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Campisano Editore
Atti del Convegno Internazionale La cultura del restauro.
Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte,
a cura di Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva
(Roma, Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme -
Università La Sapienza, 18-20 aprile 2013)
© copyright 2013 by
Campisano Editore Srl
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Tel +39 06 4066614 - Fax +39 06 4063251
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www.campisanoeditore.it
ISBN 978-88-98229-17-8
La cultura del restauro
Modelli di ricezione
per la museologia e la storia dell’arte
a cura di
Maria Beatrice Failla
Susanne Adina Meyer
Chiara Piva
Stefania Ventra
Campisano Editore
Testo realizzato con il contributo del PRIN (Ricerca di
Rilevante Interesse Nazionale del Ministero dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca) per il progetto “Cultura
del restauro e restauratori, modelli di ricezione per
la museologia e la storia dell’arte antica e moderna.
Un archivio informatizzato”, coordinatore scientifico
nazionale Michela di Macco, Sapienza Università di Roma.
In copertina
Mauro Pelliccioli e Ettore Modigliani, 1934,
ritaglio di giornale, Lurano (BG), Associazione
Giovanni Secco Suardo, Archivio Mauro Pellicioli
Indice
pag. 9 Prefazione
Maria Beatrice Failla, Susanne Adina Meyer, Chiara Piva, Stefania Ventra
12 Riflessioni in introduzione
Michela di Macco
APPARATI
703 Gli autori
709 Indice dei nomi
a cura di Maria Maddalena Radatti
Restaurare con l’“occhio del tempo”: i frammenti di Piranesi
Valter Curzi
«Sono già qui da sette giorni, e a poco a poco si precisa nel mio animo un’idea ge-
nerale di questa città. La percorriamo in ogni senso con scrupolo; io mi familiarizzo
con la topografia dell’antica e della nuova Roma, osservo rovine e edifizi, esploro que-
sta e quell’altra villa, lentamente m’accosto alle maggiori bellezze e non faccio che
aprire gli occhi e guardare, che andare e venire, giacché solo a Roma ci si può prepara-
re a comprendere Roma. Ma confessiamolo è una dura e contristante fatica quella di
scovare pezzetto per pezzetto, nella nuova Roma, l’antica: eppure bisogna farlo, fidan-
do in una soddisfazione finale impareggiabile» 1.
Roma antica appare agli occhi di Goethe, entusiasta esploratore dopo l’arri-
vo in città nel novembre del 1786, in uno stato frammentario che chiede all’e-
rudizione e alla cultura visiva dello scrittore il considerevole sforzo della ri-
composizione del disegno unitario.
La produzione calcografica di Giovanni Battista Piranesi, all’apice del suc-
cesso commerciale per quanto concerne il repertorio delle immagini di Roma,
fu – non abbiamo motivo di dubitarne – parte integrante del bagaglio visivo
con cui il poeta si apprestò a scoprire l’Urbe 2; ma c’è, a mio avviso, dell’altro:
all’educazione dell’occhio di Goethe sulle incisioni di Piranesi dovrà riferirsi
in particolare l’inclinazione del poeta a osservare, fin da subito, la città nella
sua stratificazione storica a partire dalle epoche più antiche. Città di relitti, di
vestigia e lacerti, di “rovine parlanti” come le definisce lo stesso giovane Pira-
nesi, principale artefice di un immaginario collettivo che percepisce Roma,
nell’avanzato Settecento, come superbo accumulo di reliquie del passato.
Non c’è frontespizio delle raccolte incisorie di Piranesi, nell’arco della sua
intera carriera, che non rinvii allo sguardo dell’autore su una città in cui i segni
di una storia gloriosa riemergono dal caos della massa dei frammenti 3. Non di
un’immagine struggente e malinconica si tratta, ma della certificazione di un
dato di partenza da cui lo stesso incisore muove con un’operazione che ha pri-
ma di tutto il compito di restituire ordine e chiarezza. Quale che sia il soggetto
scelto da Piranesi per le sue incisioni, l’autore da autentico rappresentate dello
spirito illuminista, si pone nell’ottica di chi con fiducia restituisce sistematicità
al disordine attraverso uno scrupoloso e attento lavoro di documentazione, di
catalogazione, di studio e, quando necessario, di interpretazione.
Nell’introduzione del 1762 alla raccolta di incisioni di Campo Marzio, l’ope-
ra più erudita di Piranesi e al tempo stesso lo sforzo più significativo nell’am-
134 VALTER CURZI
bito della restituzione storica della città antica, l’incisore veneziano si rivolge a
Robert Adam, didicatario del volume, con le seguenti parole:
«posso con verità protestarvi, non esservi stata parte così picciola del Campo, la
quale io non abbia più volte e con attenzione esaminata, avendo anche, affinché nulla
vi sfuggisse, visitato non senza incomodo e spesa gl’intimi sotterranei della case» 4.
Una perlustrazione, quella segnalata da Piranesi all’amico scozzese, finaliz-
zata alla raccolta di rilievi e disegni da sottoporre, come ricordato dallo stesso
autore, all’attenzione di «soggetti intendentissimi di antichità».
Dalla testimonianza di Piranesi se ne desume una metodologia di ricerca fa-
miliare allo stesso Adam che con il veneziano aveva condiviso, una decina di
anni prima dell’uscita del volume nel corso del lungo soggiorno romano del-
l’architetto, la perlustrazione palmo a palmo di Roma, oltre che della Villa di
Adriano a Tivoli. Ne era scaturita, per entrambi, una mole significativa di dise-
gni tratti dai monumenti antichi visitati. Un repertorio che amatori dell’antico
e studiosi, dopo l’esperienza belloriana, ritengono indispensabile e alla base di
ogni pratica conoscitiva, messi a confronto con il più ampio numero di fonti
dei secoli precedenti sia letterarie, sia grafiche.
Adam, destinato in Inghilterra a una brillantissima carriera di architetto,
ben più fortunata di quella di Piranesi, aveva peraltro potuto dimostrare, mol-
to prima della progettazione piranesiana degli anni Rezzonico, ma di certo su
sollecitazione dello stesso incisore, quale risorsa impareggiabile una tale rac-
colta avrebbe potuto costituire per la professione. Lo scozzese non avrebbe
mai smesso di ispirarsi a quei fogli accumulati negli anni romani per i partiti
decorativi dei suoi edifici, secondo un infinito gioco combinatorio di motivi e
soluzioni ornamentali 5. In definitiva, la ricerca di un sistema compositivo uni-
tario che sfrutta il singolo elemento, il dettaglio tratto dall’antico, in una gram-
matica nuova che, nonostante le non poche deroghe e contraffazioni dell’ar-
chitetto, apparì agli occhi dei contemporanei, nel momento della messa in
opera, quanto di più vicino si potesse immaginare ai nobili interni degli edifici
romani imperiali 6.
Nel caso di Campo Marzio le fonti di riferimento di Piranesi – definito non
a caso pochi anni dopo da Legrand «homme d’une grande Erudition, qui pos-
sédait à fond ses ancien auteurs» 7 – sono numerosissime, a partire dalle più
antiche riconducibili ai nomi di Plinio, Varrone, Tito Livio, Cicerone, Sveto-
nio, Marziale, Tacito, Virgilio, Ovidio, Vitruvio, Frontino. I frammenti della
pianta marmorea severiniana, da poco sistemati in Capidoglio, costituiscono
inoltre un ulteriore strumento di grande utilità per la ricostruzione della topo-
grafia antica dell’area. Nonostante studi e sopralluoghi, non mancano nella ri-
costruzione di Campo Marzio di Piranesi numerose incongruenze frutto di
un’immaginazione ritenuta del tutto legittima nella ricerca archeologica del
Settecento. Immaginazione e cultura visiva dell’epoca sopperiscono la man-
canza dei dati archeologici in una commistione di verità e di invenzione, non
distante dall’esperienza progettuale di Adam, della quale sembra non avvertir-
si in alcun modo la contraddizione.
RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 135
1. Francesco Bianchini, Girolamo Rossi, Ricostruzione dei Palazzi Imperiali, in Francesco Bianchini,
Del Palazzo de’ Cesari, Verona 1738
aveva raccomandato l’autore, dal momento che egli osserva: «Nuovi pezzi
escano di giorno in giorno di sotto le rovine e nuove cose ci presentano ben
capaci di fecondare e imbizzarrire le idee di un artefice riflessivo e pensan-
te» 15. L’esplicito richiamo alla libertà creativa dell’artista, da tempo rivendica-
ta da Piranesi e peraltro sperimentata nella sua recente attività progettuale per
i Rezzonico, doveva tuttavia essere riconsiderato nel momento in cui l’incisore
rese disponibile al mercato antiquario decine e decine di vasi, cippi, candela-
bri, urne pubblicizzati non come pezzi di designer moderno, bensì come “mo-
numenti antichi” particolarmente adatti all’arredo di dimore di gusto classi-
cheggiante 16. Se è innegabile che Piranesi dovette adattarsi alle richieste di una
clientela, per lo più anglosassone, disposta a pagare una cifra ben più consi-
stente per un pezzo ritenuto antico rispetto a un pastiche moderno, risulta di
estremo interesse considerare il fatto che l’antichità dei manufatti del suo ate-
lier non venne per lo più messa in discussione dai suoi contemporanei. Eppure
oggi sappiamo, anche attraverso gli interventi di restauro più recenti che han-
no riguardato il Vaso Boyd del British Museum (fig. 3) o il vaso colossale
dell’Hermitage, che l’intervento manipolativo di Piranesi del pezzo antico è
sostanziale e che le integrazioni moderne sono ben più consistenti dei fram-
menti antichi riutilizzati. Nel caso del vaso dell’Hermitage l’intero corpo è for-
mato da un puteale, o da un’ara, totalmente rilavorata nel Settecento nella de-
corazione a bassorilievo. Nel vaso del museo londinese sono frutto dell’idea
progettuale di Piranesi sia gran parte del sostegno, sia la tazza alla base che il
labbro superiore con le relative decorazioni 17.
Un’operazione dunque, quella di Piranesi, non distante dall’esperienza di
Adam e di Bianchini che abbiamo ricordato. L’idea di una supposta autenti-
cità del pezzo non trova ostacoli significativi in una cultura visiva stratificata
maturata sull’antico, ma anche sul suo riutilizzo nel corso dei secoli. A ciò si
aggiunga la passione dell’epoca per il dettaglio, che assume un valore fonda-
mentale nel recupero della memoria del passato, soddisfacendo lo sfoggio di
erudizione nel rapporto con una sua possibile lettura iconografica vera o pre-
sunta tale. Nelle lunghe didascalie che Piranesi associa alle incisioni del noto
Vasi, candelabri, ogni occasione è buona per dilungarsi in accurate descrizioni
iconografiche, che è facile presumere conferiscano maggior lustro al manufat-
to, rendendolo ancor più appetibile sul mercato. A ciò si aggiunga, infine, la
predilezione, ereditata dall’età barocca, per quella varietas che Piranesi soddi-
sfa pienamente con le sue invenzioni, in un sottile e sapiente equilibrio fra ve-
ro e falso, dove il gusto esuberante per l’ornato così come certe fantasiose so-
luzioni di manici e basamenti sembra perfino risentire dei repertori a uso di
orafi e argentieri.
Piranesi è tuttavia attento a non scoprire le sue carte, così che dosa con
estrema arguzia le informazioni sui suoi interventi, dando anzi al lettore l’im-
pressione che le integrazioni siano ridotte al minimo e siano condotte sempre
nel più assoluto rispetto del pezzo originale, andando incontro, ad evidenza,
alla cultura del restauro antiquario dell’epoca.
Commentando il vaso illustrato nella tavola 43 del volume I ricorda che «il
RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 139
4. Giovanni Battista Piranesi, Nike, in Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne e ornamenti
antichi, Roma 1778
ivi collocati con simmetria tale, che il lavoro moderno da me intrapreso, e che
racchiude il lavoro antico, forma una connessione che fa sembrare il tutto pro-
veniente dalla stessa antichità. E avendone voi o signore di due di essi fatta la
scelta [...] avete con tale acquisto dimostrato di avere approvato la loro com-
posizione. Avete poi voluto non solo acquistare le mie opere fin’ora pubblica-
te, ma anche qualche altro pezzo di antichità del mio Museo, per cui vi siete
caratterizzato appresso di tutti per Uomo di gusto» 20.
I coniugi Walter si erano in effetti rivelati suoi grandi estimatori tramite l’ac-
quisto nel 1771 di ben tre vasi antichi, due mostre di camino, ancora oggi collo-
cate a Gorhamury House, e una serie di disegni di straordinaria qualità 21. In
uno di questi ultimi che raffigura un maestoso mausoleo antico, campeggia in
primo piano il tripode piranesiano dei Musei Vaticani, opportunamente ingi-
gantito nel disegno 22. Entra dunque da protagonista nella veduta antica ideata
da Piranesi un oggetto del suo atelier a documentare l’indole dell’artista che
opera per vanificare la forza distruttrice del tempo.
NOTE
1
Cfr. le annotazioni datate 7 novembre 1786 in J. W. Goethe, Italienische Reise, ed. it. cons. Viag-
gio in Italia, Milano, 1983, p. 143.
2
Nel diario romano le vedute di Piranesi vengono ricordate da Goethe in due occasioni, sottoli-
neandone la capacità di trasfigurare l’aspetto monumentale delle vestigia antiche. Ibidem, pp. 506, 615.
3
Si vedano, in particolare, i frontespizi di Prima parte di Architetture e prospettive inventate ed in-
cise da Gio. Batt.a Piranesi architetto veneziano dedicate al Sig. Nicola Giobbe, Roma, Edizione fratelli
Pagliarini, 1743; Le Antichità Romane opera di Giambattista Piranesi architetto veneziano divisa in
quattro tomi..., Vol. I, Roma, Bouchard e Gravier, 1756; Antichità d’Albano e di Castel Gandolfo de-
scritte ed incise da Giovanbattista Piranesi, Roma 1764. Ai testi citati si aggiungano inoltre i due fron-
tespizi autografi dell’edizione postuma della Vedute di Roma disegnate ed incise da Giambattista Pira-
nesi architetto veneziano, Roma 1778 e la Scenoghaphia Campi Martii edita nel 1762.
4
Cfr. Introduzione a Il Campo Marzio dell’antica Roma opera di G. B. Piranesi socio della Real So-
cietà degli antiquari di Londra, Roma 1762. Sull’opera in questione si veda inoltre: J. Connors, Pirane-
si and the Campus Martiu: the Missing Corso; Topography and Archaeology in Eighteenth-Century Ro-
me, ed. it cons. Milano 2011.
5
A. Uguccioni, Piranesi e Robert Adam un confronto di immagini, in «Labyrinthos», 7/8 (1988/89),
13-16, pp. 389-360; A. A. Tait, Drawings and Imagination, Cambridge 1993; V. Curzi, La tradizione
del classico come legittimazione culturale e politica: modelli della pittura romana antica in Inghilterra e
Russia, in Roma e l’Antico. Realtà e visione nel ’700, Catalogo della Mostra a cura di C. Brook e
V. Curzi (Roma, Fondazione Roma Museo 30 novembre 2010 - 6 marzo 2011) Milano 2010, pp. 197-
206.
6
Oltre ai numerosi disegni pervenutici, in gran numero conservati nel Soane Museum di Londra,
rimane un repertorio significativo dell’utilizzo di tali repertori nelle tavole incise dei tre volumi The
Works in Architecture of Robert and James Adam editi nel 1778, 1779 e 1822.
7
Cfr. le Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.-B. Piranesi di J. G. Legrand (1799) edite a
cura di G. Erouat e M. Mosser in Piranèse et les français, Atti del Convegno Internazionale di Studi
(Roma, 1976), Roma 1978, pp. 220-249, in part. p. 222.
8
F. Bianchini, Del Palazzo de’ Cesari, Verona, per Pierantonio Berno, 1738 (per il volume si veda la
scheda di catalogo di A. M. Riccomini, in La Roma antica e moderna del cardinale Giulio Alberoni,
Catalogo della Mostra a cura di D. Gasparotto (Piacenza, Palazzo Galli 30 novembre 2008 - 25 gen-
naio 2009), Piacenza 2008, pp. 204-205). Sul rapporto, ben documentato, tra Piranesi e Bianchini:
M. Bevilacqua, Roma di Piranesi. Vedute della città antica e mederna, in La Roma di Piranesi. La città
del Settecento nelle grandi vedute, Catalogo della Mostra a cura di M. Bevilacqua e M. Gori Sassoli
(Roma, Museo del Corso 14 novembre 2006 - 25 febbraio 2007), Roma 2006, pp. 39-60, in particola-
re pp. 50-51.
RESTAURARE CON L’“OCCHIO DEL TEMPO”: I FRAMMENTI DI PIRANESI 141
9
P. Coen, Giovanni Battista Piranesi mercante d’arte e di antichità, “connessione fra lavoro antico e
lavoro moderno”, in Roma e l’Antico..., cit., pp. 65-70.
10
M. Barbanera, Dal testo all’immagine: autopsia delle antichità nella cultura antiquaria del Sette-
cento, in Roma e l’Antico..., cit., pp. 33-38; P. N. Miller, Piranesi and the antiquarian imagination, in
Piranesi as designer, Catalogo della Mostra a cura di S. H. Lawrence (New York, Cooper-Hewitt Mu-
seum of Decorative Arts and Design 14 settembre 2007 - 20 gennaio 2008; Haarlem, Teylers Mu-
seum, 9 febbraio - 18 maggio 2008), New York 2007, pp. 122-137.
11
G. Fusconi, Da Bartoli a Piranesi; spigolature dai Codici Ottoboniani Latini della raccolta Ghezzi,
in «Xenia antiqua», (1994), 3, pp. 145-172; G. Fusconi, A. Moltedo, Pier Leone Ghezzi, un incisore
ignoto e l’edizione delle Camere Sepolcrali, in E. Debenedetti, a cura di, ’700 disegnatore, incisioni,
progetti, caricature, «Studi sul Settecento Romano», 13, Roma 1997, pp. 141-160.
12
Cit. in J. Scott, Some sculpture from Hadrian’s Villa, Tivoli, in Piranesi e la cultura antiquaria, Atti
del Convegno (Roma, 14-17 novembre 1979), Roma 1983, pp. 339- 355, in particolare p. 341.
13
Lettera di Vincenzo Brenna a Charles Townley, Roma, 20 febbraio 1770, edita in “Il mio singolar
piacere”, in L. Tedeschi, a cura di, 18 missive di Vincenzo Brenna a Charles Townley e a Stanlislaw K.
Potocki, in La cultura architettonica italiana in Russia da Caterina II a Alessando I, Atti del Convegno
Internazionale di Studi (Ascona, Venezia 2001), Mendrisio 2008, p. 464-465.
14
G. Piranesi, Diverse Maniere d’adornare i Cammini ed ogni altra parte degli edifizi, Roma, Stam-
peria Salomoni 1769. Per un’analisi dettagliata dell’opera piranesiana si veda, in particolare, R. Batta-
glia, Le “Diverse maniere d’adornare i cammini...” di Giovanni Battista Piranesi: gusto e cultura anti-
quaria, in «Saggi e memorie di storia dell’arte», 19 (1994), pp. 191-273.
15
G. Piranesi, Diverse Maniere..., cit., p. 33.
16
G. Piranesi, Vasi, candelabri, cippi, sarcophagi, tripodi, lucerne e ornamenti antichi, Roma 1778.
Sugli acquisti inglesi di opere di Piranesi si veda il capitolo Piranesi in J. Scott, The Pleasures of Anti-
quity, New Haven 2003, pp. 104-107.
17
Per il vaso dell’Hermitage si veda la scheda di catalogo di A. Trofimova in Roma e l’Antico..., cit,
p. 425. Il resoconto puntuale e dettagliato del restauro del grande cratere del British Museum si trova
in: E. Miller, The Piranesi Vase, in W.A. Oddy, a cura di, The Art of the Conservator, Londra 1992, pp.
122-136.
18
La didascalia ricorda che il vaso, con maschere sceniche, fu rinvenuto nel 1772 negli orti del
Quirinale dei Padri della Missione e acquistato da Pio VI per il Museo Pio-Clementino. Cfr. Vasi, can-
delabri, cippi..., cit., vol. II, tav. 60.
19
Ibidem, vol. II, tavv. 64-65.
20
Ibidem, vol. I, tav. 90.
21
J. Ingamells, A Dictionary of British and Irish Travellers in Italy 1701-1800, New Haven e Lon-
don 1997, ad vocem, Walter, Edward. I due camini in questione sono riprodotti in J. Wilton-Ely, Gio-
van Battista Piranesi 1720-1778, Milano 2004, II ed. cons 2008, pp. 129-130. Per i disegni si veda
A. Bettagno, a cura di, Disegni di Giambattista Piranesi, Venezia 1978, pp. 58-61.
22
Il tripode venne realizzato servendosi di sostegni antichi riutilizzati come acquasantiere nella
chiesa di S. Maria della Stella a Albano. Sull’opera si veda la scheda di catalogo di P. Liverani in Il
Settecento a Roma, Catalogo della Mostra a cura di A. Lo Bianco e A. Negro (Roma, Palazzo Venezia,
10 novembre 2005 - 2 febbraio 2006), Milano 2005, pp. 300-301. Per il disegno si rinvia alla scheda in
A. Bettagno, a cura di, Disegni..., cit., p. 60.