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ISTITUZIONI
INDICE-SOMMARIO
CAPITOLO PRIMO
INTRODUZIONE
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
CAPlTOLO QUARTO
CAPITOLO QUINTO
IL PROCESSO E LA TUTELA DEI DIRITTI
CAPITOLO SESTO
DIRITTI REALI
CAPITOLO SETTIMO
OBBLIGAZIONI
CAPITOLO oTTAVO
SUCCESSIONI E DONAZIONE
INTRODUZIONE
SoMMARJO: 1. Storia dei diritto, diritto romano e cultura giuridica curopca. - 2. L'inscgna-
mcnto dei diritto romano e la distinzionc fra diritto pubblico e priva to. - 3. II me todo
ncll'inscgnamcnto dcllc lstituzioni.
ria dei diritto nella cultura europea ed atlraverso di essa in quella mon-
diale. Noi diamo, forse, troppo facilmente per scontato che l'applicazione
dei diritto venga mediata da una rillessione scientifica sull'ordinamento
positivo, la quale costituisce, poi, l'oggetlo dei nostro curriculum di studi
universitari. Un fenomeno dei genere non era, invece, dato per scontato
nell'antichità. Soltanlo in Roma si venne elaborando, a partire dagli inizi
dei II sec. a.C., una scienza dei diritto, la quale era un fenomeno scono-
sciuto anche alia cultura che, nell'antichità, ha raggiunto i livelli piu ele-
vati di originalità e profondità come quella greca ed ellenistica. Con varie
vicende, la cultura giuridica romana si perpetuo fino all'epoca di Giusti-
niano (527-565 d.C.), che, dai punto di vista dei diritto, rappresenta, nella
convenzione invalsa nel noslro settore di studi, il momento conclusivo
della storia antica.
Attraverso il materiale raccolto nella compilazione giustinianea (§
13), e cioe quello che nel Medioevo venne chiamato il Corpus iuris civilis,
la scienza giuridica romana ha condizionalo il rinascimento degli studi
giuridici nella Bologna della fine dei sec. XI e, irradiandosi di colà in ogni
direzione, ha creato la cultura giuridica europea, con uno sviluppo scnza
soluzione di conlinuità fino ai nostri giorni. Non esiste, nella cultura eu-
ropea (ed in quelle da essa inlluenzate), un'esperienza giuridica che non
si trovi, attraverso la scuola bolognese, in diretto contatto con la scienza
giuridica creata a Roma dai giuristi laici, continuatori della giurispru-
denza pontificale. II modo con cui il diritto viene pensato dai cultori della
scienza attuale dei diritto resta, incisivamente, segnato dai modo in cui
l'hanno pensato i prudenles romani.
E' questo l'cffettivo rctaggio che la cultura romana ha lasciato, attraverso
le cornplcsse rnediazioni che si sono acccnnate, all'espcrienza giuridica attualc.
Nella nostra cuhura sono, senza dubbio, coníluitc, piu o rneno lolalmenlc, anchc
rnolte soluzioni norrnative adottate nell'espcrienza giuridica romana, ed il terna
della connessionc fra il rnetodo irnpiegato e le soluzioni norrnalive prescelte e,
scnza dubbio, interessante, anche se piuttosto negletto in dottrina ai di [uori di
generichc prese di posizione. Quando, invecc, si tende ad evidenziare - come
momento di effettiva continuità - soprallutto la coincidcnza fra le soluzioni
norrnative. si scadc in una considerazione sostanzialrncnlc giusnaturalistica dei
diritto romano inteso come insicrne di regole di condotta, e non come csperienza
giuridica complessiva, chc e, in sostanza, una versione moderna della concezione
dei diritto romano come ratio scripta risalenle già alie scuole giuridiche dcll'età
di rnezzo.
Nella storia giuridica dell'Europa, d'altra parte, lc fonti romane, in
effetti, non hanno svolto - a partire dai sec. XI - soltanto il compito di
fornire un modello alio studio dei diritto dai punto di vista scientifico. ln
base a fondamenti ed in limiti che variavano di caso in caso, esse hanno
costituito il diritto o, meglio, una parte dei diritto vigente, senza di che
anche l'influsso sul piano dell'organizzazione e dei metodo dei sapere
INTRODUZJONE
giuridico sarebbe stato piú difficile. Questa vigenza positiva, la quale ri-
guardava soprattutto il diritto priva to (che costituiva la parte, dei resto,
dei tutto preponderante, qualitativamente e quantitativamente, dei ma-
teriale contenuto nel Corpus iuris civilis) é durata, in Europa, fino ai Iº
gennaio dei 1900, quando il diritto romano, basato sulle fonti giustinianee
e nell'interpretazione che risaliva ai e.d. usus modemus Pandectarum,
cesso di avere vigore negli stati dell'Impero tedesco, sostituita dai «Bür-
gerliches Gesetzbuch» («codice civile•), a cui avevano lavorato due genc-
razioni di giuristi in quella Germania che, nell'800, aveva rappresentato
il punto piú alto della scienza giuridica europea.
La vigenza come diritto positivo era durata piú di oito secoli, e lo
studio delle fonti romane era stato ispirato all'esigenza di trovare in esse
i criteri di dec;isione per le controversie pratiche che si verificavano all'e-
poca in cui i vari interpreti operavano. Costuro non erano ispirati, alme-
no prioritariamente, da interessi storici: cio condizionava, ovviamente, il
!oro atteggiamento di fronte ad un materiale che, come quello raecolto
nel Corpus iuris civilis, trovava la sua origine in un arco di tempo di circa
sei secoli, e che dai punto di vista dei contenuto univa insieme la discus-
sione ele soluzioni casistiche della giurisprudenza classica e de lia cancel-
leria imperiale dell'epoca dei principalo e le leges generales emanak nel
dominato dagli imperatori fino a Giustiniano (§ 13). Era soprattullo nel
materiale casistico, l'unico rilevante per la Lrasmissione dei metodo
scientifico, che si riscontravano - ancora nella compilazione giustinia-
nea - i segni dei diballito fra i giuristi e dei conlrapporsi, frn di !oro,
delle varie sententiae che avevano costituito il e.d. ius co11tro1•ers11111 (§§ 9,
10). Di fronte a tullo cio, il metodo degli interpreti fino ai secolo scorso
considerava le fonti giustinianee in modo globale e sincronico (com'era
ovvio nell'utilizzazione di tale materiale da un punto di vista normativo),
e cercava - comunque cio avvenisse - di appianare le divergenze fra i
testi e di armonizzare le soluzioni destinate ad operare nella pratica. ln
sostanza, si tendeva - soprattutto a partire dall'epoca dei commcntatori
- a costruire un sistema di diritto positivo.
Veniva cosi segui ta una metodologia totalmente contraria a quella
imposta da una ricerca storica, per sua natura essenzialmente rivolta a
distinguere i vari piani, cronologici e personali, della fenomenologia stu-
diata (e non ad appiaLLire il tutto nella visuale armonizzante connessa
con J'impostazione pratico-applicativa nello studio delle fonti): e la meto-
dologia piú antica ha lungamente pesato, in modo piú o meno avvertito,
sui modi in cui la dottrina piú recente ha affrontato, dai punto di vista
storico, il materiale contenuto nelle fonti giustinianee (§ 14).
ra; il terzo che comprende il tardo-antico, e coincide con il domina to, fim:ndo -
nello specifico seltore della storia giuridica - con Giustiniano.
Nell'ambito dclla storia costituzionale, invece, lc segmentazioni debbono
tener conto dei mutamenti della strultura istituzionale, anchc se ad essi non cor-
rispondono modificazioni altrettanto profonde nell 'assctto socio-<.>conomico. Co-
si una prima cesura é rappresentata dai passaggio dalla monarchia alia repubbli-
ca alia fine dei VI sec. a.C., che si colloca proprio ai mezzo dei periodo arcaico,
mentre non costituisce una cesura il trapasso, fra il IV ed il III sec. a.C., verso
un'economia dove rileva anzitutto il lavoro servilc. Di nuovo. all'intemo dei pe-
riodo - unitario solto il profilo deli' assctto socio-economico e deli' ordinamen to-
privatistico - che va dall'inizio dei III sec. a. C. alia fine dei III d.C. bisogna tencr
conto della forte cesura che si coglie, solto il profilo costituzionale, nel passaggio
dalla repubblica all'impero tra la fine dei I sec. a.C. e gli inizi dei I d.C. La cesura.
invece, coincide, nell'uno e ncll'altro campo, soltanto per quanto riguarda il pas-
saggio ai tardo-anticoe l'affermarsi dell'impero assoluto.
Con ció si cvidenzia, riguardo a quanto detto prcccdcntcmcntc [sub b)].
uno dei momenti che rendono difficilc un'esposizionc congiunta della storia co-
stituzionale e di quella dell'ordinamento privatistico, esposizione congiunta che,
non potendo rinunciare alia diacronia, dovrebbe, in definitiva, utilizzarc critcri
di periodizzazione divcrsi. Onde si riafferma, da qucsto punto di vista, l'inoppor-
tunità di una trattazione unitaria della materia degli attuali duc corsi d'inscgna-
mento universitario.
Nella valenza che ancora assume l'insegnamento delle Istituzioni
dei diritto romano, non sembra opportuno abbandonare il tradizionale
sistema espositivo cui si é accennato. 11 materiale piu abbondante chc noi
abbiamo, giunto atlraverso la compilazione giustinianea, é costituito da
estratti da opere di giuristi classici (e dagli omologhi rcscritti della can-
celleria imperiale), i quali limitano i propri intcressi ai diritto ed ai pro-
cesso privato. E. d'altro lato, cio viene a collocarsi nell'ambito dove si
manifesta, d'elezione, la continuità fra l'esperienza giuridica romana ed
il nastro modo di vivere attualmente il diritto, e cioe il contesto della
scienza dei diritlo positivo.
Da questo punto di vista s'impone una trattazione che lenga conto
della sincronia di tale periodo unitario, che rappresenta il momento cen-
trale delle nostre complessive conoscenze sull'esperienza giuridica roma-
na. ln tale tratlazione sincronica dovrà, anzitullo, evidenziarsi la dina-
mica interna alio sviluppo dei sistema normativo e delle categorie giuri-
diche dei periodo considerato. E nelle scansioni sistematiche di tale
esposizione si dovrà tener conto della piu ampia diacronia in cui s'inseri-
sce il periodo della giurisprudenza classica preso a parti to per fornire la
griglia espositiva.
Verso una tale soluzione spingono, d'altron<lc, altrc considerazioni di ca-
rattere piu o meno contingente: anzitutlo, la difficoltà di configurare, sul piano
didattico (aspetto csscnzialc per un'opcra come la presente), una trattazionc di
carattere elementare ed isagogico rispctto ad un'esperienza, come quella arcaica
da cui dovrcbbe parlirc la traltazione ispirata, anzitutto, alia diacronia, ed a cui
12 J~TITLZJO~I OI DrRITTO ROMA~O
e, invece, piil facile l'approccio nel contesto di un'esposizione di cui l'ordine sia
dettato dai •sistema• dclla giurisprudenza classica reso piu facilmente accessibi-
le per noi moderni da quell'aspctto di continuità piú volte sottolineato. Dall'al-
tra, sul piano della concreta esperienza di opere a carattere manualistico o com-
plessivo, impostatc sulle grandi partizioni dcttate dalla periodizzazione dclla
storia dei diritto privato, presenta difetti !'economia dell'csposizione anche in
quello che, svincolato da una finalizzazionc didattica, ne rimane l'esempio mi-
gliorc, e cioe il manuale in due volumi di Max Kaser inscrito nel Handbuch der
Alrertumswissenschafr. ln esso é soprattutto il rapporto fra la parte relativa ai
periodo pre-classico cd a qucllo classico, trattato in modo unilario, e quella che
csponc gli sviluppi postclassici a risultare fortemente appesantito nclla partizio-
ne diacronica. E cio si collcga, poi, alia difficohà di individuare, in modo soddi-
sfaccnte, il •diritto giustinianeo• come oggetlo delle nostre conoscenze (§ 14).
colarmente grave nella storia di una scienza normativa come quella dei
diritto in cui le categorie dogmatiche coin\'olgono anche i \'alori normati-
vi, e quello di non incidere sulla •storicita» dell'oggetto attraverso lo
strurnentario concettuale utilizzato per rappresentarlo. Non si traua,
quindi, della legittimita o dell'opportunita dell'impiego di categorie con-
cettuali che sono proprie dell'interprete, ché tale impiego e neccssario,
ma soltanto dell'adeguatezza di tali categorie, adeguatezza che va \ alu-
tata sulla base della funzione ormai esclusivamente storica della nostra
disciplina e dei nostro insegnamento.
dell'esperienza giuridica romana. A partire dalla fine dei III sec. a.C. si
coglie nella lingua latina una contrapposizione tra ius e fas, la quale e
stata, in modi diversi, riportata a quella fra norme giuridiche e norme
etico-religiose. Le norme dei ius sarebbero state di carattere piu propria-
mente giuridico, mentre nel fas sarebbero conflui te quelle di natura reli-
giosa od etico-religiosa.
Nelle fonti a nostra disposizione e possibile riscontrare, in effetti, in linea
di massima una tendenza in tal senso nell'impiego dei due termini, ma cio testi-
munia, a rigure, sultanlu per !'uso dell'epoca a cui tali fonti risalgono. Nun sap-
piamo, quindi, nulla sul mudo in cui cssi yenivano adoperati in un periodo piu
antico (ad es., all'epoca ddlc XII Tavole). E, dunque, in via tulto sommalo con-
venzionalc che si puo adoperare nel senso acccnnato la contrapposizionc fra ius e
(as.
E discusso in dourina se, nel periodo arcaico, vi fosse una netta se-
parazione tra la sfera religiosa ed una sfera giuridica e laica, ovvero si
riscontri in esso una compenetrazione, o commistione che dir si voglia,
tra le due sfere. Bisogna correttamente impostare il problema. Dai punto
di vista concettuale, una vera e propria commistione non puà esistcre (§
4), ma puà vcrificarsi sol tanto il fatto che gli stcssi comportamenti siano
oggetto di valutazione dai punto di vista dell'ordinamento dello stato e di
un ordinamento religioso (in cui bisogna distinguere l'aspetto della valu-
tazione etico-religiosa e quello della disciplina giuridica all'intcrno dcl-
l'ordinamento religioso stesso).
Come nelle altre città-stato, anche nella Roma primitiva si aveva
una religione di stato nel senso piu pregnante dei termine, perché l'ap-
partenenza alia civitas comportava necessariamente la partecipazionc ai
culto cittadino, e perché i singoli cittadini non potevano avere un culto
diverso da quello della civitas stessa. Non vi era, quindi, una comunità
cui riferire l'ordinamento religioso differente dalla comunità gcnerale
politicamente organizzata, e cioe dallo stato.
Le norme che riguardavano l'organizzazione della religione cittadi-
na, e cioe della religione di stato, erano dunquc norme dello stato. Era
I'ordinamento dello stato stesso che si assumeva cosl il compito di garen-
tire una serie di •esigenze• di carattere religioso ed etico-religioso. AI
proposi to era preminente !'interesse alia conservazione deli a pax deorum,
e cioe una situazione in cui gli dei non fosscro irati con la comunità, cio
che costituiva il presupposto essenziale per la prosperità della città e del-
le singole familiae: a tale scopo era essenziale che, da parte dei singoli e
della comunità, fossero rigorosamente osservate le norme etico-religiose
soprattutto nei rapporti con le divinità. ln un siffatto contesto avevano
rilevanza sul piano dei generale ordinamento della civitas comportamen-
ti che, a partire dall'epoca tardo-repubblicana, sarebbero stati oggetto
soltanto di una valutazione etico-religiosa: fenomeno ai quale si accom-
DIRJTTO OGGETTJVO E DIRJITI SOGGETTIVI 21
pagnava, d'altro canto, quello inverso, per cui comportamenti che, in pe-
riodo piu tardo, avrebbero avulo una rilevanza soltanto «laica•, riceve-
vano, in età arcaica, anche una valutazione etico-religiosa.
Cio ha lasciato cospicue lraccc nclla storia di alcuni istituti privatistici. E'
all'aspetto religioso che tal volta si ricorre per ottenere effelli vincolanti sul piano
dei rapporti intersoggetlivi: si pensi, ad es., all'impiego dei giuramento nella
sponsio primitiva per render vinculante una promessa (v. § 114). oda quello dei
contrapposti sacramenta nelle /egis actiones (v. § 69), per permctlcrc la soluzione
di controversie private mediante un processo, restringendo cosi il campo in cui si
esplicava l'autotutela.
Puo darsi che, già nel periodo arcaico, si potesse distinguere fra un
ius humanum, con risvolti prevalentemenle laici, ed un ius sacrnm, che
riguardava piu da vicino l'organizzazione della religione di stato ed i rap-
porti con la divinilà. Questa diversilà tende ad accentuarsi con l'andare
dei tempo. II ius sacrum, o divinum, viene a contrapporsi ai ius hwnanum
(che ricomprende il ius civile), forma un sistema normativo a sé stante, in
cui le violazioni delle norme ele relative sanzioni venivano accertate ed
inflitte, prevalentemente, dai pontifex maximus, anche se tale sistema ri-
maneva sempre parte dell'ordinamento cittadino generale.
Sin dalla tarda repubblica si nota inoltre la tcn<lenza a distingucrc tra la
sfera deli a valutazione laica e que lia religiosa. Per quanto concerne i rapport i
privalistici viene meno la rilevanza <lcgli aspclli rcligiosi (perdura solo in casi
limita ti l'importanza dei iusiurandum: ad cs., come mczzo <li <lccisionc <lellc con-
lroversic [ § 76], o come mezzo per crcarc un vinculo obbligalorio nel caso <lclla
promissio i11rata liberti [ § 114]). Rcsiduano, d'allra parle talunc regule parlicolari,
nel diritto dellc pcrsonc e <lclle cose, per i soggclli o<l i beni connc,si con l 'atti\'ila
religiosa.
Una nelta inversione di lendenza si ha a partire dall'inizio dei tar-
do-anlico, e cioe dai IV sec. d.C., con il progressivo assurgere dei cristia-
nesimo a religione di stato. Gioca, qui, un ruolo decisivo la vocazione
della chiesa ufficiale, e non sol tanto di quella ufficiale, a monopolizzare
la vi ta religiosa ed a valutare, in base ai parametri della fede, ogni aspel-
to della realtà pratica: cio a cui si unisce la lendenza all'inlolleranza
ideologica che e, piu o menu, comune a lulle le «Weltanschauungen» lo-
talizzanli. Una pari lendenza accenlratrice era propria dell'ideologia im-
periale: ed essa si coniugava ai forte interesse dei detenlori dei potere
centrale per la fenomenologia religiosa, che portava gli impcratori ad un
rigoroso controllo di tale fenomenologia e ad ergersi a difensori deli' orto-
dossia, tendenzialmente identificata nel credo dei singolo imperatore.
Ouesta ingerenza dei polere politico, che era - in lermini piu o meno
ampi - senti ta come soffocante dalla chiesa, viene designa la col termine
di «cesaropapismo», e portava il legislatore civile ad uccuparsi in modo
22 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
habere vigorem) dei senatoconsulti era stala dibaltuta prima <lella soluzionc posi-
tiva (quamvis fuerit quaesitum), ma a noi sfuggono i termini de lia discussionc, che
né Gaio né altre fonti precisano. Nonostanle una certa rilevanza dei senatuscon-
sulta, l'ambito dclle norme intro<lolle in questo modo non e particolarmenle am-
pio. Alia fine dei II sec. d.C., nella proccdura per l'approvazione dei scnatoconsul-
ti slessi, si sviluppa una variante: l'oratio principis in senatu habita. ln occasione
della discussione in senato su provvcdimenti norma ti vi, infatti, per proporrc una
deliberazione o per sostcnere una proposta altrui il princeps usava intcrvenire
con un'oratio, generalmenle lella in seduta da un qucstore. Qucsla oratio assun-
se, a poco a poco, imporlanza non solo sul piano sostanzialc, ma anchc su qucllo
formale, onde il provvcdimento legislativo venne ad identificarsi ncll'oratio stes-
sa, e non nclla delibera dei senato, che, probabilmente, fini con l'esserc omcssa.
Soprattulto all'epoca dei Severi si hanno orationes conccrnenli il diritto privato:
si pensi all'oratio sull'alienazione dei fondi pupillari (§ 45) ed a quclla in matcria
di donazioni fra coniugi (§ 146).
e) II cambiamento piu importante nel sistema normativo dei perio-
do imperiale e rappresentato dalle costituzioni imperiali, i provve<limcn-
ti normativi dello stesso imperatore. L'epoca classica ne conosce vari ti-
pi, che sono già definitivamente fissati prima della metà dei II sec. d.C.
Fra di essi bisogna distinguere le costituzioni generali, che pongono nor-
me giuridiche in senso proprio (edicta e mandata), dalle costituzioni par-
ticolari, che risolvono un caso concreto (decreta, epistulae e rescripta).
Gli edicta si fondavano, alie origini, sull'imperium proconsulare maius et
infinitum dei princeps, ed erano uno strumento istituzionalmente predisposto per
porre norme generali cd astralte. Eguale carattere hanno i mandata, che sono,
invece, istruzioni date dall'imperalore ai propri funzionari sulla base dei rappor-
to gerarchico in cui questi ultimi si trovano rispetto ai princeps stesso: essi sono
rivolti anche ai magistrati repubblicani, soprattutto nell'ambito dcll'ammini-
strazione provinciale, sempre sulla base dell'imperium proconsulare. 1 decreta so-
no le scntenze emanate dall'imperatore nell'esercizio direito dclla giurisdizione,
generalmente in sede di appello (v. §§ 83, 83). Con i rescripta ele epistulae l'impc-
ratore fissa in modo vinculante il punto di diritto da applicare in una controver-
sia relativa ad un caso concreto, portalo alia sua attcnzione da un privalo (cui
sono indirizzati i rescripta) oppure da un funzionario o da un magistrato (ai quali
si risponde con le epistulae). Tale caratterc vinculante sussisteva, pero, soltanto
ove i fatti esposti all'imperatore corrispondessero alia realtà, onde ai giudicc era
sempre riservato il potere di accertare la situazione di fatto.
Nell'esposizione di Gai 1. 5, che riferisce dello stato dei diritto della
metà dei II sec. d.C., le costituzioni imperiali hanno «forza di legge• (e
sono quindi, di per sé, idonee a creare ius civile): il fondamento di tale
efficacia veniva, in definitiva, trovato nel falto che l'imperatore assume-
va i suoi poteri in base ad un provvedimento legislativo, la e.d. lex de
imperio (la quale, in realtà, era, a quell'epoca, un senatoconsulto).
Nonostante la decisa affermazione di Gaio, che viene dei resto ripresa ed
ampliata da Ulpiano, in D. 1. 4. 1 pr., e probabile che l'efficacia delle constitutio-
nes abbia avuto una vicenda storica abbastanza articolata, anche in funzione dei
30 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
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4. MAFUO TALAMAN(A
42 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
mo, dalla contrapposizione alia giurisprudenza dei principato intesa come •clas-
sica•, nell'uso qui accettato dei termine ció non presuppone che con siffatta ag-
gcttivazionc si intenda dcsignare la mancanza delle caratteristiche peculiari di
quella giurisprudenza: con •volgare• si indica, soltanto, l'assenza dei caratterc
della scicntificità in detcrminati scttori od orientamenti dell'esperienza giuridi-
ca nel tardo-antico. E, invece, da respingere una portata dei termine, presente
soprattutlo nell'uso dei sintagma ·diritto volgarc•, per la quale esistercbbero
norme il cui contenuto precettivo sarebbc «volgare». II contenuto della rcgola di
condotta é, infatti, per definizionc neutro rispetto alia bipolarità espressa dai
tcrmini •volgarc• e «non volgare•.
e) Oltre che nei documenti della prassi, dove fenomeni dei genere si
hanno, in modo piu o meno ampio, anche nel pieno fiorire della giuri-
sprudenza classica, possiamo riscontrare i tratti dei «volgarismo» so-
prattutto nello stile della cancelleria imperiale, dove le leges generales dei
IV e dei V sec. d.C. presentano, spesso, i segni <li una notevole decadenza
della preparazione tecnico-giuridica dei personale addetto all'ufficio, con
un passaggio molto brusco fra Diocleziano e Costantino.
II «classicismo» vive nelle scuole, sicuramente in quelle orientali:
edil falto che si parli di «classicismo mostra come siano venute meno le
forme «classiche» della giurisprudenza romana, con il che si pone il pro-
blema di differenziare il «classicismo» delle scuole postclassiche da tali
forme •classiche•. Sino agli ultimi esponenti della giurisprudenza seve-
riana, il modo di operare dei giuristi classici e caratterizzato da due
aspetti strettamente connessi: il rapporto con la pratica e la capacità,
nonché la legittimazione a sviluppare ed a modificare le varie soluzioni
che costituivano il «sistema aperto» formato dai ius controversum.
II professore nelle scuole postclassiche di diritto, )'antecessor, e solo
un insegnante, che non esercita l'attività di consulente. Ma v'ha <li piu.
Egli non si sente legittimato ad intervenire all'interno dei ius controver-
sum: il sistema di valori espressi dalle contrapposte sententiae dei pruden-
tes e assunto come un dato normativo, come un canone immodificabile; il
compito degli antecessores postclassici si li mi la all'esegesi ed ai commen-
to delle opere in cui si raccoglievano tali sententiae, ed a facilitare -
attraverso questo lavoro- la scelta fra le soluzioni contrastanti contenu-
te nel ius controversum stesso.
Sulla crisi dclla scienza dei diritto nel IV e nel V sec. d.e. vi sono vcdute
disparate in dottrina: e, d'altra parte, e diffic:ilc orienlarsi in questa materia,
tenendo conto dclla scarsezza di <lati tcstuali. E, comunque, da respingerc l'opi-
nione abbastanza difTusa per cui, nel IV sec. d.e., si riscontrerebbe una generale
dccadcnza, alia qualc nel V sec. d.e. sarcbbe seguita, in Oriente, la rinascita delle
scuole di dirilto, ispirate ai •classicismo•, mcntre, in Occidente, il •volgarismo•
si sarebbc sempre piu accentuato. E, invece, da ipotizzare una continuità nel
livello dellc scuole, in Oriente, mentre va valutata la possibilità che, almeno nel
IV scc., perdurasse, nell'Occidente, una certa acculturazione giuridica. E nell'at-
DIRIITO OGGEITIVO E DIRITII SOGGETTIVI 43
tività delle scuole postclassiche che trovano origine una serie di opere che utiliz-
zano il materiale proveniente dai ius controversum, oltrc eventualmente alie co-
stituzioni imperiali, e che, conscrvatc da una tradizione manoscritta articolata,
presentano dei livelli di qualilà notcvolmcntc diversi: una vera e propria antolo-
gia di brani di giuristi (iura) e di costituzioni imperiali (/eges), in cui i testi sono
riportali in modo sostanzialmcntc inalterato, sono i Va1icana Fragmenta (abbre-
viazione: Vat. Fragm.), conservati frammentariamente in un palinsesto, per l'ap-
punto, della Biblioteca Vaticana. Alio stcsso livello, per quanto riguarda l'attcn-
dibilità dei testi, puo porsi la Collatio legum Mosaicamm et Romanamm (abbre-
viazione: Coll.), a prcscindcre da qualsiasi cliscussione sullo scopo e la natura
dell'operetta. I Tituli ex corpore Ulpiani (abbrcviazione: Tit. Ulp.). sono, invccc,
tratti - se non esclusivamente, per la piu gran parte - dallc opere dei giurista
Ulpiano, e costituiscono una trattazione di carattere elementare, ai livcllo dcllc
opere istiluzionali; lo stesso accadc anche per lc Pauli Senlentiae (abbrcviazionc:
Paul. Scnt.), trattc prcvalentcmcnlc dallc opere dei giurista Paulo, chc, a dilk-
renza della compilazionc precedente, prcsentano, pero, lcsli di minor affidabili-
tà, in quanto almcno parafrasali od abbreviati. Un riassunto dclle lstituzioni di
Gaio e la Cai institt1tiomm1 Epitome (abbrcviazione: Gai. Ep.), che tradisce la
scarsa acculturazione, il •vulgarismo», <lei redattori; la Co11su/1a1io veleris cuiu-
sdam iurisco11sulti (abbrcviazione: Cons.), invccc, é un parere prcparato - alia
fine dei V sec. cl.C. - da un ignoto •avvocalo», e chc utilizza cosliLuzioni impc-
riali e le Pauli Se111e111iae.
d) Le opere dei giuristi diventavano, in questo modo, vere e proprie
fonti dei diritto. Nella terminologia postclassica esse costituiscono i iura,
contrapposti alie leges, e cioe alie leges generales, emanate dagli imperato-
ri. 1 iura non offrivano, pero, ai giudici ed agli ahri operatori dei dirillo
un sistema univoco <li massime di decisione, poiché, rispecchiando il ius
controversum, contenevano una pluralità di soluzioni per i singoli casi
concreti, il che rappresentava un serio problema nella decadenza della
cultura giuridica e nella mancanza <li operatori di diritlo fomiti di una
sufficiente preparazione tecnico-giuridica. AI giudice veniva, poi, lascialü
un eccessivo margine di scelta, che poteva mellere a dura prova !e sua
capacità o la sua onestà.
Entrambe queste ragioni conlribuirono alia decisione, presa nel 426
d.C., dall'imperatore Valentiniano III, regnante in Occidente (dove, fra
l'altro, il decadimento della cultura giuridica era ormai irreversibile), a
regolare !'uso dei iura nei tribunali, individuando un ristrello numero di
giuristi !e cui opinioni potevano esser addolle dalle parti a sostegno delle
proprie pretese, e fissando un criterio meccanico per scegliere fra quelle
addotte, ove fra <li !oro in contrasto, nel senso che prevaleva l'opinione
della maggioranza fra i giuristi citati dalle parti nell'ambito di quelli
prescelti.
Si tratta della c.d. legge dellc citazioni (CTh. 1. 4. 3), dei 7 novembre dei 426
d.C. I giuristi la cui opinione puo esser citata e che vincula il giudice, sono cin-
quc: quattro sono giuristi dell'ctà <lei Severi (Papiniano, Paolo, Ulpiano, ma an-
44 ISTITUZIONI DJ DIRITTO ROMANO
IV, dei Codice), menlrc con la cilazione CTh. 1. 4. 3. 1 si indica quello chc, in
effetti, ne e il secondo paragrafo.
fonti non si trovano notizie sicure nel senso che i romani riconosccssero
ai mores, come consuetudine, una qualche rilevanza nel periodo postde-
cemvirale.
Una contrapposizio(le fra ius e /ex si trova nel testo di leggi rcpubblicanc,
anche epigraficamentc conscrvatc, dovc s'impiega il sintagma ius lex(que) o /e.t
ius(que). Quest'uso non e indizio sufficicnte per accettarc un significato dei ter-
mine ius quale diritto fondato sui mores. distinto dalla /ex. La spicgazione piu
spontanea, infatti, e chc, ncll'ansia per la complctczza tipica dclle leggi tardo-
repubblicane, si tratti di un'endiadi, volta a indicare l'ordinamento ncl suo com-
plesso.
e) Una tematica connessa con quella dianzi trattata e rappresentata
dalla questione se il ius civile fondato sui mores possa esser abrogato o
modificato da una /ex: e la soluzione negativa e slata, anche autorcvol-
mente, sostcnuta.
Tenuto conto dei carattcrc csaustivo dclla codificazione decemviralc (§ 7),
il problema potrebbe considcrarsi, praticamente, superato, in quanto 1utto il im
civi/e si basa sulla lcggc delle XII Tavole. Si trattercbbe, pero, di un approccio
troppo formalistico alia questione, proprio pcrché, nclla consapevolezza dei con-
tcmporanei, i mores codificati dai decemviri non mutavano sostanzialmentc la
toro natura. Onde l'impostazionc dei problema va precisa ta, rifercndo l 'immodi-
ficabilità non ai mores chc sarcbbcro rimasti esclusi dalla codificazione, bensi
distingucndo, nelle XII Tavule, le nurmaziuni che riproduconu il ius precedente
(che sarebbcru, di per cio, immudificabili). da qucllc che avrebbcro trova tu nclla
volontà legislativa dei dccemviri il loru fundamento, e che quindi dovcvano csser
considcrate basate su una scmplice /ex (e perianto modificabili).
Nelle fonli non si riscontra, in effetti, alcuna traccia di una siffatta
inderogabilità, né essa puo fondarsi su considerazioni di carattere gene-
rale sufficientemente probanti. E sono le stesse XII Tavole che sanciscono
il principio in base ai quale le deliberazioni dei popolo abrogano il diritlo
precedente.
Si tratta della norma 11/ quodcumque poslremum popu/us iussisset, i.d ius
ratumque esse/ (tab. 12. 5: •csser diritto cio che il popolo ha delibcrato per ulti-
mo•). Puo esser discussa l'csatta portata dei principio nclla consapevolezza dei
contemporanei, ma non si sarebbe potuta formulare una norma dei genere. quan-
do larga parte dei ius fosse rimasta intangibilc, in quanto fondata sui mores. Non
valgono poi in senso favorevole all'opinione qui rcspinta gli acccnni - non rari
nellc fonti lctterarie - ali' «impossibililà» di derogarc ai ius civile stcssu: a bcn
vedcre si tratta, soltanto, di affermazioni a carattcrc politico, che non hanno
akuna rilevanza sul piano giuridico.
Non si possono, poi, addurre a favore di tale ipotesi akune clausole chc si
ritrovano nelle leggi repubblicanc, e precisamente nella sanctio legis (quella par-
te della lcggc stcssa che conticne prescri:tioni volte ad assicurame l'attuazione ed
a regolame i rapporti con il restante ordinamcnto). Nulla dice il e.d. caput tralati-
cium de impunitate, col quale si statuisce che colui il quale, per ottcmperare alia
nuova /ex, violi una legge precedente non potrà esser per questo passibile di san-
56 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
zioni. A parte la questione dei rapporti di qucsto caput col principio, precedente-
mente visto, ut quodcumque postremum popu/11s iussisse/, id ius ralumque esset,
csso ha comunque riícrimento a prcccdenti leges e non ai ius civile fondato sui
mores. L'altra clausola, poi, della sanctio in cui si stabiliscc chc la rogatio (e, cioe,
la proposta <li leggc) si dovrà considerarc come non prescntata, ncl caso fosse
proibito, in base ai ius od ai (as, di presentaria, scmbra rifcrirsi, piú chc altro, a
limiti dei procedimento legislativo, e garentirc il proponente dall'accusa <li avcr
voluto violarc tali limiti estrinscci.
Sul piano della prassi, e, pero, certo che nell'esperienza repubblica-
na, a cominciare dalla /ex Poetelia relativa ai ne.xum (della fine dei IV sec.
a.C.: v. § 111), la /e.x, come espressione de lia volontà politica deli a comuni-
tà, incide sull'ordinamento esistente anchc mediante l'abrogazionc <li in-
teri istituti rilevanti dai mores precedcmvirali e dalle XII Tavole, e questa
valenza la /ex ha sempre conservato.
á) Cio non significa, pero, che non si possa porre il problema deli 'uso
concreto che i romani abbiano fatto di questa possibilità, tenendo pure
presente la scarsa propensione all'uso dello strumento della /e.x per disci-
plinare i rapporti privatistici (§ 7), cio che poteva essere in relazione an-
che con la convinzione che le norme manifestale dai mores si fondavano
sulla •natura della cose•, quantunque fosse ormai diffusa la consapevo-
lezza che tale ordinamento non fosse certamente intangibilc da chi dctc-
neva il potere politico nella civitas.
A questo proposito va osservato come nella prassi repubblicana le
leggi che vietavano, in certi determinati casi, di compiere atti o negozi
giuridici che, negli altri, rimanevano validi non sancivano spesso la nulli-
tà degli atti compiuti in violazione dei divicto cosi posto: non crano, cioc,
delle leges per{ec/ae, per adoperare una classificazione che s'incontra ncl-
la giurisprudenza tardo-classica, e che si rispecchia in Til. Ulp. 1. 1-2 (so-
stanzialmente genuino, ma sfortunatamente mutilo all'inizio).
Questa classificazione distingueva fra leges per{ectae, minus quam
per{ectae ed imper{ectae e, a quel che risulta, si riferiva sol tanto alie lcggi
proibitive. La /e.x per{ecta e quella che, vietando un alto, ne dispone la
nullita, e quindi ne elimina gli effetti. La le.x minus quam per{ecta viela
l'atto, ma non ne dispone la nullità, bensi irroga una pena a colui che ha
violato il divieto. La /e.x imper{ecta e, poi, quella che, pur vietando l'atto,
non ne sancisce l'inefficacia, né irroga una pena, pubblica o privata.
Bisogna tener conto che, ncl passo ricordato, resta soltanto la lrattazione
relativa alia /ex minus quam perfecta, cd una breve frase riguardante il contenulo
della la Cincia de donis et muneribus, dei 204 a.C. (§ 146), evidentemente portata
come esempio di /ex imperfecla, ai modo in cui la la Furia teslamentaria, della
prima metà dei li sec. a.e. (§ 141), e citata ad esempio di quclle minus quam
perfectae. Quanto, comunemente, si dice in piú sulla tripartizione e estrapolazio-
ne, per quanto plausibile, della doltrina moderna.
DIRITIO OGGEITIVO E DIRITTI SOGGETTIVI 57
che civilis sarà contrapposto, nel senso odiemo di «civile», a criminalis, che desi-
gna la ma teria dei diritto penalc pubblico o criminale, come accade, soprattutto,
nell'espressione civiliter vel criminaliter agere, dove si contrappone l'agire sul pia-
no dei processo privato e dei processo criminale (v. anche § 123).
All'inizio dell'esperienza giuridica romana, esisle, in effelti, un uni-
co sistema giuridico, cui corrisponde una tutela giurisdizionale unitaria,
quella delle legis actiones (§§ 68-70): questo sistema e, nei suoi ulteriori
sviluppi, quello che sarà il ius civile della tarda repubblica. Ad esso si
vicne ad affiancare, con uno sviluppo che ha inizio verso la fine dei IV sec.
a.C., il ius honorarium, che nasce dall'esercizio dell'allività giurisdiziona-
le da parle dei prelore, il quale crea una nuova forma di processo, quello
formulare, basala esclusivamente sul proprio imperium (§ 72), ed indivi-
dua, nell'edillo che emana all'inizio dell'anno di carica, anche le norme
di dirillo sostanziale che debbono esser applicate in tale processo.
II processo formulare, che ha la sua origine nella giurisdizione eser-
cilata nei giudizi in cui almeno una delle parti non sia romana, viene poi
esteso, verso gli inizi dei II sec. a.C., anche ai cilladini romani (§ 72), onde
il ius honorarium comincia a regolare anche i rapporti dei cives fra di
!oro, e si viene sempre piu ampliando, fino a costituire, nella tarda repub-
blica, un sistema normativo che si contrappone ai ius civile, una parte dei
quale (il ius gentium) era resa, nello slesso periodo, accessibile anchc agli
stranieri (§ 15).
b) Alia fine della repubblica e durante il principato, il diril!o civile
edil dirillo onorario si distinguono in base ai procedimento di creazione
delle norme giuridiche: e dirillo onorario quello che si funda sull'impe-
rium e sul ius edicendi dei magistrati, e viene espresso nell'editto che i
singoli magislrali emanano all'inizio dell'anno di carica. II dirillo civile
viene, invece, creato da lulti quegli alli che sono, nelle diverse epoche,
riconosciuti come idonei a produrre norme civili (la legge, i scnatoconsul-
ti, le cosi luzioni imperiali).
II diritto prelorio non csauriscc, in effctti, il diritto onorario, anchc sei duc
termini vengono praticamente impiegati come cquivalenti: com'é detto esplici-
lamenle in I. 1. 2. 7, anche l'ediuo degli cdili curuli, che hanno una limitata
giurisdizione connessa alia sorveglianza csercilata sui mcrcali (§ 118), é fonte di
dirillo onorario; e, d'altro canto, tali sono - sicuramcnte - anche gli edilti dei
magislrati provinciali, chc, nell'impero, coincidono praticamente con quelli dei
pretori giusdiccnti in Roma.
ln epoca rcpubblicana e nel primo principato, almeno in via Leorica, il ma-
gistralo chc emana l'editto all'inizio dell'anno di carica e libero di c.leterminamc
nel modo che crede piú opporluno il contenulo, anche se recepisce e.li regola,
salvo qualche piú o mcno ampia variazione, l'editto proposto dai magistralo in
carica l'anno precedente. Quella parLi: dell'editlo slesso che viene cosi a lraman-
darsi da pretore a prelore costituisce il e.d. edictum tralaticium. La libera creazio-
ne dei diritto da parte dei prctore cessa, formalmente, con la e.d. codifjcazionc
DIRITIO OGGETIIVO E DIRllTI SOGGETTIVI
dell'editto ad opera di Adriano (v. anchc § 72). il quale fecc approvarc. mediante
senatoconsulto, il testo che, ogni anno, il magistrato avrebbc dovuto proporre
come proprio editlo: tale proposizione fa si che, nonostante qucsta incisiva tra-
sforrnazione, il ius honorarium si fondi ancora, formalmente, sull'imperium o sul
ius edicendi dei magistrato.
Un problema che affatica soltanto gli interpreti moderni e se I<> re-
gale sostanziali segui te nell'ambito della giurisdizione pretoria e che for-
mano il sistema dei diritto onorario possano considerarsi «norme giuridi-
che• nonostante la discrezionalità di cui gode il pretore nella !oro appli-
cazione, almeno prima della /ex Come/ia de ediclis dei 67 a.C. (§ 72), ma
anche dopo. ln un sistema normativo aperto, com'e quello romano, carat-
terizzato, fra l'altro, dai ius conlroversum l'aspetto in questione, connesso
con la tematica della «certezza dei diritto» non poteva creare alcuna dif-
ficoltà.
e) Dai punto di vista dei rapporto fra i due sistemi normativi si ri-
scontra, fra il ius civile edil ius honorarium, una vera e propria incomuni-
cabilità. L'esislenza di una norma di diritto civile e di una norma di dirit-
to onorario in contrasto fra di !oro non produce effetti sul piano dell'csi-
stenza e dell'efficacia di lali normc: esse continuano ad esistere e ad csser
efficaci, ognuna nell'ambito dei proprio sistema. Ove abbia rilcvanza
pratica, il contrasto va, quindi, risolto sul piano dell'applicazione delle
norme, quando, per l'appunto, il giudice e chiamato ad individuarc la
massima di decisione da applicare ai caso concreto.
II problema si pune in cffctti soltanto per le norme di diritto onorario, volte
a corrigere il ius civile. Bisogna riíarsi, ai proposito, alia distinzione posta, ancora
agli inizi dei IIl sec. d.C., da Papiniano, in D. 1. 1. 7. 1, tra lc funzioni dei ius
praelorium: quella di adiuvare, di supplere, di corrigere il ius civile. Ncl primo caso.
la normativa introdotta dai pretore si affianca a quella civilistica, od eventual-
mente la integra in aspetti manchevoli, come nella cautio damni infecti che ,;
affianca ai lege agere damni infecti (§ 96). II supplere si ha quando il pretorc intcr-
viene a proteggcre situazioni non tutclatc dai ius civile, come quando concede
formulae in facl!lm conceptae o ficticiae (§ 74). La funzione di coTTigere im civile
comporta che il pretore intervenga per impedire l'applicazione di una norma <lei
ius civile rilenuta non piu accettabile, come accade, ad es., ncl caso in cui -
attravcrso l'excepcio doli o /'exceptio pacti - si íacciano valcre i vizi <lella causa
nci ncgozi formali ed astralli (§§ 54, 55).
Quando cio sia necessario, e il pretore che - nel processo formulare
-fomisce alia parte interessa ta i mezzi che permettono la disapplicazio-
ne dei ius civile: si tratta, soprattutto della denegalio aclionis e dell'excep-
tio (§§ 75, 76), in base alie quali il convenuto evita la condanna, nonostan-
te che sul piano dei ius civile la pretesa dell'attore sia fondata. Ma se la
parte interessata non chiede che gli venga concesso il mezzo di difesa
appropriato, il giudice non potrà far altro che applicare il ius civile, in
60 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
l'efficacia nel senso chc essi danno alia parte interessa la soltanlo il potere d'im-
pugnare il fondamcnlo dcll'azionc cspcrila dall'altore, onde non possono csscr
considcrali dai giudicc, se non in quanto il convcnuto csprcssamcnlc vc lo solle-
citi (v. anche §§ 83, 84).
f) Già nel secolo scorso era stata coniata I 'espressionc it1s extraordi-
narium per indicare le norme giuridiche formatesi nella prassi nclla co-
gnitio extra ordinem, la nuova forma di processo che si diffondc agli inizi
dei principato (§ 82). E dubbio fin dove i romani possano esscrc stati
consapevoli di questo fenomeno, il quale, se costituisce oggcttivamcnte
un fatto accertato, non ha, pen), tutta l 'importanza che vi é stala anncssa.
L'uso dell'espressione ius extraordinarium ncl senso qui adopcrato é, sen-
z'altro, moderno: il passo in cui essa viene utilizzata in un modo chc si a\'vicina a
tale significato e D. 50. 16. 10, di Ulpiano, chc non v'c ragionc di sospeltare da
questo punto di vista.
La cognitio extra ordinem é, alie origini, un fenomeno tutt'altro che
unitario (§ 82), sebbene le varie cognitiones abbiano, per ampi tratti, ca-
ratteristiche convergenti in punti essenziali. La cognitio é, in alcuni casi,
la struttura processuale in cui si tutelano situazioni giuridiche nuove,
non protette né dai ius civile né dai pretore. ln questi casi, l'iniziativa
proviene dall'imperatore, il quale organizza a tale scopo nuove istanze
giudiziarie, che sono le varie cognitiones. Si vengono, cosi, a creare norme
giuridiche che non rientrano né nel ius civile né nel ius honorarium, pro-
prio perché la fonte che le crea, la costituzione imperiale, non era idonea
a creare né ius honorarium né, a que! tempo, ius civile. Dai punto di vista
dell'importanza pratica, e pero, difficile accostare il ius extraordinarium
ai due grandi sistemi dei diritto civile ed onorario, perché l'ambito dclle
materie da esso disciplinate e piuttosto ristretto.
Si tratta delle disposizioni fedecommissarie (§ 142), degli alimcnli (§ 42).
degli honoraria (§ 120), e forse di qualche altro caso. Per quanto riguarda i rap-
porti con gli ahri due sistemi normativi, si noti che il ius extraordinarium adem-
pie soltanto alia funzione che, nei rapporli fra ius honorarium e ius civile é desi-
gna ta - nella tripartizione papinianea [v. sub e)] - col termine supplere. Data la
grande discrezionalità di cui usufruiva, il giudice della cognitio non trovava diffi-
coltà ad applicare, nelle fattispecie regolate dai ius extraordinarium, i principi dei
diritto civile e dei dirillo pretorio, il cui impiego si rendesse necessario perché il
primo ne forniva una disciplina lacunosa. La rilevanza di istituti disciplinati dai
ius extraordinarium nell'ambito dei sistema onorario era assicurala da espresse
normazioni dei pretore, o resa possibile dall'elasticità dei mezzi pretori, come ad
es., l'exceptio dali.
!. 4): publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, priva/um quod
ad singulorum utilitatem: sunt enim quaedam pub/ice uti/ia, quaedam pri-
vatim (•il diritto pubblico e quello che attiene all'organizzazione dello
stato romano, il diritto privato quello che concerne l'utilità dei sir goli: vi
sono, infatti, situazioni che presentano un'utilità pubblica, situa;:ioni in
cui si riscontra un'utilità privata•).
Ancor oggi la distinzionc fra il diritto pubblico e il diritto priva to dominai
noslri studi, nonostante le divergenze sul modo d'intenderla e i dubbi nonché le
critichc cui é anda ta incontro; pur nella consapevolezza che l'intrecciarsi di nor-
me di carattere privatistico e pubblicistico si e negli ultimi deccnni particolar-
menlc acccntuato in settori che tradizionalmente rilevavano dai dirillo privato,
la dislinzione continua ad assolvere una funzione fondamcntale.
Nel modo in cui Ulpiano contrappone il diritto pubblico ai privato
potrebbe apparire eterogeneo il cri teria in base ai quale essi sono definiti:
il diritto pubblico viene individuato in relazione alia struttura (esso ri-
guarda l'organizzazione dello stato), quello privato in rapporto alia fun-
zione (la tutela degli interessi privati). E, pero, soltanto una prima im-
pressione, perché - come rende evidente la specificazione sunt enim
quaedam publice utilia, quaedam privatim - il giurista si rifà ad un cri te-
ria essenzialmente funzionale collegato all'interesse tutelato dalla singo-
la norma.
Tale impostazionc é, dei resto, quclla ancora prcvalcntcmcntc segui ta sul
piano dei diritto positivo. L'individuazionc dell'interesse sottostante alia norma
come pubblico o priva lo dipende - ai livello nomogenetico - da considerazioni
politiche e ideologiche: d'altro lato, nei casi dubbi, soccorrono altri aspctli, an-
che strutturali. La caratterizzazione funzionale e, poi, fatia invista dell'intcresse
direttamente protetto: ncssuno puó ncgare l'intcrcsse dcllo stato alia posizionc
di norme che regolino - in un certo modo- gli affari dei privati, e si riferiscano
quindi direitamente all'utilitas di questi ultimi; ed i privati stcssi, anche nclla
città antica, ricevono un indirctto vantaggio dall'organizzazione politico-ammi-
nistrativa della comunità.
La bipartizione serve ad Ulpiano solo per procedere ad una delimi-
tazione implicita della matcria delle lnstitutiones, destinata all'esposi-
zione dei diritto privato. Essa non rileva, altrimenti, nelle ulteriori opere
dei nostro giurista, né altrove nella giurisprudenza classica.
ln cffetti, ncllc fonti si ritrovano, alle volte, usi dei termine ius publicum, in
cui csso assume una valcnza assai vicina a quclla che si e riscontrata ncl passo di
Ulpiano: ades., quando si parla di un'operis novi nuntiatio (§ 96) che avviene iuris
publici tuendi gratia («a tutela dei diritto pubblico•), ma cio non implica un pre-
ciw riferimcnto alia bipartizione in parola.
b) 1 termini ius publicum e ius priva/um sono adoperati, nella nostra
documentazíone, anche in significati diversi. ln fonti retoriche e lettera-
rie, soprattutto della fine della repubblica, si trova una contrapposizione,
DIRITTO OGGElTIVO E DIRITTI SOGGf!.TTl\'I 63
in cui ius publicum e quello che ha la sua fonte in atti provenienti dallo
stato, mentre il ius privatum trova la sua origine da atti di autonomia dei
singoli soggelti. Le esemplificazioni possono variare: per fa1·e un esem-
pio, in Cic. partit. orat. 130 il ius publicum trova la sua fonte nclla /ex, nel
senatusconsultum e nel foedus (il trattato internazionale). ed il ius priva-
tum nelle tabulae (il testamento), nel pactum conventwn, nella stipulatio.
ln questa classificazione é il significato stesso di ius, il genus chc
viene diviso in ius publicum e privatum, che varia: esso non é piu un insic-
me di norme giuridiche, ma, come si ricava dagli esempi, un insiemc di
precetti vincolanti o sul piano dei comandi generali cd astralli (e, cioé
delle norme giuridiche) o su quello dei concreti provvedimcnti o negozi.
Questa divisione non puó dunque fondersi in un unico sistema classificato-
rio con la bipartizione ulpianea dianzi discussa: il ius che, in D. 1. 1. 1. 2. Ulpiano
distingue in publicum e privatum si colloca, praticamente, lutto nel ius puhlicum
dclla partizione rctorica. Esso deriva, infa11i, non dai singoli soggclli, ma dallu
stato, in quanto si fonda su leges publicae (ivi com prese, risalcndu alie origini, le
XII Tavole) o sui mores che sono da riferirc alia comunità ncl suo complessu, e
non ai singoli stessi. D'altro lato, la categoria generalc dei ius secundo Ulpianu
non esaurisce, ncppure, tutto il ius public11111 dei rctori, perché, come si é dettu,
per questi ultimi il termine ius non designa soltanto J'insiemc dei cumandi gen.:-
rali ed astratli, ma anchc provvcdimenti e negozi cuncreti, come. ncl caso, é mu-
strato dai falto che ncl ius publicwn ricntrano anche i fc>edera.
e) Nelle fonti giuridiche si riscontra un'ulteriore significato di ius
publicum, indipendentc dalla contrapposizione col ius priva/um. Jus p11-
blicum indica, in questi passi, le norme chc non possono esscr derugatc
dai privati. ln D. 2. 14. 38, di Papiniano, cio avviene ncl modo piu nctto:
ius publicum privatonmt pactis derugari non potes/ («il diritto pubblico
non puo esser derogato dai patli dei privati»), ed il giurista si riícriva,
probabilmente, alie norrne sulla competenza giurisdizionale.
II significato di ius publicum puo esser avvicinato, in tali contcsti, a
quello attualrnente atlribuito alia categoria delle normc di ordinc pub-
blico o indisponibili, e cioc quelle norme di diritto privato sottratte ai
potere dispositivo dei soggetti, che si contrappongono, in cio, a quclle
disponibili. ln questo significato il ius publicwn di Papiniano non coinci-
de col ius publicum di Ulpiano in D. 1. 1. 1. 2, esso caratlerizza tal une delle
norme che íorrnano il ius privatwn secundo quest'ultima bipartizione;
ma esso non coincide neppure cul significato rctorico di diritto prnve-
níente dallo stato, perché anche le norme disponibili, in quanto comandi
generali ed astratti, rientrano nel ius publicum dei retori.
E una distinzionc corrente nella moderna teoria dcllc funti quella fra le
norme inderogabili (o cogenti o d'ordinc pubblico) e normc dispositivc: le prime
sono quelle che si applicano comunque, e sulla cui applicazione i privati non
possono, dunque, incidere mediante J'esercizio dell'autonomia privata (ades., lc
64 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
norme che fissano la forma dei ncgozi solenni: § 54, o sanciscono la nullità dei
ncgozio illecito: § 62); le scconde possono essere, invece, derogate dall'autonomia
privata stessa (come, ad es., in linea generale le norme che fissano, nei singoli
rapporti obbligatori, i criteri in base ai quali i debitori rispondono per l'inadem-
pimento: § 129). Una particolare posizione assumono le e.d. normc suppletive, le
quali vengono in considerazione quando non vi sia stata una regolamentazionc
da parte dei privati (ades., le normc che fissano i criteri per la devoluzione di
un'eredità ab intestato: § 137).
d) I vari significati di ius publicum e di ius privatum che si colgono
nelle fonti romane non possono esser ridotti ad unico sistema, nonostante
le tentazioni che !'interprete moderno possa avere ai riguardo. Benché
sembrino, talora, avere una portata generale e sistematica, quesle cate-
gorie non appaiono coerentemente utilizzate in tale funzione, ché, anzi,
vari elementi desumibili dalle fonti, farebbero pensare ad un impiego piu
che altro topico, o dialettico, delle stesse.
nizione dei ius commune, anzi non adopera neppure questa espressione
per designare la norma cui il ius singulare deroga: e, dei resto, il diritto
comune si potrebbe definire solo come quelle norme che sono derogate da
altre.
Le precisazioni che sono state fatte servono, anche, ad eliminare
una - apparenle - aporia nella definizione di Paolo, che, presa alia let-
tera, sembrerebbe dire che la ratio sia caralteristica esclusiva dei ius
commune, l'utilitas dei ius singulare. Ratio ed utilitas si riscontrano sia
nell'uno che nell'altro, ma si trovano, fra di loro, in rapporto di genere a
specie.
b) La generica definizione di Paolo pone il problema se una norma
possa esser qualificata come ius singulare per il solo falto che si trovi in
un rapporto di specie a genere con un'altra norma. Non e soltanto un
astratto problema di qualificazione teorica, perché Paolo richiede l'auc-
toritas constituentium per l'introduzione dei ius singulare: e, soprattutto,
perché in altri passi - sempre dello stesso giurista (a quanto sembra,
particolarmente attento a questo ordine di problemi) - si sostiene che le
regole introdotte contra lenorem iuris non debbono esser sottoposte ad
interpretazione analogica (trahi ad consequentias), e non potrebbero,
quindi, esscr applicate ai di fuori dei casi espressamente previs ti nell'atto
normativo che le conliene.·
ln dottrina si tende a ritenere che per integrare il ius singulare oc-
corrano, da una parte, il carattere arbitrario della norma (sia essa di fa-
vore o di sfavore), dall'altra l'eterogeneità della disciplina rispetto alia
norma derogata (il e.d. diritto comune). Ma, in base ai dati offerti dalle
fonti, appare molto difficile stabilire inche cosa effettivamente i romani
avrebbero fatio consistere questa ulleriore connotazione dei ius singula-
re.
La soluzione dei problema puô, forse, trovarsi nell'impiego topico
della categoria: essa era usala per evidenziare il carattere specifico od
eccezionale della norma considerata, ai fini di stabilire la possibilità od i
limiti dell'estensione della ratio, senza che con cio si volesse dare rigidità
dogmatica alia qualificazione come ius singulare.
E, a qucslo proposilo, bisogna osservare come il caratlerc piú ristrcllo dcl-
la ratio della norma specialc non possa, in assoluto, esser argomcnto contra l'c-
stendibilità della stessa, nci limiti in cui ricorra, per l'appunto, l'eadem ratio (e
cioe un'analogia di fondamcnto).
e) Quando si accentua il carattere arbitraria delle norme di ius sin-
gulare si viene a toccare il problema dei rapporti fra questa categoria edil
privilegium. Quesl'ultimo termine ha una lunga storia nell'esperienza
giuridica romana. Vari passi di Cicerone ricordano od alludono ad una
disposizione delle XII Tavole, contraria alia statuizione di privilegia: pri-
66 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
parte dei soggetto passivo, che non puó impedirc la modificazionc deli a propria
sfera giuridica che il titolare dei diritto di configurazione ha il potcrc <li produr-
re.
SoMMARIO: 22. 1 soggetti di diritto. -23. Capaciià giuridica, capacità di agire, teoria dcgli
status. - 24. Lo status liberta/is: le caratteristiche della sehiavitú romana. - 25. La
posizione giuridica dello schiavo. - 26. L'attività giuridicamente rilcvantc dcllo
schiavo ele actiones adiecticiae qualitatis. - 27. Lc cause dclla schiavitú. - 28. L'ac-
quisto dclla libcrtà ele manomissioni. -29. La condizionc dei libcrti. - 30. Lc condi·
zioni paraservili ele altrc cause minoratrici della capacilà giuridica. - 31. Lo status
civitatis: acquisto e per<lita dclla cittadinanza. - 32. 1 LIJtini. - 33. Cittadinanza e
capacità giuridica fino aJla constitulio Antcininiana. - 34. La constitutio Antoniniana.
35. La natura e lc origini dclla familia. - 36. II regime della patria putestas. - 37.
Acquisto e perdi ta dclla patria potes/as. - 38. Matrimonio e conventio in ma.num. -
39. Rcquisiti di validità dei matrimonio. -40. Lo scioglimento dei matrimonio. -41.
Rapporti pcrsonali e patrimoniali fra coniugi.-42. Parentela civilc e parentela natu-
rale. - 43. La capacità d'agirc. Gli impuberes. -44. Lc forme dclla tutela impuberum.
- 45. II regime dclla tutela impuberum. - 46. La condizionc <lclla donna e la tutela
mulicbrc. - 47. Lc cura tele. - 48. Le pcrsonc giuridichc. Nozioni gcncrali. - 49. Lc
pcrsonc giuridichc ncll'cspcricnza romana.
b) Come nel diritto moderno, anchc ncl diritto romano, i soggelli <li
dirillo si distinguono in persone fisiche, gli csseri umani, e persone giuri-
6. MARIO TALAMANCA
74 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
diche (v. §§ 48-49). Che l'essere umano sia il soggetto di diritto per eccel-
lenza deriva già dalla considerazione che Lutto il diritto e opera dell'uo-
mo ed e creato per regolare i rapporti fra gli uomini.
Perché la persona fisica possa esser soggetto di diritto deve, anzitut-
to, esistere: l'inizio ed il termine della persona fisica e segnato dalla na-
sci ta e dalla morte.
La nascita s'identifica con il completo distacco dei feto dai corpo
materno, e con la vi ta autonoma dei nuovo essere. La prova della nasci ta
di una.persona, e delle modalità con cui questa e avvenuta, puo esser data
in qualsiasi modo. Questioni sorgevano, presso i romani, soltanto per
l'accertare se il neonato fosse nato vivo ed avesse quindi avuto un'esisten-
za separata. Non era richiesto, invece, come requisito autonomo la «Vita-
lità•, cioe la capacità di sopravvivenza autonoma: solo nei casi dubbi, e
praticamente quando il neonato fosse deceduto durante od immediata-
mente dopo il distacco dall'utero materno, si discuteva fra i giuristi ro-
mani sul modo in cui accertare l'effettiva vila extrauterina dei feto.
1 proculeiani richicdevano, ma solo in tale contesto, chc il neonato avesse
emesso un vagito (cfr. C. 6. 29. 3. 1 di Giustiniano): prevalse, pero, l'opinionc
sabiniana che la prova della vi ta ai momento dei distacco potcssc csscr data in
qualsiasi modo, e questo regime e confermato da Giustiniano, nclla costituzionc
già citata.
Un altro problema e rappresentato dai caso dei nato con fattczzc non uma-
ne o, come dice Ulpiano in D. 50. 16. 235, con prevalcnza di tratti fcrini. La nasci-
la di un monstrnm o di un prodigium non integrava, in genere, la fattispecie dei la
nascita di un essere umano: cià valcva sia in ordine ai problema della ruptio
testamenti in seguito alia nascita di un altro figlio legittimo dei testatorc ( § 143)
chedel ius liberornm a favorc dei la donna (§ 46). In quest'ultimo caso, forse non si
escludeva, alie volte, un trattamcnto differenziato, in quanto la nasci La di un
essere umano porta solo vantaggi ai genitore.
e) Ai fini dell'esistenza <li una persona fisica e dell'integrazione delle
varie fattispecie connesse con questa esistenza rileva esclusivamente il
fatto della nasci ta: sebbene fisiologicamente necessario, il periodo della
gravidanza non ha, solto questo aspetto, importanza per il diritto. Cio
non toglie che, nell'esperienza romana, si tenesse conto, nella dottrina.
degli status, della contrapposízione fra il momento dei concepimento e
quello della nascita (v. §§ 27, 31, 37). ln altri casi, e soprattutto aí fini
della capacità a succedere (§ 132), i gíuristi romaní anticipavano ai mo-
mento dei concepimento effetti che si sarebbero dovuti produrre soltanto
con la nascita.
Corrisponde ai típico modo di pensare dei pnidentes la circostanza che, in
D. 1. 5. 26, Giuliano desse a queslo principio una formulazione molto ampia (qui
in utero sunt in loto paem iure civi/i intel/eguntur in rerum natura esse: •coloro che
sono nell'utero matemo vengono considerati in pressoché tutlo il diritlo' civilc
come se fossero già venuti in esistenza•), facendonc pero applicazione soltanto ai
DIRITTO DELLE PERSONE E DI FAMIGLJA 75
caso discusso, qucllo delle aspellative creditarie. Dai punlo di vista giuridico,
non altro vuol significarc la massima conceptus pro iam nato habe1ur, elabora ta
sulla base di qucslo passo e di altri simili dai giuristi medicvali, i quali aano
ovviamente sensibili anche ai modo in cui il problema era senti to sul la base dcl-
l'ideologia cristiana.
Nel periodo fra il concepimento e la nasci ta, si potevano dare effetti
preliminari (§ 64) rispetto a quelli prodotti dalla nasci ta: ades., la nomi-
na di un curator ventris (§ 132); ai trove lo stato di gravidanza ri levava in
sé considerato, ades. nei limiti"in cui fosse, a secunda dellc epoche, puni-
to dai punto di vista criminale ]'aborto.
ln epoca rcpubblicana non vi crano islituti analoghi, ad cs, ai noslri rcgistri
dello stalo civilc, né per la nascita né per la morte. Durante !'impero si vcrrnc
imponendo l'obbligo di cffettuare, alia pubblica autorità, la professio dei figli
lcgittimi ed a partire dalla seconda melà dei II sec. d.C. anche degli illcgitlimi.
Tali professiones ele eventuali testationes (§ 54) private sostitulive, avcvano pen)
valore sol tanto probatorio, e la prova dclla nasci ta e dcll'ctà di una persona potc-
va esscr data con ogni mczzo, anchc contro k risultanze dclla professio stessa.
e) All'altro capo dell'csistenza della persona fisica si pane la morte.
Essa viene accertata con qualsiasi mezzo e senza limitazioni di prova. Un
problema particolare, concernente soprattutto la successione creditaria,
e quello della determinazione della cronologia relativa fra la morte di piu
persone. Ove la prova !iberamente somministrata non riuscisse a fissare
il rapporlo temporale fra ]e singole morti, la giurisprudenza classica op-
tava per la regula della commorienza, in base alia quale tulle le persone
di cui si trattava si consideravano morte nello stesso momento (escluden-
do, quindi. qualsiasi rapporto di successione fra i soggetti commorienti).
Nella compilazione giustinianea si trova una serie di passi che configura-
no precise regule in base alie quali si stabiliscono presunzioni di premo-
rienza, con i conseguenti effetti successori.
Tende ora a prcvalerc l'opinione che la giurisprudenza classica e la canccl-
leria imperiale avessero ammesso, con valutazione da fare caso per caso, la pre-
morienza di una persona all'altra, anche in assenza di una prova precisa (dr.
soprattutto il rescritto di Adriano, citato da Trifonino, in D. 34. S. 9. !). II regime
giustinianeo deriverebbe dall'irrigidimento di codeste decisioni concrete.
mazionc di Paol'J, in D. 4. 5.3. 1 (servi/e caput 11ullu111 ius habet: «la persona -
caput - dcllo schiavo non ha alcun dirillo») mostra chc tale significa to va impu-
tato ai compilatori giustinianci.
filii familias che divengono sui iuris ai momento della morte dei !oro pa-
terfamilias.
modo indipendente - una attività cconomica, i profitti della quale vanno a van-
taggio dei dominus, e che vivono, per cosi dirc, una vi ta separata dalla casa domi-
nicalc (i greci li chiamavano, infatti, 'choris oikoilntes': «che hanno una dimora
separata»). Le condizioni di vi tache essi si riescono a procurare dipendono dalla
!oro abilità e dai !oro !avaro, a parle, sempre, l'aleatorietà della ]oro posizione.
e) II quadro sin qui delineato si riferisce soprattutto alie condizioni
socio-economiche dell'Italia: nelle province, la situazione poteva esser
diversa, soprattutto per quanto concerne l'impiego della mano d'opera
servile nell'agricoltura. Nelle province orientali, e nelle meno progredi te
fra le province occidentali, la produzione agricola si basava soprattutto
su forme <li affittanza, spesso coatte, ed eventualmente su «corvées», il
che si trova in una linea di continuità con il colonato(§ 29), istituto carat-
teristico dei tardo-antico. E, dei resto, anche nel territorio metropolitano
non era mai venuta dei lullo meno la piccola proprietà contadina e, so·
prattutto nei due primi secoli dei ]'impero, si riaffermano forme <li affil-
lanza agraria, fenomeno quest'ultimo dovuto forse anche alia <liminuzio-
ne dell'offerla di mano d'opera servile sul mercalo.
Nel tardo-antico, dopo la grande crisi economica, militare e polilica
della metà dei III sec. d.C., la schiavitu perde d'imporlanza: anche ncl
lerritorio metropolitano s'instaurano diversi assetti fondiari, e regredi-
scono, d'altra parle, le attività di tipo, per cosi dire, industriale o di caral-
tere terziario. Prevale, armai, la schiavitu familiare ed ai livello dei lavo·
ro domestico, che puó comportare un numero relativamente clevato di
schiavi soltanto nelle famiglie di grossa potenzialità economica.
do, col mutare delle condizioni socio-economiche nella media e nella tar-
da repubblica, questo controllo ando allentandosi, esso venne sostituito
dai regímen morum dei censori, ossia da quella generale sorveglianza che
questa magistratura esercitava - secando i criteri etici prcvalenti all'in-
terno della classe dominante - sul comportamento individuale soprat-
tutto degli appartenenti ai ceti piu elevati.
b) E solo col principato che, in concomitanza alio scomparirc dei
censori e dei regímen morum da essi esercitalo, si rinvengono intervenli
della giustizia imperiale, nelle forme della cognilio ex/ra ordinem, prima
limitati e sporadici, poi di caratlere piu regolare, anche in funzione del-
i'opera di sistemazione giurisprudenziale. Sanzioni penali colpiscono,
nella cognitio, il proprietario che abbia messo a morte lo schiavo senza
ragione: nel caso di maltraltamenti ingiustificati ed eccessivi (la e.d. sae-
vitia), il domínus poteva esser coslrelto ad alienare il servo.
Questa tendenza si accentua nel tardo antico, dove l'uccisione dello
schiavo e sempre punita, ameno che esso sia morto, ai di là <lelle inten-
zioni dei domínus, a seguito delle punizioni corporali chc quest'ultimo
aveva tutlora il potere di infliggergli.
Qucstc misure sono, senz'altro, dovute anche a considerazioni di caratterc
moralc, ma dcbbono esser inquadrate ncl complcssivo altcggiamento di una so-
cietà dovc la schiavitu svolgc un ruolo centrale, ed in cui e condizionante il ti mo-
redei singoli atti di violcnza o delle ribellioni collettive degli schiavi stcssi. Da
una parte, infatti, si tende ad evitare che un'inutile ed arbitraria crudeltà nei
confronti dcgli schiavi scateni reazioni difficilmente controllabili; dall'altra, a
configurare in modo particolarmentc severo le misure rcpressive e prcvcntivc
dclla violenza servilc. Si spiegano, cosi, attcggiamenti apparentemente contra-
stanti: da una parte, ades., la repressione penale degli abusi dei diritto di vi ta e
di morte dei proprietario; dall'altra, la disciplina - sembrerebbe inutilmente
crudele - sviluppata sulla base dei Se. Silananium, dei 10 d.C., per cui pratica-
mente lutti gli schiavi che si trovavano solto il medesimo tetto col dominus as-
sassinato erano sottoposti a quaeslio (e, cioé, ad interrogatorio solto tortura); ed
ove non provassem di essere stati nell 'impossibililà di soccorrerlo erano messi a
morte. Provvedimento codesto recepito ancora formalmente nella compilazione
giustinianea, quando i mutamenti dell'assetto globale dclla società, dovuti anche
all'inílusso della religione cristiana, rendevano molto meno facili gli episodi d.i
violenza nei confronti dei padroni.
e) II trattamento dello schiavo come res comportava la totale inca-
pacità dello stesso ad esser soggetto di diritti e di obblighi sul piano dei
diritto privato. Cio valeva sia per i diritti di natura patrimoniale (v. an-
che § 26), ma anche per i rapporti di caraltere personale e familiare. La
relazione sessuale continua fra schiavi, il conturbemium, ha rilevanza
soltanto di fatto e dura, praticamente, sin quando il padrone od i padroni
lo vogliano. La cognatio natura/is, la parentela - di fatto - fra schiavi e
giuridicamente irrilevante in linea di massima anche dopo l'affrancazio-
82 ISTITUZJONI DI DIRITTO ROMANO
--~-- ----~
f) Si e, sin qui, rimasti sul piano dei ius humanum: per quanto con-
cerne il ius sacrum e difficile non riconoscere una generica - se non gene-
rale - capacità degli schiavi, partecipi di ri ti e di feste religiose. Quando
le qualifiche dei ius sacrum rilevano, poi, sul piano dei ius humanum, la
qualità di persona umana dei servo viene a trovare una rilevanza media-
ta anche su quest'ultimo piano. Cio accade, ad es., nel caso dei luogo
dov'e sepolto il servo, che diventa religiosus (§ 85), come quello in cui é
sepulto un libero.
84 ISTITUlJONI DI DllUTTO ROMANO
dominus per le obbligazioni che sarebbero gravate sul servo (se fosse sta-
to una persona libera). Cià avviene mediante la concessione delle e.d.
actiones adiecticiae qualitatis.
Esse sono state chiamale cosi dalla dollrina medi..,vale con un infelice ag-
gancio lestuale ad un'espressionc adoperala da Paolo, in D. 14. 1. 5. 1, per un caso
particolare. Con tale termine. si voleva sottolineare come il proprictario non ri-
sponda per un alto proprio, ma chc - nel regime ricostruito da tale donrina -
risponde per falto altrui, come uheriore od eventualmente unico responsabilc.
Le actiones adiecticiae qualitatis non sono ristrette ai rapporto íra
dominus e schiavo, ma vengono date anche nell'analogo rapporto tra pa-
ter e filiusfamilias, ossia nei due casi in cui, per la mancanza <lello status
libertatis o dello status {amiliae, la persona che ha posto in cssere il nego-
zio non puà rispondere in proprio.
La trattazione qui proposta. anche se prescnlata in relazione ai rapporto
proprictario-schiavo, puo esser riforita all'ambito complcssirn dell'applicazionc
di qucste azioni, pcrch~. sostanzialmente, il regime non varia a secunda <:hc il
negozio sia posto in css.•re da uno schiarn o da un filius(amilias. Non incid<'. ai
riguardo, la circostanza che, a partire dagli inizi dei principato, accanto alia
responsabililà adiettizia dei pater, il /l/ius familias rimanga obbligato in proprio
(§ 36). Sono. dei resto, moita rari i casi in cui k acriones adiecrícíae qualita1ís si
possono csperire per nlli compiuli dai llglio, ma non dallo schiavo: ades .. ' i puo
essere responsabilità adicllizia per la li ris contestatio (§ 77) compiuta dai filius(a-
milias, non per quella posta in es.sere dai servo, dato che qut'St'uhimo ~radical
mente sprovvisto di capacità processuale.
e) Le actio11es adiectidae qua/itatis possono esser esperite quando
venga integrala, ad opera dello schiavo, una fattispecie che, per il diritto
civile o per il diritto onorario, darebbe luogo alia nascita di un'obbliga-
zione conlrattuale (o, piu in generale. da atto lecito), e sussista inoltre
una cin:ostanza che giustiíichi la responsabilità dei proprietario. Secon-
do le varie circostanze s'identifkano le singole actio11~ adiecticiae quali-
tatis, che sono, in sostanza, sei: l'actio exac-itoria, l'actio i11stitoria, l'actio
quod iuss11, l'actio de peciilio, con la connessa actio de in l'Pm \'t'rso. l'actio
trih111on·a (fondnta anch'essa sulla concessione d.i un peculio).
li período in .:ui quesl•' 8Lioni si sono sviluppatot puo ess.:r dc!terminato
SQltanto moho gene1icamrnte <'OI! riforimento agli W.timi due secoli ddla repub-
blica, in con<-umitanza dd profundo mutamento dclle strutture soci<>-<.'\."Ullomi-
che che stava inleres."8ndo la socie1à romana. Alia ~tà ~I 1 sec. a.C .. 11 regime
doVl!Ya essem d.:finiliVf.nh.'llle t'iSSllOO nelle sue linec cssen&iali. Sono [aci\ltl<'nle
CO!llpn:nsibili le niaioni di c11111.1tcn: equitativu eh<', Mi sinauJi casi, humo spin to
il preloro ll)d inllll"\~in:. E'. peró, púSSibile guaniani all'inlNd\WQn,: di qucsle
uiunl arn:bot da una visu11l<" tliw1-,.a; •"\)ll essa si veniva incontro alie ~niw
ulteN't dei m<"n:ato e dqli S\:1\mbi «i 11ll'inlC'n:....:- stesso dei pc1rr•s/àrt1i#ics, non
inte!IO ln modo trelll;). L'utiliu111.ionc de11li io.:hiavi - e dei tiliifoMiJict.ç -1.'UlllC'
strumenta P« lc attlvhà .:<"01101n"·h.. dd 1"1""1Íl1NilM$ dipen<k,·a h11 l"altro .iollha
86 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
Questa reintegrazionc non era possibilc solo per quelle situazioni giuridi-
che in cui avesse una particolare importanza il perdurarc di una relazione di
fatto, come nel possesso(§ 102) o ncl matrimonio(§§ 38, 40). ln essa, csclusa tale
reintegrazione, poteva iniziare ex novo un nuovo rapporto dall'identico od analo-
go contenuto.
Le conseguenze della capitis deminutio ma:âma si avevano, dunque,
solo nel caso che il captivus fosse morto senza lornare in patria. A partire,
pero, dagli inizi dei I sec. a.C. la situazione si venne modificando anche in
tale fattispecie. Una /ex Come/ia, emanata solto Silla (intorno all'80 a.C.),
sanei infatti la validità dei testamento dei captivus deceduto in slato di
schiavitu presso il nemico, in quanto questi doveva considerarsi, in base
alia finzione introdotta dalla legge stessa (la e.d. fictio legis Corneliae),
morto nel momento in cui era stato fatto prigioniero (e quindi ancora in
stato di libertà), con la conseguenza che la successione si a priva in base ai
testamento stesso. La (ictio venne, poi, estesa dall'i11terpretatio pni.den-
tium alia successione ab intestato.
Nel periodo classico, dunque, la sorte dei rapporti giuridici facenti
capo ai captivus era in una situazione d'incertezza, destina ta a risolversi
in un senso o nell'altro, a secunda se egli tornasse in patria o mm·isse
presso il nemico. Se il captivus slesso rientrava, usufruiva dei postlimi-
nium, con gli effetti già visti; se moriva in condizione di schiavitu, si
apriva la succcssione sulla base della fictio legis Corneliae.
Se, in questi tcrmini, la disciplina della fauispecie e sufficientcmcntc ac-
ccrtata, menu chiara e la questione relativa alio stato <li pcndcnza e soprattullo
<lella costruzione conccltualc dcllo stcsso. Nelle fonti si ritrovano spunti ncl sen-
so sia di considcrarc quicsccnli i dirilli dei captivus, sia di ritencrli cstinti. Non
sembra, pero, chc i prndentes faccsscro dipcnderc, in modo sistcmatico, lc solu-
zioni pratichc adollatc dalla costruzione concelluale a cui sembrercbbcro riferir-
si gli spunli tcrminologici chc si possono coglicre nclle íonti stessc.
d) Molto minore importanza hanno le altre cause di servitu, cui va,
in generale, riconosciuto carattere sanzionatorio.
A partire dallc XII Tavole e dominante la tendcnza ad evitare chc il cilla<li-
no divenga schiavo nell'ambito deli a civitas. II debitor addictus é venduto schiavo
trans Tiberim (§ 70), e lo stcsso avvicne per l'incens11S e per l'infrequens (il ciuadi-
no che non si fa iscrivcrc ncllc liste dei censo o che non risponde alia chiamata
militare). E dubbia, dai puniu <li vista dello status libertatis, la posizionc dei fur
manifestus adiudicatus ai derubato (v. § 124).
Nel periodo imperiale, invece, diventano piu frequenti i casi in cui
la riduzione in schiavilu come sanzione ha effetto all'interno dei territo-
rio dello stato, il che e da porsi in correlazione anche col fatto che ormai
!'impero romano coincide col mondo civilizzato. Di una certa rilevanza
sono i casi sanciti dai Se. Claudiano dei 54 d.C., e quelli in cui la riduzio-
ne in schiavitu conseguiva - come servitus poenae - ad una condanna
92 ISTJTUZIONI OI DIRITIO ROMANO
penale, come avveniva, oltre che nel caso della condanna a morte, nella
damnatio ad bestias od ad meta/la.
II Se. Claudiano stabiliva che la donna, la quale avesse una relazione ses-
suale stabile con un servo altrui, diventasse schiava dei proprietario di quest'ul-
timo, se non interrompesse tale relazionc dopo una - triplice? - dcnunzia. Ac-
eanto a questo caso va ricordato quello dei libero, che si fosse fatto consapcvol-
mente vendere come schiavo, per rivendicare successivamente il proprio stato di
libertà: egli cadeva in proprietà dell'acquircnte chc avcva tcntato di truffarc (la
denegatio della vindicatio in liberta/em risale qui all'ultima epoca rcpubblicana).
Nel período postclassico viene abrogato il Se. Claudiano, sostituito
da misure punitive nei confronti dello schiavo, mentre si generalizza la
revocatio in senJitutem dei liberto ingrato(§ 29): in definitiva, non mula,
pero, nel complesso il regime di questo aspetto della schiavitú., nonostan-
te la diversa rilevanza dell'istituto nell'assetto socio-economico dei tar-
do-antico. All'aggravamento delle condizioni <li vi ta dclle classi piú. disa-
giate si riporta l'introduzione di una nuova causa di servitú.: a partire da
Costantino si viene a disciplinare il diritto dei padre a vcndcre i figli
appena nati (dei quali era sempre stata ammessa l'expositiu: v. § 37). Que-
sti fanciulli divenivano schiavi, ma tale condizione era sempre revocabi-
le, in quanto il padre poteva riscattarli, risarcendo dei danno economico
l'acquirente o l'attuale proprietario. Giustiniano recepirà questa discipli-
na, ma permetterà la vendita soltanto in caso <li estremo bisogno.
Rispetlo ai ius vendendi dei paterfamilias in cpoca arcaica, l'esercizio dei
quale pone, già da prima delle XII Tavole, il figlio in una condizione analoga ma
non coincidente con la schiavitu (§ 30), la vendi ta postclassica dei neonati e cau-
sa di vera e propria schiavitu, anche se vicne facilita to il riscatto dei figlio vendu-
lo.
28. L'acquisto dei/a libertà e /e manomissioni. - II servo diviene libe-
ro, in linea di massima, sol tanto mediante un apposito alto dei proprieta-
rio, la manumissio.
a) Le tre forme di manomissionc civili - la manumissio vindicta,
testamento, censu - risalgono tutte, ai piú. Lardi, ai período alto-repubbli-
cano, anche se la !oro piú. precisa datazione puo dar luogo a problemi.
L'affrancazione nelle forme suddette fa acquistare alio schiavo la libertas
ex iure Quiritium, e cioe contemporancamente la libertà e la cittadinanza
romana.
Non vi sono tracce sufficienti, nelle fonti, per affermare chc, alie origini, lc
condizioni dello schiavo manomesso, e cioe dei libertus, fossero profundamente
diverse da quelle dei liberi, e chc egli godessc di una libertà soltanto di falto,
come pure ê stato affermato in dottrina. La sostanzialc equiparazione dei liberto
agli altri libcri, e soprattutto l'acquisto dello status civitatis, differenzia profon-
damente l'esperienza romana da quclla dellc 'pó/eis' grechc, dovc gli schiavi libe-
DIRITTO DELLE PERSONE E OI FAMIGLIA 93
guente statulibertas (§ 140). Cio non potcva avvenire col testamentum calatis comi-
tiis, che puo contenere soltanto l'istiluzione d'ere<le (§ 138): la manumissio testa-
mento deve quindi esser posta in relazione con la mancipatio familiae quale for-
ma autonoma di testamento (v. anche § 140).
dronc, od all'anci/la venduta col patto chc non fosse prostituita, se tale divicto
fosse violato. A partire da Dioclcziano, si sviluppa l'acquisto della libertá per
usucapione, che conosce varie vicende sino a Giustiniano. L'assunzione dei cri-
stianesimo a religione di stato fa riconoscere la libertá alio schiavo che abbia
assunto una dignitá ecclesiastica o lo stato monacale, con l'assenso dei proprieta-
rio, e solo in casi particolari senza di questo: ed in cià é da notare la tendenza a
contemperare le esigenzc religiosc con i diritti dei proprietario stesso.
diari. Per fare l'esempio dell'Egitto, privilegiato dalla ricchezza della documen-
tazione papirologica, si osserva già nel II-III sec. d.C. la tendenza a creare dei
vincoli per i contadini: dai generico divieto di abbandonare il villaggio di resi-
denza (l"idla') all'imposizione dell'affitto coallivo dei fondi pubblici meno pro-
duttivi chc non trovavano conduttori, soprattutto a causa dei canone ottimistica-
menle imposto sugli stessi, alia prassi di obbligarc il precedente conduttore a
continuare nell'affillo dei fondi pubblici, ove non si presentassero nuovi soggetti
disposti ad assumcrsenc la coltivazione. Anchc i grossi proprietari, che riversava-
no sui condullori il peso dell'imposizionc fiscale, premcvano d'altrondc perché
venisse loro assicurata la forza-lavoro nccessaria. Solto un profilo diverso, ma
connesso, i proprietari stessi cominciarono, fra l'altro, ad assumersi la protezio-
nc dei coloni contra lc violenzc cstcrne e le angherie degli csattori fiscali, il chc
[avoriva l'adesionc dei contadini a configurarc il rapporto col signorc come un
rapporto di colonato, sia chc si trattasse di affiLLuari, che di piccoli proprietari, i
quali, per lc ragioni viste, prcferivano ccdcre il proprio fondo ad un maggiorenle,
per riaverlo in concessione ncll'ambito di tale rapporto.
L'aspetto patrimoniale dei colonato si modella sull'affitto, e quindi
sulla locatio-conductio (§ 119), ma il corrispettivo poteva esser sia in dena-
ro che in natura. Rispetto all'affitto nella sua struttura normale, le diffe-
renze erano inoltre costituite soprattutto dalla perpetuità dei rapporto e
dai vinculo che legava reciprocamente fundo e colono. ln forza di questo
vincolo, la condizione di colono rappresenta nel tardo antico uno status
personale, che si acquistava per nascita, per usucapione, per libera as-
sunzione della qualità di colono, per assegnazione da parte dello stato,
come coloni, di prigionieri di guerra o di mendicanti.
Si diventa coloni, se si nasce da madre colona, anchc se cio avvenga in
costanza di un valido matrimonio con persona che non ha tale status, il che mo-
stra una deviazionc dai principi che regolano la posizione dei figli legi ttimi: si
sanei, poi, che - ncl matrimonio o fuori di csso - bastava che uno dei genitori
fosse colono, perché il figlio nascesse tale. Ove vi fossero piu signori che potessero
averc aspetlalivc sui figli cosi nati, avveniva una divisione fra di essi della prole,
anche quando qucsta fosse nata da legittimo matrimonio.
Nel período in cui si afferma il colonato la scienza giuridica, rac-
chíusa nelle scuole, non aveva né la capacità, forse, né la propensione di
procedere all'ínquadramento concettuale di questa nuova figura. II lin-
guaggio dei legislatore ondeggia: egli riafferma, in via astratta, che í colo-
ni sono liberi, ma dice contemporaneamente che «sembrano astretti ad
una certa servitu» (C. li. 50. 2 pr., dell'inizio dei V sec. d.C.: quadam servi-
tute dedití videantur).
Per quanto riguarda la concreta disciplina dell'istituto, i coloni go-
dooo, in genere, della capacità di diritto personale, onde possono contrar-
re valído matrimonio ed esser soggetti in un rapporto di fíliazione, legit-
tima e naturale (con le limitazioni dovute alia conservazione dello sta-
/u.\).
Anche la capacità di carattere patrimoniale, dei resto di scarsa rile-
DIRITIO DELLE PERS01':E E DI FAMIGLIA 103
vanza pratica per tali soggetti, sembra loro riconosciuta, quantunque al-
cune fonti chiamino peculiwn il patrimonio dei colono. Su di questo viene
attribuita ai signore una proprietá eminente, o quanto meno un vincolo a
garenzia dei canoni d'affitto.
II quadro generico cosi dato é soggetto a notevoli differenziazioni ncl tem-
po e nello spazio. La distinzione piu importante fra i coloni é quella fra i semplici
coloni e gli adscripticii ('enhypógraphoi"l. che, soprattutto nelle regioni orientali,
sono censiti nei registri catastali come pertincnza dei íondi. Ma bisogna dire che
le piu dure fra le regole che limitano la capacitá si applicano a tutti i coloni.
indipendentemente dai ricorrcre della qualifica di adscripticii.
II signore ha un diritto assoluto sul colono, che gli consente di chie-
derne la restituzione alia coltivazione dei fondo, o\·unque egli si trovi, a
parte le sanzioni criminali contra chi interferisca nel rapporto fra signore
e colono. D'altro lato, qualsiasi negozio giuridico a\·ente ad oggetto il
fondo ricomprende necessariamente anche i relati\·i coloni. Moita rigoro-
si sono i presupposti per la liberazione dei colono dai \"incolo in cui si
trova rispetto ai fondo. L'interesse fiscale impune ai signore che \"oglia
liberare il colono di concedergli in proprietá il fondo coltivato. Limiti
sempre piu incisivi vengono imposti, con !'andar dei tempo, all'usucapio-
ne dello stato di libertá, ed alia possibilitá che il colono divenga libero,
abbracciando il servizio ecclesiastico o militare con l'assenso dei signore
stesso.
e) Nel tardo antico, stante l'irrigidimento delle strutture istituziona-
li e sociali, dovuto soprattutto alie condizioni dell'economia dell'epoca, il
colonato non e l'unico caso in cui si riscontra un vincolo dei soggetto
all'attività esercitata. Anche le corporazioni relative ai mestieri piu direi-
tamente rilevanti per la pubblica economia diventano associazioni obbli-
gatorie, ed i figli dei corporati vengono ad assumere la stessa qualifica dei
padre (v. anche § 49). Ad un livello piu elevato, gli appartenenli alie ari-
stocrazie locali, i curiales che compongono i consigli municipali (curiae)
delle singole città sono vincolati, essi e soprattutto i patrimoni, ai !oro
status di apparente privilegio: in questo caso, nel riconoscimento dei vin-
colo, prevale !'interesse fiscale, dato che la responsabilità per la riscossio-
ne delle imposte e delle altre entrate pubbliche nel lerritorio della città
grava, collegialmente. sulle curiae stesse.
soli cil'f!S Romani (e. cioe, il ius civile. in quanto contrapposlo ai ius gen-
tiwn: § 15).
1 limiti in t'Ui. clfollivamcnll'. lo stranicro fosse privo di tutela giuridica e
gimliliaria ;1 Roma nd pniodo ddla monarchia l'lrnsc-a non sono sicuri. Bisogna
!Clll'r rnnto, ai proposito, dei truttali chc lcga\'ano Roma con slali stranicri, lral-
lali in cui, ,·oml' in quello con Curtaginc Jd 509 a.C., poll'Va csscr· dl•llata una
dis.:iplina ai riguardo; dclla posizionc di Roma stt·ssa m:ll'ambito dclla lega Lati-
11:1 (§ 32); ddla proll'lionc cht• alio strankro. in quanto individuo od in quanto
apparll'lll'lllt' ad una Jctt•rminata t·omunilú gl·ntilizia o slatualc, potcva prowni-
l'l' dall'lrospi1iw11 pubblirn l' pri\'alo.
a) AI pcriu<lu in cui la partl•cipaziorll' all'ordinamento privatistico
rnmano era collegata ai possesso della cil·itas Romc111a risalgunu, senza
dubbio, gli istituli dei cc11111hi11111 e dei co1111m•rci11111 (o dei i11s co111111crcii t'
dd i11s cu1rnbii): si tratla <li istituti ehc eunccdunu alio slraniero una piú u
menu ampia capaeità giuridiea nell'amhitu dell'ur<linamento <li una cil·
tà-stalu (o rispetto a singuli citta<lini), e ehe sono cunosciuti - come 'epi·
gamla' c<l 'égktesis' - anehc ncl mundo <lelle 'pôlcis', pur se in una confi·
gurazionc non sempre cuinei<lenlc l"Ull qut•lla romana. Entrarnbi qucsti
istituti pulcvanu riguardarc singuli suggctti di un or<linamcntu stranicru.
ma, in !inca <li massima, cssi csistevanu - 1·eciprocamentc - l'ra tutti gli
appartent'nli a due comunità cilladine.11 cm111hiim1 comportava la capa·
cità a contrarrc matrimonio íra gli appartcnt•nti a civitates divcrsc. L'in·
cidenza pratica <li tale istitutu si aveva, supraltutto, nell'ambito <lcll'or·
dinamento dei maritu: in base ad csso, un cittadino romano putcva spo-
sare una slranicra, muni ta dei co11uhiu111. con la conscgucnza che da tale
unione matrimonialc nascesscro figli lcgillimi, libcri e cives Romani; ai·
l'invcrso, la cittadina romana cuntracva un vinculo legil!imo, anche ai
fini della filiazione, secundo l'ordinamento dclla cillà cui appartcneva il
marito.
II matrimonio concluso fra personc appartcncnti a cillà-stalo divcrsc sulla
base dei reciproco conubiwn non aveva, invccc, cffclli sullo status civitatis degli
sposi: nonostanlc la rigida strullura patriarcalc dclla famiglia ncl mondo dellc
cillà-stalu, la donna chc divcntava moglie lcgillima in base ai ius conubii non
acquistava per cio sultanlo la cittadinanza dei marilu, né in Roma né scmbra
nelle altrc cillà (come invcce accad<'. in modo divcr,o, ncgli ordinamcnti modcr·
ni, chc conoscono ai riguardo un'ampía gamma di regolamcnlazioni).
II ius commercii ha, invcce, ncl mondo romano una valenza partico-
lare: a diffcrenza dell"epigamla' greca, il funzionamenlu della quale non
si discusta, nelle grandi lince da quello dei conubium romano, l"égktesis'
nc appariva, sostanzialmente, diversa, in quanto era, in linea di massi-
ma, la concessione alio straniero di acquistare la proprietà di immobili
ncl tcrritorio della citlà. II commercium era, invece, strutturato diversa-
mente, e non rapprcsentava, anzitutlo, la generica •aulorizzazione• ad
DllUITO DELI.E PERSONE E OI íAMl<.I IA 105
discusso se cio avvenisse anche per le legis actiones e agli ai tri negozi
forma li dei ius civile, come la sponsio (v. § 114); il conubium permetteva di
contrarre iustum matrimonium fra soggetti appartenenti a città <li verse(§
39).
La lega latina fu sciolta da Roma nel 338 a.e., dopo la terza guerra
latina: alcune città !atine vennero incorporate, come municipia (§ 49), in
Roma, altre furono mantenute nella condizione di città-stato in<lipcn<len-
ti, ed ai )oro cittadini continuarono ad esser riconosciuti i diritti che già
godevano nell'ambito della lega latina. Questi Latini costituivano, secun-
do la terminologia delle fonti romane, la categoria dei Latini prisci.
b) La lega latina fundava nei territori conquistati nuove città che
venivano a far parte, a parità di diritti, della lega stessa. Dopo il 338 a.e. e
fino agli inizi dei II sec. a.e., Roma continuo a fondare - autonomamen-
te - coloniae civium Latinorum, ossia città-stato formalmente indipen-
denti, cui essa conferiva lo status di città !atine. Agli abitanti di codeste
città, i Latini coloniarii, veniva, in tutto od in parte, attribuito lo status
dei Latini prisci. ln linea di massima essi avevano il ius migrandi cd il
commercium, mentre talora non era riconosciuto loro il conubium.
Solo in questo periodo si vcnnero aggiungendo nuovi diritti ai Latini: il ius
suffragii (il diritto di votarc, se presenti a Roma in un giorno di votazionc, in una
tribu estralta a sorte) cd il ius honontm (il diritto di acquistarc la ciltadinanza
romana per a ver esercitato in patria una magistratura o in tal uni casi, ncll'impc-
ro, per aver falto parte dcll'ordo decurionum). Queste concessioni dipcndevano
anche dai falto che ]e colonie la tine crano, per buona parte, formate da cilladini
romani, che, acconsentendo alia deduccio nella colonia, perdcvano la civicas Ro-
mana.
L'estensione della cittadinanza romana ai socii ltalici dopo il bellum
sacia/e dell'89 a.e. fece cessare le città !atine in Italia, ma contempora-
neamente si cominciarono a fondare colonie !atine in província: successi-
vamente, la Latinitas venne concessa, oltre che a singole città, ad intere
province o regioni, come, nel 1 sec. a.e .. alia Gallia Narbonense ed alia
Sicília, nella secunda metà dei 1 sec. d.C. alia Spagna.
ln questi ultimi casi, l'attribuzione della Latinitas comporta anchc l'orga-
nizzazione di tulto il territorio nella forma della città-stato con funzioni ammini-
strative, ma il tipo di città latina ulilizzato non e piu quello della colonia, come
nel periodo repubblicano, bensi dei municipiwn di diritto latino, che si modella,
dai punto <li vista strulturale, sul municipium civium Romanorum.
e) ln tutti i casi sin qui visti lo status di latino corrispondeva all'ap-
partenenza ad una città latina indipendente, anche se solo formalmente,
da Roma. eon la /ex /unia Norbana (§ 28), invece, agli schiavi manomessi
in forma non solcnne lo stato di latino veniva attribuito senza che cio
comportasse l'inserimento in una tale città: lo status civitatis era, cosi,
108 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
gare il diritto delle singole città. E, in linea di massima, cio valeva anche
per le città autonome di falto: una differenza puo riscontrarsi solo nel
fatto che l'intervento dei govematore negli affari interni di queste ultime
non trovava gli ostacoli formali esistenli nel caso delle civitates liberae.
Gli abitanti delle città libere ed anche autonome di fatto costiluiscono la
categoria dei peregrini alicuius civitatis («stranieri appartenenti ad una
città»).
Per quanto riguarda gli abitanti dei lerrilori non autonomi, nulla
avrebbe, in astratto, impedito di impiegare il sistema seguito a Roma,
per quanto riguarda il diritto da applicare agli stranieri (a parte le diffi-
coltà concernenti le successioni e il diritto di famiglia). Le condizioni era-
no, pero, ben diverse inconcreto, in un contesto geo-poliLico in cui i sud-
diti stranieri costituivano la stragrande maggioranza degli abilanli. Ai
peregrini dei territori non autonomi, i e.d. peregrini nullius civitatis («Stra-
nieri non appartenenti ad alcuna città•) si continuo ad applicare il diritto
in vigore prima della conquista, il quale poteva esser, pero, mudificato
dai governo centrale o dai guvernatore senza incunlrare alcun limite fur-
male.
Da quel che risulta dalle fonti, i romani non si sono mai posLi il problema
dei fundamento di tale regime. Non e, d'altronde, possibíle applicare mcccanica-
mente ai peregrini nu//ius civicatis dei período anteriore alia constitutio Antoni-
niana, quanto dicono i giuristi per gli 'apólides' - soggetti senza cilladinanza -
dei período succcssivo: si tratta, infalli, di persone che - priva te della civitas
Romana, ormai l'unica cilladinanza csistcntc ncll'impcro, per misura sanziona-
toria insegui to a condanna penalc (§ 31) o in quanto dedicicii Aeliani (§ 28)- non
hanno nessun ordinamcnto giuridico a cui richiamarsi, e possono fruirc sol tanto,
dicono i giurisli, dei ius gentium (cfr. Tit. Ulp. 20. 14; Ulpiano, in D. 32. 1. 2;
Marciano, in D. 48. 19. 17. !). Se si vuolc, comunque, trovarc un fondamenlo per
I'impicgo dei diritto nazionalc nei confronli dei su<l<liti peregrini nullius civitatis,
esso va riscontrato nclla discrczionalità connaturalc all'imperium dei govcrnalo-
rc che, qui, non incorrcva in limiti formali, piu chc nclla considerazione dei valo-
re come consuetudini locali <legli ordinamenti in questione. Nulla impediva, co-
munque, ai peregrini alicuius e nu/lius civitatis di adirc il tribunale dei governa to-
re e chicdere di venir giudicati secando quella parle dcll'or<linamento romano
che era !oro applicabile (il ius gentium cd il ius honorarium): e Plutarco <leplora,
ncl 1 scc. d.C., !'uso dcgli abitanti <lcllc 'pó/eis' grechc di ricorrcre ai tribunalc dei
govematore romano, anche se non spccifica quale diritto vcnissc applicato in tali
circostanze. Non sappiamo, dei resto, in quali limiti, di fatto e di diritto, cio fosse
possibile senza il consenso dclla contropartc, sia solto il profilo della competenza
giurisdizionale, che solto qucllo <lei <liritto sostanziale usa to per risolvere la con-
troversia.
Ai cittadini romani residenti in provincia il governatore applicava,
ovviamente, l'ordinamento romano, nelle fonne dei ius civile e dei ius
honorarium (ed eventualmente dei ius extraordinarium): ma anche !e nor-
me specificamente emanale - con vigore territoriale - per le singole
province.
DIRITTO DELLE PERSONE E DI fAMIGLIA 113
tas Romana; mcntre non era mai accaduto, nel mondo greco, che la doppia citta-
dinanza avesse portato ad applicare ad un soggetto il diritto di una città-stato
diversa da quella in cui si svolgeva il giudizio.
ta della consuetudine nel Lardo-anliw, se, alia fine dei 111 scc. d.C., es~a
avesse cffctLivamcnle avulo il ruolo di cui ~i parla.
Giustiniano non ha dubbi a rialformare, legilCrando per J'Armcnia
(rcgione che si trovava in una po~izionc solto vari aspelli particolarc).
che l'unico dirillo da applícarc ncll'impero e rapprc.~cntalo dallc lcggi
romanc (Nov. 21, praef.). Era, d'allra parte, impossibilc che l'imperatore,
il cui scopo era di rcstaurarc, ncl binomio arma et leges, !'impero romano,
potesse seguire una diversa convinzionc.
legis actiones, con la legis actio sacramento in rem, s'aggiunse, ai piu tardi
nel II sec. a.C., l'actio in rem per sponsionem (§ 95), che rimase forse il
mezzo piu in uso, anche dopo l'introduzione dei processo formulare. Si
poteva agire, a tutela della patria potes/as, anche con la fonnula petitoria,
la quale andava opportunamente adattata, come informa UI piano, in D.
6. 1. 1. 2, per evitare effetti aberranti in relazione ai principio della con-
danna pecuniaria (§ 80).
Tramite la litis aestimatio (§ 95), non si potcva, infatti, ottcncrc l'«espro-
priazionc» della patria potes/as a íavorc dei convenuto, anchc pcrché il diritto di
natura pcrsonale dedotto in giudizio non era passibilc di valutazionc pccuniaria.
Questi inconvenienti non si verificavano ncll'agere sacramento o per sponsionem.
Nel principato, la tutela della patria potes/as si otteneva principal-
mente, come c'informa ancora Ulpiano, attraverso praeiudicia (§ 74), i
quali rappresentavano mezzi giudiziari particolarmente adatti in questo
campo (in quanto azioni di mero accertamento), e nelle forme della co-
gnitio extra ordinem, dove la condanna non e necessariamente pccuniaria
(§ 83). E problemi in ordine alia tutela dclla patria potes/as non si hanno
nel periodo postclassico, dove, per l'appunto, la cognitio diventa la forma
«ordinaria» di processo(§ 84).
II prctorc conccdcva dcgli interdetti anchc a favorc dei titolarc dclla patria
potes/as: cssi erano l'interdictum de liberis exhibendis e quello de liberis ducendis.
Qucsti mczzi giudiziari non avevano funzione possessoria, e cioc ri volta a protcg-
gerc una situazionc di fallo corrispondcntc all'esercizio della patria pules/as, ma
tutelavano chi fosse effcttivamente il pater dclla pcrsona intercssata. II primo era
un interdetto esibitorio (§ 79), e tcndcva quindi ad ottcnerc l'csibizionc dclla
persona controversa; tale esibizione poteva essere slrumentalc all'csercizio dei
secundo interdetto, proibitorio (§ 79), col qualc il prctore ordinava che non si
facesse violcnza (vim fieri veto) ai pater stesso chc csercitasse il proprio diritto
portando seco il figlio.
limiti non fossero stati fatti rispettare dai pontifex maximus, l'adrogario
era egualmente valida ed efficace, anche se compiuta per una funzione
diversa da quella di creare artificialmente un suus heres a chi ne fosse
privo e presumibilmente non potesse piu avere figli naturali.
Alie origini, le curiae esprimevano, forse, un assenso esplicito, anche
se spesso formale, all'adrogatio, proprio perché le gentes rappresentate
nei comitia curiata avevano un parere da esprimere su un alto che poteva
incidere sull'assetto sociale della comunità. ln epoca tardo-repubblicana
questo assenso e venuto totalmente meno: la decadenza e la trasforma-
zione dei comizi curiati impediscono qualsiasi controllo da parte degli
stessi, ed e sol tanto, come si e detto, il pontifex maximus ad esercitarlo.
Anche altri atli, chc coinvolgevano la struttura gentilizia della comunità,
crano probabilmente sottoposti all'approvazione delle curiae: il testamentum ca·
latis comitiis (§ 138), strellamente apparcntato con l'adrogatio, la detestatio sacro·
rum (abbandono dei sacra familiari: essa rimane per noi poco piu <li un nome), la
misteriosa gentis enuptio, di cui é stata, e nona torto, messa in dubbio l'esistenza.
A partire dalla fine della repubblica, il popolo non si adunava piu cffeuivamente
nelle trenta curiae e veniva rappresentato dai trenta littori, i quali un tempo
erano addelli ai curiones (i presidenti di ciascuna curia). Dinanzi ai pontifex ma-
ximus si presentavano, come semplici figuranti, soltanto qucsti littori, i quali,
ovviamentc, non potcvano csprimcre un asscnso sull'atto chc veniva compiuto.
ln Roma, fino ai III sec d.e., i trenta littori continuavano, in rappre-
sentanza delle curiae, a riunirsi nei comizi curiati per sanzionare l'adro-
gatio. Nelle province s'introdusse, invece, una forma di adrogatio conces-
sa con un rescritto dai princeps, il quale ricopriva istituzionalmente, lo si
ricordi, la carica di pontifex maximus. Già Diocleziano estese tale forma
ai residenti in Italia e forse anche in Roma, ed essa si perpetuo fino a
Giustiniano, continuando a differenziarsi - nella forma e negli effelti -
dall'adoptio in senso stretto.
L'adrogatio ~i svolgcva dinanzi ad un'assemblca popolarc, da cui crano
csclusi lc donne e gli impubcri, il chc ha impedi to per lungo tempo chc qucsti
soggctti potcsscro esscrc arrogati. Con Antonino Pio se nc comincia ad ammette·
re l'arrogazione (lc donne, solo nella forma per rescriplum). Le donne non poteva-
no poi arrogarc, pcrché non potevano esscr titolari dclla potes/as: Diocleziano
concessc l'adrogatio anchc a<l esse, con l'cffetto <li crcarc, soprattutto ai fini suc-
ccssori, un vinculo <li parentela fillizia.
L'arrogalore acquista la potes/as sull'arrogato e, solto il profilo pa-
trimoniale, si ha una successione universale, inter vivos(§ 131), a favore
dell'arrogatore stesso nel patrimonio dell'arrogato. Come in tutte le suc-
cessioni universali inter vivos, che conseguono ad una capitis deminutio -
mínima, nel caso - si produce l'cstinzione dei debiti dell'arrogato. Ad
evitare facili collusioni, con gravi danni per i creditori, intervenne, forse
nel 1 sec. a.e., il pretore che concesse a favore dei creditori insoddisfatti
DIRIITO DELLE PERSONF: E OI FAMIGLIA 127
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mersi il consenso fossero realmente i<lonei a <limostrarc l'c>i>tenza <li una siffatLa
volonlà: il chc poteva avcrc una nolcvolc imponanza sopratlutto quando vi fosse
una <liffercnza di classe fra l'uomo e la donna. Sotto questu profilo, potevano
svolgcre un ruolo decisivo lc cerimonie socialmente rilcvanl i cun cui si celebrava
un matrimonio, senza chc, per questo, esse fossao in gcnerale configura te come
una forma costitutiva <lei matrimonio stesso.
f) ln periodo classico il consenso deve csscr manifeslalo pcrsonal-
mente dagli sposi, anche se si tralli di personae alieno i11ri s11biectae, ma in
questo caso occorrc anche l'assenso dell'aventc potestà. Se, poi, il rnarito
stesse ancora solto la potes/as dei nonno (il che non rapprcsentava un
caso dei tullo eccezionale), oltre ai consenso di qucst'ultimo era neccssa-
rio anche quello dei padre dello sposo, quanlunque ancora soggcllo alia
patria potestas, in base ai principio invito suus heres non adgnascitur («a
nessuno puo esser creato un discendente ed crede senzala sua volontà•: §
137).
E' discutibile se, in epoca risalente, fosse !'avente potcstà a conclu<lcrc il
matrimonio per la <lonna: la cerimonia <lella con(arrealiu era scnza dubbio com-
piuta dalla sposa, mcntre la coemplio, in cffeLti. potcva esser effc!luata dai pater-
fami/ias.
II consenso dei paterfamilias ai matrimonio della persona sol topos ta
dovcva, originariamente, perdurare, perché continuasse il rapporto di co-
niugio. Già prima dei periodo classico cio non valeva piu per il filiusfami-
lias, mentre per la (ilia(amilias una siffatta condizionc deve essersi con-
scrvata piu a lungo, se ancora Diocleziano, in C. 5. 17. 5 pr., ricorda l'in-
tervento di Marco Aurelio volto ad impedire che il paterfamilias della
donna intcrvenga a turbare il «matrimonio feiice• della figlia (bene con-
cordans matrimonium).
g) ln epoca impcriale, l'acquisto della manus sulla moglie e ormai
un effetto accidentale (§ 52) rispello alia conclusione dei matrimonio, e
tale acquisto avviene solo in base alia caemptio. Nella tarda repubblica
era ancora, marginalmente in uso la ca11(arreatia, necessaria ai fini sacra-
li (perché certi sacerdozi, come quclli dei /lamines maggiori, potevano
esser ricoperti sol tanto da persone na te da e viventi in nozze confarreate).
Per permettere la copertura di tali cariche sacerdotali, Tiberio fece stabi-
lire, probabilmente con una legge, che la con(arreatio facesse acquistare
la manus sulla donna soltanto in ordine ai sacra: per il ius civile, essa
rimaneva sui iuris o solto la potes/as dei pater della famiglia d'origine.
Si e già detto [sub d)] che fino ai 1 sec. a.e. l'ums era ancora in vigore, ma
deve esser caduto in dcsuctudine nel 1 scc. d.e. Fino a tale momento, se si vuole,
si puo configurare la conventio in manum come un effetto naturale <lei matrimo·
nio, dato che la donna dovcva, ogni anno, compierc il 1ri11octium per evi1arla.
h) Nel periodo postclassico, il matrimonio fu in primo piano fra gli
136 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
Sul piano dei diritto criminale vengono puni te le violazioni dei dovere di
fcdeltà da parle della moglie mediante la repressione dell'adulterio. ln base alia
legislazione auguslea il marilo ha sollanlo il potere di uccidcrc, se coito infla-
grante, il correo dell'adultera, potcre il quale gli spetta verificandosi determinati
requisiti (e, soprattutto, l'appartenenza dell'adultero a determinatc classi socia-
li). A quanto sembra, il marito non potcva piu esercitare il ius vitae ac necis
ncppure in quci casi rcsidui in cui, nel matrimonio cum manu, fosse tilolarc della
patria potes/as sulla moglic, mcntre negli altri casi tale dirillo vcniva riconosciu-
to, nella legislazionc augustea, ai paterfamilias della stcssa. ln concorso col pater·
familias mcdcsimo, ai marito compete, invece, il dirillo di cscrcitare l'accusa
privilegiata di adultcrio (l'accusatio iure mariti vel patris): si tratta, nel caso, di un
vcro e proprio diritto-dovcrc, perché cgli ha l'obbligo di csercitarc tale accusa,
previu ripudio dclla donna, ché altrimenti incorre ncl crimen /enocinii. Dai punto
di vista dei reciproco dovere di rispctto, v'e una tendenza ad escludere, fra mari·
to e moglic, le azioni infamanti (§ 78); e la sottrazione dellc cose dei marito ope·
rata dalla moglie viene persegui ta, anchc dopo il divorzio, con l'actio rerwn amo·
tanm1 (§ 124), ad esclusione dell'actio furti, disciplina eslesa solo succcssivamenle
ai marito. AI dovcrc di assistcnza si potrcbbe riportarc la concessione ai marito
dei beneficium competentiae, nell'actio rei uxoriae.
b) Una disciplina molto piu complessa si ha per i rapporti patrimo·
niali. Bisogna ai proposito distinguere fra l'istituto della dote, la quale
diventa di proprietà dei marito, e non rileva, quindi, in tali rapporti se
non ai momento della sua eventualc restituzionc (la quale puo a ver luogo
soltanto alia fine dei matrimonio), e le altrc situazioni chc, dai punto di
vista patrimoniale, s'instaurano fra i coniugi pendente rnalrirnunio.
Solto quest'ultimo profilo, incide la diversa situazione in cui i co·
niugi si vengono a trovare a secunda che il matrimonio sia o mcno accom·
pagnato dalla manus. Nel primo caso, in effetti, non possono instaurarsi
fra i coniugi rapporti patrimoniali in pendenza dei matrimonio, proprio
perché la moglie e sottoposta alia poles/as dei marito o dcll'avcntc pote·
stà su quest'ultimo ed e priva di capacità giuridica. Ncl matrimonio, in·
vece, senza rnanus, il regime giuridico e quello della separazionc, il quale
comporta che, se e o diventa sui iuris, la donna sia titolarc dei proprio
patrimonio e lo amministri (salvi gli effetti della tutela a cui e sottoposta:
§ 45), senza subire in cio alcuna ingerenza dei marito.
Una particolare posizionc assumono quei beni che, a differenza dclla dote,
rimangono nella disponibilità giuridica dclla moglic, ma sono trasfcriti in ammi·
nistrazionc ai marito, anche se poi lasciati in godimcnto alia donna stcssa, ove si
tratti di oggelli d'uso pcrsonale. Per essi, i romani adollano il termine greco di
'parápherna': soltanlo in cpoca giustinianca s'introduce ai riguardo una partico·
larc disciplina, chc riguarda principalmente i poteri dei marito come ammini-
stratore e gli obblighi in cui egli incorre ai proposito.
e) Soprattutto per quanto concerne le classi agiate, il regime patri·
moniale dei matrimonio s'identifica nell'istituto della dote, la cui disci-
plina e soltanto marginalmente condizionala dalla differenza fra ma/ri·
rnonium cum e sine manu.
DJRIITO DELLE PERSONE E OI FAMIGLIA 145
La e.lote puà, in effelli, aversi in ognuno dei duc lipi e.li matrimonio, ma noi
ne conosciamo il regime, praticamente, per il matrimonio scnza manus, chc é
qucllo a cui si rifcrisce la piu gran parle della noslra documenlazione.
L'origine della dote e oscura. Lasciando da parte il rapporlo con
J'ipotetico matrimonio per compera, di cui in effetti non consta J'esisten-
za, appare spontanea l'ipotesi che la dote emerga proprio nel matrimonio
cum manu, in cui la donna !roncava, con la capitis deminutiu, i rapporti
con la famiglia d'origine, rispello alia quale perdeva qualsiasi aspettati-
va successoria. A tale scopo alia donna che si sottometteva alia polestas
dei marito (o dei paler di quest'ultimo) era assegnata dalla famiglia d'ori-
gine una certa quantità di beni a soddisfazione delle aspellative successo-
rie: essi coníluivano nel patrimonio dei nuovo avente potestà sulla don-
na, ed erano- sul piano sociale- destinati a concorrere ai sustentamen-
to ed ai benessere della nuova unione coniugale. D'altra parte, se una
donna sui iuris compiva la conventio in manum, apportava ai paler dclla
famiglia di cui veniva a far parte il proprio patrimonio.
La conventio in manum della donna sui iuris aveva. infatti, gli stcssi cffctti
patrimoniali dell'adrogatio, provocando una succcssione univcrsalc ncl patrimo-
nio dclla c.lonna, con la concomitante cslinzionc dei dcbiti.
Sulla base <li qucsta prassi si viene, gradualmente, cnucleando J'isti-
tuto della dote, chc comincia ad avere una specifica configurazionc ed
una disciplina, allorché i beni che la costituiscono assumono una posizio-
ne particolare nell'ambito dei patrimonio dei marito (o deli' avente pote-
stà su quest'ultimo), e soprallullo quando si comincia a fissare la sorte di
questo complesso di beni per il caso dello scioglimento dei matrimonio.
Quando si e definitivamente formata, verso la fine della repubblica,
la dote, ormai estesa ai matrimonio sine manu, ha la funzione di contri-
buire all'economia della famiglia, a cui era soltanto il marito - o J'aven-
te potestà su quest'ultimo - a dover provvedere. A questa funzione si
aggiunge, lentamente, quella <li far fronte alie necessità economiche dclla
donna dopo lo scioglimento dei matrimonio, cd a cio serve la disciplina
della sorte della dote dopo tale evento.
d) La dote puô esser costituita, come dos profecticia, dall'avcnte po-
testà sulla donna, e come dos advenlicia dalla donna o da un terzo: in
período classico, nelle classi agiate o medie ai riguardo v'cra, sul piano
sociale, un dovere che gravava, anzitutto sull'avente potestà sulla donna,
poi sulla donna stessa, ed eventualmente anchc sui prossimi congiunti.
Nel tardo-anticu, questo obbligo acquisto rilevanza sul piano giuridico, e
nella terminologia giustinianea venne a costituire un'obligatio na/uralis
(§ 109): soltanto in rari casi si assiste ad una coercibilità <li tale obbligo,
ma in forme diverse da quelle dei rapporti obbligatori.
I negozi costitutivi della dote potevano avere effelti obbligatori od
1-k> ISTTTl"ZJOSI Dl DIRnTO ROMA"O
Ncl periodo postclassico, nellc grandi lince, tak regime 11011 si modi-
fica. Se la dote rimam! ai maritu in seguito alia morte dclla muglic, cgli
acquista soltanto l'usufrullo legale, in quanto la nuda proprietà e Jesti-
nata ai figli na ti dai matrimonio che li acquistanu cume huna matema (§
37). Nel caso di divorzio cessano le retentivnes, e la dote si devolve ai
coniuge senza colpa. Questa disciplina continua anchc nclla cunfigura-
zione che assume l'istitulo nelle Novelle giustiniance: nel caso Ji morte
dei marito, anche la dos pro{ecticia va alia donna che sia sui iuris. Le
retentiones, forse da tempo cadute in disuso, vengono formalmente abro-
gate da Giustiniano.
II marito risponde, nell'actio rei uxoriae, 'per culpa e per dolo(§ 130).
Ove abbia ricevulo le cose in dote previa una stima con l 'accordo di resti-
tuire la stima stessa (eventualmente in alternativa con le cose dotali),
risponde anche per il perimento di tali cose dovuto a caso fortuito: e il
caso della e.d. dos aestimata (sull'aestimatio in generale, cfr. ancora il §
130). D'altra parte, il marito usufruisce dei beneflcium cumpetentiae (§
73), in base ai carattere di buona fede dell'azione, senza necessità di in-
trodurre nella formula una clausula specifica.
Nella compilazione giustinianea l'azione per ottenere la restituzio-
ne della dote assume, nelle costituzioni imperiali, il nome di actio ex sti-
pulatu, che era l'azione spettante nella dos recepticia: il regime di questa
azione coincide, pero, con quello dell'actio rei uxoriae; e, nei passi dei
Digesto e nei rescritti dei Codice, i compilatori cancellano l'actio rei uxo-
150 ISTTTI:ZIO.'.;J D1 DllUTTO ROMAJliO
riae, ma noo \·i sostituiscono l'actio o.: stipulatu, bensi una generica actio
de dote (o dotisl.
La restituzione ddla dote \·iene garentita, a fa\"ore delta donna, da un'ipo-
teca legale su tutti i beni dei marito, che é poziore su tutti gli ahri diritti reali di
garenzia e su tuni i pri\"ilegi. e che concorre con la concessione dell'actio in rYm a
favoce delta donna.
della vila familiare, beni destinati ai figli ai momento della morte di en-
trambi i genitori.
che, nel comune senlire sociale, hanno raggiunto una maturità intellel-
Luale sufficienle a rendersi conto della porta ta degli atti che compiono: a
meno che tale possibiliLà non venga menomata dall'insorgere di circo-
stanze attinenti alia sfera mentale e caralleriale deli 'individuo o, per le
donne, dalla levitas animi (come dice Gai 1. 144). ln diritto romano, dun-
que, la capacità d'agire puo esser esclusa o diminuita da cause attinenti
all'età (impuberes e minores XXV annis), ai sesso (donne), a vizi della sfera
mentale (pazzi) e caratteriale (prodigi).
b) II diritto civile prevede l'infinnitas aetalis come causa di esclusio-
ne o <li diminuzione della capacità d'agire.
Chc gli individui ai di solto di una certa ctà non siano in grado di curare i
propri intcressi é constatazionc tanto ovvia quanto diffusa; l'incapacità di code·
stc personc e gli istituti diretti a proteggerlc sono prescnti in tutti gli ordinamcn-
ti dclle società che abbiano raggiunto un certo livcllo di sviluppo.
II iils civile fissa un limite d'età entro il quale si presume manchi
· l'idoneità acurarei propri interessi: il soggetto che vi rientri e, automati-
camente, incapace o non completamente capace di agire. ln linea di prin-
cipio, il limite e rappresentato dalla pubertà, ed ha, in sé, un ristretto
margine di variabilità.
Alie origini la pubertà veniva accertata <li volta in volta, eventual-
mente con un'inspectio corporis: durante il principato questa teoria conti-
nuo ad esser seguita dai Sabiniani, sicuramente per i ragazzi, mentre i
proculiani fissavano l'inizio della pubertà ai compimento dei quattordici
anni per i ragazzi e dei dodici anni per le fanciulle. E' dubbio fin quando,
per queste ultime, abbia avuto vigore il sistema dell'accertamento effetti-
vo: in epoca classica per esse era prevalsa indubbiamente l'opinione dei
proculiani, mentre per i ragazzi questa soluzione fu definitivamente im-
posta da Giusliniano.
Comunque si consideri accertato il raggiungimcnto della pubertà, sia i ra-
gazzi che le fanciulle escono dalla condizione di impuberes, ma mentrc i primi
divengono, per il ius civi/e, totalmente capaci, per le secondc cambia sohanto il
tipo d'incapacità e di tutela(§ 46).
e) Gli impuberi, incapaci e sottoposti a tutela, erano chiamati, tecni-
camente, pupilli (o pupillae): ali 'interno di quesla categoria non si ha, pe-
ro, un regime unitario. Con una cerla variabilità nelle terminologie, nel
periodo classico si individuavano tre categorie <li impuberes: gli infantes,
gli infantia maiores, i pubertati proximi. Gli infantes non erano coloro che
non potevano parlare dei tutto, ma quei bambini che, pur potencio emet-
tere suoni articolati, non si rendevano sufficientemente conto della porta-
ta delle proprie e delle altrui parole nel contesto sociale. Non esisteva
probabilmente un limite preciso d'età che delimitasse questa categoria:
DIM.ITTú OELLE PEH.~Ot'lóE E OI FAMJC~UA 157
be contro il tutore dativo, che puó esser rimosso dai pretore che lo ha
dato, e contro cui non sembra dunque sia stata estesa.
L'accusatio sopravvive formalmente in periodo giuslinianeo, ma non nc é
ben chiara la funzionalità, dato chc qualsiasi tutore é ormai, in tale epoca, rimo-
vibile dai magistrato, anche per semplice inidoneilà.
1 rapporti fra tutore e pupillo trovarono, pero, Ia disciplina piu sod-
disfacente con I'actio tutelae, che venne introdotta, subi to dopo il 210 a.C.,
per regolare i rapporti fra il tutore dativo ed il pupillo. Già a partire
dall'inizio dell'epoca classica, quest'azione viene estesa, con tutte le con-
seguenze, ai tutore testamentario, ma ai tutore legittimo si applica, sicu-
ramente, solo nel periodo postclassico.
II tutore dativo deve prcstare la satisdatio rem pupilli salvam (ore solo quan-
do é slalo dato su designazione dei magistrati municipali o nominalo direita-
mente da questi ultimi, nei limili in cui ció fosse possibilc.
L'actio tutelae e, già all'epoca di Q. Mucio, un iudicium bonae fidei, e
partecipa di tutte !e caratteristiche di codesti iudicia (§ 74). Si tratta,
come si e visto, di un'azione di rendiconto, la quale spetta, contro colui
che abbia, comunque, gerito la tutela [ed e estesa in via fittizia contro il
tutore che non abbia gerito: v. sub e)]. Essa puo esser esperita quando il
tutore cessi dall'úfficio, e viene intentata dai nuovo tutore, quando la
cessazione sia avvenuta prima che il pupillo stesso abbia raggiunto la
pubertà.
E dubbio se la responsabilità dei tutore sia mai stata limitata sol-
tanto ai dolo (ricomprendendo in esso - v. § 130 - anche la diligentia
quam suis). Sicuramente in periodo classico egli risponde anche per cul-
pa. Nel caso di piu tutori che abbiano gerito insieme la tutela, senza
un'ufficiale divisione di compiti, essi rispondono solidalmente (§ 108) nei
confronti dei pupillo.
II regime della responsabilità in base all'actio tutelae non subisce
sostanziali modificazioni in epoca postclassica. ln tale età l'obbligo della
satisdatio si estende a tulli i tutori, ed il pupillo viene ulteriormente ga-
rentito, a partire da Costantino, da un'ipoteca generale (§ 101) sui beni dei
tutore, che si viene praticamente a sostituire ai privilegi che già gli spet-
tavano in diritto classico in sede di bonorum venditio (§ 81), e che conti-
nuano a spetlargli formalmente anche in epoca giustinianea.
plessiva della situazione della donna stessa nel diritto romano bisogna
ricordare come essa incorra anche in alcune limitazioni della capacità
giuridica (incapacità speciali: § 23) sul piano dei rapporti privati.
L'incapacità della donna e, invece, totale - secondo la ideologia dominan-
te ncl mondo dellc città-stato - per il diritto pubblico (a parte l'imposizione
tributaria). Pur esscndo - in astratto-soggctta ai dirillo criminale, la sua inca-
pacità sul piano dei diritto pubblico le impcdisce di esser processata ncllc forme
dei iudicium populi dinanzi ai comizio centuriato, l'asscmblca política per eccel-
lenza dei periodo rcpubblicano. Qui soccorreva il potcre dei pateifami/ias, che
inter\'eniva a sanzionare i piú gravi - ma, dei resto, rari - misfatti delle donne,
ristretti, dei resto. quasi sempre all'ambiente familiare. A partire dalla tarda
repubblica e nel principato, la donna aveva invece, come imputa ta, picna capaci-
tá processuale nei iudicia publica, nella forma delle quaestiones perpetuae, e nella
cognitio criminalc (nella qual ultima, in taluni casi, poteva promuovcrc il proces-
so).
Sul piano dei diritto privato, le donne erano incapaci per gli atli e
per i rapporti che coinvolgevano la patria potes/as ( §§ 35-37). ln base ad
una la Voconia dei 169 a.C .. non potevano esser istituite eredi nel testa-
mento di un cittadino appartenente alia prima classe dei censo, neanche
in quello del proprio padre: la disposizione non toccava la successione ab
incesta/o e cadde in disuso nel principato, anche per il venir mcno dell'an-
tico censimento repubblicano. La donna sottoposta a tutela legittima non
poteva fare testamento, era quindi incapace <li avere eredi h:stamentari
(§ 138).
Una grave limitazione, che concerneva la loro capacità d'inserirsi
nel mondo degli affari, era stata sancita dal Se. Vellaeanum, della metà
dei I sec. d.C., il quale proibi alie donne di assumere obbligazioni ncll'al-
trui interesse in qualsiasi maniera cio avvenisse (e non soltanto nclle for-
me delle garenzie personali dell'obbligazione: § 116). II divicto, efficace
sul piano dei dirillo onorario in base ad un'exceptio sc.i Vellaeani, rimase
in vigore, seppur con qualche modifica, fino all'epoca giustinianea.
b) Moho piú ampia é la diminuzione della capacità <l'agire, anche se
ridotta rispello a quella <legli impuberi. A parte la responsabilità per i
delicia priva/a, che é fuori discussione (onde risponde senza limitazioni
nclle obligationes ex delicto), la donna é pienamenle capace <li compiere
quegli alli da cui le provengano sohanlo dei vantaggi; ed anche per lei.
ove !'alto abbia effelli vanlaggiosi e svantaggiosi, si distinguono i primi
che si verificano dai secon<li che non hanno luogo.
La donna slessa non e, pero, incapace per lulli gli atti che le possono
recarc svanlaggio. Non le e inter<lctto di alienare leres nec mancipi (§ 93),
e compierc tulli quegli alli che possono esser omologati a tale alienazio-
nc: ades., estinguen: in qualsiasi modo un'obligatio, perché J'obbligazio-
ne stessa era considera ta alia stregua di una res nec mancipi (Gai 2. 85).
DIRIITO DELLE PERSONE E OI FA.MIGLIA 169
Ha, invece, bisogno della tutoris auctoritas negli altri atti, che le possono
recare svantaggio: per alienare leres mancipi, per assumere obbligazioni
da contralto, per condurre un processo, per procedere all'aditio heredita-
tis.
Tale regime mostra come lc esigenze socio-economiche che si esprimono
nella tutela muliebre affondino le !oro radiei nell'epoca arcaica: già negli ultimi
due secoli della repubblica, infatti, non si vede per qual mai motivo Ia donna
potesse, senzala tutoris auctoritas, alienarc res nec mancipi d'elevatissimo valore,
come - ad cs. - dei gioielli, e devesse far ricorso ai tutore stcsso per trasfcrirc la
proprietà di uno schiavo o di un'animalc, chc valevano qualche centinaio di se-
sterzi.
La tutela mulierum puo esser, originariamente, legittima o testa-
mentaria: ad essa si aggiunse, dopo la lex Atilia, la tutela dativa. Ben
presto, pero, il tutore dativo venne dato alie donne soltanto a !oro istan-
za, ed era richiesta l'accettazione della persona designata dai pretore.
L'ufficio non e, dunque, obbligatorio. Nella tutela testamentaria, a
partire già dalla media repubblica, il paterfamilias poteva lasciare - con
varie modalità-alla figlia la possibilità di scegliersi il tutore (optio tuto-
ris, tutor optivus). Con la lex Claudia, fa!!a volare dall'imperatore Claudio
intorno ai 40 d.C., la uttela legitima sulle donne \'enne aboli ta, ad eccezio-
ne di quella sulla liberta, di cui erano tutori legittimi il patronus ed i suai
discendenti.
Ncl corso dcll'impcro, poi, la donna potcva esser esonerata dalla
tutela, quando conseguisse, sulla base ddla lex lulia e/ Papia, il ius lihero-
rum, avendo partorilo Ire figli, se ingenua, quattro, se liberta, nell'ambito
di un matrimonio conforme alie prescriziuni di delta legge.
Per l'ctà arcaica e stato sostcnuto che - a differenza dei figli maschi - la
donna non sarcbbc mai usei ta da una vera e propria potes/as degli agnati, chc si
sostituiva alia patria pores/as, e che la twela nwliernm sarebbe una figura relati-
vamente recente, in cui s'era convcrtita quclla potes/as. Oi cio non si hanno, in
effetli, tracce sicure, anche se puo darsi chc la sua incapacità fosse, originaria-
mente, piu estcsa.
Nella tutela mulierwn, anche in quella dativa, si puo osservare con
nettezza come la íunzione dell'istituto non sia volta a proteggere la don-
na. 1 potcri dei tutore si limitavano, infatti, alia prestazione dell'auctori-
tas, e non si esteseru mai all'amministrazione dei patrimunio della don-
na, neppure cume elemento accidentale della fattispecic. Ove il tutore
procedesse, infatti, a tale amminislrazione, i rappurti con la donna eranu
regolati sulla base dei mandato o della gcstiune di affari: ai che corri-
sponde il falto che l'actio llltelae non venne mai applicala alia tutela mu-
liebre.
II caral!ere della tutela mulieris di esser piu un dirillo che un ufficio dei
12. MARIOT.U.AMANCA
170 ISTITUZIONI DI DIRITIO ROMANO
tutore si manifesta anche in altri aspclli nclla tutela legilima (dovc esso apparc
con maggiorc cvidenza sia alie origini che nci pochi casi di questo tipo di lute/a
che residuano nell'epoca classica). Solo per la tutela muliebre permane la possi-
bilità di compiere l'i11 iure cessio ture/ae, alie origini - probabilmente - applica-
bile anche alia tutela i111p11ber11111. D'altro lato, nel caso particolare della tutela dei
patrono o dei liberi patroni sulla liberta, il tutore poteva essere anche un impubc-
re od un pa1.1.o, con una particolarc disciplina per la prestazione deli 'a11cturitas.
La funzione dell'istituto volta a proteggere l'interesse dei tutore si
mantenne, pero, intalla sol tanto nella tutela legittima: sin dall'ctà tardo-
rcpubblicana, infatti, il tutore testamentario e qucllo dativo possono es-
scr costretti dai pretore a prestare l'auclorilas. Se si tien conto chc, come
già ricordato, la /ex Claudia della mctà dei 1 sec. d.C. aboliva la tutela
legitima, ameno di quella sulla liberta, si deve dare ragionc a Gaio, chc
considerava l'istituto privo di un reale significato, osservanúo, fra l'altro,
che lc donne amministravano da sole i propri patrimoni, chiamando il
tutore soltanto a prestare l'auctoritas (Gai 1. 190), che quest'ultimo era, in
linea <li massima, obbligato a concedere.
Con la cocrcíbilità della tutoris a11ctoritas sanei ta dai pretore, l'istituto dcl-
la tutela muliebrc pervcnne, in cffclli, ncl momento di estrema decadenza a fun-
zionare, di falto, ndl'interessc della donna: ove il tutore testamentario e dativo
ril'íutasscro, infalli, l'a11ctoritas, il pretore potcva non concederc la coercitio, sol-
tamo quando ritcnessc il rifiuto ingiustificato, e per far questo non aveva altro da
tcncr presente se non gli interessi della donna.
Pur ridotta ad un rudere forrnale, la tutela muliebre sopravvive fino
all'età, forse, di Diocleziano: ad un ulteriore sopravvivenza non contri·
buisce neppure l'analogo - e biando - regime dei 'kyrios' della donna
nei diritti provinciali di stampo cllcnistico. Con Costantino, la til/e/a rnu·
lierum é ufficialmente scomparsa.
pecunia. Quale fosse la portata di una tale normativa puo esser discusso,
ma e difficile che vi possano essere soluzioni di continuità con la regola-
mentazione classica.
Nel diritto della tarda repubblica ed in quello classico il furiosus,
pur essendo soggetto di dirillo, e completamente incapace di agirc, sia a
proprio vantaggio che aproprio svantaggio: ed e in questo aspetto che il
furiosus e l'infims sono spesso avvicinati. Cià vale tanto per gli atti leciti,
quanto per gli atti illeciti, onde il pazzo non ha neppure capacità di dirit-
to penale (privato e pubblico).
l giurisli non prcndono in considerazione il problema di chc cosa si intenda
per •pazzia•: nellc fonli, si risconlra l"cspressionc furioSlls vel demens. un tempo
- ed ingiuslamcnlc - sospcltala dalla critica intcrpolazionislica, chc non vuolc
alludcrc, con prccisionc a duc divcrsi tipi di malallia mcntalc (il •pazzu furioso»
e, per chiamarlo cosi, l'oligofrcnico), ma e direita a ricomprcndcrc tulli i possihi-
li casi di pazzia riconosciuli dai comunc senlirc socialc sulla base dcllc cono,c·cn-
ze mcdichc dei tempo.
La cura sul fi1rio.rns spella, come si e visto, agli adgnati e, in man-
canza, ai gentiles: essa compete di dirillo, scnza neccssità di alcun accer-
tamcnlo giudiziale o di un provvedimento amministralivo. L'accerta-
mento sulla sussistenza della pazzia e, di conseguenza, sulla esistenza
della cura tela, si ollerrà, caso per caso, contestando in sede processuale
la validilà dei negozi compiuti dai furiosi1s, o la legillimità dell'ammini-
strazione dei curatorc, dato che non consta dell'esistenza di un praeiudi-
cium 'an furiosus sit', in astrallo configurabile.
Non esistono curatori testamentari: in mancanza dei curatore legit-
timo provvede, a partire dalla fine della repubblica, il pretore, senza che,
a quanto risulta, intcrvenga una precisa disposizione legislativa. L'even-
tuale designazione di un curatore chc il paterfami/ias íaccia nel testamen-
to potrà esser tenula presente dai pretore nella nomina dei cura tore dati-
vo. Pur non essendovi uno speciíico provvedimento ad hoc, e evidente che
l'intervento dei pretore permetle, nella curatcla dativa, un controllo sui
presupposti della nomina dei curalore, e quindi anche sulle condizioni
della salute mentale dei soggetlo da solloporre a curatela.
II curatorc deve preoccuparsi della sorte della persona e dell'ammi-
nistrazione dei patrimonio dei pazzo: nonoslante l'evidente opportunità,
neppure in questo caso si pcrviene, all'infuori dei processo, ad una disci-
plina nel senso dclla rappresentanza e.d. direita (§ 66). 1 rapporti fra cu-
ratore e pazzo, ed eventualmente gli ercdi di quest'ultimo, non sono rego-
lati da una specifica azione, quale e l'actio tutelae per la tutela impube-
rum: si applica qui la generica actiu negotiorum geslorum, directa e
contraria, che viene data forse in via utilc, non traltandosi di gestione
spontanea (§ 122).
Nel tardo-antico non si risconlrano grandi mutamcnti: si eslingue la cura-
172 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
tela legittima edil curator furiosi viene sempre nominato dai magistrato, tcnen-
do conto dei rapporli di parentela e della designazione testamentaria della perso-
na lcgittimata.
b) La cura prodigi e regolata anch'essa dalle XII Tavole: gli adgnati e,
in mancanza, i gentiles sono chiamati da tab. 5. 7c ad esercitare la curate-
la su colui che dissipa il proprio patrimonio, piu precisamente, alie origi-
ni, i beni ricevuti in eredità dai paterfamilias, ai quali ui ti mi si riferisce la
formula dell'interdictio, pronunciata dai magistrato. A differenza, infatti,
che per la cura furiosi, e qui necessario un provvedimento dei pretore,
previsto espressamente dalle XII Tavole: l'interdictio già menzionata. Già
nella tarda repubblica, il pretore poteva nominare un curatore dativo,
eventualmente confermando una designazione testamentaria, ma, proba-
bilmente solo in mancanza di adgnati.
II prodigo interdetto non poteva, nel diritto classico, diminuire in
alcun modo il proprio patrimonio, se non con l'assistenza dei curatore;
ma non gli erano vietati gli alti con cui l'accrescesse: la sua situazione
veniva, dunque, a coincidere, piu o meno completamente, con quella del-
l'impubere infantia maior; e, in piu, egli era pienamente capacc dai punto
di vista dei dirilto penale, pubblico e privato. Probabilmcnte il curator
prodigi amministrava il patrimonio dell'interdetto, sempre con gli cffetti
dell'interposizione gcstoria (§ 66). Anche fra prodigo e curatorc il rendi-
conto della curatela si ottiene mediante un'actio negotiorum gestorum,
data probabilmente, come nel caso della cura furiosi, in via utile. Non
risultano cambiamenti di qucsla disciplina nel periodo postclassico e
giustinianeo.
c) La cura minorum non e disciplinata dai ius civile ed ha una storia
abbastanza complessa. Nel periodo piu antico, all'uscita dall'impubertà,
mentre !e fanciullc ricadevano solto la tutela mulierum, i ragazzi si trova-
vano, a quattordici anni circa, completamente capaci <li agire, senza es-
ser sottoposti ad alcun conlrollo.
Quesla disciplina anticipava di molto l'clà in cui si raggiungcva la comple-
ta capacilà d'agire rispctto a quanto altrovc accadcva nel mondo dclla città-
stato, e lo dissociava dall'idoneità ai scrvizio militare, come, invecc, gcncralmen-
tc accadcva. Cio dipcnde senz'altro dallc condizioni socio-cconomichc della co-
munità romana fin verso gli inizi dei III sec.a.C., ed anche dai severo controllo
sociale e dai regimen monim dei ccnsori particolarmcntc senlito dagli apparte·
nenti alie classi piu elcvate: aspetti che concorrevano a rendcre infrequenti i casi
di abuso a danno degli adolcscenti.
II mutamento delle complessive condizioni di vita fece insorgere,
lentamente, le necessità a cui ovvio, ai primi dei II sec. a.C., la !ex Laetoria
de circumscriptione adulescentium. Si tratta di lex minus quam perfecta (§
16), che, riferendosi a coloro che non hanno ancora compiuto i venticin-
DIRITTO DELLE PERSONE E DI fAMIGLIA 173
que anni (minores XXV annis), fissava - senza sancire la nullità dei nego-
zio - una pena pecuniaria a carico di coloro che, nel concludere un alto a
rilevanza patrimoniale, avessero abusalo della inespericnza di un mino-
re, il quale ne avesse riportato un danno. Tale pena poteva esser persegui-
ta da chiunque con un'azione popolare, anche se nelle forme dei processo
priva to, a quanto sembra, e non in quelle dei iudicium publicum (§ 122), a
quell'epoca non introdoue ancora nell'ordinamenlo romano.
La vicenda della cura minorum parte da quesla normativa. Da un
lato, i minores cominciarono a farsi assistere da persone di fiducia e d'e-
sperienza, scelte da essi slessi per i singoli affari che dovevano conclude-
re, non foss'altro per garentire in un certo qual modo la contraparte,
esposta all'accusa di aver abusato dell'adolescente nella conclusionc di
un contralto o di un negozio traslativo della proprietà. Cio non escludeva,
in assoluto, l'esperibilità dell'azione popolare, ma, in linea di fatio, rcn-
deva, se non impossibile, assai piu difficile la prova della circumscriptio.
Gli altri sviluppi si ebbero sul piano dei diriuo onorario. Per il diri tio
civile gli alli compiuti dai minores rimasero sempre completamente vali-
di, ma già dalla fine dei II sec. a.C., il pretore intervenne a sancirnc l'inva-
lidità. Anzitulto, egli concesse ai minore un'exceptio legis Laeloriae, per la
fondatezza della quale valevano gli stessi requisiti dell'azione popolare
nascente dalla legge in questione, sopraltutto il danno dei minore dovuto
alia circumscriplio della controparte (il che, in assoluto, non era escluso
dall'assistenza dei curatore). E poi, nell'editto, promise ai minore di con-
cedere, dopo una valutazione in astratto dei caso (causa cognita: § 78),
una restitutio in integrum (§ 79), indipendentemente dalla circumscriptio.
Tale restitutio in integrum era concessa sempre, quando il minore non era
stato assistito dai proprio curalore, ma l'assislenza di quest'ultimo non
era di per sé sufficiente ad escluderla.
Successivamenle, il pretore venne a disciplinare anche l'istituto dei
curatore, recependo questa figura nata nella prassi. Fu il magistrato a
nominare il cura tore stcsso, anche se la designazione avveniva ancora per
singoli affari, senza chc il cura tore avesse - a <li fferenza dei curatori
conosciuti dai ius civile (e dei tutore) - una competenza di carattere ge-
nerale. A partire da Marco Aurelio, il quale con moita probabilità confer-
mo e generalizzó una prassi già sponlaneamentc instauratasi, la nomina
dei curatore avvenne per l'insieme degli affari dei minore, anche se una
tale nomina non sembra fosse ancora obbligatoria in tutti i casi.
ln un primo periodo, anche quando il curator minoris fosse nomina-
to dai pretore, egli prestava soltanto la sua assislenza all'atto, una sorta
di auctoritas non formale, che, fra l'altro, non era sufficiente ad escludere
la concessione a favore dei minore dei mezzi pretori già visti. Dopo che
Marco Aurelio ne ebbe definitivamente sanzionato, probabilmente con
174 ISTITUZIONI Dl DIRITTO ROMANO
sona giuridica con cui si indicano i soggetti di diritto diversi dalla perso-
na fisica, e cioe dall'uomo. Per la persona giuridica non esiste, nella real-
tà storíca, un'entità cosi immediatamente corrispondente come accade
per il soggetto dí diritto che s'identifica nell'essere umano, sebbene anche
la persona giuridíca trovi in essa, come vedremo, il suo sostrato.
Solto questo profilo e lecilo dire che, nella persona giuridica, il ruolo dei
diritto nell'individuazione dei soggelto e piu avvertibile che per le persone fisi-
che dotate di soggettività giuridica. AI di là di qualsiasi impostazionc giusnatu-
ralistica, si puo ben dirc che in qucst'ultimocaso la soggettività vicnc riconosciu-
la ad un'entità, l'uomo, che, per il suo modo di porsi nclla realtà naturalc, é
potenzialmente destinato ad esser il soggetto di diritto, perché il dirilto é crea-
zione dello spirito umano e della società in cui gli uomini vivono: se cio vale in
tutta la sua portala negli ordinamenti in cui ogni essere umano é soggetlo di
diritto, rimane pur vero anche in quelli in cui, ai modo in cui ció accade a Roma
per l'incidenza degli status(§ 23), vi sono persone fisiche chc, cume lo schiavo e,
in termini meno assoluli, il filiusfami/ias, non hanno pcrsonalità giuridica.
Nella persona giuridica bisogna distinguere due aspetti fondamen-
tali: quello socio-economico, che si pune sul piano della realtà storica, e
quello formale, che riguanla la struttura giuridica dell'ente. L'aspetto
materiale costituisce il sostrato di falto su cui si funda l'aspetto formate,
che e dato dai riconoscimento della personalità giuridica da parte dell'or-
dinamcnto. Tale sostralo presuppone l'esistenza di scopi o d'interessi che
non possono esser pcrscguiti - o facilmente persegui ti - da un singolo
individuo, e che vengono conscguentemente affidati a strulture che han-
no una loro rilevanza sul piano di falto, ed alie quali corrisponde, sul
piano dei diritto, la persona giuridica.
A secunda dei tipo di ente preso in considerazionc, nella persona
giuridica s'intrccciano, in modo vario, elementi di carattere personale e
di carattere materiale od economico. Vi sono ti pi di persone giuridiche in
cui prevale l'elemento personale: un gruppo di persone si unisce per rag-
giungere un determina to scopo, aproprio od altrui vantaggio. Si ha allo-
ra, sempre in termini moderni, la persona giuridica corporativa, associa-
zione o corporazione, in cui é, pero, presente dai punto dí vista materíale
od economico, un insieme di beni o di servizi messi. in generc, a disposi-
zíone dagli stessi associati, da utilizzare per raggiungere lo scopo comu-
ne. La struttura che vicne personalizzata e in questo caso il gruppo di
persone che sono uni te dai vinculo associativo.
Si pensi, nell'cspcricnza altuale e pur lasciando da parte gli cnti pubblici e
le socictà commerciali, a pcrsonc che si uniscono in un'associazionc sportiva, per
formarc una banda musicale, ad un'associazione che riunisca insicme, a scopi
promozionali, coloro che praticano una medesima atlivilà culturale. E questi
stessi esempi mostrano come, accanto all'clemenlo personale, sia sempre neces-
sario un elemento materiale, un fondo patrimoniale.
ln altri casi sta in primo piano l'elemenlo materiale od economico.
176 ISTITUZJONI OI DIRJTIO ROMANO
que, a quelle di tipo associativo. Per queste ultime, poi, si deve rilcvare
che il regime giuridico non si identifica sempre con quello dell'aulono-
mia palrimoniale perfelta anche all'interno dei singolo Lipo di persona
giuridica, dove possono coesistere aspelli che, sotlo questo profilo, si ri-
fanno a moduli diversi.
a) L'esislenza di associazioni che costituiscono soggelli di dirillo
autonomi rispetto alia petsonalità dei singoli associati si ha, anzilullo,
per gli enti pubblici: lo slato, e gli enti territoriali minori, le civitates
Romanae, coloniae o municipia che siano.
Lo stato e, ufficialmenle, denominato populus Romanus o populus
Romanus Quiritiwn o senatus populusque Romanus. Esso ha, sin dall'ini-
zio dell'epoca repubblicana, una personalità nettamente separata da
quella dei singoli cives, soprallutto sollo il profilo dell'organizzazione
politica. II riconoscimenlo di tale autonomia era, senz'altro, facilitato
dalla posizione di supremazia che, in virtu dell'imperiwn o della potes/as,
gli organi dello stato, i magislrati avevano nei confronti dei cittadini.
Tale supremazia non si limita ai rapporti di natura politica od am-
ministrativa, in cui e essenziale la presenza come soggetto dello stato.
Anche nei rapporti che possono venir in essere anzitutto tra privati, come
la disponibilità assoluta su una cosa dai punto di vista economico (e, cioe,
quella che per i privati e la proprietà) e gli alli a questa relativi, quali una
compra vendi ta od una locazione, lo stato entra in relazione con i singoli
cives nella sua posizione di supremazia. Cià esclude l'applicazione a sif-
fatti rapporti fra stato e cittadini dei diritto e, conseguentemente, dei
processo privato: nel che si coglie una profonda differenza con quanto
accade nel nostro attuale ordinamento, dove lo stato ha una duplice ca-
pacità, di diritto pubblico e di diritto privato.
Nelle fonti questi rapporti vengono, talora, riferiti all'aerarium po-
puli Romani, che altro non e se non la cassa dello stato: con questo termi-
ne non si indica, dunque, la capacità •privatistica• dei populus Romanus,
né tanto meno unente a sé stante a cui facciano capo i rapporti patrimo-
niali dello stato. Si tratta soltanto di una designazione particolare per
indicare lo stato in tali rapporti, anche per i quali non sussiste un rappor-
to paritario, di diritto privato, fra cittadini e stato.
Chi possa agire per il populus Romanus, anche nei rapporti con i privati a
contcnuto patrimoniale, e dcterminato dai ius publicurn, come diritto che disci-
plina l'organizzazione dello stato (§ 18) e la competenza viene ripartita fra le
varie magistrature. Per quanto attiene ai rapporti patrimoniali, hanno particola-
re importanza i censori su cui ricade il compito di proccdere agli appalti pubblici
(locationes censoriae); il pretore urbano che sostituisce i censori quando non sono
in carica; i qucstori come funzionari di cassa preposti all'erario.
Per quanto riguarda la tutela delle siluazioni giuridiche patrimo-
178 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
niali facenti capo alio stato, essa era demandata, in epoca repubblicana,
ai magistrati, che agivano direttamente in via esecutiva sulla base dei
!oro imperium o della !oro potestas: ad es., provvedendo ad allontanare
dagli immobili pubblici eventuali occupanti abusivi o procedendo me-
diante pignoris capio per l'adempimento di obblighi di carattere pecunia-
rio gravanti su singoli soggetti nei confronti dello stato. Tali provvedi-
menti non presupponevano un accertamenlo in via contenziosa della ra-
gione e dei torto, ma il tutto si svolgeva sul piano dell'amministrazione
altiva, ed era deliberato ed eseguito in via di autolutela da parte dei ma-
gistrati. 1 privati che si fossero senlili illegittimamenle danneggiali o ri-
tenessero, comungue, infondati i provvedimenli presi dai magistrati po-
tevano ricorrere all'autorità che aveva preso il provvedimento rilenuto
ingiustamente lesivo dei propri interessi, perché il caso venisse riesami-
nato, sempre in sede amministrativa. Era, ad ogni modo, escluso che si
potesse avere, fra i magistrati ed i privati, un processo che accertasse la
fondatezza dell'agire dei primi nonché dei reclami dei secondi. Quesla
configurazione dei rapporti fra slato e ciltadini non conosce cccezioni in
epoca repubblicana e praticamente continua, in periodo imperiale, per
quella branca dell'amministrazione, che - nella slrullura biparlila dello
stato - e relia nelle forme repubblicane.
Nel principato, un profundo cambiamenlo si verifica, invece, nel-
l'ambito dell'amministrazione dipendente direltamente dall'imperalore,
nella quale rapidamente si concentrano i rapporti di natura economica.
Tale amministrazione s'identifica, principalmenlc, con il fiscus. Sem:a
voler approfondire la storia di quesla figura, va soltanlo dello chc il fi-
scus e, essenzialmenle, un patrimonio, meglio una delle masse palrimo-
niali, che fanno capo all'imperatore come isliluzionc. La posizione parli-
colare dei princeps che, rispetto all'ordinamenlo rcpubblicano, resta un
privato, pur se munito di pubbliche poleslà, permette che cgli abbia un
palrimonio, che é, in parle almeno, regolato dai diritlo privalo, sebbene,
da un lato, l'imperatore goda di una posizione di privilegio e, dall'allro, si
vengano a formare una serie di normazioni particolari per i rapporti fi-
scali, che vanno sempre piú assumendo quello che polrebbe chiamarsi un
caralterc pubblicislico nel profundo modificarsi della slrullura comples-
siva dello slalo durante il corso dei principalo.
L'affcrmazionc con!cnuta in D. l. 3. 31, di Ulpiano, secundo cui princeps
/egibus solutus est (•l'impcra!ore non e astrello [all'osservanza] dcllc lcggi•), su
cui si sono per secoli fondatc le tcoric giuridiche dcll'assolutismo, si rifcriva,
invece, all'esoncro per il princeps dall'osservanza di lcggi limitatrici de lia capaci-
tà di dirilto priva to (come la /.ex /u/ia et Papia) e, forse, anche dcllc forme solenni
dei dirillo civilc (ad cs., per i testamenti). Cio valeva per i rapporti privatistici dei
princeps s!esso quale pcrsona, ed a fortiori per quelli che afferivano alia sua posi-
zione istituzionale.
DIRIITO DELLE PERSONE E DI FAMIGLIA 179
E' opinione diffusa in dottrina chc, per quello che riguarda gli aspctti patri-
moniali e soprattutto la proprietà, in periodo repubblicano avrebbc avuto vigore
- per i collegia - un regime praticamente coincidente con qucllo della comunio-
ne dei dirilti. Cio e verisimile, ma non puo esscr ulteriormente circustanziato né
per quanto concerne i modi con cui si sia passati da tale regime all'autonomia
patrimoniale tardo-classica, né per stabilire se e in quali limiti la concezionc
originaria fosse già supcrata ai momento dell'emanazionc dclla /ex Iulia.
Una spinta decisiva .verso !'autonomia patrimoniale dellc associa-
zioni puo, senza meno, essere venula proprio dalla /ex Julia, la quale sta-
biliva taluni requisiti di struttura per la concessione dei riconoscimento
ai collegia ed alie soda/irares: e, fra questi, soprattutto la necessità dell'esi-
stenza di almeno tre socii (ma per la sopravvivenza dell'associazione ba-
stava che rimanesse un solo associa to, potendosi ricostituire la plurali tà)
e la previsione di un patrimonio dell'associazione.
ln base alia /ex Julia, e da escludere, nonostante autorevoli dubbi,
che l'associazione non muni ta della prescritla autorizzazione, pur esscn-
do illecita, godessc egualmcnte della pcrsonalità giuridica: altro proble-
ma e quello se, in base alie previsioni della /ex Julia (nonché dei senatu-
sconsulta e dei mandata imperiali che l'avevano integrala), potessero sus-
sistere associazioni lecite senza personalità giuridica.
Nel tardo-antico non risultano forli cambiamenti sul piano dclla disciplina
normativa: né il volgarismo (§ 12) incide dccisamentc sull'autonomia patrimo-
niale dellc associazioni. V'c la tendenza a creare nuovi tipi di associazione, lc
corporazioni profcssionali le quali, con natura acccntuatamente pubblicistica,
hanno mollo spesso carattere obbligatorio per chi esercita un detcrminato me-
stiere: sia nel senso che per escrcitare qucl mesticre e ncccssario appartcncrc alia
corporazionc, sia in quello chc chi appartienc ad una data corporazionc profcs-
sionale non puà abbandonarla, sia infine in quello dell'ereditarietà dei vincolo (v.
anche § 30).
e) Nell'esperienza giuridica romana non sono note le fondazioni co-
me enti con autonomia patrimoniale e, quindi, con personalità giuridica.
Essa ammette sol tanto quelle che potremmo chiamare le fondazioni fidu-
ciarie, in cui si affida ad un soggetto la titolarità di dcterminati beni,
perché gli stessi e, piu di sovente, il !oro reddito sia destinato ad un deter-
minato scopo. Cosi un insieme di beni puo esser attribuito ad una perso-
na giuridica <li carattere associativo, soprattutlo ad una civitas, con !' one-
re(§ 142) di destinarei proventi ad un certo scopo, generalmenle di bene-
ficenza.
Non possono esscr consideratc persone giuridichc non associativc il fisco
[v. sub a)], né l'hereditas iacens (§ 132).
Nel tardo-anticu si producono a questo riguardo modificazioni inci-
sive, connesse con l'emersione delle strutture de lia nuova religione dista-
to, il cristianesimo. Nell'ambito dei corpo •ecumenico• dei fedeli hanno,
184 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
SOMMARIO: 50. 1 fatti giuridici e lc loro classificazioni. - 51. Strutlura e funzionc dei ncgo-
zio giuridico. - 52. Gli clemcnti dei ncgozio giuridico. 1 ;oggcui. - 53. La manifcsta-
zionc dclla volontà. - 54. La forma dei ncgolio giuridico. II documento ncgozialc. -
55. li contcnulo e la causa dei ncgoziu_ - 56. L'intcrprctazionc dei nL:go:tiu giui-idicu.
- 57. L'invalidità e l"inefficacia dei ncgozio giuridico. - 58. La divcrgenza fra rnluntó
e dichiarazionc. La simulazionc. - 59. L'incapacità dcllc parti cd i vizi dcll'clcmcnto
soggctlivo. L'crrorc. - 60. II dolo ncgozialc. - 61. La violcnza. - 62. L'illiceilà dei
ncgozio. - 63. La condizione: natura e tipi. - 64. Pcnlknza cd avvcramcnto <lclla
condizionc. - 65. II termine. - 66. La rapprcscntanza.
sione ereditaria é un fatto giuridico diverso da quello per cui il medcsimo evento
é valutalo, in base ad altra norma, solto il profilo della responsabilità penalc per
tale morte.
Pur nel nesso esistente tra fatti storici e fatti giuridici, essi si pongo-
no - dai punto di vista concettuale - su due piani paralleli, fra di !oro
non comunicanti: quello dei mondo reale, in cui si vcrificano i fatti stori-
ci, e quello dei diritto che si risolve nell'insieme degli effetti giuridici che
tali fatti producono in base alia mediazione della norma giuridica. Le
norme giuridiche possono incidere sol tanto sul piano degli effetti giuridi-
ci, e quindi dei fatti giuridici, mentre ad esse e insensibile la realtà stori-
ca.
A questo ordine di considerazioni va riportato il brocardo medicvale fac-
tum infectum fieri nequit (per tradurre rispcltando le movenze di proverbio: •il
fatto non puo esser disfatto», per darne il significato sostanziale: •cio che e stori-
camcnte avvenuto non puo storicamente considerarsi come non avvenuto»). Sul
piano, pero, degli effctti giuridici la norma puo far venir meno - anchc con
efficacia retroaltiva - gli effclti ricollegati ad un determinato fatto storico, eli-
minando, se si vuol dirc cosi, attraverso la cancellazionc degli cffelti giuridici
stessi il fatto giuridico in quanto tale.
ln senso inverso, per usare i tcrmini di una contrapposizionc famosa, dai·
l'ucssere» della realtà storica non deriva, direitamente, alcuna regula giuridica,
alcun «dover essere•: sono sempre le concretc forze sociali cd economiche, mosse
dalle loro ideologie e dalla loro cultura che, attraverso le slrutture istituzionali,
filtrano I' uessere» dei rapporti sociali nel «dovcr csscrc» dei diritto. Chi, ispiran-
dosi ad una visione giusnaturalislica, riticne il contrario, scambia csigcnzc che
possono averc il !oro - e spcsso irresistibilc - valore sul piano dclla •polilica
dei diritto• con l'esislenza di quclla norma giuridica chc viene posta per soddi-
sfan: tali csigenze altravcrso il filtro della politica.
b) La struttura dei fatti giuridici e molto varia e - sul piano termi-
nologico - debbono precisarsi i rapporti tra la categoria <li «falto giuri-
dico» e nuella <li «fattispecie». Con «fattispecie» si intendono due feno-
meni divcrsi, anche se connessi: in primo luogo, la e.d. «fattispecie astrat-
ta», e cioé la descrizione dei fatto storico tipizzato, cui la norma
riconduce determinati effetti giuridici; in secundo luogo, la e.d. •fattispe-
cie concreta», e cioê un evento storico, considerato nella sua globalità,
per il quale si pone il problema <li determinarne la disciplina giuridica, e
cioê la fattispecie astratta in cui deve essere sussunto.
La «fattispecie astralla• puó consistere in un fatto storico che, an-
che sul piano dei mondo reale, risulta unitario o semplice (a prescindere
dai carattere relativo che inerisce sempre a siffalle qualificazioni); o, co·
me piu spesso accade, di piu fatti che hanno, sempre sul piano dei mondo
reale, una precisa individualità. Non é, pero questo J'aspetto che - in
linea di massima - importa per il regime giuridico della fattispecie, ben-
si il modo in cui il diritto assume i fatti storici, dando rilievo all'indivi-
FATn, ATII, NEGOZI GIURID1CI 187
dualità degli stessi sul piano degli effetti giuridici, oppure considerando
la fattispecie come unitaria sul piano dei diritto. Nel primo caso si ha la
fattispecie complessa, od a formazione progressiva, nel secundo la fatti-
specie semplice: la differenza sta nella circostanza che, nella prima (ad
es., nel negozio sottoposto a condizione: § 64), i singoli accadimenti stori-
ci producono, comunque, un effetto giuridico in sé considerati (anche se
diverso da quello ricondotto alia fattispecie definitiva). onde la fattispe-
cie complessa si compone di piu fatti giuridici; mentre nella secunda un
effetto giuridico- qualsiasi esso si sia - si ha soltanto quando la serie <li
fatti storici che integrano la fattispecie giuridica sia stata completata.
Le singole norme ele fattispecie correlative riguardano, anche se comples-
se, un profilo in genere particolare della regolamentazionc giuridica dclla vita
socio-economica; la disciplina di tali fauispecie poi puó, a sua volta, articolarsi
rispetto a determinate problcmatiche unitarie dai punto di vista tcorico-pratico,
dando luogo a quelli che vengono chiamati, nel linguaggio corrente, gli istituti:
quali, ades., la compravendita, il matrimonio, la succcssionc creditaria, la pro-
prietà. Fra gli istituti si puo stabilire poi una gcrarchia classificatoria: esistono
istituti di carattcre generale, nell'ambito dei quali si hanno, poi, per cosi dirc dei
subistituti (si pensi ai diversi tipi di proprietà, alia successione ab intestato o
testamentaria rispcllo ai gencrale fcnomcno della successionc mortis causa). Si
hanno. dei resto, istituti che ne atlravcrsano orizzontalmentc dcgli altri (ad cs.,
la condizione rispetto a quelli che sono i singoli negozi o contratli): le singolc
norme, in sé considcrate, possono esser, dunque, prese a partito per ricostruire
non un solo istituto, ma istiluti diversi. Lo schema conccttuale rappresentato
dall'istituto ha la sua utilità e giustificazione, in quanto, solto il profilo dclla
struttura e della funzione, fomisce un elemento unificatore per normazioni di-
versc e possicdc una logica interna che, piú o meno avvertita, influisce sullc solu-
zioni pratiche che i giuristi danno delle qucstioni che lo prendono in considcra-
zione.
e) La categoria dei fatti giuridici e sottoposta ad una classificazione,
su cui v'e un sostanziale accordo in dottrina. La prima distinzione av-
viene fra atti giuridici e fatti giuridici in senso stretto (chiamati cosi in
contrapposizione alia categoria dei fatti giuridici in generale, nella quale
anche gli atti giuridici rientrano). Gli atti giuridici sono i fatti posti in
essere dall'uomo in quanto tale, e coinvolgono, di conseguenza, la co-
scienza e la volontà dell'agente, onde essi conseguono i !oro effetti soltan-
to in quanto compiuti da chi abbia almeno la generica capacità d'inten-
dere e di volere: tutti gli altri fatti giuridicamente rilevanti sono fatti
giuridici in senso stretto.
Mentre tutti i fatti non umani ricntrano, necessariamente nci fatti giuridici
in senso stretto, non tutli i cumportamenti umani sono, all'inverso, atti giuridici:
per esser valutati come tali e ncccssario che, ai íini della produzione degli effctti
giuridici, l'ordinamento li prenda in considerazionc in quanto compiuti con co-
scienza e volontà. Anche un comportamento umano puo dunque integrare un
fatto giuridico in senso stretlo, allorché il diritlo lo consideri indipendentemente
188 ISTITU7.IONI OI DIRITTO H.OMANO
dalla coscicn1.a e volontà dcll'atto. Ad cs., nclle norme chc regolano l'acccssione
<·omc modo d'acquisto dclla propriclà a ti tolo originario, la costruzionc con ma-
tcriali propri su un fondo altrui ri leva come fatio giuridico in senso strctto, ai fini
dcll'applicazionc dclla massima superflcies solo cedi!, in base alia quale il pro-
prictario d<.'l fondo acquisla anchc la proprictà <li qualsiasi cdificio vcnga costrui-
lo sullo stesso (§ 91): onde non importa. ai proposito, se la coslruzione sia stata
posta in cssere da una pcrsona capace d'inlcndcrc e di volcrc o da un pazzo.
d) Ali' interno della categoria dell'atto giuridico, inteso come evento
chc producc i suoi effctti in quanto compiuto con coscienza e volontà, si
puó procedere ad una fondamentale distinzione in funzione della valuta-
zione che l'ordinamenlo fa dello scopo - genericamente inteso - che
!'agente si propone con il suo compol"lamento. A secunda che lo scopo
persegui to sia valutato positivamente e considera to meritevole di tutela.
o sia invece valutato negativamente e sottoposto a sanzioni repressive, si
ha la differenza fra atti (giuridici) lecili ed illeciti. Nei primi gli effetti si
verificano in conformità della volontà dell'agenle, nei secondi in contra-
sto con essa, perché la sanzione che colpisce !'agente tende appunto a
rimuoverne i risultati considerati dannosi o ad impedire il compimento
dell'atto (e.d. prevenzione generale).
e) Atti illeciti si riscontrano sia nell'ambito dei dil"itto privato che in
quello dei diritto pubblico. Questi ultimi cscono fuori dai noslro campo
<li osservazione e costituiscono, sul piano penalislico, quelli che i romani
chiamano crimina in contrapposto ai delicia(§ 123). Nell'ambito dei dirit-
to privato, l'auo illecito costituisce sempre la violazione di un diritto
soggettivo altrui, sia di carattere assoluto che di carattere relativo. La
sanzione che il diritto collega a tale violazione puó essere, come si e visto
(§ 4), indiretta (e quindi non satisfattiva) o di1·etta (e quindi satisfattiva),
il che, in linea di massima, corrisponde, nell'ambito dei sistema classico,
alia distinzione fra azioni penalí ed azioni reipersecutorie (§ 77).
/) Negli atti leciti gli effetti giuridici si verificano, come si e detto,
sulla base di una valutazione positiva da parte dell'ordinamento giuridi-
co nei confronti dei fine in senso generico che ha indotto il soggello ad
agire. Rispetto a questi atti vien fatta una fondamentale distinzione: nel-
l'atto lecito - ai di là della volontarietà dei comportamento che rappre-
senta il modo in cui l'atto stesso si presenta nel mondo reale - puà esser
coinvolta sol tanto la sfera della coscienza dei soggetto o, insieme ad essa,
anche quella della volontà. Si differenziano in base a cio le dichiarazioni
di scienza dalle dichiarazioni (o manifestazioni: § 53) <li volontà: con le
prime, che sono dichiarazioni rappresentative od enunciative, il soggelto
dichiara, perché altri lo conosca, un falto che e a sua conoscenza, qualsia-
si sia la funzione per cui cio avvenga; con !e seconde, che sono dichiara-
zioni precettive, egli formula per sé o per altri un comando, una diretliva
per l'agire.
fATTI, AlTI, NF.G071 GIURIDICI 189
va rispondcnza <li cio alia concreta prassi <li ricerca - la disciplina di una figura
giuridica si considerava dipcnclerc in modo preponderante dalla natura e dalla
clcfinizione dclla stcssa (data praticamente nei termini dclla scolastica definitio
per genus proximum e/ differentiam specificam).
tripartizione in parola non riguarda piú gli t•lementi dei negoJ'io. e quimii
la struttura dello stesso. bensi gli eITe11i. e cioc il profilo funzionale dd-
l'atto: esselllialia 11t?go1ii sono gli eff<'lli che conseguono 11t'ú'ssa1·ianwntl'
alia \'olizione degli elementi essenziali; 11.aw·a/ia 11.·gu1ii gli dfrui ..·hc
conseguono alia \-olizione degli elementi esscnziali. ma pos~ono csscr
esclusi con una clausola negoziale; accidt'malia 11•',l!Olii sono quegli dTetti
che si \'erificano soltanto in quanto le parti abbiano Spt.'cifi"·amente inSl'-
rito nel negozio una clausola rnlta a produrli.
Per fare un esempio: nella l'Ompran·ndita ruman;1 (§ 118). esse111itilia 11c~<mi
sono l'obbligazione dei n:nditon: a traskrirt' la rnsa wnduta, <' dd ..·ompn.1ton: a
pagare il prezzo (effeni eh.: sorgono quando k· parti siano d'aecordo sull'indi\ i-
duazione della cosa e dei preuo. dem<'nti essenziali dai punto di vista ddla
strultura dei contralto); 11at11rale 11egotii i: l'obbliguione di garentin: rnntro l 'e\ i-
zione, che sorge automaticament.: dalla eondusione dd contralto (l'he pn.'H'd<'
soltante l'accordo sulla cosa e sul pn'Lzo), e eh<' puo ess<'r <'sdusa dalla \olontà
delle parti (pactum de 11011 praestanda <'l·icrione); e1cci1ie11111/e 11e1101ii i:. aJ <'S., lar.~,
commissoria, come qualsiasi altra dausola condiLionak>.
b) Gli elementi essenziali riferiti alia figura gcnl'rale <ld ncgozio
giuridico possono esser solloposti a classificazioni diwrse. scnza .::he cio
incida essenzialmente sulla disciplina positi\'a degli stessi. Nell'esposi-
zione di un dirillo storico che. cume quello romano, non ha elabornto
nessuna classificazione ai proposito, si e meno lcgati agli scht'mi ddla
dottrina moderna che, nel nostro sistema positivo, e d'altron<le condizio-
nata - nella costruzione della categoria generale - dall'individuazione
effettuata, nell'art. 1325 cod. ci'"· dai legislatore dei requisiti {e, cioe, <le-
gli elementi essenziali) dei contralto, che, per quanto importante, e solo
una delle figure che rientrano nella categoria generale dei negozio giuri-
dico: requisiti chc \'engono identificati nell'accordo delle parti; nella cau-
sa; nell'oggello; nella forma, quando richiesta.
ln questa sede, l'esposizione degli elementi essenziali <lei negozio
giuridico sarà falta cun riguardo alie parti, e cioe ai soggetti chc- lo pongo-
no in essere, alia volontà dellc- parti stesse ed alia sua manifestazione, ai
conLenuto precellivo dei negozio ed alia causa.
e) Come in tutti gli alli giuri<lici, anche nei negozi e necessaria la
presenza di uno o piú soggelli che pongano in essere il nc-gozio: soggetti
che debbono avere determinali requisiti, perché I'alli\'ità da essi svolta
possa dar luogo agli effeui dei negozio giuridico.
Da questo punto di vista e necessaria, nel soggetto, la capacità d'agi-
re e la legittimazione. Delle cause dell'incapacità di agire, totale o parzia-
le che sia, si e già dello (§§ 43-47): esse si i<lentificano nell'età (p11pilli,
minores XXV annis), nel sesso (mulieres), nell'inícrmità mentale (furiusi),
in aspetti caralleriali (prodigi).
Nel nastro diritto positivo, si distingue fra ineapacità legale, in cui-verifí-
196 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
una struttura di discurso, verbalc o scritta, per sua natura rivolta ad esprimcre
un contenuto di pensicro mediante !'uso dei linguaggio articula to: la dichiarazio-
ne cosi intcsa non si limita all'ambito ncgozialc, in quanto anchc gli atli giuridici
in senso stretto (§ 51) consistono in una dichiarazione di scicnza o di voluntà.
Comportamenti negoziali non dichiarativi sono tutti gli altri, quelli cioé in cui il
contcnuto precettivo dei negozio o l'adcsionc a tale contcnuto vienc manifcstato
in modo diverso chc mediante una dichiarazionc intcsa ncl senso suddctto, in
quanto dai comportamento tenuto si ricava in modo inequivoco la volontà ncgo-
ziale dclla parle.
Anche una dichiarazionc ncgozialc puó csscr trattata alia strcgua di un
comportamento concludente, quando da essa si dcsuma una vuluntà ncgoziale
diversa da quclla chc la dichiarazionc stessa e chiamata ad csprimcre (ad cs ..
dall'alienazione dclla cosa lcgata si desume la volontà di rcvocarc il legato stcs-
so: § 143).
Quando si vuole determinare in positivo la natura dei comporta-
menti negoziali non dichiarativi ci si riferisce, in genet·e, alie catcgorie
dei contegno (o comportamento) concludente e dei negozio d'attuazionc.
ln effetti, per individuare la categoria dei comportamento non dichiarati-
vo come mezzo di manifestazione della volontà negoziale rileva sol tanto
la concludenza dei comportamento in ordine alia volontà dei soggetto di
predisporre, per sé e per gli altri, un certo assetto d'interessi. Mentre, per
loro natura i comportamenti non dichiarativi sono, dunquc, tutti conte-
gni concludenti, e soltanto in taluni di essi che si puo cogliere, contempo-
raneamente, un ultcriore aspetto, in base ai quale puo dirsi che il conte-
gno manifesta ed attua contemporaneamente il regulamento d'interessi
di cui si Lratta. Sohanto in questi casi si puo parlare di negozio d'attua-
zione.
Caso tipico, romano e moderno, dei negozio d'attuazione e l'occupazionc
della res nullius, dclla cosa cioé che non ha proprictario (§ 91). II proíilo dell'at-
tuazione dei regolamento d'interessi manca, ad cs., nel caso già ricordato dcll'a-
lienazione della cosa lcgata valutata come contcgno dai quale si desume la revo-
ca dei legato stcssu. D'altro lato, la categoria dei ncgozio d'attuazione e tagliata
sul negozio unilatcralc, dato che é difficile trovare profili attuativi nei compurta-
menti non dichiarativi all'interno di un negozio bilaterale (pro[ili chc potrcbbero
avere dei resto solo una rilevanza accidentale).
La concludenza dei comportamento ai fini della manifestazione del-
la volontà negoziale deve, in linea di massima, esser accertata di volta in
volta. Nell'esperienza romana e la giurisprudenza che valuta tipicamente
certi comporlamenli nel senso che da essi si ricava una certa volontà
negoziale dell'agenle; la valutazione cosi fatta costituisce una regola d'e-
sperienza che vige nell'ambito dei metodo casistico (e dei ius controver-
sum): ed e sempre possibile una diversa valutazione, concorrendo ulterio-
ri circostanze oggettive.
E soltanto in diritlo giustinianeo che queste regule d'esperienza tenderan-
200 ISTITl/ZIONJ OI DIRITTO ROMANO
malismo vcrbalc romano e stato messo in relazionc con lc cocvc strutture rcligio-
sc, anch'csse dominatc dalla rigida osscrvanza di rituali verba li: si entra, qui, in
un problema multo discusso, qucllo cioé di spicgarc codesta carattcristica dclla
rcligionc romana primitiva, la qualc e stata, fra l'altro, posta in rclazionc con
l'inllucnza di concczioni magiche od anirnistiche, chc si pcrpctucrebbcro ancora
ncllc forme religiosc dell'cpoca di transizionc fra la monarchia e la r·cpubblica.
signum («sigillo•) anche alia fine dclla scriptura exleriur, e con ció-oltrc chc con
l'autografia-assumeva la patcmità dei documento. Non si riscontra. invccc, ncl
chirografo romano la subscrip1io dcll'emittcntc stcsso, qualc corrispondcntc
deli' 'hypographe' greca. Quest'ultima non era una «firma» o sottoscrizionc ncl
senso moderno della parola (e, cioé, l'apposizionc autografa dei proprio nome,
piú o meno completo), bensi una dichiarazionc dcll'cmittcntc, o dcgli cmittcnti,
che - in modo piú o menu sintetico- riassumcva il contcnuto dei ncgozio con-
segnato ncl documento. Essa avcva una sua prccipua funzionc nci <locumcnti
oggettivi dei mondo ellenistico, ncl qualc si era trasfcrita, adir il vero, anchc nci
documenti chirografari, in cui avcva una sua funzionc soprattutto ncl caso di
documento allografo.
Soltanto in epoca piultosto tarda, e soprattulto nclla prassi romana dclk
province, una subscriplio cosi configurata si comincia a riscontrarc anchc in <lo-
cumenti di diritto romano. Nella prassi italica. invccc. si assiste ad un lcnomcno
che, per cosi <lirc, media lra i duc opposti modi di vcdcre: in documcnti pompcia-
ni, a scrittura doppia, si puó, infatti, notare chc, mcntrc la scriplura imerior é in
forma oggcttiva di 1es1a1iu, la scriplllra ex1eriuré informa soggcttiva di chirogra-
fo, ma non e possibile stabilirc l'cstcnsione di qucsto uso.
g) La posizione dei documento, nella prassi, tende a rafforzarsi nel
corso dell'impero, solto l'influsso indiscutibile delle consueludini provin-
ciali, ma anche delle oggettive necessità a cui la documentazione scritta
soddisfaceva nel contesto italiano a partire dalla fine della repubblica, in
cui - solto il proíilo socio-economico e quello della conseguente regola-
mentazione giuridica - i rapporti si erano fatti notevolmente complessi.
Questi fattori d'evoluzione porlavano, senz'altro, ad una forte diffusione
dell'uso <li redigere documenti scritti, allorquando l'atto presentasse una
certa complessità od una certa importanza, ed hanno giocato un ruolo
importante nelle vicende - su cui la dottrina e discorde - che negozi
importanti, come la slipu/atio (§ 114) e la traditio (§ 94) cominciarono ad
avere già nel tardo periodo imperiale.
E controverso, in dottrina, fino a quali limiti si spingessero i giuristi classi-
ci a dar rilevanza autonoma ai documento soprattutto nei confronti degli ele-
rnenti formali e rcali chc dovevano concorrere per la validità e l'cfficacia dell'at-
to. E da escludcrc chc la rcdazione di un documento (in cui si affermassc che cià
era accaduto) potcssc sostituirc la pronuncia dellc parole solenni (nella slipula1io
o nella mancipalio) o la conscgna materiale della cosa (nclla lradirio), mentre si
pUO arnmettere chc i giuristi dei III sec. d.C. ritenessero sufficiente chc si affer-
niasse, anche sinteticamente, in un documento chc erano state osservate le for-
malità prescrittc, perché nc risultasse provato il ritualc svolgimento, a mcno che
il documento stesso non fosse stato vittorosiamcnte contesta to (v. anche §§ 94,
114)_
Dai punto di vista dei principi, pero, non vi fu nessuna modificazio-
ne: la redazione di un documento non venne considerato un requisito di
forma, né - come forma costitutiva - poteva sostituirsi ai verba nella
stipulatio (o nella mancipatio) od alia consegna della cosa nella traditio,
quando risultasse che queste formalilà non erano state assolte. Anche nel
208 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
sistema probatorio della cognitio, dei resto, non venne mai fatta ai docu-
mento stesso una posizione di privilegio (§ 83).
h) Mutamenti profondi furono, invece, introdotti nel tardo-antico,
anche - o sopratlutto? - sotto l'influsso della prassi delle province elle-
nizzate. Si assiste, in primo luogo, ad un rapido decadere delle forme
ti piche dei ius civile, alie quali, poi, si va - entro certi limiti- sostituen-
do, o talora aggiungendo, la previsione di forme scritte. I gesta per aes e/
libram scompaiono (anche se il nome della mancipatio si perpetuerà sino
ai medioevo), come spariscono, altresi, le obligatiunes lilleris contractae
dei periodo classico, mentre delle obligationes verbis contractae rimase
formalmente in vita soltanto la stipulatiu, che ando evolvendosi - un
tempo si diceva degenerando - in atto a forma scritta, nel quale non ha
piu rilevanza la congruentia verburum, bensi la presenza delle parti(§ 114);
nella traditio si verificava, ad un dipresso, un analogo fenomeno, per cui
alia consegna materiale della cosa tendeva a sostituirsi - e qui, forse piu
spesso, ad aggiungersi - la redazione di un atto scritto (§ 94): il che si
collega, dei resto, con la tendenza a non c.listinguere piu fra il contralto,
come fonte di obbligazione, e l'atlo traslativo della proprietà in esecuzio-
ne dell'obbligazione stessa (§ 93). ln quest'epoca, il testamento diviene ai
di là di ogni dubbio, un negozio in cui la documentazione e richiesta come
requisito di forma, a pena di nullità (§ 138), mentre si perc.le, pero, qual-
siasi formalismo nel modo in cui - nel documento scritto - c.lcbbono
esser formulate le singole disposizioni teslamentarie.
Nella legislazione postclassica, poi, la vendi ta (traslativa) di immo·
bili, la donazione e la costituzione e.li dote sembrano richiec.lcrc la forma
scritta. Nella legislazione giustinianea, dove si assiste ad un certo ril1usso
delle tenc.lenze prccedcnti in ossequio ai classicismo c.lell'impcratore, la
forma scritta invece resta, ovviamente, necessaria quanc.Io e prescritta
l'insinuatio dei negozio, e cioe l'inserzione dei documento in cui e consc-
gnato !'alio nel protocollo dell'autorità amministrativa competente (il
chc accadc per lc donazioni superiori ai 500 solidi).
Per molti altri negozi Giusliniano ammelle ancora - in C. 4. 21. 17
- !'alternativa fra la conclusione mediante un atlo scrillo (in scriptis) o
senza tale formalità (sine scriptis), con il che sembra sancita - nel caso
sia scclta la redazione di un c.locumento scritto - una sorta di forma
convenzionalc: e qui evidente !'influenza dei classicismo deli' impera tore,
ma e molto discutibile che, nella prassi, per gli alli di maggior importan-
za e sopratlutto per i trasferimenti immobiliari fosse sentito come suffi-
cientc per l'efficacia dei negozio il semplice accordo, scnza la documenla-
zione scritta.
La forma convcnzionalc e quella che lc parti di un futuro ncgozio s'impc·
gnano volontariamente a seguirc, sanccndo chc, in mancanza di essa, il negozio
FATTI, ATTI, NEGOZI GfLRIDICl 209
lati in sede di teoria della prestazione (§ 106) e, dei resto, i giuristi romani
li prendevano in esame in tale connessione.
d) Collegato ai profilo dei contenuto dei negozio e quello della causa,
che dà luogo a notevoli controversie sul piano concettuale. La causa e
esplicitamente prevista dall'art. 1325 cod. civ. come requisito per la vali-
dità dei contralto, e cioe dei negozio giuridico bilaterale (o plurilaterale)
a contenuto patrimoniale: ed essa ha - in materia contraltuale - una
sua specifica funzione, che e da tempo riconosciuta nella nostra dottrina,
la quale - almeno come punto di partenza - dipende dalla dottrina
francese della causa dei contralto, piu che da quella tedesca, la quale
imposta il problema sotto il profilo della causa dello spostamento patri-
moniale.
Restringendo dunque, in un primo momento, l'attenzione ai con-
tralto, la causa attiene alio scopo persegui to dalle parti nel porre un certo
assetto d'interessi: quando ci si riferisce alia causa dei contralto, si assu-
me il contenuto dello stesso non piu solto J'aspetto statico dei diritti e
degli obblighi che - isolatamente considera ti - si creano o si estinguono
a favore ed a carico delle parti, ma sotto l'aspetto dinamico della funzio-
ne socio-economica adempiuta dai regolamento d'interessi predisposto e
dall'insieme di effetti giuridici che, in linea tendenziale, sono reciproca-
mente connessi.
Ades .. nella compravendita, non si guarda piú, isolalamente, alie obbliga-
zioni dei vendi tore, di Lrasferire la proprietà - in diritto romano, il possesso(§
118) - della cosa, e dei compratore, di trasferire la proprictà di una somma di
denaro, ma alia funzione cconomico sociale dcllo scambio fra la disponibilità
definitiva di una cosa cd il pagamento dei suo valore in denaro (e, cioe, dei suo
prezzo): e questa é la causa dei contralto di compra vendi ta.
La causa si identifica, quindi, con la funzionc economico-sociale
persegui ta dalle parti col contralto, e - solto il profilo della volontà delle
parti stesse - rientra nel piu ampio complesso di motivazioni che hanno
spinto ognuna di esse a concludere il negozio. Da questo punto di vista si
pone il problema di distinguere la causa <laglí altri motivi che - nelle
singole fattispecie concrete - hanno indotto le parti a concludere quel
detenninato contralto. ln questo senso la causa e la funzione socio-econo-
mica che caratterizza, indefettibilmente, un dato tipo di contralto, quel-
l'elemento comune che - rispetto alio scopo perseguito col contralto
stesso-si deve riscontrare nella volontà di entrambe le parti, e senza dei
quale quel tipo di contralto non potrebbe venir in essere. Si dice, con
immagíne forse un po' barocca, che la causa e J'ultimo dei motivi che
spingono la parte a concludere il contratto. Mentre senza la comune vo-
lonta delle pani rívolta alia causa stcssa, e cioe alia funzione economico-
sociale asi.unta come caratterizzante, non puo aversi il contralto, tulti gli
FATTI, ATTI, NEG07.I GIL'RIDICI 213
effetti senza proporsi uno scopo concreto. É il dirillo chc, in base alia forma
negoziale adibita dallc parti, riconnellc alla stcssa cffctti giuridici, facendo
astrazione dall'accordo delle parti sull'assetto d'intcressi persegui to: onde si pro-
spetta una dialettica fra tale accordo e l'cffetto chc si é prodotto in virtú dclla
forma adibita.
Nella dottrina moderna dei negozio si distingue fra astrazionc pro-
cessuale ed astrazione soslanziale. Nell'astrazione processuale, la parte
contro cui viene fatto valere il nego~io astratto puà far valere la mancan-
za od i vizi dei la causa, e cioe dell 'assetto d'interessi sottostante: l'effetto
dell'astrazione stessa consiste soltanto nell'inversione dell'onere della
prova, in quanto e il convenuto che deve opporrc e provare i vizi dell 'as-
setto di interessi sottostante; nell'astrazione sostanziale !e parti non pos-
sono far valere tale mancanza o tali vizi, e rimangono comunque astrette
all'efficacia dei negozio fondata sulla forma adoperata.
Attualmente, fra le parti, puà aver vigore sol tanto l'astraLionc proccssualc.
mentre l'astrazionc sostanzialc trova applicazionc ncl caso in cui, come nci titoli
di credito all'ordinc (ad cs., una cambialc), un tcrLo íaccia valcrc controla parte
originaria i diritti nascenti dai ncgozio astratto.
Nel sistema romano, anchc fra lc parti, ha normalmente vigore -
sul piano dei diritto civile - l'astrazione sostanziale, onde, una volta
adempiute !e formalità dei negozio astratto, gli effetti dello stesso si pro-
ducono senza che sia possibile paralizzarli mediante il richiamo alia
mancanza od ai vizi dell'assetto d'interessi sottostante.
II modo con cui opera I'astrazione nei negozi dell'antico ius civile -
e principalmente nella mancipatio, nell'in iure cessio, come negozi trasla-
tivi, e nella stipulatio come contralto obbligatorio - e variamente confi-
gurato, ed ha origini <li verse: in ogni caso essa si fonda sull'impiego di un
determina to rituale, che e verbale (o verbale e gestuale insieme). II grado
di astrazione piu elevato si ha nell'in iure cessio (§ 93), dove alie parti e
lasciato soltanto <li adibire la forma prevista dall'ordinamento e di rife-
riria all'oggetto particolare preso in considerazione, e dove non e possibi-
Je influire in alcun modo sull'efficacia dell'atto, se non attraverso la de-
f<Jizione dell'oggetto stesso. Una maggiore articolazione si puà, invece,
tà'sgtungere nella mancipatio (§ 93), in base alie leges mancipio dictae (e,
doê, cdettate») dall'alienante, che non incidono, perà, sul carattere
astratto dei trasferimento cosi attuato. ln iure cessio e mancipatio, d'al-
tronde, come actus legitimi (§ 63), non tollerano l'apposizione di termine
o di condizione.
Diversa la situazione nella stipulatio, a ragione della differente con-
figurazione della forma negoziale che consiste nello scambio fra un'inter-
rogazione dei creditore e la risposta affermativa dei debitore: nella forma
piu semplificata, centum dari spondes?, spondeo (•prometti di dare cen-
216 ISTITUZIONI OI DIRITIO ROMANO
nologia dell'art. 1362 cod. civ. «la comune intenzione delle parti». Per
individuare l'id quod actum est il punto di partenza e rappresentato dai
valore oggettivo della dichiarazione, determinato tenendo conto dei com-
plesso delle circostanze in cui essa e stata emessa; per riscontrare una
«comune intenzione delle parti» che si scosti da tale significato doveva,
ai contrario, provarsi che esse avessero concordemente annesso un diver-
so valore alia dichiarazione negoziale: nei negozi inter vivos, nei confronti
dei valore oggettivo della dichiarazione, una delle parti non poteva ap-
pellarsi alia sola circostanza di a ver dato ai discorso proprio o della con-
troparte un significato diverso da tale valore, mentre era sempre possibi-
le addurre un errore ostativo nelle percezione delle parole che, pronun-
ciate o scritte, costituivano tale discorso (§ 59).
La dichiarazione puo esser, poi, ambígua dal punto di vista oggetti-
vo, o in sé considerata o nelle particolari circostanze in cui viene emessa.
Tale circostanza non rileva, quando, nel caso particolare, consti in modo
specifico dell'id quod actum est, e cioe della comune intenzione delle par-
ti. Ove, invece, cio non accada, e d'altro lato non risulti positivamente, in
senso contrario, che ognuna delle parti desse alia dichiarazione ambigua
un diverso significato, i giuristi romani facevano ricorso ad alcune regale
interpretative, impiegate in modo topico (e, cioe, verificandone <li volta
in volta, la concreta adattabilità ai caso <li specie): fra di esse deve ricor-
darsi quella ambiguitas contra stipulatorem, in base a cui, fra le varie pos-
sibili, si deve scegliere l'interpretazione meno vanlaggiosa per chi ha pre-
disposto il tenore della dichiarazione negoziale su cui - formalmente o
sostanzialmente - hanno concordato le parti.
La formulazionc di tale regala si rifcriscc ai caso della stipulatio, in cui e il
creditorc che procede all'interrogatio dei debitorc (§ 114). ed ha quindi il potcrc di
configuraria nel modo che ritiene piu opportuno. Ma la porta ta dei principio si
estende oltre alia stipulatio, a tutti i casi in cui la formulazione dei contenuto dei
negozio sia dovuta ad una dellc parti, mcntrc all'altra rcsidua, sostanzialmente,
solo la possibilità di aderirvi o meno.
Altri criteri, utilizzati sempre in riferimento essenzialmente topico,
sono quello dell'interpretazione conservativa (in base alia quale si opta
per l'interpretazione che permette che il negozio abbia efficacia); quello
dell'interpretazione secondo gli usi contrattuali od il mos regionis; quello
dell'interpretazione secondo buona fede. Puo darsi, poi, che il processo
interpretativo finisca con un nulla di fatto, e si pervenga cosi alia conclu-
sione che il negozio non produce effetti, perché non se ne puo determinare
il contenuto.
Quando, invece, nei limiti visti si constati che le parti hanno inteso
in modo differente la portata della dichiarazione negoziale, si riscontra-
no i casi di divergenza fra volontà e manifestazione: tale divergenza puó
FAITI, ATTI, NEGOZI C.IURIDICI 221
dità dei negozio, e quelli in cui esso sia. dalle origini, sohanto inefficace
in senso stretlo (e non. dunque, invalido): e non e, neppure, chiaro - dai
punlo di vista funzionale- in quali limili quesla differenza possa servire
ad evidenziare una diversilà di regime. É. dunque, forsc piú opporluno
abbandonare la categoria dell'inefficacia-sanzionc (od inefficacia in sen-
so slrelto), come conlrapposla alia nullilà ncll'ambilo della piú ampia
cornice dell'inefficacia in senso ampio: la categoria dcll'inefficacia puo
esser, invece, adoperata, come tende a farc la dottrina a determina ti tcr-
zi, ai quali come usa dire, il negozio stesso e inopponibile, ed in cui, cor-
retlamente, si parla di inefficacia relativa.
Di inefficacia si parla, nella dottrina moderna, anchc in rclazionc alia si-
tuazione in cui il negozio si trova ove non si sia a\•vcrata la condizionc sospcnsiva
apposta alio stesso (o si sia verificata una con<lizione risolutiva: v. § 63). Non v'é
dubbio che, in Lali casi, il negozio non e mai divcnuto od ha ccssato di csscr
efficace, e che quindi la situazionc in cui csso si trova puó bcnc csser dcscritta col
richiamo alia categoria <lcll'incfficacia, la qualc, come si e dctto, ha, dai punto <li
vista lettcrale, una portata assai ampia. Non v'é, pcró, alcuna utilità, e vi puo
esser qualchc pericolo, a ricondurrc in un unico schcma di incfficacia, generalc e
gcnerico, tuttc lc situazioni in cui il negozio non producc cffctti. Rispclto all'incf-
ficacia-sanzione, sia essa assoluta o relativa, l'incfficacia chc si ha in base ai gio-
co dclla condizionc risolutiva o sospcnsiva ha un fondamcntak punto <li <liffcn:n-
za, qucllo, cioc, chc essa si verifica in funzionc dell'csprcssa prcvisionc a<l opera
dclle parti.
b) Nell'ambito dell'esperienza romana bisogna articolare il proble-
ma dell'invalidilà e dcll'inefficacia dei ncgozio in relazionc ai sistemi
normativi che si riscontrano in quell'ordinamento. Talune siluazioni di
anormalità dei ncgozio giuridico che si rinvengono nel noslro diritto at-
tuale e le relative sanzioni non si riscontrano, invece, in quello romano:
manca ades. la figura dei contralto risolubile, e la rescindibilità per le-
sione enorme e sconosciuta nel diritto classico (§ 118). La figura dell'an-
nullabilità in sé considerata e, anch'essa, sconosciuta [ma v. sub e)].
Per il ius civile, l'unica alternativa e quella &a negozio valido ed
efficace e negozio che non produce i suoi effelti, e cioe inefficace o nullo:
anche casi come l'incapacità d'agire, l'errore-vizio, nonché il dolo e la
viOlenza nei limiti in cui siano rilevanti per il sistema civilistico (v. §§ 60,
6i), producono la nullità dei negozio, mentre dai nostro punto di vista
s.cmo esempi tipici di annullabilità.
E stato da tempo rilevato in dottrina che il modo in cui si esprimono
j·giuristi romani rispetto ai negozio nullo e differente, sotto il profilo con-
cettuale e terminologico, da quello attualmente corrente. Noi parliamo
di •negozici nullo•: affermiamo cioê I'esistenza di qualcosa che poi quali-
fichiamo con l'aggettivo nullo, oda cui riferiamo la nullità, volendo dire
con cià che il eegozio non produce i suoi effetti. l romani, invece, afferma-
l2t> ISTIT\17.IONI DI l>IRITTO M.OMANO
vano chl• 11011 esistcva il negozio: i prudentes, infatti, dicono: nulla esl ven-
ditio, nulla est mancipatio, nullwn est legatum, con espressioni sentile
equivalcnti, nella porta la espressiva, a quelle 11011 esse venditionem, man-
cipatio11e111. legat11m (e. cioc, «non esiste la vendita, la mancipazione, il
legato•): per essi non v'era, dunque, una vendila, che, ades. nel caso
dell'crrorc ostalivo, si possa qualifkare •<nulla», ma non esisteva la ven-
dita.
Non si tratla, in cffotti, di due modi diversi di configurare la disci-
plina dclla nullità, ma di due differenti formulazioni in relazione ad una
disdplina sostanzialmentc coinddente. La causa della differenza sta nel
diverso modo di intendere la figura dei negozio. II negozio qualificato
nullo dai moderni non e <li certo la figura giuridicamenle rilevanle, di cui
sarebbe contraddittorio presupporre nello stesso momento l'esistenza e
la mancanza di effetti, dato che l'esislenza di qualsiasi figura giuridica
s'idcntifica negli effetti della fattispecie costitutiva (v. anche § 50). II ne-
gozio, dunque, di cui affermiamo l'esistenza e predichiamo la nullità (e
cioe l'irrilevanza per il diritlo) e l'assetto d'interessi esistente -od appa-
rentemente esistente - sul piano sociale: tale asset to d'interessi non pro-
ducc gli effetti giuridici che sarebbe chiamato a produrrc, per l 'asscnza di
qualche requisito essenziale o per il vizio che vi afferiscc. Per i romani,
invece, la venditiv, la mancipativ od il legatum, di cui si afferma l 'inesi-
stenza, sono proprio le figure giuridiche designate con tale nome, e che
non esistono perché, per le cause accennate, l'assetto d'interessi esistenle
-od apparentemente esistente - sul piano socio-economico non riesce a
produrre gli effetti giuridici che normalmente si accompagnano a tale
tipo di negozio, e non integra, quindi, la figura giuridica correlativa.
Errerebbc, quindi, chi volesse contrapporre il modo <li vedere dei romani ai
nostro, identificando l'operativilà dei primo con quclla dcll'incsistcnza e dei se-
condo con quclla della nullità. Altro problema e, invcce, se possa riscontrarsi una
differcnza conce\luale fra incsistenza e nullità dei negozio nell'ambito della dot-
trina moderna (a prcscindere dalla sua utilizzabilità in sede storica). Da quanto
si ê deito risulta come non si possa configurarc una differenza fra nulli tà ed inesi·
stenza sul piano giuridico: il ncgozio nullo e quello che non esistc, pcrché.non
produce effelli su tale piano. Si puo dunque distingucrc soltanto fra la nullità,
come incsistcnza sul piano giuridico, cd incsistenza sul piano socio-cconomico.
Fra i casi, infatti, in cui gli cffctti dclla fatlispccic non si vcrificano, si possono
individuarc quelli in cui manca pcrfino l'apparcnza di un assetlo d'intercssi so-
cialmente rilevante. L'individuazione dell'inesistcnza come categoria differen-
ziata dalla gencrica nullità, ha una sua rilevanza pratica in quanto per il negozio
inesistente si voglia cscludere che si producano quegli cffctti che, diversi dall'effi-
cacia dei negozio valido, possono conscguirc ad un negozio nullo, ma esistenle -
od apparentemente esistente - sul piano socio-cconomico: come, ad cs., nel no-
stro diritto, la convalida dei negozio nullo (eccezionalmente ammessa nelle do-
nazioni e nel testamento), la quale non si estende ai negozio inesistente nel senso
FATTl, ATTI, NEGOZI C.JLIRIDICI 227
qui indicato, o gli cffelli dei matrimonio putativo chc si vcrificano in caso di
nullità - ma non <li inesistcnza - dei matrimonio.
A parte questo modo di indicare la nullità dei ncgozio affermando
l'inesistenza della corrispondente figura giuridica, presso i giuristi roma-
ni si rinvengono altre espressioni che indicano l'invalidità e la conseguen-
te inefficacia dei negozio sul piano dei diritto civile (come invalidum e
non valere, inlllile, inane, irri/um, imperfectwn, infectwn, l'itiosum). Con
nessuna di esse si individua, pero, un'operatività diversa da quella de lia
nullità in generale: e molte sono, d'altra parte, tanto gcneriche da potersi
applicare a situazioni diverse dalla nullità sul piano dei dirilto civilc (co-
me, ad es., all'invalidità sancita sul piano dei diritto onorario od alia
situazione dei negozio in pendenza della condizione suspensiva: § 64).
e) Diversa e la situazione nel caso in cui il prcto1·c sancisca sul piano
dei ius honorarium l'invalidità per un negozio valido sccondo il dirilto
civile. Nella dialellica fra validità civile ed invalidità pretoria. chc trova
la sua sanzione sul piano processuale (ades., mediante l'opposizione <li
un'exceptio o la concessione di una restitutio in integrnm: §§ 75, 79), si
viene, da un punto di vista sostanziale, a riprodurre lo schema operativo
dei negozio annullabile, la cui configurazione ad opera della dottrina at-
tuale affonda storicamcntc le radiei in queste fattispecic. II ncgozio giuri-
dico produce, sul piano dei dirilto civile, i propri effetti, ma e impugnabi-
le sul piano dell'ordinamcnto pretorio: la paralizzazione <li tali effetti
dipende, quindi. dall'iniziativa della parte interessata, e qualora questa
iniziativa manchi, l'efficacia dei negozio sul piano dei diritto civile puo
divenire definitiva ed inoppugnabile. Dai punto di vista concettuale, la
differcnza con l'operatività dell'annullabilità, peró, resta, perché il mec-
canismo dell'invalidità pretoria dipende esclusivamente dalla contrap-
posizione e dall'indipendenza dei due grandi sistemi normativi dell'età
tardo-repubblicana e classica.
Ancora piú complcssa la situazionc per quanto riguarda i ncgozi tutela ti
dai diritto pretorio: anchc qui l'invalidazione degli effctti dei ncgozio puo dipen-
dere dall'iniziativa dclla parte intercssata, su cui gravi )'onere di far inserire
un'exceptio nella formula - in factum o ficticia (§ 74)- data dai pretorc a prote-
zione della singola fattispccic, produccndosi cosi un meccanismo chc, anche qui,
coincide, per mohi vcrsi, con quello dell'odiema annullabilità, ma che formal-
mente dipende dalla rigidità dellc fonnulae, anchc di diritto onorario (§ 77). Lc
fonti non sono esplicitc per quanto attienc all'incapacità degli impubcri cd ai
casi di divcrgenza fra volontà e dichiarazione, nonché ai requisiti di determina-
tezza, possibilità e liceità dei contenuto dcll'assetto d'intcressi: puo darsi chc in
questi casi vi sia I'irrilevanza dei negozio sul piano dei diritto onorario scnza che
l'interessato debba, comunquc, chiedere l'inserzionc di un'exceptio nella formu-
la. Per altri profili, invece, come ades. per la violcnza edil dolo, puo csser decisi-
va la struttura dclla formula concessa dai pretorc.
228 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
discussione relativa alia e.d. vendi tio o locatio donationis causa, dove si tratta piú
chc altro di un negozio che palesa nell'estrema esiguità - o addirittura nell'as-
senza - dei rnrrispettivo lo scopo delle parti di porre in cssere un negozio a titulo
gratuito invece chc uno a ti tolo oneroso: mentre, per aversi simulazione, il corri-
spettivo deve csscr dichiarato anchc se non esiste. Qui si tocca, piuttosto, il tema
della rilevanza dclla volontà delle parti ai fini della qualificazione giuridica dei
negozio, quando non si vada ad incidere nella discussione sul negotium mixturn
cum donarione (v. anche § 146).
e) ln epoca molto risalente, in cui gli strumenti negoziali posti dal-
l'ordinamento a disposizione dei privati erano estrcmamente limitati, si
assiste ad un fenomeno posto spesso in rclazionc con la simulazione,
quello dei e.d. negozi immaginari, in cui viene utilizzata l'operatività
quali negozi astratti degli atti previsti dall'ordinamento primitivo.
II termine é adoperato dai romani, e soprattullo da Gaio, per descrivcrc il
funzionamento della mancipatio (§ 93) ai di fuori dello scopo originario <li questo
negozio, che era quello di formalizzare il trasfcrimenlo dclla proprictà <li una
cosa contro il pagamento dei suo valore nella moncta corrente dell'epoca, e cioé
l'aes rude o signatum: Gaio dcfinisce la mancipatio, adibita dalle parti ad uno
scopo diverso dalla compravendita, imaginaria venditio (ades., Gai 1. 119). E<l in
modo analogo chiama (Gai 3. 169, 173) imaginaria ,;olutio sia l'acceptilatio che la
solutio per aes et libram (§ 127), in quanto servano alia remissione dei debito.
Alia categoria dei negozi immaginari pussunu, praticamente, ripor-
tarsi quelli dianzi accennati: cioe la mancipalio, quando da furmalizza-
zione di una vendita a contanti diventa un modo astratto di trasfcrimen-
to di proprietà, nonché l'acceptilatio e la solutio per aes et libram che da
modi di solennizzare l'avvenuto pagamento divengono negozi astratti di
remissione dell'obbligazione. Accanto a questi negozi immaginari si pos-
sono ricordare le varie applicazioni della in iure cessio (§ 93), in cui non si
Lratta tanto di un negozio immaginario, quanto - se !'analogia e conces-
sa - di un processo immaginario, e cioe dcll'adibizione dello schema
processuale non per dirimere una controversia ma per produrre degli ef-
fetti negoziali.
Nei negozi immaginari si ha, almeno alie origini, una fattispecie in
cui la forma usata dalle parti e ri volta ad un determina to scopo negozia-
le, mentre le parti stesse ne perseguono uno diverso. II contesto in cui cio
avviene e, pero, sostanzialmente diverso da quello della simulazione rela-
tiva, in quanto le parti adibivano palesemente una forma configura ta per
raggiungere, ades., l'effetto giuridico dei trasferimento della proprietà in
relazione ad uno scopo determinato (lo scambio con il prezzo della cosa),
per ottenere lo stesso effettu in relazione, invece, ad uno scopo diverso.
Cio era possibile in virtu dei carattere rigorosamente formale di questi
atti, che li predisponeva naturalmente ai funzionamento come negozi
astralti. Tenendo presenti questi profili, si vede come la fen0menologia
FATTI, AITI, NEGOZI GllJRJOICI 231
questo caso, ferma restando la nullità della clausula su cui non si i:: forma-
to l'accordo, la questione e di vedere se tale nullità parziale porli alia
nullità totale dell'atto. 1 casi dclle funli in cui si applica il pri1Kipio, IOJ'-
mulato dalla giurisprudenza medicvalc, per cui utile per i11utile 11011 vitia-
tur (<de parti utili di un neguziu nun vcngunu invali<latc da qucllc inutili
[e, cioc, che non possono produrre i Juro effclti/») nun sono molti, onde
tale principio non ha un caratlcrc gcncralc wmc ha, invece, in base al-
l'art. 1419 cod. civ., il qualc dispone chc la nullità totale si ha soltanlo
quando la clausola colpita da nullità aveva carattcre cssenzialc per lc
parti.
Per avcrsi crrorc e ncccssario chc manchi, in dktli. l'idcnlilica.1.io11c dei la
cosa. II scmplicc error in llomine non dà, ovviamcnlc, luogo a nullitú 4uando, nci
negozi bilatcrali, consli l'accordo dcllc parti sull'idcnlilà lisica, rwr cosi dirc,
dclla cosa stcssa (dr .. ad cs., D. 18. l. 9. 1).
Nel diritto romano, in cui vigc la tipicitú ncgozialc (9 55). l'crron:
sulla causa e, in definitiva, l'errorc sul tipo di negozio chc lc parti voglio-
no porre in cssere, e si risolvc dunquc ncll'errur i1111ei.:orio, risco11trabik
nei contratti causali: e nclla 1raditiu, come alto di trasfcrimcnto <lclla
proprietà di natura causalc (se, ad cs., una parte, che vuole lrasfcri1·c la
proprietà della cosa a titulo di vendita, cmette una dichiarnziunc chc,
oggetlivamenle, apparc rivolta ai trasferimcnto a ti tolo di dunazionc, e
come tale viene accettata). E, dei resto, per i contralli consensuali Ulpia-
no ricorda, in D. 18. 1. 9 pr., che il consensus deve vcrtcrc sul ncgozio
stesso (in ipsa emptiune).
Nei limiti in cui davano rilcvanza all'crrore ostativo, non risulta in
alcun modo dalle fonti che i giuristi romani richiedcssero una particolare
qualificazione dell'errore stesso: soprattullo non era necessario né chc
esso fosse scusabile, come riteneva la dottrina prevalenle sol lo !'impero
dei codice civilc dei 1865, né che fosse riconoscibilc (o, comunquc, cono-
sciuto), com'e adcsso sanei to dall'art. 1428 cod. civ. Da qucsto punto <li
vista,' si dovrebbe concludere che, anche qui, essi non tenessero in alcun
cbnto il profilo dell'affidamenlo della contropartc; ma e lecito dubitare
che un problema dei genere fosse stato da loro avvertito.
~... ,~.L'~rrore-vizio puo inficiare uno qualunque dei motivi chc hanno
cietenninato la parte a concludere il negozio, e si pone conseguentementc
la questione dei limiti in cui ad esso si possa riconoscere effetto invali-
dante; tenendo conto de lia normale irrilevanza dei motivi individual L ln
~etti, nel diritto odiemo che conosce un'efficacia generale all'errore-vi-
zio, nei negozi inter vivos esso produce i suoi effetti in quanto cada sulle
qualità essenziali degli elementi costitutivi dei negozio: parti e contenuto
precettivo. Per qualilà essenziali si debbono intendere quelle che, in rela-
dei pochi casi, codesto, in cui un giurista romano desse prevalenza a motivi d'or-
dine logico-speculativo rispetto alia concreta funzionalità sul piano socio-ccono-
mico.
Come accade per l'errore ostativo [ v. sub e)]. il problema de lia rico-
noscibilità o della scusabilità dell'errore non e ncppure avvertito dai giu-
risti romani.
e) Pur senza porsi concretamente la problematica dell'affidamento,
che - nella dottrina moderna - condiziona decisivamente la differenza
di trattamento fra negozi inter vivos e mortis causa, i prudellles sono piú
larghi nell'ammettere la rilevanza dell'crrore-vizio nci negozi testamen-
tari, sul piano dei diritto pretorio. II punto di partcnza va trovato sul
carattere solenne delle formule con cui dcbbono csser dispos ti istituzioni
d'erede e legati. Cio comporia che l'efficacia della disposizione testamen-
taria sul piano dei dirilto civile non é esclusa, in linea di massima,
dall'errore-vizio, a menu che tale errore non abbia trovato esprcssione
esterna in una clausula condizionale: sul piano dei sistema pretorio puo
esser usa ta l'exceptio doli per opporre, a chi si vuole avvalere di una di-
sposizione testamentaria, che egli agiscc non sulla base dcll'effettiva vo-
lontà dei testa tore, formatasi in modo non viziato (contra vuluntatem de-
[uncti).
Sol tanto con l'avvcnlo dei fcdecommessi (§ 142), che lrovano la !oro prolc-
zionc nele.d. ius e.xcraordinariwn (§ 17) e nella cognitio extra ordinem (§ 82), l 'erro-
rc-vizio divenne rilevanlc ipso iure, in quanto la voluntas defuncti costituiva il
eritcrio decisivo per delerminare la portata e la validità di qucsto tipo di disposi-
zioni.
Nelle disposizioni testamentarie l'errore-vizio e errorc sul motivo
dei negozio, che rileva in relazione alia particolare funzione di codeste
disposizioni. Che l'errore sul motivo potesse, in questo caso, portare fino
alia nullità della disposizione appare isolatamente affermato all'inizio
dei III sec. d.C., ma soltanto in base all'amplissimo potere discrezionale
ehe l'imperatore csercita nella propria cognitio, in via di soluzione equi-
tativa: ed almeno in un caso si dà efficacia alia e.d. volontà ipotetica, a
l:[uella cioe che si sarebbe formata senza !'influenza della falsa rappresen-
tazione della realtà.
' · Si tratta di una decisione di Severo e Caracalla ricordata da Paolo, in D. 28.
S'.~93~ in cui il testatore avcva mulato l'heredis institutio affermando, ancorché
indirettamentc, di farlo in base alla convinzione che !'crede precedentemente
istituito fosse morto: e il secondo testamento a valcre, ma l'isliluzione s'intende
fatta a favore dei soggetto istituilo nel primo testamento. ln altri easi, come quel-
li ricordati da Pomponio (in D. 28. 5. 43) e in C. 3. 28. 3 (sempre di Severo e
Caracalla), si lratta piu che altro di un'interpretazione della volontà dei testa to-
re.
236 ISTIT!JZIONI OI DIRITIO ROMANO
Cicerone, il quale ricorda come fosse stato il giurista Aquilio Gallo, suo
amico personale, a far introdurre, intorno ai 70 a.C., nell'editto dei preto-
re le formulae de dolo (Cic. off. 3. 60). ln realtà, i ncgozi solenni dei ius
civile producevano i loro effelti purché fosse stata adibita la relativa for-
ma, e tali effetti erano definitivi, poiché il ius civile conosceva soltanto
!'alternativa fra negozio valido ed efficace e negozio nullo (§ 56). Né sem-
bra che un diverso traltamento fosse riservato - in epoca risalente - ai
pochi atti non solenni, come potevano esser la 1radi1io ed il mutuo, quale
contralto informale, ma a struttura reale(§ 111).
Se gli antichi negozi dei ius civile erano insensibili ai dolo, e se, nel
!oro ambito, la tutela della parte raggirata rimase demandata ai pretore
per tutto il periodo classico, bisogna tener conto dei falto che, in tale
periodo, l'ambito dei ius civile stesso si estese, in quanto nel corso dei 1
sec. a.C. ne vennero a far parte i iudicia bonae fidei e i rapporti contrat-
tuali da essi tutelati (§ 118). Rispetto a tali rapporti, a partirc dall'inizio
dell'era volgare, il dolo negoziale svolge la sua efficacia sul piano dei
diritto civile, onde il contralto tutelato da una formula in ius concepta,
con oportere ex fide hona, non produccva effetti - cd era quindi nullo -
ove fosse stato carpito con dolo. L'opor/ere ex fide hona, infatti, che si
funda sulla buona fede, non puà ritenersi intcgrato quando l'attore si sia
comportato dolosamente ai momento della conclusione dei contralto. La
parte ingannata puo ottenere, col iudicium honae fidei (§ 74), la rimozione
degli effetti dei negozio che le siano pregiudizievoli, nonché il risarcimen-
to dei danno nci limiti dell'interesse negativo(§ 129).
Una particolare rilevanza sul piano civilistico si riscontra per il dolo, all'in-
temo dei negozi traslativi, nclla traditio, chc é ncgozio non formate. Chi, con
inganno o raggiro, si fa trasferire in proprietà la cosa mobile altrui (e la fattispe-
cic corrisponderebbe, entro certi limiti, all'attualc delitto di truffa). era rcspon-
sabile di furtum (v. § 124), il che comportava ovviamente il mancato acquisto
della proprielà della cosa carpita con l'inganno.
e) AI di fuori dei iudicia honae fidei, perché il dolo delta contraparte
rilevasse era, come si e detto, necessario l'intervento dei pretore. Una
tutela contro il dolo, in via d'eccezione (e piu precisamente di praescriptio
pro reo: § 75), era già prevista nell'editto provinciale di Q. Mudo Scevola,
proconsole dell'Asia nel 94 a.e. (Cic. All. 6.1. 15). E, dunque, probabile che
mezzi di tal genere esistessero nella prassi metropolitana ancor prima
della ricordata introduzione delle fonnulae de dolo ad opera di Aquilio
Gallo [v. sub b)]: quest'ultimo avrebbe, dunque, avuto un ruolo decisivo
soltanto nell'introduzione dell'actio de dolo. ln epoca classica, exceptio
doli ed actio de dolo esaurivano, poi, probabilmente la tutela contro il
dolo, dato che e incerto, infatti, se si avesse anche un'in integrum restitutio
ob dolum, della quale restano insicure notizie.
238 ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
lazione astratta della verborum obligatio): Caio puo far valcrc contra di lui la
exceptio doli generalis, perché con la sua richiesta Tizio si comporta contro la
buona fede.
Per quanto riguarda l'incidenza dei dolo sulle fattispecie negoziali
tutelate dai ius honorarium, si presenta una situazione abbastanza corn-
plessa, che dipende dai carattere rígido della formula (§ 77): quando il
tenore dei concepta verba dei iudicium honorarium permclta ai giudice di
tener conto dei dolo negoziale eventualmente commesso, non v'c bisogno
di far ricorso all'exceptio doli, rnentrc cio sarà necessario, nel caso contra-
rio.
e) L'individuazione delle fattispecie in cui vicne integrato il dolo
negoziale e lasciata, praticamente, alia giurisprudenza. II dolo prcsuppo-
ne l'induzione in errore e, quindi, l'inconsapevolezza della parte inganna-
ta. Da questo punto di vista si deve giudicare quello chc, tradizionalmcn-
te, viene chiamato il dolus bonus, e cioé J'esaltazionc dei pregi della cosa
oggetto di una prestazione falta da colui che offrc la relativa pr~stazione
(ii che avviene, gcneralmcnte, nel caso ci compravendita). 1 romani di-
stinguono (cfr. Ulpiano, in D. 4. 3. 37) fra le cose dette dai venditorc per
«raccomandare,, la propria merce, e quellc dettc per ingannarc l'acqui-
rente: e quest'ultimo che deve saper valutare nel giusto modo quanto il
venditore afferma scnza un'intenzionc fraudolenta.
L'induzione in crrore deve, poi, indurre il contraente ingannato in
un errore determinante ai fini della formazione della volontà ncgoziale.
Oui basta chc tale errore sia stato una condícío sine qua non ncl processo
dí formazione della volonta della parte ingannata, íl chc vuol dirc che,
<;enza tale crr'1re, e'>sa non avrebbe concluso il negozio, o lo avrebbe falto
a condizioni M:n'>íbílmcntc diversc. Ed e percio chc - in caso dí dolo - i
motivi, gcncralmcnte irrilevanti, vcngono ad influire sulla validità dei
negozitJ Me!iw.
d) Ncl período po!>tclassíco non si ebbero profunde innovazioni sul
dolo ncgoziale in sé c:onsídcrato: in ]inca indiretla rileva la circoslanza
ehe un 11Cmprc maggior numero di azíoní vien falto rientrare ncí iudícia
bonae fúki. E, <l'altro canto, !ii ha anche qui l'ínflusso dei diverso modo
con cuí víenc ormaí inte!;a l'eccezionc, stante la modifica dcllc strutture
dei proccno (§ 84), e la paríficazíone, ormai anchc formale, tra díritto
cívíle e diritw pretorío.
nazione causale della volontà <li una delle parti negoziali: la violcnza re-
lativa (o, meno bene, morale). A differenza di quello chc avvicne per I'cr-
rore ostativo (§ 59), la violenza assoluta, che esclude la volonlarietà dei
comportamento, e praticamente irrilevanle nell'espcrienza romana, e ri-
mane un caso di scuola anche nella vila odierna.
Si ha, infatti, violenza assolula quando, in virtu dell'azionc fisica di
altra persona, il soggetto compie un alio che concreta apparentementc
un comportamento negoziale dichiaralivo (o non dichiaralivo), ma che
non e imputabile alia sua volontà. II caso paradigmatico, e di scuola, é
quello di taluno che afferri l'altrui mano e faccia, a forza, firmare un alio
scritto. La mancanza della volontarietà dei comportamento esclude che
l'atto possa raggiungere qualsiasi efficacia. Oi per sé difficilmente realiz-
zabile, tale esempio <li violenza física non poteva a ver rilievo ncl mondo
romano, data la funzione marginale che in esso assume la documentazio-
ne come forma negoziale, e I'irrilevanza, comunque, della sottoscrizione
per la validità dei documento. E non é quindi un caso che i prndentes non
se ne siano mai occupati.
b) Nella violcnza relativa, il soggetLO e posto ncll'altcrnativa di com-
piere un determina lo ncgozio o di subire un danno ingiusto: ncl caso, la
dichiarazione ncgoziale e cstorta attravcrso una minaccia, e le fonti ro-
mane parlano, a tale pruposilo, <li vis o <li metus.
Come si avverliva, l'uso dei tcrmini violcnza morale e fisi<.:a puo esser equi-
voco: la violcnza relativa, infatti, puo esscr cscrcitata attravcrso un'azionc fbica:
si pcnsi ai sequestro di persona od alia tortura usati pcrottcncrc l'adcsionc ad un
contralto, dato che anchc in qucsti casi il soggetto passivo della violcnza e posto
di fronte all'altcrnativa di darc tale adcsione o di continuarc a subirc la tortura
od íl sequestro.
Come il dolus, anche il melus non poteva invalidare, sul piano dei
diritto civile, i negozi solenni ed astratti, caralteristici dell'epoca piu ri-
iJalente: né vi sono, in realtà, tracce che la violenza inficiasse la validità
della traditio effeuuata dalla parte messa ncll'altcrnativa di subirc un
danno ingiusto o <li conscgnare una certa cosa mediante l'adcsione ad un
~ assetto negoziale. Ancora in D. 4. 2. 21. 5, <li Paulo, si trova attestata
Wht-liffatta impostazione, allorché, in tema di adltio hereditalis, il giuri-
lftd iafferma che, pur estorta con violenza, essa rende erede chi l'abbia
Mu-, •poich~. quanlunquc, se vi fosse 11tata una libera scelta, non avrei
Yolllto, costretto ho, pur tuttavia, voluto• (quia, quamvis si liberum esse/
nolulâstm, tamen coaclus volui).
Per gli antichi negozi dei ius civlle era, dunque, necessario l'inter-
vento dei pretorc, il quale rimase indispensablle per tutta l'epoca classi-
ca. Anche per la violenza, come accade per il dolo(§ 60), una posizionc
parlicolare assumono i contratti tutelati da iudicia bunae fidei, i quali, a
242 ISTITUZIONI OI DIRITTO ROMANO
partire almeno dall'inizio deli' era volgare, erano stati assunti nel ius civi-
le: in questi casi, il negozio estorto con violenza non produce effetto già
sul piano dei ius civile stesso, indipendentemente dall'opposizione del-
l'exceptio metus o dalla concessione della restitutio in integrum, perché
l'avvalersi di un negozio affetto da tale vizio e considerato contrario alia
bana {ides su cui si fondano le obbligazioni delle parti.
Per quanto concerne i negozi tutelati da azioni pretorie, il discorso e prati-
camente identico a quello già svolto per il dolo(§ 60): la necessità dei ricorso agli
specifici mezzi <li repressione dei metus non ricorre, quando i concepta verba della
formula dell 'azionc pretoria permettano ai giudice di tener conto della circostan-
za che il consenso della parte é stato estorto con violenza.
c) Non e dato fissare con una certa approssimazione le tappe e le
date della storia della tutela pretoria a favore di coloro che avevano subi-
to violenza sul piano negoziale, benché si debba ritenere che un'articola-
ta disciplina risalga già alia prima metà dei 1 sec. a.C. Nell'editto adria-
neo tale tutela prevede la concessione di una restitutio in integrum, del-
l'actio quod metus causa gestum eril («azione in relazione a quanto e stato
fatto a causa di violenza•) e dell'exceptio metus.
La restitutio in integrum ob metum (e, cioe, fondata sulla violenza)
ha, sul piano operativo, !e caratteristiche tipiche di questo mezzo giudi-
ziario (§ 79): nell'esercizio della giurisdizione il pretore considera come
non avvenuto l'atto viziato da violenza, indipendentemente da chi nc sia
stato l'autore, ed attua la sua iurisdictio, come se tale atlo non fosse esisti·
to.
Se, ades., Tizio ha estorto una mancipatio <li un servo a Caio, ed attualmen·
te lo schiavo sia in proprictà - ed in possesso - di Sempronio, terzo acquirente
(anche in buona fede), Caio potrà esercitarc, previa una in integrum restitutio,
l'azione nei confronti di qucst'ultimo, come se la mancipatio non fosse avvenuta.
Se a Mevio, creditore di Seio in base a stipulazione, é stata estorta da un terzo
una remissione dei debito, nella forma solcnne dcll'acceptilatio, previa la restitu·
tio in integrnm egli potrà esercitare l'actio ex stipulatu contra Seio, come se non
avesse proceduto all'acceptilatio cstorta.
d) L'actio quod metus causa e un'azione pretoria, arbitraria (§ 74),
con formula in fàctum concepta (§ 74), da esperirsi entro un anno da quan-
do si ebbe la possibilitá di esercitarla, e che porta ad una condanna ai
quadruplum riferito originariamente ai valore della cosa estorta, e poi
all'interesse dell'attore ache l'estorsione non fosse avvcnuta. L'ammon·
tare della condanna e senz'altro molto rilevante, ma il convenuto poteva
evitaria, soddisfacendo !'interesse dell'attore sulla base dei iussum de re-
stituendo emanato dai giudice privato.
Come l'azione di dolo, l'actio quod metus causa e data, dopo l'anno e contra
l'erede, nei limiti dell'id quod ad eum pervenit.
FAITI, ATTI, NEGOZí GllJRIDICI 243
Esistono casi dubbi. Uno é quello della datio uh turpem causam, e cioé dei
trasfcrimento di proprictà in virtú di un assctto d'intcrcssi contra bunus mures;
dallc fonti, che discutono in qucstu caso dcll'espcribilità dclla condictiu (v. § 122),
si dcsumerebbc che la proprietà sia comunquc passata, anche quando si tratti
della traditio (ncgozio causalc: il problema non si pone per la mancipatio e l'i11
iure cessio, che sono ncgozi astratti). Sul caso della stipulatio sottoposta a condi·
zionc illccita, v. § 63.
Nel caso di negozio illecito, in quanto contra bonos mores, vige la
disciplina che gli interpreti medievali hanno sintetizzato nel brocardo in
pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis («ove !'intento con-
trario ai buon costume si riscontri in entrambe !e parti, prevale la posi-
zione di chi e in possesso»): quando !'intento illecito, sia imputabile ad
entrambe le parti, nessuna delle due, neppure quella che ha escguito una
prestazionc eventualmente lecita, potrà chiedere la rcstituzione di quan-
to eventualmente prestato (se il mandante, ha anticipato ai sicario la
somma pattuita per l'uccisione di una persona non potrà, comunque, ri-
petere la somma eventualmente vcrsata).
f) II período postclassico non porta qui alcun sostanzialc cambia-
mento, pur ncll'accentuazionc dei carattere clico dei diritto. Si puu nota·
re anche in questa connessione un inílusso dei la fusionc fra ordinamento
pretoria e civile, nel senso che la tendenza é, ormai, a riconosccre la nulli-
tà dei negozio illecito, soprattutlo in quanto solloposto a condizione ille-
cita.