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4.1
Prologo
Storico visionario, Henri Focillon (1881-1943) ha composto atlanti di imma-
gini, ha provato a dare una forma al tempo, ha mostrato – come vedeva André
Chastel – il cammino verso un’inedita e superiore “antropologia”, quella delle
affinità formali1. L’attenzione portata alle dinamiche artistiche e il loro enun-
ciato teorico in un libro come Vita delle forme (1934) hanno fatto sì che
Focillon fosse univocamente ricondotto sotto l’etichetta di “formalista”, rap-
presentante in Francia di quella nuova concezione della disciplina che si svi-
luppa in Austria, Germania e Svizzera nell’ultimo quarto del xix secolo2. Una
definizione che lo ha contrapposto, in modo antitetico, alla tradizione degli
studi iconologici, di storia della cultura, nonché a quelli di iconografia rap-
presentati in Francia da Émile Mâle, predecessore di Focillon alla cattedra di
Storia dell’arte medievale alla Sorbona3.
L’opera intellettuale di Focillon presenta invece aspetti teorici, tematici
e metodologici che vanno a complicare questa lettura puroformale. Mi rife-
risco all’interesse per la psicologia, ma anche per le arti popolari, nonché per
79
Esistono arti prive di magia e magie prive di arte. Ma l’una e l’altra hanno un eguale
bisogno di forme e formule estremamente rigorose. Hanno acquistato una consi-
stenza che permette loro di traversare le epoche ed accogliere in alcune figure inva-
riabili significati nuovi in grado di renderle vitali7.
80
4.2
Contatti tra due mondi
I percorsi variegati e per certi versi opposti degli allievi di Focillon, in Francia
e negli Stati Uniti, testimoniano della complessità del pensiero del maestro.
In modo particolare, due casi devono essere menzionati, Jean Adhémar e Jean
Seznec12. Adhémar, che proveniva dall’École des Chartes, era passato sotto la
guida di Focillon per redigere una tesi il cui argomento erano le influenze
antiche nell’arte medievale francese. Alcuni anni dopo Adhémar istituiva con
Fritz Saxl un sodalizio che sfociò nella pubblicazione della ricerca nel quadro
della collana del Warburg Institute13. Jean Seznec, lo studioso che aveva preso
le mosse a Roma con Mâle, attorno al 1938 sceglieva proprio Focillon come
9. Tutte le citazioni, ivi, p. 180. Per considerazioni acute su tale “rischio” dell’iconologia
cfr. E. H. Gombrich, Aspirazioni e limiti dell’iconologia, in Id., Immagini simboliche. Studi
sull’arte nel Rinascimento, Einaudi, Torino 1978, pp. 3-33.
10. D. Wuttke, L’“Hercule à la croisée des chemins” d’Erwin Panofsky: l’ouvrage et son
importance pour l’histoire des sciences de l’art, in M. Waschek (éd.), Relire Panofsky, École
Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Paris 2008, pp. 105-47. Sulla precoce fortuna di Panofsky
in Francia: F.-R. Martin, La “migration” des idées. Panofsky et Warburg en France, in “Revue
Germanique Internationale”, 13, 2000, pp. 239-59. In generale per l’eredità di Warburg cfr.
C. Ginzburg, Da A. Warburg a E. H. Gombrich. Note su un problema di metodo, in Id., Miti,
emblemi, spie. Morfologia e storia, Einaudi, Torino 1986, pp. 29-106; C. Cieri Via, Nei dettagli
nascosto. Per una storia del pensiero iconologico, Carocci, Roma 2009; C. S. Wood, Aby Warburg,
homo victor, in “Les Cahiers du Musée National d’Art Moderne”, 118, 2011-12, pp. 80-101.
11. Cfr. l’edizione francese A. Warburg, L’Atlas Mnémosyne. Avec un essai de Roland Recht,
éd. par. R. Recht, L’écarquillé-Institut national d’Histoire de l’Art, Paris 2012.
12. Li ha ben illustrati di recente M. Tchernia-Blanchard, Résonances warburgiennes en
France dans les années 1930, in “Images Re-vues [En ligne]”, hors-série 4, 2013 (http://
imagesrevues.revues.org/2917).
13. J. Adhémar, Influences antiques dans l’art du Moyen Âge français, The Warburg Institute,
London 1939, su cui cfr. oggi le osservazioni di L. Pressouyre, Préface alla riedizione francese
(Éditions du cths, Paris 1996, pp. vii-xvi).
81
rapporteur al Collège de France per la sua tesi dedicata alla Survivance des
dieux antiques; la pubblicazione14, destinata a diventare un classico sulla
sopravvivenza delle mitologie antiche, fu promossa dal Warburg Institute,
probabilmente anche perché rispondente alle inclinazioni scientifiche del
direttore. In quello studio il noto “principio di disgiunzione” tra forma e con-
tenuto, successivamente definito da Panofsky, veniva assunto, sia pur in modo
ancora germinale, per poi svolgere una ricerca sulle immagini degli antichi
dei, analizzandone distintamente le “idee”, le “forme”, il “mito”. La convin-
zione che il pantheon pagano si presentasse sotto mutate spoglie lungo tutto
il Medioevo, Seznec doveva derivarla evidentemente dagli studi di Mâle (il
libro infatti era stato concepito proprio a Roma nel 1929): l’iconografia, affer-
mava Seznec, ha valore «documentario» e «offre costantemente allo stu-
dioso della storia delle idee solidi punti d’appoggio e sussidi insostituibili»15.
Ma in modo esemplare Seznec riconosceva anche il fenomeno di una soprav-
vivenza medievale delle forme antiche: il Medioevo era quindi attentamente
osservato e vi si scorgeva la capacità di elaborare stilemi conformi alla tradi-
zione figurativa classica16. Un elemento critico, questo, evidentemente assi-
milato da Focillon.
L’interesse che le due tesi portavano verso il problema dell’heritage dell’an-
tico nell’arte medievale è sintomatica dell’apertura a una più ampia tematica
che era stata affrontata a cavallo dei due secoli, anche nelle ricerche di archeologi
di ambito francofono: si pensi, oltre a Mâle, al bizantinista Gabriel Millet, o
al belga Franz Cumont, i cui studi fondevano mitologia, storia delle religioni
e analisi dei manufatti, e mettevano a fuoco il delicato passaggio che investe
le immagini tra antichità pagana (nelle sue molte sfaccettature, basti pensare
al mitraismo) e ambito giudaico-cristiano.
Tale problema aveva già trovato impostazione teorica nell’opera dello sto-
rico dell’arte tedesco Anton Springer. Come faceva notare Ernst Gombrich17,
in Bilder aus der Neueren Kunstgeschichte (1867) un intero capitolo era dedi-
cato alla sopravvivenza dell’antico nel Medioevo: importante, perché si ricer-
cavano le tracce del mondo classico in dettagli ornamentali, facendo ricorso
all’ampia diffusione degli oggetti suntuari, e soprattutto mettendo in luce l’a-
spetto “magico” insito negli oggetti antichi, il loro potere attrattivo per gli
uomini del Medioevo. In quel capitolo fondamentale veniva così per la prima
volta analizzato il fenomeno – a cui si dava il preciso appellativo di Nachleben –
14. J. Seznec, La survivance des dieux antiques. Essai sur le rôle de la tradition mythologique
dans l’humanisme et dans l’art de la Renaissance, The Warburg Institute, London 1940.
15. Id., La sopravvivenza degli antichi dei. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella
cultura e nell’arte rinascimentali, Boringhieri, Torino 1981, p. 7.
16. Ad esempio nella scultura gotica di Reims; cfr. S. Settis, Presentazione, ivi, pp. xxv ss.
17. E. H. Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano 1983,
p. 51; cfr. anche le osservazioni di M. Podro, Les historiens d’art, Gerard Montfort, Saint-
Pierre-de-Salerne 1990, pp. 100-9, e di Tchernia-Blanchard, Résonances warburgiennes, cit.
82
18. H. Focillon, L’Art allemand depuis 1870 (1915), in Id., Technique et sentiment. Études
sur l’art moderne, Laurens, Paris 1919, p. 171.
19. Id., Vie des formes suivi de Éloge de la main, Librairie Félix Alcan, Paris 1939 (trad. it.
Vita delle forme seguito da Elogio della mano, Einaudi, Torino 2002); cfr. A. Ducci, Familles
de mains. Sources littéraires et iconographiques dans l’Éloge de la main, in P. Wat (éd.), Henri
Focillon, Kimé, Paris 2007, pp. 63-70; per le radici nazionali dell’elogio della mano cfr. oggi
A. Ducci, “Leur chair chante des Marseillaises”. La main dans les écrits sur l’art en France, repères
pour un parcours, in M. C. Gadebusch Bondio (Hrsg.), Die Hand – Elemente einer Medizin
– und Kulturgeschichte, Internationales Symposium (Greifswald, 28-30 juni 2007), lit, Berlin
2010, pp. 239-64, e Ead., Introduzione, in H. Focillon, Elogio della mano. Scritti e disegni, a
cura di A. Ducci, Castelvecchi, Roma 2014, pp. 5-14.
20. Nota la frase di Warburg in occasione della visita al Museo di Basilea: «Meravigliosi
quadri di Böcklin, come un bagno rinfrescante tra le onde e nel vento: naiadi che giocano»
(1888). Su questo punto cfr. Gombrich, Aby Warburg, cit., pp. 135 ss., e K. W. Forster, Aby Warburg
cartografo delle passioni, in K. W. Forster, K. Mazzucco, Introduzione ad Aby Warburg e all’Atlante
della Memoria, a cura di M. Centanni, Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 18 ss. Cfr. anche
M. Forti, Dal realismo all’espressionismo. Warburg e la cultura artistica contemporanea, in C. Cieri
Via, P. Montani, Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, a cura di B. Cestelli
Guidi, M. Forti, M. Pallotto, Nino Aragno, Torino 2004, pp. 377-410.
21. «Avec tant d’intentions, avec l’accent de la gravité et cette bestialité héroïque, une
technique indigente, pleine de fausses vigueurs, une palette tantôt acide, tantôt maladive et
sans charme, aucune de ces puissances d’émotion ou d’agrément noble qui éveillent en nous
la sympathie profonde, – pas même dans ces fameuses Iles des Morts, qui arrangent en décor
pour quelque opéra grand-ducal un beau rocher de Corfou» (H. Focillon, La peinture au
xixe siècle, Henri Laurens, Paris 1927, vol. ii, p. 388).
83
citazioni, o soltanto ornamenti decorativi […] staccati dalla vita […] semplici
fiori retorici – simili a quelli dello Jugendstil della sua epoca»22. Sulla figura di
Böcklin e sulla sua distinta valutazione si misurava la distanza tra i due storici
dell’arte, nella mutata temperie artistica: se per il tedesco nell’ultimo quarto
dell’Ottocento il pittore svizzero appariva come la « liberazione dal filisteismo»23
conservatore piccoloborghese, agli occhi del socialista parigino degli anni Venti,
lo stesso maestro non poteva apparire che retrogrado. Ma intorno a Böcklin, pur
da punti di vista opposti, i due impostavano in fondo una medesima riflessione
sulla pochezza dell’atteggiamento estetizzante nei confronti delle arti, sintomo
di una crisi di valori che rischiava di svilire la disciplina storico-artistica, riducen-
dola a banali valutazioni di superficie e privandola del suo fondamento storico.
Grazie al clima di rinnovata distensione scaturita dagli Accordi di Locarno,
il francese era però entrato a far parte della redazione della “Revue d’Allemagne”,
in cui nel 1928 pubblicava un saggio su Dürer24, nel quale l’artista di Norimberga
veniva dipinto come un Giano, dalla doppia anima medievale e rinascimentale,
homo symbolicus in cui si incontravano felicemente l’umanesimo occidentale e
la «barbarie» germanica25. Una lettura che era stata proposta in modo eclatante
proprio da Aby Warburg nel saggio del 190526: il pathos delle figure di Dürer era
sì un’eredità degli antichi (filtrata da maestri moderni quali Mantegna e Polla-
iolo), ma quella forza veniva temperata e per così dire tenuta a freno proprio dagli
elementi di tradizione germanica e medievale, che l’artista di Norimberga volu-
tamente sceglieva di conservare nella sua linea espressiva. Per Warburg, proprio
da questa convivenza degli opposti nasceva la grandezza dell’arte.
4.3
Geologia morale
È nota l’immagine mirabile che Warburg propose al seminario di Amburgo
nel 1927, confrontando le figure di Burckhardt e Nietzsche e discutendone il
rapporto con la tradizione culturale: «Si tratta di due sismografi di grande
sensibilità, che quando ricevono e trasmettono le onde vacillano nelle fon-
22. M. Warnke, Aby Warburg (1866-1929), in I. Spinelli, R. Venuti (a cura di), Mnemosyne.
L’Atlante della memoria di Aby Warburg, Artemide, Roma 1998, p. 17.
23. Gombrich, Aby Warburg, cit., p. 135.
24. H. Focillon, Albert Dürer, in “Revue d’Allemagne”, 2, 1928, pp. 481-92, in cui Warburg
non viene mai citato.
25. Cfr. G. Kubler, L’enseignement d’Henri Focillon, in Waschek (éd.), Relire Focillon, cit.,
pp. 13-24. Sulla relazione intellettuale tra Focillon e Kubler cfr. oggi A. Ducci, “To Spatialize
Time is a Faculty Shared by Snails and by Historians”: George Kubler and Focillon, in “Art
History Supplement”, 2, 1, 2012, in http://www.arths.org.uk/about/arthsa/issue21.
26. A. Warburg, Dürer e l’antichità italiana (1905), in Id., Opere, i. La rinascita del paganesimo
antico e altri scritti (1889-1914), a cura di M. Ghelardi, Nino Aragno, Torino 2004, pp. 403-18.
84
La storia non è il divenire hegeliano. Non è simile a un fiume che trasporti alla stessa
velocità e verso la stessa direzione gli avvenimenti e i frammenti degli avvenimenti.
Ciò che noi chiamiamo storia è invece costituito dalla diversità e molteplicità delle
correnti. Dovremmo piuttosto immaginare una sovrapposizione di strati geologici,
diversamente inclinati, talvolta interrotti da brusche faglie e che, in uno stesso luogo,
in uno stesso momento, ci permettono di cogliere le età della terra, così che ogni fra-
zione di epoca è al contempo passato, presente e avvenire28.
27. Cito dalla versione pubblicata oggi come A. Warburg, Burckhardt e Nietzsche, in Id.,
Opere, ii. La rinascita del paganesimo antico e altri scritti (1917-1929), a cura di M. Ghelardi,
Nino Aragno, Torino 2008, pp. 895-901, su cui cfr. G. Didi-Huberman, L’immagine insepolta.
Aby Warburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Bollati Boringhieri, Torino 2006,
pp. 111 ss.; R. Venuti, Aby Warburg, “un sismografo tra le culture”, in Pathosformeln, retorica
del gesto e rappresentazione. Ripensando Aby Warburg, Istituti Editoriali e Poligrafici
Internazionali, Pisa-Roma 2006, pp. 13-21; M. Ghelardi, Aby Warburg. La lotta per lo stile,
Nino Aragno, Torino 2012, pp. 25-46.
28. Cito dall’edizione italiana H. Focillon, L’anno mille (1952), Neri Pozza, Vicenza 1998,
p. 27.
29. A. Ducci, Henri Focillon et l’histoire, réflexions à partir de L’An Mil, in “Revue de
l’Art”, 150, 4, 2005, pp. 67-73.
85
86
nell’alveo dello psicologismo non impedisce però di vedere con nettezza l’ap-
proccio distinto, per non dire opposto, che Warburg e Focillon manifestano
nei confronti del mondo delle arti. Il gradiente magico dell’opera è ricono-
sciuto da Focillon come insondabile, «segreto»36, elemento che lo accomuna
certamente a Warburg37. Ma il francese, cullato sin da bambino dall’ambiente
artistico parigino e avviato dal padre incisore ai misteri della “costruzione”
dell’opera, si è nutrito dei sentimenti positivi di attrazione, fiducia, ricono-
scenza verso l’arte. Niente può essere più lontano, in lui, da quanto Warburg
aveva fugacemente appuntato «Sei viva, e non mi fai nulla», rivolgendosi
all’immagine38. Se per il tedesco «l’immagine è viva, ma resta confinata nella
sua sfera [e] l’artista crea la distanza»39, per Focillon, al contrario, la relazione
con l’arte è fonte immediata di gioia: l’artista ha il privilegio e il compito di
“toccare” le forme, e di donarci l’illusione di riviverle. Ecco come, a 55 anni,
Focillon descriveva il suo debito verso un’esistenza cresciuta all’ombra della
pratica artistica:
Woodfield, Brush (eds.), Art History as Cultural History, cit., pp. 65-92; oggi: Ghelardi, Aby
Warburg, cit., pp. 90 ss.
36. «[L’arte è] Esistenza allo stesso tempo vera e soprannaturale, dove le più lampanti
evidenze conservano il privilegio del loro segreto. Possa l’analisi più comprensiva e rigorosa
rispettare sempre questo carattere magico» (H. Focillon, Ma perspective intérieure, qui nella
traduzione La mia prospettiva interiore, in Id., Estetica dei visionari, cit., pp. 99 ss. Il breve
scritto comparve originariamente in “Art et décoration”, lxv, 1936, p. 1, poi ripreso in Id.,
Moyen Âge. Survivances et réveils, Brentano’s, New York 1943).
37. «Warburg ha riconosciuto l’elemento magico come una forma originaria concreta
della nostra logica e così facendo lo ha reso innocuo nei confronti di sé stesso. Logica e magia,
dalla loro origine in poi, vennero riconosciute come innestate su un unico ceppo» (F. Saxl,
Discorso di commemorazione di Aby Warburg [1929], in D. Stimilli, a cura di, Aby Warburg.
La dialettica dell’immagine, numero monografico di “aut-aut”, 321-322, 2004, p. 168). Cfr.
M. Rampley, Iconology of the Interval: Aby Warburg’s Legacy, in “Word & Image: A Journal
of Verbal/Visual Enquiry”, 17, 4, 2001, pp. 303-24.
38. In un motto del 1888, che peraltro Gombrich traduceva con «Sei viva, ma non mi
fai paura» (cfr. nota successiva).
39. E. H. Gombrich, L’ambivalenza della tradizione classica. La psicologia culturale di
Aby Warburg (1866-1929), in Id., Custodi della memoria. Tributi ad interpreti della nostra
tradizione culturale, Feltrinelli, Milano 1985, p. 132. La questione è ripresa da C. Cieri Via,
Aby Warburg: il concetto di Pathosformel tra religione, arte e scienza, in M. Bertozzi (a cura
di), Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dèi, Franco Cosimo Panini, Modena 2002,
p. 128.
40. Focillon, La mia prospettiva interiore, cit., p. 99.
87
4.4
Forme vive, immagini in movimento
Le forme vivono nel tempo, nello spazio, nella materia. La loro essenza pri-
mordiale, per Focillon, è quella di stabilire relazioni. Quest’aspetto dina-
mico41 è un nodo teorico essenziale. La forma è mutevolezza perenne, assume
di volta in volta aspetti e significati diversi, che non seguono una logica sche-
matica, e le cui mutazioni dipendono da variabili non sempre controllabili;
una vitalità imprevedibile, in quanto porta in sé ciò che l’autore chiama «le
génie de l’impropriété»42, elemento che distingue con nettezza l’idea di forma
da quella di immagine, ossia legata a un preciso significato, per quanto varia-
bile esso possa essere nel tempo (e che allontana inesorabilmente Warburg e
Focillon).
Per il dinamismo delle forme Focillon dovette guardare principalmente
al primo Goethe, il quale proprio sul momento della formazione e della cre-
azione artistica aveva posto l’accento, affascinato dalle scienze naturali43. Non
a caso le ricerche di Focillon sulla scultura romanica affrontano il tema delle
metamorfosi. Lo snodo centrale dell’arte dell’xi secolo è rappresentato dalla
riscoperta della figura umana. Focillon ne indaga il passaggio dalle costrizioni
del quadro architettonico, le fasi di adattamento che danno vita a forme ibride
e a movimenti esasperati, fino alla “liberazione” della statua nello spazio.
Una quindicina di anni fa, un attento lettore di Focillon, Walter Cahn,
istituiva un seppur problematico parallelo tra le Pathosformeln warburghiane
e il primo, significativo saggio dedicato a problemi di ambito medievale dal
francese44, Apôtres et jongleurs romans (1929), che aveva come emblematico
sottotitolo Études de mouvement45: qui l’autore analizzava il rapporto tra scul-
tura e cadre, indugiando sul famoso frammento di archivolto con jongleur
del Museo di Lione. Cahn leggeva nell’interesse di Focillon per quel perso-
naggio, dal movimento acrobatico e audace, un vero e proprio riflesso – per
quanto indiretto – delle propensioni di Warburg verso le figure danzanti o
41. È stato ipotizzato che anche nel caso di Focillon l’attitudine cinetica delle forme
possa essere in rapporto con il medium espressivo più attuale nei primi decenni del Novecento,
il cinema; G. Agamben, Nymphae, in Stimilli (a cura di), Aby Warburg. La dialettica
dell’immagine, cit., p. 57.
42. Focillon ne parla in Vita delle forme, cit., p. 10. Sul punto cfr. ancora Thuillier, La
Vie des formes, cit., p. 86.
43. Sulla morfologia goethiana e il suo lascito cfr. J. Lacoste, Goethe. Science et philosophie,
Presses Universitaires de France, Paris 1997, e D. Cohn, La lyre d’Orphée. Goethe et l’esthétique,
Flammarion, Paris 1999. Per il riferimento alla morfologia di Goethe anche in Warburg cfr.
A. Pinotti, Memorie del neutro. Morfologia dell’immagine in Aby Warburg, Mimesis, Milano
2001.
44. W. Cahn, Focillon’s Jongleur, in “Art History”, 18, 1995, pp. 345-62.
45. H. Focillon, Apôtres et jongleurs romans. Études de mouvement, in “Revue de l’Art”,
55, 302, 1929, pp. 13-28.
88
89
4.5
Sopravvivenze medievali
Uno dei punti centrali della fenomenologia dell’arte di Focillon è la nozione
di sopravvivenza54, uno dei nodi in cui si misura tutta la distanza con Panofsky
e il suo concetto “alto” di rinascita; è forse possibile invece istituire un’analogia,
pur problematica, tra la survivance focilloniana e il Nachleben warburghiano55.
51. R. Kany, Lo sguardo filologico. Aby Warburg e i dettagli, in “Annali della Scuola Normale
Superiore di Pisa”, 15, 4, 1985, p. 1268. Sul significato delle formule patetiche in Warburg cfr.
anche M. Baraš, “Pathos Formulae”: Some Reflections on the Structure of the Concept, in Id.,
Imago Hominis: Studies in the Language of Art, irsa, Wien 1991, pp. 119-27.
52. W. Sauerländer, L’art des sculpteurs romans et le retour à l’ordre, in Thomine, Briend
(éds.), La vie des formes. Henri Focillon et les arts, cit., pp. 147-53 e nello stesso catalogo
É. Vergnolle, Un nouveau regard sur les débuts de la sculpture romane, pp. 137-45.
53. H. Focillon, Relief roman, in L. Rosenthal (éd.), Florilège des Musées du Palais des
Arts de Lyon, Morancé, Paris s.d. (ma 1928), pp. 17-9.
54. A. Ducci, Le metamorfosi del gotico (nel 1960), in I. Mallez, R. Milani (a cura di), Nel
cuore della meraviglia. Omaggio a Jurgis Baltrušaitis, in “Quaderni di PsicoArt”, 1, 2010 (http://
amsacta.unibo.it/2880/1/10._Ducci.pdf ).
55. Un primo confronto è stato avanzato da Recht, Le croire et le voir, cit., pp. 70 ss. e
F.-R. Martin, Le roman des origines. Survivances et structures chez Henri Focillon dans les années
Trente, in Thomine, Briend (éds.), La vie des formes. Henri Focillon et les arts, cit., pp. 37-51. Sulla
distinzione fondamentale tra la sopravvivenza warburghiana e la rinascita di Panofsky e Saxl cfr.
le osservazioni di G. Didi-Huberman, Obscures survivances, petits retours et grande Renaissance:
remarque sur les modèles de temps chez Warburg et Panofsky, in A. J. Grieco, M. Rocke, F. Gioffredi
(eds.), The Italian Renaissance in the Twentieth Century, Acts of an International Conference
(Florence, Villa I Tatti, June 9-11, 1999), Olschki, Firenze 2002, pp. 207-22, che spiega: «De
Warburg à Panofsky, donc, un mot tombe et s’oublie: le mot Nachleben, “survie”. Et tombe avec
lui – avec son impureté foncière – un deuxième mot contenu en lui: Leben, la “vie”» (ivi, p. 218).
Molte di queste osservazioni sono sviluppate in Didi-Huberman, L’immagine insepolta, cit.,
90
91
mostrato che un’analisi iconologica può rischiarare una singola oscurità e illuminare
nella loro connessione le grandi fasi dell’evoluzione. Certo, un metodo simile non si
deve far intimorire dal controllo poliziesco dei confini, ma deve considerare l’Antico,
il Medioevo e l’evo moderno come un’epoca indissolubile e interrogare altresì le opere
d’arte più pure o più utili come documenti equivalenti dell’espressione umana59.
Il nuovo grande stile che ci ha donato il genio artistico italiano era di fatto radicato
nella volontà sociale di liberare l’umanità greca dalla “pratica” medievale e latina di
matrice orientale. Con questa volontà diretta a restaurare l’Antico, il “buon europeo”
ha così iniziato la sua lotta per i Lumi in quell’epoca di migrazioni internazionali di
immagini che, in modo un po’ troppo mistico, definiamo come età del Rinascimento62.
59. Id., Arte italiana e astrologia internazionale a Palazzo Schifanoia a Ferrara, in Id.,
Opere, i, cit., pp. 551 ss.
60. Id., Da arsenale a laboratorio, ivi, p. 9.
61. Nella conferenza dedicata a Rembrandt (1926), da cfr. oggi nella versione Id., L’an-
tico italiano nell’epoca di Rembrandt, in Id., Opere, ii, cit., p. 635.
62. Id., Arte italiana e astrologia internazionale, cit., p. 552.
63. Cfr. ad esempio Id., Contadini al lavoro su arazzi di Borgogna, in Id., Opere, i, cit.,
pp. 485-98.
92
Anche Warburg aveva intuito che l’oblio era un momento fondamentale nella
dinamica della trasmissione delle immagini; l’attenzione portata all’opera
dimenticata – l’anello mancante degli evoluzionisti – era per lui una tappa
fondamentale nella ricostruzione delle filogenesi iconiche64.
L’art des sculpteurs romans è un piccolo ma rivoluzionario libro che ha
per sottotitolo Recherches sur l’histoire des formes, frase con cui si saldano
immediatamente il piano della morfologia e quello della storia65. Un intero
capitolo è dedicato al personaggio sotto arcata, che Focillon legge come una
«sopravvivenza dell’arte ellenistica». Sopravvivenza, quindi, non di un tema
dal preciso significato, ma di una soluzione compositiva. I sarcofagi del gruppo
di Sidamara presentano un’impostazione ad arcate su colonnette, entro cui
trovano spazio i singoli personaggi (le «figures sous arcade»), ripetuti rit-
micamente lungo le superfici scolpite; soluzione ispirata alla scultura monu-
mentale delle facciate dei palazzi sassanidi decorate con statue isolate entro
nicchie e che enorme fortuna avrà lungo tutto il Medioevo. Nel corso dell’xi
secolo la figura sotto arcata subisce delle notevoli mutazioni, che testimo-
niano, per dirla con l’autore, della sua «vitalità»: il motivo diventa un vero
espediente tettonico. Negli architravi di Saint-André-de-Sorède e di Saint-
Génis-des-Fontaines la curva dell’arco si imprime nel profilo delle figure,
come per risonanza, arrivando a modellarla.
L’arcatella, residuo di un’invenzione antica, passando attraverso varie
esperienze decorative, riesce ora a far nascere la figura umana, donandole il
contorno, le proporzioni, la sua forza espressiva66. Così, il depositarsi in epoca
medievale di un motivo dell’arte ellenistica è fenomeno necessario perché la
scultura proceda nelle sue ricerche più audaci. In alcuni casi, anche quando
la funzione compositiva dell’arcatella scompare, ne resta il frammento – il
débris. Nel sarcofago di Saint-Hilaire (Aude), la figura del martire Saturnino,
distesa, è inspiegabilmente sovrastata da un sottile archetto, secondo Focillon
il «membro atrofizzato» dell’originaria struttura paratattica. Decontestua-
lizzato, proprio quel frammento è per noi l’unica spia di una sopravvivenza,
del Nachleben di un motivo formale.
Questo elemento di analisi instaura una singolare coincidenza tra Focillon
e Warburg rispetto al ruolo fondante dei dettagli nella ricostruzione della
64. Cfr. Forster, Aby Warburg cartografo delle passioni, cit., p. 27. Su alcuni punti di
tangenza tra Warburg e la teoria mnemonica di Bergson cfr. oggi E. Tavani, Profilo di un
atlante. Il cerchio e l’ellissi; note sul “Bilderatlas” di Aby Warburg, in Cieri Via, Montani, Lo
sguardo di Giano, cit., pp. 147-99, in particolare pp. 197-9.
65. Il libro, comparso nel 1931, veniva prontamente inserito nella Kunstwissenschaftliche
Bibliographie zum Nachleben der Antike (vol. i, Teubner, Leipzig-Berlin 1934), con ampia
recensione di Ernst Kris (cfr. Martin, La “migration” des idées, cit., p. 243).
66. Sulle pagine di Focillon dedicate a queste opere cfr. soprattutto W. Sauerländer, En
face des barbares et à l’écart des dévôts, l’humanisme médiéval d’Henri Focillon, in Waschek
(éd.), Relire Focillon, cit., pp. 63 ss.
93
4.6
Atlanti francesi
La concezione dinamica e vitale delle immagini che accomuna le visioni dei
due storici dell’arte non deve stupire. Tra metà Ottocento e Novecento l’as-
similazione dei fatti culturali al mondo biologico era operazione diffusa e
condizionava particolarmente lo studio delle lingue. Proprio da qui sembra
esser partito Aby Warburg per la concezione dell’Atlante, come egli stesso ci
confida nell’ultima Introduzione a Mnemosyne (1929). In quel caso il riferi-
94
Gli esteti edonisti si guadagnano a buon mercato il consenso del pubblico amante
dell’arte quando spiegano un tale mutamento di forme grazie alla gradevolezza della
linea decorativa più marcata. Ma chi vuole può pure accontentarsi di una flora fatta
delle piante profumate e più belle, certo è che da qui non si ricava una fisiologia vege-
tale della circolazione della linfa, poiché essa si rivela solo a chi è capace di esaminare
la vita nel suo intreccio sotterraneo di radici74.
Così egli critica la secchezza di quegli atlanti concepiti come eleganti flori-
legi, e rivendica invece la convinzione che proprio nel documento apparen-
temente marginale, sotterraneo, si celino i meccanismi vitali della cultura,
conservati attraverso la “linfa” della memoria collettiva75. La lezione del Goethe
naturalista, partito in Italia alla ricerca delle leggi sottese alle metamorfosi
delle piante, permette a Warburg di comprendere come una sistematizzazione
descrittiva non sia sufficiente ad afferrare il movimento della storia e dell’a-
gire umano: bisogna anatomizzare le forme, dar fondo alle psicologie, andare
alle radici dell’umano, da cui sgorga l’arte – linfa vitale76.
72. Sulla natura suppletiva delle lingue indogermaniche. Il saggio si può oggi leggere in
italiano in Stimilli (a cura di), Aby Warburg. La dialettica dell’immagine, cit., pp. 142-60.
73. N. Mann, Mnemosyne. “Dalla parola all’immagine”. Prefazione all’edizione italiana,
in Warburg, Mnemosyne. L’ Atlante delle immagini, cit., pp. vii-xi. Cfr. anche O. Calabrese,
La geografia di Warburg. Note su linguistica e iconologia, in Storie di fantasmi per adulti, cit.,
pp. 109-20, passim; D. Stimilli, L’impresa di Warburg, in Id., Aby Warburg. La dialettica dell’immagine,
cit., pp. 107 ss.; R. Recht, L’écriture de l’histoire de l’art devant les modernes (Remarques à partir de
Riegl, Wölfflin, Warburg et Panofsky), in “Les Cahiers du Musée National d’Art Moderne”, 48,
1994, pp. 5-23. Sul ruolo-guida svolto dalla filologia di Hermann Usener per il concetto di
sopravvivenza in Warburg si sofferma invece Ghelardi, Introduzione, cit., pp. xiv-xv.
74. A. Warburg, Introduzione (1929), in Id., Mnemosyne. L’ Atlante delle immagini, cit.,
p. 3. Cfr. M. Rampley, Anthropology at the Origins of Art History, in A. Coles (ed.), Site-
Specifity: The Ethnographic Turn, Black Dog, London, 2000, pp. 138-63.
75. Sulla memoria collettiva come “linfa” cfr. A. Pinotti, Materia è memoria: Aby Warburg
e le teorie della Mneme, in Cieri Via, Montani, Lo sguardo di Giano, cit., pp. 53-78.
76. Della sua passione giovanile per la botanica Warburg parla anche in Da arsenale a
laboratorio, cit., p. 6.
95
96
97
(1927)85. Dal canto suo, Focillon vede l’arte come una sinfonia fondata sulla
teoria delle discordanze. Bisogna disegnare, Focillon ci dice, una vera e pro-
pria «etnografia spirituale», andare a costituire grandi «famiglie spiri-
tuali» sotto cui si raggruppano artisti appartenenti ad ambiti culturali e
periodi storici distanti, uniti da legami «segreti», che non sono ricondu-
cibili alle influenze, ma invece si fondano sulle attitudini visive e formali,
sulle psicologie86.
Così, in questo repertorio infinito, l’arte nasce dall’arte, il canto del sin-
golo artista non si ode che sospeso sul coro della tradizione; solo l’artista-
demiurgo è capace di attingerne, per dar vita a sua volta a nuovi mondi di
forme, a nuove tradizioni. Non è un caso allora che negli anni Cinquanta del
Novecento André Malraux facesse sua la concezione vitalistica delle imma-
gini, per dare avvio a uno degli ultimi grandi progetti di Bilderatlas antece-
denti l’epoca del virtuale, quel Musée imaginaire nel quale egli disponeva pezzi
di scultura occidentale, ma anche indigena e “primitiva” (la scultura, simbolo
dell’ossessione comparativa francese). Quel museo immaginario, che si avva-
leva della potenza delle foto in bianco-nero, dalla suggestiva corrispondenza
tra dettagli, è un edificio dove le pareti crollano per lasciar spazio al libero
flusso delle immagini:
il semble que sur le Musée imaginaire – hors de l’histoire et peut-être contre elle –
veillent des archétypes non moins lointains et non moins fascinants que les arché-
types de la nuit. Derrière les ténèbres hérissés de pinces d’insectes du monde démo-
niaque, la puissance saturnienne de l’informe; derrière le Musée imaginaire et
l’immense cortège d’ombres des œuvres perdues, la puissance formatrice que les œuvres
révèlent et qui les déborde, la puissance qui marque tout ce qui, sur la terre, s’appelle
humain87.
85. Cfr. É. Faure, Histoire de l’art. L’esprit des formes, éd. par M. Courtois, 2 voll.,
Gallimard, Paris 1991, su cui cfr. l’ottimo commento della curatrice, nonché i saggi critici
già citati di Dominique Jarrassé; per un confronto con Focillon: Ducci, Focillon et le
formalisme en France, cit.
86. Concetti sviluppati principalmente in Focillon, Vita delle forme, cit., cap. iv.
87. A. Malraux, Le Musée imaginaire de la sculpture mondiale, i. La statuaire (1952),
cap. iv, La Métamorphose des dieux, in Id., Œuvres complètes, iv. Écrits sur l’art, éd. par
J.-Y. Tadié, Gallimard, Paris 2004, p. 1029; sul passo citato cfr. J.-Y. Tadié, Introduction, ivi,
p. xlvii. Cfr. H. Zerner, Écrire l’histoire de l’art: figures d’une discipline, Gallimard, Paris 1997,
ultimo capitolo; oggi: G. Didi-Huberman, L’album de l’art à l’époque du “Musée imaginaire”,
Éditions du Louvre-Hazan, Paris 2013. Ai Musées imaginaires è dedicato il numero monografico
di “Revue de l’Art”, 182, 2013, 4.
98
4.7
«Londres, 10 février ’37»
In un recente intervento dedicato alla translatio studii dell’esperienza War-
burg a Londra88, Nicholas Mann ricorda come, poco prima della seconda
guerra mondiale, il direttore Fritz Saxl vi organizzasse dei cicli di conferenze
che riunivano alcuni tra i massimi pensatori del tempo. La prima serie delle
lectures londinesi ruotava attorno alla funzione culturale del gioco, e vi inter-
vennero tra gli altri Ernst Kris, Konrad Lorenz, Johan Huizinga. Più libero,
invece, lo schema della seconda serie di incontri su ampie tematiche storico-
filosofiche: si trattava di promuovere una riflessione su che cosa significasse
fondare una scienza della civiltà, al fine di preservare la vita spirituale dell’Eu-
ropa. È degno di nota che nel 1937 Focillon (che era allora in contatto con
Saxl anche per la tesi di Adhémar) fosse tra gli studiosi invitati a questi con-
sessi89. È plausibile che la scelta del francese fosse partita proprio dal direttore.
Gli studi di Saxl, dedicati alla sopravvivenza dei temi astrologici e della mito-
logia classica, assegnavano infatti una centralità speciale al periodo tardoan-
tico e medievale come fasi non solo di trasmissione, ma di originale rielabo-
razione del patrimonio di immagini antiche: una convinzione certamente
maturata nel primo periodo viennese90, che doveva incontrare una sincera
corrispondenza nel pensiero di Focillon.
Negli archivi parigini dello storico dell’arte disponiamo di un materiale
inedito prezioso, l’abbozzo di una grande opera che Focillon intitola alter-
nativamente Connaissance du passé e La forme du temps, composta di quattro
distinte versioni scalate tra il 1936 e il 1940. Pagine febbrili, intrise delle let-
ture di Burckhardt e di Nietzsche, in cui il francese tenta di giungere a una
«morfologia della storia umana»91. La seconda sezione porta il titolo di Forme
du temps e l’indicazione «Londres, 10 février ’37» (in 4 ff.), ed è dunque
verosimilmente la traccia della conferenza del Warburg Institute.
Dalle note preparatorie dell’intervento scaturiscono alcune riflessioni cru-
99
92. Le citazioni sono tutte in H. Focillon, Forme du Temps, Londres, 10 fév. 37, ms. pp.
2, 4 (Archives Henri Focillon, Paris; cfr. C. Tissot, Archives Henri Focillon, 1881-1943. Inventaire,
Bibliothèque d’art et d’archéologie, Paris 1998, p. 67).
93. Calabrese, La geografia di Warburg, cit., p. 117.
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Tra la storia dell’arte e lo studio delle religioni si stende ancora un territorio incolto,
ricoperto da sterili frasi. Auspico che menti lucide e dotte, alle quali sarà concesso di
giungere più lontano di quanto io non abbia fatto, possano incontrarsi a un comune
tavolo di lavoro all’interno di un laboratorio di una storia delle immagini intesa come
parte di una più generale storia della cultura95.
94. Frase tratta dal Michelangelo (corsivo mio); cfr. A. Warburg, L’ingresso dello stile
ideale anticheggiante nella pittura del primo Rinascimento, in Id., Opere, i, cit., p. 676.
95. In italiano in A. Warburg, Divinazione antica-pagana nei testi e nelle immagini nell’età
di Lutero (1920), in Id., Opere, ii, cit., pp. 83-207 (con Appendice), in particolare p. 172.
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