conosciamo solo ciò che le
telecamere ci propongono istante per istante. Il primo piano, il mezzo busto, la figura intera e così
via, in ogni momento è la regia che ci sforna le immagini che vediamo.
La televisione ci informa su ciò che accade nel mondo.
Siamo informati su tutto, dalle notizie del telegiornale al documentario sugli animali, dalle
caratteristiche della nuova macchina sportiva al detersivo che più bianco non si può.
Come districarsi in questo mare di informazioni a volte contradditorie?
Viviamo una vita frenetica pressata dal contingente, ma vogliamo essere informati sulle scelte dei
politici e magari anche sulla loro vita privata.

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Hanno innestato un braccio bionico sul corpo di un giovane menomato. Ecco una notizia del
telegiornale di oggi. Quali implicazioni può avere nella nostra concezione della scienza. La scienza
procede trionfante realizzando cose che fino a ieri sembravano inconcepibili.
Un politico querela un giornalista che ha divulgato una informazione sulla sua vita privata.
La gente si è abituata alle notizie di tutti i tipi e non ci ragiona più sopra.
Acqua alta a Venezia: acqua fresca che passa. Tutto ci sembra di normale amministrazione.
Basta affrontare la vita con un bel sorriso: essere educati cortesi e disponibili.
Ma non tutti i messaggi che ci arrivano dalla TV sono corretti.
Il cronista dice quello che vuole dire e non si cura più di tanto della verità.
Molte volte l’opinionista ci propina delle idee fuorvianti basate sul proprio personale punto di vista.
Ognuno dice quello che sa sulla base della propria esperienza personale e non si può sapere tutto.
I libri costituiscono una preziosa fonte di conoscenza ma la nostra esperienza di vita ci insegna
molto di più e soprattutto è per noi molto più convincente.
Per qualcuno una certa cosa si può fare, per me no e rimango della mia convinzione, convinzione
radicata nella mia esperienza personale, vagliata dal mio rapportarmi alle cose che conosco in prima
persona: questo è un limite ma anche ciò che ci rende unici.
Ci sono cose che tutti riescono a fare ma per me per qualche ragione che mi riguarda personalmente
quella tal cosa così facile non è possibile farla. Tutti vedono ma un cieco non può.
Esistono delle concatenazioni di cause ed effetti, cose che sembrano banali e che facciamo per
abitudine come prendere un treno alla mattina, ma in effetti occorrono dei presupposti che non sono
così ovvi e che possono anche improvvisamente venir meno. Per esempio non posso fare il biglietto
perché la biglietteria è chiusa.
Per ragionare correttamente ci vuole tranquillità e calma, se siamo pressati dalle circostanze, se
abbiamo qualche ragione per essere preoccupati allora possiamo essere alterati nel giudizio e dire o
fare cose spropositate.
Uno stato alterato dell’umore può compromettere il corretto rapportarsi con le persone.
Comunque i rapporti interpersonali sono sempre problematici.
La varietà delle relazioni interpersonali è infinita e non sempre basta una solida educazione
sedimentata in una lunga tradizione culturale per avere un rapporto corretto.
Leggi e decreti ci impediscono di andare a rubare e questo è anche un nostro imperativo morale che
sentiamo dentro di noi, eppure in certe disperate circostanze questo comportamento anche se non
può essere giustificato potrebbe essere comprensibile.
Se passi col rosso ti becchi una multa.
Secondo il codice della strada per guidare un’automobile bisogna mettersi la cintura di sicurezza, se
la cosa non mi piace e mi ribello alla legge mi becco una multa.
È in questo modo che funziona la nostra società civile.
Libertà di pensiero e libertà di parola questi sono due capisaldi raggiunti dalla nostra cultura.
Ma se diffamiamo una persona ci troviamo in tribunale con una querela.
A volte i dati sulla carta ci dicono fatti che sono validi giuridicamente ma non sono validi dal punto
di vista morale o addirittura come dati di fatto reali.
Verba volant scripta manent.
Certo che le cose scritte rimangono mentre le parole dette si perdono nella memoria.
All’inizio c’era il verbo e il verbo era presso Dio, recita la Bibbia.
La parola, come mezzo di comunicazione, rimane lo strumento principe: la parola scritta perde
molto della sua efficacia rispetto alla parola detta.
Se pronuncio un discorso incazzato è un messaggio diverso dal parlare in modo tranquillo e sereno.
È diverso il contenuto informativo che voglio trasmettere, è diverso l’effetto che voglio produrre
nell’ascoltatore.
La verità non corrisponde a quello che tutti pensano essere vero, la verità è inconoscibile.
La verità non è un concetto democratico.
Ognuno crede essere vero solo ciò che gli appare vero dal proprio punto di vista.

18
Come chi sperimenta l’esistenza di un elefante: c’è chi sperimenta la proboscide, chi le zanne e chi
le zampe, e ognuno è assolutamente convinto che l’elefante sia solo quello mentre l’elefante è
un’altra cosa e bisognerebbe vederlo in tutta la sua interezza per capire cosa realmente sia.
Nessuno può conoscere tutto, c’è sempre qualche aspetto che sfugge.
Esistono tante verità quanti sono gli individui, verità che si confrontano.
Noi prevediamo il nostro futuro sulla base di ciò che conosciamo, ma cosa può accadere?
Il futuro è soggetto alle leggi di causa ed effetto, eppure è imprevedibile.
Cosa succederà oggi nella mia vita?
Sulla base delle mie conoscenze non dovrebbe accadere proprio nulla.
Invece può sempre capitare qualcosa che cambierà il corso della mia intera esistenza.
In questo sta la bellezza e nello stesso tempo la drammaticità della vita.
Cosa può fare un uomo solo isolato dalla società?
Non saprebbe nemmeno parlare.
La società si comporta nel suo complesso come un organismo vivente.
Un organismo vivente non si può controllare come una macchina, ma solo stimolare.
I politici cercano di controllare con leggi e decreti la vita delle persone: la macchina burocratica.
Va da sé che il singolo che si sente imbrigliato in questa ragnatela può ribellarsi al sistema.
Ma ribellarsi costa e costa caro, si paga con la vita.
Andare controcorrente non porta fortuna, molto meglio essere ipocriti e far buon viso a cattiva
sorte, per essere accettati occorre conformarsi alle regole che la società si è data.
È assolutamente inutile litigare con un carabiniere.
Nell’ambito della propria intimità famigliare si può pensare e dire ciò che più ci piace ma quando il
proprio pensiero diventa pubblico occorre soppesare con cura tutte le parole.
È possibile la vita extraterrestre: esistono gli alieni?
L’universo è così grande che se gli alieni non esistessero sarebbe veramente uno spreco di spazio.
La terra è solo un piccolo pianeta che orbita attorno ad una stella qualunque in una galassia
qualunque in un universo in cui esistono miliardi di galassie.
Noi siamo terrestri e dipendiamo strettamente dalla vita del pianeta.
Senza alberi e animali noi moriremmo ben presto di fame.
Eppure l’uomo è la misura di tutte le cose. (Leonardo da Vinci)
Forse l’universo esiste perché ne possiamo prendere coscienza.
Tutto è funzionale alla vita, anche la costante adimensionale della fisica: il numero 137.
L’uomo ha inventato il computer, potente strumento di calcolo.
Grazie al computer è possibile calcolare il moto dei pianeti che ruotano attorno al sole e prevedere
la eclissi lunari che si verificheranno nel tempo.
L’esplorazione dello spazio si è resa possibile grazie alle leggi della fisica e allo sviluppo della
tecnologia: l’uomo ha messo piede sulla luna.
Riuscirà l’uomo a viaggiare nello spazio alla guisa di come ce lo propongono i film di fantascienza?
Riuscirà l’uomo a lasciare la terra, ad uscire dal sistema solare?
La stella più vicina è distante anni luce.
L’impresa sembra veramente impossibile, ma chissà nel futuro cosa può succedere.
La distruzione dell’uomo e di ogni forma di vita oppure la conquista dello spazio?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Certo che l’esperienza di un astronauta deve essere veramente particolare.
Vivere in una capsula spaziale in assenza di gravità: chi lo può sperimentare.
Le esperienze umane sono incredibili: c’è anche chi è rimasto intrappolato in un ascensore per
giorni, chissà cosa è passato per la testa di quell’uomo.
Alcuni astronauti sono diventati dei mistici e hanno fondato movimenti per la vita.
Chissà com’è vedere la Terra dal suolo lunare?
Una palla azzurra illuminata dal sole.

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Ma tornando sulla Terra basta vedere un fiore che sboccia per provare stupore verso le meravigliose
realizzazioni della natura.
Se osserviamo la nostra mano con attenzione siamo sorpresi da quanto sia funzionale ai nostri scopi,
con la mano possiamo agire nel mondo, afferrare oggetti, costruire manufatti.
Eppure studiando la mano dal punto di vista bio-fisico ci sorprendiamo di quanto sia complessa la
sua fisiologia, per esempio il modo in cui utilizza l’energia: catene di reazioni chimiche complesse.
La singola cellula vivente risulta più complessa di una moderna fabbrica automatica.
Un televisore è un oggetto complesso costruito dall’uomo, ma il televisore non è vivo anche se lo
potrebbe sembrare come recita la trasmissione televisiva: la vita in diretta.
È possibile costruire un robot che si comporti come un topo ma il topo è vivo il robot no.
Cos’è la vita?
Cos’è il pensiero?
Il computer è una bella metafora ma il computer non è vivo.
Cosa può sapere un computer del mondo?
Il computer memorizza una gran quantità di dati ma questo non è sufficiente.
Ci vuole un essere umano per dotare di senso a questi dati.
La memoria umana è vastissima anche se non è così precisa come quella di un computer.
Possiamo ricordarci cosa ci aveva detto il tal giorno il nostro maestro alle elementari ma l’uomo
dimentica e ha bisogno di dormire.
Se un uomo non dorme per una settimana impazzisce: abbiamo bisogno di sognare.
La psicologia moderna analizza i sogni e li considera una porta aperta verso l’inconscio.
La psiche è una realtà multiforme e complessa.
È l’inconscio che sta all’origine dei pensieri consci e l’inconscio funziona un una modalità
massicciamente parallela: ricordi che si accavallano nel buio e che faticosamente vengono alla luce.
Tutte le nostre esperienze sono sedimentate nell’inconscio.
Il lapsus Freudiano indica quanto sia vasto e complesso l’inconscio.
Jung ha poi ipotizzato l’esistenza di un inconscio collettivo in cui si trova traccia di tutta la storia
dell’umanità, pieno di archetipi comuni a tutti gli uomini.
La vita ha bisogno di informazione.
Sono per la strada un passante mi chiede un’informazione: dove si trova piazza Verdi?
La mente estrae dalla memoria l’informazione richiesta, ma in che modo è stata memorizzata?
È una lunga storia di esperienze vissute.
Ci sono informazioni vitali e informazioni che ci interessano per pura curiosità.
Informazioni importanti e informazioni occasionali.
Per un computer tutte le informazioni sono uguali: stringhe di bit.
Se la memoria non basta esiste la scrittura.
Una frase scritta deve portare con sé l’intero corpo di informazione voluta, non può essere colorita
con l’espressione del volto o dal tono di voce. Una frase scritta deve essere reinterpretata dal lettore,
deve essere calata in una nuova e diversa visione.
Una informazione viene compresa solo quando viene inserita in un contesto già noto.
A volte contiene più informazione un gesto che mille parole.
Se ti do un pugno sul naso il significato è inequivocabile.
Noi giudichiamo le cose sulla base delle informazioni di cui disponiamo.
Il linguaggio, parlato o scritto, è il veicolo che ci consente di scambiare delle informazioni.
Ma l’uomo può anche mentire deliberatamente.
L’informazione è tanto più convincente tanto più è stimato l’oratore.
Per giudicare un’informazione ci affidiamo alla credibilità della fonte.
Un giudizio sull’informazione e correlato al livello di stima che abbiamo sull’uomo o sul mezzo
informatico che ce le fornisce.
Su internet è comparso un uomo che affermava di provenire dal futuro.
Il viaggiatore nel tempo era tornato per recuperare un vecchio modello di computer IBM.

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Questa informazione ci incuriosisce e ci fa pensare ma quanto può essere credibile?
Per accettare come vera un’informazione noi cerchiamo il riscontro oggettivo ma non sempre
questo è possibile: esistono informazioni che per loro natura non possono avere un riscontro
oggettivo, allora in tal caso si compie un atto di fede. O l’accettiamo oppure la rifiutiamo.
È possibile viaggiare nel tempo?
Le leggi della fisica sembra che non pongano veti, sembrerebbe possibile.
Le leggi della fisica sono simmetriche nel tempo: così come si va avanti si potrebbe andare indietro.
I film di fantascienza sono pieni di viaggi nel tempo come nel film “ritorno al futuro”.
Esiste una freccia del tempo, quella psicologica, che ci dice che stiamo andando avanti nel tempo.
Questa è l’impressione che abbiamo: che il tempo scorra in avanti.
Con un orologio possiamo anche misurare il tempo che scorre.
Basta un attimo perché si verifichi un evento cruciale nella nostra esistenza.
In un attimo il tempo si dilata per l’eternità.
Ogni cosa presente contemporaneamente senza flusso di tempo.
L’infinito, quale concetto strizzacervelli.
Può esistere qualcosa di infinito?
I numeri sono infiniti ma avremmo abbastanza tempo e abbastanza spazio per contare il numero
successivo all’ultimo?
Secondo la matematica di Cantor esistono anche i numeri transfiniti: qualcosa di più dell’infinito.
Secondo Godel esiste poi, in un qualsiasi sistema aritmetico formale, un’affermazione che è vera
ma che non è dimostrabile all’interno del sistema.
Chissà se questo vale anche per la mente umana?
Esiste un limite intrinseco alle possibilità di sviluppo del potenziale umano?
La mente si scontra contro un muro: il muro dell’inconoscibile.
Questo muro è un muro psicologico che può essere superato in ogni essere umano.
Ma per farlo occorre fare un salto nel vuoto che ci porta alla trascendenza.
Quel senso oceanico di mistero che riempie il vuoto del nichilismo.
Perché c’è qualcosa anziché il nulla?
Se ingessiamo un braccio questo si atrofizza. L’uso rinforza l’arto.
Questo è valido anche per il cervello: percorsi ripetuti frequentemente si rafforzano.
Pensare sempre le stesse cose ci porta all’ossessione: un’esasperazione del pensiero.
Occorre diversificare gli stimoli e mai come oggi siamo bombardati da stimoli diversi.
Per un uomo le donne sono uno stimolo molto interessante e il mondo è pieno di donne.
È l’amore che fa andare avanti il mondo.
Il mondo è bello perché è vario.
Ma torniamo alla meccanica quantistica e al principio di indeterminazione.
Quali conclusioni può trarre l’uomo della strada da queste teorie fisiche sul comportamento della
materia subnucleare?
Dovrebbe forse mettere in dubbio tutte le proprie certezze?
Certamente questo sarebbe oltremodo devastante.
Però potrebbe originarsi un nuovo modo di vedere il mondo più aperto e disponibile.
Se anche la materia grezza si comporta in questo modo così bizzarro allora forse potrebbe venire il
dubbio sul nostro operare concreto, potremmo farci delle domande fondamentali e avere una visione
diversa delle cose.
Essere consapevoli che in ogni istante osserviamo il mondo dal nostro particolarissimo punto di
vista potrebbe portare ad una maggiore apertura verso gli altri ed ad un senso di umiltà.
Un vecchio detto cinese recita: prima di giudicare un uomo cammina nelle sue scarpe per almeno un
chilometro.
Mettersi nei panni di un altro non è facile: ognuno sente la propria fatica.
Vivere è faticoso: occorre vincere la propria battaglia contro l’entropia.
Mettere ordine dove c’è disordine ed eliminare i propri rifiuti inquinanti.

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La relatività generale ha distrutto il concetto di simultaneità: eventi coincidenti per un osservatore
possono non esserlo per un altro osservatore. Eppure il cervello è un potente analizzatore di
coincidenze. Il concetto di simultaneità è un paradigma per la comprensione del funzionamento
della mente. Coincidenze spazio temporali sono significative per l’osservatore.
Se due eventi si presentano sempre in coppia allora ne concludiamo che sono correlati da una legge
fisica che ne governa il comportamento. A volte non esiste una legge fisica che sottostà alla
correlazione di due eventi per esempio due orologi sincronizzati segnano la stessa ora nonostante
non vi sia alcuna interazione reciproca se non lo scorrere uniforme del tempo. Ma il tempo non
scorre uniformemente ovunque: ogni osservatore possiede il suo tempo.
Se accelero una astronave a velocità della luce il tempo si ferma: il tempo all’interno dell’astronave
scorre in maniera diversa dal tempo di un osservatore all’esterno.
Inoltre la forza gravitazionale influenza lo scorrere del tempo: in un buco nero, all’orizzonte degli
eventi, per un osservatore esterno, il tempo si ferma.
Nulla può uscire da un buco nero nemmeno la luce.
All’orizzonte degli eventi si possono generare dal vuoto, quantisticamente per un tempo
infinitesimo, due particelle, particella e antiparticella, una che cade nel buco nero e l’altra che
sfugge alla gravitazione: il buco nero diviene così un buco bianco.
Tutto ciò sottolinea la complessità dell’universo e delle sue leggi.
Le sincronicità si realizzano fuori dallo spazio e dal tempo come lo conosciamo.
Le sincronicità ci sfidano a gettare un ponte tra l’oggettività della scienza e la soggettività dei valori
personali laddove oggettività e soggettività sono inconciliabili.
La parola coscienza possiede molte sfaccettature e significati che dipendono dall’interpretazione.
Ci sono anche gli obiettori di coscienza, in questo caso la coscienza assume una dimensione morale.
Il significato che mi interessa maggiormente della parola coscienza risiede nella consapevolezza di
sé, nell’essere coscienti di esistere. La coscienza è il riferimento proprio ad ognuno come l’attore
principe che sperimenta il mondo esterno. La coscienza è il mondo interno.
Ci sono dati oggettivi e dati soggettivi che rappresentano il modo in cui vengono tradotti
soggettivamente i fatti dell’esperienza. Nel momento in cui uno parla o scrive tutto il processo di
oggettivazione del mondo si è già realizzato in una catena di interpretazioni complesse.
La realtà viene interpretata e quindi comunicata tramite il linguaggio ma nessuno può risalire fino
all’origine di tutto il processo: la realtà ultima è inconoscibile.
Se voglio spiegare ad un alieno che cosa è un gatto posso dire “questo è un gatto” oppure cercare di
descrivere in dettaglio tutte le caratteristiche del gatto; la prima soluzione è più efficace anche se la
seconda è migliore dal punto di vista scientifico.
Di fronte alla percezione della mia mano posso scrivere un intero trattato di fisiologia ma è più
semplice affidarmi alla mia percezione diretta.
Le leggi della fisica dicono il come ma non il perché, mentre l’uomo si chiede sempre il perché.
Il trattato di fisiologia ci dice come si realizzano i processi nella mano ma l’uomo si chiede perché
la mano è così funzionale per afferrare oggetti.
Certo che se qualcuno mi dice di aver fatto una cosa posso rimanere sorpreso ma se non mi spiega
come ha fatto a farla io non riuscirò mai ad imitarlo.
È per questo che il come è così importante per lo sviluppo della scienza.
La legge di gravitazione ci dice come cadono i corpi ma non il perché.
La mente razionale cerca una ragione oltre che una spiegazione del come.
SE condizione ALLORA azione.
Questo è il paradigma che soggiace al funzionamento del computer e che lo rende così potente.
Se si verifica questo fatto allora significa che vale una certa legge.
Questo è il paradigma della scienza inaugurata da Galileo.
La sincronicità invece non possiede nessuna causa: per questo distrugge la logica.
L’evento si presenta nudo e crudo senza nessuna ragione apparente.
Ma gli eventi del quotidiano sono così e il cervello si è adattato a trattarli lo stesso.

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Il cervello taglia corto: non esamina tutte le possibilità.
Bastano pochi indizi per trarre delle conclusioni generali.
Bastano poche parole per farci un’idea di un fenomeno complesso.
La matematica invece analizza i particolari e la matematica è il linguaggio della scienza.
È sorprendente che scarabocchi scritti su un pezzo di carta possano descrivere così bene il
comportamento dei corpi materiali nella realtà.
Un proverbio cinese dice: se vuoi fare bene un certo compito prima affila i tuoi strumenti.
La matematica è lo strumento della scienza.
La matematica si basa sugli assiomi iniziali che non sono dimostrabili ma che vengono accettati
come veri; per esempio l’assioma della scelta che afferma che è sempre possibile scegliere un
particolare elemento da un insieme di elementi.
Per fare occorre che sia “possibile” fare.
Che cosa può succedere?
Date certe premesse alcune cose possono accadere altre no.
Se si considera un parametro fisico senza tener conto dei dati reali si può ritenere verosimile
l’impossibile. Il principio di indeterminazione ci impedisce di conoscere i dati reali.
Ci troviamo in un vicolo cieco senza soluzione logica.
Il cervello taglia corto e riesce a risolvere questo problema insolubile logicamente.
Ognuno utilizza una propria logica di spiegazione.
Ognuno vede il mondo a modo suo.
C’è sempre una ragione, conscia o inconscia, che sta alla base di ogni comportamento.
Molti dei perché risiedono nella cultura in cui un uomo è vissuto.
Molti dei perché risiedono nella esperienza personale di ciascuno.
A volte può succedere che vogliamo fare una cosa ma non sappiamo come fare e questo ci porta
verso una sensazione di panico e di impotenza.
Io non so come costruire un orologio anche se lo utilizzo senza problemi per misurare il mio tempo.
E questo è vero per tantissime cose che adopero quotidianamente.
A volte ci troviamo in una situazione assurda e non sappiamo come uscirne.
La dimostrazione per assurdo è un pilastro della matematica.
Se la situazione persiste possiamo anche morire ma a volte la vita ha la meglio e il problema trova
una soluzione imprevista.
A volte le persone ci vengono in aiuto e l’azione concertata di molte teste riesce a trovare quella
soluzione che sembrava impossibile al singolo individuo.
Ogni singolo individuo è utile alla società ma non indispensabile.
È normale fare riunioni e convegni in cui il parere del singolo viene arricchito dal parere di altri.
La società va avanti con il contributo di tutti chi più chi meno.
Nel nostro ragionare la mente può essere attratta da un particolare che diviene significativo.
Come i simboli che contengono una intera storia di informazioni.
Gli archetipi dell’inconscio collettivo sono simboli pieni di significato.
Il procedere del pensiero è attratto dagli stimoli esterni che lo incanalano in determinati percorsi.
Una colomba è un simbolo di pace.
Dar da mangiare a dei piccioni può farci sentire in pace col mondo.
La pubblicità sfrutta queste associazioni automatiche e per vendere un determinato prodotto lo
associa a frasi e concetti piacevoli come per esempio: è bello avere lucidità e sicurezza.
Il triangolo iscritto nel cerchio è il simbolo dell’occhio divino.
Il minareto è il simbolo dell’islam.
Il sentimento religioso può ancorarsi a diverse tradizioni storiche piene di simboli sacri.
Il simbolo può richiamare alla mente pensieri piacevoli o concetti devastanti.
Il simbolo è complesso e composito pieno di rimandi storici.
L’uomo può compiere gesti simbolici come per esempio stracciare una bandiera che significa
dichiarare guerra all’intera nazione.

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Il pensiero è sempre simbolico, poi può essere applicato oppure teorico.
La pratica val più della grammatica suona un vecchio adagio.
Al pensiero astratto deve far seguito l’arte del fare: la realizzazione pratica.
Si può avere un’idea innovativa ma la applicazione pratica può farsi attendere a lungo.
Come l’idea di costruire macchine pensanti quando non si sa ancora come fare.
Tutto cambia e si rinnova e il sapere costruttivo può anche andare perduto.
Oggigiorno tutto è affidato alla memoria del computer, ma un computer può rompersi oppure
andare in errore. Poi ci sono i virus che sono una vera scocciatura.
Realizzare un manufatto che sia utile alla società produce una grande soddisfazione.
Avere un’azienda propria che va bene e produce reddito ti dà una gran carica.
Le soddisfazioni che un uomo può avere sono fatte di piccole cose.
Chi trova un amico trova un tesoro.
Avere relazioni interpersonali con amici e parenti procura una sana gratificazione.
Muoversi, comunicare, divertirsi ecco cosa ci vuole per stare bene.
Il rispetto degli altri e del lavoro altrui è altamente raccomandabile.

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La mente multiforme
Le prestazioni del cervello sono veramente notevoli.
Noi riusciamo a tenere presente una notevole mole di informazioni.
Un particolare, un episodio può essere per noi particolarmente significativo.
A volte notiamo un aspetto di una scena e, trascurando l’intero contesto, fissiamo la nostra
attenzione su quel dettaglio traendone particolari conclusioni.
Dal modo con cui ricordiamo un fatto accadutoci ne possiamo trarre differenti conclusioni.
Ruotiamo attorno a stereotipi che ci vengono in mente colorando l’esperienza di quel particolare
aspetto che più si confà al nostro sentire.
A volte possiamo attribuire un significato abnorme ad una percezione corretta e questo può portarci
sulla strada del delirio: verso una certezza incrollabile e non verificabile.
I nostri sensi ci forniscono dei dati che poi elaboriamo costruendo teorie nel linguaggio della mente.
Seguiamo una nostra logica di ragionamento e ricuciamo l’esistente in una rappresentazione
coerente: letteralmente creiamo la nostra realtà.
Il pensiero può spaziare dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, mentre i sensi ci
forniscono solo dati contingenti al nostro infinitesimo istante presente.
Il primo passo dell’uomo sulla luna è stato un piccolo passo per un uomo ma un grande passo per
l’umanità, così piccole conquiste che un uomo può compiere nel quotidiano possono divenire
importanti per tutti.
Noi comunichiamo e continuamente ci scambiamo informazioni.
Le parole si adattano come un guanto alle cose reali anche se non ne colgono l’essenza.
A volte il messaggio che vogliamo comunicare non si confà alla struttura del linguaggio, le parole
da sole non bastano ad esprimere quello che vogliamo dire.
Una parola in un discorso viene reinterpretata dall’ascoltatore ed assume un significato coerente a
ciò che l’ascoltatore stesso conosce già.
Il linguaggio ha per noi una dimensione universale, cosa che non corrisponde alla realtà.
Esistono esperienze che nonostante abbiano per noi una importanza fondamentale non sono pur
tuttavia comunicabili tramite il linguaggio.
Come comunicare l’emozione che si prova davanti ad un tramonto sul mare?
La musica, l’arte e la poesia ci vengono in aiuto.
Ma anche queste creazioni artistiche non colgono l’essenza del contenuto.
Noi possiamo agire o immaginarci di agire.
Nell’immaginazione si dischiudono infinite possibilità ma è solo quando agiamo concretamente che
si realizza nel mondo il nostro pensare.
Per realizzare qualche manufatto dobbiamo prima pensare a come fare non agiamo a caso.
Ci immaginiamo all’opera e prevediamo i dettagli costruttivi: ci organizziamo.
L’istruzione e lo studio ci indirizzano nel nostro operare ma da sole non bastano: occorre anche un
saper fare. Un sapere costruttivo che si acquisisce solo con l’esperienza.
Per montare una lavatrice posso leggere le istruzioni, ma occorre la manualità di un idraulico per
garantire la buona riuscita dell’opera.
Per realizzare un progetto complesso è auspicabile disporre di molte teste che collaborano
scambiandosi idee e suggerimenti tramite il linguaggio. Quando più persone si riuniscono attorno
ad un tavolo si realizzano sinergie che superano le potenzialità dei singoli partecipanti.
Chi vede un aspetto chi un altro chi fa una sintesi chi una analisi e così via.
Il tutto è più che la somma delle parti.
Una contraddizione può essere aggirata o ridimensionata ma non eliminata.
Quando incontriamo una contraddizione il nostro ragionare viene bloccato e per continuare non
possiamo far altro che metterla nel dimenticatoio, ma la contraddizione rimane e ci rende irrequieti.

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Nella dimostrazione per assurdo si sfrutta il raggiungimento di una contraddizione per affermare la
tesi, ma nel quotidiano siamo sommersi da contraddizioni e ci siamo abituati a non considerarle.
Nell’utilizzo della logica matematica una contraddizione rappresenta una bomba ad orologeria: ne
mina alle basi la coerenza, pertanto non utilizziamo la logica matematica nel nostro ragionare.
La matematica è il linguaggio della scienza e non ammette contraddizioni.
Nella fisica la meccanica quantistica ha introdotto una contraddizione: l’elettrone è sia un’onda che
una particella. Tale contraddizione viene superata dal formalismo matematico con cui si descrive
l’elettrone a scapito però in senso ontologico della reale esistenza dell’elettrone.
In un sistema esperto l’inserimento di un dato contraddittorio cancella l’informazione originaria.
Il cervello no: convive con le contraddizioni.
La logica è atemporale mentre il pensiero è un processo che si svolge nel tempo.
Cambiando le condizioni e le caratteristiche dell’ambiente l’organismo si adatta.
Ciò che era vero ieri oggi non lo è più.
Per l’organismo immerso nel suo ambiente si apre un oceano di possibilità di evoluzione.
Verosimilmente l’organismo sfrutta le coincidenze favorevoli portandone traccia.
La nostra attenzione viene catturata dagli stimoli esterni.
A molte cose non prestiamo neanche attenzione e quando lo facciamo ci accorgiamo di particolari
che non avevamo notato: le cose ci sembrano diverse.
Molte cose le diamo per scontate e le facciamo come un automatismo inconsapevole.
Se prestiamo attenzione ad una semplice cosa che facciamo quotidianamente potremmo stupirci di
scoprire aspetti che ci erano sfuggiti.
Isolare gli oggetti dal contesto per quanto possa sembrare banale è un compito che richiede una
elaborazione complessa come hanno dimostrato gli studi di intelligenza artificiale.
Noi continuamente utilizziamo degli strumenti nel nostro operare.
Strumenti che abbiamo imparato ad utilizzare con più o meno fatica.
Un libro è uno strumento per lo sviluppo della conoscenza, nel libro possiamo trovare informazioni
utili per il nostro sviluppo personale.
Nei libri possiamo trovare la storia degli eventi del passato e la genesi delle idee che hanno guidato
lo sviluppo delle civiltà.
Oggigiorno c’è la televisione che ci informa sui fatti del mondo ad un ritmo frenetico, ma la lettura
di un buon libro rimane ancora un piacere insuperabile.
I filosofi ne hanno pensate di tutti i colori, è difficile avere un pensiero originale.
Per esempio la filosofia di Berkeley riassumibile con “esse est percipi” in cui l’essere non è altro
che percezione stabilisce il primato della coscienza sulla materia.
Berkeley era contro l'esistenza delle idee astratte e fautore di un nominalismo radicale. Infatti
secondo l'irlandese non esistono idee generali o universali, ma semplici idee particolari usate come
segni, appartenenti ad un gruppo di altre idee particolari tra loro affini. Gli oggetti che noi crediamo
esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto
collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva.
Anche la fisica di Newton non è altro che una ipotesi.
L’idea che la realtà ultima sia inconoscibile non è nuova.
Basta aprire gli occhi per vedere ma la realtà non corrisponde a quello che appare: l’apparenza
inganna. Noi vediamo prima di tutto ciò che ci interessa: l’attenzione è pilotata dalla volontà.
Possiamo soffermarci su un particolare dotandolo di significato: dell’intera percezione ne
consideriamo soltanto un pezzetto. Della esperienza totale ne perdiamo il senso. È impossibile
prestare attenzione a tutti i dettagli della scena che vediamo; seguiamo l’influsso del nostro interno
esperire: vediamo soltanto ciò che vogliamo vedere. Il dettaglio che cattura la nostra attenzione può
avere per noi un significato che trascende l’intera scena. Una parola una frase deve essere inserita
nel contesto del discorso: del mare di pensieri che ci passa per la testa diciamo solo quello che si
rapporta razionalmente al contesto. La nostra vita psichica è complessa e variegata. Siamo

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intenzionati a fare un certo discorso ma poi cambiamo idea e ne facciamo un altro in relazione
all’ambiente che ci circonda o all’interlocutore che ci ascolta.
Molto spesso diciamo ciò che ci conviene dire tenendo per noi i nostri pensieri intimi.
Il dialogo tra due persone segue leggi complesse che vanno dal tema pertinente agli impulsi
dell’inconscio, dall’empatia tra i soggetti alla storia del vissuto di ciascuno.
Ogni parola è interpretata secondo la propria esperienza precedente: se dico casa posso intendere
una capanna in africa oppure un grattacielo a NewYork.
Il senso di una frase è diverso in dipendenza dell’ascoltatore: ognuno vi attribuisce un proprio
significato a seconda del contesto interpretativo.
Se dico “rosso” mi riferisco alla mia personale percezione del rosso ma non posso sapere quale
possa essere la percezione di un'altra persona: non posso entrare nella sua testa.
Si ritorna al tema filosofico delle altre menti.
Come fanno gli altri a fare quello che fanno?
È impossibile conoscerne tutti i dettagli.
Parlo con una persona, è ben vestito, mi risponde a tono, ma in realtà sono di fronte ad un sistema
biologico complesso in interazione con l’ambiente. Non posso sapere quale sia il suo mondo.
Una volta che ci salutiamo ognuno va per la sua strada e la realtà che avevamo costruito insieme
scompare. Sì è vero ci siamo detti questo e questo ma il tutto si perde nella memoria di ognuno.
Benché siamo talvolta coscienti di eseguire elaborati ragionamenti pratici, che conducono ad una
conclusione su ciò che dovremmo fare, e che sono seguiti da una decisione cosciente di fare proprio
quella cosa, queste sono esperienze relativamente rare. La maggior parte delle nostre azioni
intenzionali sono eseguite senza nessun preambolo del genere; e questo è un bene, poiché ce ne
mancherebbe il tempo.
L’errore comune è di suppone che questi casi relativamente rari di ragionamento pratico
cosciente, costituiscano un buon modello per il resto, i casi in cui le nostre azioni intenzionali
emergono da processi ai quali non abbiamo accesso.
Quando ricorro alla nozione di sé, non intendo in alcun modo suggerire che tutti i contenuti della
mente siano ispezionati da un singolo osservatore e detentore, tanto meno che tale entità risieda in
un unico sito cerebrale.
Dico, nondimeno, che le nostre esperienze tendono ad avere una prospettiva coerente, come se
davvero vi fosse un osservatore e detentore per la maggior parte dei contenuti, seppure non per
tutti.
Io immagino che tale prospettiva sia radicata in uno stato biologico relativamente stabile,
incessantemente ripetuto. L’insieme delle rappresentazioni disposizionali che descrivono una
qualsiasi delle nostre autobiografie, riguarda un gran numero di fatti categorizzati che definiscono
la nostra persona: che cosa facciamo, chi e che cosa ci piace, quali tipi di oggetti usiamo, quali
luoghi frequentiamo e quali azioni compiamo più spesso.
Si può vedere questo insieme di rappresentazioni come un dossier del tipo di quelli che ben
sapeva preparare la Cia o l’Fbi, salvo il fatto che non è contenuto in schedari, bensì nella corteccia
cerebrale.
Nella corteccia cerebrale esiste una mappa del nostro corpo e se mi do una martellata sul dito sento
male al dito e non alla corteccia cerebrale a cui arrivano gli impulsi elettro-chimici.
Il cervello organizza le percezioni in un tutto unico e irriducibile.
Il senso dell’io è un io narrativo in cui l’immaginazione gioca un ruolo cruciale: io immagino me
stesso in diverse situazioni conservando un senso di unità e di identità.
Noi ci immaginiamo agire e immaginiamo anche le conseguenze delle nostre azioni ci chiediamo
sempre come andrà a finire.
Il cervello non è fatto di sole interpretazioni coscienti depositate nell’area primaria, ne si esaurisce
con le attività integrative rese possibili dalle aree secondarie. L’enorme, sorprendente originale
lavoro del cervello comprende anche inaspettate attività di creatività, prese di decisioni che ci
rendono soggetti alla nostra esperienza vitale.

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Guardatevi attorno. Le immagini che vedete sono dentro al vostro cervello? O sono al di fuori di voi
- proprio dove sembrano essere?
Secondo la teoria convenzionale, c'è un processo a senso unico: la luce entra, ma niente è proiettato
all'esterno. Il movimento verso l'interno della luce è abbastanza familiare. Se guardate questa
pagina, la luce riflessa si muove dalla pagina attraverso il campo elettromagnetico dentro ai vostri
occhi. Le lenti dei vostri occhi focalizzano la luce per formare immagini capovolte sulla retina.
Questa luce che cade sui bastoncelli e sui coni della retina provoca dei cambiamenti elettrici al loro
interno, che danno luogo a cambiamenti caratteristici nei nervi della retina stessa. Gli impulsi
nervosi si muovono lungo i nervi ottici fino al cervello, dove provocano forme complesse di attività
elettrica e chimica. Fin qui, tutto bene. Tutti questi processi possono essere, e sono stati, studiati in
dettaglio da neurofisiologi ed altri esperti della vista e dell'attività cerebrale.
Poi succede qualcosa di molto misterioso. Si fa esperienza consapevole di quello che si sta
guardando, la pagina che vi sta di fronte. Si diventa consapevoli anche delle parole stampate e del
loro significato. Dal punto di vista della teoria standard, non c'è alcun motivo per cui si dovrebbe
esserne consapevoli. I meccanismi cerebrali dovrebbero procedere bene lo stesso senza la
consapevolezza.
Ne consegue un altro problema. Quando vedete questa pagina, non sperimentate la vostra immagine
di essa come fosse dentro al cervello, dove dovrebbe essere. Sperimentate invece la sua immagine a
circa sessanta centimetri di fronte a voi. L'immagine è fuori dal vostro corpo.
La teoria standard, nonostante tutta la sua fisiologica sofisticazione, non ha alcuna spiegazione per
la vostra esperienza più immediata e diretta. Tutta la vostra esperienza dovrebbe essere dentro al
cervello, una specie di reality show virtuale dentro la vostra testa. Questo significa che il vostro
cranio deve trovarsi al di là di qualsiasi cosa che state vedendo: se state guardando il cielo, il vostro
cranio deve essere oltre il cielo! Per quanto appaia un'idea assurda, sembra essere un'implicazione
necessaria della teoria mente-nel-cervello.
Certamente il problema della coscienza è stato ampiamente dibattuto sul piano filosofico. Poichè lo
scopo di questo scritto è di affrontare il tema della coscienza da un punto di vista scientifico, non mi
soffermerò sulle diverse definizioni e concezioni che i filosofi hanno espresso a questo proposito.
Mi limito a definire la coscienza o vita psichica come la nostra capacità di essere coscienti e/o
senzienti, di avere percezione di noi stessi, di provare sensazioni, emozioni, sentimenti, pensieri,
ecc. Non uso la parola intelligenza, perché oggi essa è spesso associata al concetto di intelligenza
artificiale, che non implica nessuna forma di vita psichica e di stato cosciente o senziente. La
scienza, al contrario della filosofia, si fonda sempre sull'osservazione di fenomeni; la possibilità di
una verifica sperimentale è ciò che in ultima istanza distingue una teoria scientifica da una
concezione filosofica. La vita psichica dell'uomo è un fenomeno direttamente osservabile di cui
abbiamo quindi piena evidenza sperimentale (anzi, esso rappresenta il fondamento di ogni altra
osservazione sperimentale, poichè se non fossimo coscienti non potremmo osservare nessun
fenomeno); il fenomeno "coscienza" merita quindi di essere analizzato sul piano scientifico.

Che cosa è il cervello ?

Oggi sappiamo che il nostro cervello è solo un insieme di particelle come elettroni e protoni, che
interagiscono attraverso il campo elettromagnetico. Ogni processo biologico è dovuto soltanto a
reazioni chimiche che a loro volta sono dovute all'interazione elettromagnetica tra gli elettroni ed i
protoni degli atomi che costituiscono il nostro organismo. Ogni neurone ed ogni cellula non sono
altro che insiemi di elettroni, protoni e neutroni, con una certa collocazione spaziale; l'interazione
elettromagnetica può essere infatti attrattiva e questo fa sì che le particelle possano attrarsi
formando determinate disposizione geometriche nello spazio. Le proprietà di ogni molecola (incluse
le molecole di DNA, gli ormoni, ecc.) ed ogni processo biologico sono dovuti solo alle leggi della
fisica; più precisamente, poiché nel nostro organismo non avvengono reazioni nucleari e le forze

28
gravitazionali sono troppo deboli per interferire con i processi molecolari, ogni processo biologico è
dovuto unicamente alle leggi dell'elettrodinamica quantistica.
La scienza ha dimostrato che tutti i processi chimici, biologici e cerebrali consistono unicamente in
successioni di processi fisici elementari, i quali sono determinati unicamente dalle leggi della fisica
quantistica. Tale visione dei processi biologici non può rendere conto dell'esistenza della nostra vita
psichica; dunque il materialismo è inconciliabile con la scienza. Del resto, ogni tentativo di spiegare
la nostra vita psichica nell'ambito del materialismo implica che ciò che soffre, ama, desidera,
percepisce, ecc. in noi siano oggetti come elettroni o campi elettromagnetici. Ma gli oggetti non
posso percepire nulla; gli oggetti non possono provare né gioia né tristezza, né piacere né dolore,
ecc. La scienza ha dimostrato che le equazioni del campo elettromagnetico sono universali; esse
descrivono tanto il campo elettromagnetico dentro il nostro cervello come quello in un qualunque
filo di rame o quello all'interno di un atomo. Non c'è alcuna traccia di coscienza, sensazioni,
sentimenti, pensieri, ecc. nelle equazioni del campo elettromagnetico. Se si ipotizza che il campo
elettromagnetico sia l'origine della nostra vita psichica, allora la sola logica conclusione sarebbe che
anche la nostra lavatrice, la nostra televisione, il nostro tostapane di tanto in tanto saranno depressi
o felici o sofferenti... Infatti, dal punto di vista scientifico non vi è alcuna differenza tra i campi
elettromagnetici presenti nel nostro cervello e quelli presenti in questi apparecchi.
Affermare che gli impulsi elettrici che avvengono nel cervello siano o generino sensazioni o
pensieri significa contraddire le leggi della fisica che considerano equivalenti tutti gli impulsi
elettrici, che avvengano dentro o fuori dal cervello. Infatti, un impulso elettrico è costituito solo da
elettroni in movimento, e gli elettroni sono tutti identici ed indistinguibili e sono sempre in
movimento in qualunque materiale o circuito elettrico. Attribuire agli elettroni del nostro cervello
proprietà (come quella di generare sensazioni o emozioni) e non attribuire la stessa proprietà a tutti
gli altri elettroni dell'universo, significa contraddire la fisica quantistica, la quale stabilisce che tutti
gli elettroni sono identici ed indistinguibili, ossia hanno tutti le stesse esatte caratteristiche e
proprietà.
Inoltre le leggi della fisica stabiliscono che gli impulsi elettrici generano solo campi
elettromagnetici ; quindi l'ipotesi tipica dei materialisti secondo cui gli impulsi elettrici del cervello
generano sensazioni, emozioni ecc., è in stridente contraddizione con le leggi della fisica. A loro
volta, le onde elettromagnetiche generate dagli impulsi elettrici nel nostro cervello sono del tutto
equivalenti a quelle generate da qualunque altro impulso elettrico ; tali onde escono dal nostro
cervello e si disperdono nello spazio esterno alla velocità della luce, come tutte le onde
elettromagnetiche.
Le leggi della fisica stabiliscono quali tipi di processi avvengono nella realtà fisica; escludendo le
reazioni nucleari e subnucleari, che non avvengono certo nel cervello, i soli processi possibili sono
il movimento di particelle e lo scambio di energia tra particelle (collisioni tra particelle) e tra
particelle e campo elettromagnetico (emissione o assorbimento di fotoni). I soli processi fisici
possibili sono determinati da un operatore matematico chiamato "Hamiltoniano", che determina
anche quali siano i soli tipi di energia esistenti nella realtà fisica. L'Hamiltoniano è infatti costituito
dalla somma di alcuni termini, ciascuno dei quali determina un tipo di energia, come l'energia
cinetica dell'elettrone o l'energia del fotone. Per avere altri processi o altri tipi di energia è
necessario aggiungere altri termini all'Hamiltoniana, alterando così le equazioni della fisica, e
conseguentemente tutte le loro soluzioni. In conclusione, le leggi della fisica smentiscono l'ipotesi
base del materialismo secondo cui la vita psichica è generata dai processi cerebrali. Le leggi della
fisica non permettono di spiegare, né di giustificare, nemmeno in linea di principio o
concettualmente, l'esistenza della vita psichica, neppure l'esistenza della sensazione più banale.

29
La vita biologica non implica la vita psichica

La scienza ha dimostrato che il nostro cervello è solo un insieme di particelle (ossia un oggetto) e
che la vita biologica consiste unicamente in una successione di reazioni chimiche concatenate, che a
loro volta consistono unicamente in processi fisici (per la precisione, processi quanto-
elettromagnetici). D'altra parte la nostra vita psichica trascende le leggi della fisica e non può quindi
essere considerata il prodotto dei processi biologici o cerebrali, essendo essi meri processi fisici.
Questo implica che la nostra psiche ed il nostro cervello non siano la stessa entità, ma due diverse
entità interagenti. Uso il termine psiche per indicare il componente non-fisico/non-biologico
dell'uomo che genera la nostra vita psichica cosciente. Naturalmente si potrebbero usare anche altri
termini, come mente, spirito, anima, ecc.
A questo punto è doveroso chiedersi se esista qualche evidenza scientifica sull'eventuale esistenza
di una qualche specie di vita psichica cosciente negli animali, come percezione di sensazioni o
emozioni. La prima osservazione che deve essere fatta a questo proposito è la seguente; oggi
sappiamo che è possibile in linea di principio simulare al computer ogni aspetto del comportamento
degli animali, incluso la capacità di apprendimento o l'apparente capacità di riconoscersi allo
specchio. Un software adeguato può permettere al computer di registrare in memoria i dati di input,
analizzarli, e produrre determinati output ; tutte queste operazioni avvengono naturalmente in modo
automatico, senza che il computer sia cosciente di nulla. Per esempio un computer può
"distinguere" le immagini che riceve tramite una telecamera; questo avviene automaticamente
attraverso algoritmi matematici senza che il computer abbia alcuna sensazione visiva; questo
significa che il fatto che il cane distingua il bastone da un osso non prova che il cane abbia una
sensazione visiva.
Non è quindi possibile in nessun modo escludere dal punto di vista scientifico o razionale che la
vita degli animali sia solo un processo puramente biologico e sia priva di alcuna forma di vita
cosciente; in altre parole la scienza non permette di escludere la possibilità che l'animale sia solo un
"robot biologico", che non è cosciente di nulla e non percepisce alcun tipo di sensazione, le cui
azioni e reazioni sono determinate da un "software" chimico impiantato nel suo cervello. E'
possibile spiegare anche quei comportamenti degli animali che sono spesso ritenuti un'indicazione
di stati emotivi. Per esempio, i cani che a causa di mutazioni genetiche esibivano casualmente degli
atteggiamenti affettuosi, avevano una maggior probabilità di essere "adottati" dall'uomo, e quindi di
sopravvivere. Era sufficiente che l'animale presentasse questi atteggiamenti nei confronti di un solo
membro della famiglia (anche se non era quello che gli dava il cibo) per essere accettato dalla
famiglia. Si tratterebbe solo di un caso di selezione naturale, anche se inconsapevolmente indotta
dall'uomo, che ha di fatto programmato il comportamento e le reazioni del cane. Poiché non
abbiamo alcuna modo di osservare l'esistenza di una qualsiasi forma di vita psichica negli animali e
l'ipotesi che tale vita psichica esista non è necessaria per spiegare i fenomeni osservabili negli
animali, possiamo affermare che non esiste alcuna evidenza sperimentale o scientifica dell'esistenza
di una qualsiasi forma di vita psichica negli animali, neppure di sensazioni o emozioni.
L'idea che gli animali abbiano una qualche forma di vita psichica è quindi solo un'ipotesi arbitraria,
priva di alcun fondamento scientifico o razionale. Tale ipotesi può essere considerata una
reminiscenza dell'infanzia, poiché tutti i bambini tendono ad attribuire agli animali pensieri,
emozioni e sensazioni. Del resto, i popoli primitivi tendevano ad attribuire caratteri antropomorfi a
molti elementi della natura: il sole, il mare, il vento, le foreste, le montagne... L'uomo ha mano a
mano capito che i fenomeni naturali non implicavano l'esistenza di "spiriti" addetti al loro controllo,
ma avvenivano automaticamente a causa di specifiche leggi naturali; l'uomo ha capito che la natura
è oggetto e non persona. La concezione antropomorfa degli animali è l'ultimo residuo di questo
atteggiamento pre-scientifico che ha condotto l'uomo a personalizzare i processi naturali che non
riusciva a spiegare; il progresso scientifico e tecnologico ci permette ora di spiegare anche il
comportamento degli animali senza attribuire ad essi alcun carattere antropomorfo.

30
L'attività cerebrale e la vita psichica

Vorrei fare osservare che il fatto che danni al cervello o la droga provochino alterazioni delle
capacità mentali del soggetto dimostra semplicemente l'esistenza di una interazione tra la psiche ed
il cervello. In nessun modo questo può essere considerato una prova del fatto che il cervello sia
l'origine della coscienza e della capacità di percepire emozioni, ecc. Se abbiamo un problema ai
nostri occhi, le nostre capacità visive risultano alterate, ma questo certamente non significa che
siano i nostri occhi ad avere o a generare una sensazione visiva ; questo significa semplicemente
che l'occhio ha un ruolo preliminare nel processo di generazione della sensazione visiva. L'occhio è
solo uno strumento usato dalla psiche per vedere, ma l'occhio non vede nulla perché non percepisce
alcuna sensazione visiva. Allo stesso modo, anche il cervello ha solo un ruolo preliminare e può
essere considerato uno strumento usato dalla psiche. Tutti gli studi neurologici sul cervello provano
solo l'esistenza di una interazione tra psiche e cervello. Del resto, l'esistenza di questa interazione è
ovvia, perché senza di essa, la nostra psiche sarebbe completamente isolata dalla realtà esterna, e
quindi noi non potremmo interagire con la realtà esterna.
Resta il fatto che stimolo fisico e la sensazione che noi proviamo sono due fenomeni
completamente diversi. Per esempio, la vibrazione delle molecole dell'aria rappresenta lo stimolo
fisico che procura in noi la sensazione "suono", ossia la sensazione uditiva. Tuttavia, la vibrazione
delle molecole dell'aria non è la sensazione "suono" ; le molecole dell'aria non sentono alcun suono,
così come sarebbe assurdo affermare che le molecole dell'aria che vibrano sono una sensazione
uditiva. La sensazione "suono" esiste solo a livello psichico e non a livello fisico; la sensazione
uditiva è generata dalla psiche come elaborazione di un determinato stimolo fisico. Lo stesso vale
per gli impulsi elettrici e le reazioni chimiche che avvengono nel cervello: tali reazioni chimiche o
impulsi elettrici non sono emozioni, sensazioni o pensieri, ma sono solo degli stimoli fisici; è infatti
la nostra psiche che elabora e traduce questi processi fisici in emozioni, sensazioni o pensieri.

Le leggi della fisica e le altre scienze naturali

Vorrei ora proporre alcune considerazioni sull'affidabilità delle nostre conoscenze scientifiche.
Innanzitutto voglio spiegare la differenza tra una teoria fenomenologica ed una teoria da "principi
primi". Una teoria fenomenologica consiste in una versione approssimata e semplificata di una
teoria da "principi primi", che rappresenta la spiegazione esatta dei fenomeni naturali. La biologia e
la neurologia sono esempi di teorie fenomenologiche, mentre la fisica è la sola teoria da principi
primi, da cui tutte le altre scienze naturali derivano. Naturalmente poiché i calcoli da principi primi
sono estremamente lunghi e laboriosi, noi abbiamo bisogno anche di teorie semplificate che ci
permettano di trattare più agevolmente i sistemi composti da molti atomi.
Le leggi della fisica hanno un valore generale, ma nella loro applicazione a sistemi specifici, è
possibile utilizzare delle regole più semplici, specifiche per quel tipo di sistema; tali regole non
sono né estranee, né indipendenti dalle leggi della fisica, ma sono una diretta conseguenza delle
leggi della fisica. Un risultato di queste teorie fenomenologiche non può essere accettato se risulta
in contraddizione con le leggi della fisica, che sono i soli veri principi all'origine della teoria
fenomenologica. Solo le leggi della fisica rappresentano la spiegazione da principi primi della realtà
materiale, tanto di quella inorganica quanto di quella organica. Una teoria approssimata (come la
biologia o la neurologia) non può essere ovviamente usata per negare la teoria da cui deriva e di cui
essa è solo un'approssimazione.
Tutte le altre scienze naturali sono dunque subordinate alla fisica. Si può anche osservare che tutte
le scienze naturali (biologia, neurologia, medicina, ecc.) usano oggi nei loro studi degli strumenti di
misura e di analisi microscopica che sono stati progettati e costruiti unicamente sulla base delle
leggi della fisica. I dati che tali discipline analizzano e studiano hanno senso solo perché le leggi
della fisica assicurano il corretto funzionamento degli strumenti di misura utilizzati. Se si

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mettessero in discussione le leggi della fisica, crollerebbero immediatamente tutte le altre scienze
naturali, perché i dati da esse utilizzati a sostegno delle proprie teorie non avrebbero più alcun
senso. Dunque nessuna delle scienze naturali può elaborare teorie in contraddizione con le leggi
della fisica, né può in alcun modo mai smentire le leggi della fisica. Questo significherebbe fare
perdere di significato a tutti i dati, reperiti attraverso strumenti il cui funzionamento è garantito
unicamente dalle leggi della fisica, dati sui quali sarebbero state costruite le teorie stesse. Si
tratterebbe di una palese contraddizione logica. Le leggi della fisica sono quindi il fondamento di
tutte le altre scienze naturali.
Per comprendere meglio il rapporto tra la fisica e le altre scienze naturali si consideri il seguente
esempio: per aprire un lucchetto a combinazione dobbiamo conoscere la combinazione. Anche se
non conosciamo la combinazione, e non possiamo quindi aprire il lucchetto, sappiamo già che tipo
di processo avverrà quando troveremo la combinazione. Le leggi della meccanica stabiliscono che il
solo tipo di processo che osserveremo sarà l'apertura del lucchetto; le leggi della meccanica
stabiliscono che il lucchetto non si metterà a pensare, nè proverà dolore o piacere, paura o gioia.
Allo stesso modo, l'elettrodinamica quantistica stabilisce che ogni processo biologico consiste
unicamente in successioni di reazioni chimiche, che a loro volta consistono in successioni di
processi cinetici ed elettromagnetici, ossia movimento di particelle, emissione ed assorbimento di
fotoni. Ancora non conosciamo le esatte successioni di reazioni chimiche che avvengono in tutti i
processi biologici, ed è compito della biologia cercare di determinare tali successioni; ma, proprio
come nell'esempio del lucchetto, le leggi della fisica stabiliscono che nessuna successione di
reazioni chimiche può generare pensieri, sensazioni o emozioni. Da qui, la necessaria esistenza di
un elemento non-fisico (l 'anima), come sorgente della nostra vita psichica.

Le leggi della fisica e la storia

Le leggi che generano tutti processi chimici, biologici e neurologici sono oggi perfettamente note.
Mai prima d'ora nella storia, la scienza è stata capace di spiegare i principi da cui hanno origine tutti
i processi biologici. Questo rappresenta una vera svolta nella storia della scienza. Ciò che la fisica
scoprirà in futuro non avrà più nulla a che fare con il funzionamento del nostro organismo, né con
qualunque altro organismo biologico. Ci sono certamente ancora cose non pienamente comprese nel
campo dell'astrofisica, ma questi processi non influenzano in nessun modo i processi biologici, che
sono dovuti unicamente alle leggi dell'elettrodinamica quantistica. Non vi è dunque alcuna ragione
per dubitare delle leggi della fisica e della loro capacità di spiegare perfettamente ogni sistema
biologico.
Le leggi della fisica sono costituite da poche equazioni matematiche correlate tra loro. La loro
compatta e rigida struttura matematica esclude la possibilità che esse possano essere modificate o
perfezionate; infatti ogni modifica di un'equazione matematica comporta dei cambiamenti radicali
di tutte le soluzioni di tale equazione. Poiché dalle equazioni della fisica sono state ottenute miliardi
e miliardi di soluzioni confermate con grande precisione dagli esperimenti, modificare le equazioni
della fisica significherebbe gettare via di colpo tutte queste soluzioni corrette. D'altra parte,
assistiamo giorno dopo giorno ad una sistematica riconferma sperimentale delle leggi della fisica su
sempre nuovi sistemi. Ipotizzare che le leggi della fisica siano sbagliate equivale a dire che tutti
questi miliardi e miliardi di sistematiche e quantitative conferme sperimentali siano solo una
fortunata coincidenza. In questi ultimi decenni sono state compiute molte più verifiche sperimentali
di quante non ne siano state compiute nel corso di tutta la storia, ma le leggi della fisica quantistica
scoperte nei primi decenni del secolo scorso non sono mai state modificate. Sulla base del numero
di verifiche sperimentali compiute, si può affermare che l'elettrodinamica quantistica sia la più
anziana e la più testata teoria scientifica della storia.

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I calcoli da principi primi

Oggi noi siamo in grado di fare calcoli da "principi primi" relativi a sistemi molecolari composti da
molti atomi ; questo significa che possiamo calcolare le soluzioni delle equazioni della fisica
quantistica anche per sistemi macroscopici. Il punto chiave è che noi sappiamo già che TIPO di
informazione possiamo ottenere da un calcolo da "principi primi" di un qualsivoglia sistema
molecolare. Infatti, dalla soluzione dell'equazione di Schroedinger per un sistema molecolare, noi
sappiamo che possiamo ottenere informazioni relative alla distribuzione di carica o ai livelli di
energia. In nessun modo noi possiamo ottenere coscienza, emozioni, sentimenti, ecc. Questi non
sono possibili risultati di un calcolo da principi primi. Anche se con un supercomputer noi
potessimo calcolare la funzione d'onda del nostro cervello, noi potremmo ricavare da tale funzione
d'onda solo proprietà come densità di carica e livelli energetici ; non potremmo mai ottenere alcuna
esperienza psichica. Infatti noi sappiamo già quale tipo di informazione possiamo ottenere da
qualunque funzione d'onda. Noi possiamo già fare calcoli da principi primi su molti sistemi
molecolari, ma il tipo di proprietà che possiamo ottenere da questi calcoli è indipendente dal tipo di
molecole o dal numero di atomi del sistema. Se la psiche non esistesse come componente non-fisico
dell'uomo, in base alle nostre conoscenze scientifiche noi dovremmo essere dei robot biologici, che
agiscono a causa di specifiche reazioni chimiche senza essere coscienti di nulla e senza provare
alcuna sensazione. Gli studi in campo neurologico dimostrano soltanto l'esistenza di una interazione
tra la psiche ed il cervello, ma non rivelano nulla della natura della psiche.

Il materialismo è inconciliabile con la visione scientifica dei processi biologici. La scienza ha infatti
dimostrato che tutti i processi chimici, biologici e cerebrali consistono unicamente in successioni di
processi fisici elementari, determinati unicamente dalle leggi della fisica quantistica. Questa
concezione dei processi biologici non permette di spiegare, nè di giustificare, nemmeno in linea di
principio o concettualmente, l'esistenza della vita psichica, neppure della sensazione più banale.
Questo risultato acquista un significato molto profondo se si analizza lo stato delle nostre attuali
conoscenze scientifiche. Innanzitutto, tutte le scienze naturali sono subordinate alle leggi della
fisica, che rappresentano i principi da cui esse derivano e di cui sono solo versioni approssimative.
Oggi infatti conosciamo le leggi che determinano tutti i processi molecolari, elettromagnetici,
chimici, biologici, neurologici e cerebrali: sono le leggi dell'elettrodinamica quantistica, la leggi
scientifiche che hanno ottenuto le più ampie, generali, sistematiche, numerose e precise conferme
sperimentali di tutta la storia. Le leggi dell'elettrodinamica quantistica sono confermate da un
numero così alto di risultati sperimentali che sarebbe assurdo dubitare della loro validità nella
spiegazione dei sistemi molecolari, ed in particolare dei sistemi biologici.
Del resto, la rigidità della struttura matematica dell'elettrodinamica quantistica, rende del tutto
irragionevole l'ipotesi di potere modificare tali leggi, poiché questo avrebbe conseguenze
catastrofiche su tutte le soluzioni corrette che finora abbiamo ottenuto. Questo significa che
l'elettrodinamica quantistica rappresenta la teoria definitiva per la spiegazione dei processi
molecolari, e conseguentemente, dei processi biologici.
Le leggi dell'elettrodinamica quantistica possono quindi essere considerati i principi primi che
determinano tutti i processi molecolari e biologici. Il punto è che tali principi forniscono, almeno in
linea di principio, una consistente spiegazione meccanicistica di tutti i processi molecolari e
biologici, ma non permettono di spiegare, nemmeno in linea di principio , l'esistenza della vita
psichica. Le leggi della fisica smentiscono così l'ipotesi base del materialismo, secondo cui la vita
psichica sarebbe generata da processi biologici o cerebrali. La vita psichica (sensazioni, emozioni,
pensieri, ecc.) trascende le leggi della fisica e quindi la causa dell'esistenza della vita psichica non
può essere identificata con il cervello; la vita psichica è originata necessariamente da un
componente non-fisico/non-biologico, ossia sovrannaturale, che possiamo chiamare psiche o anima.
Esistono quindi due realtà distinte: la realtà fisica, ossia l'universo, che ha una struttura

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intrinsecamente matematica (le leggi della fisica) che determina ogni processo fisico, chimico o
biologico; la realtà psichica che trascende tali leggi, e, conseguentemente, trascende la realtà fisica.
A questo punto sorge la domanda : da dove ha avuto origine la nostra psiche ? Il fenomeno della
vita psichica dimostra che la psiche ad un certo punto certamente comincia ad esistere in noi. Le
leggi della fisica dimostrano che la psiche non può essere il prodotto di processi fisici, chimici o
biologici. Dunque l'origine dell'anima è trascendente rispetto alla realtà fisica.

La discussione a proposito della reale natura dei processi mentali è da molto tempo terreno di
scontro tra filosofi e neuroscienziati. La questione fondamentale risiede nel riconoscere o meno una
distinzione fra il cervello e la mente, nel potere ricondurre o meno la nostra attività mentale a un
sistema puramente fisico.

A questo proposito, le correnti filosofiche che storicamente si sono distinte come opposte sono il
dualismo e il materialismo.

I dualisti sostengono una netta distinzione fra la mente e il cervello, sottolineando che l’esperienza
conscia non sia di natura fisica e che pertanto non sia accessibile dalle scienze che si occupano del
mondo fisico. Per i materialisti invece sia il cervello (cioè il corpo) che la mente hanno entrambi la
stessa natura. All’interno delle due correnti, i diversi pensatori hanno comunque sostenuto
interpretazioni differenti del problema. Il dualismo tradizionale (o delle sostanze) vede la mente
come un “fantasma nella macchina” (fantasma nel cervello) e sostiene che le proprietà spaziali del
fantasma interagiscono con le proprietà spaziali del cervello.

Altri approcci dualisti sono quelli ruotanti attorno all’epifenomenismo, detto inizialmente dualismo
delle proprietà, per indicare che le sostanze del cervello sono di natura fisica ma possiedono
proprietà non fisiche. Da questa prospettiva è poi nato il cosiddetto dualismo interazionista, che
vede le proprietà mentali come proprietà emergenti dovute all’autorganizzazione evolutiva della
materia fisica.

Le neuroscienze tendono ormai a non difendere le visioni dualiste, anche se l’interdisciplinarità che
sempre più caratterizza lo studio dell’attività cognitiva sta mantenendo aperto il dibattito e
continuano a farsi convegni sul rapporto mente-cervello e dunque sulla questione ontologica.

Anche del materialismo, comunque, esistono diverse forme: a partire dall’ormai abbandonato
comportamentismo filosofico secondo il quale non si potrebbe parlare dell’esperienza interiore
perché non suscettibile di misurazione, si è poi passati al materialismo riduttivo, secondo il quale ad
ogni processo mentale corrisponde un processo fisico del cervello. Il materialismo riduttivo ha
avuto molto successo nella comunità scientifica, dando il via a una miriade di studi incoraggiati
anche dalle relativamente recenti tecniche di neuroimaging. Tuttavia la valanga di dati e
misurazioni prodotti nel corso degli anni, ha messo in evidenza una sorta di carenza concettuale
all’interno dell’approccio: troppi i fenomeni inspiegabili e forse irriducibili. È mancato
probabilmente uno sguardo globale e ci si è molto concentrati nel fare unicamente delle
misurazioni. Per fare un esempio, la proprietà della “senzienza” risulta essere uno degli scogli
principali per le scienze cognitive, perché la comprensione di come dal nostro cervello possano
scaturire la coscienza fenomenica, il tempo soggettivo e le sensazioni spontanee risulta ancora
oscura alla scienza, che invece ha raggiunto notevoli traguardi nello studio dell’elaborazione
dell’informazione e dell’autoconoscenza (informazione su se stessi).

Un approccio che invece ha incontrato largo favore tra filosofi, psicologi e persone che si occupano
di intelligenza artificiale è il cosiddetto funzionalismo, secondo il quale ogni stato mentale fa
riferimento ad altri stati mentali, riconsiderando in questo modo il ruolo delle istanze interiori e non

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meramente comportamentistiche. Secondo i funzionalisti, inoltre, qualsiasi cosa che possieda le
funzioni del cervello umano è da considerarsi un equivalente umano, inclusi i diritti che ne
deriverebbero. Questo concetto della possibile equivalenza cervello umano – cervello artificiale è
stato spesso criticato in quanto non considera l’esistenza dei cosiddetti qualia. Questo termine sta
diventando fra i neuroscienziati uno standard per intendere l’esperienza soggettiva, ma in realtà non
è un termine scientifico; esso appartiene al linguaggio filosofico e si riferisce alla distinzione
cartesiana tra corpo e anima, comune anche a molte religioni, per cui si potrebbe dire che i qualia
sono le anime delle esperienze, o le esperienze vissute dall’anima. Molti neuroscienziati hanno
interiorizzato questo termine senza rendersi conto che esso rappresenta per il loro metodo un errore
procedurale di sottrazione, di esclusione di un fenomeno dalla propria indagine, in quanto
comprendente un ambito metafisico.

Gli studiosi di intelligenza artificiale hanno piuttosto eliminato il problema a-priori, non
interessandosi prettamente di coscienza e di qualia, sostenendo che quando si sarà costruito un
sistema in grado di fare le cose che fa un uomo, la soluzione a questi quesiti sarà una conseguenza
necessaria.

In via teorica, la comprensione totale dell’emersione del fenomeno-mente dalla materia-cervello


potrebbe consegnarci una facoltà di intervento altrettanto totale su ogni processo: attraverso un
farmaco, un’operazione chirurgica, una protesi cerebrale robotica, si potrebbe correggere o
modificare qualsiasi disfunzione e qualsiasi funzione. Non ci sarebbe forse nemmeno il problema di
trovare un senso a questo ipotetico agire, perché basterebbe farsi fare un’iniezione di senso. La
scienza, come già si preoccupava Heidegger, cesserebbe di essere un puro mezzo, cesserebbe di
aiutarci a osservare il mondo e comincerebbe ad osservarsi da sola, a confondersi con noi stessi e ad
essere noi stessi. Non potremmo nemmeno avere dei problemi, perché basterebbe fare in modo di
non sentirli.

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Mente e realtà
La realtà non è nientaltro che una mente cosciente che immagina l’universo.
Ognuno di noi possiede un proprio punto di vista in cui prendono senso gli oggetti materiali.
Non si dà oggetto senza una percezione dell’oggetto da parte di qualche osservatore.
Se chiudo gli occhi il mondo intero scompare.
Nella meccanica quantistica l’osservatore entra prepotentemente nel processo di misurazione.
La luna esiste anche quando non la osservo? Si chiedeva Einstein.
La meccanica quantistica mette in crisi il nostro intuitivo ed immediato senso di realtà.
Il collasso della funzione d’onda da un infinito numero di stati probabili ad uno soltanto, quello
osservato, è veramente un rompicapo.
Everet ha ipotizzato l’esistenza di infiniti universi in cui noi scegliamo istante per istante quello in
cui viviamo: ogni osservazione produrrebbe un intero universo.
Cosa succede quando gli osservatori sono due?
La realtà diventa una realtà condivisa.
Ma come possono comunicare tra loro due osservatori?
Tramite il linguaggio, ma il linguaggio è pura convenzione.
Il linguaggio non si esaurisce nel linguaggio verbale ma esistono molteplici canali di
comunicazione, il linguaggio visivo, il linguaggio corporeo, il linguaggio mimico: un sorriso può
significare più di mille parole.
Ognuno però rimane nel proprio mondo.
Se qualcuno fa una certa affermazione rimango libero di crederci oppure no.
L’uomo può anche mentire deliberatamente.
Non si può entrare nella testa di un'altra persona.
Ognuno possiede una rappresentazione mentale del proprio mondo.
Nel cervello ci sono perfino zone deputate alla rappresentazione del proprio corpo.
Ognuno possiede una rappresentazione mentale della propria casa della propria città della propria
nazione: la memoria.
Ciascuno di noi costituisce la memoria narrativa del proprio vissuto.
Nei libri si trova traccia della memoria evolutiva dell’intero genere umano.
Ciò che è scritto in un libro può essere vero o falso o di fantasia.
Ancora una volta siamo liberi di crederci oppure no.
Non possiamo sfuggire dal nostro particolare punto di vista.
Ci sono dati che noi diamo per certi: cogito ergo sum diceva Cartesio.
Ci sono fatti su cui noi metteremmo la mano sul fuoco, ma sono sempre possibili i miracoli.
Un miracolo scardina alle radici tutte le nostre convinzioni.
Ci sono cose che possiamo fare e cose che non possiamo fare.
In particolare esistono leggi fisiche, leggi dello stato, leggi burocratiche e leggi morali.
La gente parla, telefona, scrive, ma cosa ci si può ricordare di un colloquio avuto.
Ci sono le chiacchere al bar, la telefonata di lavoro e il colloquio di esame all’università.
In tutti questi casi le parole hanno uno spessore ed un significato diversi.
Cosa ci si può ricordare di un libro letto?
Comunque un libro si può rileggere e scoprire aspetti nuovi che prima non avevamo notato.
Noi conosciamo la realtà grazie alla percezione di essa: ne abbiamo una rappresentazione.
Guardo un tavolo, in realtà ricordo il tavolo, il tavolo è nella mia memoria; se esco dalla stanza non
vedo più il tavolo ma esso rimane nella mia memoria. Posso anche sognare un tavolo.
Quando una persona parla estrae dalla memoria la propria realtà.
Il passato è nella memoria e il presente è solo un attimo effimero.
Secondo le leggi della fisica il passato determina il futuro.

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Cosa succede quando compiamo una scelta tra due possibili?
Modifichiamo il corso degli eventi e noi compiamo continuamente delle scelte.
Se giochiamo una schedina al superenalotto potremmo anche vincere una considerevole somma di
danaro: modifichiamo la probabilità di vincita.
Per un uomo il futuro non è determinato, dipende dalle scelte che può fare.
Ma che cosa può succedere; secondo le leggi della fisica una popolazione di particelle elementari ha
un comportamento statisticamente determinato.
Certe cose sono possibili certe altre no.
Sembrerebbe che ogni azione abbia la sua causa e anche inevitabili conseguenze.
Se vado al ristorante a mangiare è certo che dovrò pagare il conto.
Noi, in quanto essere umani, siamo parte di questo mondo e ci troviamo in stretta relazione con esso
e con gli altri. Così, vorremmo sempre cercare una giustificazione che spieghi il tutto e, allo stesso
tempo, la scienza, che ha la facoltà di esplorare vari ambiti di ricerca, cerca di spiegare il più
possibile. Seguendo l'inclinazione che accompagna la vita di ogni persona, come l'esplicita curiosità
su ciò che tiene in mano il corso degli eventi, la conoscenza di quell'alone di mistero che abbraccia
ogni cosa e tutto ciò che vi accade, vorremmo che, nelle storie e nelle vicissitudini, di cui ci
occupiamo e in cui siamo coinvolti, non ci fosse ombra e che il tutto fosse sempre chiaro e a nostra
completa disposizione per quanto riguarda le spiegazioni; vorremmo, inoltre, conoscere anche tutto
degli altri, quasi come penetrarvi dentro, riuscire a possedere le loro emozioni, le loro sensazioni, al
fine di comprenderne la loro essenza, "portarla via", facendola nostra. Tutto questo, però, è
legittimo fino ad un certo punto. É giusto che ogni soggetto cerchi di spiegare le cose, di entrare
negli intrecci, spesso confusi, di una storia, per dare ordine, per razionalizzare il flusso degli eventi,
per cercare di capire chi ci sta vicino, i suoi sentimenti, le sue reazioni, le sue gioie e i suoi dolori;
ed è, ovviamente, anche giusto domandarsi il senso globale delle cose: è l'indole che accompagna
l'esistenza di ogni individuo.
Nonostante ciò, quando ognuno di noi si pone dinanzi a questo scorrere continuo, a questo
procedere senza tregua, che è la vita stessa e che ne rappresenta il suo nucleo centrale, sia che ci
poniamo da amici leali, pronti a fare, per le persone che ci stanno vicine, la qualunque cosa; sia che
ci comportiamo come osservatori attenti della realtà, pronti a scrutare ogni minimo cambiamento, in
noi, negli altri e negli eventi che viviamo; sia che facciamo il lavoro di educatori, formatori e
scienziati, dediti alla ricerca rigorosa e promotori dello sviluppo degli altri e dell'uomo in genere, ci
accorgiamo che, in realtà, sono molte di più le cose che non sappiamo, piuttosto che quelle che
stanno sotto il nostro diretto controllo. Allora, sarebbe solo una semplice banalità riuscire a
rispondere alle diverse e molteplici domande che, strada facendo, ci poniamo; nella stessa maniera,
sarebbe azzardato riuscire ad interpretare tutte le possibili risposte che scaturiscono dai diversi
incontri: ogni situazione è differente, anche da quelle che si ritengono uguali e ogni individuo è
unico e irripetibile, in continua evoluzione fra stabilità e cambiamento, talmente impercettibili, che
modificano e adattano, continuamente, il nostro vivere nel mondo, con e verso gli altri.
Detto questo, il nostro lavoro parte da una concezione fondamentale: non è possibile sostenere l'idea
stessa di un individuo, posto davanti alla complessità e al fluire degli eventi, come separata
dall'ambiente di riferimento, in cui ognuno distingue, sperimenta, sbaglia e ri-costruisce,
ripetutamente, i propri vissuti personali. Concepire, piuttosto, una tale ipotesi, ovvero considerare
un osservatore come separato dal sistema stesso che osserva, rischia di diventare una visione troppo
ristretta, per quell'idea di soggetto che vogliamo proporre e per quella nuova idea di mente verso cui
intendiamo andare. Il mondo, allora, si trova sempre in relazione ad un osservatore e i nostri modi
di vedere sono compatibili solo se si specifica il luogo di quest'ultimo: non c'è punto di vista
assoluto sull'universo; ci sono sempre e soltanto punti di vista molteplici di osservati situati.
Dunque, il discorso degli altri diventa cruciale: accettare che gli individui vedano il mondo da
differenti angolazioni, essere consapevoli della costruzione di esperienze diverse, in relazione ad
essi stessi, agli altri e all'ambiente, espone sia al dubbio e all'incertezza, ma, allo stesso tempo,
anche alla sorpresa, alla voglia di scoprire e di scoprirsi, in una "nudità" che porta addosso il

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fardello delle proprie ricerche, delle proprie gratificazioni e dei propri errori, giacchè siamo
individui inseriti in questo contesto sociale, da cui non ne possiamo prescindere. Di fatto, la
conoscenza sociale produce svariate interpretazioni e ci rivela sempre parti del mondo che non
possiamo vedere da dove ci troviamo. A ciascuno va, quindi, la responsabilità della propria
costruzione personale, delle proprie scelte e dei propri punti di vista che, variegati con quelli degli
altri, possano dar luogo alla costruzione di un linguaggio e di una coscienza comune, purchè si
mantenga sempre nel rispetto delle differenze.
Il mondo che ho visto finora non è la realtà, ma è quello che la mia mente mi ha fatto vedere. La
mente è condizionata da quello che ha appreso e seleziona fra tutti i segnali esterni quelli che
meglio si adattano alla sua concezione del mondo. In effetti la mente mente.
La mente è in grado non solo di creare, bensì anche di ri-creare la realtà, mediante una
rielaborazione personale dei dati forniti dall'esperienza sensibile.
"La lingua aiuta il pensiero a fare tutte le operazioni più importanti: classificazione, partizione,
generalizzazione, istituzione di relazioni, ecc. Sono le operazioni con cui l'uomo organizza il
mondo che ha intorno, e con cui crea "mondi" che esistono soltanto nella sua immaginazione, nella
sua fantasia.
"Pensiero e lingua ci permettono di avere l'idea chiara di 'albero', di 'cane', di 'portacenere' (che
hanno riferimenti precisi nella realtà che ci circonda), ma ci permettono anche di avere l'idea
chiara di 'marziano', di 'sirena', di 'Pinocchio' (che non hanno alcun riferimento reale) , o l'idea di
'libertà', di 'eternità', di 'gioia', di 'amicizia', ecc. (che non sapremmo proprio a quale oggetto reale
agganciare).
"Pensiero e lingua non si limitano, dunque, a organizzare la realtà, ma la producono.

Nel momento in cui sto osservando tutto ciò che mi circonda, cose e fenomeni, colori, suoni, odori,
tutto quanto sta avvenendo attorno a me in quel preciso istante, come posso essere veramente sicuro
che tutto sia reale? La domanda può sembrar folle, o addirittura priva di senso, poiché tutti noi
trascorriamo istante dopo istante, tutta la vita, senza porre minimamente in dubbio se tutto ciò che
stiamo letteralmente vivendo sia reale.

Nessuno di noi, potrebbe addirittura porre in dubbio che parenti, amici, persone, la propria casa, la
città in cui vive, il mondo che può vedere siano cose irreali, ciò perché com’è ovvio, sensato e
soprattutto logico, tutte queste cose debbono essere reali, è la nostra esperienza e non potrebbe
essere altrimenti, per questo l’enigma secondo cui pongo in serio dubbio se tutto attorno a me sia o
no reale, può ovviamente apparire assurdo e illogico.

Di fronte a questa assurdità occorre però ammettere un fatto, immaginandoci di trovarci da soli
dentro una stanza di casa nostra, noi accettiamo a priori un aspetto che è naturalmente ovvio, tutto
quanto vediamo attorno a noi è reale, punto e basta. A nessuno di noi verrebbe in mente il contrario,
né tantomeno di porre in dubbio questa condizione, ciò perché non dobbiamo spiegare o dimostrare
a noi stessi che ciò che vediamo, udiamo, tocchiamo, sia o no reale. Semplicemente lo è, ed è quindi
un atto mentale a priori.

E’ andando più a fondo a questo concetto, che si può esperire in modo inaspettato che quanto
percepiamo non è sicuro che sia reale, ma prima occorre effettuare due precisazioni altrimenti
l’analisi qui proposta, sarebbe completamente infondata. La prima è la definizione di: cos’è la
realtà, la seconda non meno importante della prima è: come sappiamo che tutto ciò che percepiamo
istante per istante sia la realtà.

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Il primo passo impone di definire la realtà. Quando si parla di realtà, ci si riferisce a tutto
quell’insieme di cose e fenomeni che avvengono e si trovano attorno a noi. Tale definizione non è
completa, perché occorre specificare a com’è possibile che ognuno di noi possa percepire tutto ciò
che gli è attorno. E’ in questo secondo passo che si arriva a spiegare la realtà ed anche il “come” per
noi sia tale. Tutto ciò che possiamo percepire e quindi sapere ed accertare come reale, è insito nel
fatto che il nostro cervello recepisce delle informazioni tramite il proprio apparato nervoso.
Partendo con un semplice esempio, un vaso si trova sul tavolo, ed io definisco che entrambi sono
reali ed esistono per il semplice fatto che recepisco la loro esistenza. Questa percezione è dovuta ad
un fenomeno di natura fisica, la luce colpisce i due oggetti viene riflessa in modo specifico alla
natura dei due corpi materiali, raggiunge i miei occhi, il segnale si trasforma in un impulso e si
dirama nella fitta rete di neuroni del mio cervello. Io recepisco quei due oggetti perché li vedo,
quindi il mio cervello recepisce delle informazioni. Questo implica che io non devo auto
dimostrarmi l’esistenza dei due oggetti, semplicemente li vedo, sono reali, esistono punto e basta.

E’ in tutto questo percorso ed in altri miliardi di modi e condizioni possibili che recepiamo la
realtà, continua e costante attorno a noi, al punto che noi stessi siamo parte di essa. In questo
continuo processo di percezione per ognuno di noi stessi, quali soggetti che percepiscono, rimane
conseguentemente inclusa un’altra condizione, ossia che noi stessi siamo appunto dei soggetti che
recepiscono l’informazione tramite un rapporto specifico con la realtà, il quale emerge da questa
continua relazione con essa. Questo concetto è tutt’altro che semplice, ma per un chiarimento
dovuto, noi possiamo sperimentare ad esempio una relazione spaziale. Vediamo i due oggetti in un
determinato modo perché siamo in relazione con essi, in un modo specifico. Ad esempio
spostandoci la prospettiva cambia, vediamo quella specifica realtà sotto una diversa angolazione, ed
esperiamo di fatto che noi stessi in qualità di individui, ci troviamo in quel contesto, stiamo
recependo la realtà partecipando con un fenomeno in essa.

Tutto questo non viene mai ragionato, ma è una percezione istintiva e immediata che avviene in noi
stessi a priori. Fin qui nessun dubbio è sollevato, è quanto avviene per ognuno ogni istante e in una
miriade di fenomeni diversi, legati ad ogni percezione possibile. Allo stesso modo ci si può
domandare: da dove proviene la condizione secondo la quale io mi trovo in quel contesto al punto
di considerarmi parte di quella realtà? Essa proviene da un insieme di condizioni che si allacciano al
medesimo esempio di quando modifichiamo la nostra prospettiva rispetto a quanto ci circonda. Noi
non siamo dei soggetti ce percepiscono la realtà in modo passivo, non siamo spettatori ma anche
attori dello stesso scenario. Il semplice atto di spostare un oggetto, implica la nostra interferenza
nelle cose reali che percepiamo, noi stessi siamo soggetti che percepiscono se stessi e interferiscono
tramite la propria fisicità nella realtà circostante. Questo implica una considerazione definitiva in
questa prima parte della concezione di un mondo realistico, ossia che ogni soggetto, quindi noi
stessi siamo parte fisica delle cose reali, assieme alle stesse che percepiamo, ma soprattutto
recepiamo le informazioni dalla realtà da una posizione specifica: il nostro corpo. Il nostro corpo è
reale, ed esso occupa ed interagisce con tutto il resto in un modo definito. Tuttavia si può
concludere con una definizione ancor più rigorosa nel contesto della nostra fisicità. Il nostro corpo
fisico possiede un organo, quindi un punto ben specifico, la cui posizione definisce il nostro
rapporto con la realtà ed è il cervello. Il cervello tuttavia non è racchiuso solo nella nostra scatola

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cranica, ma è un organo che tramite un complesso sistema nervoso è interconnesso con tutto il resto
del corpo fisico, tuttavia i segnali raggiungono l’organo principale ed è in esso che si concretizza
essenzialmente la nostra individualità, è nel cervello che ci troviamo, o per lo meno pensiamo di
trovarci ed è in esso che recepiamo il tutto.

E’ altresì vero definire a questo punto una condizione specifica. Cosa recepisce il cervello? E’
interessante annotare un fatto: ogni cosa esso recepisce sono dei segnali che viaggiano all’interno
dell’apparato nervoso alla stregua di impulsi che viaggiano in un cavo elettrico (tanto per citare un
esempio grossolano), questi impulsi raggiungono i neuroni e da essi vengono elaborati. Questo
implica che la realtà e quindi tutto l’insieme di ciò che consideriamo reale, non è un qualcosa che si
trova all’esterno di noi stessi ma piuttosto è un insieme di impulsi e condizioni del nostro cervello.
Più precisamente, nel momento in cui osserviamo un qualsiasi oggetto, noi non vediamo l’oggetto
in se nella sua assolutezza d’essere, ma piuttosto dapprima esso riflette la luce che ne trasmette
delle informazioni, poi tale segnale elettromagnetico (luce) raggiunge i miei occhi i quali compiono
una prima decodifica del segnale trasmettendolo al cervello, quindi io non percepisco la realtà
com’è nella sua essenza, ma piuttosto lo scenario che il mio cervello codifica di essa ed io a priori la
ritengo come tale.

Questo aspetto sebbene non appare come una novità assoluta, più volte discusso in diversi ambiti
della conoscenza, ci dice in profondità come le cose stiano profondamente diverse da quanto
riteniamo a priori e istintivamente. La realtà com’è nella sua essenza assoluta è a noi (come soggetti
parte di essa) preclusa, ma piuttosto noi percepiamo un qualcosa di tradotto che è il risultato
dell’elaborazione dell’involucro che costituisce noi stessi, quindi il nostro corpo fisico. In modo più
esplicito tutto ciò che definiamo reale è nella nostra mente e non nella sua oggettività là fuori come
crediamo. A questo punto qualcuno potrebbe giustamente obiettare che la critica secondo la quale
l’argomento fin qui proposto non è sufficiente a dimostrare che non percepiamo la realtà, ma bensì
quanto definiamo reale ed esistente è un insieme di condizioni insite nel nostro cervello, per i
motivi sin qui esposti. In parte tale critica è più che giusta e permette di definire un passo più avanti
in modo più preciso tale condizione.

Nel caso in cui un oggetto o un fenomeno qualsiasi è percepito dal cervello, avvengono tutta una
serie di fenomeni già discussi, i quali portano lo schema di ciò che esiste al nostro cervello, questo
non implica che un determinato oggetto qualsiasi non è reale, ma che non lo percepiamo nella sua
essenza reale, ma è codificato dal nostro corpo. Tutto questo vuol dire essenzialmente che noi
percepiamo un livello di realtà ma non l’essenza della stessa, quindi la realtà è un qualcosa relativo
a noi stessi ed è una condizione ben diversa dalla precedente, nella quale credevamo all’esistenza
tangibile di una qualsiasi cosa a priori. E’ in questo senso che occorre esplicare bene il concetto di
una realtà relativa a noi stessi.

Bisogna assumere un significato profondo riguardo la nostra condizione nella realtà, ossia che i due
concetti reale ed esistente non sono assoluti ma relativi a noi stessi. Facciamo il presupposto di
descrivere una qualsiasi cosa reale, come un semplice bicchiere di vetro e possiamo comprendere
quanto esso è relativo a noi stessi e noi non possiamo compenetrare la sua esistenza assoluta.
Possiamo cominciare con l’elencazione di una serie di aspetti: è di vetro, è trasparente, ha una
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determinata forma che possiamo descrivere minuziosamente, possiede determinate funzionalità, è
fragile rispetto ad altri oggetti, in questo modo possiamo trarre una quantità di informazioni
minuziose, dettagliate e precise, ma esse non descriveranno mai il bicchiere nella sua totalità, il
perché è subito spiegato. Pur arrivando ad un elenco di informazioni precise, minuziose ed
altamente dettagliate, questa serie di informazioni derivano da condizioni ben precise, ossia dal
fatto che il nostro cervello ha determinato la realtà e l’esistenza dell’oggetto per mezzo delle
informazioni che ha ricevuto ed esse dipendono in parte da com’è fatta la nostra struttura, ossia dal
tipo di informazioni che possiamo ricevere, in altra dal tipo di informazioni che l’oggetto stesso ci
può comunicare, la qual cosa implica che se noi stessi vogliamo definire l’esistenza e quindi la
realtà assoluta dello specifico oggetto dobbiamo avere tutte le informazioni possibili, la qual cosa
non è appunto possibile.

La conoscenza di una qualsiasi parte della realtà, dipende essenzialmente da una conseguente
condizione, la relazione del nostro cervello con essa, questa condizione è limitata da aspetti dovuti
alla realtà stessa e al nostro cervello. Il percorso dell’avvento della scienza, ha dimostrato una cosa
su tutte, che la quantità di informazioni recepibili tramite il nostro corpo fisico è pochissima rispetto
alle informazioni con le quali la realtà manifesta cose e fenomeni. La scienza si è sviluppata per
mezzo di tecniche e strumenti, in grado di poter dare al cervello maggiori informazioni. Soltanto per
citare un esempio, la luce visibile è una radiazione elettromagnetica che ha un lunghezza d’onda
specifica, la vediamo e allo stesso modo vediamo cose della realtà che la emettono, come il Sole o
una semplice lampadina ed altre che la riflettono, in verità esistono radiazioni elettromagnetiche
oltre quella visibile, più precisamente quella che vediamo è una minuscola porzione delle radiazioni
esistenti. Se ipoteticamente potremmo percepire tutte le radiazioni, la realtà ai nostri occhi sarebbe
totalmente diversa da quella che codifica il nostro cervello. Il punto è che dagli atomi ai confini
presumibilmente noti dell’Universo, la realtà è un insieme di informazioni enormemente più ampio
di quanto possiamo codificare a priori con il nostro cervello nell’immediato. Ovviamente questo
concetto ci aiuta a capire una secondo aspetto: come facciamo ad essere sicuri che quanto la scienza
ha aperto alla mente umana, siano informazioni complete? Certo si può ammettere che esse sono
molto più ampie di quanto ci è possibile a priori, ma non certo possiamo sostenere che esse siano
complete, motivo per cui la scienza ha ancora molte domande senza risposte.

Tutto questo ci invita a pensare ad aspetti più profondi della realtà, proiettandoci nell’essenza della
domanda: cos’è la realtà? Cos’è vero? Cos’è l’esistente? Sebbene la scienza si serve di strumenti,
tecniche, teorie e matematica, è ovviamente indubitabile che essa amplia ma non cambia
radicalmente il nostro stato precedente, poiché tutti questi aspetti provengono dalla stessa situazione
iniziale ossia: quanto la realtà comunica di se e quanto il nostre cervello codifica di essa. Il punto
per rispondere a cos’è la realtà, ci invita quindi a sviluppare una conclusione profonda: il reale,
quindi il vero, l’essenza, l’assolutezza di una qualsiasi cosa, sono aspetti celati nella realtà stessa,
quindi in modo diretto il tutto risulta celato al di là del nostro cervello, noi quindi non percepiamo la
realtà assoluta ma la sua ombra proiettata in noi stessi, persino con l’utilizzo di sistemi teorici e
strumentali precisi derivati dal secolare sviluppo scientifico.

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Quindi la domanda: come posso essere sicuro che quanto percepisco è davvero reale, così come noi
pensiamo al reale nel suo valore di verità e assolutezza? E’ una domanda legittima e non assurda.
Ugualmente il problema si pone anche quando faccio utilizzo di strumenti, giacché essi sono
progettati e sviluppati per concedere delle informazioni specifiche e non assolute, essi andrebbero
maggiormente intesi come prolungamento delle nostre percezioni e non sistemi assoluti per
concederci una visione assoluta del mondo.

In questo senso si apre un nuovo enigma che concretizza il concetto di realtà nella mente. A questo
punto possiamo domandarci: noi dove siamo? In questo senso parrebbe un ulteriore domanda stolta,
perché è immediato anche in questo caso che ci troviamo in una relazione specifica, quindi nel
nostro corpo che si trova nel contesto chiamato realtà. Possiamo anche essere più precisi e dire che
il “luogo” dei nostri pensieri è il cervello in tutta la sua complessità. In questo caso non diremmo
una cosa sbagliata, ma viene da pensare ad una logica domanda: come possiamo essere sicuri che
noi in qualità di “Io” individualità, ci troviamo precisamente nel cervello, o meglio siamo il
cervello. Bisogna quindi concederci al fatto dell’esistenza di un “Io”, ma questo implica che noi
siamo tutti degli “Io” e questi si trovano in qualche modo nel cervello. Non è un aspetto semplice,
perché significa ammettere a priori una condizione non dimostrata. Ad esempio facciamo il
presupposto immaginario di vedere il nostro cervello, esso è un organo specifico, noi quindi siamo
quella parte specifica del nostro corpo più di tutte le altre sebbene anche il resto ci aiuta a vivere.
Noi abbiamo dei pensieri, delle opinioni, delle idee e quant’altro perché nel cervello avvengono dei
fenomeni e lo stesso è fatto in un determinato modo. Su questo possiamo trovarci tutti d’accordo,
noi possiamo essere semplicemente tutto quel sistema che vediamo concentrato in un singolo
organo. Affermare quindi il mio “Io” significherebbe il sinonimo di “il mio cervello”, però noi
curiosamente diciamo “il mio cervello”, “la mia testa”, come se noi siamo proiettati oltre le parti di
cui siamo l’essenza. Dire il “mio cervello”, o più genericamente “la mia testa” è sostenere
istintivamente che io sono ancora qualcosa di diverso da essi, mi trovo oltre queste parti. Noi
pensiamo al nostro corpo e alle parti che lo compongono, come ad un insieme di cose “nostre”, nel
senso di trovarci ancora oltre queste parti, di essere un essenza in più di quanto ci compone. Tutto
questo però potrebbe essere frutto di un modo di esprimersi e di pensare non completamente
corretto. Nel momento in cui affermo dov’è il mio “Io” rispondendomi automaticamente “è nel mio
cervello” significa ammettere automaticamente che “Io” sono un’essenza estranea al mio cervello e
non sono completamente quell’organo ce si trova nella mia testa. Bisogna perentoriamente
abbandonare questo giro di parole, sebbene derivano da concetti che indirettamente ci poniamo
sull’argomento.

In merito esiste un esperimento fantasioso e interessante, il quale suscita un certo fascino. E’ tratto
da un concetto sviluppato da Daniel C. Dennett. Per un esperimento fantasioso, sono sottoposto ad
un importante e futuristico intervento chirurgico, per la prima volta ad uomo viene tolto il cervello,
il quale viene posto in una soluzione liquida rivoluzionaria che lo mantiene in vita proprio come se
si trovasse nella scatola cranica. In questo intervento vengono recisi tutti i nervi del sistema
nervoso, ogni singolo nervo viene collegato ad un trasmettitore e ricevitore in grado di trasmettere
via etere il segnale anche ad enormi distanze, all’interno della scatola cranica che ormai non ha più
il cervello al suo interno ogni singolo nervo viene collegato a dei trasmettitori e ricevitori. In pratica

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il cervello all’interno di un laboratorio trasmette segnali e li riceve come se non fosse mai stato tolto
dalla mia testa. Nessun problema per il mio organismo.

Appena dopo l’operazione, i medici mi svegliano, sono un po’ intontito dall’anestesia, ma in pochi
giorni mi riprendo subito fisicamente, tutto per me è perfettamente normale, l’unica sensazione è di
sentire la testa un po’ più leggera, ma è una vaga sensazione, mi guardo allo specchio e vedo le
ferite di un importante intervento chirurgico, ma esse si rimarginano in tempo dovuto e in pochi
mesi i capelli crescono e nel tempo, nulla lascia trasparire un intervento così importante e
devastante, ritorno in forma perfetta, una vita normale, al punto di tornare a chiedermi se davvero
mi hanno asportato il cervello, ho questo dubbio perché non riesco ad avvertire nulla, mango, corro,
bevo, faccio tutto come sempre e nulla di diverso accade in me. Preso da questo forte dubbio, ed
osservato periodicamente dai direttori dell’esperimento, gli confermo di non essere ormai più
convinto che il mio cervello non è più nella mia testa, ma piuttosto di dubitare profondamente che
durante l’intervento il mio cervello fosse stato messo in una soluzione liquida all’interno di un
laboratorio. E’ un dubbio grande e profondamente importante, a quel punto l’equipe si consulta e
dopo una lunga seduta mi comunica che la mia condizione psicologica, da loro non valutata prima
dell’esperimento, li ha spinti a decidere di accompagnarmi nel laboratorio per farmi vedere dov’è il
mio cervello. Arrivato all’istituto entro in un grande salone tecnologico dove decine di persone si
danno da fare dietro ad apparati complicati, tutti mi salutano affettuosamente, ed io ricambio la
cordialità poi mi accompagnano al centro della stanza, dove un qualcosa di simile ad una grande
vasca di vetro piena di un liquido leggermente celeste, ospita un cervello immerso nella soluzione
liquida, i nervi tutti collegati ad un apparato tecnologico sofisticato, in grado di controllare
perfettamente il suo stato in ogni istante. Io rimango perplesso a guardare quel cervello ed ho seri
problemi ad ammettere che sia il mio. Lo guardo, gli giro attorno e chiedo a me stesso, dove sono?
Io sto pensando in questo momento, dove mi trovo, dov’è il luogo dei miei pensieri? Mi trovo in
questo corpo che in questo momento sta camminando attorno al suo cervello, oppure mi trovo lì, nel
cervello che ho di fronte? E’ davvero un enigma, io sono qui o lì? E’ un bell’enigma. L’equipe di
scienziati vuole parlarmi per chiarirmi un po’ le idee, ed il direttore dell’esperimento mi conferma
che io mi trovo nel cervello, è quel cervello che ho di fronte “luogo” dei miei pensieri, è
quell’organo immerso nella soluzione liquida nutriente, in cui i neuroni continuano indisturbati ad
elaborare e sono io che sto elaborando, proprio come prima, il corpo che si muove e fa tutto ciò che
faceva in precedenza è solo un involucro pilotato dal mio cervello e da cui lo stesso riceve
informazioni sulla realtà circostante. Nulla è cambiato rispetto a prima, se non il fatto che il fulcro
dell’esperimento è quello di rendere possibile al cervello e al corpo al quale è connesso di stare
separati anche da distanze enormi.

Queste parole sono difficili da credere, nella mia posizione c’era una gran confusione ad ammettere
di essere lì in quel cervello nello stesso tempo in cui ero qui a guardarlo. In pratica guardavo me. Il
nocciolo di questo esperimento è chiarire di fatto che pensando ad un “Io”, al momento non ci
interessa se oltre il cervello o se esso è rappresentato dal cervello stesso, di fatto mi è impossibile
percepire immediatamente dove sono. Per me non fa alcuna differenza ad ammettere di essere nel
mio corpo, sebbene poi mi hanno dimostrato che il mio cervello era altrove. Il fatto è che il cervello
recepisce tutti i segnali di un corpo che si trova altrove. Pensiamo ad una concezione più evoluta di

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questo esperimento. Tutta l’umanità, per un motivo di grande emergenza nell’anno tremila, viene
sottoposta ad un intervento, lo stesso in cui i cervelli sono separati dal corpo. Se ognuno fosse
tenuto all’oscuro di questo fatto, ossia che il cervello viene separato e messo in un laboratorio, tutti
continuerebbero a vivere tranquillamente, senza accorgersi di nulla pienamente convinti che il
cervello e loro stessi con le loro menti, siano all’interno del proprio corpo, farebbero tutti le stesse
identiche cose di prima, tranne il fatto che nelle loro teste non ci sono più i cervelli. Naturalmente
siamo nella fantasia, ma ora proviamo a spostarci nella presunta realtà.

Noi viviamo pianamente convinti di essere nella nostra testa, nel nostro corpo, ma ugualmente alla
realtà cos’è che ci offre questa profonda convinzione? Ripensando all’esperimento fantasioso, la
convinzione che noi ci troviamo nel nostro corpo e conseguentemente nel nostro cervello è data
dalla prospettiva che ci offrono i sensi e il sistema nervoso che manda continuamente i segnali al
cervello. Di fatto noi tutti potremmo avere in linea teorica il cervello altrove senza affatto
accorgercene.

Tutto questo ci invita a riflessioni profonde, le quali finiscono per allacciarsi nuovamente
all’enigma della realtà. Ciò che consideriamo reale, vero, esistente e assoluto, è relativo alla
prospettiva delle informazioni che riceviamo e sono successivamente elaborate dal nostro cervello,
per questo è relativa e non assoluta. Il medesimo problema si manifesta con la prospettiva di
considerarci in una posizione specifica in relazione alla realtà. Noi siamo convinti di essere nella
nostra testa, ma in fondo le cose potrebbero stare diversamente per quanto ci può sembrare folle.
Anche se ci sembra assurdo a priori considerarci altrove rispetto a dove crediamo di essere, la
questione diventa profonda se assumiamo l’idea che noi, in qualità di “Io” soggettivi, siamo un
qualcosa di diverso dal cervello. Questo concetto implica la domanda: noi siamo la totalità del
cervello quale organo materiale, o il nostro “Io” riveste una dimensione che non appartiene
solamente a quell’essenza materiale che nell’esperimento fantasioso potevo veder immersa in una
soluzione nutriente? La domanda coinvolge direttamente un dilemma più generico e profondo: il
mistero della vita. Tale enigma comporta la soluzione di un concetto: la vita è solo ciò che appare
nella sua sostanza materiale, o possiede un quid in più che si estende oltre tale sostanza? Parlando in
termini concreti, noi pensiamo, siamo convinti e non abbiamo prova contraria del fatto che i nostri
pensieri e la nostra stessa essenza sia collocata ed è fondamentalmente il cervello di carne, così
com’è strutturato. Tuttavia tale certezza non può essere assoluta al cento per cento.

Ovviamente bisogna valicare un confine delicato, la spiegazione di questo mistero implica


direttamente molte altre condizioni, come ad esempio l’esplicazione che la vita non termina al
momento della morte fisica. Questo dilemma a buon diretto può essere uno dei fondamentali
riguardo una nostra concezione del senso della vita e dell’esistenza umana in questo mondo, per tale
motivo va collocato in una posizione del tutto speciale.

Si può ritenere in prima istanza, che la funzionalità, la potenzialità e il complesso sistema cerebrale
e nervoso, con la moltitudine di fenomeni ad esso correlati non ha avuto risposte definitive, o
meglio ad oggi non è stato completamente chiarito. Si sono capite molte cose, ma ne restano ancor
di più da chiarire in termini scientifici, in fondo nessuno sa se mai verrà compreso completamente.
C’è da dire un fatto eloquente che appare come fenomeno evidente, se il sistema cerebrale si
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danneggia, il nostro stato mentale subisce inevitabili alterazioni. Questo fatto è indubitabile, quindi
potrebbe indicarci direttamente che noi siamo essenzialmente tutto ciò che è quell’insieme di
neuroni. Tuttavia questo aspetto non è sufficiente a darci una risposta definitiva in merito. Esiste un
limite essenziale a questo tipo di indagine e che va sottolineato altrimenti non è compreso.

Scientificamente, qualora vi è un danno concreto al cervello, gli studiosi del settore valutano tale
alterazioni basandosi sull’interazione del paziente con il mondo esterno. Qualora il paziente ha
difficoltà di comunicazione, ecco che noi non possiamo ricevere in alcun modo informazioni sul
suo reale stato mentale. Il problema è che per definire uno stato normale, noi ci basiamo su standard
del tutto discutibili su quali sono in generis le condizioni per cui una persona può essere definita
mentalmente sana, questa analisi può essere valida in molte occasioni ma fallibile in numerose altre
condizioni. Il problema è quando una persona non ha possibilità di comunicazione con l’esterno di
se, noi non possiamo sapere dentro di se com’essa si trova, ed ecco che definire il suo stato mentale
è un concetto puramente speculativo, noi ci basiamo su dati secondari e fallibili. L’attenzione a
questo problema è rilevante giacché se un soggetto non riesce a comunicare e né tantomeno ad
assumere un atteggiamento indice di normalità, noi non possiamo basarci su questa serie di indizi
per comprendere realmente il suo stato interiore. Se invece egli ha uno stato profondo di normalità,
allora la questione sarebbe completamente diversa, egli pur non potendo comunicare, pur non
potendo assumere un atteggiamento consono ad uno standard fittizio, detto di normalità, nella sua
profondità potrebbe avere una parte di se inalterabile, è in questi termini che può esistere un “Io”
profondo che va considerato in una dimensione distaccata dalla materia. Un “Io” essenza, che è un
energia connessa in qualche modo alla struttura celebrale e conseguentemente all’involucro fisico
corporeo, ma che tuttavia essa non è pienamente il corpo fisico in se. In questo caso noi con il
nostro “Io” non saremmo in senso completo un essenza che è poi la completa struttura biologica di
cui siamo fatti, crediamo di esserlo ma non lo siamo, al contrario noi siamo relazionati a tale
struttura ma l’energia più profonda di ciò che siamo riveste una dimensione diversa da quella
materiale.

Cercare di ragionare su questa prospettiva cambia radicalmente l’essenza dell’argomento e vi sono


diverse ragioni a poterci dire che non siamo completamente dove crediamo di essere.

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Mente e linguaggio
Noi ci scambiamo continuamente informazioni tramite il linguaggio.
In una normale conversazione ogni parola ha un preciso significato e nulla è casuale.
Vediamo il costituirsi dell’identità personale dell’essere umano e delle facoltà di conoscere e di
parlare sulla base del rapporto fra il tempo e la mente. Se è vero che l’idea di chi siamo viene
costruita nella rete dei ricordi, come ha rivendicato una lunga tradizione in filosofia e in psicologia,
è anche vero che proiettandoci verso il futuro e riparandoci in esso rassicuriamo noi stessi circa la
nostra identità, fatta delle esperienze ormai trascorse e di quelle venture che negli scenari
immaginari della nostra mente simuliamo fin nei minimi dettagli. Noi abbiamo un senso, e ci diamo
un senso, perché possiamo inseguire questo torrente di immagini e sensazioni passate e future; noi
abbiamo un noi perché possiamo fare con la mente ciò che ci è precluso con il corpo: viaggiare nel
tempo.
L’indagine sulla mente temporale è una ricerca di ciò che ci rende umani; per tale ragione, non
possiamo evadere una questione centrale: qual è il suo rapporto con il linguaggio? E inoltre: anche
gli altri animali sono viaggiatori del tempo come noi lo siamo? Le risposte a questi interrogativi
hanno forti ripercussioni sulla nostra visione della natura umana.
Facciamo un tentativo di indagare il costituirsi dell'identità dell'essere umano e delle facoltà di
conoscere e dì parlare sulla base del rapporto cardinale fra il tempo e la mente. Da un lato si parte
dall'assunto che la "ricerca del tempo perduto" è sempre una ricerca di sé. I ricordi esprimono un Io
e, dunque, accedervi significa accedere al senso di chi siamo, alla propria identità. Ma chi saremmo
senza l'immagine di un futuro in cui coltivare i nostri sogni, le speranze, i progetti? Il futuro ancora
il senso di identità almeno quanto il passato, perché se è vero che la vita deve essere compresa
guardando indietro è anche vero, come ci ricorda Kierkegaard, che deve essere vissuta guardando in
avanti. Noi abbiamo un senso, e ci diamo un senso, perché possiamo inseguire quel torrente di
immagini e sensazioni passate e future; noi abbiamo un noi perché possiamo fare con la mente ciò
che ci è precluso con il corpo: viaggiare nel tempo.

La questione dell’origine del linguaggio sembra un rompicapo senza soluzione. Non ci sono reperti
fossili di linguaggio ad aiutarci a capire come ha funzionato l’evoluzione. Se si guarda, poi,
all’ontogenesi, straordinariamente sorprendente è la facilità con cui i bambini apprendono la propria
lingua madre. Nel giro di pochi anni, ogni bambino impara un sistema così complesso e acquisisce
una flessibilità tale nell’utilizzarlo che nessun altro essere vivente o calcolatore è in grado di
eguagliare.
Il linguaggio ci viene dall’esterno o è una facoltà innata? E, se qualcosa c’è nella nostra mente,
come si è evoluto?
Tra le tante questioni aperte a queste proposito, almeno un aspetto appare chiaro: ad oggi, c’è una
soglia che nessun altro sistema di comunicazione animale riesce a superare ed è quella della
ricorsività. Concentriamo, dunque, su questo aspetto la nostra attenzione. La ricorsività è
specificamente umana e, se si, è anche specificamente linguistica e qual è in noi l’origine di tale
abilità?
I dati sperimentali sembrano dirci che, a livello neurologico, non c’è un sistema per la ricorsività.
Nel nostro cervello, non si è evoluto un organo per il linguaggio come dimostra il fatto che non c’è
una corrispondenza tra sistemi cerebrali e strutture linguistiche. Ad esempio, le stesse funzioni
grammaticali possono essere implementate in aree cerebrali diverse a seconda della struttura delle
lingua usata. Lingue flessive utilizzano aree cerebrali differenti da quelle di lingue meno flessive
anche quando sono in gioco gli stessi ruoli grammaticali (Deacon 1997, trad.it 294).

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Proveremo, dunque, a difendere l’idea che la ricorsività presupponga l’acquisizione di un sistema
simbolico e che il meccanismo evolutivo che ci ha portato alla facoltà del linguaggio sia di tipo co-
evolutivo.
L’ipotesi è che sia proprio il superamento della soglia simbolica il presupposto per la ricorsività del
linguaggio. In termini evolutivi, il maggiore sviluppo, nel cervello umano, della corteccia frontale e
del cervelletto ci ha dotato della capacità di simbolizzare. Il sistema simbolico, proprio perché
composto da simboli interrelati l’uno con l’altro, è all’origine del meccanismo ricorsivo.
Hauser, Chomsky e Fitch ipotizzavano, già nel 2002, che la ricorsività potrebbe, in origine, non
essere stata linguistica ma legata ad altre abilità (ad esempio, quelle per la navigazione). Questa
capacità dominio-specifica, nell’uomo, per un salto evolutivo, è diventata dominio-generale ed è
stata applicata alla risoluzione di altri problemi. Se, anche, il meccanismo ricorsivo fosse già stato
operativo per lo svolgimento di altre funzioni, è solo con l’avvento dell’abilità simbolica che
diventa significativo.
Oltre ad un’ipotesi sul nesso tra ricorsività e sistema simbolico quella che avanziamo è anche
un’ipotesi sul modo in cui il cervello ed il linguaggio si sono co-evoluti. Il cervello si è evoluto fino
a permetterci di acquisire il linguaggio ed il linguaggio ha, successivamente orientato la nostra
evoluzione.
I simboli hanno una componente biologica, la nostra predisposizione ad apprenderli, e un’origine
culturale. Dunque, nell’evoluzione del linguaggio (filo ma anche ontogenetica) né natura né cultura
cioè niente natura senza cultura e niente cultura senza natura.
Questo tipo di ipotesi, avanzata da Deacon (ma l’idea della co-evoluzione è già in Darwin), presta il
fianco ad almeno una critica: si postula, nella filogenesi, l’acquisizione dell’abilità simbolica senza
dimostrarla. Che prove possiamo addurre del fatto che siano i simboli all’origine dell’abilità
linguistica e del nostro peculiare percorso evolutivo? Non ci sono molte prove empiriche di come si
sia originata la capacità simbolica. Ci sono indicazioni su come è cresciuto il nostro cervello e sulle
attività che i nostri antenati compivano (ricostruite attraverso il ritrovamento di reperti, ad esempio i
primi utensili o i disegni sulle pareti delle caverne) però è difficile dire con precisione come e
quando abbiano cominciato ad elaborare e ad apprendere simboli.
Come altre teorie sull’origine del linguaggio, anche questa si ferma allo stadio di congettura. E’ un
racconto plausibile che si concilia bene, inoltre, con l’idea che la nostra prima modalità di
espressione sia stata quella gestuale. Se non disponiamo di prove filogenetiche forti, possiamo,
forse, osservare cosa avviene nell’ontogenesi. Certo, l’ontogenesi non ricapitola la filogenesi e
dunque non può dirci come si sia evoluto il linguaggio. Però, l’ontogenesi, è l’unico posto dove
guardare per capire che cosa faccia funzionare il linguaggio. E per ontogenesi non intendiamo lo
studio delle fasi di acquisizione del linguaggio ma l’acquisizione del linguaggio vista sullo sfondo
dello sviluppo cognitivo del bambino. L’ontogenesi, così intesa, può essere un banco di prova per
testare l’idea che non ci sia un modulo, esclusivamente umano ed esclusivamente linguistico, della
ricorsività ma che la ricorsività presupponga, invece, un sistema simbolico.

Il linguaggio non è una capacità modulare, autonoma, ma complementare alle altre capacità
cognitive come percezione, memoria, pensiero. Il concetto di embodiment (la mente si trova inserita
in un corpo, che le consente la percezione sensoriale del mondo esterno) riassume questa
interconnessione: il linguaggio dipende dalla mente, che è incorporata nella dimensione fisica ai
diversi livelli del cervello, del corpo, e delle leggi fisiche del mondo circostante. La stessa percezione
è contestualizzata e orientata alla ricerca di “opportunità”.

Non solo viene postulata, ma verificata una corrispondenza diretta tra elaborazione della conoscenza
e capacità linguistica

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Il processo di significazione, pertanto, parte da basi corporee e da queste motivato, che influiscono
direttamente sulle strutture del pensiero, che originano concetti generali, da cui poi derivano in
dinamiche formative diverse concetti sempre più specifici, che presentano complessi rapporti di
ereditarietà con quelli generali. A discapito della centralità della rappresentazione mediata dal segno
in discipline quali la semiotica, nella linguistica cognitiva è al contrario ipotizzato il collegamento
diretto tra mente e mondo tramite il corpo. Da ciò deriva che la stessa logica categoriale e
proposizionale umana non è un artificio, bensì già nella natura stessa della realtà esperita da una
mente fisica all’interno di un corpo fisico. Le forme grammaticali sono dotate di un significato più
astratto di quello lessicale.

Nella linguistica cognitiva (LC) il ruolo della semantica è quello di ponte fra facoltà cognitiva e
capacità linguistica in ottica olistica (senza distinguere in maniera categorica l'esperienza fisica
umana e la sua rappresentazione mentale e linguistica). È il significato a permettere la generazione
linguistica in categorie primitive e in regole sintattiche trasformazionali. Eleonor Rosch (UC
Berkeley, CA), a cui si rifà ad esempio G. Lakoff (cfr. Women, fire and dangerous things, 1987)
fece notare come le categorie mentali non abbiano confini definiti, non siano ben distinte tra loro,
ma fuse in un continuum sprovvisto di contorni netti. Una categoria può infatti condividere elementi
di altre categorie, cosicché in queste ultime alcuni elementi caratterizzanti sono più centrali di altri
(prototipici). La LC non presuppone una tabula rasa delle facoltà linguistiche, bensì una
predisposizione naturale all'approccio semantico del mondo, sulla base dell'embodiment. In
particolare la LC pone sullo stesso livello, sebbene con diversa gradualità, le esperienze fisiche
(nelle categorizzazioni linguistiche, ad esempio, prevale il concetto di “spazio”) e le loro
rappresentazioni mentali e linguistiche. Pertanto il valore semantico di un’espressione non risiede
nelle proprietà inerenti l’oggetto, o nella situazione che essa descrive, ma coinvolge il modo in cui
quest’oggetto o situazione vengono esperiti, cognitivamente elaborati, e infine pensati dal soggetto
in un continuo interscambio tra realtà e persona. Il significato di un’espressione consiste non solo in
un contenuto concettuale, ma anche nel modo in cui tale contenuto prende forma e viene costruito
dal soggetto a partire dall’esperienza. Esistono infatti diversi modi di costruire un dato contenuto
concettuale, ognuno dei quali rappresenta un significato diverso. Un significato ha sempre una
controparte concettuale, partendo dagli archetipi della dimensione corporea, come per la fonte degli
schemi preconcettuali fissi, quelli che denotano il contenitore, la diade parte/tutto, il percorso ecc.
Tali schemi sono dunque i mattoni fondamentali per la costruzione di ogni tipo di concetto più
complesso, grazie anche alla sintesi metaforiche, che fanno capo ai processi immaginativi. Per
questo motivo è il significato che genera i significanti di un codice, che non è autonomo e
autogenetico come per Chomsky. Concetti e categorie non sono astratti e universali ma partono
dalla realtà concreta esperita dal parlante, e funzionano come media tra mente e mondo, essendo
partecipative e non rappresentative, strumenti per l'azione sul mondo.

La stessa grammatica è intrinsecamente simbolica; costituisce un continuum con il lessico; le


diverse strutture grammaticali impongono immagini specifiche al contenuto concettuale e quindi,
infine, ciascuna espressione impone una particolare immagine al contenuto che evoca.
In questa prospettiva, la metafora costituisce una strumentazione cognitiva, attraverso la quale, da
una percezione concreta, il pensiero può arrivare a un'astrazione concettuale, che consente di
conoscere qualcosa di nuovo in base a qualcosa di noto; una strumentazione conoscitiva, utilizzata
dall'uomo nell’esperire la realtà. l'abbinamento metaforico, per esempio, tra bene/alto e male/basso,
scaturisce dalla maggiore importanza data alla testa in quanto sede del pensiero e della vista.

Il linguaggio è una delle più straordinarie caratteristiche umane. A quattro anni, un bambino
conosce migliaia di parole e ha la capacità di costruire frasi così complesse, dal punto di vista
grammaticale e sintattico, da surclassare la più potente intelligenza artificiale. Può una struttura così
articolata crearsi da zero, per pura imitazione degli adulti, come hanno ritenuto molti grandi

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studiosi? Già negli anni Sessanta Noam Chomsky aveva risposto con un'ipotesi ardita: a tutte le
lingue del mondo, per quanto diverse, è sottesa una stessa "grammatica universale" e il cervello del
bambino, fin dalla nascita, è predisposto a usarla. Steven Pinker va oltre, e dimostra che non solo
l'uomo ha un istinto ereditario del linguaggio ma che questo istinto, come la proboscide
dell'elefante, è frutto dell'evoluzione naturale. Esistono allora i geni del linguaggio? Sì, è la risposta
rivoluzionaria di Pinker. Il bambino non sa parlare fin dai primi istanti di vita perché le
complicatissime strutture cerebrali che supportano il linguaggio richiedono tre anni per maturare.
Inoltre il linguaggio si costruisce in parte con la comunicazione e ogni società ha il proprio.
Tuttavia non è vero che noi pensiamo in una lingua specifica: esiste un linguaggio mentale astratto,
il "mentalese", che dà forma ai pensieri e che noi traduciamo, di volta in volta, nella nostra lingua
madre. In un mondo di sempre più frequenti e profondi scambi tra culture diverse, la teoria di
Pinker rende meno incolmabile la distanza che le divide, delineando il profilo di una nuova visione
dell'uomo.

L'apprendimento infantile è inizialmente sincretico, nel senso che i bambini quanto più sono piccoli
tanto più imparano per "immersione" e quasi nulla per pura riflessione o ragionamento. E'
significativa, per l'apprendimento, l'immersione in una sorta di bagno sensoriale dove i gesti, le
posture, i movimenti, le emozioni rendono motivanti e significativi gli apprendimenti. Se
consideriamo il linguaggio vediamo che non lo si acquisisce per semplice ripetizione o attraverso un
freddo meccanismo di tentativi ed errori. La capacità di comprendere e di esprimere per mezzo della
parola si acquisisce in realtà al seguito di altre funzioni.

La cosiddetta "sincronia interattiva" nei neonati è il primo segno: bambini di poche settimane di vita
producono col corpo una serie di micromovimenti in risposta al linguaggio umano; una specie di
"danza" attivata dalla voce umana, dal ritmo della lingua (qualunque lingua). La stessa "danza" non
compare quando il bambino sente altri suoni, il che, da un lato, depone a favore di una sensibilità
innata alla voce umana e dall'altro indica come il linguaggio non sia un fatto puramente mentale o
astratto, ma coinvolga anche il corpo. Anche colui che parla accompagna il linguaggio con dei
micromovimenti (mimici e del corpo) che rendono le sue verbalizzazioni significative, "calde", tali
da motivare l'ascoltatore a partecipare alla "danza".

Il linguaggio, dunque, può essere considerato nel contesto più generale del corpo che ha un peso
talmente fondamentale nel contesto della nostra mente che si potrebbe quasi invertire l'usuale
rappresentazione della mente che pianifica i movimenti del corpo in un'immagine della mente
formata dai movimenti. L'agire sull'ambiente perturba la mente che, percependo l'effetto di tale
alterazione, invia istruzioni per un'ulteriore azione. Il ruolo dell'attività motoria nella costruzione
della mente è evidente dal punto di vista dello sviluppo: i movimenti innati dell'embrione e quelli
sempre più perfezionati del lattante sono i mattoni costitutivi del comportamento motorio e di un
conseguente numero di attività "sequenziali", linguaggio incluso.

Azioni e movimenti hanno un ruolo centrale nei processi di rappresentazione mentale a partire dalle
fasi più precoci: l'embrione è anzitutto un organismo motorio, prima ancora di essere un organismo
sensoriale: l'azione precede la sensazione e non il contrario come siamo portati a concettualizzare
nella maggior parte delle rappresentazioni schematiche della mente, a partire da quelle dei filosofi
empiristi inglesi, John Stuart Mill e Alexander Bain. In questi schemi si passa da un iniziale input
sensoriale alla sua analisi (la percezione) e infine all'output motorio: eppure potremo rappresentare
questa sequenza in modo inverso attraverso uno schema non lineare ma ciclico: si può partire dal
passo iniziale, il movimento, alle conseguenze che questo esercita sull'ambiente circostante, alla
percezione di queste conseguenze e alle modifiche che questa percezione esercita su movimenti
successivi.

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Nell'ambito di questa concettualizzazione la coscienza non è altro che un meccanismo attraverso cui
un organismo dà inizio a movimenti che consentano di acquisire informazioni sull'ambiente
presente e passato. Pensare, quindi, non sarebbe altro che decidere quale movimento realizzare
successivamente. Il movimento, in quest'ottica, non è il mezzo per soddisfare le necessità dei centri
cerebrali superiori, la mente appunto: è invece l'attività mentale ad essere il mezzo per eseguire le
azioni…

Questo modo di guardare alla realtà mentale può apparire paradossale e provocatorio: in genere le
funzioni motorie vengono considerate di basso livello, subordinate a quelle strutture che sono alla
base delle più elevate attività cognitive, della razionalità del pensiero "puro". Il corpo viene così
considerato nella maggior parte delle culture come un'entità inferiore a quella mentale. In realtà il
pensiero cosciente è strettamente correlato con l'attività di aree della corteccia responsabili di
movimenti reali o "immaginati": in altre parole, la stessa area del cervello entra in funzione quando
immagino un movimento e quando questo viene pianificato. Parlare, cioè articolare una sequenza di
sillabe, rassomiglia, in termini di eventi muscolari sequenziali, a scheggiare una selce o a scagliare
una lancia. In modo analogo, esperienze cenestetiche come in alto e in basso, destra e sinistra,
dentro e fuori, hanno man mano fornito la base fisica e concreta per lo sviluppo di simboli e
metafore utilizzate nel linguaggio. Esiste insomma uno stretto intreccio tra motricità e pensiero, sia
dal punto di vista della storia naturale dell'uomo, sia dal punto di vista ontogenetico, sia dal punto di
vista del modo in cui la nostra mente funziona oggi: ad esempio, concentrarsi su un problema, vale
a dire pensare, implica un aumento della tensione muscolare del collo come d'altronde rilassare i
muscoli facciali o atteggiare il volto a un sorriso può modificare le nostre sensazioni ed emozioni.

Il nostro cervello è un enorme archivio di repertori motori, complessi schemi che lo psicologo russo
Alexander Lurija ha definito "melodie cinetiche" per indicarne la complessa fluidità che ognuno di
noi mette in opera nei diversi atti della vita quotidiana. Le tecniche di visualizzazione cerebrale (il
cosiddetto Brain imaging, che, a partire dalla TAC ha portato alla PET e alla risonanza magnetica)
hanno contribuito alla conoscenza degli schemi motori: se si chiede a una persona di pensare di
muovere la mano, come se volesse afferrare un oggetto, la sua corteccia premotoria, situata
anteriormente alla corteccia motoria, nel lobo frontale, diviene attiva, il che ha indicato come vi
siano aree del cervello che predispongono il movimento e aree che lo realizzano. Questo
parallelismo tra anticipazione e azione vale anche per l'immaginazione e la sensazione: così, il solo
immaginare un oggetto, ad esempio una rosa, porta all'attivazione delle aree della corteccia visiva
che vengono attivate quando quell'oggetto viene effettivamente visto.

Un ulteriore livello dei rapporti che esistono tra sensazione, anticipazione e azione riguarda
l'esistenza di neuroni "mirror" (che rispecchiano): questi sono localizzati nella corteccia premotoria
dei primati e si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento. Ad
esempio, se una scimmia afferra un oggetto, nella scimmia osservatrice si attivano quei neuroni che,
nella corteccia premotoria, potrebbero preparare i neuroni della corteccia motoria a realizzare una
simile azione: questi neuroni, che stabiliscono una sorta di ponte tra l'osservatore e l'attore, sono
attivi anche nella nostra specie e sono quindi al centro di comportamenti di mimesi, imitativi, che
giocano un ruolo fondamentale nell'intelligenza linguistica.

I complessi schemi motori da cui dipende la sequenza temporale dell'attivazione dei muscoli di un
arto non sono altro che una memoria procedurale: è una memoria distribuita tra i circuiti che
formano il cervello e che parte da un "semplice" circuito iniziale, quello costituito dai nervi motori
che dal cervello discendono nel midollo spinale e dai nervi sensoriali che servono per correggere
eventuali errori e per inviare al centro informazioni sullo stato di implementazione del movimento.
Per prove ed errori, il movimento verrà corretto, affinato e infine consegnato a una memoria che
codifica lo schema del movimento e ne consente la realizzazione in forma stereotipata, fluida.

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Il controllo motorio dipende da un complesso sistema gerarchico costituito da strutture corticali e
sottocorticali: tra queste occupano un posto importante i cosiddetti gangli della base (nucleo striato,
accumbens) che controllano attività cognitive come le memorie spaziali, l'esecuzione di azioni
motorie in un determinato contesto, componenti motivazionali dell'apprendimento. Corteccia e
gangli della base sono strettamente allacciati tra di loro e controllano sia gli aspetti motivazionali di
un movimento (la preparazione all'azione), sia gli aspetti contestuali (l'esecuzione del movimento)
sia il suo stato di esecuzione, anche attraverso la partecipazione del cervelletto. Gangli della base e
cervelletto intervengono anche nel linguaggio, il che aumenta i punti di contatto tra motricità e
linguaggio.

Gli studi sui rapporti tra aree cerebrali e linguaggio indicano sempre più che questo dipende dalle
nostre immediate percezioni ed azioni e dalle memorie di oggetti ed azioni: perciò le aree della
corteccia cerebrale che elaborano le informazioni sensoriali e controllano i movimenti sono anche
coinvolte in diversi aspetti delle memorie linguistiche: ad esempio, profferire parole indicative di un
colore (rosso, blu, giallo) attiva quelle aree della corteccia temporale ventrale che sono responsabili
della percezione dei colori, profferire parole relative ai movimenti (correre, battere, avvitare) attiva
aree situate anteriormente a quelle coinvolte nella percezione dei movimenti nonché le aree motorie
della corteccia frontale.

Anziché essere un sistema estremamente specifico ed autonomo, quello del linguaggio fa capo a
complessi coordinamenti con altri sistemi ed aree del cervello legate alla rappresentazione di
oggetti, alla percezione, alla motricità: esistono insomma interazioni tra le aree prettamente
linguistiche e quelle che si riferiscono al corpo, all'ambiente e al contesto in cui esso opera. Per
rendersi conto delle interazioni tra strutture linguistiche e strutture motorie è sufficiente fare questo
semplicissimo esperimento. Chiedete a un amico di parlare e ripetete ciò che sta dicendo mentre lui
parla, come se foste la sua "ombra". A questo punto, mentre parlate, cominciate a tamburellare col
dito medio della mano destra seguendo un ritmo regolare; provate ora, sempre mentre state
parlando, col dito medio della mano sinistra. Per la maggior parte delle persone è più difficile
tamburellare col dito medio della mano destra (controllato dalla corteccia motoria dell'emisfero
sinistro) in quanto si verifica una competizione tra risorse linguistiche e motorie dell'emisfero
sinistro. La stessa situazione si verifica quando un sordomuto imita il linguaggio dei segni di
un'altra persona mentre tamburella con la mano destra.

La logica del corpo e dei suoi movimenti nel contesto in cui viviamo (su, giù, di lato, dentro,
rotazione ecc.) potrebbe costituire il fondamento su è costruita la logica operazionale del
linguaggio: in base a questa ipotesi, molte delle operazioni motorie sono talmente importanti in
termini di esperienze corporee che esse si traducono in classi di percezioni, comportamenti e
convenzioni linguistiche abbastanza universali. Così, lo schema di "verticalità", emerge dall'uso che
noi facciamo di aspetti dell'esperienza (alzarsi, raggiungere, salire ecc.) che danno forma a concetti
e strutture del linguaggio: metafore del tipo sale la tensione, crollano i prezzi, raggiungere il vertice
e via dicendo, emergono da esperienze corporee connaturate alle nostre esperienze motorie e
percettive.

In termini evolutivi il linguaggio sarebbe perciò il prodotto dell'affinamento e potenziamento di una


serie di attività cognitive già coinvolte nelle funzioni sensoriali, motorie, nella memoria, nella
comunicazione. In genere, sia nella psicologia evolutiva che in quella generale, siamo portati a
scindere tra di loro i vari aspetti delle funzioni mentali ritenendo che essi siano dei moduli dotati di
una loro autonomia: in realtà la mente, si tratti di linguaggio come di altre funzioni cognitive e
percettive, ha una sua unitarietà e risente di una componente, quella motoria, che è la più antica dal
punto di vista evolutivo e che dipende da sistemi (corteccia, gangli della base e cervelletto) che
assommano in loro componenti motorie, motivazionali e cognitive.

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A rafforzare il ruolo e la compartecipazione della motricità nei processi astratti contribuiscono studi
recenti sull'apprendimento del calcolo matematico: anche il pensiero matematico, infatti, fa capo a
due tipi di intelligenza, una visivo-spaziale e una linguistica, la prima più concreta, la seconda più
astratta e simbolica; la prima più antica, la seconda più recente in termini evolutivi; la prima
soggetta a uno sviluppo più precoce, la seconda a uno sviluppo più tradivo nel corso
dell'ontogenesi. Visualizzando le aree del cervello attraverso tecniche di Brain Imaging, S. Dehaene
e collaboratori hanno dimostrato che il pensiero matematico può seguire due strade, una più antica e
indipendente dal linguaggio, evidente nei bambini piccoli e persino negli animali che, pur non
essendo in grado di contare sono in grado di valutare le quantità e tenerne conto sul piano operativo
nel fare valutazioni (ad esempio accorgersi della mancanza di piccoli dal nido); l'altra va di pari
passo con l'apprendimento del linguaggio e consente di fare calcoli e valutazioni sofisticate. Il dato
interessante è che diverse aree del cervello sono coinvolte nell'uno e nell'altro caso: le valutazioni
per approssimazione coinvolgono le aree parietali del cervello (che controllano movimenti delle dita
utilizzati dai bambini per fare i primi calcoli o l'uso del pallottoliere), i calcoli esatti coinvolgono
invece le aree frontali dell'emisfero sinistro implicate anche nel linguaggio.

Il linguaggio, quando non è la pura astrazione dei logici, dei filosofi o degli scienziati, è parte di un
continuum che dai gesti, risale alle situazioni, fino ai ritmi iniziali che creano le situazioni. Il
linguaggio verbale si situa al vertice di una catena di acquisizioni fondate su dei momenti relazioni,
dove gestualità e sensi garantiscono il contatto con la realtà, la significatività delle parole e anche la
memorizzazione delle stesse. Questo sincretismo, tipico dell'apprendimento infantile è alla base
dell'interiorizzazione progressiva del linguaggio. Ecco perché non bisogna eccedere con l'uso di tv e
computer in tenera età: i bambini imparano meglio se possono toccare, manipolare, vivere delle
sensazioni fisiche. L'interiorizzazione passa attraverso questo tipo di esperienza a più livelli. Il loro
cervello cresce in relazione alla qualità degli stimoli che arrivano loro dai sensi. Tv e computer
forniscono degli input, ma non promuovono l'abilità di pensare le cose nella propria mente.

Tutto ciò che riguarda il cervello, il comportamento, le caratteristiche della mente è oggi al centro di
crescente attenzione sia da parte degli scienziati sia da parte dei non specialisti che per diversi
motivi possiedono alcune nozioni su differenti aspetti dei rapporti tra cervello e comportamento. Ad
esempio, spesso sentiamo affermare che l'essere depressi o di buon umore può dipendere dalle
dinamiche delle molecole chimiche prodotte dalle cellule nervose, che le droghe modificano il
nostro comportamento agendo sui trasmettitori nervosi, che un trauma cranico può comportare un
vuoto di memoria, che intelligenza e memoria possono sgretolarsi in tarda età se il cervello va
incontro a malattie degenerative come il morbo di Alzheimer. Ognuno di noi, insomma, ha
conoscenze, più o meno sommarie, sia nel campo delle neuroscienze, le discipline che studiano il
cervello attraverso diversi strumenti e punti di vista, sia in quello della psicobiologia, la disciplina
che cerca di interpretare alcuni aspetti della mente attraverso un'ottica biologica, sia, infine, in
quello della filosofia della mente che, attraverso i secoli, ha cercato di rispondere a diversi
interrogativi che riguardano i rapporti tra la mente, un tempo associata all'anima, e i cervello.
Alcuni di questi classici interrogativi, oltre al rapporto mente-cervello, riguardano gli atteggiamenti
umani, le credenze e i desideri, la coscienza, la razionalità, le passioni, il rapporto tra natura e
cultura, la volontà, lo stesso libero arbitrio. Un tempo, però, i filosofi della mente si ponevano
domande che prescindevano dalle - poche - conoscenze sul funzionamento del cervello mentre oggi
è ben difficile non tenere in considerazione quanto ci rivela la biologia: e anche se alcuni filosofi
ritengono che gli eventi mentali siano essenzialmente dei vissuti in prima persona, su cui la scienza
ha ben poco da dire, è ben difficile ignorare alcuni fondamenti biologici del mentale. Ad esempio,
non abbiamo dubbi sul fatto che la mente di una persona che ha fatto uso di droghe pesanti sia
alterata, che la morte cerebrale coincida con l'assenza di coscienza e delle funzioni mentali, che
alcune funzioni mentali si verifichino a livello inconscio. Anche quando ci interroghiamo sul futuro,
la dimensione biologica ha un impatto sull'etica, sulla filosofia della mente, sullo stesso concetto di

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"persona umana": spesso, tanto per ricorrere a un argomento attuale, ci domandiamo cosa
avverrebbe se gli individui umani fossero clonati e, in particolare, se le loro menti potrebbero essere
quasi identiche tra loro, simili in modo inquietante...

Questa trasformazione del nostro modo di guardare alla mente umana attraverso un'ottica biologica,
è abbastanza recente: sia pure con qualche approssimazione, potremmo affermare che poco più di
cinquant'anni fa la mente e il comportamento umano erano ancora appannaggio della filosofia e
della psicologia mentre si riteneva che biologia e medicina si limitassero a fornire risposte
circoscritte alla patologia, ai casi di malattie e lesioni del sistema nervoso. In realtà, l'interesse ai
rapporti tra cervello e comportamento risale a molti anni or sono: ad esempio, gli studiosi di
anatomia comparata, i naturalisti, gli evoluzionisti, si erano posti domande sulle radici biologiche
del comportamento umano già alcuni secoli addietro; Charles Darwin aveva sostenuto, sin dalla
metà dell'Ottocento, che il cervello umano avesse alle sue spalle una lunga storia naturale; i
neurologi avevano indicato come le lesioni di alcune parti della corteccia cerebrale alterassero
profondamente il linguaggio, la memoria, il comportamento. Tuttavia, malgrado queste conoscenze
e teorie, il cervello restava un continente inesplorato e ignoto ai più: e soprattutto, come si è detto,
era opinione comune che la scienza, in particolare la medicina, potesse chiarire alcuni aspetti della
patologia cerebrale ma non della fisiologia. Si ammetteva, ad esempio, che il comportamento
potesse disgregarsi a causa di un ictus o della sifilide ma non si riteneva che la scienza potesse
esplorare le caratteristiche della memoria, dell'emozione, del sogno e più in generale della mente.
Oggi, invece, la situazione è profondamente cambiata, il modo in cui guardiamo alla mente è
diverso in quanto le neuroscienze, attraverso lo sviluppo di varie tecniche e strategie, hanno
consentito di inquadrare e conoscere numerosi aspetti dei rapporti tra sistema nervoso e
comportamento, sia dal punto di vista fisiologico che patologico. Ovviamente, le trasformazioni del
modo in cui guardiamo ai rapporti tra mente e cervello, tra psiche e corpo, non rispecchiano soltanto
conoscenze scientifiche ma anche mutamenti sociali e culturali: in effetti, la maggiore attenzione
nei riguardi dei rapporti tra cervello e psiche può anche essere interpretata sulla base dell'attuale
tendenza verso l'individualismo, della crescente attenzione verso il sé, di una trasformazione della
mentalità che riguarda anche quegli interrogativi sul come siamo fatti e sul come agiamo che
rientrano nel campo di studio delle scienze della psiche e del cervello.

Un'ulteriore spinta verso una lettura in chiave biologica della mente ha avuto origine da una
laicizzazione della cultura e quindi dal superamento di una concezione spiritualistica che, nel
passato, poteva far sì che il concetto di mente coincidesse con quello di anima o di spirito: lo studio
del comportamento in termini naturalistici o "riduzionistici" implica invece che i fenomeni mentali
siano manifestazioni del corpo o dei processi cerebrali e che quindi lo studio della mente umana non
sia appannaggio della metafisica, della filosofia o di una psicologia completamente scissa dalla
biologia. Ciò non significa che la mente umana possa essere svelata esclusivamente attraverso
un'ottica naturalistica ma che le neuroscienze rappresentino un importante livello di lettura, anche
se non esclusivo. Questa laicizzazione della cultura è meno evidente in Italia e ciò spiega,
probabilmente, perché in altri paesi la filosofia della mente occupi un posto centrale nella filosofia e
le neuroscienze suscitino maggiore attenzione di quanto non avviene nel nostro paese.

Per renderci conto di come si sia giunti a una nuova concezione dei rapporti tra mente e cervello si
possono seguire quattro diversi percorsi:

1. In primo luogo ripercorrere la storia dei rapporti tra biologia e comportamento a partire
dall'Ottocento, quando i naturalisti, i fisiologi e i neurologi cominciarono a condurre studi e ricerche
sistematiche sulla storia naturale del cervello, sulla sua fisiologia e sugli effetti dei danni localizzati
in alcune regioni cerebrali.

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2. In secondo luogo seguire un'ottica di tipo evolutivo, cercare cioè di seguire le tracce di una
"storia naturale" della mente per soffermarsi sulle tappe fondamentali che hanno portato a un
cervello tipicamente umano.

3. Un terzo percorso può invece riguardare alcuni fondamentali raggiungimenti delle neuroscienze e
della psicologia che hanno innovato il modo in cui guardiamo ai rapporti tra cervello e
rappresentazioni della realtà, basati sia su quel complesso intreccio di meccanismi predeterminati e
processi plastici che caratterizzano ogni funzione mentale, in particolare la memoria che costituisce
una specie di luogo simbolico della mente. Gli studi sulla memoria indicano, ad esempio, che alcuni
aspetti e modi del ricordare sono legati a specifiche aree della corteccia, che la mente rielabora in
modo massiccio sia nuove esperienze che ricordi consolidati, che non tutte le esperienze si
verificano a livello cosciente e, infine, che attività cognitive ed emotive sono fortemente
interdipendenti.

4. Ultima tappa del nostro percorso saranno le teorie della mente, un classico capitolo della filosofia
che riguarda i rapporti tra mente e cervello. In che modo le nuove conoscenze neuroscientifiche
hanno modificato le teorie della mente? Ad esempio, a quali trasformazioni è andata incontro
l'epistemologia il cui nucleo centrale è l'origine e la legittimazione della conoscenza? Tutta la
conoscenza, come sostenevano gli empiristi, nasce dai sensi e dalle impressioni che sono alla base
del contenuto dei nostri stati mentali di cui abbiamo conoscenza diretta oppure si basa su basi
naturalistiche, su idee innate, come ritenevano i razionalisti? Mente e cervello sono due entità
distinte? Esiste un linguaggio della mente? Le neuroscienze permettono di rispondere a queste
domande in modo più esaustivo oppure le risposte risiedono altrove, ad esempio nelle conoscenze
che derivano dall'intelligenza artificiale e da quelle di calcolo o "computazionali"? O infine, come
sostengono la filosofia e la psicologia fenomenologica, le neuroscienze non ci consentono di dare
risposta alcuna in quanto le esperienze mentali sono un fenomeno precluso alla conoscenza
obiettiva?

Considerata da questi diversi punti di vista, la mente ci apparirà sotto un insolito aspetto in quanto è
evidente che il cervello opera attraverso una serie di meccanismi precostituiti, frutto della sua lunga
storia, che fanno sì che stimoli ed esperienze vangano elaborati automaticamente e trasformati in
interpretazioni, rielaborate e corrette, della realtà. Che si tratti di stimoli visivi, di esperienze o
memorie che riaffiorano alla mente, tutto viene analizzato e rimaneggiato dal cervello prima ancora
che la mente possa rendersi conto di quanto il cervello sta facendo. In altre parole, molto spesso il
cervello sa e agisce prima della mente, prima che il nostro io ne sia a conoscenza. D'altronde, come
vedremo, numerose attività, dai riflessi alle associazioni, dalla percezione alla memoria, si
verificano a livello inconscio.

La mente è seconda al cervello nell'interagire col mondo? Prende atto delle operazioni del sistema
nervoso attuate tramite programmi che derivano da una lunga storia evolutiva? Questa posizione, se
estremizzata, è eccessiva: è mai possibile che una visione unitaria della realtà, del mondo che ci
circonda e del nostro mondo interno, dipenda essenzialmente da un automatismo che deriva da un
meccanismo precostituito? Secondo alcuni filosofi e neuroscienziati, ad esempio Michael
Gazzaniga (1998), l'unitarietà della mente dipende dall'intervento di un "interprete" ma questi non
sarebbe altro che un ulteriore meccanismo precostituito di cui, col tempo, saremo in grado di
conoscere la "formula". E per di più questo meccanismo, l'interprete appunto, sarebbe a sua volta
frutto di un processo evolutivo che ci permette di individuare la presenza di simili interpreti, anche
se meno abili e sofisticati, nelle altre specie animali.

E se l'interprete fosse invece il prodotto dell'esperienza che, progressivamente, induce la formazione


di schemi sempre più complessi, visioni del mondo che pur hanno una loro dimensione

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neurobiologica in quanto implementate nei circuiti nervosi? E' quanto discuteremo tentando di
descrivere la mente nella sua complessità senza prescindere dalla biologia ma anche senza ricorrere
a un determinismo semplificante.

Utilizzando il linguaggio gli uomini si accordano sulle azioni da compiere per svolgere un
determinato lavoro. L’interscambio di messaggi sta alla base delle reciproche interazioni.
Ognuno possiede una propria rappresentazione del mondo e grazie al linguaggio due persone si
accordano su ciò che esiste di concreto. Due persone che parlano si raccontano qualcosa del mondo
e ne forniscono una comune visione.
Una terza persona può essere testimone del colloquio e prenderne atto.
Grazie al linguaggio le cose prendono forma.
Esiste poi il linguaggio del corpo che ci veicola una miriade di informazioni sul nostro
interlocutore, come conoscono bene due amanti.
Ogni frase ha un preciso significato e viene pronunciata con uno scopo ben definito.
Da una frase detta noi ne deduciamo una intera storia di significati.
Con le parole noi diamo dei giudizi sulle persone: comunichiamo la nostra considerazione.
Il linguaggio si adatta bene ad ogni contesto: di lavoro, di gioco, di fantasia.
Tramite il linguaggio le persone si rapportano tra di loro.
Una esperienza raccontata non è però equivalente ad una esperienza vissuta.
Non ci sono solo le parole per raccontare un fatto, ci sono anche le immagini, come ci insegnano i
documentari alla TV.
In una riunione di lavoro si discute sulle cose da fare tramite il linguaggio e si prendono decisioni
che poi debbono corrispondere a cose concrete da fare, ma il linguaggio non corrisponde alla realtà.
Come si svolgeranno in effetti i fatti concreti non è totalmente prevedibile ma solo in parte.
Esiste una differenza sostanziale tra la parola e l’oggetto denotato.
La parola sintetizza in un concetto un mare di informazioni correlate.
Il pensiero utilizza il linguaggio per esprimersi ma il pensiero viene prima del linguaggio stesso.
Nel pensare l’inconscio tiene presenti molte esperienze vissute contemporaneamente.
Un fatto può avere diverse interpretazioni a seconda di come se ne parla.
È sempre l’osservatore che giudica e che decide.
Molto spesso noi giudichiamo dall’aspetto e l’apparenza inganna.
In una conversazione si istaura un meccanismo di botta e risposta, una frase richiama alla mente
altre frasi tutte inserite in un determinato contesto. Una parola può però far cambiare
improvvisamente il contesto del discorso, portando i due interlocutori a ragionare su cose diverse.
La fantasia e l’immaginazione svolgono un ruolo di primo piano durante una conversazione.
Se incontriamo un amico immediatamente ci vengono in mente una miriade di situazioni vissute
con quell’amico. Incontrare una persona significa rispolverare dalla memoria una intera
costellazione di idee e di concetti.
Se seguiamo una lezione universitaria la nostra mente è presa dall’argomento trattato e l’attenzione
è concentrata su ciò che il professore sta dicendo.
Possiamo prestare attenzione ad alcuni dettagli oppure all’insieme complessivo cercando di
coglierne il senso. A volte da un dettaglio possiamo dedurre una intero complesso significato.
A volte ci bastano poche frasi per formulare un giudizio su una persona.
Ma dietro al nome di una persona si cela un intero mondo di attività psichiche in continua
evoluzione: un organismo biologico in relazione con l’ambiente.
Noi giudichiamo le persone da quello che fanno e da quello che dicono, ma non sempre le persone
fanno quello che dicono di fare.
Molto spesso giudichiamo una persona da pochi e precari indizi.
Ha detto questo perciò la pensa così, ma non sempre questo risulta corretto.
Alcune frasi però sono per noi particolarmente significative.
Esiste un contesto del discorso che colora il senso e l’importanza delle frasi pronunciate.

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È molto importante la persona a cui rivolgiamo la parola per trovare un senso del discorso.
Quando incontriamo una persona immediatamente viene alla mente tutta la storia di quanto ci
eravamo detti in passato.
La memoria viene stimolata dall’input percettivo.
Il computer possiede una memoria infallibile, il problema è recuperare i dati il che avviene grazie
all’utilizzo di password e di chiavi di accesso.
La memoria ha sempre una carica emotiva, certe cose le ricordiamo per una vita intera certe altre le
dimentichiamo.
Basta un piccolo indizio per richiamare alla memoria una storia intera.
L’attenzione si sposta rapidamente da un contesto ad un altro stimolata dall’input percettivo.
Esiste poi il linguaggio del corpo, una postura, un ammiccamento, un’espressione del volto
convogliano tutti dei messaggi che riusciamo a interpretare indipendentemente dalla lingua e dalla
cultura di cui disponiamo.
Noi disponiamo di molteplici canali di comunicazione e il cervello si è adattato a cogliere il senso
di questa miriade di messaggi che continuamente percepisce.
Ci sono episodi che abbiamo vissuto che per noi hanno un senso particolare e che influenzano il
nostro modo di pensare: episodi particolarmente ricchi di significato.
Le parole si perdono nella memoria ma alcune frasi rimangono per noi sempre vivide.
Nell’era del computer e della televisione la storia possiede una traccia indelebile fatta di immagini e
documentari.
Tutto passa e si rinnova ma la memoria storica è importante.
Ognuno può documentarsi sugli eventi passati e per confronto farsi un’idea dei tempi presenti.
Nel ritmo frenetico delle notizie del telegiornale è possibile giudicare gli eventi facendo riferimento
a fatti storici più o meno recenti.
Abbiamo assistito al crollo di numerose ideologie e al cambiamento di valori capisaldi nella nostra
cultura per esempio quello della famiglia.
Le generazioni future sono disorientate dai miti del mondo virtuale e si trovano in grande difficoltà
ad affrontare il mondo reale.
L’apparenza inganna e i miti televisivi sono solo apparenza.
Siamo alle soglie di una rivoluzione culturale senza precedenti nella storia.
Libertà di pensiero e libertà di parola va bene però dobbiamo fare i conti con le risorse limitate del
nostro pianeta.
Non è vero che non esistono più lavori manuali e che tutto si fa con un clik a computer.
È vero che viviamo nell’era dell’informazione e che alcune informazioni sono vitali ma poi occorre
scendere all’azione pratica al manufatto tecnologico o meno.
Le infinite possibilità di sviluppo si riducono in pratica a poche linee guida.
Bisogna fare i conti con l’oste.

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Il cervello e le idee

La creatività umana può essere paragonata ad una macchina che produce ipotesi, scenari e soluzioni
diverse in modo quasi casuale, anche al di fuori di una logica strutturata?
Per affrontare questo argomento si può partire da una citazione di Albert Einstein:
“Non ritengo che le parole o il linguaggio scritto o parlato abbiano alcun ruolo nel meccanismo del
mio pensiero. Le entità psichiche che sembrano servire da elementi sono piuttosto alcuni segni o
immagini che nella mia mente entrano in un gioco combinatorio di tipo visivo e a volte muscolare”.

Quest’affermazione può sembrare provocatoria, ma indica un aspetto delle procedure mentali


tutt’altro che insolito e che può essere comune a persone geniali ma anche a quanti, più
semplicemente, possiedono l’abilità di manipolare i numeri in modo eccezionale. È questo il caso
dei cosiddetti “calcolatori viventi”; persone che “vedono” i numeri, li materializzano, li trattano
come oggetti, li rimescolano tra di loro attraverso strategie mentali che sono ben diverse rispetto a
quelle comuni a tutti noi.

Le nostre idee migliori sono spesso quelle che fanno da ponte tra due mondi diversi.
Ci aiutano a gettare un ponte tra i "fini" che perseguiamo, e i "mezzi" di cui disponiamo. Ci aiutano
cioè a collegare le cose che sappiamo riconoscere (o costruire, trovare, realizzare o pensare) ai
problemi che vogliamo risolvere

Quando incontriamo di persona dei grandi pensatori, in loro non riscontriamo nessuna eccezionale
predisposizione, ma solo combinazioni di ingredienti in sé affatto comuni.
Questi eroi sono per la maggior parte fortemente motivati, ma anche molte altre persone lo sono. Di
solito sono molto bravi in certi campi, ma questa, in sé, la chiamiamo di solito perizia. Spesso
hanno abbastanza fiducia in sé da tener testa al disprezzo dei colleghi, ma, in sé, questa qualità
potremmo semplicemente chiamarla ostinazione. Certo essi pensano le cose in modi nuovi, ma
questo capita a tutti di tanto in tanto.

Ho l’impressione che per il genio ci voglia un’altra cosa ancora: per accumulare qualità eccezionali,
occorrono modi straordinariamente efficaci di apprendere. Non basta imparare molte cose, si deve
anche gestire ciò che s’impara. I maestri, sotto la superficie della loro maestria, hanno alcune
speciali abilità proprie di una competenza di "ordine superiore", che li aiutano ad organizzare e a
fare uso delle cose che apprendono. Sono questi trucchi nascosti di gestione mentale a produrre i
sistemi che creano le opere di genio.

Perché certe persone apprendono molte abilità e abilità più efficienti? Queste importantissime
differenze potrebbero avere origine in incidenti avvenuti nell’infanzia. Un bambino scopre modi
intelligenti di sistemare i blocchetti in fila e in colonna, un altro bambino gioca a risistemare i
propri modi di pensare. Ora, mentre tutti possono elogiare le torri del primo, nessuno è in grado di
vedere ciò che ha fatto il secondo bambino, anzi, se ne può persino ricavare la falsa impressione che
egli manchi di industriosità.

Ma se il secondo bambino persevera nella ricerca di modi migliori di apprendere, può darsi che ciò
lo conduca a uno sviluppo silenzioso in cui alcuni di questi modi migliori di apprendere possono
sfociare in modi migliori di imparare ad apprendere. In seguito, osserveremo un mutamento
qualitativo impressionante - senza causa apparente - al quale daremo un qualche nome vuoto come
talento, attitudine o dono.

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Da dove prendiamo le idee che ci servono?

I nostri concetti derivano per la maggior parte dalle comunità nelle quali siamo cresciuti. Perfino le
idee che “abbiamo” da soli provengono da comunità, le comunità che abbiamo nella testa. Il
cervello non fabbrica i pensieri negli stessi modi diretti in cui i muscoli sviluppano forza. Per avere
una buona idea bisogna invece mettere in gioco colossali organizzazioni di sottomacchine mentali
che svolgono un’ampia varietà di compiti. Ogni cranio umano contiene centinaia di tipi di
calcolatori, sviluppatisi in centinaia di milioni di anni di evoluzione, ciascuno con un’architettura un
po’ diversa.

Ciascuna agenzia specializzata deve imparare a rivolgersi ad altri specialisti che possano servire ai
suoi scopi. Certe sezioni del cervello distinguono i suoni delle voci dai suoni di altro genere; altre
agenzie specializzate distinguono le “immagini dei volti” da oggetti di altro tipo. Nessun o sa quanti
organi diversi di questo genere siano contenuti nel nostro cervello. Ma, quasi certamente, tutti
impiegano tipi di programmazione e forme di rappresentazione lievemente diversi; non hanno un
linguaggio codificato comune.

Le persone creative sono particolarmente pronte ad ammettere una certa complessità ed anche un
certo disordine nelle loro percezioni, senza manifestare ansietà per il caos che potrebbe risultarne.
Non è che essi amino il disordine in se stesso, ma è che preferiscono la ricchezza del disordine alla
spoglia aridità della semplicità. La molteplicità disordinata sembra stimolarli e fa nascere in loro un
bisogno profondo, sostenuto da una forte capacità di riuscire a riordinare la ricchezza che vogliono
sperimentare, riordinamento che si farà malgrado le difficoltà e che giungerà al massimo.
Ogni volta che una persona fa uso della sua intelligenza per un qualunque scopo, essa effettua sia un
atto di percezione (prende coscienza di qualche cosa) sia un atto di giudizio (giunge ad una
conclusione a proposito di qualche cosa). La maggior parte delle persone tendono a mostrare una
marcata preferenza per l’uno o l’altro di questi procedimenti – percezione e/o giudizio - e a
prendere piacere più con l’uno che con l’altro: per quanto ciascuno percepisca e giudichi, alcuni
preferiscono percepire, altri giudicare.

Una preferenza abituale per l’atteggiamento di giudizio può condurre ad alcuni pregiudizi, e in ogni
modo ad una esistenza organizzata, controllata ed accuratamente pianificata. Una preferenza per
l’atteggiamento percettivo comporta una esistenza più aperta all’esperienza interna ed esterna,
caratterizzata dalla flessibilità e dalla spontaneità. Colui che giudica dà maggior importanza al
controllo e alla regolazione dell’esperienza, mentre il percettivo ha tendenza ad essere più aperto e
recettivo a qualunque esperienza.

Per giudicare o valutare l’esperienza, si può far uso delle nozioni di «pensiero» o di «sentimento». Il
«pensiero» è un processo logico che cerca di effettuare un’analisi obiettiva che tiene conto dei fatti,
mentre il «sentimento» è un processo d’apprezzamento delle cose che dà loro un valore personale
e soggettivo.

Le persone originali preferiscono la complessità ed un certo squilibrio apparente nei fenomeni.


Hanno una personalità psicodinamica più complessa ed una maggior « apertura » personale. Sono
più indipendenti nei loro giudizi.

Il pensiero scientifico non dipende da una folgorazione divina la soluzione imprevista di un


problema, ma da un processo mentale di riorganizzazione dei dati già acquisiti. Gli studi recenti
dimostrano che il pensiero scientifico non è qualche cosa di eccezionale, ma un insieme di strategie
e fenomeni che si verificano nel cervello, i quali possono essere potenziati anche in quegli individui
in cui non sono ancora pienamente realizzati.

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Albert Einstein dette una testimonianza precisa e preziosa dei suoi processi di pensiero, rispondendo
al matematico Jacques Hadamard che stava conducendo un’indagine sulla creatività dei matematici:
Caro collega,

qui di seguito cerco di rispondere brevemente alle vostre domande per quanto mi è possibile. Io
stesso non sono soddisfatto di queste risposte e desidererei rispondere ad altre domande se credete
che ciò possa avere qualche vantaggio per il lavoro interessante e difficile che avete intrapreso.
(A). Non sembra che le parole o il linguaggio, sia scritto che parlato, abbiano un qualche ruolo nel
meccanismo del pensiero. Le entità psichiche che sembrano servire come elementi del pensiero
sono certi segni e immagini più o meno chiare che possono essere riprodotte e combinate «
volontariamente ».

Naturalmente c’è una certa connessione tra questi elementi e i concetti logici rilevanti. È chiaro
pure che il desiderio di arrivare finalmente a dei concetti logicamente connessi è la base emotiva di
questo gioco piuttosto vago con gli elementi summenzionati. Ma da un punto di vista psicologico,
questo gioco combinatorio sembra essere la caratteristica essenziale del pensiero produttivo: prima
c’è qualche connessione con la costruzione logica a parole o altri tipi di segni che possono essere
comunicati ad altri.

(B). Nel mio caso gli elementi summenzionati sono del tipo visivo e qualcuno del tipo muscolare.
Le parole convenzionali o altri segni devono essere ricercati con fatica solo in un secondo stadio,
quando il suddetto gioco associativo è sufficientemente stabilizzato e può essere riprodotto a
volontà.

Prima una forma di pensiero visivo e poi la traduzione dei suoi prodotti in parole o altri segni
convenzionali (formule, equazioni, ecc.) per comunicare quei prodotti agli altri individui. Questo
processo è ben delineato nell’Autobiografia di Einstein: « Per me non c’è dubbio che il nostro
pensiero proceda in massima parte senza far uso di segni (parole), e anzi assai spesso
inconsapevolmente ». I segni intervengono nella comunicazione: « Non è affatto necessario che un
concetto sia connesso con un segno riproducibile e riconoscibile coi sensi (una parola); ma quando
ciò accade, il pensiero diventa comunicabile ».

I processi di pensiero di Einstein furono un argomento centrale del libro di Wertheimer già
ricordato a proposito di Gauss. Wertheimer era un intimo amico di Einstein: entrambi professori a
Berlino, si trasferirono negli Stati Uniti durante il nazismo. Wertheimer si era basato, per spiegare il
pensiero di un Gauss o di un Galileo, su un’analisi retrospettiva. Per il pensiero di Einstein attinse
dalla testimonianza del suo stesso « produttore »: « Furono giorni meravigliosi quelli, cominciati
nel 1916, in cui ebbi la fortuna di sedere assieme a Einstein per ore e ore, soli nel suo studio, e di
udire da lui la storia del drammatico svolgimento di pensiero che culminò nella teoria della
relatività. Nel corso di quelle lunghe discussioni feci a Einstein domande dettagliate riguardo gli
eventi concreti del suo pensiero. Egli me li descrisse non in modo indeterminato, ma discutendo con
me la genesi di ciascun problema».

Nella conversazione di Wertheimer con Einstein si ripresentano le affermazioni sul rapporto


pensierolinguaggio (« Io penso assai di rado con le parole: prima ho un pensiero e solo in seguito
posso cercare di esprimerlo a parole ») e sulla visualizzazione dei problemi («[.,.] durante tutti
quegli anni ci fu la sensazione di una direzione, dell’andare direttamente verso qualcosa di concreto.
Naturalmente è molto difficile esprimere a parole quella sensazione [... ] naturalmente dietro a una
tale direzione c’è sempre qualcosa di logico, ma in me è sempre presente sotto forma di una specie
di sguardo generale; in un certo senso, in modo visivo »).

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L’interpretazione che Wertheimer dette del « pensiero che portò alla teoria della relatività » è stata
di recente criticata per essere stata più una ricerca « forzata » per convalidare la teoria di
Wertheimer stesso sul « pensiero produttivo » che una ricostruzione storica corretta. Wertheimer
delineò il processo di pensiero di Einstein come una sequenza di ristrutturazioni concettuali fino alla
introduzione di una nuova « visione » del problema determinata dal ruolo primario assunto da un
elemento precedentemente secondario (la velocità della luce come costante). Esso sarebbe divenuto
la chiave per riconsiderare in una nuova struttura concettuale (la teoria della relatività) tutti gli altri
elementi della fisica classica (spazio, tempo, movimento, ecc.).

La musica ha un ruolo particolarmente importante, poiché la forte sensazione di sapere quando


arriva la battuta successiva, e di chiusura imminente nella risoluzione di una settima diminuita, ci
afferra e ci tiene fermi come nessun altro linguaggio sa fare. Agire insieme è la base per avere
fiducia reciproca ed esistono poche forme di azione congiunta piú forti e piú intime della danza
collettiva a uno stesso ritmo. La varietà e l’ubiquità dei neuromodulatori suggerisce che il
disapprendimento, che è un preludio all’apprendimento di nuovi significati assimilati mediante
azione cooperativa, è determinato dalla liberazione di uno o piú neuromodulatori nel cervello. Mi
pare che l’azione di tali sostanze chimiche possa allentare la trama sinaptica del neuropilo e aprire
la strada al cambiamento globale. Un esempio è dato dal ricordo della musica che stavamo
ascoltando quando ci siamo innamorati.

Gli psicologi interessati alla creatività e al pensiero originale hanno dedicato particolare attenzione
al processo di scoperta di problemi. Mackworth [1965] è stato tra i primi a distinguere tra la
capacità di risolvere un problema e la capacità di scoprire un problema. Questa distinzione è stata
formulata nel modo seguente: «La capacità di risolvere un problema dipende dalla scelta tra
programmi o regole mentali già esistenti - d’altra parte, invece, la capacità di scoprire un problema
ha a che fare con il riconoscimento del bisogno di un nuovo programma e dipende dalla scelta tra
quelli che sono i programmi esistenti e quelli che ci si aspetta siano i programmi futuri». Il processo
di soluzione di problemi conduce alla soluzione di problemi ben definiti, mentre il processo di
scoperta di problemi conduce alla formulazione di una serie di domande a partire da problemi mal
definiti.
Forse il ricercatore maggiormente conosciuto all’interno di quest’area di ricerca è Getzels [1975].
Getzels ha osservato che la capacità di scoprire problemi potrebbe apparire a molti come un lusso
che non sempre ci possiamo permettere dal momento che abbiamo già abbastanza problemi da
risolvere. Che bisogno c’è di trovarne di nuovi? È possibile rispondere a questa domanda dicendo
che la qualità della soluzione spesso dipende dal modo in cui il problema è stato formulato. A
questo proposito, Getzels cita Einstein:
La formulazione di un problema spesso è più cruciale della sua soluzione, dal momento che la
soluzione non dipende che dall’applicazione di capacità di tipo matematico e sperimentale. La
capacità di porre domande nuove, di definire nuove possibilità e di considerare le domande usuali
da una nuova prospettiva, invece, richiede un’immaginazione creativa e segna il reale progresso
scientifico.

La definizione di un problema richiede di ritagliare un pezzo di realtà in cui siano rappresentati i


termini del problema stesso:costruirne una rappresentazione. La fedeltà tra la rappresentazione del
problema e il problema reale è fondamentale nel processo di soluzione.
Nella risoluzione di un problema occorre avere il mondo, l’osservatore e la rappresentazione del
mondo da parte dell’osservatore. La prima cosa che si fa nell’affrontare un problema consiste nel
creare uno schema che contenga i tratti salienti del problema stesso. Se questo schema riesce a
cogliere i tratti importanti del problema allora la soluzione risulterà efficace altrimenti risulterà
essere un mero gioco linguistico.
Incredibilmente anche la matematica può essere considerata un mero gioco linguistico.

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A partire da percezioni reali il cervello elabora teorie assolutamente astratte frutto della propria
fantasia e della propria capacità speculativa.
Il mondo non è solo bianco o nero esistono un’infinità di toni intermedi.
Due più due fa quattro, chi lo mette in dubbio, ma in un mondo di liquidi questo potrebbe non
essere più vero.
Quando si costruisce un modello matematico di un problema si cerca di coglierne gli aspetti
essenziali in un formalismo astratto basato sui simboli. Questi simboli rappresentano le cose ma non
sono ad esse coincidenti. È veramente straordinario che scarabocchi scritti su carta riescano a
prevedere con tanta precisione il comportamento dei corpi reali.
Esiste un ordine matematico nella natura che il cervello è in grado di cogliere.

Alcuni filosofi della matematica considerano come loro compito quello di rendere conto della
matematica e della pratica della matematica così come si presentano, fornendo una loro
interpretazione piuttosto che una loro critica. D'altra parte le critiche possono avere ramificazioni
importanti per la pratica della matematica e quindi la filosofia della matematica può presentare un
interesse diretto per il lavoro del matematico. Questo vale in particolare per i nuovi settori nei quali
il processo della revisione paritaria delle dimostrazioni matematiche non ha ancora carattere
consolidato rendendo rilevante la probabilità che sfugga qualche errore. Si possono contenere questi
errori capendo in quali situazioni risulta più probabile incorrano. Questa è considerata una delle
principali preoccupazioni della filosofia della matematica.

Il realismo matematico sostiene che le entità matematiche esistono indipendentemente dalla mente
umana. Quindi gli umani non inventano la matematica, ma piuttosto la scoprono, e ogni altro essere
intelligente dell'universo presumibilmente farebbe lo stesso. Per questa posizione spesso si usa il
termine platonismo in quanto essa si avvicina molto al credere di Platone in un "mondo delle idee",
una realtà superiore immutabile che il mondo che ci si presenta quotidianamente può approssimare
solo imperfettamente. Probabilmente la concezione di Platone deriva da Pitagora e dai suoi seguaci,
i pitagorici, che pensavano che il mondo fosse, letteralmente, fatto di numeri. Questa idea può avere
origini ancor più antiche che ci sono sostanzialmente sconosciute.

L’uomo però non utilizza la matematica per ragionare e tanto meno per agire: sarebbe impossibile
cuocersi un uovo al tegamino utilizzando il formalismo della matematica.
Il cervello è abituato a trattare con dati incompleti ed incerti.
Gli eventi che capitano nella vita di tutti i giorni sono assolutamente unici ed irripetibili in un
divenire in continua trasformazione. Nonostante utilizziamo continuamente degli automatismi
appresi dall’esperienza tanto che ci dimentichiamo di aver fatto una cosa per noi abituale, gli eventi
si susseguono in una modalità di per sé imprevedibile.
Facciamo deduzioni basate su pochi indizi confidando nella nostra immaginazione influenzata dal
nostro stesso vissuto.
In una conversazione bastano poche battute per comprendere il senso dell’intero discorso.

I confini delle nostre conoscenze in fatto di mente e cervello sono i confini delle ricerche e delle
conquiste in terreni ancora inesplorati.

E' necessario andar a cercare le persone che vivono i confini della loro mente per comprendere dove
stanno le regole del gioco.

Non è corretto pensare che il funzionamento del nostro cervello sia reso evidente dai risultati che si
ottengono nel nostro vivere quotidiano, il sistema percettivo su cui ci appoggiamo per costruire la
realtà che troviamo attorno a noi sottosta alle nostre stesse conoscenze, alle leggi della forma delle
cose, noi crediamo continuamente di scoprire un mondo attorno a noi mentre disveliamo

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unicamente le sue forme implicitamente presenti nel nostro sistema di conoscenze, le forme, quelle
forme, sono già presenti in noi, le regole sono gli unici riferimenti che possediamo per orientarci,
orientare le nostre esperienze e le descrizioni che facciamo di ciò che ci circonda e che ci
appartiene.

La nostra percezione ci permette di costruire il mondo attorno a noi, la realtà è definita dalle
continue elaborazioni che il nostro cervello, emulatore di realtà, ci confeziona, in particolare è la
struttura del talamo, all'interno del nostro cervello, che è delegata a comporre le nostre esperienze
percettive, a mettere assieme le singole esperienze sensoriali in un'unica esperienza percepibile.

La nostra esperienza percettiva si compone unendo tre elementi distinti di esperienza, l'oggetto, la
parte fisica che siamo in grado di toccare; la parola, il simbolo verbale dell'oggetto in
considerazione, il nome della cosa, l'immagine, l'esperienza visiva dell'oggetto; l'unione di questi tre
elementi percettivi attraverso la struttura del talamo costituisce la nostra esperienza sensoriale.

La conoscenza che possediamo delle cose molto deve alla conoscenza che abbiamo di noi stessi,
percepire non è semplicemente raccogliere qualcosa dal mondo esterno, è piuttosto scegliere,
dunque essendo l'esperienza della realtà un esperienza emulata, cioè a dire costruita, del nostro
cervello, noi percepiamo dalla realtà le stesse proiezioni percettive che il cervello confeziona per
noi, aggiungendo o sottraendo elementi percettivi attraverso continui aggiustamenti pragmatici
operati sull'esperienza precedente.

E' possibile pensare che buona parte dell'esperienza sensoriale stessa, avvenendo per lo più a livello
inconscio, non permetta di essere compresa nei suoi rimaneggiamenti prima di disvelarsi agli occhi
di chi agisce percettivamente, la percezione è in ogni caso un'esperienza agita; attraverso azioni
percettive costruiamo continuamente la realtà per come l'immagine della stessa oggi si rileva a noi,
ricca dell'esperienza percettivo-culturale costruita nei secoli.

E' l'idea del "tutto" che ci inganna, un continuo articolare il reale che ci mette nella condizione di
non distinguere il lavoro della nostra mente nel portarci alla luce tutti i particolari della "realtà",
siamo abituati a vivere in un mondo completo, ogni cosa ha un nome ed ogni nome ha una cosa,
tutto si completa dinnanzi alla nostra esperienza sensoriale e dunque pensare che il nostro cervello
costruisca ogni cosa così come la vediamo è straordinario!

L'aspetto però sconvolgente delle esperienze maturate in ambito sensoriale dall'uomo è la grande
diversità di vedute che ogni individuo in fondo possiede, la realtà esiste indipendentemente da noi
ma è indifferenziata, tutte le distinzioni che siamo in grado di fare a livello descrittivo sono
descrizioni che dipendono strettamente dall'osservatore, dalla sua cultura di riferimento, dalle sue
esperienze che hanno causato il suo mondo, l'esperienza percettiva di ognuno di noi è l'effetto
diretto delle nostre esperienze umane dirette, ontologiche, ed indirette, antropologiche, nonché delle
nostre esperienze personali dirette, valori credenze e convinzioni personali, ed indirette, culture
d'appartenenza.

L'articolarsi di tutti gli elementi a disposizione del nostro cervello è da vedersi come un insieme di
vettori di forza che muovono in direzioni differenti la nostra potenzialità percettiva e risolutiva
orientandoci a realtà differenti.

Il problema "esiste o non esiste una realtà?" è mal posto, la realtà attorno a noi esiste, ciò che però
esiste è una realtà indifferenziata, estremamente difficile da percepire nella sua globalità, noi siamo
abituati a vedere un tutto, l'indifferenziato non appartiene alla nostra esperienza percettiva, per
poterlo esperire dovremmo andare a riprendere la nostra esperienza pre-culturale, improponibile

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come esperienza, dunque noi viviamo in un esperienza percettiva altamente differenziata e quindi
frutto di culture e culture stratificate nei secoli da parte degli uomini, la realtà attorno a noi è come
la nostra conoscenza non possiamo prescindere da ciò che conosciamo nel vederla/descriverla, la
domanda precedente dunque andrebbe posta in questi termini "esiste o non esiste una realtà
indipendente dall'osservatore?" la risposta ora appare ovvia, non può esistere una realtà senza
implicare il background culturale di riferimento di colui che osserva.

Senza entrare più di tanto in merito all'idea del vedere e del guardare ad un esperienza, io posso
guardare tante esperienze ma se non colgo da queste elementi connotabili di un significato compiuto
in realtà io non vedo un bel niente!

Per vedere ho dunque bisogno di un oggetto e l'oggetto lo posseggo se ho acquisito l'esperienza,


diretta o indiretta, dell'oggetto stesso, nella mia mente io posseggo unicamente l'idea dell'oggetto,
questa è vincolata e richiamata dal nome dato all'oggetto, la sostanzializzazione o reificazione della
rappresentazione (idea) dell'esperienza; in aggiunta a questa prima connotazione, l'esperienza
acquisita dall'osservatore (soggetto protagonista dell'osservazione) è un complesso di "vettori"
percettivi, una fusione tra immagine (vista), parola (udito) e cosa (tatto) il tutto in un'unica
esperienza sensoriale; infine, dato il diretto coinvolgimento dell'osservatore nell'esperienza
percettiva, e date le continue esperienze di apprendimento attraverso l'immedesimazione personale
nell'esperienza stessa (il fare "come se fosse" dell'apprendimento, m'immedesimo, mi metto nei
panni di, faccio finta), sono continue le proiezioni della nostra conoscenza che vanno a guidare e
spesso ad anticipare la nostra esperienza percettiva, ma le proiezioni della nostra mente si
trasformano spesso in identificazioni di altri nella proiezione dei primi, proiettare ed identificarci
nella nostra stessa proiezione è quasi immediato per un cervello emulatore di realtà come è il
cervello umano.

Non ci rimane che riprendere il pensiero di L. Wittgenstein che con lucidità ha anticipato molto
bene le idee oggi dibattute in campo percettivo:

"Si crede di stare continuamente seguendo la natura, e in realtà non si seguono che i contorni della
forma attraverso cui la guardiamo. Un'immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne
fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio e questo sembrava ripetercela inesorabilmente"

Oggettivo e soggettivo sono inconciliabili.


Ogni esperienza, ogni fatto, ogni evento ha necessità di un osservatore per esistere ed esiste solo per
quell’osservatore. Due osservatori si possono accordare sull’esistenza di un oggetto anche se ne
hanno percezioni distinte. Io posso dire che quest’oggetto è rosso e anche tu lo vedi rosso ma la mia
percezione è diversa dalla tua, è solo una convenzione per cui utilizziamo la stessa parola: rosso.
Ogni informazione che arrivi alla coscienza è interpretata in un modo peculiare dalla mente di ogni
individuo che è unico e irripetibile. L’informazione prende senso nella rappresentazione mentale del
soggetto che la riceve. La società da corpo alla realtà condivisa ma tutto ciò è una pura
convenzione: per qualche soggetto la realtà può essere controcorrente.
Fermate il mondo voglio scendere.
Ogni forma di vita possiede una propria dignità ed ha diritto di esistere.
La televisione propone le nuove mode del pensare ma la storia la scrivono i vincitori.
È ipocrita stare sempre dalla parte dei vincitori.
Quando qualcuno propone una visione alternativa allo status-quo viene ritenuto un visionario o
addirittura pazzo e viene isolato dalla società.
Noi siamo esseri sociali e come tali sentiamo l’esigenza di comunicare e dobbiamo districarci nella
miriade di pareri contrastanti. Ognuno si costruisce la propria idea del mondo secondo il proprio
sentire e le proprie aspirazioni: a volte queste idee non sono accettate dalla comunità.

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La scelta dell’eremita che vive solo sulla montagna diviene allora comprensibile.
L’uomo moderno vive costantemente alle prese delle tendenze d’opinione promulgate dai mass
media come televisione e giornali. È molto difficile avere una propria idea sul mondo e su come
esso gira: ci si scontra sempre con il modo comune di pensare. In particolare il valore dei soldi lo
capiscono tutti, ma chi è che paga l’albero di cui mi mangio il frutto?
La vita ha realizzato nei millenni una varietà di forme veramente stupefacente.
La vita si evolve spontaneamente senza sforzo dal più semplice al più complesso.
Gli organismi viventi lottano contro l’entropia sempre crescente per sopravvivere.
La morte del singolo è funzionale alla sopravvivenza della specie.

Un’altra caratteristica molto importante della coscienza è la soggettività, peculiarità determinante


nella differenza fra le diverse coscienze e i diversi Sfondi.
Cosa significa soggettività della coscienza? Significa, scrive Searle, che “gli stati di coscienza
possiedono un’ontologia in prima persona, ossia essi esistono solo da un punto di vista di un sé che
li prova”. Ciò significa che, togliendo il fatto che vengono prodotti a livello neurale tutti allo stesso
modo, gli stati coscienti sono accessibili solo al sé, in quanto hanno una determinata conformazione
semantica, cioè hanno un significato o un valore a partire dal quale dobbiamo interpretare lo stato
intenzionale, oltre che sintattica, cioè formale o strutturale e che dipende in modo sufficiente dal
suo contenuto e da come il sé lo interpreto in base alle proprie capacità di Sfondo.
Il risultato sarà una loro rappresentazione, che equivale però ad un “sembrare”, scrive Searle,
proprio perché lo stato cosciente esiste in quanto esperito dal sé. Prosegue infatti Searle: “noi non
siamo in grado di inserire nella nostra immagine del mondo una rappresentazione della nostra
soggettività, perché essa si identifica con l’atto stesso del rappresentare”, ossia dobbiamo fermarci
ai fatti, da cui emerge che i processi biologici producono fenomeni mentali coscienti soggettivi. Il
problema effettivo è che non solo non possiamo entrare nella soggettività dell’altro, ma in alcuni
casi nemmeno nella nostra: quasi un paradosso nel paradosso.
Secondo Husserl, riportano Bernet e gli altri, per altro o altra soggettività di coscienza, dobbiamo
intendere che i vissuti di altri non possono essere dati in modo originale, cioè immediato, bensì
primariamente, perché viene esperito in una situazione soggettiva che per principio non può essere
quella propria del sé: è un altro punto di vista. A questo proposito Husserl distingue il concetto di
io da quello di persona. Mentre l’io viene inteso da Husserl come soggetto di motivazioni personali,
delle sue facoltà e del suo carattere; la persona si distingue in base alle sue proprietà abituali in
relazione però con il mondo circostante.
Una distinzione questa, che richiama un po’ quella di Searle fra Intenzionalità personale e collettiva.
Tuttavia, scrive Searle, esiste un vantaggio evolutivo della coscienza, come ha fatto notare anche
Husserl, soffermandosi sul concetto di persona; essa infatti “serve ad organizzare un certo insieme
di relazioni tra l’organismo, gli stati in cui il soggetto si trova e l’ambiente che lo circonda”. Quindi
possiamo dire che, il vantaggio evolutivo effettivo della coscienza, è quello di rendere il soggetto
capace di disporre della flessibilità e creatività nell’affrontare la realtà che gli si presenta.
A questo punto è bene domandarci: la coscienza esiste in modo oggettivo o è solo un’illusione del
soggetto?
E qui ci inoltriamo in un vecchio problema, ossia “se diciamo”, scrive Searle, “che la coscienza è un
processo biologico che accade nel cervello come la digestione nello stomaco, può sembrare che la
coscienza sia materiale; se invece diciamo che la coscienza ha un’ontologia in prima persona può
sembrare che essa sia solo mentale”. La definizione sicuramente certa è che tutti i nostri stati
coscienti sono causati da processi cerebrali. La coscienza non è allora riducibile ad un aspetto in
particolare, così come non lo è lo Sfondo, ma essa è spazio-temporalmente definita all’interno di un
cervello individuale, che è costituito da una sequenza continua e uniforme di un insieme di stati
coscienti, che nel corso della giornata ogni singolo esperisce. In questo caso Searle sta parlando
delle relazioni fra i diversi stati coscienti, che ogni persona vive nel corso di una giornata e che sono
in relazione fra loro all’interno dei singoli cervelli e, a loro volta, ogni cervello è in relazione con un

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altro all’interno di una Rete fitta di relazioni spazio-temporali, spazialmente oggettive e
temporalmente soggettive.
In un certo senso il fatto che io stia usando in maniera costante questo binomio di spazio-tempo nel
descrivere le posizioni che assumono i vari componenti dello Sfondo, quali il cervello, la mente, la
coscienza e la Rete, nelle loro relazioni e nell’interazione con il mondo esterno, porta a sottolineare,
in qualche modo, una posizione prettamente olistica e realistica di Searle. Infatti, se da una parte
sottolineiamo l’aspetto più oggettivo e scientifico del concetto di Sfondo, collocandolo in un
territorio valido sempre e per tutti, d’altra parte invece ne evidenziamo le caratteristiche plastiche
che, modificandosi nel tempo breve della quotidianità, mostrano uno Sfondo soggettivo e
permettono di rivedere, questa volta su un tempo lungo, la possibilità di modificare anche gli spazi
di un’intera Rete di Sfondi. È in questo modo che possiamo conoscere e comunicare il nostro
Sfondo ed è inoltre qui che risiede la novità di Searle, ossia il far risiedere la mente e la coscienza
nel sociale, nel mondo reale. In questo modo Searle sta cercando di dare uno status a ciò che
determina e dà un senso al nostro vivere, contrariamente alle opinioni contrastanti dell’Intelligenza
artificiale forte, dei materialisti, dei riduzionisti. Essi infatti finiscono con il negare il fatto evidente
che tutti abbiamo stati interiori qualitativi e soggettivi come: i ricordi, i pensieri, i desideri, ecc. La
soluzione sta proprio, secondo Searle, nel rifiutare il dualismo e il riduzionismo e nell’accettare che
la coscienza è un fenomeno mentale, qualitativo, soggettivo e nello stesso tempo, che esso è una
parte naturale del mondo fisico.

Ognuno sperimenta la propria coscienza di sé e non può accedere alla mente di altri.
Tramite il linguaggio le persone si confrontano e condividono le proprie esperienze, ma il
linguaggio è una mera convenzione che può essere così o altrimenti.
Gli eventi si collocano in una dimensione spazio-temporale e gli uomini pianificano le proprie
azioni nel tempo. Il tempo soggettivo non sempre corrisponde al tempo misurato da un orologio.
A volte certi istanti sembrano durare in eterno oppure trascorrere velocissimamente.
Il pensiero è un processo che si svolge nel tempo.
Prima del big-bang il tempo non esisteva.
Quando viviamo un momento piacevole vorremmo che durasse per sempre.

• Per Platone il tempo è in relazione al moto della stelle.


• Per Aristotele il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi, ma i due istanti
che determinano il prima e il poi non fanno parte del tempo, sono solo soste virtuali
introdotte nel continuo del divenire dalla nostra coscienza.
• Per Lucrezio nemmeno il tempo sussiste come entità: sono le cose che creano il senso di ciò
che succede negli anni.
• Per Plotino il tempo è il movimento con cui l'anima passa da uno stato all'altro.
• Per S. Agostino il tempo è "Distensio animæ".
• Per Newton il tempo vero, matematico, non è in relazione ad alcunché di esterno e scorre
uniformemente per sua natura.
• Per Kant il tempo è un modo della comprensione umana.
• Per Hegel il tempo è il modo in cui si sviluppa lo Spirito.
• Per Marx il tempo è una convenzione sociale.
• Per Emo il tempo è la coscienza dell'istante.
• Per Heidegger è l'uomo ad introdurre la differenza tra il prima e il dopo.
• Per Prigogine la freccia temporale è insita nella natura.

Il tempo che noi percepiamo è intimamente connesso al nostro pensiero: ci vuole tempo per
pensare. Anche le percezioni si svolgono nel tempo: nel tempo il cervello viene stimolato da diversi
input sensoriali. Einstein ha dimostrato che il tempo può scorrere in maniera diversa per diversi
osservatori: la velocità sembra essere più fondamentale.

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Le equazioni della fisica sono invarianti per inversione temporale.
Nella memoria il passato ridiviene presente, nel continuo divenire le immagini del passato
riacquistano la freschezza presente della storia vissuta.
Esiste una memoria cosmica che tenga traccia di tutta la storia passata?
Mi ricordo di fatti avvenuti nella mia giovinezza: ricordo perfino certi pensieri.
Così i documentari tengono traccia di viaggi in terre lontane.
Oggi assistiamo all’era dell’immagine: una foto val più di mille parole.
Per spiegare a qualcuno che cosa è un gatto gli faccio vedere una foto e ciò supera una descrizione
dettagliata in un linguaggio verbale che lo descrivesse.

La cosa più difficile è sapere ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. Pertanto,volendo sapere
qualcosa, in primissimo luogo determineremo ciò che accettiamo come dato e ciò che esige di
essere definito e provato; vale a dire che determineremo ciò che già conosciamo e ciò che
desideriamo conoscere. Rispetto alla conoscenza del mondo e di noi stessi, le condizioni sarebbero
ideali se potessimo arrischiarci di non accettare niente come dato, e considerare che tutto richieda di
essere definito e provato. In altre parole, sarebbe meglio supporre che non sappiamo niente, e farne
il nostro punto di partenza.

Purtroppo non è possibile creare queste condizioni.

Ma che cosa conosciamo?

Noi sappiamo che, nel momento stesso in cui la conoscenza si desta, l'uomo si ritrova di fronte a
due fatti evidenti :

L'esistenza del mondo in cui egli vive e l'esistenza della vita psichica che porta in se stesso.

Egli non può confutare né tanto meno dimostrare nessuna delle due, ma si tratta di fatti ; esse
costituiscono per lui la realtà.

Questa è l'unica cosa che abbiamo il diritto di accettare come .. tutto il resto esige di essere provato
e definito in base a questi due dati determinati.

Lo spazio con la sua estensione; il tempo, con l'idea di prima e dopo;quantità, massa, sostanzialità;
numero, uguaglianza e ineguaglianza; identità e differenza; causa ed effetto; l'etere, gli atomi, gli
elettroni, l'energia, la vita, la morte, tutte cose che formano il fondamento della nostra cosiddetta
conoscenza: queste sono le cose che non si conoscono.

L'esistenza in noi della vita psichica, cioè delle sensazioni, delle percezioni, delle concezioni, del
raziocinio, del sentimento, dei desideri, ecc., e l'esistenza del mondo che sta al di fuori di noi: da
questi due dati fondamentali deriva immediatamente il nostro modo semplice e chiaramente
comprensibile di distinguere ogni cosa che conosciamo in soggettiva e oggettiva. Tutto ciò che
secondo noi appartiene al mondo lo definiamo oggettivo; tutto ciò che secondo noi appartiene alla
nostra psiche lo definiamo soggettivo.

Il mondo soggettivo lo riconosciamo direttamente, in quanto è in noi stessi.

Il mondo oggettivo ce lo raffiguriamo come esistente da qualche parte all'infuori di noi, in quanto
noi ci diversifichiamo da esso.

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Il nostro rapporto con il mondo oggettivo è definito con la massima precisione dal fatto che noi ne
percepiamo l'esistenza nel tempo e nello spazio; altrimenti, fuori da queste condizioni, non
saremmo in grado né di concepirlo né di immaginarlo. In linea di massima, diciamo che il mondo
oggettivo consta di cose e di fenomeni, cioè di cose e di cambiamenti nelle situazioni delle cose. I
fenomeni esistono per noi nel tempo, le cose nello spazio.

Ma una simile distinzione non ci soddisfa.

Per mezzo del ragionamento possiamo stabilire il fatto che in realtà noi conosciamo soltanto le
nostre sensazioni, percezioni e concezioni, e che abbiamo cognizione del mondo oggettivo
proiettando al di fuori di noi stessi le cause delle nostre sensazioni, presupponendo che esse
contengano queste cause.

Scopriamo allora che la nostra conoscenza del mondo soggettivo, nonché di quello oggettivo, può
essere vera o falsa, giusta o errata.

Il criterio per precisare se la nostra conoscenza del mondo soggettivo è corretta o sbagliata è la
forma dei rapporti intercorrenti da una sensazione all'altra, nonché la forza e il carattere della
sensazione stessa.

In altre parole, la correttezza di una sensazione viene verificata confrontandola con un'altra di cui
siamo più sicuri, oppure dall'intensità del "gusto" di una determinata sensazione.

Il criterio per precisare se la nostra conoscenza del mondo oggettivo è corretta o sbagliata è
assolutamente identico. A noi sembra di dare una definizione alle cose e ai fenomeni del mondo
oggettivo mettendoli a confronto tra di loro; riteniamo poi di scoprire che le leggi della loro
esistenza sono al di fuori di noi e indipendenti dal fatto che noi le percepiamo. Ma è un'illusione.
Noi non sappiamo nulla riguardo alle cose indipendentemente da noi; e non abbiamo altri mezzi per
appurare se la nostra conoscenza del mondo oggettivo è giusta tranne le SENSAZIONI.

In tal modo spazio e tempo, definendo ogni cosa di cui abbiamo cognizione per mezzo dei sensi,
sono di per sé esattamente forme della nostra ricettività, categorie del nostro intelletto, il prisma
attraverso il quale guardiamo il mondo o, in altre parole, spazio e tempo non rappresentano qualità
del mondo, bensì per l'appunto qualità della nostra conoscenza del mondo acquisita tramite il nostro
organismo sensitivo.

Da ciò deriva che il mondo, oltre a quanto conosciamo di esso, non ha estensione nello spazio né
esistenza nel tempo; queste sono qualità che vi aggiungiamo noi.

Le cognizioni di spazio e di tempo si presentano nel nostro intelletto mentre è in contatto con il
mondo esterno per mezzo degli organi dei sensi, e non esistono nel mondo esterno a parte il nostro
contatto con esso. Sono pali di segnalazione, segni eretti da noi stessi perché non possiamo
raffigurare il mondo esterno senza il loro aiuto. Sono diagrammi con cui rappresentiamo il mondo a
noi stessi. Proiettando fuori di noi le cause delle nostre sensazioni, facciamo lo schizzo di queste
cause nello spazio e raffiguriamo a noi stessi la realtà continua come una serie di attimi che si
susseguono uno dietro l'altro. Ciò è necessario per noi, dato che una cosa che non ha una precisa
estensione nello spazio, che non occupa una certa parte dello spazio e non dura un certo periodo di
tempo, per noi è assolutamente inesistente. Cioè, una cosa che non è nello spazio, che è avulsa
dall'idea di spazio, e non è compresa nella categoria di spazio, non differirà da un'altra cosa in

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nessun particolare; occuperà esattamente lo stesso posto, coinciderà con essa. Inoltre, tutti i
fenomeni che non sono nel tempo, che non vengono accolti in questa o quella moda dal punto di
vista del prima, dell'adesso e del dopo, per noi non esisterebbero nello stesso tempo, tutti mescolati
fra loro, e la nostra debole mente non sarebbe in grado di distinguere un solo momento nella varietà
infinita.

Perciò la nostra coscienza isola, al di fuori del caos delle impressioni, gruppi separati, sicchè noi
fabbrichiamo nello spazio e nel tempo le percezioni delle cose conformemente a questi gruppi di
impressioni.

Per noi è necessario distinguere in un modo o nell'altro le cose, che quindi dividiamo nelle categorie
dello spazio e del tempo.

Dovremmo però ricordare che queste divisioni esistono soltanto in noi e non nelle cose in sé ; che
non conosciamo i veri rapporti che intercorrono fra le cose, che non conosciamo le cose vere, ma
soltanto fantasmi, visioni di cose (in realtà, non conosciamo il rapporto esistente tra le cose). Nello
stesso tempo sappiamo in modo assolutamente definitivo che la nostra divisione delle cose nelle
categorie dello spazio e del tempo non corrisponde affatto alla divisione delle cose in sé,
indipendentemente dal fatto che le recepiamo ; e in modo assolutamente definitivo sappiamo che se
in quel caso esiste una qualsiasi divisione in mezzo alle cose in sé, non si tratterà in nessun caso di
una divisione in termini di spazio e di tempo conformemente alla consueta interpretazione che
diamo a queste parole, in quanto una divisione del genere non è una qualità delle cose, ma della
conoscenza che abbiamo delle cose acquisita per mezzo dei sensi. Per di più, non sappiamo neanche
se è possibile distinguere quelle divisioni che vediamo, cioè, nello spazio e nel tempo, se le cose
vengono guardate non attraverso occhi umani, non dal punto di vista umano. Effettivamente non
sappiamo altro se non che il nostro mondo presenterebbe un aspetto completamente diverso per un
organismo formato in maniera diversa.

Non possiamo percepire le cose come immagini al di fuori delle categorie di spazio e di tempo, ma
continuamente le pensiamo fuori dello spazio e del tempo.

Non comprendiamo queste questioni con assoluta chiarezza, ma in linea di massima è evidente che
noi pensiamo nello spazio e nel tempo soltanto per mezzo di percezioni ; ma per mezzo dei concetti
pensiamo indipendentemente dallo spazio e dal tempo.

Indagando sui processi puramente fisici generalmente usiamo concetti di carattere talmente astratto
che di regola soltanto superficialmente, o per niente del tutto, pensiamo alle sensazioni (elementi)
che stanno alla loro base. Il fondamento di tutte le operazioni puramente fisiche poggia su una serie
pressochè infinita di sensazioni, specie se prendiamo in considerazione l'assestamento dell'apparato
che deve precedere l'esperimento in atto. Ora è facile che al fisicista che non esamina la psicologia
delle sue operazioni capiti di non soffermarsi sui particolari, di lasciarsi sfuggire l'elemento
sensoriale alla base del suo lavoro.

A questo punto si richiama l'attenzione su una cosa importantissima. I fisicisti non ritengono
necessario conoscere la psicologia e di occuparsene nelle loro conclusioni.

Ma essi, quando sono più o meno edotti in fatto di psicologia, di quella parte di essa che concerne le
forme di ricettività, e la prendono in considerazione, allora persistono nella più fantastica dualità di
opinione, come nel caso del credente, il quale cerca di riconciliare i dogmi di fede con gli argomenti

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dell'intelletto ed è costretto a credere contemporaneamente nella creazione del mondo in sette
giorni, avvenuta settemila anni fa, e nei periodi geologici durati per centinaia di migliaia di anni,
nonché nella teoria dell'evoluzione. Egli è allora costretto a ricorrere a sofismi, e a dimostrare che
sette giorni vogliono dire sette periodi. Ma perché siano esattamente sette, lui non è in grado di
spiegarlo. A parere dei fisicismi il ruolo relativo alla "creazione del mondo" è svolto dalla teoria
atomica e dall'etere, con le sue vibrazioni ondulate, e poi dagli elettroni, nonché dalla teoria
energetica o elettromagnetica del mondo.

Oppure a volte è perfino peggio, perché il fisicista avverte in fondo all'animo la falsità di tutte le
teorie scientifiche vecchie e nuove, ma ha paura di rimanere sospeso, per così dire, a mezz'aria, di
rifugiarsi nella semplice negazione. Non ha un sistema che sostituisca quello di cui già intuisce la
falsità, teme di fare un tuffo nel vuoto assoluto. Non avendo abbastanza coraggio per dichiarare che
non crede assolutamente in niente, egli si barda di tutte le teorie contraddittorie, come se si mettesse
in alta tenuta, soltanto perché a questa uniforme sono strettamente connessi certi diritti e privilegi,
sia esterni che interni, che consistono in una certa fiducia in se stessi e nel proprio ambiente, per
precedere il quale egli non ha forza né determinazione.

Da questa avversione per il vuoto scaturiscono tutte le teorie dualistiche che si rendono conto che
"spirito" e "materia" esistono contemporaneamente e indipendentemente l'uno dall'altra.

Generalmente per un osservatore disinteressato la condizione della nostra scienza contemporanea


dovrebbe presentare un grande interesse psicologico. In tutti i settori della conoscenza scientifica
noi assorbiamo una quantità enorme di fatti che distruggono l'armonia dei sistemi esistenti. E questi
sistemi possono mantenersi soltanto a causa degli eroici tentativi di scienziati i quali stanno
cercando di chiudere gli occhi di fronte a una lunga serie di fatti nuovi che minacciano di travolgere
ogni cosa in una marea irresistibile. Se dovessimo effettivamente raccogliere questi fatti che sono
contrari al sistema, essi sarebbero talmente tanti in ogni campo della conoscenza da superare quelli
su cui sono fondati i sistemi vigenti. Può darsi che ai fini della vera interpretazione del mondo e
dell'io, organizzare in sistema quello che non sappiamo ci renda di più dell'organizzazione
sistematica di ciò che conosciamo secondo il punto di vista della "scienza esatta".

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L’anima e il cervello
Emozioni, idee, paure, desideri, spiritualità, e tanti altri aspetti della nostra vita che ci caratterizzano
come esseri umani dipendono dalle complesse operazioni del nostro cervello. Quando ci
interroghiamo su noi stessi, sono molte le domande che sorgono: l'anima non è altro che il risultato
di reazioni chimiche ed elettriche? Un aspetto tanto importante della nostra esistenza come l'amore
deriva semplicemente da certe connessioni neuronali? E possibile manipolare il pensiero degli altri?
Gli artisti hanno un cervello diverso da quello delle persone comuni? Ciò che ci dice il nostro
inconscio è quello che siamo? Inganniamo le nostre percezioni? Abbiamo lo stesso cervello dei
nostri antenati dell'età della pietra? La quantità di interrogativi che suscitano il cervello e il suo
modo di funzionare è infinita. Scienziati, filosofi, artisti, tutti i grandi pensatori sono stati attratti da
questo enigma nel corso della storia, ma il Ventesimo e il Ventunesimo secolo stanno finalmente
offrendo le chiavi di accesso a quelli che sembravano misteri insondabili.

Platone elabora una concezione dualistica dell’uomo, diviso in anima e corpo. L’anima,
inizialmente considerata dai filosofi presocratici un’entità materiale, è invece concepita da Platone
come un’essenza puramente spirituale, che durante la vita risulta “prigioniera” del corpo.

Dopo Platone, significativo è il “dualismo interazionista” che si rifà a Cartesio, il quale sostiene che
la mente, o res cogitans, e il corpo, o res extensa, sono due sostanze fra loro eterogenee: l’una è
attività inestesa e libera, l’altra è estensione inerte, priva di libertà e retta da leggi deterministiche.
Secondo questa soluzione, i fenomeni corporei (di tipo cerebrale) e quelli mentali (come il pensare)
sono ontologicamente distinti, cioè realtà differenti dal punto di vista metafisico, anche se, però,
possono interagire fra loro, per esempio nelle sensazioni o negli atti volontari. Quando abbiamo una
sensazione, è il corpo che agisce sull’anima. Invece, quando compiamo un atto volontario, si
verifica un’azione inversa: l’anima prende una decisione (per esempio alzare un braccio) e il corpo
la esegue.
Per i dualisti interazionisti l’anima si distingue dal cervello: quest’ultimo è solo il tramite grazie al
quale la mente comunica con il corpo e con il mondo esterno. Questa soluzione può giustificare
l’esistenza dell’anima anche dopo la morte, perché la svincola dalla dipendenza corporea.
Nel Novecento, il dualismo interazionista è stato sostenuto dal premio Nobel per la fisiologia e
medicina John Carew Eccles, e dal filosofo Karl Popper nel loro libro L’Io e il Suo Cervello, del
1977.

Un’altra soluzione possibile è avanzata dai materialisti, secondo cui gli stati mentali sono identici a
quelli cerebrali. Il pensare si identifica con la particolare attività che si svolge fra i neuroni del
cervello. Una riflessione sul tempo atmosferico, per esempio, è semplicemente un particolare stato
del cervello, così come un fulmine è solo una scarica elettrica.
Portata avanti da Ullin Place e Jack Smart, questa concezione si chiama “teoria dell’identità” perché
sostiene che la mente e il corpo sono identici, la stessa cosa espressa con due parole diverse. Così
come i due termini “acqua” e “H20” si riferiscono alla stessa sostanza.
Il dualismo e il materialismo non costituiscono le uniche teorie della filosofia della mente. Sono
state proposte anche altre ipotesi al riguardo, come il funzionalismo di Daniel C. Dennett e Hilary
Putnam, e il connessionismo di David E. Rumelhart e James L. McClelland.
I funzionalisti paragonano gli stati mentali al software (cioè al programma) di un computer, mentre
il nostro cervello all’hardware, e sostengono la tesi fantascientifica che anche un calcolatore può
“pensare”.
I connessionisti precisano che, in realtà, i processi cognitivi potrebbero essere realizzati solo da una
macchina la cui struttura fosse analoga al nostro cervello, in cui esiste un elevato numero di

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connessioni tra le unità neuronali, e in cui l’elaborazione dei dati avviene in parallelo, e non in
sequenza (un passo alla volta) come accade invece nei normali computer.
Va detto che ciascuna di queste soluzioni presenta notevoli difficoltà teoriche, e presta il fianco a
numerose critiche. Tant’è che Colin McGinn, ritiene che gli esseri umani non abbiano le capacità
cognitive per risolvere un problema tanto complicato.

Lo scontro più acceso è ovviamente fra dualisti e materialisti. Questi osservano che se la mente e la
materia fossero realtà radicalmente diverse come sostengono i dualisti, risulterebbe difficile capire
in che modo possano interagire. Come può un pensiero immateriale determinare un movimento
corporeo negli atti volontari?
Ma anche i dualisti propongono dei buoni argomenti. Quello principale consiste nell’osservare che
gli stati cerebrali e quelli mentali non godono esattamente delle stesse proprietà. Per esempio, gli
stati mentali hanno un carattere “intenzionale” che quelli cerebrali non possiedono.
Spieghiamoci meglio. Una caratteristica degli stati mentali è il loro “contenuto”, cioè il fatto che
essi si riferiscono agli oggetti del mondo, dei quali “rappresentano” questo o quel modo d'essere. E’
infatti una caratteristica distintiva degli stati mentali quella di vertere su qualcosa, di essere diretti
verso un oggetto. Se penso: “Firenze è la mia città preferita”, il mio pensiero è in relazione con un
luogo reale, il capoluogo toscano. Quando crediamo, desideriamo o speriamo, c'è qualcosa che è
l’oggetto di questi atti mentali. Tale carattere degli stati mentali è detto, appunto, “intenzionalità”.
E’ un fenomeno imbarazzante per i materialisti, perché, guardando nel cervello, non è possibile
vedere alcuna proprietà materiale che “stia per” qualcos’altro. I processi cerebrali non sono in
relazione con nulla al di fuori di se stessi, al contrario dei pensieri.
Gli stati mentali manifestano anche ulteriori aspetti che difettano agli stati cerebrali. Per esempio,
gli stati mentali coscienti dei colori, dei sapori, del dolore, della gioia, ecc., sono qualitativi (detti,
con un termine latino, qualia) e hanno la proprietà di essere “sentiti” in qualche modo dal soggetto
che li prova, di fare un certo “effetto”. Quelli fisici del cervello, invece, sono fenomeni quantitativi
(detti quanta), in cui non si rintracciano qualità. Di conseguenza, dato che gli stati mentali e quelli
cerebrali possiedono proprietà diverse, non sono identici come pensano i materialisti.

Siamo un corpo e abbiamo un'anima o siamo un'anima e abbiamo un corpo?


Da questo apparente gioco di parole derivano profonde differenze nelle posizioni che prendiamo nei
confronti della vita, della sofferenza, della morte.
"Anima" è una parola molto evocativa, dotata di molteplici sfumature. Di anima parlano teologi,
filosofi, psicologi e, forse, tutti almeno una volta nella vita!
Ma che cos'è l'"anima", se così si può dire, per la scienza?

Il cervello non è solo fatto di percezioni coscienti, depositate in memoria nelle rispettive aree
primarie, né si esaurisce con le attività integrative e di pensiero rese possibili dalle aree secondarie.
L'enorme, sorprendente, originale lavoro del cervello comprende anche inaspettati atti di creatività,
prese di decisioni che ci rendono soggetti della nostra esperienza vitale, e non meri esecutori che
rispondono a stimoli linearmente determinati.

L'"anima", l'anima trattata dalle neuroscienze, è appunto la capacità di decidere e scegliere che, in
un individuo integrato e sano, è una funzione propria del cervello, di quella parte del cervello più
recente ed evoluta che è la porzione frontale. Una grossa scoperta della neuroscienze è l'aver
permesso, infatti, di stabilire che l'autodeterminazione è nella neocorteccia: nei lobi frontali, come
storicamente acquisito, e in quelli parietali.

Chi vuole può approfondire il ruolo del pensiero cosciente e inconscio, della percezione, delle
emozioni, nella costruzione di quel fantastico "labirinto" cerebrale (o, meglio, mentale) in cui,
ancora sorprendentemente, la maggior parte di noi riesce a ritrovarsi. Giorno dopo giorno. E su

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livelli crescenti di consapevolezza. E' per sperimentare tutto questo che commettiamo errori… e
viviamo.

Il fatto che l’Anima sia racchiusa in cellule nel cervello, non vuole dire necessariamente smentire
tutto ciò che di lei è stato detto fino ad oggi. Le ipotesi di un Dio creatore che la immetta nella
materia come soffio divino e immortale, o che si tratti di una forma di vita nata altrove e arrivata
sulla terra dopo un lungo viaggio interplanetario da un altro mondo, sono affascinanti. Ma non sono
essenziali per conoscerla. Nell’attesa di sapere qualcosa di più preciso sulla nascita della vita sulla
terra, limitiamoci a studiare cosa sia in concreto la nostra Anima. Comprendere le sue immense
potenzialità è il primo passo per creare un reale equilibrio psico-fisico, cioè un buon progetto per la
salute
Quando più persone parlando si scambiano pareri sul mondo le loro coscienze vengono a contatto
per creare una realtà condivisa: le loro anime si fondono.
Sono sorprendenti le potenzialità umane, il pensiero di ciascuno arricchisce il mondo di elementi
che trascendono le cose fisiche in una modalità di puro logos.
Magia della parola.
Il fatto diviene rappresentazione e la rappresentazione linguaggio.
Il lapsus freudiano è indice della complessità dell’inconscio, la sua ragione d’essere risiede nella
profondità della psiche e incredibilmente c’è sempre una motivazione.
La razionalità porta alla luce le motivazioni ma a volte deve arrendersi all’irrazionale.
Il fatto contingente può distrarre la mente da un pensiero profondo, interrompere il flusso di
considerazioni astratte e generali.
Una musica può distenderci e rilassarci mentre eseguiamo un lavoro impegnativo.
Le sfaccettature della psiche sono notevoli, è l’attenzione che viene guidata da stimoli interni ed
esterni, come un faro che illumina un determinato oggetto per volta; ma la percezione è solistica e
comprende l’intero corpo di sensazioni che continuamente percepiamo.
Se nel nostro campo visivo un oggetto è in movimento ecco che immediatamente cattura la nostra
attenzione, così in una conversazione se una parola è particolarmente significativa vi prestiamo una
maggiore attenzione.
A volte cerchiamo in noi stessi le ragioni di un nostro comportamento, e possiamo rintracciarle in
remote esperienze vissute in prima persona.
Le ragioni profonde di alcune nostre scelte risiedono nella storia del nostro io narrativo.
Siamo pressati dal contingente e dal particolare però la nostra mente può elevarsi in un moto di
astrazione verso visioni generali che possono essere valide per tutti gli uomini.
Il corpo è composto da cellule e ogni cellula contiene l’intero DNA dell’individuo.
Ci sono cellule nel fegato, nei piedi, nel cuore e nel cervello ognuna con un compito specifico.
I globuli rossi, per esempio, si spostano in tutto il corpo portando ossigeno.
Anche la società, alla stregua di un organismo vivente, è composta da individui tutti con compiti e
ruoli diversi ma tutti di pari dignità: c’è chi fa il gelataio e chi il presidente del consiglio.
Il corpo umano è un tutto armonioso: se ho male al fegato tutto il corpo ne risente.
Il cervello non sovrintende a tutto l’organismo come potrebbe sembrare a prima vista: molte delle
funzioni biologiche vengono svolte da altri organi.
La biologia studia quei meccanismi che consentono di svolgere le funzioni vitali, ma nel caso del
cervello questo riduzionismo non funziona più: incontriamo la psiche umana.
La coscienza non è riconducibile ad un meccanismo automatico.
Non esistono principi fisici conosciuti che possano originare il fenomeno della coscienza.
Possiamo fissare la nostra attenzione su un oggetto esterno oppure concentrarci su un nostro
pensiero: l’attenzione è catturata da stimoli interni oppure esterni.
Possediamo una ricca vita psichica avulsa dal mondo delle percezioni.
La psiche grazie alla memoria ricuce il passato ed origina il presente.
Ogni attimo è un eterno divenire.

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Se fissiamo l’attenzione su di un oggetto per lungo tempo possiamo anche sperimentare un alterato
stato di coscienza: una forma di meditazione avulsa dal tempo.
La ragione vuole un oggetto su cui applicarsi, quando tale oggetto manca si cade in un vuoto
dell’animo che porta ad uno stato di contemplazione.
Nello yoga si utilizzano varie tecniche per raggiungere questo risultato: uno stato di contemplazione
che porta alla beatitudine.
Nello stato normale la mente è immersa nel contingente, nel particolare.
Nello stato di meditazione profonda la mente è avulsa dal mondo e raggiunge l’assoluto.
Lo stato che si raggiunge non è descrivibile a parole, nel momento in cui subentra la parola il
pensiero si è già cristallizzato su un particolare e ha perso quel senso di assoluto proprio della
contemplazione.
Così davanti ad un’opera d’arte se ne può cogliere gli aspetti contemplativi oppure descriverne i
dettagli artistici magari inserendoli in un periodo storico definito.
Nel parlare o nello scrivere le idee si rivestono di contingente, particolare, contestuale e così via.
Il pensiero è libero ma la parola corre su binari convenzionali stabiliti in precedenza.
La parola deve trovare un riferimento nell’ascoltatore, deve essere ricostruita nell’altrui esperienza,
deve essere caricata di significato.
Dal momento che il fatto viene verbalizzato perde gran parte del proprio contenuto informativo.
Una descrizione di un fatto non corrisponde al fatto medesimo: ne coglie solo alcuni aspetti che per
l’appunto possono essere comunicati. A volte un messaggio non viene compreso.
Nella testa di ogni persona si trova una fitta rete di interconnessioni di informazioni.
Nelle interazioni e nella struttura di tali informazioni si trova la logica che porta alla comprensione
di nuove informazioni. La mente si chiede sempre il perché, ma altrettanto importante è il come.
La scienza risponde al come ma non al perché. Senza il come è molto difficile proseguire
nell’eseguire un compito o realizzare un manufatto.
Come cadono i gravi in un campo gravitazionale?
È possibile descrivere questo comportamento grazie alla matematica.
Come è possibile riparare un rubinetto che perde?
In questo caso la matematica non ci è più di aiuto bisogna chiamare un idraulico.
Noi ripeschiamo dalla nostra memoria un mare di informazioni, alcune sono vitali, altre ci
interessano solo per curiosità, ma continuamente il nostro cervello è all’opera per classificare e
vagliare tutte queste informazioni in un flusso continuo.
Sono molti e a volte complessi gli elementi che prendiamo in considerazione quando facciamo delle
scelte o prendiamo delle decisioni.
Perfino il semplice afferrare un oggetto si è dimostrato di incredibile complessità computazionale.
Ognuno nella propria testa possiede una rappresentazione nel linguaggio della mente della propria
realtà; una mole considerevole di dati vissuti in prima persona.
Ciò che uno dice rispecchia il suo essere e il suo mondo interiore: la propria visione dell’universo.
Le motivazioni profonde che spingono un uomo all’azione risiedono nel profondo dell’inconscio.
Per Freud si riconduce tutto a pulsioni sessuali.
Ma come si spiega la scelta di una suora di clausura?
Secondo Jung esistono degli archetipi sedimentati in tutte le culture e comuni a tutti gli uomini.
Questi archetipi giacciono nell’inconscio ed influenzano il modo di pensare e di agire.
Un esempio di archetipo è il buio, che richiama alla mente la notte, il male, l’ignoranza.
Procedere al buio è molto pericoloso, è meglio accendere qualche luce.
La luce della ragione per esempio, anche se di fronte a certi fatti anche la ragione fallisce.
La ragione si trova a proprio agio quando i contenuti sono chiari e ben definiti, ma non sempre è
così, a volte ci si imbatte in situazioni fumose e contraddittorie.
Il rapporto tra le persone è problematico, ognuno vive nel proprio mondo e non sempre è possibile
trovare un accordo su un certo aspetto della reatà.
Avere informazioni parziali o addirittura contradditorie è prassi normale del quotidiano.

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A volte una parola può ferire più di una spada.
L’educazione ci insegna le buone maniere del vivere condiviso, ma a volte le emozioni hanno il
sopravvento conducendoci a comportamenti a dir poco maleducati.
Dietro a un bel sorriso può celarsi un comportamento spietato.
Ognuno sente la propria fatica e non è facile immedesimarsi nel vissuto di altre persone.
Quando si parla con una persona si viene a conoscenza del suo mondo interiore.
Parlando si intuisce l’approccio che questa persona ha con la vita, i pensieri, le emozioni, le
aspirazioni, gli interessi, l’atteggiamento complessivo.
Se questa persona è serena turbata o con dei problemi.
A volte scherzando di dice la verità e una battuta di spirito può significare molte cose.
L’uomo è un animale sociale e come tale trova piacere nel conversare e scambiare pareri.
Condividere momenti di piacere è una grande soddisfazione.
A volte un problema che pare insolubile al singolo trova una soluzione nella società.
Il concertare di molte teste crea un substrato discorsivo in grado di risolvere problemi complessi.
Eppure ognun sta solo sul cuor della terra ed è subito sera.
Quando parliamo con una persona la prima cosa che facciamo è giudicarlo dall’aspetto.
Poi conversando ci facciamo un’idea più precisa della persona venendo in contatto con gli aspetti
interiori: simpatico, antipatico, allegro, triste, intelligente, stupido.
Noi giudichiamo da quello che vediamo e che sentiamo per un limitato lasso di tempo, la realtà
della persona che ci sta di fronte è però molto più vasta: un organismo biologico in continua
evoluzione.
Se vediamo una persona vestita di rosso per noi è “sempre” vestita di rosso.
Ma le persone possono avere delle reazioni imprevedibili.
Noi pianifichiamo il nostro futuro come se nulla fosse ritenendo che ciò che vale oggi sia valido
anche domani, ma non sempre è così. Può sempre capitare l’evento che scardina alle radici il nostro
modo di pensare ed improvvisamente quello che potevamo fare ieri oggi non è più possibile.
La nostra vita corre sul filo del rasoio, costellata di cause fortuite ed improbabili.
Noi ci siamo abituati a questa circostanza e non vi facciamo nemmeno caso.
Il pensiero parte da ciò che conosce per trarne delle conseguenze.
Ma c’è sempre qualcosa che non si conosce e la deduzione può risultare errata.
L’uomo si colloca in uno spazio ed un tempo in un determinato ambiente.
Se questo ambiente è favorevole allora il soggetto si sente sereno e può ragionare liberamente, ma
se viene stressato il suo pensiero è vincolato al contingente.
Esiste una fisicità del corpo un essere nel mondo fisico con tutte le sue necessità.
Tutti siamo alle prese con i problemi del quotidiano, salvo poi ritagliarci degli spazi nostri per fare
le cose che ci piacciono. Si vive di soddisfazioni.
La mole di informazioni che riusciamo ad elaborare è veramente notevole.
La mente può spaziare dall’infinitamente picco all’infinitamente grande.
In una conversazione si può parlare di tutto, dal tempo che fa all’esistenza dell’anima.
Ognuno esprime un parere, intavola una discussione ed afferma il proprio punto di vista.
Ogni forma di vita ha pari dignità.
La musica è una delle più belle creazioni della mente.
Nella musica possiamo trovare il ritmo e la melodia.
La musica sottostà a regole sinfoniche, è strutturata in costruzioni armoniche.
Fin dall’inizio dei tempi la musica ha accompagnato l’uomo nella propria elevazione spirituale.
La musica esprime moti dell’animo e consente di esprimere elevati livelli di creatività.
L’universo intero è una grande sinfonia.
Come nella musica anche l’uomo si da delle regole per ottenere i propri obiettivi.
Regole pratiche, regole morali, regole logiche.
La società si da delle regole di convivenza civile.

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Anche la natura ha delle regole, in particolare la materia segue delle leggi che si possono descrivere
nel linguaggio matematico. La fisica studia queste leggi.
Studiando le leggi matematiche che sottendono al comportamento della materia si possono ottenere,
oltre che alla conoscenza, grandi risultati tecnologici. La fisica però sta riscoprendo il ruolo
dell’osservatore nell’interazione con la realtà. La contraddizione che l’elettrone sia descritto sia
come corpuscolo che come un’onda viene risolta all’atto dell’osservazione dell’esperimento.
Il principio di indeterminazione poi sancisce l’inconoscibilità di base del mondo reale.
La vita delle persone, nonostante mostri una notevole stabilità, è in realtà estremamente precaria.
Quando ci si sposa si fa una contratto di vivere assieme nella buona e nella cattiva sorte, ma non si
può sapere cosa succederà alla coppia nel tempo: gli eventi futuri sono imprevedibili.
Il cervello si è abituato ad affrontare gli imprevisti della giornata e prontamente mette in atto tutta
una serie di comportamenti atti a superare i problemi, un computer no, si bloccherebbe al primo
imprevisto. Esistono concatenazioni di cause ed effetti che il cervello continuamente elabora: se
piove devo prendere l’ombrello, ecc. In questo mare di informazioni il cervello si districa
mostrando una potenza computazionale veramente notevole. Ma la mente umana fa di più: spazia
nell’invisibile e nell’ineffabile. Il ragionamento è simbolico e nei simboli è racchiusa una mole
notevole di informazioni e di storia. Jung nel suo libro “l’uomo e i suoi simboli” descrive il ruolo
che hanno i simboli nel pensiero umano: un ruolo fondamentale.
Popper sostiene che esistono tre mondi, il mondo della materia, il mondo della psiche e il mondo
dell’interazione tra i due. Un manufatto tecnologico, come per esempio il telefonino, può cambiare
radicalmente la vita delle persone. Nell’interazione tra i soggetti si crea una nuova realtà che
trascende i singoli individui. Le scelte degli individui si influenzano reciprocamente determinando
il corso degli eventi. Una semplice formula e=mc2 può cambiare il destino dell’intera
umanità.

Per secoli Oriente ed Occidente sono rimasti separati da visioni diverse della
realtà e dell’esistenza. In Occidente l’ipersviluppo della dimensione
intellettuale ha determinato l’indubbio beneficio dello sviluppo scientifico e
tecnologico ma l’impoverimento della dimensione esistenziale e la perdita di
una visione “olistica” della vita.

L’universo è come un gigantesco ologramma il cui tutto è connesso a tutto, l’universo è complesso
ed effetti minimi in una parte di esso possono avere effetti devastanti su altre parti.
I sistemi complessi hanno dei comportamenti imprevedibili ma ai confini del caos è possibile
trovare delle regolarità: una particolare forma di ordine.

L’uomo è un organismo biologico complesso che risponde in maniera imprevedibile agli stimoli
esterni: in una normale conversazione l’argomento può avere infinite sfaccettature.
Anche se ogni parola non è detta a caso non posso prevedere cosa dirò fra un istante.
Questa è una condizione veramente paradossale ma che chiunque la può verificare.
Noi giudichiamo sulla base di ciò che vediamo, di ciò che ci viene detto e in generale sulla base
delle informazioni di cui disponiamo.
Nella storia individuale il fatto contingente può avere grande rilevanza poiché basiamo i nostri
giudizi sulla nostra esperienza specifica. Quello che ci capita è molto importante per noi stessi.
Se ci viene affidato un compito desideriamo svolgerlo nel migliore dei modi ed eventuali critiche ci
danno molto fastidio: cerchiamo il consenso. Non sempre però è possibile avere il consenso del
grande pubblico, a volte alcune idee che ci passano per la testa non sono accettate dai più.
A volte si hanno idee che sono controcorrente, ma chi ha ragione?
Ognuno può pensare a quello che gli pare.
A volte siamo incuriositi di sapere dettagli sulla vita privata dei politici.
Ma cosa deve sapere l’umanità della vita privata di un individuo?

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La vita scorre come un fiume, è la memoria individuale che è in continuo divenire.
Il fatto pubblico rimane spoglio di tutto il substrato che l’ha prodotto.
Il fatto pubblico viene reinterpretato dai singoli e rapportato alla realtà di ciascuno.
Se leggo un buon libro mi nutro e posso aprire la mente a nuove idee, ma poi lo metto nel
dimenticatoio. Così se conosco una persona eccezionale posso rimanerne influenzato ma poi ne
rimane solo il ricordo. Tutto è in continuo divenire in un procedere ritmico che è la vita.
Se vedo un ragno con molte zampe posso chiedermi che me ne farei di tante braccia e magari riderci
sopra oppure scrivere un libro di fantascienza.
Il nostro mondo è fatto di parole ma come può una parola sollevare una pietra?
Nei riti magici si pronunciano parole per spostare oggetti.
Entriamo nel regno dell’occulto e dell’ignoto.
Ci sono cose che un individuo non sa fare, inconsciamente tutti noi siamo consapevoli di ciò che
possiamo o non possiamo fare.
Il bambino piccolo non sa parlare ma poi impara.
Il percorso della coscienza è fatto di tappe successive, prima si impara a camminare poi ad andare in
bicicletta, ma una volta imparato ad andare in bicicletta non lo si dimentica più.
Ma i rapporti con le persone sono diversi, a volte si crede di conoscere una persona salvo poi
scoprire un aspetto che per noi era imprevedibile e sorprendente.
A volte si prega per ottenere un miracolo, ma cosa può succedere non ce lo immaginiamo
nemmeno, cosa può succedere è la scienza che ce lo dice.
Cosa può succedere oggi nella mia vita, assolutamente nulla di nuovo, eppure in un attimo tutto può
succedere. Attimo dopo attimo il tempo scorre inesorabile.
Cosa ci si ricorda di quello che si è detto un’ora fa, e un anno fa?
Però certe cose non si dimenticano, è come un canovaccio che si ripete e si ripropone nel tempo.
Certe esperienze che abbiamo vissuto hanno lasciato un solco indelebile.
A volte nella vita attraversiamo un periodo di crisi profonda quando certe certezze capisaldi del
nostro pensare ed agire vacillano. Dobbiamo fare un duro lavoro interiore per non impazzire e
ritrovare un barlume di lucidità. Certi capisaldi del nostro ragionare trovano fondamento in
motivazioni del profondo dell’inconscio, certezze che ci hanno guidato per tutta una vita.
Quando vengono a meno è come un salto nel buio dell’irrazionale spingendoci ad un senso di
panico difficile da superare.
Noi quando esprimiamo un concetto facciamo una sintesi di innumerevoli informazioni correlate e
rapportate nella nostra memoria. Un fatto semplice può sottintendere una realtà estremamente
complessa composta da innumerevoli elementi sottintesi.
L’attenzione si focalizza su un particolare, un pezzetto di realtà, mentre la percezione del reale è
molto più vasta, inoltre la percezione coglie solo una parte di realtà: per esempio le onde
elettromagnetiche.

Non avendo né forma né colore la mente è libera di spaziare come più le piace.
Il corpo invece ha forma e colore e pertanto si trova costretto e ristretto nei suoi movimenti.
La mente e il corpo si trovano in un’unica realtà: l’uomo.

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mente e vita
La vita procede senza sforzo.
Un fiore che sboccia lo fa un una maniera assolutamente naturale.
Ovunque noi guardiamo troviamo una incredibile armonia di forme e di ordine realizzate dalla
natura. Dall’uovo nasce il pulcino che cresce e diventa adulto apparentemente senza sforzo.
Osserviamo un bambino che gioca, quanto è lontano dai problemi del mondo.
L’uomo nasce bambino, vive l’infanzia e poi diventa adulto.
Una grande quercia nasce da un seme piccolo piccolo.
Fa più rumore una albero che cade che una foresta che cresce.

Intuizioni, fini percezioni, sensibilità emotiva, sensazioni vanno poco di moda e vengono
considerati talenti di poco valore, ma abbinati alla volontà e alla mente sono potenti strumenti di
realizzazione, interiore ed esteriore.

Dentro ogni individuo si combatte spesso una battaglia tra i pensieri considerati logici e razionali
(quindi vestiti di un alone di legittimità, oggettività e correttezza) e i pensieri considerati emotivi
(quindi illogici e adornati di un alone di parzialità, soggettività, irregolarità).

Sotto queste modalità relazionali si nasconde l'errata convinzione - più o meno consapevole - che la
felicità dell'individuo viene offerta dai beni materiali, dalle battaglie commerciali, dalle conquiste
tecnologiche e dai progressi scientifici.
Ciò è vero solo in piccola parte: se osserviamo con occhi sinceri l'arco di vita di un individuo,
possiamo notare invece che la propria felicità è invece legata ad eventi completamente diversi. Essa
è legata alla soddisfazione nelle relazioni intime con il partner, con i familiari e con i figli, con una
rete di amicizie, è legata alla capacità di affrontare e superare gli eventi difficili della propria vita
emotiva e professionale, alla capacità di godere delle proprie conquiste, delle proprie realizzazione
e alla capacità di fare il meglio con ciò che la vita ha messo a disposizione.
Il compito fondamentale di ogni individuo è quello di superare la scissione tra il pessimismo della
ragione e l'ottimismo del cuore, tra pensieri per 'persone serie' e 'pensieri per poeti mollicci': i primi
da riservare nelle occasioni sociali, i secondi confinati all'intimo dialogo con la propria anima.
Infatti se alcuni piaceri della vita possono essere ottenuti con il lavoro della mente, è anche vero che
"valori", "sogni", "dolore" e "potere artistico" sono tutti elementi che affondano le proprie radici
nelle profondità del cuore, ma essi hanno bisogno della mente per essere guidati dalla volontà e
dalla capacità di realizzare.

Pur difficile e complessa come tutte le sintesi, l'autentica unificazione tra mente e cuore, conduce a
quello che io definisco "ragionare con il cuore". Una modalità di pensiero completamente nuova e,
come tutte le sintesi tra opposti, è una vera e propria opera d'arte.

I messaggi che ci arrivano dal pianeta non sono dei più rosei, occorre il risveglio di una coscienza
globale per far fronte ai problemi dell’umanità. Lo sviluppo del potenziale umano.
Le nuove generazioni stanno aspettando nuove direttive per uno sviluppo sostenibile.
Osservando la vita e come si è evoluta nei millenni si può trovare delle utili linee guida.

"Abbiamo raggiunto un punto di cruciale importanza nella nostra storia.


Siamo all'inizio di un nuovo periodo di evoluzione sociale, spirituale e culturale.
Stiamo evolvendo verso un sistema interconnesso, basato sull'informazione, che abbraccia l'intero
pianeta. La sfida che ora dobbiamo affrontare è quella di scegliere il nostro futuro.

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La nostra generazione è chiamata a decidere il destino della vita su questo pianeta.
A creare una società globale pacifica e cooperante, continuando così
la grande avventura della vita, dello spirito e della consapevolezza sulla Terra".

MATERIA-SPIRITO

Materia e coscienza sono aspetti di una sola cosa. Corpo, vita e spirito sono manifestazioni
dell’unità.

La coscienza è la realtà primaria. Eugene Wigner, Nobel per la fisica

La coscienza è intessuta implicitamente in tutta la materia e la materia è intessuta dalla coscienza.


David Bohm

Tutto è cosciente e vivente. Aurobindo

Come il più minuscolo granello di polvere è solidale con l’intero sistema solare e viene da esso
trascinato dall’indiviso moto di discesa che costituisce la materialità, così tutti gli esseri organici,
dal più umile al più perfetto, dalle prime origini della vita fino ai tempi nostri, come in tutti i luoghi
e i tempi, non fanno che rilevare ai nostri occhi un’unica spinta, inversa al movimento della materia
e, in sé, indivisibile... Tutto avviene come se un’ampia corrente di coscienza fosse penetrata nella
materia. Henri Bergson, Nobel per la letteratura

Era come se case, porte, templi e ogni cosa fosse completamente svanita, come se non ci fosse più
nulla da nessuna parte. E ciò che vidi era un mare di luce, infinito e senza sponde; un mare che era
coscienza. Ramakrishna

Lo Spirito di Dio è inesauribile Beatitudine. Il Suo corpo è fatto di innumerevoli tessuti di luce.
Yogananda Paramahansa

Lo spirito è dappertutto contemporaneamente, il Creatore dimora in tutto l’universo


simultaneamente. Si può conoscere l’Infinito solo con una facoltà superiore alla ragione, entrando
in uno stato in cui il sé finito non esiste più - in cui l’essenza divina ci viene comunicata. Questa è
l’estasi. È la liberazione della mente dalla sua consapevolezza finita. Il simile può conoscere solo il
simile; nel momento in cui si cessa di essere finiti, si diventa uno con l’Infinito. Ramana Maharshi
Ramana Maharshi Ramana Maharshi

L’UNIVERSO

L’universo è una Unità, una sola energia vivente, un oceano di coscienza che si estrinseca e si
evolve in differenti dimensioni e livelli: materiali, energetici, mentali e spirituali.

Il sentimento cosmico religioso è la motivazione più forte e più nobile della ricerca scientifica.
Albert Einstein

L'intero universo deve essere compreso come una singola totalità indivisa. David Bohm;

La vita non sembra più un fenomeno che emerge nell’universo - ma è l’universo stesso che sembra
diventare sempre più vivente. Erich Jantsch

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L'Universo è un unico campo. Il campo é la oneness dell’Universo. La oneness é il trionfo
dell'unità, é l’unitá del mondo, è che il mondo é UNO e le particelle e ogni fenomeno sono un
aspetto di questa oneness. Giuliano Preparata.

L'idea di una Mente universale o Logos sarebbe, a mio avviso, una considerazione plausibile
dall'attuale stato della teoria scientifica; o per lo meno in armonia con esso. Sir Arthur Eddington.

LA COSCIENZA

La coscienza è Una, è il centro sacro dell’esistenza. La coscienza implica amore, unità, ordine,
coerenza, sincronicità, crescita.

La coscienza è la realtà primaria. Eugene Wigner, Nobel per la fisica

Il mondo intero era una sola musica radiosa, un ritmo meraviglioso, le case, la gente che
camminava, i bambini che giocavano, ogni cosa sembrava far parte di un tutto luminoso.
Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura

Il cosmo non è fatto di materia morta ma è una Presenza viva, che l’anima dell’uomo è immortale,
che l’universo è costituito e ordinato in modo che senza possibilità di dubbio tutte le cose operano
insieme per il bene di ciascuna e di tutte, che il principio fondamentale del mondo è ciò che
chiamiamo amore. Bucke

La natura propria del Signore è la Coscienza. Abinavagupta - dal "Tantrasara"

La mente è per sua natura un tantum singolare: dovrei dire: il numero complessivo delle menti è
soltanto uno. Erwin Schrödinger

Non nasce e non muore, non s’accresce e non diminuisce, è assoluta, in Sé, unica, senza tempo e
tutte le cose belle partecipano in lei. Platone

La mente, anziché emergere come una tarda escrescenza nell'evoluzione della vita, è sempre
esistita... è la fonte e la condizione della realtà fisica. George Wald, Nobel per la Biologia.

Vidi che ogni cosa - il piatto, il cibo, mia madre che lo stava servendo, io stesso - tutto era Dio e
nient'altro che Dio. Narendra.

Onnipresente e continua nella vita, nella natura e nel cosmo. E’ il cordone ombelicale che connette
pensiero, sentimenti, scienza e arte al grembo dell’universo che li ha partoriti. Paul Kammerer

COSCIENZA E INFORMAZIONE

La coscienza è informazione, è energia intelligente, vivente e informata

L’informazione... implica la coscienza. Henry Margenau,

L’informazione rappresenta l’essenza stessa della vita, Manfred Eigen Premio Nobel

L’energia è solo informazione congelata. Timothy Leary

L’informazione fa e anima l’essere vivente. Pier Grassé

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L’ordine e la connessione delle cose, è l’ordine e la connessione delle idee. Baruch Spinoza.

Io non posso più fare una rigorosa distinzione tra cervello e corpo... i dati delle ricerche... indicano
che è necessario intraprendere uno studio dei modi in cui la conoscenza può essere proiettata nelle
differenti parti del corpo. Candace Pert

IL TUTTO E LA PARTE – Interconnessione e interdipendenza.

Il Tutto si riflette (olograficamente e sincronicamente) in ogni singola unità, ogni unità è parte del
Tutto e ne rispecchia la complessità. Ogni fenomeno, ogni essere quindi è interconnesso con ogni
altro essere e fenomeno dell’universo.

Tutto è in tutto. Anassagora

L’intero è più della somma dei suoi componenti. Jan Christiaan Smuts.

Sotto questa luce all’improvviso il mio spirito vide attraverso ogni cosa, dentro tutte le creature e
fuori di esse, anche nelle piante e nell’erba, conobbe Dio. Jacob Bohme

Vedere Dio in ogni cosa, e ogni cosa in Dio, l’Eterno che risplende attraverso gli eventi nel tempo e
nello spazio. Nightingale

Come in alto, così in basso Ermete Trismegisto,

Come tutti i raggi sono legati nel mozzo e nella circonferenza, così tutte le creature, tutti gli dei,
tutti i mondi, tutti gli organi, tutte le anime sono legati in quell’anima. Brhadaranyaka.

Un’altra definizione di coscienza potremmo cercarla nel modo in cui i sottosistemi sono agganciati
tra loro per formare un tutto più grande. Gregory Bateson.

LA PARTE E IL TUTTO

Ogni Unità è quindi sacra e insostituibile parte di un unico Tutto. L’unità di coscienza tende ad
evolvere, ossia ad espandere e ordinare il proprio campo di informazioni verso una maggiore
consapevolezza e conoscenza.

Ogni essere ha in sé la natura del Buddha. Antico detto Zen.

Il Sé interiore, come lo spirito primevo,indivisibile, totale e vivente, splende in ognuno come


consapevolezza testimoniante. Katha Upanishad

Quando consideriamo noi stessi nello spazio e nel tempo, le nostre coscienze sono ovviamente
come individui separati di una particella-immagine, ma quando passiamo al di là dello spazio e del
tempo forse esse possono diventare ingredienti di un singolo continuo flusso di vita. Come avviene
con la luce e l'elettricità, così può avvenire con la vita; i fenomeni possono essere come individui
che conducono esistenze separate nello spazio e nel tempo, mentre, nella realtà più profonda, oltre
lo spazio e il tempo, noi tutti possiamo essere membra di un unico corpo. Sir James Jeans

Qualcosa di supremamente divino e luminoso si trasforma con le cento metamorfosi del mondo…
Tutti gli esseri del mondo che lo posseggono in sé, ignorano tuttavia la sua esistenza. Viene
chiamato la radice dell’universo. Chuang-tzu

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Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvaggio, sostieni l’infinito nel
palmo della tua mano e l’eternità in un’ora. William Blake.

L’ESSERE UMANO

L’essere umano è frutto dell’universo e ne esprime l’unità di coscienza e la molteplicità delle


dimensioni e dei livelli.

Ogni essere contiene in sé l'intero mondo intelligibile. Il suo Tutto è dovunque. Ciascuno è il suo
Tutto, e Tutto è ciascuno. Plotino.

Nello studio del cervello provo un senso di meraviglia e di rispetto nei confronti di Dio. Vedo nel
cervello tutta la bellezza e l’ordine dell’universo. Candace Pert

Dio è il mio centro quando lo racchiudo in me, la mia circonferenza quando mi sciolgo in lui.
Angelus Silesius

È l’Io il centro della vostra vita. E' da esso che irradiano le cose che formano la totalità del vostro
mondo, ed è in esso che queste convergono. Sebbene ognuno abbia come centro il proprio Io, voi
tutti avete come centro lo stesso Io, che è l’unico Io di Dio. Da "Il libro di Mirdad"

SALUTE GLOBALE E MEDICINA OLISTICA

La salute globale è uno stato di unità e armonia tra corpo, energie, emozioni, mente e spirito. La
medicina olistica cura l’essere umano nella sua integrità di anima, corpo e mente. La guarigione può
diventare un processo di evoluzione interiore attraverso la comprensione delle cause che ci hanno
portato contro la legge armonica dell’esistenza e della natura e al cambiamento di vita.

In ogni parte del corpo c'è una certa misura di pensiero cosciente. Ippocrate

Proprio Questo Corpo è il Buddha. Proprio Questa Terra il Loto del Paradiso. Maestro Zen

Io non posso più fare una rigorosa distinzione tra cervello e corpo... i dati delle ricerche... indicano
che è necessario intraprendere uno studio dei modi in cui la conoscenza può essere proiettata nelle
differenti parti del corpo. Candace Pert

La guarigione della Terra e dello Spirito umano sono diventate un'unica e sola cosa. Jonathan
Porritt

Noi dobbiamo renderci conto dei grandi misteri della struttura materiale e del funzionamento dei
nostri cervelli, della relazione tra cervello e mente e della nostra immaginazione creativa. Sir John
Eccles, Nobel per la neurofisiologia

L’AUTOCOSCIENZA E IL RISVEGLIO INTERIORE

L’essere umano può risvegliarsi ad un livello di coscienza più vasto e olistico. L’autocoscienza,
ossia la realizzazione del proprio essere, è la chiave per la conoscenza-coscienza del Tutto. La
coscienza unitaria dell’esistenza nasce da una analoga coscienza unitaria di sé stessi e dal senso di
profonda interconnessione con la vita del Tutto che ne deriva.

Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe agli uomini infinita. Blake

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Quando la nostra consapevolezza fisica - e non solo la mente - si risveglia dalla sua oscurità e
diventa cosciente dell’Uno in tutte le cose, del Divino che è ovunque. Aurobindo

Il risveglio della coscienza in un essere vivente è tanto più completo, quanto più ampia è la scelta
concessagli; è evidente che lo sviluppo della coscienza sembrerà dipendente da quello dei suoi
centri nervosi, Henri Bergson, Nobel per la letteratura

Aham Brahmasmi: Io sono il Brahman. Dai "Veda"

Questo corpo è chiamato il Campo e colui che lo conosce è chiamato il Conoscitore del Campo. E
sappi che io, Krishna, sono il Conoscitore di tutti i Campi; e che solo la conoscenza del Campo e
del suo Conoscitore io considero essere la vera conoscenza. Dalla "Bhagavad Gita"

La coscienza individuale è il microcosmo della legge dell’Uno. Ra

La nostra normale coscienza di veglia, quella che chiamiamo razionale, non è che un tipo di
coscienza, tutto intorno alla quale giacciono forme potenziali completamente diverse, separate dalla
coscienza normale da una pellicola sottilissima. Possiamo attraversare l'intera vita senza sospettarne
l'esistenza: se però si esercita lo stimolo appropriato, si entra in contatto con tali forme nella loro
completezza. William James

LA TERRA

La Terra è viva e sacra. La concezione olistica vede il nostro pianeta come Gaia, la Grande Madre,
un essere immenso che ci dona vita e consapevolezza a cui dobbiamo infinito rispetto per ogni suo
aspetto di vita animata o inanimata. La coscienza del nostro pianeta offre un contesto globale ed
ecosistemico, un costante punto di riferimento, una scala di valori e di relazioni macro-
microcosmiche essenziali per una scienza e un’esperienza olistica.

Quando vidi il pianeta Terra fluttuare nello spazio, ebbi delle sensazioni favolose... la Terra era
incredibilmente bella, una visione superba, uno splendido gioiello blu e bianco sospeso sul velluto
nero del cielo, dono inestimabile gli era stato concesso dalla divinità... Edgar Mitchell

James Lovelock

Poi stavo in piedi sulla montagna più alta di tutte, e tutt’intorno a me c’era il cerchio del mondo. E
mentre ero lì vidi di più di quanto io possa dire e capii di più di quanto vidi; perchè vedevo in una
maniera sacra le forme di tutte le cose nello spirito, e la forma di tutte le forme così come esse
devono vivere assieme come una sola cosa. Alce Nero

Stavamo sorvolando l'America e improvvisamente vidi la neve… pensai che l'arrivo dell'autunno e
dell'inverno deve essere simile in tutti i Paesi e così anche il modo in cui la gente vi si prepara. Fu
allora che mi colpì con particolare forza l'idea che siamo tutti figli della Terra. Non ha importanza
quale paese si stia osservando; siamo tutti figli della Terra e la dovremmo considerare e trattare
come nostra Madre. Aleksandr Aleksandrov

Il mondo mi sembrava permeato da una benevolenza e una bontà che fino a quel momento non
avevo conosciuto. La barriera fra me e il resto del creato era crollata. I pochi fenomeni - cielo,
ghiaccio, roccia, vento e io stesso - che ora costituivano la vita, erano un insieme inseparabile e
divino. Tichy

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Ciò che era bello era adesso di uno splendore radioso; ogni cosa ne era rivestita; c’era estasi e riso
non solo interiormente, in profondità, ma in mezzo alle palme e ai campi di riso. L’amore non è una
cosa comune, ma era là, nella capanna illuminata da una vecchia lampada a olio; era con quella
donna che portava qualcosa di pesante sulla testa; con quel ragazzo nudo che faceva ruotare su un
cordone un pezzo di legno che mandava scintille, i suoi fuochi d’artificio. L’amore era ovunque,
così a portata di mano che potevi raccoglierlo sotto una foglia morta o in quel gelsomino vicino alla
vecchia casa in rovina. Ma tutti erano occupati, indaffarati e perduti. Krishnamurti

Non io, l’io che io sono, conosco queste cose; bensì Dio le conosce in me. Se guarderete il vostro io
e il mondo esterno, e ciò che al riguardo sta accadendo, scoprirete che voi, quanto alla vostra
esistenza esterna, siete quel mondo. Jakob Bohme

Un legame invisibile collegava nell’unità di una sola creazione tutti gli universi e tutte le anime...
La grandezza di questo spettacolo mi sopraffece. Sentii la mia personalità svanire davanti
all’immensità della natura. Flammarion

LA RELIGIONE DEL FUTURO

La religiosità basata sull’amore, sul rispetto del vivente, sul senso di interdipendenza e di pace,
accomuna ogni popolo e cultura. Ogni differenza di pratica, di credo, di metodi per raggiungere il
divino - che non diventi causa di separazione - può essere considerata una ricchezza. La nuova
religiosità deve includere la nuova scienza.

La religione del futuro sarà una religione cosmica. Dovrà trascendere un Dio personale ed evitare
dogmi e teologie. Abbracciando insieme il naturale e lo spirituale, dovrà essere fondata su un senso
religioso che nasce dall’esperienza di tutte le cose, naturali e spirituali, come parti di un’unità
intelligente. Albert Einstein

Credo che scienza e religione possano coesistere, sono due modi di fare ordine nell'universo. Jodie
Foster.

L'uomo come è nel momento attuale ha cessato di essere Tutto. Ma, quando egli termina di essere
un individuo, si eleva di nuovo e penetra il mondo intero. Plotino

In ogni luogo della Terra, in questo momento, nella nuova atmosfera spirituale creata dall’idea di
evoluzione cosciente, fluisce, in uno stato di estrema mutua sensitività, amore di Dio e fede in un
nuovo mondo: le due componenti essenziali dell’essere umano superiore. Queste due componenti
sono ovunque nell’aria... prima o poi ci sarà una reazione a catena. Teilhard de Chardin

Krishna.. cominciò a parlare di un Essere che respira in ogni creatura, che ha cento e mille forme,
dai molti volti e dai molti occhi puntati dappertutto, che supera ogni cosa creata per infinità e che
avviluppa nel suo corpo il mondo intero. Dalla "Bhagavad Gita"

LA CRISI GLOBALE E A COSCIENZA PLANETARIA

La crisi ecosistemica planetaria può essere considerata un momento critico di passaggio in cui gli
esseri umani possono decidere la direzione del loro futuro, verso la sostenibilità e la responsabilità o
il peggioramento dello stato attuale. La sfida è nel processo di crescita umana, di evoluzione della
consapevolezza verso una dimensione più globale. Se questo passaggio diventasse una scelta
consapevole il nostro pianeta rinascerebbe verso una coscienza planetaria, un nuovo rinascimento.

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Sono giunto alla conclusione che qualche cosa deve cambiare dello spirito umano. Nel nostro
mondo multipolare dobbiamo poter creare un nuovo rinascimento dalle radici comuni delle culture
e delle religioni. Vaclav Havel

Nel profondo la coscienza dell'umanità è una. Questo è virtualmente una certezza perché anche nel
vuoto la materia è una... Se non stabiliamo queste frontiere assolute fra le menti, allora... è
concepibile che esse possano... unirsi in una sola mente. David Bohm

C'è un costante bisogno di guidare l'evoluzione delle nostre società e di progredire verso un mondo
dove tutti possano vivere in pace, libertà e dignità. Tale guida non ci viene fornita dagli insegnanti e
dalle scuole, né dai capi politici o dagli uomini d'affari, nonostante il loro impegno e il loro ruolo
siano importanti. Questa guida, essenzialmente e crucialmente, viene da ognuno di noi.

Un individuo dotato di coscienza planetaria è in grado di riconoscere il suo ruolo nell'ambito del
processo evolutivo e di agire responsabilmente alla luce di tale percezione. Ognuno di noi deve
cominciare da se stesso per raggiungere la dimensione della consapevolezza planetaria; solo allora
potremo diventare agenti reali e responsabili delle trasformazioni e dei cambiamenti nella nostra
società. La coscienza planetaria è sia comprendere che sentire l'interdipendenza vitale e l'essenziale
unità del genere umano e la consapevole adozione dell'etica e dell’ethos che tutto ciò implica.
L’evoluzione della coscienza planetaria è l’imperativo primario per la sopravvivenza umana su
questo pianeta. Ervin Laszlo, dal Manifesto per la Coscienza Planetaria

Quella di oggi non è una crisi morale, non è una crisi economica, sociale, assolutamente no: è una
crisi evolutiva. Satprem

I cibernetici ci dicono che noi potremmo passare indenni attraverso questi tempi turbolenti se la
nostra abilità nel manipolare informazioni si sviluppasse più velocemente della nostra capacità di
produrre energia... Se noi esseri umani siamo una parte di Gaia diventa interessante chiederci: in
quale misura la nostra intelligenza collettiva è pure una parte di Gaia? Costituiamo noi come specie
un sistema nervoso gaiano (planetario) e un cervello che può coscientemente anticipare i mutamenti
ambientali?... Ancora più importante è l’implicazione che l’evoluzione dell’Homo Sapiens, con la
sua capacità inventiva tecnologica e la sua sempre più sofisticata rete di comunicazioni, abbia
enormemente accresciuto la gamma di percezioni di Gaia. Attraverso noi, essa è ora conscia di se
stessa. Jim Lovelock

Sono molto pessimista sul futuro dell’umanità... forse l’uomo ha terminato il suo cammino, allora è
bene che lasci il posto ad un essere più evoluto. Indira Gandhi presidente dell’India

Ci sono buone ragioni che ci suggeriscono che l’era moderna è finita. Molte cose indicano che
stiamo attraversando un periodo di transizione in cui sembra che qualcosa stia finendo e che
qualcos’altro stia nascendo dolorosamente. Le caratteristiche che distinguono un periodo di
transizione sono il mescolarsi e l’amalgamarsi di culture e la pluralità ed il parallelismo di mondi
intellettuali e spirituali.. È' la prima civiltà che copre l’intero globo e lega insieme tutte le società
sottomettendole ad un comune destino globale... lo scopo centrale della politica degli ultimi anni di
questo secolo è la creazione di un nuovo modello di coesistenza tra le varie culture, genti, razze e
sfere religiose all’interno di una singola civiltà interconnessa... Ma gli sforzi in tal senso sono
destinati a fallire se non nascono da qualcosa di più profondo, da autentici valori comuni... E cioè,
la consapevolezza di essere ancorati alla Terra e all’universo - e la consapevolezza che non siamo
qui da soli e neppure semplicemente per noi stessi, ma che siamo parte integrante di entità
misteriose più alte Questa consapevolezza dimenticata è codificata in tutte le religioni. Le culture lo
anticipano in varie maniere. È una delle cose che formano le basi della comprensione dell’uomo di

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se stesso, del suo posto nel mondo ed infine del mondo come tale. Questa consapevolezza ci
fornisce la capacità per l’auto-trascendenza. I politici nei forum internazionali potranno ripetere
migliaia di volte che la base del nuovo ordine mondiale deve essere il rispetto universale per i diritti
umani, ma questo non significherà niente finchè questo imperativo non nasce dal rispetto del
miracolo dell’Essere, il miracolo dell’universo, il miracolo della natura, il miracolo della nostra
stessa esistenza. Vaclav Havel presidente della repubblica Ceca.

Per molti Americani che trovano alienanti le religioni convenzionali, e anche per alcuni di quelli
che le accettano, la ricerca ha inizio con la crescente preoccupazione per la situazione ambientale
globale. La natura da sempre ha suggerito sensazioni trascendenti, ma per molti ambientalisti
l’evoluzione della Terra ed i suoi ecosistemi interconnessi danno un nuovo contesto in cui trovare il
sacro.In quest’ottica l’evoluzione dell’universo diventa la nuova storia sacra. Dossier di Newsweek
sulla nuova ricerca del sacro.

Esiste una coscienza collettiva, ma ne esiste anche una individuale, la coscienza del singolo
organismo, nel mio caso un essere umano... Questa coscienza (di Gaia, planetaria ndr) è
enormemente più avanzata di quella di una singola cellula. Il fatto che ciascuno di noi faccia parte
di un’entità ancora più grande che si trova su un livello più alto non ci riduce al rango di cellule. Io
rimango un essere umano, al di sopra di noi però c’è questa consapevolezza collettiva che supera di
molto la mia comprensione, tanto quanto la mia consapevolezza individuale supera quella, che so,
di una cellula muscolare del mio braccio. Isaac Asimov

L’EVOLUZIONE

L’intero universo è un processo dinamico in costante evoluzione. L’evoluzione è l’espressione di un


processo intelligente di crescita della conoscenza e della coscienza della realtà (informazioni).

La coscienza appare il principio motore dell’evoluzione. Henri Bergson, Nobel per la letteratura.

I processi di pensiero e di evoluzione seguono entrambi le stesse regole. L’evoluzione è il processo


per mezzo del quale l’essere vivente modifica la sua informazione e ne acquista di nuova. Pierre
Grassé

Qualcosa di supremamente divino e luminoso si trasforma con le cento metamorfosi del mondo.
Chang Tsu

Un bambino è molto più vicino alla visione del Sé. Noi dobbiamo diventare come bambini prima di
poter entrare nel regno della verità. Per questo ci viene chiesto di mettere da parte l'artificiosità
dell'intellettuale. Si insiste sulla necessità di nascere di nuovo. Si dice che la saggezza dei bambini
sia più grande di quella degli studiosi.

Noi siamo energia eterna, energia spirituale individuale e consapevole. Come i pesci nel mare noi
nuotiamo o galleggiamo in un infinito oceano di vibrazioni, più o meno percepibili dalla nostra
mente cosciente.
Le emozioni e i pensieri, una realtà invisibile e spesso sfuggente, sono il continuo collegamento tra
il fisico e il mentale.
Tutto l'universo è composto di energia, energia che vibra a diversi livelli e produce i diversi stati
mentali e fisici. Ogni vibrazione è un informazione. Noi riceviamo ed emettiamo continuamente
informazioni. La nostra capacità di percepire e decodificare le vibrazioni e quindi le diverse energie
con cui interagiamo dipende dal nostro livello di consapevolezza. Per vivere bene l'energia deve
scorrere in modo sciolto e naturale e noi dobbiamo sintonizzarci con questo flusso senza inizio e

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senza fine. Dobbiamo porci, consapevolmente, in una condizione di unione e separazione alternata.
Per farlo va trovato un rapporto armonico tra lo stato di equilibrio (unione armonica) e quello di
squilibrio (separazione e allontanamento). Gli eccessi, in entrambi i casi, abbassano il livello di
consapevolezza.
La verità è individuale, il rapporto con l'Assoluto (chiamiamolo anche Dio o Grande Spirito) è
totalmente individuale. Ogni essere è unico, irripetibile e definitivamente individuo nel suo essere,
sentire ed agire. In alcuni momenti la nostra energia vibrando ad un certo livello di qualità può
attrarre esseri dello stesso tipo ma poi noi o qualcuno di loro cambia vibrazione ed è inevitabile il
momentaneo distacco. Possono esserci nuovi incontri ma c'è un momento magico in cui è
necessaria la separazione.

Nonostante il progresso e i vantaggi offerti dallo sviluppo tecnologico, gli esseri


umani non sono ancora pienamente felici. Malattie, povertà, problemi,
instabilità politica e sociale esistono ovunque, nelle nazioni più ricche come in
quelle in via di sviluppo. Occorre un nuovo tipo di conoscenza che permetta
agli individui di diventare più realizzati e felici, vitali e creativi. Ogni cosa
nell’universo, dagli esseri più minuti alle immense galassie, cresce e
progredisce spontaneamente in modo ordinato, secondo leggi ben precise. Ciò
è possibile perché esiste un livello di intelligenza cosmica, la legge naturale, la
cui infinita capacità organizzativa sostiene il progresso di ogni cosa, quindi
anche della nostra stessa esistenza, e fa sì che ogni aspetto dell’esistenza
progredisca in armonia con la totalità. La violazione della legge naturale è la
causa di qualsiasi problema individuale e sociale. Quando, infatti, le nostre
azioni interferiscono con la tendenza evolutiva della legge naturale, il
progresso viene ostacolato e nascono problemi, malattie e sofferenze. Come
afferma Maharishi, la soluzione a questa situazione consiste nel riportare la vita
dell’individuo in sintonia con la legge naturale. In tal modo i suoi pensieri, le
scelte e le azioni saranno spontaneamente giusti e potranno soddisfare le
necessità e le aspirazioni individuali, sostenendo allo stesso tempo il progresso
della società. Il messaggio di Maharishi è antico quanto il genere umano. "La
natura della vita è beatitudine e lo scopo della vita è l’espansione della
felicità". Ognuno, indipendentemente dall’età, dal tipo di cultura e di fede, può
sperimentare questa beatitudine senza alcuno sforzo. Occorre solo imparare un
procedimento semplice che non richiede alcuno sforzo. Non è necessario
sforzarsi, soffrire o rinunciare al mondo per realizzare la crescita spirituale.
L’esperienza della beatitudine è spontanea e arricchisce la vita di molti benefici
pratici. A questo scopo, quaranta anni fa Maharishi ha introdotto nel mondo
occidentale la Meditazione Trascendentale, una tecnica semplice e naturale
che permette ad ogni individuo di contattare direttamente la totalità
dell’intelligenza della natura, la Legge Naturale, che risiede in quel livello della
nostra mente più quieto e più ricco di beatitudine, alla sorgente dei nostri
pensieri: la coscienza trascendentale. L'esperienza di oltre cinque milioni di
persone, confermata da centinaia di ricerche scientifiche, mostra che
l’esperienza della coscienza trascendentale durante la MT è fondamentale per
sviluppare in modo completo le nostre potenzialità, migliorare la salute fisica e
mentale ed il comportamento. La pratica regolare della MT rimuove lo stress e
la fatica e normalizza il funzionamento del sistema nervoso, che comincia così
ad esprimere in modo sempre più completo la stessa infinita creatività e
capacità organizzativa dell’intelligenza della natura. In questo modo la nostra
vita può diventare sempre più felice, sana e realizzante.

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