Franco Cambi
Sono stati gli anni tra il 1975 e il 1990 che hanno prodotto nella pedago-
gia italiana un intenso lavoro epistemologico. Poi quell’interesse si è interrotto,
come prima era stato in buona parte messo un po’ ai margini da stili di pensiero
pedagogico che avevano nel tomismo, in Dewey o in Marx le loro patenti episte-
miche. Poi, sotto l’urto del ’68 e dello strutturalismo il problema epistemologico
si rilancia anche nelle scienze umane e si viene a declinare secondo modelli
nuovi, ispirati da tutto un dibattito epistemologico che tra filosofie analitiche
e filosofie continentali veniva a caratterizzare la ricerca filosofica e culturale. Il
rilancio epistemologico della pedagogia si presentò in molte maniere. 1) Come
un dialogo stretto con tutti i modelli epistemici allora in corso, riletti con acri-
bia e assimilati con rigore; e ciò avvenne rispetto al neopositivismo e alle filoso-
fie analitiche del linguaggio, rispetto all’epistemologia francese, con Bachelard
in testa, come all’epistemologia post-popperiana e a molti altri modelli attivi
sulla frontiera internazionale, da Althusser ad Agassi, a Lecourt, etc. 2) Come
un confronto altrettanto stretto con le epistemologie presenti in Italia, da Preti
a Geymonat, passando per Giorello e per Evandro Agazzi; confronto fatto di
letture, assimilazioni, sviluppi e ripensamenti. 3) Come costruzione di un ar-
ticolato fascio di posizioni, ora più logiche, ora più ermeneutiche, ma capaci di
addentrarsi nell’ingens sylva del discorso pedagogico, cercando di pensarne il
carattere plurale e complesso: e qui la lezione della Metelli col suo «congegno
molare» del pedagogico ebbe un suo peso significativo, e lo ebbe su Laporta,
su Manno, sul sottoscritto anche. Quel congegno molare poteva assumere, in
una sintesi di integrazione dinamica, l’aspetto osservativo (empirico, di logiche
empiriche e sperimentali, di discorso scientifico fattuale e verificabile), quello
teorico (di modelli generali costruiti su dati sperimentali e ideazioni interpre-
tative/progettuali, capaci di sfidare se stesse con la verificazione/falsificazione),
quello utopico (di teoria non esplicativa ma proiettiva, axiologica e prospettica,
rivolta a offrire modelli, a interpretare attese e bisogni, a prefigurare il futuro).
Era un modello denso e maturo, che è stato, via via, riconfermato e condiviso
e che, ancora oggi – quarant’anni dopo – si offre come, forse, l’aggiornamento
più acuto del modello deweyano e il quadro orientativo più organico e più forte
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4. La frontiera dell’ontologia
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