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L’ACQUA NEL TERRENO

Premessa

La soluzione circolante rappresenta la fase liquida del terreno e la sua esistenza è


fondamentale per la vita delle piante. In prima approssimazione il terreno può essere
assimilato ad un complesso recipiente dal quale i vegetali traggono principalmente
acqua ed elementi nutritivi e nel quale gran parte dei fenomeni chimici, fisici e
biologici che vi si verificano appaiono influenzati dal grado di umidità del mezzo. Detti
fenomeni sono più favorevoli alla vita delle piante, e quindi alla produttività delle
colture, quando, mediamente, la microporosità del terreno è occupata dalla fase
liquida e la macroporosità dalla fase aeriforme. In conseguenza dei fenomeni di
evaporazione, percolazione, assorbimento, diffusione, apporti idrici naturali e
artificiali, l'umidità del terreno è soggetta ad un complesso dinamismo che modifica
continuamente il rapporto fra le fasi liquida e gassosa. Il contenimento di detto
rapporto entro determinati limiti interessa grandemente la problematica agronomica
che si occupa, da un lato, della eliminazione del ristagno, e dall'altro, delle tecniche di
tesaurizzazione dell'acqua e degli apporti idrici artificiali al terreno agrario.
L'acqua si trova nel terreno allo stato liquido, gassoso e, eventualmente, anche
solido. La quantità complessiva di vapore acqueo supera raramente le 5 ppm rispetto
al peso del suolo, ma le forme condensate (liquido e/o ghiaccio) raggiungono
facilmente anche il 30-50%. Sulla fase liquida soffermeremo particolarmente la
nostra attenzione perché ad essa sono soprattutto legati i fenomeni molteplici sopra
ricordati.
Il potere solvente che la caratterizza, fa si che l'acqua non sia mai pura nel
terreno. Essa infatti contiene dissolte numerose sostanze la cui concentrazione è
influenzata da numerosi fattori (pioggia, evaporazione, lisciviazione, concimazione,
assorbimento da parte delle piante, ecc.).
Di seguito, per semplicità e salvo apposito richiamo, il termine acqua sarà usato
come sinonimo di soluzione circolante e di fase liquida del terreno.

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II potenziaIe deII'acqua neI terreno

In precedenza abbiamo grossolanamente supposto che l'acqua fosse


semplicemente contenuta nel terreno, ma, come vedremo, la realtà è ben diversa.
La soluzione circolante infatti è soggetta ad un complesso di forze che la trattengono
in loco o tendono ad asportarla per cui si può parlare di una tensione dell'acqua nel
terreno. Essa rappresenta un ostacolo per il libero assorbimento da parte delle piante
che, in aggiunta, devono anche superare le difficoltà create dal fenomeno osmotico.
Per spostare una determinata quantità di acqua da una certa posizione verso un
punto considerato, occorre vincere le resistenze che si oppongono a questo
spostamento e spendere quindi energia compiendo un lavoro. Se nel punto di arrivo
l'acqua non è soggetta ad alcuna forza, l'energia spesa è equivalente all'energia
potenziale posseduta dall'acqua nella posizione di partenza.
Le componenti del potenziale totale sono diverse per cui sì può scrivere:

W t = W pm + W g + W o

dove:

W t = potenziale totale; W pm= potenziale matriciale;


W g = potenziale gravitazionale; Wo = potenziale osmotico.

Consideriamo innanzitutto il potenziale matriciale detto anche potenziale capillare


(W pm). Esso è originato da due meccanismi: imbibizione dei colloidi e capillarità. I
colloidi sono in grado di adsorbire sulla loro superficie le molecole di acqua e, in
conseguenza di questo fenomeno, si rivestono di un manto liquido più o meno
spesso. L'acqua così adsorbita viene dunque a trovarsi sotto tensione e per sottrarla
all'azione dei colloidi occorre applicare una suzione (= pressione negativa) tanto
maggiore quanto minore è l'umidità.
Immaginiamo ora un sistema come quello rappresentato in fig. 1.1.a. Sia pure con
notevole semplificazione esso può essere assimilato ad una massa terrosa (vista in
sezione) la cui porosità è occupata da acqua e da aria. La superficie liquida presenta,
fra i vari aggregati, la formazione di un menisco concavo a contatto con l'aria. Esso è
una conseguenza della tensione superficiale dell'acqua e della sua adesione alle
particelle solide. Al pari di quanto succede in un tubo capillare, l'acqua, in tale

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sistema è sotto tensione proprio per il fenomeno di capillarità e se si vuole asportarla
occorre applicarvi una forza e compiere quindi un lavoro.
Se dal sistema precedente proviamo a sottrarre gradatamente acqua, osserviamo
che, parallelamente al fenomeno di prosciugamento aumentano la tensione e la
curvatura dei menischi esterni. Ad un certo punto però si arriva a una fase critica per
cui una ulteriore sottrazione di acqua provoca il rapido abbandono dei pori più grossi
da parte del liquido e l'instaurazione di un nuovo equilibrio (fig. 1.1.b). Continuando
con la sottrazione di acqua si arriverà ad una situazione in cui il liquido presente sarà
praticamente trattenuto, ad elevata tensione, solo dal ricordato adsorbimento
colloidale.

Fig. 1.1 – Essiccamento del terreno.

Allorché tutta la porosità del terreno è occupata da acqua, la pressione del liquido è
superiore a quella atmosferica e si parla allora di un potenziale di sommersione ( Wps)
invece di W pm . Mentre W pm ha valore negativo (per asportare l'acqua è necessario
compiere un lavoro), W rs ha valore positivo (l'acqua tende ad uscire spontaneamente
dal sistema).
Un'altra componente, del potenziale totale dell'acqua nel terreno è rappresentata
dal potenziale gravitazionale (Wg) che dipende dal peso del liquido e quindi
dall'attrazione terrestre.
Come abbiamo ricordato più volte, nel terreno non esiste acqua pura ma una
soluzione. I soluti alterano il potenziale totale della soluzione influenzandone, da un
lato, il valore di equilibrio della sua pressione di vapore e, dall'altro, creando una
tensione osmotica (w) in presenza di una membrana semipermeabile. Questo
secondo aspetto conferisce un potenziale osmotico (W o) all'umidità del terreno. Esso
non influenza la capacità di trattenuta idrica del suolo e si manifesta solo nei rapporti

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fra le piante e la soluzione circolante in quanto l'assorbimento avviene attraverso
membrane che, sia pure in prima approssimazione, possono dirsi semipermeabili.
Quanto più alta è la pressione osmotica della soluzione, tanto maggiore sarà lo
sforzo richiesto alla pianta per l'assorbimento dell'acqua.

Variazioni deI contenuto idrico neI suoIo

In considerazione del fatto che col decrescere dell'umidità del terreno decresce
anche il potenziale matriciale W pm (che ha valore negativo!) appare di grande
interesse la relazione che lega queste due variabili. L'umidità può variare da un
minimo uguale a zero (terreno completamente secco) ad un massimo che,
opportunamente espresso, è pari alla porosità del terreno stesso. Per contro la
tensione oscilla, molto più ampiamente, da circa -1000 Mpa a zero1. Questo ampio
campo di variazione consiglia di adottare una scala logaritmica in quelle
rappresentazioni grafiche che vogliono indicare il fenomeno nella sua completezza
(da terreno secco a terreno con umidità massima) ottenendo anche una buona
visualizzazione dell'intervallo più interessante per la alimentazione idrica delle piante.

Fig. 1.2.- rapporti fra umidità e potenziale matricole (curva di ritenzione idrica) in un terreno di media
granulometria.

Questo criterio è stato seguito nella fig. 1.2 in cui si rappresenta l'andamento della
curva che stabilisce i rapporti fra umidità del suolo e suo potenziale matriciale in un
1
Si ricorda che 1 Mpa = 10 bar.

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determinato terreno. Ai fini pratici la conoscenza di tale andamento è importante per
vari motivi:

a) permette di conoscere il grado di disponibilità dell'acqua presente nel terreno


(ad una bassa umidità corrisponde una elevata tensione per cui si richiede alla
pianta uno sforzo maggiore per l'assorbimento idrico);
b) la curva tensione/umidità cambia fortemente da un terreno all'altro conferendo
un diverso significato bio-agronomico alle riserve idriche del suolo;
c) a seconda dei casi può essere più comodo (o più utile) misurare solo la
tensione o solo la umidità per cui la conoscenza della curva permette, almeno in
via approssimata ma praticamente accettabile, la individuazione dell'altro
valore.

Facendo sempre riferimento alla fig. 1.2, consideriamo ora l'andamento della curva
e cerchiamo di individuarne i punti più interessanti. Si supponga che tutta la porosità
del terreno sia occupata dall'acqua; in tali condizioni la tensione alla superficie è zero
e l'umidità corrispondente rappresenta la capacità idrica massima (CIM). È evidente
tuttavia che, a meno di particolari condizioni (impermeabilità del sottosuolo ed
impossibilità di movimenti laterali) tale situazione non si mantiene nel tempo. La
gravità agisce infatti sul liquido favorendone il movimento verso il basso. In un
periodo mediamente variabile da uno a tre giorni l'acqua contenuta nei macropori
viene perduta dal terreno: è la cosiddetta acqua di percolazione (Ap).
Quando la velocità di percolazione è diventata tanto lenta da poter essere
praticamente trascurata, l'umidità del terreno ha raggiunto un valore molto
importante: l'acqua può ora essere trattenuta lungamente dal substrato pedologico e
costituire una riserva di grande interesse per la vita delle piante. Questo livello di
umidità prende il nome di capacità di campo (CC) o di capacità di trattenuta idrica e
si ha con potenziale di circa -0,01 Mpa.
L'evaporazione e l'assorbimento idrico da parte delle piante sono ora i fenomeni in
grado di prosciugare ulteriormente il terreno e, anche in questo caso, man mano che
l'umidità decresce, diminuisce anche W pm. Ad un certo punto però i vegetali non
riescono più a vincere la tensione dell'acqua nel terreno, l'assorbimento cessa e le
piante muoiono. Si è arrivati al coefficiente di avvizzimento (CA) o punto di
avvizzimento o coefficiente di appassimento permanente. Per le piante agrarie tale
situazione si raggiunge con tensioni variabili da -1,5 a -2,5 Mpa.

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La frazione di acqua contenuta fra i suddetti limiti (CC e CA) rappresenta la
cosiddetta acqua disponibile massima (Adm); da essa dipende, in larga misura, la
capacità del terreno agrario di costituire riserve idriche più o meno abbondanti e di
permettere alle colture di resistere a periodi più o meno lunghi in cui vengono a
mancare apporti naturali o artificiali di acqua.
Al di sotto del CA, solo l'evaporazione può ulteriormente prosciugare il terreno. Il
fenomeno comporta l'asportazione di acqua non disponibile (And) per le piante
perché il valore assoluto di W pm è molto alto e crescente col progredire della perdita
di umidità. Quando la tensione dell'acqua nel terreno si mette in equilibrio con la
tensione di vapore dell'atmosfera, l'evaporazione cessa. Il contenuto di acqua
presente in tale momento prende il nome di coefficiente igroscopico (CI).
Anche l'acqua igroscopica può essere sottratta al terreno ponendolo in stufa a 105-
110 °C per 12-48 ore.
Come già osservato in precedenza, le curve di ritenzione idrica cambiano
fortemente in funzione della tessitura e della struttura del terreno; la presenza di
colloidi ed il tipo di porosità (rapporto fra macro e micropori) sono in tal senso
determinanti. La tab. 1.1 illustra alcuni valori orientativi per quattro tipi di terreno e
permette alcune osservazioni di rilevante interesse agronomico:
a) due terreni con la stessa umidità possono mettere a disposizione delle piante
quantitativi assai diversi di acqua;
b) al limite, una certa percentuale di acqua (es. 10%) può essere sotto il CA in un
terreno e sopra la CC in un altro;
e) terreni diversi, posti alla CC, possiedono riserve idriche massime utilizzabili
(RUm) di consistenza anche molto varia. Se, sulla base delle indicazioni della tabella,
valutiamo la RUm presente in un ettaro, per la profondità di 40 cm, nel terreno ed in
quello argilloso ben strutturato otteniamo:
1) terreno sabbioso: 0,40 . 10.000 . 6/100 = 240 m3/ha
2) terreno argilloso: 0,40 . 10.000 . 20/100 = 800 m3/ha.

La consistenza delle RUm varia anche in funzione della capacità (o della possibilità)
delle specie coltivate di approfondire più o meno l'apparato radicale. Va detto inoltre
che, pur nell'ambito dell’ “acqua disponibile", la pianta deve compiere uno sforzo
tanto maggiore quanto minore è l'umidità. Questa osservazione ci tornerà utile
allorché si parlerà della scelta del momento di intervento irriguo.

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Tab. 1.1 - Valori orientativi (u.% del volume) di alcune caratteristiche idrologiche, per quattro tipi di
terreno, e consistenza delle riserve idriche utilizzabili con terreno alla CC per 40 cm di profondità.

Terreno CIM CC CA Adm Rum


(m •ha-1)
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molto sabbioso 25 10 4 6 240


medio impasto 40 26 10 16 640
argilloso, ben strutturato 45 35 15 20 800
argilloso strutturato 40 30 20 10 400

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Misura deII'umidità e deI potenziaIe

L'umidità del terreno può essere espressa in vari modi:


1) su base gravimetrica con riferimento al terreno secco:
W = Mw / Ms
dove Mw è la massa dell'acqua presente nel campione e Ms è la massa del terreno
secco;
2) su base gravimetrica con riferimento al terreno umido:
Wu = Mw / Mu
dove Mw è la massa dell'acqua presente nel campione e M u è la massa del terreno
umido; meno usato del precedente perché il termine di riferimento (Mu) non è
costante.

3) su base volumetrica:

& = Vw / Vt

dove Vw è il volume dell'acqua e Vt è il volume totale del terreno.


Il valore w può essere dedotto da &, o viceversa, con la relazione:
w = & / qa
dove qa è la massa volumica apparente del terreno.
I metodi proposti per la misura del contenuto d'acqua del suolo sono numerosi
alcuni misurano l'umidità e altri il potenziale.
Il metodo più comune e più preciso per la valutazione dell'umidità è quello
termogravimetrico. Si preleva il campione di terreno alla profondità voluta, si pesa
(es. 20 g), si mette in stufa a 105-110 °C per 12-48 ore (dove perde umidità) fino a
peso costante, si ripesa (es. 15 g); un semplice calcolo permette di ottenere l'umidità
( w = 33 %, wu = 25 %, & = 33 qa. Si tratta di una determinazione semplice che
diventa però molto laboriosa allorché si deve operare su molti campioni. Non può
essere eseguita direttamente in campo e richiede un laboratorio.
Un altro strumento interessante per la misura dell'umidità del terreno è il TDR
(Time Domain Reflectometry) Per effettuare la determinazione si inseriscono nel
suolo dei conduttori metallici paralleli (guide d'onda) attraverso i quali viene inviato un
impulso di tensione elettrica.

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Fig. 1.3- rappresentazione schematica di una misura di umidità con TDR dotato di sonda triassiale.

La velocità di propagazione del segnale lungo la guida d'onda permette di ricavare la


costante dielettrica del terreno che, a sua volta, permette di risalire all'umidità (fig
1.3).
Lo strumento classico per la misura di W pm è il tensiometro. I suoi elementi
costituenti sono: una coppa porosa (solitamente di porcellana), un tubo riempito di
acqua (Ø 2-3 cm) ed un manometro a mercurio o metallico (fig 1. 4).
La coppa porosa viene immessa nel terreno alla profondità voluta, cioè nella
zona interessata dagli apparati radicali (10-40 cm), avendo cura che aderisca bene
alle particelle terrose. Se nel suolo esiste un potenziale matriciale (terreno non
saturo, p < 0) si ha uscita di acqua dallo strumento attraverso la capsula.
Contemporaneamente all'interno della capsula si forma una depressione iI deflusso
cessa allorché la depressione equilibra la suzione del terreno. In tale momento il
manometro può indicare l'esatta misura di p (e quindi di W pm ). Funziona abbastanza
bene con umidità discretamente alta.
Con il metodo Bouyoucos o metodo elettrometrico o metodo dei blocchetti di
resistività (fig. 1.5) si può risalire al potenziale matriciale attraverso la misura della
resistenza elettrica in un circuito che comprende due elettrodi opportunamente
disposti in un blocchetto poroso. Il blocchetto poroso appunto ed un ohmmetro sono
gli elementi fondamentali del sistema. I blocchetti sono solitamente di gesso trattato
con sostanze particolari per favorire una uniforme porosità della massa ed un

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regolare indurimento dopo la preparazione, hanno una forma variabile
(parallelepipeda, cilindrica) e dimensioni da 10 a 15 cm3.
II principio di funzionamento è il seguente:
1) il gessetto installato nel terreno assorbe o cede acqua in modo che la sua umidità
assuma lo stesso potenziale matriciale di quella del terreno;
2) la resistenza incontrata dalla corrente elettrica (appositamente immessa nel
circuito) per il passaggio da un elettrodo all’altro e tanto minore quanto più elevata è
l'umidità del mezzo che li separa;
3) appropriate curve di taratura della strumentazione permettono di trasformare i
valori di resistenza in valori di potenziale.
L'intervallo migliore di funzionamento dipende dal tipo di blocchetto ma,
generalmente, è compreso fra -50 e -1000 kPa; esso permette perciò di esplorare un
ampio settore dell’Adm, molto utile per stabilire il momento dell'intervento irriguo.

Fig. 1.4-Schematizzazione di un tensiometro a mercurio.

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Fig. 1.5- Misura della tensione dell'acqua nel terreno con apparecchio di Bouyoucos. Nel riquadro si
vede un ingrandimento di due gessetti, uno dei quali è stato sezionato per evidenziare gli elettrodi.

L’individuazione della CC può essere raggiunta operando direttamente in campo.


Si delimita una superficie di circa 2 m2 e vi si immette acqua in eccesso fino a che
l'umidità raggiunge la CIM per una profondità di circa 30 cm. Si ricopre il terreno con
un telo impermeabile in modo da impedire l'evaporazione. Nel corso di 1-3 giorni l’Ap
si allontana ed il terreno arriva alla CC. Ci si accorgerà di ciò mediante prelievi
periodici di campioni per la determinazione dell'umidità. Quando, a parità di
profondità, l'umidità rimane costante per due successive valutazioni, la CC è da
considerarsi determinata.
Per l’individuazione del CA si fa spesso ricorso al metodo fisiologico. Il terreno da
analizzare si pone in vasetti impermeabili, si inumidisce e vi si fa crescere qualche
pianta (molto usato è il girasole). Quando le piante hanno raggiunto opportune
dimensioni (es. 15-20 cm di altezza) si cessa il rifornimento idrico e si copre il terreno
con materiale impermeabile in modo da impedire l'evaporazione. Le piante
consumano la riserva idrica, manifestano prima sintomi di appassimento (reversibile
in camera umida e al buio) e poi quelli di avvizzimento (irreversibile). In quest’ultimo
stadio si determina l'umidità del terreno in stufa ottenendo così il CA.

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ProfiIo di umidità. PermeabiIità

Allorché su un terreno relativamente asciutto arriva acqua di pioggia o irrigua,


questa dovrebbe penetrare in profondità con un fronte di umettamento analogo a
quello della curva 1 (fig. 1.6). Cessato l'apporto di acqua si dovrebbe avere una
modificazione del profilo idrico che, in assenza di evaporazione e con terreno
omogeneo dovrebbe tendere a prendere la forma della curva 2. Ciò significa che,
almeno in linea teorica, se con la distribuzione di 20 mm di acqua si riesce a portare
il terreno alla CC per la profondità h, con 40 mm si potrà ottenere lo stesso risultato
per la profondità 2 h.
In pratica però le cose non stanno esattamente così. Il terreno infatti non è mai
perfettamente piano per cui l'acqua tende a localizzarsi più in certe zone che in altre;
inoltre la distribuzione della pioggia o dell'acqua irrigua sul terreno, anche per
intervento della stessa vegetazione, non è mai uniforme. La stessa permeabilità del
suolo e l'umidità variano spesso da zona a zona e con la profondità. Tutto ciò fa sì
che il fronte di umettamento sia sempre assai irregolare.

Fig. 1.6- Profilo idrico di un terreno bagnato dalla superficie.

Allorché l'apporto idrico è superiore alla permeabilità del terreno saturo, si ha


ristagno e/o scorrimento superficiale. Con il termine "permeabilità", nel linguaggio
pratico si indica l'altezza dello strato di acqua assorbibile dalla superficie del terreno
nell'unità di tempo (es. 1 ora). La conoscenza di questa caratteristica idrologica può
essere utile sia per la irrigazione che per la regimazione delle acque in eccesso. I
terreni possono essere così classificati: molto permeabili (più di 40 mm/ora),

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permeabili (da 15 a 40 mm/ora), mediamente permeabili (da 4 a 15 mm/ora), poco
permeabili (da 1 a 4 mm/ora), con permeabilità molto bassa (meno di 1 mm/ora).

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TERRENO AGRARIO E TERRENO NATURALE

Definizione, funzioni, costituzione

Nel corso dei secoli, il concetto di suolo o terreno ha subito notevoli evoluzioni ed
è stato oggetto di numerose e spesso contrastanti definizioni.
A noi sembra che con il termine terreno si possa intendere lo strato detritico
superficiale della crosta terrestre (comprensivo anche dell'acqua e dell'atmosfera
contenuta) capace di ospitare la vita delle piante, costituito da sostanze minerali ed
organiche, sede di attività biologica oltre che di processi chimici e fisici che ne
determinano una evoluzione più o meno continua.
Il terreno dunque, al contrario dei substrato pedogenetico da cui deriva, non è solo
un semplice ammasso di detriti minerali provenienti dall'alterazione delle rocce, ma
può essere visto e studiato come un «corpo naturale più o meno modificato
dall'uomo» che possiede una propria organizzazione, una propria storia, una propria
tendenza evolutiva ed un insieme di proprietà che gli hanno permesso e gli
permettono di ospitare la vita soprattutto vegetale. Proprio in relazione alla vita dei
vegetali, e quindi anche delle piante superiori, si possono attribuire al terreno due
funzioni fondamentali: f. di adattabilità e f di nutrizione.
Le funzioni di abitabilità dipendono principalmente dalla quantità di terreno o
«massa», dalla porosità (e dal rapporto acqua/atmosfera in essa contenute), dalla
permeabilità, dalla temperatura, dalla presenza di parassiti, dal pH, dalla presenza di
sostanze tossiche. Le funzioni di nutrizione dipendono da tutti quei fattori che,
direttamente o indirettamente, concorrono alla messa a disposizione degli elementi
nutritivi: presenza di determinati composti, acqua, colloidi, attività microbica, ecc.
Dal modo con cui dette funzioni si esplicano sulle piante e dalle risposte
quantitativa e qualitativa delle stesse ai fattori vitali (es. acqua, sostanze nutritive)
che si rendono disponibili in varia misura dipende la fertilità dei terreno.
Per fertilità si può dunque intendere, in senso lato, l’attitudine del suolo a produrre.
È opportuno distinguere il terreno naturale dal terreno agrario. Il terreno naturale si
è formato sotto la influenza dei fattori pedogenetici naturali e ospita eventualmente
una vegetazione spontanea quasi sempre composta da più specie in associazione
ed in equilibrio con l'ambiente. Il terreno agrario invece è quel terreno che ospita
normalmente le piante agrarie. Le differenze sono molto spesso sostanziali e, come
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vedremo, interessano la consistenza, la composizione e la stratigrafia dei suolo, oltre
che il tipo di vegetazione che lo ricopre. Non sempre però è possibile individuare dei
confini ben netti e precisi: un pascolo permanente possiede talora caratteristiche
molto vicine a quelle di un terreno naturale, un terreno molto sabbioso è spesso
addirittura molto simile al substrato pedogenetíco che lo ha originato, un terreno da
poco dissodato possiede ancora molte caratteristiche proprie dei terreno naturale.
La costituzione dei terreno può essere così schematizzata: parte solida (sostanze
minerali e materiale organico), parte liquida (acqua e sostanze disciolte), parte
gassosa (atmosfera del terreno).
Lo studio dettagliato dei vari costituenti e dei vari processi chimici, fisici e biologici
che li caratterizzano è compito di altre discipline. Di seguito perciò ci si limiterà ad
alcuni richiami fondamentali soffermando l'attenzione soprattutto su quegli aspetti
che rivestono maggiore interesse agronomico.

Stratigrafia o profiIo deI terreno

La pedologia ci insegna che i fattori pedogenetici, esplicando la loro azione sul


suolo, portano alla graduale formazione di strati o orizzonti. Il profilo dei terreno o
stratigrafia è rappresentato proprio dall'insieme di tali orizzonti che differiscono l'uno
dall'altro, per il colore, lo spessore, la composizione chimica, le proprietà fisiche,
l'attività biologica, il pH, ecc.
Nei terreni naturali, non interessati da interventi antropici diretti, vengono
solitamente distinti tre orizzonti principali (A, B, C). L’orizzonte A (detto anche
eluviale in quanto interessato ai processi di eluviazione che tendono a trasportare
verso il basso certi composti ad opera dell'acqua) è il più superficiale ed assieme
all'orizzonte B (detto anche orizzonte illuviale, che accoglie il materiale asportato
dalla zona sovrastante che qui trova le condizioni favorevoli per depositarsi) forma il
vero e proprio terreno. Se l'orizzonte A è quello più immediatamente a contatto con la
maggior parte delle radici, l'orizzonte B è in grado di influenzare notevolmente la
fertilità del suolo (in senso positivo o negativo) in quanto molto spesso è compatto,
poco permeabile o, addirittura, impermeabile per l'eccessiva ricchezza di argilla o per
il formarsi di concrezioni di sesquiossidi di ferro e di alluminio; in altri casi invece B è
ricco di calcare o di humus o di elementi nutritivi che esaltano la capacità produttiva
del terreno.

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Gli orizzonti C rappresentano invece il substrato pedogenetico.
Nel terreno agrario l'intervento dell'uomo ha portato alla formazione di un profilo
agronomico composto da due soli strati: "strato attivo" e "strato subattivo" (fig. 2.1).
Lo strato attivo è quello più superficiale, interessato dalle lavorazioni e dagli
apporti di concimi organici e chimici, che ospita la maggioranza delle radici. Lo strato
subattivo (più comunemente, ma più impropriamente, chiamato strato inerte o strato
vergine), ospita solo le radici più profonde che si spingono in tale zona soprattutto
alla ricerca di acqua.

Fig. 2.1 Stratigrafia di un podzol (a sinistra) e di un terreno coltivato (a destra).

Fra strato attivo e strato subattivo esistono differenze sostanziali di carattere


chimico, fisico e biologico che vanno però via via attenuandosi man mano che ci si
avvicina alle zone caratterizzate da clima caldo arido.
Lo strato attivo è più ricco di elementi nutritivi perché viene concimato ed anche
perché le radici profonde provocano una certa asportazione di elementi dal basso e li
lasciano, almeno in parte, nello strato superficiale; questo orizzonte inoltre si
presenta sovente di un colore più scuro per la maggior ricchezza di sostanza
organica; il suo humus è più ricco di N; l'intervento delle lavorazioni e la intensa

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presenza degli apparati radicali rendono questa zona più soffice, arieggiata e
permeabile; l'attività microbica è più intensa.
Nello strato subattivo, non interessato dalle lavorazioni, il suolo in genere è più
compatto e scarsamente permeabile anche per la quasi costante maggior presenza
di sostanze colloidali. Per tutti questi motivi il terreno più profondo è poco adatto alla
vita delle piante e quando grossi movimenti di terra o lo scasso o l'aratura profonda
lo portano in superficie, si registra una contrazione delle rese per cui si sente il
bisogno di interventi fertilizzanti straordinari.
Al di sotto dello strato subattivo sta il cosiddetto sottosuolo, non interessato né
dalle lavorazioni, né dalle radici, né da altri fattori della pedogenesi. Esso dunque
corrisponde al substrato pedogenetico (C) al di sotto del quale sta la roccia madre. Il
profilo può talora presentare degli orizzonti particolari che impediscono
l'approfondimento degli apparati radicali. Si tratta dei cosiddetti strati di inibizione,
che possono essere di natura varia. Tali sono, ad esempio, gli strati tossici,
caratterizzati dalla presenza di sostanze nocive alla vita delle piante (es. eccessiva
concentrazione salina, pH troppo anomalo), gli strati aridi che non permettono
l'allungamento delle radici perché sono privi di acqua disponibile, gli strati
impermeabili, lapidei, molto compatti, come il crostone calcareo pugliese e veneto, il
ferretto e il cappellaccio.
Gli interventi agronomici richiesti dagli orizzonti anomali sono diversi a seconda
dei tipo di anomalia: ripuntatura per quelli impermeabili, lisciviazione per gli strati
tossici, irrigazione per quelli aridi.
Capita abbastanza frequentemente, specie nei terreni in pendio, che dal profilo del
terreno manchino gli orizzonti sottosuperficiali e che lo stesso strato attivo sia ridotto
al minimo. Si ha a che fare allora con terreni insufficientemente profondi.
La profondità del terreno è una caratteristica di grande interesse pratico in quanto
determina la disponibilità di spazio vitale per le radici, la quantità di elementi nutritivi
e di acqua assorbibili dalle singole piante, la possibilità di offrire un supporto più o
meno valido per l'espletamento della funzione di sostegno.
I terreni profondi sono generalmente più adatti all'insediamento di una buona
agricoltura, richiedono meno attenzione da parte dell'agricoltore per quanto concerne
l'irrigazione e la concimiazione, si adattano a tutti i tipi di piante (arboree, erbacee,
con apparato radicale superficiale o profondo), sopportano investimenti più fitti (n° di
piante più elevato sull'unità di superficie).

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Per quanto concerne la profondità, in Italia esistono terreni di ogni tipo, da quelli
superficialissimi di certe zone collinari dove la roccia madre è talora affiorante (es.
litosuoli e regosuoli), a quelli molto profondi delle pianure alluvionali dove però non
esistano falde ipodermiche troppo superficiali.
La profondità ottimale del terreno agrario, cioè il valore soglia della stessa oltre il
quale le colture non avvertono beneficio alcuno, varia in funzione della specie
coltivata, della tessitura, della dotazione idrica ed in elementi nutritivi, del clima. Nei
terreni migliori, la profondità non è mai inferiore agli 80 cm e supera spesso i 2 m.

Caratteristiche deI terreno, fertiIità e produttività

Il terreno, come si è visto, è un corpo naturale caratterizzato da un certo grado di


fertilità che gli deriva dal possedere un insieme di caratteristiche fisiche, chimiche e
biologiche.
Le principali caratteristiche fisiche sono rappresentate dalla tessitura, dalla
struttura, dalla massa e dalla umidità, da cui dipendono, più o meno direttamente,
altri aspetti come la porosità, la sofficità, il peso specifico, la tenacità, la
crepacciabilità, la coesione, l'aderenza, la plasticità, lo stato di aereazione, il calore
specifico e la conducibilità termica.
Fra le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche ricordiamo la composizione, il
potere assorbente, il pH e il potenziale di ossidoriduzione.
Le caratteristiche biologiche, infine, dipendono dal numero e dal tipo di macro e
microrganismi presenti nel terreno; da essi derivano molti importanti processi come la
mineralizzazione della sostanza organica, l'umificazione, la nitrificazione, la
fissazione dell'azoto atmosferico, il parassitismo, la competizione nei confronti delle
colture, ecc.
Il terreno dunque è tanto più fertile quanto più dette proprietà risultano favorevoli
alla vita delle piante.
Nel terreno naturale è proprio la fertilità che, unitamente ai fattori climatici ed al
tipo di copertura vegetale, condiziona la produttività dell'ambiente. Nel terreno agrario
invece si riscontra anche l'intervento determinante dell'uomo agricoltore che si
impone come fattore fondamentale della produttività. Del resto, la stessa fertilità del
suolo è fortemente influenzata dagli interventi antropici di coltivazione che,

18
direttamente o indirettamente, modificano appunto gran parte delle suddette
caratteristiche.
Molto importanti, ai fini della caratterizzazione del suolo, sono però anche l'origine
litologica e il modo in cui esso si è formato. E ciò soprattutto se il terreno è di
formazione relativamente recente e non si trova ancora in uno stadio evolutivo molto
avanzato.
Per quanto riguarda l'origine si può ricordare, ad esempio, che i terreni derivati da
rocce eruttive acide (es. graniti) sono generalmente sabbiosi, poveri di calcio, di
magnesio e di fosforo assimilabile; i terreni derivati da rocce argillose sono compatti
e ricchi di potassio; da altre rocce sedimentarie possono derivare terreni assai diversi
l'uno dall'altro (es. ricchi di scheletro e con variabile composizione dai conglomerati,
poveri e sciolti dalle arenarie).
Le caratteristiche del suolo dipendono in larga misura anche dal modo in cui esso si
è formato. I substrati autoctoni 2 presentano infatti proprietà che derivano loro da un
solo tipo di roccia e quindi sono facilmente soggetti ad ereditarne pregi e difetti. Nei
terreni alloctoni3 invece si riscontra più spesso un'origine mista che risulta più
favorevole all'ottenimento di una elevata fertilità. È su di essi, e soprattutto su quelli
alluvionali, che prospera maggiormente la attività agricola.
La vocazione agronomica del terreno dipende, oltre che dalle proprietà intrinseche
sopra ricordate, anche dalla giacitura e dalla esposizione.
Per giacitura del terreno si intende la posizione della sua superficie (inclinazione)
rispetto al piano orizzontale. È una caratteristica che assume particolare importanza
nel terreno agrario il quale ne risulta influenzato soprattutto per quanto concerne la
regimazione delle acque, i fenomeni erosivi e di dilavamento. La giacitura condiziona
fortemente anche l'esecuzione delle operazioni colturali, la scelta delle sistemazioni,
la meccaffizzazione, i costi di produzione in senso lato. I terreni in piano o in leggero
declivio sono i meglio vocati dal punto di vista agricolo. Alcuni interventi agronomici
messi in atto per la regimazione dei deflussi veloci superficiali modificano la giacitura.
Per esposizione del terreno si intende l'orientamento della sua superficie rispetto
ai punti cardinali.
Interessa esclusivamente i terreni con giacitura non orizzontale anche se, talora,
pure in pianura si ricorre a particolari modellamenti della superficie (sistemazioni) che
provocano eterogeneità di esposizione negli appezzamenti.
2
Lo strato detritico superficiale si è formato in loco dalla roccia madre sottostante.
3
Lo strato detritico superficiale è stato trasportato in loco dal vento (t. eolici), dai fiumi (t. alluvionali), dalle acque m arine
(t. marini), dalle acque dei laghi (t. lacustri), dai ghiacciai (t. morenici), dalla gravità (t. colluviali).

19
Questa caratteristica (fig. 2.2) del terreno agrario assume particolare importanza
per le coltivazioni in zone marginali od anche in zone tipiche quando si voglia, ad
esempio, anticipare la produzione.

Fig. 2.2 – L’esposizione favorevole crea un microclima che può favorire la coltivazione di specie ad
altitudini e latitudini altrimenti non idonei ad ospitarle.

L’esposizione infatti è in grado di influenzare fortemente l'ambiente climatico in


quanto espone o protegge le colture dall'azione di determinati venti (caldi o freddi) e
favorisce o riduce i periodi di insolazione a parità di latitudine. Un esempio di
agricoltura favorita soprattutto dall'esposizione a mezzogiorno si incontra su vasta
scala in Liguria; del resto basta osservare quel che succede un po' ovunque sulle
colline del Nord e del Centro Italia dove i terreni più soleggiati (meglio esposti) sono
quelli coltivati con le colture più redditizie (vite, olivo, ecc.).

20
GRANUL0METRIA

GeneraIità

Parlando di tessitura o granulometria (o composizione granulometrica) si fa


riferimento alle particelle elementari che compongono il terreno classificandoli per
categoria convenzionale di diverso diametro. Trattasi di una caratteristica fisica di
grande interesse in quanto, sia pure entro certi limiti, molte proprietà del terreno ed i
fenomeni che in esso si svolgono, sono più influenzati dalle dimensioni delle
particelle che dalla loro natura chimica.
Una prima distinzione deve essere fatta fra i componenti più grossolani (o
scheletro) e la terra fina. Nello scheletro del terreno si comprendono sia le pietre (Ø
superiore a 20 mm) che la ghiaia (Ø compreso fra 2 e 20 mm). La terra fine
comprende invece tutte le particelle il cui diametro è inferiore a 2 mm. In essa si
possono distinguere le seguenti frazioni: sabbia (Ø compreso fra 2 e 0,05 mm), limo
(Ø compreso fra 0,05 e 0,002 mm) e argilla (Ø inferiore a 0,002 mm).
Siccome le varie frazioni granulometriche sono presenti in varia percentuale nei
diversi terreni, essi prenderanno delle denominazioni pure diverse: terreno sabbioso,
terreno sabbioso-limoso, terreno argilloso-limoso, ecc. Nella fig. 3.1 si riporta un
diagramma che permette l'individuazione di ben 15 classi di tessitura. Previa analisi
granulometrica dunque si è già in grado di dare una certa caratterizzazione ad un
determinato terreno.
Prima di passare alla descrizione delle proprietà essenziali delle diverse frazioni
conviene definire il concetto di "terreno di medio irnpasto o terra franca o terreno a
tessitura equilibrata". Trattasi di un terreno pressoché ideale (sotto questo aspetto),
formato da sabbia, limo e argilla in proporzioni tali che le caratteristiche fisiche e
fisico-chimiche delle singole frazioni non prevalgono l'una sull'altra ma si completano
vicendevolmente. Un substrato del genere può contenere dal 35 al 55% di sabbia,
dal 25 al 45% di limo, dal 10 al 25% di argilia ed una frazione trascurabile di
scheletro; in esso la tenacità e la compattezza dell'argilla e la natura polverulenta dei
limo sono compensate dalla incoerenza della sabbia per cui il substrato si presenta
generalmente molto adatto all'esercizio dell'agricoltura.

21
La tessitura del terreno è una proprietà fisica praticamente immodificabile
dall'agricoltore con i normali interventi di coltivazione. Tranne infatti alcuni casi
eccezionali (es. aratura profonda con rimescolamento di due strati a diversa
tessitura, ricorso alle colmate, apporto di sabbia su piccoli appezzamenti coltivati con
colture molto ricche) la tecnica agronomica prende atto della tessitura del suolo e
adotta gli accorgimenti più idonei per tale ambiente pedologico.

Terreni a scheIetro prevaIente

Lo scheletro è un materiale grossolano, derivato dalla disgregazione meccanica


delle rocce, che generalmente non apporta un contributo positivo alla fertilità del
terreno. Esso infatti non è in grado di influenzare direttamente la capacità di
trattenuta idrica del suolo e non partecipa ai fenomeni di adsorbimento e di
desorbimento degli elementi nutritivi.
Nei terreni normali dunque lo scheletro rappresenta un costituente di secondario
interesse. Quando tuttavia la sua incidenza percentuale supera determinati valori
riesce a influenzare grandemente le proprietà del substrato pedologico ed il tipo di
agricoltura praticabile sullo stesso. Diconsi terreni a scheletro prevalente quelli in cui
la parte scheletrica supera il 40% in peso della frazione solida e, a seconda del tipo
di materiale presente si parla di terreni pietrosi, ciottolosi o ghiaiosi. Essi sono
caratterizzati da buona permeabilità (fatta eccezione per quelli con limo e/o argilla
mescolati a scheletro grossolano), forte aereazione, accentuati processi ossidativi,
modesta presenza di humus, debole capacità di trattenuta idrica, ecc.; risultano
talora di difficile meccanizzazione (presenza di pietre), richiedono frequenti interventi
irrigui e fortissime concimazioni.
Sono diffusi fra i terreni autoctoni degli ambienti collinari e montani, ma possono
pure essere di origine morenica, colluviale e, soprattutto, alluvionale. Si incontrano in
notevole quantità nella fascia pedemontana dell'Arco Alpino e, in modo particolare,
nella media Pianura Friulana. Una certa diffusione si ha pure in Emilia, Umbria,
Tavoliere Pugliese e Basilicata.
La produttività dei terreni a scheletro prevalente dipende molto dalla percentuale
di scheletro presente e dal tipo di terra fine. In ogni caso la scelta appropriata delle
colture e della tecnica colturale può permettere di migliorare naturalmente le rese e,
non di rado, di portarle a livelli assai soddisfacenti. Così avviene, ad esempio, nei

22
ferretti friulani dove accanto alla vite si coltivano cereali e piante foraggere; e così
avviene anche in molte zone collinari dove la vite riesce a produrre discretamente dal
punto di vista quantitativo e si vede inoltre esaltare le caratteristiche qualitative. La
loro frequente collocazione in "aree vulnerabili" può creare delicati problemi nei
rapporti fra agricoltura e ambiente.

Terreni sabbiosi

La sabbia del terreno è costituita da piccoli frammenti di roccia, da singoli minerali


di difficile alterazione, da calcari cristallini, da pezzettini di conchiglie, ecc. Allorché la
sabbia supera il 50-60% in peso della frazione solida del suolo si dice che il terreno è
sabbioso o leggero o a grana grossa o scioIto. Come si può osservare nella fig. 3.1, il
termine “sabbioso”. può essere accompagnato da altre indicazioni.
I terreni molto sabbiosi (classi S e SM possiedono una elevata macroporosità,
scolano facilmente, sono molto soffici ed arieggiati per cui mineralizzano
rapidamente la sostanza organica, sono dotati di debole capacità idrica di trattenuta
e poveri di elementi nutritivi.

Fig. 3.1 – Classificazione dei terreni in base alla granulometria, secondo il metodo del Soil Survey
americano modificato: A= argilloso, L= limoso, S= sabbioso, M= grana media, MA= medio argilloso,
ecc. Esempio: un terreno con il 13% di argilla, il 70% di asbbia e il 17% di limo è classificabile come
medio-sabbioso.

L’azoto, in modo particolare, viene trasportato in profondità dalle acque di


percolazione. Le particelle di sabbia sono incoerenti e, anche se bagnate, non
aderiscono agli attrezzi da lavoro.

23
In Italia si incontrano terreni più o meno sabbiosi sparsi un po' per tutta la
penisola. La loro origine è varia: substrati arenacei, graniti, alluvioni antiche e recenti,
sedimentazione marina ed eolica.
Per quanto concerne la vocazione agricola dei terreni sabbiosi, si deve ricordare
innanzitutto che le colture da essi ospitate manifestano facilmente sintomi di carenza
idrica ed alimentare. Essi però possono essere lavorati in ogni momento, anche se
bagnati, e con il minimo sforzo. Per quest'ultima caratteristica vengono
impropriamente chiamati anche "terreni leggeri". Non temono il calpestamento.
Si prestano ad un'agricoltura dinamica, con colture che richiedono notevole
assistenza (es. trattamenti antiparassitari, più di una raccolta), con rapide
successioni colturali (anche due o più colture nell'anno) come avviene nelle aziende
orticole. L’orticoltura infatti si insedia preferibilmente in questi terreni.
Il conseguimento di allettanti prestazioni produttive non è affatto impossibile sui
terreni sciolti purché si intervenga correttamente con la concimazione e con
l'irrigazione.

Terreni Iimosi

Il limo è formato principalmente da silicati di basi diverse che derivano


dall'alterazione chimica della roccia madre: parte di esso tuttavia risulta formato da
calcare precipitato dalle acque che lo tenevano in soluzione, da frammenti
minutissimi di sostanza organica o da residui della disgregazione meccanica delle
rocce. Il limo non possiede la tendenza a riunirsi in aggregati di particelle per cui i
terreni limosi (più dell'80% di limo) o terreni a grana fine si presentano quasi sempre
mal strutturati. Essi sono generalmente poveri di elementi nutritivi, di non facile
coltivazione, formano crosta superficiale e, se lavorati non in tempera danno zolle
durissime, compatte, di difficile rottura specialmente con i normali attrezzi che
servono per la preparazione del letto di semina. Il ristagno superficiale è frequente e
l'irrigazione non facile a causa della modesta permeabilità.
Sono terreni "freddi" dove la vegetazione parte con un certo ritardo in primavera,
ma soffrono poco la siccità.
La loro produttività è discreta, od anche buona, soprattutto se l'attività agricola è
condotta in modo appropriato. Particolare cura deve essere rivolta verso il
mantenimento di un sufficiente stato di aggregazione delle particelle.

24
Con l'aumento della percentuale di sabbia e di argilla (es. tipo ML) la fertilità
migliora rapidamente.

Terreni argiIIosi

Dal punto di vista granulometrico la frazione argillosa non comprende solo i silicati
idrati di alluminio (argilla vera e propria: caolinite, illite, montmorillonite) ma anche
altri materiali estremamente diversi come silice, idrati di ferro e di manganese e
l’humus.
Le dimensioni estremamente piccole delle particelle argillose e la proprietà di
liberare ioni idrogeno evidenziando cariche elettriche negative, conferisce a questo
materiale caratteristiche differenziali molto nette nei confronti del limo e della sabbia.
Si definiscono, in genere, argillosi, pesanti, colloidali, tenaci, compatti, forti, quei
terreni che contengono più dei 40% di argilla.
Le loro caratteristiche fondamentali sono le seguenti: sufficiente od alta dotazione
di elementi nutritivi (in modo particolare K), elevata resistenza alla penetrazione degli
attrezzi da lavoro, forte coesione fra le particelle allo stato secco e notevole plasticità
allo stato umido, possibilità di trattenere grandi quantitativi di acqua ma a tensione
alta, necessitano di una buona struttura altrimenti diventano asfittici, impermeabili e
poco adatti alla vita delle piante. Risultano di difficile coltivazione soprattutto perché
le lavorazioni, come vedremo, devono essere eseguite in momenti ben determinati;
se ben trattati, tuttavia, sono capaci di fornire produzioni elevate, come avviene, ad
esempio, per la bietola, il frumento e la medica, ed anche di buona qualità (vite).
La crepacciabilità è una caratteristica tipica dei terreni ricchi di colloidi minerali
argillosi. Essa si manifesta in seguito ad essiccamento, quando la contrazione di
volume conseguente alla perdita di acqua provoca la fessurazione in più punti della
massa. Si forma così un reticolato poligonale e irregolare di crepe larghe da pochi
mm a 10 cm, profonde anche un metro, lunghe da 20 a 80 cm circa. Il fenomeno è
più evidente in terreno nudo, esposto ad insolazione diretta; sotto la vegetazione si
manifesta infatti con minore intensità anche se nei seminativi arati annualmente (es.
mais, bietole) assume una consistenza notevolmente maggiore che negli
appezzamenti a prato (fig. 3.4). Ai fini agronomici la crepacciabilità risulta importante
perché esplica effetti negativi e positivi. Fra gli effetti negativi si ricorda:

25
Fig. 3.4 - La crepacciatura è in fenomeno tipico dei terreni argiliosi.

Fig. 3.5 - Argille plioceniche dell'Appennino Tosco-Emiliano: in primo piano terreno appena arato, più
in alto una fascia a prato che confina con una zona calanchiva.

a) dispersione in profondità dell'acqua irrigua o piovana (rilevante se la


crepacciatura è abbondante, b) facilitazione delle perdite di acqua per evaporazione,
c) rottura degli apparati radicali.
I principali effetti positivi sono:
a) rottura delle zolle e quindi formazione di una struttura di disgregazione; b) più
facile penetrazione dell'acqua in profondità (cosa particolarmente interessante ai fini

26
irrigui perché i terreni argillosi sarebbero altrimenti troppo impermeabili); c) richiesta
di un minor sforzo per le lavorazioni; d) arieggiamento. La sarchiatura riesce a ridurre
la crepacciabilità del terreno con coltura in atto.
In Italia i terreni argillosi sono molto diffusi per cui la conoscenza e l'applicazione
delle tecniche agronomiche più appropriate per tali condizioni pedologiche riveste per
noi grande interesse (fig. 3.5).
La dorsale appenninica infatti è ricca di rocce argillose che hanno contribuito
ampiamente alla formazione dei terreni coltivati a valle.

27
LA STRUTTURA

GeneraIità e tipi di struttura

Ad un'analisi visiva grossolana il terreno appare costituito da un insieme di


particelle, di varia natura e dimensioni, che possono essere rappresentate dai
semplici componenti della tessitura oppure, più spesso, da glomeruli o grumi o
aggregati degli stessi. La localizzazione spaziale reciproca di dette particelle
elementari, il modo con cui esse sono associate e la intensità dei legami determinano
la struttura.
A puro scopo dimostrativo possiamo ipotizzare i costituenti della grana tutti di
dimensioni eguali e di forma perfettamente sferica. Essi possono assumere, gli uni
rispetto agli altri, varie disposizioni i cui estremi sono rappresentati nella fig. 4.1 e
prendono rispettivamente iI nome di assetto cubico e assetto piramialale. nel primo
caso il volume dei vuoti è pari al 47,64 % di quello occupato dal suolo, nel secondo
caso esso è invece pari al 25,95 %. Anche in assenza di aggregati dunque, la stessa
disposizione reciproca delle particelle è in grado di influenzare grandemente le
caratteristiche del terreno. Le particelle della grana però sono, com'è noto, di
dimensioni variabili, per cui le più piccole possono andare a riempire i vuoti rimasti fra
le più grosse portando ad una riduzione pressoché indefinita dei volume degli stessi.
Per contro, si è detto che le particelle possono riunirsi in aggregati i quali, a loro
volta, possono assumere, ad esempio, un assestamento cubico o piramidale (fig.
4.2); in questo caso il volume degli spazi vuoti potrà essere anche superiore a quello
massimo ottenibile

Fig. 4.1 - Assetto cubico (A) e assetto piramidale (B) dei costituenti la grana (schematizzazione).

28
Fig. 4.2 - Struttura glomerulare con assestamento cubico (A) o piramidale (5) degli aggregati strutturali
(schematizzazione).

(sempre supponendo particelle sferiche ed eguali) in assenza di aggregazione.


La precedente schematizzazione, anche se lontana dalla realtà, serve egregiamente
a dimostrare l'importanza della disposizione reciproca delle particelle, della
formazione degli aggregati e del loro assestamento reciproco.
Possiamo in pratica distinguere vari tipi di struttura:
1) Struttura a particelle singole fini incoerenti, tipica dei terreni sabbiosi.
2) Struttura grumosa. Viene talora chiamata anche glomerulare ed è costituita da
aggregati porosi, irregolari, capaci di consentire buone condizioni di abitabilità anche
al terreno bagnato e costipato. Per alcuni studiosi solo in questo caso si può parlare
di "vera struttura" ed i glomeruli, formati da particelle elementari cementate
soprattutto dall'humus, possono essere chiamati grumi. Essa si riscontra nei terreni a
tessitura equilibrata, ben dotati di sostanza organica e di calcio, con reazione vicina
alla neutralità.
3) Struttura granulare. È tipica dei terreni argillosi dove deriva dalla flocculazione dei
colloidi minerali che originano glomeruli di forma rotondeggiante o prismatica
irregolare.
4) Struttura di disgregazione. È formata da elementi poliedrici, prismatici o di altra
forma, originati dalla frammentazione di entità più grossolane in seguito all'azione di
agenti esterni (temperatura, umidità, organi lavoranti, ecc.).
Di norma l'agricoltore attribuisce grande importanza alla struttura del terreno. Essa
infatti è in grado di influenzare direttamente sia la fertilità dei suolo in senso lato che
la tecnica agronomica. Sotto l'aspetto fisico si deve rilevare che dal tipo di struttura
dipendono i rapporti fra parte solida, parte liquida e parte gassosa del terreno. Ne
risultano, di conseguenza, influenzate l'umidità e la sua tensione, la tenacità, la
temperatura e l'aereazione.

29
Sotto l'aspetto chimico si ricorda che basta la maggiore o minore aereazione per
influenzare in un senso o nell'altro i processi di ossidazione e di riduzione
che avvengono nel terreno. Ad essi è legata la trasformazione della sostanza
organica e la messa a disposizione di taluni elementi nutritivi. Questi ultimi, del
resto, possono essere assorbiti dalle piante, in modo più o meno agevole, a seconda
della disponibilità idrica.

Fig. 4.3 - A sinistra zollette di terreno con buona struttura glomerulare; a destra due zollette
caratterizzate da prevalente microporosità.

La fauna e la flora del terreno, infine, ivi comprese anche le piante coltivate,
possono trovare nel suolo condizioni di abitabilità e nutrizione assai varie in funzione
proprio dell'influenza della struttura sulle proprietà chimiche e fisiche sopra ricordate.
È opportuno però aggiungere che non tutti i terreni risentono allo stesso modo
l'influenza della struttura; alcuni infatti sono molto produttivi solo se presentano uno
stato di aggregazione ottimale, altri invece si comportano diversamente. I primi, per
la verità, sono i più numerosi e rientrano nella vastissima gamma dei substrati a
tessitura mediamente fine, fine o finissima.
I terreni molto sciolti (sabbiosi), per contro, non abbisognano (o sentono meno il
bisogno) di formare grumi in quanto in essi la circolazione dell'aria e dell'acqua
avviene liberamente. Essi possiedono, come si è visto, inconvenienti di altro tipo non
direttamente legati alla struttura.
I meccanismi che portano alla formazione di aggregati strutturali nel terreno sono
di varia natura e dipendono da un insieme di fattori quali la proporzione fra le diverse
frazioni granulometriche, la natura chimica delle particelle elementari, l'attività
biologica, gli interventi antropici e climatici.

30
Approssimativamente, uno dei meccanismi che porta alla formazione dei grumi
può essere così sintetizzato:

a) formazione di aggregati primari di particelle in seguito all'azione cementante dei


colloidi minerali (argille e sesquiossidi di Fe o Al);
b) cementazione di più aggregati primari in aggregati secondari o grumi, ad opera
dell'humus la cui azione è resa possibile dalla presenza del calcio (umato di
calcio). Da ciò appare dunque chiaramente che per la formazione di una buona
struttura è necessaria la presenza di colloidi capaci di flocculare, di un ambiente
adatto alla flocculazione (es. assenza di Na e presenza di Ca), di sostanza
organica più o meno umificata.

Le dimensioni degli aggregati del terreno sono molto importanti perché dalla
incidenza percentuale delle diverse frazioni di varie dimensioni dipende, in gran
parte, la loro attitudine ad assumere un assestamento più o meno compatto in loco.
Per una buona strutturalità interessa particolarmente la presenza nel terreno di
aggregati con diametro compreso fra 1 e 3 mm. In proposito è stata proposta la
seguente classificazione:
1) aggregati zollosi : Ø > 4 mm
2) aggregati macrostrutturali :4 mm > Ø > 3 mm
3) aggregati strutturali (ottimali) :3mm>Ø>1mm
4) aggregati microstrutturali 1 > Ø > 0,25 mm
5) aggregati astrutturali Ø < 0,25 mm

Per stabilità degli aggregati strutturali, o stabità della struttura, si intende


l'attitudine degli aggregati a resistere alle sollecitazioni che tendono a disfarli. Questa
caratteristica del terreno è di grande interesse pratico in quanto, quando è
sufficientemente elevata, rappresenta in certo qual modo una garanzia che gli
aggregati esistenti nel suolo persisteranno, per un tempo sufficientemente lungo,
unitamente alle proprietà del suolo che da essi dipendono.
Fra i fattori naturali più importanti, capaci di portare al disfacimento degli aggregati
strutturali si ricordano:

a) azione combinata del gelo e disgelo in condizioni di umidità stagnante;


b) azione battente della pioggia;

31
c) azione diretta dell'acqua (rigonfiamento e dispersione dei colloidi cementanti,
sfaldamento degli aggregati).

Per la misura della stabilità della struttura sono stati messi a punto numerosi
metodi, più o meno soddisfacenti.

Porosità

Le particelle solide del terreno non formano una massa continua, ma vi sono
numerosi spazi vuoti tra i diversi aggregati. Il volume complessivo di questi interstizi,
rapportato al volume totale del terreno fatto uguale a 100, costituisce la porosità.
Essa dunque è occupata dall'aria e/o dall'acqua per cui, con riferimento a un
determinato momento, si ha:

porosità totale = umidità + spazio occupato dall'aria.

in questi spazi che si propagano le radici, che vivono i microrganismi, che


avvengono i movimenti della massa liquida, dei gas e di buona parte dei calore,
indispensabili per la vita delle piante.
La porosità si determina di solito in maniera indiretta, in quanto una misurazione
diretta, in loco, risulta molto difficoltosa. Il metodo più usato consiste nella
determinazione preventiva effettuata sul terreno della densità assoluta e di quella
apparente.
• Densità assoIuta: corrisponde al peso specifico delle particelle
solide che compongono il terreno preso in esame; si può determinare per
mezzo di picnometri si espreime in Kg/m3, alla pressione di 1,01325 X 10 5 Pa
(=1 Atmosfera) e alla temperatura di 4°C. I valori più comuni della densità
assoluta delle particelle del terreno si possono desumere dal grafico riportato
nella figura 4.4.

32
Fig. 4.4 Densità assoluta e densità apparente in diversi tipi di terreno.

• Densità apparente: corrisponde al peso dell’unità di volume del


terreno compresi gli spazi vuoti. Si determina prelevando un campione di
terreno di volume noto, avendo cura che non subisca manipolazioni di sorta,
pesandolo dopo averlo essicato. La densità apparente varia con il grado più o
meno elevato di compattezza del suolo. I valori della densità apparente dei
principali tipi di terreno si possono desumere dal grafico riportato nella figura
4.4.

Indicando la densità assoluta con «D» e la densità apparente con «d», la porosità
totale «P» è data dalla formula:

D–d
P = ———
D
La porosità totale si esprime come % del volume apparente del terreno.
Utilizzando i valori riportati nei grafici della figura 4.4, si possono ricavare i dati
relativi alla porosità media dei principali tipi di terreno, che vengono esemplificati
nella figura 4.5.

33
Fig. 4.5: Porosità totale in diversi tipi di terreno.

Come si vede, la porisità totale assume valori medi nei terreni di medio impasto,
mentre risulta minore nei terreni sciolti e maggiore in quelli compatti; presenta invece
i massimi valori nei terreni umiferi.
L’importanza del valore assoluto della porosità totale nella determinazione delle
caratteristiche delle proprietà del suolo sono la forma, le dimensioni e la distribuzione
relativa dei vari tipi di pori.

Una classificazione molto utile della porosità è quella basata sulle dimensioni
degli spazi vuoti; si possono distinguere:
• La macroporosità, che è il volume complessivo dei pori aventi diametro
superiore a 8 µm. Nei macropori non si ha la ritenzione capillare dell’acqua, ma
questa percola rapidamente in profondità sotto l'azione della forza di gravità. Nei
macropori avviene quindi la circolazione dell'acqua e dell'aria presenti nel suolo e,
dato che l'acqua vi permane per breve tempo, si fa corrispondere la macroporosità
con la «capacità per l'aria» del terreno.
• La microporosità, che è il volume complessivo dei pori aventi diametro inferiore
a 8 µm. Nei micropori si verifica la ritenzione dell'acqua, anche contro la forza di
gravità, grazie al fenomeno della capillarità. Per questo motivo si fa corrispondere la
microporosità con la «capacità per l'acqua» del terreno.

Le condizioni ottimali sia per il terreno che per la vita delle piante si verificano
quando vi è un equilibrio tra i macro e i micropori. L'importanza dell'equilibrio tra
queste due forme di porosità riguarda in particolare i rapporti tra acqua, aria e
terreno.

34
Nei terreni di medio impasto e in quelli umiferi la porosità è presente per circa il
50% sotto forma di macroporosità e per il restante 50% come microporosità; perciò
questi terreni sono considerati, da un punto di vista, ottimali.

Nei terreni sciolti (ricchi di sabbia e/o di limo), si verifica invece un eccesso di
macroporosità, il che comporta un buon arieggiamento del suolo e facilità di
lavorazione. D'altra parte questi terreni hanno una scarsa capacità di trattenere
l'acqua e i sali minerali e, in caso di eccessiva aerazione, vi si possono instaurare
processi di rapida ossidazione della sostanza organica, fenomeno che viene
chiamato «eremacausi».

Nei terreni argillosi, specie se in stato astrutturale (terreni compatti) si verifica


invece una carenza di macroporosità, con diverse conseguenze negative, come:

• lenta infiltrazione dell'acqua attraverso la superficie del suolo;


• scarsa capacità per l’aria;
• frequenti fenomeni di ristagno;
• instaurazione di un ambiente povero di ossigeno, che privilegia la crescita dei
microrganismi anaerobi, in genere, dannosi.
Molti di questi difetti dei terreni compatti possono essere risolti favorendo la
creazione nel terreno di uno stato strutturale, il che permette di ripristinare un
equilibrio tra macro e microporosità.

Fattori infIuenti suIIa struttura

Fra i fattori che influenzano positivamente lo stato di aggregazione ricordiamo


innanzitutto la sostanza organica che esplica una azione diversa a seconda del suo
stato di evoluzione. Ne consegue che, tranne casi particolari, qualsiasi apporto di s.o.
al terreno è in grado di migliorarne la struttura anche se il risultato più o meno
positivo dipenderà dalla velocità di degradazione della stessa e dal rapporto fra
mineralizzazione e umificazione.
Questo effetto della s.o. spiega, del resto, anche l'azione positiva che le varie piante
esplicano sulla struttura del terreno: tutte infatti lasciano nel suolo un certo

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quantitativo di residui vegetali. L’azione degli apparati radicali delle piante non è però
solo legata agli apporti di residui organici; esiste infatti anche un effetto meccanico
diretto che favorisce l'aggregazione, in seguito all'accrescimento delle radici ed una
azione cementante di alcuni polisaccaridi emessi dalle stesse. Le graminacee sono
le piante che esplicano l'azione miglioratrice più consistente in quanto possiedono un
folto capillizio radicale che permea molto diffusamente lo strato attivo; la bietola
invece, o le altre piante a radice fittonante, non provocano un sensibile effetto
positivo sulla stabilità della struttura. I prati e i pascoli poliennali si dimostrano tanto
più miglioratori della struttura quanto maggiore è la loro durata; la loro superiorità
rispetto alle colture annuali è costantemente riscontrabile. Ciò è dovuto
essenzialmente al fatto che la coltura non viene arata annualmente per cui le radici
che cessano di espletare le loro funzioni vitali vengono a trovarsi in condizioni
propizie per l'umificazione. Le lavorazioni infatti arieggiano molto il terreno e
favoriscono i processi di mineralizzazione a scapito della formazione di humus.
Inoltre, quando il prato viene rotto, lascia grandi quantità di residui che faranno
sentire il loro benefico effetto per alcuni anni. Quanto si è detto risulta valido per tutti i
tipi di prato (di leguminose, di graminacee e misti di graminacee e leguminose), ma il
secondo (per il tipo di apparato radicale) ed il terzo gruppo (per lo stesso motivo e
per il favorevole C/N della sostanza organica) devono essere considerati senz’altro i
migliori. In proposito va però precisato che i prati di leguminose più diffusi assumono
quasi sempre le caratteristiche di prati misti perché nell'ultimo periodo del ciclo
colturale ospitano una consistente quantità di essenze graminacee avventizie.
Le lavorazioni del terreno sono degli interventi di grande interesse in quanto
influenzano fortemente la struttura attraverso un complesso di effetti negativi e
positivi. L’azione negativa si esplica sullo stato di aggregazione pre-esistente con tre
meccanismi prevalenti:

a) ossidazione della sostanza organica;


b) polverizzazione diretta degli aggregati per effetto meccanico;
c) spappolamento degli aggregati in condizioni di eccessiva umidità.

Parlando delle lavorazioni vedremo come e quando questi effetti si manifestino


prevalentemente e vedremo quanto importante sia intervenire allorché il terreno è in
"tempera". Gli effetti positivi delle lavorazioni sono legati alla creazione diretta di una
macrozollosità più o meno accentuata che verrà però perfezionata dall'intervento

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degli agenti atmosferici (es. gelo e disgelo). Ne risulta quindi che le lavorazioni
favoriscono la formazione di aggregati (struttura granulare e di disgregazione) che,
anche se talora non sono molto stabili, conferiscono al suolo una porosità confacente
alla vita delle piante. Va ricordato infine un effetto positivo indiretto di certe
lavorazioni che permettono l'incorporamento nel terreno di materiale organico.

Gli effetti del gelo e del disgelo sulla struttura si esplicano con meccanismi diversi
e, talora, opposti. In terreni mal sistemati, dove c'è ristagno, l'effetto è negativo. In
assenza di ristagno però il suo effetto è positivo.
Il gelo invernale esplica un'azione strutturante molto apprezzata dagli agricoltori
che scelgono, quando possono, l'epoca di aratura proprio in funzione di meglio
sfruttare la capacità miglioratrici di questo agente atmosferico.
Positivo è pure il ruolo, spesso trascurato, sostenuto dalla fauna terricola e in
modo particolare dai lombrichi.
Abbiamo in precedenza ricordato come effetti negativi sulla struttura siano
espletati dall'acqua e dalle macchine che lavorano il terreno e favoriscono la rottura
degli aggregati. Un tipo di danneggiamento comune a tutte le macchine (anche, ad
esempio, quelle adibite alla raccolta ed ai trasporti) ed anche agli animali (es.
pascoli) deriva dal calpestamento. Sotto tale azione il terreno si deforma, diminuisce
la sua porosità, perde una quantità di aggregati.
Gli ammendanti sono delle sostanze di varia natura che si possono apportare al
terreno allo scopo di migliorarne le proprietà fisiche in generale e quindi anche la
struttura. L’argilla e la sabbia sono dunque degli ammendanti rispettivamente dei
terreni sabbiosi e argillosi, in quanto ne migliorano la grana e, di riflesso, la struttura.
Il ricorso a tali materiali risulta, di solito, troppo costoso ma può essere conveniente
qualora si possa ricorrere all'acqua come veicolo di trasporto (es. bonifica per
colmate) o ad un'aratura profonda che porti alla luce terreno diverso da quello
presente in superficie. Anche il letame, i residui colturali e la materia organica in
generale rappresentano, come si è detto, dei materiali ammendanti di grande
interesse.
I sali di calcio, l'ossido di calcio e le marne calcaree esplicano effetti notevoli sulla
struttura del terreno, favorendo la cementazione delle particelle più grossolane,
permettendo la coagulazione delle argille ed agendo come sostanza cementante
sotto forma di umato di calcio.

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Un tentativo interessante concepito allo scopo di ottenere un confacente stato di
aggregazione nel terreno prescindendo dagli strumenti tradizioni (concimi organici e
prati) è quello dell'impiego dei condizionatori della struttura o coagulanti chimici.

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