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La posizione dell'Italia
L'Italia, dopo le guerre d'indipendenza, senza
alleati e nella impossibilità di acquisire con mezzi
pacifici i territori a maggioranza italiana
dell'Austria, nel 1880 indirizzò il suo
espansionismo territoriale verso il Nordafrica. Le
aspirazioni convergevano verso la Tunisia e, in
secondo luogo, verso la Libia.
Proprio in questo periodo, inoltre, il governo di Agostino Depretis venne a conoscenza che papa Leone XIII
stava interpellando i ministri degli esteri stranieri a proposito di un loro possibile intervento per ripristinare
il dominio dello Stato Pontificio. In tale circostanza l'appoggio dell'Austria, la nazione cattolica più
prestigiosa, sarebbe stato di grande utilità per l'Italia, al fine di scoraggiare un'azione europea in aiuto del
Papato[1]. Un altro elemento a favore dell'alleanza con due potenze conservatrici consisteva per Roma
nell'assicurare stabilità alla monarchia sabauda di fronte ai movimenti repubblicani di ispirazione francese[2].
A sostegno delle iniziative diplomatiche, fra il 21 e il 31 ottobre 1881 i sovrani del Regno d'Italia, Re
Umberto I e la consorte Margherita di Savoia fecero visita a Vienna a quelli austriaci, l'Imperatore Francesco
Giuseppe ed Elisabetta di Baviera.
Gli argomenti a favore di un avvicinamento di Roma agli imperi centrali trovavano, però, scarsa accoglienza
in buona parte della popolazione italiana (come c'era da aspettarsi per il fatto che l'Austria era il nemico
storico dei moti risorgimentali), e anche Depretis era più propenso ad un'alleanza con Parigi che con Vienna
e Berlino. Egli riteneva l'episodio della occupazione della Tunisia tutto sommato non grave e osservava che
gli emigrati italiani in Francia meritavano altrettanta se non maggiore attenzione che gli interessi in
Tunisia[3].
Il ministro degli Esteri di Depretis, Pasquale Stanislao Mancini, era però favorevole ad un'alleanza con
Bismarck che a sua volta diffidava di Depretis, ritenendolo vicino alle idee del nuovo ministro degli Esteri
francese Léon Gambetta. Ma Depretis agli inizi del 1882 si era già convinto della utilità di un'alleanza con
gli imperi centrali, purché non implicasse una guerra con la Francia. Prospettiva ovviamente accettata da
Germania e Austria[4].
La situazione internazionale
Il ruolo ambiguo che avrebbe assunto l'Austria nei confronti del papa in
caso di alleanza con l'Italia non piacque al ministro degli Esteri austriaco Gustav Kálnoky che si rifiutò di
accogliere le sollecitazioni che comunque venivano da Roma. Bismarck, invece, cominciava ad essere
preoccupato per la situazione internazionale. Nel novembre 1881, infatti, Léon Gambetta, nominato Primo
ministro, auspicò un'alleanza con la Russia e con la Gran Bretagna e, a più breve scadenza, una
riconciliazione con l'Italia[2].
Bismarck temeva inoltre un cambiamento della situazione a San Pietroburgo, poiché nel gennaio 1882, a
Varsavia, il generale Michail Dmitrievič Skobelev eroe della guerra russo-turca, aveva rivolto ai polacchi un
appello al panslavismo e il 17 febbraio a Parigi aveva pronunciato il suo più vibrante discorso. Così che il
28, Bismarck, nel timore (forse eccessivo) che i conservatori in Russia stessero perdendo terreno, sollecitò il
ministro austriaco a riprendere i negoziati con l'Italia e a ottenere qualche risultato[5].
Di fronte all'iniziativa della Germania, Kálnoky cedette e, col consenso dell'imperatore Francesco Giuseppe,
iniziò una trattativa con l'ambasciatore italiano Carlo di Robilant. I negoziati terminarono il 20 maggio
1882, giorno in cui fu firmato il primo trattato della Triplice alleanza.
In questa prima stipulazione, l'Italia ottenne l'inserimento di un accordo aggiuntivo – conosciuto come
«dichiarazione Mancini» – che vincolava le potenze firmatarie a non rivolgere le norme del trattato contro la
Gran Bretagna. Ciò a causa del pericolo per l'Italia della potenza navale inglese nel Mediterraneo.
Con questo accordo la Germania scongiurava il pericolo di un avvicinamento della Francia all'Italia, e
l'Austria poteva sperare in un raffreddamento dei moti irredentisti nei territori a maggioranza italiana in suo
possesso. Speranza che trovò eco nelle parole del ministro degli Esteri italiano Mancini, che, dopo
l'impiccagione del patriota Guglielmo Oberdan del dicembre 1882, dichiarò: «Perché a motivo del fatto che
alcuni territori austriaci sono italiani noi dovremmo pretenderli? Noi dovremmo allora avanzare simili
proposte alla Francia e all'Inghilterra a cui appartengono Nizza, la Corsica e Malta». In aggiunta, per un
certo periodo, il governo italiano frenò ufficialmente le più evidenti manifestazioni nazionalistiche[6].
Fu la Germania che trovò il modo di far accettare all'Austria le proposte italiane. Il cancelliere Bismarck
ricorse, infatti, ad un ingegnoso espediente, proponendo che il trattato originale venisse mantenuto, ma
completato da patti bilaterali.
Il primo patto,[10] fra Italia e Austria, definiva che nel caso una delle due potenze si fosse vista nella
necessità di effettuare un'occupazione nei Balcani, tale occupazione non avrebbe avuto luogo che dopo un
accordo con l'altra potenza. L'accordo avrebbe avuto lo scopo di stabilire compensi a favore della firmataria
non occupante per ogni vantaggio che l'occupante avesse ottenuto in più dello status quo ante.
In caso di espansione austriaca nei Balcani, quindi, l'Italia avrebbe potuto rivendicare territori subalpini
degli Asburgo, benché l'Austria pensasse di accontentare l'Italia solo con qualche concessione in Albania[11].
Il secondo patto assicurava invece all'Italia, in caso di una sua guerra contro la Francia, l'intervento a suo
favore della Germania anche nell'eventualità di un conflitto nel Mediterraneo; e impegnava (implicitamente)
Berlino a fare di tutto per riservare la Corsica, Tunisi e Nizza all'Italia nell'eventualità di una disfatta
francese[12].
Con il sistema dei patti bilaterali l'Austria non solo non si sarebbe dovuta impegnare in difesa delle questioni
mediterranee dell'Italia, ma avrebbe anche potuto evitare l'ingerenza della Germania in questioni
interpretative del patto fra Vienna e Roma sui Balcani. Seppure malvolentieri, di fronte alla crisi
internazionale e a seguito delle pressioni di Bismarck, Kálnoky accettò il progetto e il 20 febbraio 1887
vennero firmati a Berlino i documenti diplomatici.
Il 18 giugno dello stesso anno, Germania e Russia, come conseguenza della crisi di rapporti fra San
Pietroburgo e Vienna firmavano il trattato di controassicurazione.
Presidente del consiglio italiano era Francesco Crispi, che nel 1889, triplicista[13] convinto, vedeva ancora
nella Francia un potenziale aggressore. In quell'anno egli chiese un appoggio navale dell'Austria in caso di
attacco francese nel Mediterraneo. Ma Vienna era contraria a qualsiasi azione diplomatica che incoraggiasse
le aspirazioni italiane in nordafrica. Se infatti l'Italia avesse attaccato i possedimenti turchi in Libia avrebbe
messo in pericolo la stabilità dell'Impero Ottomano e incoraggiato la Russia ad espandersi nei Balcani[14].
Nonostante ciò, Crispi, pur auspicando un più giusto trattamento degli italiani nei territori austriaci, si
dimostrò contrario agli irredentisti più estremisti[15]. Vennero sciolte associazioni antiaustriache, si impedì la
raccolta di fondi per la costruzione di un monumento a Dante a Trieste ed il ministro delle Finanze Federico
Seismit-Doda, di origine dalmata, fu costretto a dimettersi per la sua mancata replica durante una riunione in
cui furono pronunciati discorsi antiaustriaci[14].
Ma il 31 gennaio 1891 il governo Crispi cadde. Gli succedette quello del capo della Destra, il marchese
Antonio di Rudinì, ritenuto un francofilo, che dichiarò alla Camera di voler eliminare ogni diffidenza nelle
relazioni con la Francia ma anche di voler serbare “fede salda e sicura” nelle alleanze vigenti[16].
Il presidente del Consiglio Rudinì aveva chiesto che fra le regioni comprese nella sfera d'influenza italiana ci
fosse stato anche il Marocco[17], ma poi su questo punto cedette. Accettò poi sul piano generale la proposta
di Kálnoky di dare al trattato la durata di sei anni e una proroga di altri sei se non denunciato un anno prima
della scadenza. La firma del rinnovo avvenne a Berlino il 6 maggio 1891.
Ad ogni rinnovamento l'Italia si scopriva politicamente più forte rispetto alle alleate e ciò era dovuto al fatto
che la Triplice si isolava sempre più rispetto alle altre potenze. Proprio come temeva Caprivi, infatti, la
Francia ottenne un importante successo diplomatico: nell'agosto dello stesso 1891 a San Pietroburgo veniva
firmato il primo accordo preliminare tra Francia e Russia, che si sviluppò l'anno dopo nell'alleanza fra le due
potenze. La Triplice avrebbe da questo momento, in caso di ostilità, combattuto una guerra su due fronti.
Berlino, nella figura del cancelliere Chlodwig Hohenlohe, rifiutò decisamente dichiarando che un'azione
comune anglo-russa o anglo-francese usciva dai limiti del verosimile. In realtà ciò che la Germania voleva
era che non si ponessero limitazioni agli obblighi dell'alleanza. Il 3 aprile Rudinì comunicò al ministro degli
Esteri tedesco, Bernhard von Bülow, che cedeva alle ragioni del Cancelliere e considerava chiusa la
questione[18].
Ma agli austriaci non sfuggì la circostanza che, proprio in occasione della sconfitta di Adua, Roma sembrò
guardare con maggiore interesse ai Balcani e attribuirono a questo nuovo corso il matrimonio dell'erede al
trono Vittorio Emanuele che Il 24 ottobre 1896 si unì a Jelena Petrović Njegoš, principessa del Montenegro.
Ciò provocò non poca ostilità nei circoli anti-italiani a Vienna.
Riuscì invece all'Italia di migliorare sensibilmente le relazioni con la Francia. Nel dicembre del 1900 il
ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, già del secondo governo Rudinì e ora nel governo di
Giuseppe Saracco, concluse un importante accordo con Parigi. Esso stabiliva che in cambio del via libera di
Roma alla colonizzazione francese del Marocco, Parigi concedeva il nulla osta per l'eventuale occupazione
italiana della Libia. La Francia aveva cessato di essere il pericolo che aveva immaginato Francesco Crispi.
Con il governo di Giuseppe Zanardelli, francofilo e indulgente all'irredentismo, nel febbraio 1901, fu
nominato ministro degli Esteri Giulio Prinetti, un industriale lombardo che nel 1891 aveva detto alla Camera
che non avrebbe potuto dare il suo voto al governo Rudinì se questo avesse rinnovato la Triplice. Tali
elementi, uniti ai commenti della stampa francese sulla visita fatta nel 1901 da una squadra navale italiana a
Tolone, dove il duca di Genova consegnò al
Presidente francese Loubet il collare
dell'Annunziata, destarono in Germania
un'impressione molto sfavorevole[19].
Le richieste di Prinetti
Sennonché, a rinnovare il trattato senza apportarvi modifiche, Prinetti non era proprio disposto. Egli voleva
trascinare le due alleate, con un articolo specifico, alla dichiarazione di disinteressarsi di ogni azione
dell'Italia in Libia e a portare la Triplice a contrastare lo Zar nel caso questi avesse acquisito successi nei
Balcani stringendo così l'Italia nella morsa dell'alleanza franco-russa. Ma sia Vienna che Berlino si
rifiutarono di concedere alcunché a Prinetti[21].
Solo dopo un ridimensionamento delle richieste italiane, il ministro degli Esteri austriaco Agenor Maria
Gołuchowski accettò di allegare una dichiarazione al trattato che, senza modifiche nel testo principale, fu
così rinnovato il 28 giugno 1902 a Berlino. Nella dichiarazione «il Governo austro-ungarico, non avendo
interessi speciali da salvaguardare in Tripolitania e Cirenaica[22] [è deciso] a non intraprendere nulla che
possa ostacolare l'azione dell'Italia» nelle suddette regioni.
Roma, dopo un parziale riconoscimento delle sue mire sulla Libia da parte della Gran Bretagna[23], della
Francia e della Germania, riceveva ora, sulla stessa questione, anche l'assenso dell'Austria.
Su Mare Nostro, organo della Lega Navale italiana, si affermava che il Mare Adriatico doveva diventare un
lago italiano, e la sensazionale opera teatrale di Gabriele d'Annunzio, La Nave (1908), riprendeva questo
ideale, esercitando una vigorosa influenza sui sentimenti anti-austriaci[27]. È degna di nota la circostanza per
cui alla prima rappresentazione del dramma di d'Annunzio a Roma, fossero presenti re Vittorio Emanuele III
e la consorte Elena di Montenegro i quali, al termine dello spettacolo, si congratularono con l'autore.[28]
Anche il Parlamento italiano non aveva più remore. L'ex presidente del consiglio Alessandro Fortis il 3
dicembre 1908, a proposito dell'annessione della Bosnia da parte dell'Austria, parlò della strana situazione
per la quale l'Italia non aveva da temere la guerra che da una potenza alleata; e concluse dichiarando: «È
d'accordo il Paese tutto nel volere che il governo domandi il sacrificio che occorre per preparare la nostra
difesa». Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, si levò dal suo posto e andò ad abbracciare Fortis. Il
gesto fu amaramente notato in Austria. Antonio Salandra (futuro presidente del Consiglio) commentò nelle
sue memorie: «Da noi i maligni dissero che Giolitti s'era mosso a freddo per non restare isolato fra la
Camera plaudente»[29].
D'altro canto, in Austria si era costituito un gruppo influente di personalità politiche e militari che, facendo
capo al feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf e all'erede al trono Francesco Ferdinando, riteneva
l'Italia una nazione pericolosa che presto si sarebbe rivoltata contro l'Austria e che bisognava
preventivamente attaccare[30].
Vienna era preoccupata anche per le mire italiane al di là dell'Adriatico, preoccupazioni che erano aumentate
con il matrimonio fra Vittorio Emanuele III e Elena di Montenegro. Se l'Italia si fosse impossessata anche di
un solo porto balcanico all'ingresso dell'Adriatico avrebbe potuto, possedendo entrambe le sponde, tentare
con successo di chiudere il Mare alle navi austriache.
Il 15 ottobre 1904 Austria e Russia firmarono un accordo segreto secondo il quale non sarebbero intervenute
in una guerra l'una contro l'altra. Ciò a patto che la parte in guerra si fosse trovata a combattere da sola con
una terza potenza non provocata che avesse voluto alterare lo status quo.
Poiché tale accordo non poteva essere applicato nei Balcani e poiché l'Austria ne diede comunicazione a
Berlino e non a Roma, è ragionevole pensare che con questa intesa l'Austria volesse coprirsi le spalle in caso
di una eventuale guerra contro l'Italia. L'accordo era tuttavia limitato al periodo di tempo in cui Austria e
Russia si sarebbero occupate, in accordo, delle questioni dell'Impero Ottomano[31].
Nello stesso 1904 nasceva la Entente cordiale tra Francia e Gran Bretagna. Nel 1906, dopo la crisi di
Tangeri, alla conferenza di Algeciras la Francia non osteggiata dall'Italia, che si distinse in questo da
Germania e Austria, incassava un importante successo per il controllo del Marocco. Nel 1907 con l'accordo
anglo-russo per l'Asia si costituiva, in pratica, la Triplice intesa.
Nel 1908 l'Austria si annetteva la Bosnia, peggiorando notevolmente i rapporti con Serbia, Russia e, in
misura minore, con l'Italia; la quale l'anno dopo, nell'accordo segreto di Racconigi con la Russia, riceveva
garanzie sui Balcani e la benevolenza di San Pietroburgo ad un'invasione della Libia.
Nel 1911 scoppiava, alla fine, la guerra italo-turca che, gestita a livello diplomatico dal ministro degli Esteri
Antonino di San Giuliano, terminava con l'annessione della Libia l'anno dopo. Anche in questa occasione le
differenze di vedute fra Italia e Austria non mancarono di manifestarsi. Mentre sempre più virulenta si
faceva la crisi di rapporti fra Gran Bretagna e Francia da un lato e Germania dall'altro (crisi di Agadir).
Le complicazioni balcaniche susseguenti alla guerra italo-turca che sembravano minacciare la pace
mondiale, la tensione fra Vienna e San Pietroburgo, e la pretesa della Serbia di avere accesso all'Adriatico,
indebolirono Vienna e incoraggiarono il ministro degli Esteri San Giuliano a chiedere agli alleati il
riconoscimento della posizione italiana acquisita in Libia. Considerata anche l'avanzata serba a seguito della
prima guerra balcanica e il pericolo risultante per la stabilità dell'Impero austriaco, l'omologo di San
Giuliano, il ministro austriaco Leopold Berchtold, non poté rifiutare la proposta italiana[34]: al testo del
trattato fu aggiunto un protocollo che sanciva il riconoscimento della «sovranità dell'Italia sulla Tripolitania
e sulla Cirenaica». La firma del quinto rinnovo ebbe luogo a Vienna il 5 dicembre 1912.
Succedette a San Giuliano (morto il 13 ottobre 1914), Sidney Sonnino che, assieme al Presidente del
consiglio Antonio Salandra gestì tutta la fase degli accordi con le potenze dell'Intesa sui compensi all'Italia
in caso di un suo attacco all'Austria. Al termine di questi accordi, culminati nel patto di Londra del 26 aprile
1915, il 4 maggio Sonnino trasmetteva un telegramma a Vienna che si riassumeva in tre punti:
1° Ritiro di tutte le proposte fatte dall'Italia per assicurare la propria neutralità e fine dei
negoziati.
2° Denuncia della Triplice alleanza, che così terminava il suo lungo e travagliato percorso.
3° Affermazione della libertà d'azione dell'Italia.
Note
1. ^ May, p. 392.
2. Taylor, p. 397.
3. ^ Giordano, pp. 217-218.
4. ^ Giordano, pp. 219, 222, 225.
5. ^ Taylor, p. 398.
6. ^ May, p. 393.
7. ^ I regnanti sono Umberto I, Guglielmo II e Francesco
Giuseppe.
8. ^ Albertini, Vol. I, p. 14.
9. ^ May, p. 406.
10. ^ Costituirà l'Art. 7 del 1891.
11. ^ Taylor, p. 451.
12. ^ Taylor, p. 452.
13. ^ Si definivano così, in Italia, coloro che erano favorevoli
alla Triplice alleanza. L'Impero Ottomano sostituisce l'Italia
14. May, p. 414. nella Triplice alleanza, in una
vignetta del giornale Numero di
15. ^ C. Grove Haines, Italian Irredentism during the Near
Torino.
Eastern Crisis, 1875-78, The Journal of Modern History,
Vol. 9, No. 1 (Mar., 1937), pp. 23-47.
16. ^ Albertini, Vol. I, p. 76.
17. ^ Albertini, Vol. I, p. 77.
18. ^ Albertini, Vol. I, p. 93.
19. ^ Albertini, Vol. I, pp. 127-128.
20. ^ Albertini, Vol. I, pp. 129-130.
21. ^ Albertini, Vol. I, pp. 130-131.
22. ^ Entrambe costituivano l'attuale Libia.
23. ^ Il 12 febbraio 1887 Londra si impegnava ad appoggiare
un'azione italiana in Libia in caso di invasione francese
dall'Algeria. In cambio Roma riconosceva il ruolo di
supremazia che la Gran Bretagna aveva in Egitto.
24. ^ Dipinto di Félix Ziem.
25. ^ Francesco Giuseppe, a suo dire, voleva evitare una
visita ufficiale che, di fronte allo Stato Pontificio,
riconoscesse Roma quale capitale d'Italia.
26. ^ May, p. 548.
27. ^ May, p. 549.
28. ^ Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile. Vita di Gabriele
d'Annunzio, Milano, Mondadori, 2000, pp. 431, 432.
29. ^ Salandra, La neutralità italiana. Milano, 1928, p. 29.
30. ^ Albertini, Vol. I, p. 367.
31. ^ Albertini, Vol. I, pp. 145-146.
32. ^ May, p. 597.
33. ^ Giolitti, Memorie della mia vita. Milano, 1999, p. 253.
34. ^ Albertini, Vol. I, pp. 451.
35. ^ Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX
secolo, Catanzaro, 2007, p. 664.
36. ^ Ferraioli, Politica e diplomazia in Italia tra XIX e XX
secolo, Catanzaro, 2007, pp. 678-679.
Bibliografia
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Roberto Sciarrone, L'Italia nella Triplice Alleanza, Politica e sistema militare, Aracne Editrice,
Roma, 2014. ISBN 978-88-548-7302-5
Sidney Sonnino, Diario, Editori Laterza, Bari, 1972, 3 volumi.
Voci correlate
Trattati della Triplice alleanza
Duplice Alleanza
Triplice intesa
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