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Contributi inediti al presunto riferimento a Gladio nel memoriale Moro

Con l'espressione “memoriale Moro” unanimamente si fa riferimento alla raccolta di


duecentoquarantacinque fotocopie che riproducono gli autografi dell'interrogatorio a cui fu
sottoposto l'onorevole Aldo Moro durante il suo sequestro da parte delle Brigate rosse e alcune
riflessioni elaborate dal sequestrato durante il periodo di prigionia.
Come nel caso del corpus delle lettere scritte da Moro, anche il memoriale è giunto alla nostra
conoscenza in tre momenti e modalità differenti nel corso dei dodici anni intercorsi tra il 1978 e il
1990.
La prima divulgazione, 8 pagine dedicate alla figura e al ruolo di Paolo Emilio Taviani, avvenne
durante il sequestro, tramite fotocopie di manoscritto, per volontà delle Brigate rosse, che le
allegarono al loro comunicato n. 5, diffuso a partire dalle 17.20 del 10 aprile 1978 a Milano, Roma,
Torino e Genova, con la modalità della telefonata ai quotidiani contenente le indicazioni per il
rinvenimento del documento brigatista che la stampa provvide a pubblicare nelle edizioni dei
giornali dell'indomani1. Con estrema probabilità il documento moroteo dedicato a Taviani giunse
anche in originale2 (sarebbe questo l'unico caso per quanto riguarda il memoriale) anche se a
tutt'oggi non si conosce la sorte di questo originale3.
La seconda occasione di conoscenza di queste carte non ebbe luogo per volontà brigatista ma per
irruzione del nucleo speciale antiterrorismo guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il 1°
ottobre 1978 nel covo milanese di via Monte Nevoso 8 dove i carabinieri rinvennero quarantanove
fogli dattiloscritti che riportavano alcuni brani del memoriale che il Governo rese pubblici il
successivo 17 ottobre 1978.
Infine, il 9 ottobre 1990, sempre nello stesso covo di via Monte Nevoso dove era avvenuto il
ritrovamento del 1978, dietro un pannello di cartongesso rimosso da un muratore che stava
eseguendo alcuni lavori di ristrutturazione dell'appartamento4, vennero recuperate le fotocopie dei

1 Il documento è riprodotto in Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e
l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia (da ora in avanti CM), Doc. XIII n. 5, Roma, Tipografia del
Senato, 1984, vol. CXXII, pp. 337-344; oltre ad essere edito e commentato da Francesco Maria Biscione, Il delitto
Moro. Strategie di un assassinio politico, Roma, Editori Riuniti, 1998, pp. 71-5; Vladimiro Satta, Odissea nel caso
Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della Commissione Stragi, prefazione di Giovanni
Sabbatucci, Roma, Edup, 2003, pp. 329-331; Marco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Milano, Rizzoli, 2006, pp.
202-5; Miguel Gotor, Lettere dalla prigionia, Torino, Einaudi, 2008, pp. 40-9 e pp. 339-344; Giovanni Bianconi,
Eseguendo la sentenza. Roma, 1978. Dietro le quinte del sequestro Moro, Torino, Einaudi, 2008, pp. 204-7.
2 Si ritiene che i brigatisti consegnarono l'originale dello scritto, nel corso della tarda mattinata di quel 10 aprile,
tramite uno dei collaboratori o un familiare di Moro; questa convinzione si fonda su alcuni elementi indicatori: la
presenza, nella raccolta di alcuni degli scritti realizzata nel 1979 dalla Fondazione Aldo Moro che riprodusse lo
scritto su Taviani di un esergo redazionale che lo definisce «Testo manoscritto-allegato al comunicato n. 5 delle
Brigate rosse »; cfr. Fondazione Aldo Moro (a cura di), L'intelligenza e gli avvenimenti. Testi 1959-1978,
introduzione di George L. Mosse, note di Gianni Baget Bozzo, Mario Medici e Dalmazio Mongillo, Milano,
Garzanti, 1979, p. 406; un preciso riferimento, contenuto nei diari di Giulio Andreotti, ad un “forte attacco autografo
di Aldo a Taviani”; cfr. Giulio Andreotti, Diari 1976-1979: gli anni della solidarietà, Milano, Rizzoli, 1981, p. 204;
l'invio, il 24 aprile 1978, da parte del capo di gabinetto del ministro dell'Interno Cossiga, Renato Squillante, alla
Procura della Repubblica di Roma delle perizie grafoscopiche relative ad alcune lettere di Moro, fra cui lo scritto su
Taviani, a proposito del quale specificava trattarsi di un originale; cfr. CM, vol. XLIV, p. 98. Un ulteriore segnale
della distribuzione dello scritto in originale è stato raccolto infine dallo storico Gotor che in una corrispondenza
elettronica intercorsa da Giovanni Moro nella quale quest'ultimo ha affermato di “ricordare nitidamente di aver visto
in quei giorni l'autografo del testo”; cfr. M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla
prigionia e l'anatomia del potere italiano, Torino, Einaudi, 2011, p. 5 e p. 13 n. 4.
3 Gotor ritiene che questo manoscritto autografo di Moro sia conservato presso l'archivio giudiziario del Tribunale di
Roma, dove a suo tempo vennero raccolte le lettere ricevute da alcuni destinatari e consegnate alla magistratura; cfr.
M. Gotor, Il memoriale della Repubblica...., op. cit., p. 6.
4 L'appartamento di via Monte Nevoso 8 a Milano, adibito a covo dalle Brigate rosse, rimase sotto sequestro
giudiziario fino alla tarda primavera del 1990 a causa di una lunga controversia legale tra il vecchio proprietario,
Rocco Lotumolo, e l'acquirente, il brigatista Domenico Gioia. Questi, alla data del 1° ottobre 1978 quando i
carabinieri di Dalla Chiesa fecero irruzione, aveva firmato solo il compromesso versando il settanta per cento della
somma pattuita; il Tribunale di Milano attribuì la legittima proprietà dell'appartamento al vecchio proprietario,
subordinandola però alla restituzione al Gioia dell'anticipo di venti milioni che a suo tempo aveva versato. Nel
manoscritti di Moro riguardanti tanto il memoriale quanto la stragrande maggioranza delle lettere
scritte dal sequestrato nel corso della sua prigionia5.
Questo secondo ritrovamento consentì di poter affermare senza più possibilità di smentita che:

 solo una parte delle lettere scritte da Moro giunse effettivamente a destinazione in quanto o
non venne recapitata dalle Brigate rosse oppure i destinatari della corrispondenza, per
ragioni di opportunità, preferirono tacere riguardo a queste missive;
 è impossibile circoscrivere il corpus delle lettere di Moro ai ritrovamenti effettuati nei covi
dato che in due differenti circostanze (benché nel medesimo luogo) ciò che sembrava
esaustivo è apparso estremamente lacunoso e non si può escludere che altre lettere esistano o
siano esistite e ora disperse, smarrite o conservate da ignoti;
 esistono o sono esistite diverse versioni delle lettere di carattere esclusivamente politico;
 la raccolta di scritti denominata “memoriale Moro”, come nel caso delle lettere, è
certamente incompleto dato che presenta indizi di incompiutezza e rinvii e riferimenti che
denunciano degli ammanchi;
 ad eccezione degli originali consegnati durante il sequestro, restano al momento
irrecuperabili quelli delle lettere e del memoriale ufficialmente non diffusi;
 non esiste al momento traccia: dei nastri contenenti la registrazione dei primi interrogatoria
cui fu sottoposto Moro; delle trascrizioni operate dai brigatisti di questi nastri; degli appunti
che Moro prendeva nel corso degli interrogatori / colloqui con Moretti; delle minute delle
lettere.
E' plausibile ipotizzare che quanto ancora manchi all'appello di questo materiale moroteo sia stato
distrutto dai brigatisti6, ma non è da escludere che qualcosa sia ancora esistente e gelosamente

frattempo il detto appartamento era stato venduto ad un terzo proprietario, Girolamo De Cillis, il quale solo alla data
del 20 aprile 1990 si vede consegnare le chiavi dell'immobile dai carabinieri. I lavori di ristrutturazione furono dal
nuovo proprietario affidati ad un muratore napoletano, Giovanni Bernardo, che diede inizio ai lavori proprio il 9
ottobre 1990 e subito s'imbatté nel nascondiglio celato nell'intercapedine artificiosamente creata con un pannello di
cartongesso; cfr. Archivio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della
mancata individuazione dei responsabili delle stragi presso il Senato della Repubblica (d'ora in avanti ACSS),
Questura di Milano, n. 03658/A4/90/Digos, Milano 29 ottobre 1990, pp. 6-7; cfr. M. Gotor, Il memoriale della
Repubblica..., op. cit., p. 135 e p. 184 n. 1.
5 Il “tesoro” di via Monte Nevoso consistette nel rinvenimento di una borsa contenente settanta milioni di lire ormai
fuori corso provenienti dal sequestro Costa, delle armi avvolte in fogli di giornale del 7 e del 9 settembre 1978 e di
una “cartelletta di cartone color marrone sigillata da nastro adesivo” contenente in totale quattrocentoventuno fogli
di cui quattrocentodiciannove erano fotocopie degli originali di Moro e due pagine dattiloscritte che riguardavano
una diversa versione dello scritto su Taviani diffuso, sequestro durante, nell'aprile del 1978. Delle
quattrocentodiciannove fotocopie di manoscritti autografi di Moro, centosettantaquattro erano di lettere e
disposizioni testamentarie del sequestrato mentre le restanti duecentoquarantacinque facevano parte del memoriale.
Confrontando questi fogli del memoriale con il precedente ritrovamento dei quarantanove dattiloscritti dell'ottobre
1978, che corrispondevano a centottanta fogli manoscritti, emergevano ben cinquantasette fogli autografi di Moro
completamente inediti; cfr. ACSS, Questura di Milano, Fascicolo dei rilievi tecnici a colori effettuati in data 9
ottobre 1990, p. 3; cfr. M. Gotor, Il memoriale della Repubblica..., op. cit., pp. 135-6 e p. 184 n. 2.
6 La versione brigatista attesta la distruzione delle bobine e di ogni altro materiale autografo nel novembre 1978 nel
“rogo di Moiano”. Questa versione, estremamente lacunosa e non interamente condivisa nel mondo dei brigatisti,
registra un ulteriore punto di contestazione in una relazione del Sisde del novembre 1979 che riporta una lungo ma
in parte disturbata intercettazione di due brigatisti detenuti, non identificati al tempo della stesura del documento ma
di cui almeno uno “di alto livello terroristico”, che, discutendo animatamente delle condizioni di prigionia di Moro a
loro riferite da altri compagni, affermavano che non solo il prigioniero scriveva “un casino” ma che, in un secondo
momento del sequestro sarebbero intervenuti “altri compagni”, in grado di condurre l'interrogatorio e che si
impossessarono di “tutti gli originali con i nastri”; cfr. M. Gotor, Lettere dalla prigionia, op. cit., pp. 186-7. La
versione integrale della relazione del Sisde si trova in CM, vol. CXX, pp. 281-93. Inoltre è possibile leggere un
articolo che riporta ampi stralci del dialogo brigatista e ricostruisce la genesi del documento riservato del Sisde
nell'edizione de La Stampa del 5 marzo 1992, p. 4.
custodito7 oppure addirittura circolante8.
Ad ogni buon conto i documenti autografi di Moro, seppur in fotocopia, che riemergevano nel 1990
dall'oblio in cui erano rimasti immersi per dodici anni; riesumavano la parola scritta del loro celebre
autore proprio nel bel mezzo di una particolare polemica che investiva il quadro politico nazionale
che avviava quella stagione di ridefinizione degli assetti di potere, di interesse e di alleanze
politiche ed economiche che si sarebbe conclusa solo nel 1993 e avrebbe visto con le elezioni
politiche del marzo 1994 l'ascesa al potere di Silvio Berlusconi e la nascita della seconda
repubblica.
Il 3 agosto 1990 l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, nel corso di una sua audizione
dinanzi alla Commissione Stragi, presieduta al tempo dal senatore Libero Gualtieri, rese pubblico
per la prima volta un segreto militare fino ad allora riservatissimo, ossia l'esistenza di una struttura
militare di dimensione europea ed estesa in ambito Nato 9, denominata Stay-behind, ancora attiva e
operante anche in Italia dove era conosciuta con il nome Gladio10 da quella ristrettissima cerchia di
politici e militari, ancora in vita, a conoscenza di questo segreto. Poche ore prima che Andreotti
rendesse queste dichiarazioni, nella base militare di Capo Marargiu in Sardegna si portava a termine
la distruzione di documenti relativi all'attività di Gladio11.
Nella sede dell'inquirente parlamentare Andreotti si impegnò a riferire formalmente in Parlamento
7 Resta valida la possibilità che qualche brigatista, mai individuato, desideroso di rimanere nell'ombra e non più
animato dai furori della lotta armata, abbia deciso alla fine, per alleggerire la propria personale posizione in caso di
individuazione, di distruggere questo lascito proveniente dal proprio passato e che ai suoi occhi nel tempo si era
trasformato solo in un pesante fardello indiziario.
8 Nei primi giorni del mese di ottobre 2004 Cinzia Banelli, componente delle nuove Brigate rosse operanti a cavallo
tra il XX e il XXI secolo, nel corso della sua collaborazione con gli inquirenti, ha rivelato che nel luglio del 2000 un
vecchio brigatista, a lei sconosciuto e noto solo con il nome di battaglia, “Silvio”, consegnò al nuovo capo Mario
Galesi della documentazione inerente il caso Moro; cfr. ANSA, Terrorismo: carte delitto Moro da vecchie a nuove
Br, del 3 ottobre 2004. La Banelli specificò che si trattava di documenti pubblici, quindi nessun documento originale
o fotocopia di autografo, ma l'affermazione, come osserva Satta, attesta che tra le Br vecchie e nuove esiste una
tradizione di trasmissione di documenti che plausibilmente sanciscono l'ascesa ai vertici dell'Organizzazione; cfr. V.
Satta, Il caso Moro e i suoi falsi misteri, Soveria Mannelli, Rubettino, 2006, pp. 259-60.
9 La struttura militare Stay-behind risultava ancora segretamente attiva in Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo,
Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Norvegia, Germania, Grecia, Turchia, Svezia, Finlandia, Svizzera e
Austria; ma le dichiarazioni ufficiali di Andreotti costrinsero i diversi governi, in tempi e modi diversi, a rivelare
l'esistenza di questi “eserciti segreti della Nato”. Per una panoramica della struttura militare sul piano europeo cfr.
Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della Nato. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, Roma, Fazi,
2008.
10 Fondata nel 1956 da Paolo Emilio Taviani, al tempo ministro della Difesa, la struttura militare di Stay-behind aveva
prevalentemente funzioni di difesa e di antiguerriglia in caso di invasione sovietica del territorio italiano, rientrando
nelle strategie anti-invasione che si andarono disponendo in ambito di alleanza atlantica sul territorio europeo. A
conoscenza della struttura, secondo le memorie di Taviani, vi erano in ordine di responsabilità Gaetano Martino,
Segni, Aldo Moro e Giuseppe Saragat, oltre al politico genovese che in qualità di fondatore capeggiava la lista; cfr.
Paolo Emilio Taviani, Politica a memoria d'uomo, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 411. Erano a conoscenza di Gladio,
oltre allo stesso Giulio Andreotti per sua stessa ammissione, anche il segretario del partito repubblicano Ugo La
Malfa, l'ex segretario del Partito socialista, Pietro Nenni e, a partire dal 1965, anche l'ex segretario del Pci, Luigi
Longo. Dalle memorie di Taviani infatti apprendiamo che nel giugno 1965, in qualità di ministro dell'Interno, egli
decise di informare Longo dell'esistenza della struttura di Gladio e delle finalità della base militare di Capo
Marargiu, avvalendosi dell'opera del suo sottosegretario, Leonetto Amadei, socialista, il quale lo espletò
puntualmente (entrando così nella ristretta cerchia dei depositari del segreto) e riferì a Taviani di avere avuto
“l'impressione che [i comunisti] sapessero già tutto”. Come ebbe ad annotare lo stesso Taviani, immediatamente
cessarono tutte “le diatribe [sorte] nel consiglio comunale di Alghero” che da un anno circa erano alimentate proprio
dalla parte comunista per conoscere le reali attività svolte nella citata base militare. Il messaggio era effettivamente
giunto a destinazione. Cfr. P. E. Taviani, Politica a memoria d'uomo, op. cit., pp. 409-410. Quanto al fatto che
Taviani non rivelò la circostanza nel 1990 quando esplosero le polemiche contro Cossiga da parte comunista, l'uomo
politico giustificò il proprio silenzio perché non voleva mettere in imbarazzo il suo amico Arrigo Boldrini, ex
partigiano e comunista.
11 De Lutiis segnala che le operazioni di distruzione di documenti ebbe inizio il 20 luglio e si concluse il 2 agosto 1990
e riguardò almeno 560 documenti cartacei riservati presenti sia nella sede romana del Sismi a Forte Braschi, sia
nella base di Capo Marargiu; cfr. Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda
Repubblica, Roma, Editori Riuniti, 1998, pp. 330-1 e pp. 446-7 n. 169. Sul punto della distruzione dei documenti
nella base in Sardegna di Gladio cfr. M. Gotor, Il memoriale della Repubblica..., op. cit., pp. 144-5.
entro sessanta giorni, cosa che puntualmente fece il 18 ottobre 1990 con una relazione intitolata
«Sid parallelo – Operazione Gladio», costituita da dodici cartelle, mentre in contemporanea
venivano trasmessi ai presidenti delle due Camere gli scritti di Moro che vennero subito resi
pubblici12.
Le dichiarazioni rese da Andreotti erano, dal suo punto di vista, consequenziali alla precedente
decisione di non opporre il segreto di Stato alla richiesta, inoltrata dal giudice Felice Casson, di
accedere agli archivi del Sismi a Forte Braschi, nel novero delle indagini sulla strage di Peteano del
1972 che egli stava conducendo e che già aveva portato all'individuazione di una serie di depositi
segreti di armi; autorizzazione che venne concessa al magistrato veneziano il 27 luglio 1990.
La precisa volontà di Andreotti di non voler opporre il segreto di Stato (come precedentemente fatto
nel 1988 dall'allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita ad un'analoga richiesta di accesso ai
documenti d'archivio del Sismi, presentata dal magistrato Carlo Mastelloni nell'ambito dell'inchiesta
sull'abbattimento dell'aereo militare Argo 16 del novembre 1973) e l'avere pubblicizzato l'esistenza
della struttura militare segreta senza avvertire preventivamente i paesi alleati, determinò una serie di
fibrillazioni ed insofferenze sia nell'establishment internazionale che nelle diverse cancellerie
dell'alleanza atlantica, le quali più o meno velatamente accusavano Andreotti di avere violato, per
fini di politica interna, un segreto di tale natura e portata.
Ma le rivelazioni dell'esistenza di Gladio non tardarono a produrre effetti anche nel panorama
politico domestico, in particolare negli ambienti comunisti, eccitati in particolare contro il
presidente della Repubblica Francesco Cossiga il quale, durante un viaggio di Stato nel Regno
Unito tenne un discorso ad Edimburgo il 27 ottobre 1990 nel corso del quale non solo si assunse la
responsabilità politica dell'istituzione di Gladio, ma si dichiarò soddisfatto per essere riuscito a
mantenere un tale segreto per ben quarantacinque anni13.
Queste dichiarazioni rilasciate da Cossiga ebbero il potere di calamitare attorno alla sua persona
tutta la tensione e l'attenzione della vicenda, risparmiando quella di Taviani, al punto che il nascente
Partito Democratico della Sinistra guidato dal segretario Achille Occhetto (erede di quel Partito
Comunista Italiano i cui segretari Longo e Berlinguer erano a conoscenza dell'esistenza di Gladio
almeno dal giugno 1965), organizzò per il 17 novembre 1990 una manifestazione di piazza per
chiedere la verità su Gladio e sulle stragi, individuando appunto in Cossiga l'uomo di Gladio e il
bersaglio verso cui puntare. A molti commentatori, tra cui lo stesso Taviani14, l'iniziativa avviata da
Andreotti con la rivelazione del segreto di Gladio venne inquadrata nell'ambito della corsa al
Quirinale rispetto alla quale il presidente della Repubblica in carica appariva come il meglio
piazzato per una possibile rielezione, visto che alla scadenza del mandato avrebbe avuto
sessantaquattro anni.
Il susseguirsi delle dichiarazioni su Gladio e la contemporanea diffusione delle carte di Moro trovò
un punto di coagulo, a detta di molti osservatori in un particolare brano del memoriale, quello
classificato dalla Commissione Stragi come XIV Tema – Sull'esistenza di una strategia
antiguerriglia della Nato15.

12 Il successivo 23 ottobre, su richiesta del presidente del Consiglio Andreotti la precedente relazione venne ritirata e
sostituita con un secondo documento di dieci pagine intitolato solo «Operazione Gladio», in cui ogni riferimento ai
servizi segreti americani e al cosiddetto «Sid parallelo» venivano cassati; cfr. M. Gotor, Il memoriale della
Repubblica..., op. cit., p. 145.
13 Francesco Cossiga si occupò degli aspetti logistico-organizzativi della struttura e nel 1966 venne nominato
sottosegretario alla Difesa nel terzo governo Moro carica che mantenne dal 1968 al 1970 nonostante il governo
vedesse avvicendare tre presidenti del Consiglio perché il ministero della Difesa restò sempre e saldamente nelle
mani del “moroteo” Luigi Gui.
14 Cfr. P. E. Taviani, Politica a memoria d'uomo, op. cit., pp. 411-2.
15 La versione integrale del brano in questione è in Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in
Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (da ora in poi CTS). Relazione sulla
documentazione rinvenuta il 9 ottobre 1990, in via Monte Nevoso a Milano, con annessa la documentazione stessa,
voll. I-II, doc. XXIII n. 26, Roma, Tipografia del Senato, 1991, vol. II, pp. 161-4. Per una panoramica sulle svariate
opinioni circa la sua pregnanza con la vicenda Gladio cfrr. V. Satta, Odissea nel caso Moro..., op. cit., pp. 317-318.
Questo brano, in verità incompleto perché interrotto, nella parte nota contiene la risposta di Moro ad
una precisa domanda circa una possibile «strategia antiguerriglia» eventualmente predisposta dalla
Nato nei paesi dell'alleanza atlantica alle prese con problemi di questa natura nel proprio territorio.
Ma nell'immediato e per lungo tempo in questo brano si è voluto vedere un preciso riferimento di
Moro alla struttura di Gladio, generando una scia di polemiche e presunti misteri sia per quanto
riguarda la qualità delle risposte fornite ai rapitori dall'uomo politico sull'argomento, sia per quanto
concerne la mancata utilizzazione e diffusione da parte brigatista di tali inedite e preziosissime
informazioni, arrivando fino ad ipotizzare una sorta di osceno scambio di favori giudiziari e
penitenziari da parte istituzionale e di silenzio da parte della componente brigatista.
Tutto ciò nonostante fin dal 1998 Francesco Maria Biscione facesse notare quanto fosse
estremamente arduo riconoscere dalla lettura di questo brano moroteo la Stay-behind italiana a
meno di non possederne una pregressa conoscenza16.
Inoltre l'ex comandante dei reparti di Gladio, Paolo Inzerilli, fece qualche anno dopo notare, come
riporta correttamente Satta17, che rispetto alla realtà storica della struttura di Gladio, Moro sarebbe
incorso in un errore di fondo parlando nel suo brano di strategia antiguerriglia anziché di anti-
invasione18. Satta fece ulteriormente presente che Moro forse faceva riferimento ad altro visto che
nell'edizione in uso tra il 1975 ed il 1983 del compendio su Stay-behind curata dai servizi segreti
italiani, “non compaiono né la Svizzera né la Repubblica d'Irlanda, citate invece da Moro”19.
Aldo Moro invece non incorse in alcun errore, come supponeva l'ex comandante Inzerilli, per il
semplice fatto che in quel brano egli non parlava affatto di Gladio per la semplice ragione che non
gli era stata posta alcuna domanda sulla struttura militare, ma stava rispondendo ad una precisa
domanda su una struttura segreta antiguerriglia che preoccupava in maniera estremamente più
pratica i brigatisti nei loro progetti insurrezionali.
Come avremo modo di vedere e di dimostrare, il brano fu generato dalle domande che i brigatisti
ricavarono dalla lettura di un articolo di giornale, intitolato Commando di “teste di cuoio” è pronto
a liberare il leader dc, pubblicato in seconda pagina e non firmato, nell'edizione del 20 marzo
1978 del quotidiano torinese La Stampa.
Il riferimento nella titolazione adottata ad un “commando di teste di cuoio” ossia ad un reparto
speciale d'intervento come “sono ormai chiamati questi reparti a somiglianza di quelli tedeschi”, e
la loro immediata disponibilità “agli ordini della magistratura che ne può decidere l'impiego da un
momento all'altro su tutto il territorio nazionale” apparvero ai brigatisti come una precisa
comunicazione rivolta a loro dato che, nell'immediata rivendicazione dell'azione di via Fani, dettata
per telefono la mattina del 16 marzo poco dopo le 10 all'Ansa, si evidenziava che il sequestro
dell'uomo politico era avvenuto con lo sterminio della “sua guardia del corpo, «teste di cuoio» di
Cossiga”.
Si avvia così involontariamente una sorta di conversazione a distanza (che vedremo presto si
allargherà fino a coinvolgere Moro) con i brigatisti che definiscono «teste di cuoio» i cinque uomini
della scorta che immediatamente da stampa e sindacati sono stati definitivi “cinque lavoratori”, e
La Stampa che informa i brigatisti che le «teste di cuoio», con cui desiderano confrontarsi, sono già
arrivate a Roma da qualche giorno.
L'articolo in oggetto riportava la notizia che da “sabato sera c'è a Roma un reparto speciale anti-
guerriglia” giunto appositamente nella Capitale per “intervenire non appena sarà localizzata la
«prigione» di Aldo Moro”.
La lettura di questa notizia e di queste presenze in città fin dal sabato 18 marzo, due giorni dopo la
strage di via Fani e il sequestro di Moro, dovette allarmare non poco i carcerieri di Moro, come anni
dopo riferirà una dei quattro carcerieri, Anna Laura Braghetti. Nei primissimi giorni, riferisce la

16 Cfr. F. M. Biscione, Il delitto Moro..., op. cit., p. 24.


17 Cfr. V. Satta, Il caso Moro e i suoi falsi misteri, op. cit., p. 263.
18 Cfr. ADN-KRONOS, Gladio: gen. Inzerilli, documento top-secret sparì durante Moro, dell'1 marzo 2001.
19 Il testo, al tempo riservato, oggi è disponibile all'interno della Relazione sulla «Operazione Gladio» approvata nel
1992 dal Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato (Legislatura X,
Doc. XLVII, n. 1); cfr. V. Satta, Il caso Moro e i suoi falsi misteri, op. cit., p. 263 e n. 9.
brigatista20, vennero infatti approntate le strategie da adottare in caso di irruzione nel covo da parte
delle forze dell'ordine, piani di difesa che in ultima istanza avrebbero visto Prospero Gallinari, che
dei quattro occupanti via Montalicini era l'unico ricercato dalle forze dell'ordine fin dal gennaio
1977 quando era evaso dal carcere di Treviso, rifugiarsi nello spazio dove era recluso Moro e, da
quella posizione e forte dell'ostaggio, tentare di barattare la propria incolumità e quella dei
compagni presenti nel momento dell'irruzione, con la vita di Moro21.
Voci su un imminente intervento nel luogo dove era detenuto Moro nei primi giorni del sequestro
furono confermate anche da Giovanni Moro il quale nel tempo e in diverse occasioni riferì che
pochi giorni dopo il sequestro ricevettero a casa una telefonata (anche se non ricordava
precisamente chi fosse l'interlocutore istituzionale) che li informava che il covo era stato
probabilmente individuato in un casale della periferia romana e che le forze speciali erano pronte ad
intervenire. Il figlio dell'uomo politico riferì inoltre che nel corso di quella telefonata gli vennero
addirittura forniti dettagli circa le modalità d'intervento ed in particolare di una speciale tecnica che
avrebbe consentito a questi speciali incursori di proteggere l'ostaggio da eventuali rischi derivanti
da conflitto a fuoco. Ma, poche ore dopo, sempre per via telefonica, i familiari di Moro venivano
informati che si era deciso di rinunciare all'intervento per “il problema dei rischi che avrebbe potuto
correre Aldo Moro in una cosa simile”22, circostanza questa confermata anche dalla sorella Agnese
che non riuscì comunque a fornire altre informazioni utili ad individuare la data di questo tentativo,
non andando oltre un generico “primi giorni del sequestro”23.
L'informazione riportata trovò un preciso riscontro negli anni successivi quando si venne a
conoscenza dei verbali delle riunioni che a partire dal 16 marzo quotidianamente ebbero luogo al
Viminale tra il ministro Cossiga e i responsabili delle forze dell'ordine e della pubblica sicurezza.
Nel verbale del briefing serale del 21 marzo 1978, il comandante generale dell'Arma dei carabinieri
riferì che alle nove del mattino era stata avviata un'ampia operazione di rastrellamento che aveva
interessato la “zona attorno al chilometro 47 dell'Aurelia” e relative località adiacenti, attività
questa a cui avevano partecipato anche “il battaglione dei paracadutisti che si addestra per servizi
speciali” e commentando l'esito, purtroppo negativo, della perlustrazione, il direttore del Sismi,
generale Santovito, che aveva recepito la segnalazione, con malcelata delusione sottolineava che la
fonte che aveva fornito l'indicazione era qualificata perché solitamente attendibile in quanto
“sperimentata in altre occasioni”, ragion per cui l'alto ufficiale, nell'invitare i colleghi ad esperire
ulteriori verifiche in zona, si riprometteva di svolgere con la propria “fonte” supplementari
approfondimenti “per avere maggiori chiarimenti soprattutto sulla zona”. Durante la stessa riunione
anche il comandante generale della Guardia di Finanza, Raffaele Giudice, riferì che le sue “fonti
riservate” confermavano “la presenza dell'onorevole Moro in Roma, nella zona Trionfale-
Balduina”, aggiungendo inoltre che i sequestratori erano in procinto di spostarlo in luogo diverso
per sottoporlo a processo. Anche se non si trattava della prigione di Moro, che ufficialmente è stata
solo e sempre quella di via Montalcini, è plausibile ipotizzare che tutte queste informative
convergenti nelle zone limitrofe all'abitazione di Moro, vertessero su una probabile base brigatista
presente nella zona24.
Ulteriori dettagli sulle attività che ebbero luogo quel 21 marzo 1978 vennero forniti dall'allora
presidente della Repubblica Cossiga durante una cerimonia del corpo degli incursori della Marina

20 Anna Laura Braghetti, Paola Tavella, Il prigioniero, Milano, Feltrinelli, 2003, pp. 13-4.
21 In caso di controllo o di semplice perquisizione, ammesso che tutti e quattro i carcerieri fossero
contemporaneamente presenti, la Braghetti e Germano Maccari, entrambi non ricercati, si sarebbero comportati
come normali inquilini, mentre Gallinari e Mario Moretti, dopo avere narcotizzato Moro per impedirgli di dare segni
della sua presenza, si sarebbero ritirati nello spazio angusto accanto al vano-prigione, al riparo della libreria chiusa
che avrebbe fatto da schermo; cfr. colloquio intercorso tra Gallinari e Ferdinando Imposimato il 17 luglio 2007 ora
in Ferdinando Imposimato, Sandro Provvisionato, Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell'inchiesta
racconta, Milano, Chiarelettere, 2008, pp. 26-7.
22 Cfr. CM, vol. LXXVII, pp. 186-7, audizione del 20 luglio 1982.
23 Intervista rilasciata da Agnese Moro ad Alessandro Forlani il 28 ottobre 2008 ora in Alessandro Forlani, La zona
franca. Così è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro, prefazione di Filippo Ceccarelli, Roma,
Castelvecchi, 2013, p. 118.
24 Cfr. G. Bianconi, Eseguendo la sentenza..., op. cit., p. 104.
militare italiana, chiamato Consubin, tenutasi a La Spezia il 9 giugno 1991. Cossiga, nel corso del
suo intervento, rivelò l'inedita notizia che durante il sequestro la prigione di Moro si ritenne ad un
certo punto individuata e l'operazione d'intervento per la sua liberazione, programmata per il 21
marzo e chiamata in codice “Smeraldo”, venne appunto affidata ai reparti del Consubin25.
Sappiamo inoltre che il 2 aprile 1978 si individuò nella persona dell'ufficiale medico Decimo
Garau, vecchio compagno di scuola di Cossiga, colui che in caso di irruzione avrebbe dovuto
prestare i primi soccorsi a Moro ed eventualmente fargli da scudo con il proprio corpo in caso di
pericolo di vita26.
L'autore del pezzo ipotizzava che, seppure il “reparto fosse stato messo a punto in questi giorni” è
“presumibile che già esistesse da tempo”, avanzando un'ipotesi di creazione nel periodo in cui “il
ministro dell'Interno, Cossiga, ebbe l'ormai famoso colloquio con il suo collega di Bonn”.
Sempre nei verbali delle riunioni tenute al Viminale, leggiamo che già il 16 marzo il ministro
Cossiga informava i presenti di aver rivolto “un appello ai ministri dei Paesi alleati” per ottenere la
loro “collaborazione sulla base delle loro precedenti esperienze”27.
Così l'articolista de La Stampa coglie nel segno quando parla di “collaborazione tra Italia e
Germania in atto” e della disponibilità del governo tedesco occidentale che non solo a messo
“subito a disposizione di quello di Roma i dati sul terrorismo internazionale, ma ha inviato in Italia
un gruppo di esperti con funzioni, si precisa, consultive”.
Questa collaborazione italo-tedesca avviatasi ormai “da ventiquattro ore”, prevede la presenza di
“32 agenti della BundesKriminalamt di Wiesbaden”, comandati dal vicedirettore Rupprecht, che a
suo tempo “si occupò del sequestro del presidente degli industriali tedeschi” Schleyer. Questa
collaborazione “con gli uomini della polizia italiana” veniva spiegata dal Viminale nell'ambito degli
“accordi di «reciproca assistenza» in vigore fra tutte le polizie di tutti i Paesi della Comunità
europea”.
Nel caso del sequestro Moro si teneva a precisare che “il reparto speciale antiguerriglia è tutto
italiano” mentre per quanto riguarda la collaborazione degli “esperti tedeschi” giunti nel nostro
paese “si specificava che si era “concretizzata con l'installazione al ministero dell'Interno di un
terminale del calcolatore di Wiesbaden” capace di raccogliere e di elaborare “tutte le informazioni
relative al terrorismo internazionale.”
Quindi oltre che “i dati e le informazioni” gli specialisti tedeschi avrebbero fornito la “loro
esperienza vissuta nella lotta contro la banda Baader-Meinhof” di cui erano forti.
Si auspicava l'utilità di questa sinergia italo-tedesca perché “«questo meccanismo di collaborazione
già in passato” era stato foriero di risultati “determinando l'arresto di elementi della Rote Armee
Fraktion in Belgio e in Olanda» della quale Armee la banda Baader era una componente.”
L'articolista riteneva che alla legittima domanda sulla necessità di costituire “quella che ormai viene
denominata la «multinazionale antiterrorista»” si potesse rispondere con la possibilità che accanto
“alla matrice «brigatista» dell'agguato di via Fani, polizia e carabinieri” sospettassero quanto meno
“una partecipazione di elementi stranieri nella fase operativa”; ipotesi questa che sembrava essere
corroborata da numerosi “elementi che accrediterebbero questo sospetto” quale “una frase
pronunciata da uno dei terroristi in un italiano storpiato da un accento straniero”, come riportato da
una testimonianza e “l'incredibile analogia con il caso Schleyer” il cui sequestro presentava diverse
similitudini quanto a qualità e preparazione tecnica.
L'articolo si concludeva prospettando che la collaborazione in essere non si limitasse alla sola
Germania ma venisse estesa a tutti “i Paesi della Nato” dunque anche agli Stati Uniti e al Canada,
che probabilmente saranno coinvolti”, auspicando “anche che siano stati interessati nell'operazione
italiana anti-guerriglia i servizi segreti di Israele, Svizzera e Austria”.
La tesi che avanziamo, ossia la diretta dipendenza delle domande a cui Moro è chiamato a
rispondere nel brano del memoriale da quest'articolo de La Stampa, troverà riscontro proprio nelle

25 ANSA, Forze Armate: festa della Marina alla Spezia, del 9 giugno 1991.
26 Cfr. Falco Accame, Moro si poteva salvare. 96 quesiti irrisolti sul caso Moro, intervista a cura di Marilina Veca,
Bolsena, Massari, 2005, p. 43.
27 Cfr. G. Bianconi, Eseguendo la sentenza..., op. cit., p. 53.
risposte che l'uomo politico fornirà e metterà per iscritto.
Moro venne dai suoi carcerieri chiamato a rispondere di questo ipotizzato coinvolgimento di “tutti i
Paesi della Nato” nell'”operazione italiana anti-guerriglia” in virtù della sua pregressa esperienza di
“Ministro degli Esteri”, incarico questo che lo aveva dotato di una certa conoscenza
dell'organizzazione militare alleata”. Ma, precisava Moro, “nessuna particolare enfasi era posta
sull'attività antiguerriglia che la Nato avrebbe potuto, in certe circostanza, dispiegare”. L'uomo
politico però, con questa affermazione, non intendeva minimamente escludere che ciò “sia stato
previsto ed attuato in appositi o normali reparti un addestramento alla guerriglia in una duplice
forma: o guerriglia da condurre contro forze avversarie occupanti o controguerriglia contro forze
nemiche impegnate come tali sul nostro territorio”.
L'interesse delle Brigate rosse nei confronti delle attività Nato dispiegate in Italia trovò conferma
quando nel corso del primo rinvenimento di materiali nel covo di via Monte Nevoso nell'ottobre
1978, fu trovato un dattiloscritto di diciassette pagine, di oscura origine e provenienza, che rifletteva
sulla strutturazione e consistenza delle forze Nato in Europa. Se la fonte da cui scaturì il documento
è rimasta oscura, i contenuti furono valutati di sicuro rilievo al punto che l'8 gennaio 1979 il
documento venne classificato dalle autorità come «riservato»28.
Ritornando alla richiesta di chiarimenti da parte brigatista sulla scorta della lettura dell'articolo de
La Stampa, Moro riferisce che benché egli “non ne abbia avuta diretta conoscenza” ritiene che
debba logicamente trattarsi delle “diverse modalità d'impiego da quella per grandi a quella per
reparti piccoli e mobili ”; corroborando la sua affermazione con la precisazione che “questo tipo di
armamento ed impiego leggero si coglie agevolmente anche nelle riviste (cui presenziano addetti
militari di tutti i paesi) al presentarsi di piccoli reparti mobili, palesemente in queste limitate
esigenze tattiche”. Infatti anche a lui è capitato, nella sua lungo esperienza politica, seppur in “rare
occasioni” quali la “festa della fanteria” di visitare “truppe alla Cecchignola”, ma da queste parate
militari Moro dichiarerà di non avere avuto conoscenza di “raggruppamenti di questo tipo che
avessero una certa consistenza”.
Il riferimento ad occasioni pubbliche di parate militari avrebbe dovuto suonare da subito come un
campanello d'allarme a chi intraprendeva il percorso dell'identificazione di questi contenuti con la
descrizione della struttura di Gladio, che certamente non veniva passava in rassegna né sfilava in
parata dato che la sua esistenza era un segreto. Ma Moro dopo questa premessa entra nel vivo della
“domanda, cui si risponde” tendente “a prospettare un'evoluzione della Nato” atta a perseguire “una
strategia antiguerriglia”, facendo immediatamente presente “che se qualcosa del genere avesse
dovuto profilarsi, essa non avrebbe potuto che essere venuta in evidenza in modo concomitante con
l'acuirsi di fenomeni di scontro diretto o di guerriglia, se così si vuol chiamare”. Questa
affermazione il prigioniero la giustifica per il semplice fatto di conoscere “un poco i tempi e modi
di consultazione, pianificazione, attuazione di eventuali misure militari” pregressa conoscenza che
lo porta ad “escludere che un enorme organismo quale la Nato abbia potuto mettere a punto in un
tempo così limitato efficaci organismi a tale scopo e per giunta eccedenti le finalità difensive
proprie dell'alleanza, le quali poggiano più su grandi meccanismi operativi che non su strumenti di
guerriglia in senso stretto”.
Moro perciò non esclude a priori che “qualche cosa abbia cominciato ad essere predisposto e
magari apprestato su altro e più appropriato terreno” ma ciò lo ritiene eventualmente possibile non
tanto “nei complicati comandi Nato con le loro strutture mastodontiche ed i loro complessi
comandi” quanto piuttosto “nella forma di collaborazione intereuropea che può svolgersi in forma
libera, semplice ed efficace”.
Moro precisa di parlare “appositamente di collaborazione intereuropea o, se si vuole,
intergovernativa e non in forma intercomunitaria per varie ragioni” ed in particolare perché “la
collaborazione intergovernativa in ogni campo” è sempre preferibile per la sua facilità e mobilità,

28 Il documento dattiloscritto era articolato nei seguenti capitoli: La riorganizzazione della Nato; Il fronte esterno; Note
e dati; L'esercito greco; L'esercito turco; Forze Nato destinate al combattimento in montagna in climi artici e in
particolare alla difesa della Norvegia settentrionale; Il fronte interno. Il documento è ora disponibile il CM, vol.
CVII, pp. 36-45.
mentre quella che si chiama collaborazione intercomunitaria è molto più impegnativa, segue regole
precise, non è selettiva”, Caratteristica questa necessaria quando si voglia conservare libertà di
scelta e facilità di movimento”. Inoltre Moro personalmente ricorda “di aver sentito parlare di
questa forma di collaborazione per la Svizzera che è, per la sua neutralità, fuori della comunità,
mentre in via eccezionale, benché neutrale, ma non è una neutralità istituzionale”, mentre per
quanto riguarda l'Irlanda, Moro reputa che si debba parlare dell'attuazione di “una qualche forma di
collaborazione sulla base della sua esperienza di guerriglia nell'Irlanda del Nord”.
Moro conclude affermando di essere al corrente “dei viaggi del Ministro in alcuni Paesi (il più
significativo mi pare sia stato quello in Germania)” e chiarisce che queste sono occasioni di
incontro propedeutici per avviare “un principio di sperimentazione di forma di collaborazione
applicata alla guerriglia”.
Alla luce di quanto sostenuto, pur con la sua proverbiale cautela che lo induce a non escludere “che
il fenomeno possa estendersi ed approfondirsi”, anche se “fin qui, non ve ne sono i segni e non si va
al di là di quello che si è detto”; appare a Moro “esagerato evocare una strategia Nato, ritenendo
eccessive sia la parola Nato sia la parola strategia” e più opportuno invece parlare “di collaborazioni
selettive di antiguerriglia, realisticamente, allo stato sperimentale”.
Il brano si interrompeva nel punto in cui Moro affermava che tale Organizzazione “avrebbe dovuto
fare passi da gigante in due o tre mesi”.
Le Brigate rosse utilizzarono questi chiarimenti forniti da Moro per stilare il loro secondo
comunicato diffuso a partire dal pomeriggio del 25 marzo 1978 con la consueta tecnica di
diffusione da loro adottata. Nel rivendicare che la loro “Organizzazione ha imparato a combattere”,
fugano i dubbi circolanti sulle loro effettive capacità militari e strategiche le Brigate rosse
affermano di avere condotto “nella più completa autonomia la battaglia per la cattura ed il processo
ad Aldo Moro”. Certo non negano che “tra le Organizzazioni Comuniste Combattenti che il
proletariato europeo ha espresso” negli ultimi anni debba stabilirsi “un rapporto di profondo
confronto politico, di fattiva solidarietà e di concreta collaborazione “ma questa sinergia si rende
necessaria perché i “nove paesi della CEE hanno creato L'ORGANIZZAZIONE COMUNE DI
POLIZIA” che l'articolo de La Stampa descriveva come “accordi di «reciproca assistenza» in vigore
fra tutte le polizie di tutti i Paesi della Comunità europea” e Moro aveva chiarito nel memoriale
essere una “collaborazione intereuropea o, se si vuole, intergovernativa” specificando che non era
circoscritta al solo ambito comunitario visto che era estesa anche a paesi quali “la Svizzera che è,
per la sua neutralità, fuori della Comunità”.
Nel comunicato si fa riferimento assieme alla presenza “dei super-specialisti” della BKA
(Bunderskriminalamt) e a quella inglese del S.A.S. (Special Air Service) anche dei servizi segreti
israeliani fino a paragonare tutte queste presenze ad una vera e propria “invasione inglese e tedesca”
finalizzata ad istruire e “dirigere i loro degni compari comandati da Cossiga”. Nella logica delle
Brigate rosse infatti sono “i paesi più forti della catena”, quelli “che hanno già collaudato le
tecniche più avanzate della controrivoluzione”, cui spetta il compito “di trainare, istruire, dirigere”
le forze dei “paesi più «deboli» che non hanno ancora raggiunto i loro livelli di macabra efficienza”.
Ma nonostante Moro si sforzi nel brano del memoriale di spiegare ai brigatisti che è da escludere
una evoluzione della Nato tendente all'attuazione di strategie antiguerriglia eccedendo così dalle
“finalità difensive proprie dell'alleanza”, le Br ritengono che sia la Nato a pilotare e dirigere “i
progetti continentali di controrivoluzione armata”. Questa prospettiva, che Moro ribadisce inidonea
da sviluppare “nei complicati comandi della Nato con le loro strutture mastodontiche ed i loro
complessi comandi”, viene perseverata in maniera ostinata dalle Brigate rosse perché anche su di
essa poggia il dogma del SIM (Stati Imperialisti delle Multinazionali) con la Nato appunto che
coordina militarmente le controffensive dei “vari SIM europei”.

Da quanto esposto possiamo concludere affermando che:


 il brano del memoriale di Moro in oggetto non parla, sicuramente nella parte a noi nota, di
Gladio;
 le domande che furono all'origine della stesura del brano sembrerebbero provenire da un
articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa il 20 marzo 1978;
 la presenza nel secondo comunicato brigatista di alcuni elementi presenti nel brano moroteo
e forniti in risposta ai quesiti che le Br gli sottoposero, fa ipotizzare che questo brano del
memoriale possa collocarsi con estrema probabilità in una data antecedente il 25 marzo,
approssimativamente tra il 20 e il 23 marzo, arco temporale in cui sicuramente a livello
verbale Moro espresse i contenuti alle Br, indipendentemente dalla data in cui li stese per
iscritto.

Giuseppe Michelangelo D’Urso


Catania, 12 luglio 2015

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