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• Totale dipendenza dalle APC. I linfociti T riconoscono solamente i peptidi presentati sulle molecole
MHC espresse dalle APC.
• Totale dipendenza dall’MHC. Questa proprietà è alla base della cosiddetta restrizione al self
MHC. La restrizione all’MHC deriva dalla maturazione dei linfociti nel timo; in questa fase i lin-
fociti che esprimono recettori per MHC vengono fatti sopravvivere, quelli che non riconoscono
queste molecole vengono invece eliminati. Questo dimostra come le molecole MHC siano parte
integrante dei ligandi dei linfociti T. Fondamentale è poi la reattività a molecole MHC non self:
questo processo è alla base del rigetto dei trapianti.
• I linfociti CD4+ riconoscono MHC II, i linfociti CD8+ riconoscono MHC I. La ragione è che CD4
lega direttamente la classe due del MHC, mentre CD8 lega la classe I.
• I CD4+ legano soprattutto proteine extracellulari internalizzate dalle APC, mentre i CD8+ legano
soprattutto proteine endogene. La ragione di questa differenza sta nel pathway seguito dalle APC
per presentare questi due tipi di antigeni.
Esiste inoltre un sistema di presentazione antigenico accessorio che è specializzato per gli antigeni
lipidici. La molecola CD1 (simil MHCI nonpolimorfica) viene espressa su molte APC ed epiteli e ha il
compito di presentare i lipidi a una popolazione di cellule T stranamente non MHC-ristretta.
1.1 APC
Tutte le funzioni dei linfociti T dipendono dalle loro interazioni con altre cellule. In generale la risposta
antigene specifica di queste cellule richiede la partecipazione delle APC che catturano, trasformano e
presentano l’antigene. Le APC svolgono due importanti lavori nell’attivazione delle cellule T:
• Convertono antigeni proteici in peptidi e li presentano associati come complessi MHC. La conver-
sione prente il nome di processing.
• Alcune APC forniscono stimoli accessori per i linfociti T: questi costimolanti sono richiesti per
una piena risposta dei linfociti, specialmente i CD4+ naive.
La funzione di presentazione è stimolata dall’esposizione a prodotti microbici. Le cellule dendritiche e
i macrofagi esprimono TLR che rispondono ai microbi aumentando l’espressione dell’MHC e dei costi-
molanti e attivando le APC che producono citochine. In aggiunta le cellule dendritiche e i macrofagi
attivati esprimono recettori per chemochine che ne causano la migrazione ai siti di infezione.
Per indurre una risposta dei linfociti T ad un antigene proteico per via sperimentale è necessario
somministrare anche sostanze chiamate adiuvanti. Gli adiuvanti possono essere prodotti microbici o
sostanze che ne mimano le caratteristiche.
Differenti tipologie cellulari agiscono da APC per attivare i linfociti T naive. Le cellule dendritiche
sono le più efficaci nell’attivare i naive CD4+ e CD8+ . I macrofagi presentano antigeni ai CD4+ già
differenziati (effettori) mentre i linfociti B presentano gli antigeni ai linfociti T helper durante le risposte
umorali. Cellule dendritiche, macrofagi e linfociti B esprimono sia MHC II che costimolanti e possono
dunque attivare i linfociti T CD4+ : sono pertanto definite APC professionali.
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1.1.1 Presentazione ai linfociti T naive
Le cellule dendritiche sono presenti in quasi tutti i tessuti e si identificano per le proiezioni membra-
nose. Tutte queste cellule probabilmente nascono da precursori midollari e quasi tutte sono legate alla
linea dei fagociti mononucleati. Il prototipo di cellula dendritica epiteliale è la cellula di Langerhans
dell’epidermide: queste cellule occupano fino al 25% della superficie dell’epidermide pur essendo l’%
del totale. Normalmente queste cellule sono in condizione di riposo; in risposta all’incontro di un com-
ponente microbico queste cellule maturano mentre migrano ai linfonodi diventando efficaci APC. Le
cellule dendritiche mature risiedono nella zona T del linfonodo, dove presentano gli antigeni ai linfociti
T.
Le risposte dei CD4+ iniziano nei tessuti linfoidi periferici, dove gli antigeni vengono trasportati
dopo essere stati catturati. Le APC immature esprimono recettori di membrana che legano i microbi:
grazie a questi riescono a catturare e processare l’antigene. Le cellule dendritiche attivate perdono
la loro aderenza per gli epiteli e iniziano ad esprimere il recettore per chemochine CCR7: questo le
farà guidare verso la zona T del linfonodo (era lo stesso recettore che guidava i linfociti T naive verso
la regione corretta). Il legame con l’antigene converte le cellule dendritiche da cellule la cui funzione
è catturare a cellule la cui funzione è presentare gli antigeni: le cellule dendritiche attivate esprimono
alti livelli di molecole MHC II.
Le cellule dendritiche sono le migliori APC per via di alcune loro caratteristiche:
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1.2 Biologia del processamento antigenico
Le vie di processamento e presentazione non sfruttano alcun organello cellulare esclusivo: le vie di
presentazione, sia MHCI che MHCII, sono dunque adattamenti di funzioni cellulari di base.
Gli antigeni proteici presenti nelle vescicole acide delle APC generano peptidi MHCII-associati mentre
gli antigeni citosolici generano peptidi MHCI-associati. Questa segregazione delle vie è dovuta alla
completa separazione nella biosintesi delle molecole MHCI e MHCII.
La generazione dei peptidi per MHCII a partire da antigeni endocitati prevede la degradazione
proteolit- ica di queste molecole in una serie di step ben definita.
• Endocitosi delle proteine extracellulari nelle vescicole dell’APC
Cellule dendritiche e macrofagi esprimono un’ampia gamma di recettori superficiali per riconoscere
strutture microbiche; in aggiunta i macrofagi esprimono anche recettori per la porzione Fc degli an-
ticorpi e recettori per la proteina C3b del complemento. A seguito dell’internalizzazione gli antigeni
proteici si trovano localizzati in vescicole intracellulari dette endosomi. Gli endosomi sono vescicole a
pH acido che contengono enzimi proteolitici.
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alla formazione di quello che prende il nome di compartimento di classe MHCII o MIIC: questa
struttura contiene tutto quello che serve per l’associazione peptide-MHC; i contenuti precisi del MIIC
sono dunque
1. Enzimi proteolitici
2. Molecole MHCII
3. Catena invariante Ii
4. Peptidi di derivazione antigenica
5. Molecola HLA-DM
All’interno del MIIC la catena Ii viene dissociata grazie all’azione di enzimi proteolitici e della molecola
HLA-DM: vengono così scoperti i siti di legame e i peptidi si legano. L’eliminazione della catena invari-
ante lascia una catena di 24 aminoacidi associata all’MHC: questa prende il nome di CLIP ed è ancora
in grado di bloccare il legame con i peptidi. La molecola HLA-DM si occupa di eliminare CLIP; questa
molecola è codificata all’interno del MHC ed è simile alle molecole di classe due ma ha molte differenze:
non è polimorfica, non associa la catena invariante e non viene espressa sulla superficie cellulare. In
breve HLA-MD è uno scambiatore di peptidi: rimuove clip e facilita la sua sostituzione con il peptide
digerito.
Le molecole di MHCII presentano una sede aperta di legame peptidico, per questo grandi peptidi o
anche proteine intere possono legarsi e venire poi tagliate alla lunghezza giusta per il riconoscimento:
il risultato è che normalmente vengono create catene lunghe dai dieci ai trenta aminoacidi.
• Espressione dei complessi sulla superficie
Le molecole di MHC II vengono stabilizzate dal legame con il peptide, e questi complessi vengono ind-
irizzati alla superficie per il riconoscimento: in questo modo solo le MHC II correttamente assemblate
possono essere poste all’esterno. Alla fine di questa serie di step la cellula presenta moltissimi comp-
lessi sulla sua superficie, la maggior parte dei quali presenta proteine self normali: non esiste infatti
un meccanismo di riconoscimento del self dal non self in questo ambito. Come è possibile dunque che
i linfociti vengano attivati da cellule che mostrano soprattutto molecole self? Questo è possibile perchè
i linfociti sono estremamente sensibili: bastano pochissimi riconoscimenti dei complessi giusti, anche
meno di cento, per generare una risposta specifica; cento complessi rappresentano meno dello 0,1% di
tutti i complessi espressi. Come è possibile però che i linfociti non reagiscano contro le molecole self
presentate? Questa seconda proprietà è dovuta al fatto che i linfociti in grado di riconoscere molecole
self non esistono normalmente: vengono eliminati durante la fase di maturazione nel timo.
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I peptidi associati a MHCI sono prodotti per degradazione di proteine citosoliche: vengono poi
trasportati nel RE e assemblati alle molecole MHCI nascenti.
• Fonti di antigeni citosolici
Gli antigeni estranei possono essere prodotti virali o di altri microbi intracellulari. Nelle cellule tumorali
molti geni possono produrre proteine antigeniche che vengono riconosciute da CTL MHC I ristretti.
Due geni all’interno del MHC codificano proteine che mediano il trasporto ATP dipendente di composti
a basso peso molecolare attraverso lemembrane cellulari. Questi geni in particolare codificano per due
catene di un eterodimero detto trasportatore associato al processing dell’antigene (TAP). La proteina
TAP si trova sulla membrana del RE dove media il trasporto dei peptidi: l’optimum si ha per il trasporto
di catene lunghe da sei a trenta aminoacidi, perfette per il legame con l’MHC. Sul lato luminale del RE,
TAP è legata in maniera non covalente alle neomolecole MHCI da una proteina linker detta tapasina:
le molecole di MHC sono dunque nella posizione migliore per ricevere i peptidi.
• Assemblaggio dei complessi nel RE
La sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC I sono processi multistep che richiedono il legame con
il peptide. Le catene α e β2 vengono sintetizzate nel RE e il folding corretto viene garantito da varie
chaperonine. All’interno del reticolo i dimeri scarichi rimangono attaccati a TAP grazie alla tapasina;
a seguito dell’ingresso di un peptide attraverso TAP si ha il taglio di questo a una dimensione corretta
da parte di una aminopeptidasi detta ERAP (Endoplasmic Reticulum Amino Peptidase). Il peptide a
questo punto lega la molecola MHCI e il complesso viene rilasciato dalla tapasina, esce dal RE e viene
trasportato sulla superficie cellulare. In assenza di peptide i dimeri sono instabili e non possono essere
trasportati fuori dal RE: vanno probabilmente incontro a degradazione in situ.
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funzionano come aiutanti per stimolare i meccanismi effettori, quali anticorpi e fagociti. Gli antigeni
intracellulari invece sono inaccessibili ad anticorpi e fagociti e stimolano una via diversa: vengono
caricati su MHC I e stimolano i linfociti T CD8+ , la cui funzione è uccidere la cellula che li ha attivati.
Questa via garantisce che qualsiasi cellula, poichè MHC I viene espresso in ogni cellula nucleata, possa
impedire la diffusione di microbi facendosi eliminare dal sistema immunitario.
La specificità dei linfociti T è essenziale alle loro funzioni, in gran parte mediate da interazioni dirette
tra cellule o da citochine a breve raggio. Le APC non solo presentano gli antigeni ai linfociti T ma sono
anche il bersaglio delle loro funzioni effettrici: ad esempio i macrofagi presentano l’antigene ai CD4+ i
quali li attivano consentendo loro di distruggere il microbo.
Le molecole di MHC determinano l’immunogenicità di un antigene in due modi:
• Immunodominanza. Gli epitopi di proteine complesse che generano una risposta più forte nelle
cellule T sono i peptidi generati dalla proteolisi nelle APC e che legano più avidamente le molecole
di MHC. In un individuo esposto a un antigene proteico multideterminante la maggior parte delle
cellule T sarà specifica verso uno o due sequenze aminoacidiche dette epitopi immunodominanti.
• Responsività immunitaria geneticamente controllata. L’espressione di particolari alleli MHC II
in un individuo ne determina la capacità di rispondere a particolari antigeni. I geni della risposta
immunitaria che controllano le risposte anticorpali sono infatti parte dell’MHC II e determinano la
capacità di risposta in quanto cambia la capacità di legare i diversi peptidi antigenici.