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Storia di Iqbal

Il protagonista del romanzo è Iqbal Masih operaio, sindacalista e attivista per i diritti umani
a soli 12 anni. 12 sono anche gli anni che aveva quando fu assassinato. Il 16 aprile 2020
ricorre il venticinquesimo anniversario del suo omicidio, purtroppo ancora senza colpevoli.
Siamo in Pakistan, a metà degli anni ’90. Nella fabbrica di tappeti di Hussain Khan, alla
periferia di Lahore, arriva Iqbal. È Fatima che ce lo descrive: non molto alto, magrissimo,
scuro di capelli. Iqbal non è nuovo alla fabbrica perché lavora da quando aveva quattro o
cinque anni, cioè dal giorno in cui suo padre lo ha “noleggiato” a un fabbricante senza
scrupoli in cambio di una somma di denaro. Da allora Iqbal è un bambino-schiavo, come
tantissimi altri che nel suo paese vengono impiegati nelle fornaci di mattoni o nella tessitura,
che richiede mani piccole e veloci.
Hussain Khan spiega a Iqbal le regole della fabbrica, che sono ovunque sempre le stesse.
Iqbal gli risponde con un “Sì, lo so!” e si guadagna subito la fama di sfacciato e impertinente.
Non ha un carattere remissivo e passivo: il precedente datore di lavoro lo descrive come
testardo, ostinato e superbo. Così Iqbal diviene oggetto delle attenzioni speciali di Karim,
un ex bambino-schiavo divenuto sorvegliante da quando le sue dita sono diventate troppo
grosse e goffe per lavorare al telaio.
Fatima spiega a Iqbal come si svolge la giornata. All’alba la moglie di Hussain Khan porta
un po’ di pane secco e lenticchie ai bambini: Alì, il più piccolo di tutti; Salman, un bambino
di dieci anni un po’ burbero che ha già lavorato nelle fornaci; Fuscello, fragile e cagionevole;
Maria, piccola e minuta che si rifiuta di parlare dal giorno in cui è arrivata.
Dopo la colazione inizia la giornata di lavoro che dura 14 ore. Le teste calde vengono
incatenate al telaio, in modo che non possano fuggire; per questo sulle gambe di molti
bambini si notano cicatrici orrende e piene di pus. Sul telaio di ogni bambino è fissata una
lavagnetta con scritto l’ammontare del debito contratto dalla famiglia.
Alla fine di ogni giornata, se è soddisfatto del lavoro, il padrone sottrae all’importo una rupia,
l’equivalente del salario per il lavoro svolto. In teoria, estinto il debito, il bambino-schiavo è
nuovamente libero e può tornare a casa. In teoria, però. Perché non succede mai che
qualcuno riesca a lavorare tanto da cancellare il debito contratto, ripagare gli interessi e
riacquistare la libertà.
Le condizioni di vita dei bambini-schiavi sono disumane anche per altri motivi. Ad esempio,
sono costretti a lavorare anche quando sono ammalati, cosa che accade spesso a causa
della denutrizione e delle pessime condizioni igieniche in cui vivono; dormono tutti nella
stessa stanza; condividono un solo gabinetto malsano e puzzolente; per punizione vengono
rinchiusi in una cisterna sotterranea – la Tomba – infestata da insetti e scorpioni.
L’arrivo di Iqbal sconvolge lo stato di fatto, non solo perché non dimostra alcuna paura del
padrone, gli risponde, subisce le punizioni senza spezzarsi, ma soprattutto perché non
rinuncia a sognare, a lottare per il riscatto, a desiderare una nuova prospettiva di vita. Di
sera, racconta ai compagni cose molto interessanti; li fa riflettere sul perché i padroni hanno
molto potere e i bambini non valgono nulla; insinua in loro l’idea della fuga e del diritto alla
libertà.
Nel frattempo Hussain si rende conto che in fabbrica nessuno è abile e veloce a tessere
quanto Iqbal. Per questo gli assegna la realizzazione di un tappeto dal disegno molto
difficile, che deve essere venduto a importanti compratori cinesi. Di fronte ai compratori,
Hussain e la moglie si mostrano molto affezionati ai bambini, ma Iqbal non ci sta: con un
coltellino distrugge il pregiatissimo tappeto e si guadagna la reclusione nella Tomba. Non
tutto il male viene per nuocere perché, per la prima volta, i bambini solidarizzano con chi è
punito: tutte le notti vanno a trovare Iqbal e fanno a turno per alleviare il suo dolore.
Uscito dalla Tomba, Hussain ordina a Iqbal di ricominciare il tappeto che ha distrutto. Iqbal
si mostra tranquillo, preciso, abile e veloce; ciononostante Hussain è nervoso e sospettoso.
Iqbal non ha perso la speranza di fuggire e promette a Fatima che in primavera avrebbero
tutti giocato con l’aquilone.
L’occasione di fuga si presenta presto. Forzato la finestrella del bagno, Iqbal scappa e va al
mercato, dove assiste ad una manifestazione del Fronte per la liberazione dalla schiavitù
del lavoro minorile, osteggiata dai mercanti. Iqbal prende un volantino, si fa coraggio e invita
alcuni appartenenti alle forze dell’ordine nella ditta di Hussain per mostrare loro le condizioni
in cui vivono i bambini-schiavi. Interrogato dagli agenti, Hussain nega ogni accusa e
corrompe i poliziotti.
Iqbal è nuovamente rinchiuso nella Tomba arroventata e viene lasciato sei giorni senza cibo
né acqua. Uscito dalla Tomba, chiede a Maria – l’unica che sa leggere – di leggere il
volantino e agli altri bambini di aiutarlo a fuggire di nuovo.
Durante la seconda fuga Iqbal riesce a rintracciare Eshan Khan, il capo del Fronte, a
parlargli di Hussain e a tornare in fabbrica con dei funzionari delle forze governative. Questa
volta Hussain viene arrestato insieme a sua moglie. I bambini, compreso Iqbal, vengono
momentaneamente accolti nei locali del Fronte in attesa di rintracciare le loro famiglie. Qui,
dopo tanti anni di lavoro, possono lavarsi, mangiare e finalmente giocare con gli aquiloni.
Iqbal, pur essendo legato alla sua famiglia, ritiene che la lotta contro le prevaricazioni sia
più importante di tornare a casa. Conoscendo gli indirizzi e le condizioni di lavoro in altre
fabbriche di tappeti, rimane al Fronte e aiuta Eshan Khan a liberare molti altri bambini-
schiavi. Una spedizione si rivela particolarmente difficile e pericolosa: in una fornace di
mattoni Iqbal e gli attivisti sono minacciati dal padrone che tira fuori la pistola e inizia a
sparare contro di loro.
Iqbal ed Eshan Khan diventano ben presto famosi ovunque. A Iqbal viene conferito il premio
Gioventù in azione; a Boston gli viene assegnata una borsa di studio perché il suo sogno di
diventare un avvocato possa realizzarsi; in Svezia prende parola nel corso di una
conferenza internazionale sui problemi del lavoro minorile.
Nel frattempo, Fatima, ormai orfana dei genitori e senza casa, emigra in Europa col fratello
maggiore. Maria rimane ospite del Fronte.
Siamo a ridosso delle festività pasquali. Iqbal decide di far visita alla famiglia, prima di
ripartire alla volta degli Stati Uniti. Mentre sta risalendo il viottolo verso casa, in piedi sui
pedali della bici, viene ucciso da colpi di arma da fuoco sparati da una Jeep. È il 16 aprile
1995.

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