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COME FARE UN FUMETTO

IN 10 RAPIDE MOSSE
(rapide per modo di dire...)
1-Vivere
Per cominciare lʼattività di autore di fumetti, prima di tutto bisogna accertarsi di essere vivi. Se
scoprite di essere morti, capirete finalmente perché vi risulti difficile temperare una matita o
squadrare un foglio. Ma la difficoltà maggiore che incontrerete sarà quella di raccontare delle
storie: se non vivete, non avrete mai niente da raccontare. Per vivere si intende: dormire, sognare,
svegliarsi, mangiare, andare in bagno, spostarsi, cadere, rialzarsi, leggere, studiare, giocare,
litigare, fare pace, vedere, ascoltare, toccare, annusare, assaggiare, dire, fare, baciare, lettera,
testamento. La somma di tutto questo, nelle sue infinite varianti e ripetizioni e rimescolamenti,
costituirà una gigantesca mole di cose interessanti da raccontare.

Io, da molti anni a questa parte, non ho più molti capelli, ma nonostante tutto un taglio di
capelli devo pur farlo, ogni tanto, per mettermi in ordine. Un giorno decisi di provare il barbiere
che cʼera nella strada dove abitavo. La bottega del barbiere, i mobili, le riviste sul tavolino, il
barbiere stesso erano rimasti agli anni Settanta. Mi sembrò di tornare bambino, quando avevo
molti capelli in più. Decisi di entrare. Non cʼera nessun altro cliente e speravo di sbrigarmela
in fretta, un quarto dʼora al massimo. Ci mise 45 minuti. Era di una lentezza da moviola.
Probabilmente il barbiere pensava di essere ancora negli anni Settanta, visto il modo con cui
faceva resistenza allo scorrere del tempo. Quei 45 minuti di noia mortale, mi diedero lʼidea per
la prima storia che mi pubblicò una casa editrice giapponese, la Kodansha.
2-Pensare
Se vivere è fondamentale, se andare a tagliarsi i capelli, per esempio, può essere utile e talvolta
decisivo, pensare è allo stesso modo necessario, non solo se si vuole essere degli autori di fumetti,
ma anche per non essere qualcosa di simile a una cacca di cane. La cacca di cane, si sa, vive
per lo più tra le pieghe delle suole delle scarpe da ginnastica o degli scarponi invernali e lì resta
praticamente inattiva fino a che qualcuno o qualcosa (tipo una mamma o un bel acquazzone)
non la lava via: non proprio un bel modo di vivere. Per cui: ricordare, fantasticare, inventare,
creare, immaginare sono tutte le azioni che servono per dare vita a una storia a fumetti.

“Quanto vorrei entrare allʼimprovviso mentre sta tagliando i capelli e gridare a squarciagola
BBBBBBUUUUUUUUUUUUUUU e poi scappar via! Solo per dare a questo lumacone ammuffito
di un barbiere una bella scossa!” Questo ho fantasticato, un giorno, ripassando davanti alla
bottega del barbiere, ricordando quanto mi era successo lì dentro. Immediatamente dopo,
cominciai ad inventare: quellʼidea balzana e folle (più i famosi 45 minuti di noia) mi aveva dato
lʼidea e la voglia di scrivere e disegnare una storia a fumetti. “E se quello che fa BU al barbiere
fosse un tipo con una barba gigantesca e con una chioma pazzesca da far paura? Altro che
45 minuti, per fargli barba e capelli: il barbiere ci metterebbe almeno due anni e per questo
il nostro protagonista piuttosto che sottoporsi alla tortura di due anni che si aspetta, gli fa BU
spaventandolo a morte, scappando poi via!”. Ovviamente non mi fermai lì e lʼinvenzione andò
avanti, supponendo nuove situazioni sempre più assurde e ponendomi sempre più domande,
anche semplici (tipo “Come veste il mio protagonista? Come si chiama? Come sono fatti gli
occhiali che porta?). Più domande mi ponevo più la storia si arricchiva di trovate divertenti.
Immaginavo le scene e nel farlo utilizzavo, rimescolandole e adattandole alla situazione, scene
prese da altri ricordi, film, fumetti...
3- Progettare
Avendo raccolta tutta una serie di personaggi, scene, situazioni, si può cominciare a progettare
la storia. Come prima operazione, serve scrivere tutto e abbozzare tutto, non per forza in bella
forma. Lʼerrore che si fa di solito, una volta avuta lʼidea di una storia è quella di partire subito
disegnando le pagine della storia stessa. Questo nucleo di testi e di schizzi è necessario farlo in
anticipo, perché permette di organizzare meglio tutto il guazzabuglio, che di solito passa per la
testa, in una forma migliore. Si eviterà così di iniziare una storia e di arrivare a pagina 15 senza
sapere più come andare avanti e chiudere una storia che magari in 8 tavole poteva funzionare
egregiamente.
Per cui, si proceda così:
- isolare per pagine le scene da cui è composta la storia;
- costruire per vignette le sequenze contenute nelle scene;
- andare a farsi una passeggiata, distraendosi il più possibile;
- tornare al tavolo, ormai distratti, e riguardare la serie di rettangolini, che si è disegnato e che
altro non sono che le pagine della storia versione neonato; se sembrano un inutile pasticcio, si è
sulla buona strada: è necessario limare a mente fresca, più e più volte. In genere il grosso delle
bozze in cui si è buttato giù la storia, che in genere si chiama soggetto, è sempre valido come
punto di partenza; il lavoro successivo, che prevede la suddivisione per scene, la sceneggiatura,
e poi la scrittura dei dialoghi dei personaggi e delle didascalie (che servono a indicare cambi
di tempo, di luogo o a completare il senso delle immagini disegnate), organizza, corregge
e arricchisce tutta la storia. Ma questo dipende anche da autore ad autore: molti autori non
procedono alla sceneggiatura finché il soggetto non sia corretto e funzionante.

Dovevo disegnare una storia divertente di 8 pagine per lʼeditore Kodansha; doveva essere una
storia ambientata in Italia, ai nostri giorni. La storia del barbiere mi sembrava più che adatta.
Dopo aver pensato a tutte le possibili situazioni e scene collegate alla prodezza barbieresca del
mio personaggio supercapellone (che tra lʼaltro assomiglia al mio amico Maurizio Rosenzweig),
presi carta e matita e cominciai a suddividere le scene, pagina per pagina, tracciando come
faccio di solito dei rettangolini, che stanno ad indicare le pagine della storia; in questo caso
erano otto per forza e in quelle otto pagine dovevo farci stare tutta la vicenda.

-Tavola 1: Il supercapellone, che poi ho chiamato CUT (in inglese, si pronuncia “cat”, vuol dire
“taglio”; per me indicava anche “darci un taglio”, cambiare le cose bruscamente, ribaltare una
situazione con un cataclisma...), è davanti al barbiere. Esita ad entrare.
-Tavola 2: Il barbiere, lentissimamente, rade la barba di un malcapitato cliente; Cut suda: sa
cosa lo aspetta. Ore e ore di noia mortale.
- Tavola 3: Cut soffre a ogni rasoiata. Finché gli brilla lʼidea e... BU! Lʼurlo proietta il barbiere
e il cliente fuori dal limbo in cui erano sospesi e li fa sobbalzare.
- Tavola 4: Il rasoio imbizzarrito dallo spavento del barbiere finisce per tagliare la guancia del
povero cliente; Cut sogghigna.

A questo punto ci voleva un evento altrettanto assurdo quanto il BU! di Cut. Ecco: il barbiere
reagisce!

Il barbiere sʼinfuria, non è più la salma che radeva un cm di barba ogni 10 minuti: è una bestia
assetata di vendetta!
- Tavola 5: Parte lʼinseguimento, tra portici, vicoli e macchine in frenata brusca!
- Tavola 6: La situazione si complica: il cliente, imbizzarrito per il taglio, si allea con il barbiere.
Bloccano Cut e...

Ecco lʼidea che mi porta a trovare il finale!


Il barbiere comincia a tagliare a grandi ciocche i capelli di Cut... Ma Cut con un cazzottone si
libera del cliente e...
- Tavola 7: ... con una secca gomitata del barbiere. Poi scappa via. Attenzione: ha un bel taglio
di capelli. Il barbiere si rialza ancora più infuriato: sfodera da sotto il camice, un gigantesco
paio di forbici e parte allʼinseguimento. Intanto Cut, è finito in un vicolo cieco. In trappola! Il
barbiere è lì.
- Tavola 8: Il barbiere sogghigna; Cut trema. Tensione al massimo. Partono le mega forbici
turbinando... Ma... Cut è lì illeso e come se non bastasse perfettamente sbarbato! Soddisfatto
chiede il conto. Il barbiere prende i suoi soldi con distacco professionale.

Fine

Sono partito dal mio taglio di capelli per arrivare tra non-sense, inseguimenti e cazzotti, al
racconto di un taglio avventuroso e non ammorbante (tutto quello che non era capitato a me).
Era lʼidea giusta: ho continuato infatti per qualche anno a disegnare le storie assurde di Cut.
4-Documentarsi
Il raccogliere la documentazione visiva è un altro momento importante prima di cominciare a
disegnare una storia a fumetti. Per qualunque storia serve conoscere bene i luoghi in cui la storia è
ambientata, per cui occorre raccogliere un numero sufficiente di informazioni e fotografie su quei
luoghi. Come per fare un film, occorre non solo il regista, ma anche lʼarredatore, il costumista,
lo scenografo, così anche per una storia a fumetti, solo che lʼautore deve riassumere su di sé
tutti questi ruoli. Non solo: se cʼè da disegnare una particolare azione, supponiamo “mangiare
spaghetti”, bisogna saper rappresentare correttamente il modo con cui si impugna la forchetta o
il gesto del mangiare gli spaghetti arrotolandoli e portandoli alla bocca carichi di condimento.
Può essere utile usare a questo scopo, uno specchio in cui potersi vedere mentre si recita la storia
che si vuol disegnare, studiando le espressioni del volto, le posture esatte e alle volte spremersi
qualche antiestetico brufolo. A poco a poco, la casa dellʼautore in erba comincerà a popolarsi
dei libri e delle riviste più strane e diverse: wrestling e moda, libri fotografici su angoli sperduti
del pianeta e riviste di armi.
Se tutto ciò non bastasse, si può ora ricorrere a internet (ma ancora valide restano le biblioteche),
a foto e video digitali ottenuti persino con i cellulari e via così. Mamme, zii e fidanzate saranno
ben lieti di interpretare i ruoli che saranno loro affidati. Se non lo fossero, minacciateli.

Per la storia di Cut, la documentazione era sotto casa. Un paio di foto alla bottega del barbiere
o ai portici della zona ed ero a posto. Per una storia di otto pagine era più che sufficiente.
Ben altre documentazioni dovevo poi raccogliere per disegnare le storie di Martin Mystére o
Diabolik.
5-Disegnare a matita
Avendo fatto con cura tutte le fasi di progettazione (soggetto, sceneggiatura, studio dei
personaggi e degli ambienti), si può ora passare al disegno. Alcuni autori per esigenze proprie
o per richiesta dellʼeditore, preparano il cosiddetto storyboard, una prima visualizzazione delle
pagine che chiameremo tavole, prima di passare poi a disegnare le tavole definitive a matita.
In genere, lo storyboard serve a verificare visivamente se la sceneggiatura funziona, a scegliere
le inquadrature giuste, a posizionare correttamente gli spazi per i testi e per gli effetti sonori,
le cosiddette onomatopee. Squadrato il foglio in una grandezza in genere maggiore rispetto a
quella del formato di stampa, si può cominciare a disegnare con una matita né troppo morbida
né troppo dura. Molti autori fanno disegni a matita estremamente dettagliati, altri non fanno che
pochi segni significativi: è una questione di stile ma anche di maggiore o minore sicurezza.

Per la storia di Cut fu necessario fare uno storyboard abbastanza dettagliato: era la prima
storia per un editore con cui non avevo mai lavorato prima. Dovevo essere cauto e chiaro. Le
matite che feci, una volta approvato lo storyboard, furono molto dettagliate: volevo fare un
lavoro super e quindi non volevo lasciare niente al caso.
6-Fare una pennichella
Alberto Breccia, uno dei più grandi autori di fumetto, finita una tavola a matita, ci dormiva su
una notte. Il giorno dopo la riguardava e la correggeva (se era il caso). Vale il discorso fatto
in precedenza. Il rischio che si corre spesso è quello di “entrare” troppo nella storia che si sta
facendo e di non avere più la freddezza critica per scoprire i propri errori. Fare una pennichella
serve anche a distendere le vertebre troppo a lungo schiacciate dal peso della creatività.

Pennichelle e nottate. Calma e fretta. Sempre così, nella mia vita di autore di fumetti.

7-Rifinire
A mente fresca, si procede a fare tutte le correzioni. Guardare la tavola a rovescio o in
trasparenza, aiuta a vedere le imperfezioni del disegno, sia delle anatomie dei personaggi che
della prospettiva usata per costruire gli ambienti. Le rifiniture non sono mai troppe.

Più rifinisco, più mi sfinisco. Eppure servono, benedette rifiniture... Siccome Cut sarebbe uscito
in Giappone, bisognava disegnarlo secondo il senso di lettura giapponese che è esattamente
contrario al nostro, infatti le tavole si leggono da destra verso sinistra. Per questo il lavoro di
rifinitura dovette concentrarsi particolarmente sulla verifica che tutto il senso di lettura fosse
coerente e ben funzionante.
8-Inserire i testi
Finite le matite, si inseriscono materialmente i testi nelle nuvolette o balloon. Questa operazione
si chiama lettering; in genere cʼè un calligrafo, un esperto esecutore di bella scrittura, che lo
realizza a mano o al computer. Molto spesso capita che i balloon siano disegnati più grandi o
più piccoli di quello che serva, perchè disegnati ad occhio. In questo modo si è ancora in tempo a
modificare il disegno per rendere armonici al testo i baloon. La calligrafia è necessaria se volete
che i lettori riescano a leggere ciò che si è scritto senza far ricorso a lenti dʼingrandimento o
grafologi della polizia scientifica. In questo il computer torna particolarmente utile a chi proprio
non riesce a scrivere due lettere dritte una di seguito allʼaltra.

La storia di Cut era muta, per evitare problemi di traduzione con i giapponesi; i responsabili
decisero di inserire comunque qualche testo qui e là. Tutte le onomatopee furono indicate da me
su un foglio a parte e poi tradotte e posizionate sui disegni prima di andare in stampa.

9-Disegnare a china
Dopo il lettering, segue la fase di inchiostrazione. Serve a dare una forma chiara e facilmente
riproducibile dei disegni a matita; solitamente viene fatta con pennelli di martora (n°2 o 3) o con
pennini metallici e inchiostro di china nera. Sempre più spesso si usano pennarelli di varie punte
con inchiostro pigmentato. Spesso questa fase viene chiamata ripasso a china, ma è preferibile
pensare a questo come un momento altrettanto creativo come quello del disegno a matita: il
disegno a china è di fatto quello definitivo ed è quello che i lettori leggeranno e giudicheranno,
ameranno o odieranno. Per questo bisogna pensare al segno a china come il momento decisivo
delle varie operazioni di disegno: ogni segno suggerisce al lettore una emozione precisa. Un
segno graffiato, sporco può essere letto come aggressivo, cattivo, drammatico; così come un
segno morbido, continuo può risultare rassicurante, piacevole, buono. A seconda della storia che
un autore deciderà di raccontare, potrà usare il segno più adatto per farlo. I migliori autori sono
quelli che riescono a cambiare segno a seconda della storia, pur rimanendo sempre riconoscibili
nello stile.

Quando ho cominciato a inchiostrare la storia di Cut, ho deciso di usare un segno molto morbido
e dinamico: con il pennello ho modulato le forme della chioma di Cut, le anatomie scattanti
dei personaggi e le linee cinetiche; con pennarelli di varie punte, ho inchiostrato tutto ciò che
non era morbido, come palazzi, macchine, forbici. Per rendere le linee cinetiche, cioè le linee
che servono a indicare e sottolineare il movimento di cose e persone, più efficaci e originali
(visto che avrei pubblicato in un Paese in cui si fa un largo uso di quel espediente grafico,
volevo propormi in maniera nuova...), ho incrociato le linee inchiostrate in nero di china con
linee parallele tracciate con tempera bianca ben coprente, in modo da spezzare quelle nere e
renderle più luminose, vibranti.
10-Colorare
Non è infrequente che si debba colorare la storia, una volta terminata lʼinchiostrazione. In Italia
sempre più è rara questa eventualità, ma in ogni caso conviene tenersi pronti. Le tecniche di
colorazione sono svariate, da quelle tradizionali con colori ad acqua (acquerelli o ecoline) a
quelle sempre innovative realizzate con lʼuso di computer e di software grafici (come Photoshop
o Painter).
La colorazione digitale permette un controllo sul colore praticamente infinito e soprattutto
permette di fare e rifare le stesure di colore senza rischi di rovinare il disegno originale.
Colorando fotocopie o stampe su carta dei disegni originali, questa possibilità, per certi versi,
esiste anche usando le tecniche tradizionali.
Che si usi una tecnica piuttosto che unʼaltra, conviene, ad ogni buon conto, tenere bene a mente
che come il segno anche il colore racconta, suggerisce emozioni, parla al lettore in maniera
diversa rispetto al testo, ma non meno efficacemente.
Per cui è molto importante pensare scena per scena il senso del racconto da sottolineare e
arricchire con il colore adatto: inutile e dannoso colorare tutto come se gli oggetti o le persone
abbiano sempre uno stesso colore, a prescindere da quale luce li illumini. A seconda che sia
notte o pieno giorno, ma anche a seconda che la scena sia più o meno drammatica, lʼincarnato
della pelle di un personaggio cambierà colore. Non si abbia paura di fare una faccia blu, se il
racconto lo vuole!

Cut nasce e finisce in bianco e nero, come buona parte dei manga, i fumetti giapponesi. Ma
centinaia sono le pagine a colori che ho pubblicato. Migliaia, le facce blu.

A seguire le otto tavole della prima storia di Cut, pubblicate in Italia da Comma 22.

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