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1 Capitolo 6.

Processamento dell’antigene e presentazione ai lin-


fociti T
Le caratteristiche più importanti del riconoscimento antigenico da parte dei linfociti T sono:

• Riconoscimento (quasi) esclusivo di strutture peptidiche. I linfociti B sono invece in grado di


riconoscere peptidi, proteine, acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e piccole molecole.
• Riconoscimento di specifiche sequenze peptidiche. I linfociti B riconoscono invece strutture
molecolari tridimensionali; i linfociti T sono quindi in grado di discriminare tra antigeni diversi
anche per un solo aminoacido.

• Totale dipendenza dalle APC. I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle molecole
MHC espresse dalle APC.
• Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self
MHC. La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin-
fociti che esprimono recettori per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono
queste molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte
integrante dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self:
questo processo è alla base del rigetto dei trapianti.
• I linfociti CD4+ riconoscono MHC II, i linfociti CD8+ riconoscono MHC I. La ragione è che CD4
lega direttamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I.

• I CD4+ legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i CD8+ legano
soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel pathway seguito dalle APC
per presentare questi due tipi di antigeni.
Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato per gli antigeni
lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il
compito di presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristretta.

1.1 APC
Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta
antigene specifica di queste cellule richiede la partecipazione delle APC che catturano, trasformano e
presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T:
• Convertono antigeni proteici in peptidi e li presentano associati come complessi MHC. La conver-
sione prente il nome di processing.

• Alcune APC forniscono stimoli accessori per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per
una piena risposta dei linfociti, specialmente i CD4+ naive.
La funzione di presentazione è stimolata dall’esposizione a prodotti microbici. Le cellule dendritiche e
i macrofagi esprimono TLR che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costi-
molanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macrofagi
attivati esprimono recettori per chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione.
Per indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico per via sperimentale è necessario
somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti. Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o
sostanze che ne mimano le caratteristiche.
Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche
sono le più efficaci nell’attivare i naive CD4+ e CD8+ . I macrofagi presentano antigeni ai CD4+ già
differenziati (effettori) mentre i linfociti B presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte
umorali. Cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e possono
dunque attivare i linfociti T CD4+ : sono pertanto definite APC professionali.

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1.1.1 Presentazione ai linfociti T naive
Le cellule dendritiche sono presenti in quasi tutti i tessuti e si identificano per le proiezioni membra-
nose. Tutte queste cellule probabilmente nascono da precursori midollari e quasi tutte sono legate alla
linea dei fagociti mononucleati. Il prototipo di cellula dendritica epiteliale è la cellula di Langerhans
dell’epidermide: queste cellule occupano fino al 25% della superficie dell’epidermide pur essendo l’%
del totale. Normalmente queste cellule sono in condizione di riposo; in risposta all’incontro di un com-
ponente microbico queste cellule maturano mentre migrano ai linfonodi diventando efficaci APC. Le
cellule dendritiche mature risiedono nella zona T del linfonodo, dove presentano gli antigeni ai linfociti
T.
Le risposte dei CD4+ iniziano nei tessuti linfoidi periferici, dove gli antigeni vengono trasportati
dopo essere stati catturati. Le APC immature esprimono recettori di membrana che legano i microbi:
grazie a questi riescono a catturare e processare l’antigene. Le cellule dendritiche attivate perdono
la loro aderenza per gli epiteli e iniziano ad esprimere il recettore per chemochine CCR7: questo le
farà guidare verso la zona T del linfonodo (era lo stesso recettore che guidava i linfociti T naive verso
la regione corretta). Il legame con l’antigene converte le cellule dendritiche da cellule la cui funzione
è catturare a cellule la cui funzione è presentare gli antigeni: le cellule dendritiche attivate esprimono
alti livelli di molecole MHC II.
Le cellule dendritiche sono le migliori APC per via di alcune loro caratteristiche:

• Sono strategicamente posizionate lungo le più comuni vie di ingresso di patogeni.


• Esprimono recettori utili a legare i microbi.
• Migrano di preferenza nelle stesse regioni di linfonodo all’interno delle quali circolano i linfociti T
naive.

• Esprimono ad alti livelli i costimolanti.


Gli antigeni possono arrivare al linfonodo anche in soluzione nel plasma: una volta a destinazione
verranno processati dai macrofagi e dalle cellule dendritiche residenti.
Il processo di accumulo degli antigeni è potenziato da due accorgimenti anatomici. Il primo è rap-
presentato dalle collezioni di tessuto linfoide secondario che caratterizzano le superfici mucosali dei
tratti GI e respiratorio; le collezioni di tessuto definite in modo più chiaro sono le placche del Peyer
dell’intestino e le tonsille faringee. Il secondo accorgimento è il costante controllo del sangue da parte
della milza, all’interno della quale risiedono APC apposite.
Le cellule dendritiche possono ingerire cellule infette o tumorali e presentare gli antigeni di queste
cellule ai linfociti T CD8+ . Le cellule dendritiche hanno la speciale abilità di ingerire queste cellule e di
presentarne gli antigeni su molecole MHCI: questa via è diversa dalla solita (normalmente le sostanze
fagocitate finiscono su MHCII e riconosciute dai CD8+ ) e prende il nome di cross-presentazione.

1.1.2 Presentazione ai linfociti T differenziati


Nell’immunità cellulomediata i macrofagi presentano gli antigeni delle cellule fagocitate ai linfociti T
differenziati, i quali attivano i macrofagi per uccidere i microbi. I monociti circolanti sono in grado
di migrare ai siti di infezione dove differenziano in macrofagi per fagocitare e distruggere i microbi. Le
cellule CD4+ amplificano le attività microbicide. Quasi tutti i macrofagi esprimono MHC II a bassi livelli
insieme ai costimolanti: questi livelli vengono aumentati dall’interferone gamma.
Nelle risposte umorali i linfociti B internalizzano gli antigeni proteici solubili e li presentano ai
linfociti T helper: questa funzione è necessaria per la produzione di anticorpi dipendente dagli Helper.
Tutte le cellule nucleate possono presentare peptidi (derivanti da antigeni proteici citosolici) associati
a MHCI e attivare così i linfociti T CD8+ : tutte le cellule nucleate esprimono infatti MHC I. Per il
sistema immunitario è fondamentale infatti la possibilità di riconoscere antigeni citosolici contenuti
all’interno di qualsiasi tipo di cellula. Le cellule endoteliali vascolari esprimono inoltre MHC II e possono
presentare antigeni alle cellule T in aderenza alle pareti.

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1.2 Biologia del processamento antigenico
Le vie di processamento e presentazione non sfruttano alcun organello cellulare esclusivo: le vie di
presentazione, sia MHCI che MHCII, sono dunque adattamenti di funzioni cellulari di base.
Gli antigeni proteici presenti nelle vescicole acide delle APC generano peptidi MHCII-associati mentre
gli antigeni citosolici generano peptidi MHCI-associati. Questa segregazione delle vie è dovuta alla
completa separazione nella biosintesi delle molecole MHCI e MHCII.

1.2.1 Processamento per la presentazione MHC II

La generazione dei peptidi per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede la degradazione
proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita.
• Endocitosi delle proteine extracellulari nelle vescicole dell’APC

Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali per riconoscere
strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori per la porzione Fc degli an-
ticorpi e recettori per la proteina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni
proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a
pH acido che contengono enzimi proteolitici.

• Processamento delle proteine all’interno di endosomi e lisosomi


La degradazione delle proteine nelle vescicole è mediata dalle proteasi contenute, le quali lavorano ot-
timamente al basso pH di queste strutture. Molti enzimi differenti partecipano alla degradazione: le
più abbondanti proteasi sono catepsine, enzimi ad ampio spettro d’azione. Raramente proteine cito-
plasmatiche e di membrana possono entrare in questa via: di solito si tratta di digestioni enzimatiche
dei componenti citoplasmatici, cioè si tratta di autofagia. In questi casi particolari le proteine vengono
intrappolate in vescicole derivanti dal RE chiamate autofagosomi, vescicole fuse poi con i lisosomi.
• Biosintesi e trasporto di MHCII agli endosomi
Le molecole MHC II vengono sintetizzate nel RE e trasportate agli endosomi in associazione ad una
proteina detta catena invariante (Ii ) che occupa le sedi di legame con il peptide. Le catene α e β delle
molecole MHC II vengono sintetizzate in maniera coordinata e si associano tra loro nel RE. I dimeri
nascenti sono strutturalmente instabili e il loro folding viene assistito dalle chaperonine. La catena
invariante si associa ai dimeri sempre all’interno del RE; questa molecola si trova in una posizione tale
da impedire alle nuove molecole di legare antigeni eventualmente presenti nel RE. La catena invariante
promuove inoltre il folding corretto e dirige le molecole neoformate verso gli endosomi e i lisosomi.
Le molecole di MHC II vengono a questo punto secrete dal Golgi all’interno di vescicole dirette agli
endosomi: queste si fonderanno poi insieme con il risultato che le molecole a questo punto si troveranno
nella stessa vescicola che contiene i peptidi generati dalla proteolisi. La fusione delle vescicole porta

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alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa
struttura contiene tutto quello che serve per l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIIC
sono dunque
1. Enzimi proteolitici
2. Molecole MHCII

3. Catena invariante Ii
4. Peptidi di derivazione antigenica
5. Molecola HLA-DM

• Associazione dei peptidi alle molecole MHC II

All’interno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecola
HLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invari-
ante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancora
in grado di bloccare il legame con i peptidi. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questa
molecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differenze:
non è polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla superficie cellulare. In
breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il peptide
digerito.
Le molecole di MHCII presentano una sede aperta di legame peptidico, per questo grandi peptidi o
anche proteine intere possono legarsi e venire poi tagliate alla lunghezza giusta per il riconoscimento:
il risultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi.
• Espressione dei complessi sulla superficie
Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il peptide, e questi complessi vengono ind-
irizzati alla superficie per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate
possono essere poste all’esterno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi comp-
lessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infatti
un meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è possibile dunque che
i linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattutto molecole self? Questo è possibile perchè
i linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anche
meno di cento, per generare una risposta specifica; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di
tutti i complessi espressi. Come è possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self
presentate? Questa seconda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole
self non esistono normalmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo.

1.2.2 Processamento per la presentazione MHC I

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I peptidi associati a MHCI sono prodotti per degradazione di proteine citosoliche: vengono poi
trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti.
• Fonti di antigeni citosolici
Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari. Nelle cellule tumorali
molti geni possono produrre proteine antigeniche che vengono riconosciute da CTL MHC I ristretti.

• Degradazione proteolitica delle proteine citosoliche


Il meccanismo principale di degradazione è la proteolisi ad opera del proteasoma. Il proteasoma è
un complesso enzimatico multiproteico che si trova nel citoplasma della maggior parte delle cellule.
Esistono varie forme di proteasoma, uno semplice da sette subunità e 700kD e uno più grande, da
1500kD, probabilmente il più importante per questi scopi. Due subunità catalitiche presenti in molti
dei proteasomi da 1500kD sono codificate nel MHC e prendono il nome di LMP2 e LMP7. Il protea-
soma ha funzione housekeeping in quanto degrada le proteine danneggiate, non correttamente foldate
o ormai inutili: tutte questi bersagli di degradazione vengono marcati dall’ubiquitina. L’interferone
gamma aumenta la trascrizione e la sintesi di LMP2 e LMP7, aumentando dunque l’attività del pro-
teasoma: in questo modo aumenta l’efficacia della presentazione antigenica. Il fatto che questa via di
presentazione sfrutti il proteasoma è un esempio dell’adattamento a funzioni immunitarie di strutture
già esistenti. In aggiunta al metodo del proteasoma esistono antigeni proteici che apparentemente non
richiedono questo enzima e nemmeno ubiquitinazione: probabilmente esistono altre vie non meglio
definite che sfruttano direttamente il RE.
• Trasporto dei peptidi dal citosol al RE

Due geni all’interno del MHC codificano proteine che mediano il trasporto ATP dipendente di composti
a basso peso molecolare attraverso lemembrane cellulari. Questi geni in particolare codificano per due
catene di un eterodimero detto trasportatore associato al processing dell’antigene (TAP). La proteina
TAP si trova sulla membrana del RE dove media il trasporto dei peptidi: l’optimum si ha per il trasporto
di catene lunghe da sei a trenta aminoacidi, perfette per il legame con l’MHC. Sul lato luminale del RE,
TAP è legata in maniera non covalente alle neomolecole MHCI da una proteina linker detta tapasina:
le molecole di MHC sono dunque nella posizione migliore per ricevere i peptidi.
• Assemblaggio dei complessi nel RE
La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con
il peptide. Le catene α e β2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie
chaperonine. All’interno del reticolo i dimeri scarichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina;
a seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corretta
da parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il peptide a
questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene
trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di peptide i dimeri sono instabili e non possono essere
trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a degradazione in situ.

• Espressione superficiale dei complessi


I complessi in uscita dal RE vengono mobilitati sulla membrana grazie all’esocitosi di vescicole. Una
volta posti nella sede definitiva i complessi vengono riconosciuti dai linfociti CD8+ .

1.3 Significato della presentazione in complessi


Le vie di presentazione di classe I e II esplorano le proteine disponibili per la presentazione ai linfociti
T; la maggior parte di queste proteine sono self: quelle estranee sono relativamente rare. I linfociti
esaminano tutte le molecole presentate in cerca di quelle esterne per rispondervi attivamente. Le
molecole di MHC controllano sia lo spazio extracellulare che quello citosolico, in quanto i microbi
possono risiedere in entrambe le sedi.
La presentazione delle proteine vescicolari o citosoliche da parte dell’MHC II o I rispettivamente
determina quale sottogruppo delle cellule T risponderà a quei determinati antigeni. Gli antigeni extra-
cellulari seguono solitamente il pathway dell’MHC II e attivano quindi i linfociti T CD4+ : queste cellule

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funzionano come aiutanti per stimolare i meccanismi effettori, quali anticorpi e fagociti. Gli antigeni
intracellulari invece sono inaccessibili ad anticorpi e fagociti e stimolano una via diversa: vengono
caricati su MHC I e stimolano i linfociti T CD8+ , la cui funzione è uccidere la cellula che li ha attivati.
Questa via garantisce che qualsiasi cellula, poichè MHC I viene espresso in ogni cellula nucleata, possa
impedire la diffusione di microbi facendosi eliminare dal sistema immunitario.
La specificità dei linfociti T è essenziale alle loro funzioni, in gran parte mediate da interazioni dirette
tra cellule o da citochine a breve raggio. Le APC non solo presentano gli antigeni ai linfociti T ma sono
anche il bersaglio delle loro funzioni effettrici: ad esempio i macrofagi presentano l’antigene ai CD4+ i
quali li attivano consentendo loro di distruggere il microbo.
Le molecole di MHC determinano l’immunogenicità di un antigene in due modi:
• Immunodominanza. Gli epitopi di proteine complesse che generano una risposta più forte nelle
cellule T sono i peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole
di MHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle
cellule T sarà specifica verso uno o due sequenze aminoacidiche dette epitopi immunodominanti.
• Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di particolari alleli MHC II
in un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. I geni della risposta
immunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la
capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici.

1.4 Presentazione di antigeni lipidici delle molecole CD1


Rare popolazioni di linfociti T, detti cellule NK-T, sono in grado di riconoscere antigeni lipidici e gli-
colipidici. Questi linfociti hanno parecchie proprietà strane, ad esempio marker caratteristici sia delle
cellule T che delle NK, e poca diversità nei loro recettori per gli antigeni.
Le cellule NK-T riconoscono lipidi e glicolipidi presentati sulla molecola simil MHCI detta CD1.
Esistono molte varianti di questa molecola, ma seguono tutte la stessa via di presentazione. Le molecole
neosintetizzate caricano lipidi cellulari e li portano sulla superficie cellulare; da qui i complessi CD1-
lipide vanno incontro ad endocitosi in endosomi e lisosomi: le molecole CD1 acquisiscono dunque
lipidi antigenici durante il riciclo e li presentano senza apparente processamento. Le cellule NK-T
svolgerebbero un ruolo in particolare nella difesa dai micobatteri.

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