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Aristotele

Il tempo come “numero” del movimento

In Fisica, IV egli propone una concezione del tempo radicalmente alternativa a quella platonica. Se
infatti per Platone il tempo è «immagine mobile dell’eternità», cioè la traduzione sul piano sensibile
dell’atemporalità ideale, per Aristotele il tempo è un aspetto della realtà naturale strettamente con-
nesso alla realtà fisica dello spazio.

In stretta connessione con la nozione di spazio si trova poi la nozione di tempo, rispetto alla quale
Aristotele precorre Agostino nel negarne la realtà oggettiva e indipendente. Il tempo non può infatti
prescindere né dal riferimento fisico al movimento corporeo né dal riferimento psicologico
all’anima. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, il tempo è inseparabile dal movimento così come
questo è inseparabile dall’estensione. Ora, la proprietà dell’estensione è il continuo: il tempo è
quindi anzitutto una continuità indotta attraverso il movimento dall’estensione e, alla pari del
movimento, caratterizzabile secondo un’anteriorità e una posteriorità. Ma distinguere un “prima” e
un “poi” nel tempo significa introdurre nella sua continuità degli intervalli, ovvero degli “istanti”
numerabili; da qui la definizione: «Il tempo è il numero – cioè la misura – del movimento secondo
il prima e il poi». Una simile definizione ci conduce all’aspetto psicologico: se il tempo è il
“numero” o la misura, occorre qualcosa capace di numerare e misurare, vale a dire un soggetto o un
pensiero che eserciti la numerazione; pertanto, senza l’anima che pensa il numero, non
sussisterebbe il tempo, ma solo il movimento dei corpi esterni 7.

Infine, spazio, tempo e numero sono – ciascuno nel suo genere – aumentabili (sommabili) e
diminuibili (divisibili) all’infinito solo in modo potenziale, cioè come disposizione delle grandezze
in una successione che non si può mai esaurire del tutto. L’infinito esiste dunque unicamente in
potenza, perché collegato con la categoria della quantità, limitata al mondo sensibile. Così, nel
riprendere l’idea pitagorica secondo cui il finito è perfetto e l’infinito imperfetto, Aristotele non
solo nega l’esistenza di un infinito in atto, ma – sostenendo la continuità dello spazio e del tempo,
cioè la loro divisibilità all’infinito – confuta anche l’argomento di Zenone in base al quale è
impossibile attraversare uno spazio infinito in un tempo finito. Infatti, un tempo può benissimo
essere finito (in atto), ma infinitamente divisibile (in potenza)

Ciò che media tra spazio e tempo è il movimento che, attraverso l’istante, consente di trasferire la
nozione di “limite” dal primo al secondo.

Ma vi è una differenza fondamentale tra spazio e tempo: mentre lo spazio è effettivamente il limite
di un corpo, al contrario l’istante, come limite di una durata temporale, è solo un “accidente” del
tempo, il quale, in senso proprio, è il “numero” del movimento.

Ora, il numero non è il limite che fa da sua “misura”, ma rappresenta una continuità; e tale è anche
il tempo, la cui continuità numerica può, per definizione, prescindere dai particolari corpi fisici a cui
si applica. Di conseguenza, mentre lo spazio è il luogo, cioè la qualità posizionale degli oggetti ma-
teriali nel mondo, il tempo è l’ordine misurabile del movimento di questi oggetti: come ordine è nu-
mero, ma come misurazione effettiva all’interno di un determinato sistema è la rappresentazione di
un numero, cioè un numerale che si esprime attraverso il carattere “discreto” dell’istante.

Il tempo è in relazione al movimento: si tratta di vedere se coincide con esso o se è invece solo una
proprietà del movimento.

«È, quindi, evidente che il tempo non è movimento, ma non è senza movimento; e, d’altra parte,
poiché cerchiamo che cosa è il tempo, dobbiamo prendere inizio da qui per stabilire quale proprietà
del movimento esso sia. Invero, noi percepiamo simultaneamente movimento e tempo, e se è buio e
noi non subiamo alcuna affezione corporea, ma un certo movimento resta presente nell’anima, subi-
to ci sembra che simultaneamente anche un certo tempo stia trascorrendo. E, al contrario, quando
sembra che un certo tempo stia trascorrendo, sembra che simultaneamente si stia verificando un cer-
to movimento. Sicché il tempo è o movimento o, almeno, una proprietà del movimento.
Se il tempo è in relazione al movimento, è in relazione a una grandezza continua, di cui caratterizza
il prima e il poi che si trovano anzitutto in un luogo (spazio).

Ma poiché movimento non è, esso è necessariamente una proprietà del movimento. Poiché il mosso
si muove da un punto verso un altro punto, e ogni grandezza è continua, il movimento segue alla
grandezza. Infatti, poiché la grandezza è continua, è continuo anche il movimento; e per il fatto che
lo è il movimento, è continuo anche il tempo, giacché la quantità del tempo trascorso è proporziona-
ta a quella del movimento. Anche il prima e il poi sono già anzitutto in un luogo. Ma essi son qui
secondo la disposizione delle parti; e poiché nella grandezza ci sono il prima e il poi, è necessario
che anche nel movimento ci siano il prima e il poi, e che siano in proporzione con il prima e il poi
che sono nella grandezza. Ma anche nel tempo ci sono un prima e un poi, per il fatto che sempre il
tempo segue al movimento.

Il tempo appare come quello “spazio” che intercorre tra il prima e il poi, uno spazio le cui estremità
sono gli “istanti”. Nell’istante non c’è movimento né tempo, ma c’è tempo e movimento nella rela-
zione tra il prima e il poi. Dunque il tempo è il numero del movimento che si traduce in misura del
prima e del poi.

Tuttavia, quando abbiamo determinato il movimento mediante la distinzione del prima e del poi, co-
nosciamo anche il tempo, e allora noi diciamo che il tempo compie il suo percorso, quando abbiamo
percezione del prima e del poi nel movimento. E operiamo la distinzione perché sappiamo che que-
sti due termini sono differenti tra loro e che c’è anche in mezzo qualcosa di diverso da loro. Quan-
do, infatti, noi pensiamo [...] che gli istanti sono due, il prima, cioè, e il poi, allora noi diciamo che
c’è tra questi due istanti un tempo, giacché il tempo sembra essere ciò che è determinato dall’istan-
te: e questo rimanga come fondamento. Pertanto, quando noi percepiamo l’istante come unità e non
già come un prima e un poi nel movimento e neppure come quell’identità che sia la fine del prima e
il principio del poi, allora non ci sembra che alcun tempo abbia compiuto il suo corso, in quanto che
non vi è neppure movimento. Quando, invece, percepiamo il prima e il poi, allora diciamo che il
tempo c’è. Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi.
Il tempo è il numero in quanto “numerato”, non il mezzo con cui numeriamo (che noi chiamerem-
mo “numerale”).

Il tempo, dunque, non è movimento, se non in quanto il movimento ha un numero. Eccone una pro-
va: noi giudichiamo il più e il meno secondo un numero, e il movimento maggiore o minore secon-
do il tempo: dunque il tempo è un numero. Ma poiché si dice “numero” in due modi (ché noi chia-
miamo numero non solo il numerato e il numerabile, ma anche il mezzo per cui numeriamo), il tem-
po è il numerato, e non il mezzo per cui numeriamo. E sono cose diverse il mezzo per cui numeria-
mo e il numerato.
L’istante è un limite, ossia un accidente del tempo che fa da “misura”. Infatti, mentre il numero non
è legato alla cosa di cui è numero, lo è invece il limite. Ora, non essendo limite, il tempo è continuo
come il movimento.

E come il movimento è sempre diverso, così anche il tempo [...]. L’istante, invece, è in parte identi-
co, in parte non identico. In quanto è sempre in un diverso, esso è un diverso (così, infatti, determi-
nammo l’istante in sé); ma in quanto l’istante è ciò che una sola volta è, esso è identico. [...] Dun-
que, in quanto l’istante è un limite, esso non è un tempo, ma un accidente di questo; in quanto esso
fa da misura, è un numero».
Approfondimento

Il tempo – sia quello infinito (quello della fisica), sia quello afferrato, cioè la durata psicologica –
è divisibile e le sue parti, cioè il passato e il futuro, rispettivamente, o non sono più o non sono
ancora; quindi il tempo non è. E il presente? Verrebbe da chiedersi.

Ma il nyn - come lo chiama Aristotele – non è una parte del tempo, perché esso è un limite fra
passato e futuro.

E sappiamo che per Aristotele i limiti sono dei concetti e non degli oggetti reali. Ad esempio una
lunghezza non è composta di punti, poiché il punto è solo un’astrazione. Il secondo problema è
questo: il nyn o è sempre lo stesso, oppure è sempre diverso. Aristotele esamina prima questa
seconda alternativa.

Se il nyn è sempre diverso, allora esso di volta in volta deve dissolversi. Ma quando si dissolve?
Non può certo dissolversi quando c’è ancora, né può dissolversi nell’istante successivo, dato che di
un istante non c’è il successivo. Allora deve dissolversi un po’ dopo e quindi durare per gli infiniti
istanti che ci sono fra esso e il momento in cui si dissolve, il che è impossibile.

Ma il nyn non può neanche essere sempre lo stesso, perché altrimenti adesso sarebbe presente il
nyn di 10.000 anni fa, il che è impossibile.

Prima di proseguire, bisogna fare attenzione alla distinzione fra l’uso del verbo essere temporale e
quello atemporale. Se diciamo “il treno è in arrivo”, la copula ha un senso temporale, cioè essa
significa qualcosa di diverso a seconda di quando proferiamo quella frase. Se, invece, diciamo “il
treno è arrivato alle 10 e 30 del 16 ottobre″, la copula qui ha un significato atemporale, cioè il
valore di verità dell’enunciato non dipenderà dal contesto.

La stessa cosa si può dire del termine aristotelico “nyn”, che può voler dire in senso temporale
“adesso”, ma anche in senso atemporale “istante”.

Nella parte finale del paragrafo 10 Aristotele prende in considerazione la dottrina di altri sul tempo.
Alcuni sosterrebbero che il tempo coincide con la sfera celeste. Questo sembra essere il punto di
vista dell'Eleate, secondo cui tutto è nel presente. Aristotele lo considera talmente sbagliato, che
neanche lo discute. Poi prende in considerazione la tesi secondo cui il tempo sarebbe il movimento
della sfera celeste. Fin dall’antichità i commentatori hanno attribuito questa tesi a Platone. Se è così
si tratta però di una caricatura, perché Platone nel Timeo dice che il tempo è l’immagine mobile
dell’eternità. per cui il tempo non è solo il movimento, ma il movimento in relazione alla nozione
ideale di eternità. Il punto di vista aristotelico, secondo cui il tempo è il numero del movimento, non
è poi così diverso, salvo il fatto che per Aristotele il numero viene dall’anima di chi conta, mentre
per Platone è qualcosa di oggettivo nel mondo delle idee. Aristotele propone diversi argomenti
contro questa tesi: che il movimento può essere più o meno veloce, mentre il tempo no; che il
movimento è diverso a seconda della sfera celeste che si sceglie mentre il tempo sarebbe unico.

Il paragrafo 11 inizia con un’inferenza dal percepibile all’esistente. Il ragionamento di Aristotele è


il seguente: noi non possiamo percepire il tempo se non percepiamo il movimento, quindi il tempo
non può esistere senza movimento. Aristotele non sta deducendo dal non percepito al non esistente,
ma dal non percepibile al non esistente. E’ chiaro che questa è un’istanza anti-platonica. In altre
parole ha ragione Aristotele ad affermare che se qualcosa non è percepibile, allora non esiste.
Attenzione, da “se non percepiamo movimento non percepiamo tempo” possiamo dedurre “se
percepiamo tempo, allora percepiamo movimento”, ma non “se percepiamo movimento, allora
percepiamo tempo”. Infatti Aristotele afferma che se percepiamo movimento e lo distinguiamo,
allora percepiamo tempo.

Adesso viene il brano 219a 10-19 che è particolarmente difficile. Ricostruiamo così il ragionamento
di Aristotele:

1. Ogni movimento va da un luogo A a un luogo B. (Limitiamo il discorso allo spostamento per


semplicità). Definizione.

2. Ciò che vale per lo spazio, quindi vale anche per il movimento. Si deduce da 1.

3. Lo spazio (grandezza) è continuo. Premessa discussa altrove nella Fisica.

4. Quindi anche il movimento è continuo.

5. Ciò che vale per il movimento vale anche per il tempo. Dimostrato in precedenza.

6. Quindi anche il tempo è continuo.

Aristotele qui inizia un nuovo discorso, che però è analogo al precedente, nel senso che prima
abbiamo visto come la continuità viene trasferita dallo spazio al movimento e da quest’ultimo al
tempo. Qui capita qualcosa di simile per il concetto di ordine. In effetti il nuovo argomento di
Aristotele sembra il seguente:

1. Ciò che vale per lo spazio, vale anche per il movimento e ciò che vale per il movimento vale
anche per il tempo. Questo lo abbiamo già visto.

2. Nello spazio c’è un ordine (che viene di solito tradotto “prima e dopo”, ma è meglio tradurre
“precedente e successivo”, dato che questa coppia non ha un significato solo temporale).

3. Quindi anche nel movimento c’è un precedente e successivo.

4. Quindi anche nel tempo c’è un precedente e un successivo.

Per Aristotele nello spazio c'è un ordine:

Prendiamo un segmento fra A e B posto su una retta che punta verso il centro della Terra: in esso
tutti i luoghi sono ordinati dalla relazione più vicino al centro della Terra. Infatti tale relazione è
totale, antisimmetrica e transitiva. Ipotizziamo che B sia più in basso. Allora un sasso va
naturalmente da A a B. Per Aristotele il movimento da A a B non è il passaggio per un insieme
infinito di punti. Tommaso, nel suo commento alla Fisica, lo aveva capito bene. Secondo Aristotele
i luoghi hanno una destra e una sinistra, un alto e un basso e un avanti e dietro assoluti. Però questo
non significa ancora che possiedano un ordine. Vuol dire invece che possono essere ordinati. Ad
esempio, prendiamo l’insieme degli uomini, esso può essere ordinato sulla base dell’altezza, ma
quale è la relazione d’ordine “più alto di” o “più basso di”? Analogamente lo spazio può essere
ordinato, per cui presi due luoghi A e B, possiamo ordinarli in base alla loro posizione, ma sia A
che B possono stare al primo posto. Questo significa che l’ordine che eredita il movimento e quindi
il tempo è del tutto simmetrico. In effetti la quantità di tempo impiegata per un moto, che sia
misurata da A a B o viceversa è la stessa.
Aristotele afferma che “il precedente e il successivo nel cambiamento è ciò, qualsiasi cosa esso sia,
mediante il cui essere un cambiamento è, ma il suo essere è diverso e non è il cambiamento.” (p.
175) Il precedente e il successivo fanno parte del cambiamento, ma non sono essenziali a esso. Gli
derivano infatti dall’ordine spaziale. Il substrato è ciò che resta uguale nel cambiamento. Allora
Aristotele dice che il precedente e il successivo ineriscono al cambiamento inteso come loro
substrato ma non fanno parte dell’essenza del cambiamento. Per Aristotele l’essenza e il substrato
dal punto di vista estensionale (cioè del riferimento) sono la stessa cosa. Ad esempio il sostrato
dell’albero è ciò che resta uguale nel cambiamento fino a quando l’albero viene distrutto. E questa è
anche l’essenza dell’albero. Egli ci sta dicendo che il cambiamento è il substrato del precedente e
del successivo, ma che questi non fanno parte dell’essenza del cambiamento. Il fatto che un albero
sia un pino è una caratteristica che inerisce all’albero come substrato, ma non è essenziale
all’albero.

Aristotele prosegue notando che la mera percezione del movimento non è ancora tempo. Per avere
tempo dobbiamo distinguere il precedente e il successivo nel movimento. In pratica il movimento di
per sé non è tempo; diventa tale solo se la mente distingue due nyn, cioè due istanti, separati da
qualcosa lì in mezzo.

Aristotele usa il termine “nyn” in modo ambiguo, a volte con il significato di “istante” e a volte
con quello di “presente“.

Proprio nella parte 219b 13-29 arriva la distinzione fra il substrato del nyn, che è sempre lo stesso,
l’istante, e il nyn che cambia sempre cioè il presente. Per spiegare meglio la questione Aristotele
riprende l’analogia fra spazio, movimento e tempo e osserva che il nyn è come il punto nello spazio
e la cosa spostata nel movimento. Presi due punti nello spazio il substrato è lo stesso, anche se il
discorso (logos) è diverso. Cioè l’ordine nello spazio non è essenziale al punto. Così il sasso che si
sposta quanto a substrato è lo stesso, ma quanto a luogo è diverso. C’è un solo presente e tanti
istanti, ma gli istanti sono tutti uguali e il presente è sempre diverso. Passando da un istante all’altro
il substrato di essere-istante resta sempre lo stesso, mentre il presente cambia sempre. Ogni istante
ha un presente diverso, anche se come istante è uguale agli altri. In altre parole, l’essere del
precedente e del successivo o del presente non fa parte del movimento o del substrato del nyn. Gli
istanti non esistono prima di arrivare nel presente; è il presente, sempre diverso che di volta in volta
individua gli istanti, che come sostrato sarebbero tutti uguali. Dopo di che essi sprofondano nel
passato diversificati dall’essere stati presenti. La prospettiva di Aristotele è quella di un insieme di
istanti tutti uguali che diventando presenti acquisiscono un ordine.

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