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II domenica dopo il Natale

CI HA DATO IL POTERE DI DIVENTARE FIGLI DI DIO

Letture: Siracide: 24, 1-4, 12-16 Ef. 1 3-6 15-18 Gv. 1, 1-18

La liturgia odierna ci fa riascoltare lo stesso solenne Vangelo della Messa del giorno di Natale.
Questo rientra nella pedagogia della Chiesa che ama dedicare le domeniche che seguono le grandi
solennità, come Natale e Pasqua, all'approfondimento del mistero celebrato che non può essere
compreso in una volta sola. Di questo brano evangelico, che costituisce il prologo @ al Vangelo
di Giovanni, sant'Agostíno ripeteva che « dovrebbe essere scritto a caratteri d'oro ed esposto per
tutte le chiese nei luoghi piú eminenti » (De civ. Dei X, 29), tale è la sua ricchezza e importanza
per la fede cristiana. Fino all'ultima riforma liturgica, esso era, di fatto, scritto a lettere d'oro in
una tabella posta sul lato sinistro dell'altare e il sacerdote lo leggeva alla fine di ogni Messa.
San Giovanni, in questo testo, risale all'origine ultima della persona di Cristo. t avvenuto, nella
scoperta della vera identità di Gesú, come quando si risale, in esplorazione, verso le sorgenti di un
grande fiume. Gli apostoli hanno scoperto l'origine di Cristo progressivamente, un po' alla volta,
muovendo dal Gesú che avevano sentito predicare e che avevano visto morire e apparire risorto.
Il primo Vangelo in ordine cronologico - quello di Marco prende le mosse dal battesimo di Gesú
nel Giordano; è questo, per lui, l'« inizio » della vicenda di Gesú (cf. Mc. 1, 1 ss.); Matteo e Luca
che scrivono dopo di lui risalgono alla sua nascita dalla Vergine e finalmente Gíovanni, che
riflette lo stadio piú evoluto della fede apostolica, fa il salto decisivo e raggiunge il vero e ultimo
« principio » di Gesú che è « presso il Padre », prima ancora del tempo: « In principio era il
Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ».
La liturgia di oggi non si preoccupa, però, tanto di esplorare l'origine del Verbo, quanto di
celebrare il mistero della sua «presenza» in mezzo agli uomini. La prima lettura ci fa vedere
come questa presenza era già « adombrata » e preannunciata nell'Antico Testamento, con i tratti
della Sapienza. Anche della Sapienza si dice che « è uscita da Dio » e che « ha fissato la sua
tenda » in Israele, in mezzo al popolo eletto. Ma la differenza è grandissima. Qui si trattava
ancora di una presenza « intenzionale », realizzata attraverso l'intermediario della Legge.
Attraverso la Legge che « incarnava » in certo senso la volontà di Dio, la Sapienza era presente in
mezzo agli uomini. Ora, con Gesú, non piú intenzionalmente e attraverso intermediari, ma
direttamente e personalmente Dio è venuto in mezzo a noi: « Dio, che aveva già parlato nei tempi
antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni,
ha parlato a noi per mezzo del Figlio » (Ebr. 1, 1-2). Dio non ci parla piú « per interposta persona
», ma « di persona »; il Figlio infatti è « irradiazione della sua gloria e l'impronta della sua
sostanza », cioè è Dio egli stesso, « consostanziale con il Padre », come ha definito il Concílio di
Nicea. Davvero, come dice sant'Ireneo, Gesú « ha recato ogni novità recando se stesso ».
Questo è il significato dell'espressione teologica « unione ipostatica » che costituisce la base di
tutto il mistero cristiano; nel suo nucleo essenziale essa può e deve essere compresa da ogni
cristiano e non rimanere appannaggio dei soli teologi nella Chiesa. L'unione ipostatica, o
personale (poiché « ipostasi » non significa altro se non « per~ sona »), vuol dire che in Cristo
Dio e l'uomo si sono uniti personalmente, fino a costituire, cioè, una sola persona, che è appunto
la persona divina di Cristo. Questa è « la roccia della nostra salvezza », quello che dà un valore
universale alla redenzione compiuta da Gesú. Questo è anche la principale fonte della nostra
gioia e della nostra speranza. Se già nell'Antico Testamento, grazie a quella presenza tramite la
Legge, Mosè poteva gridare al popolo: « Quale nazione ha la sua divinità cosí vicina a sé come è
vicino a noi il Signore nostro Dio? » (cf. Deut. 4, 7), cosa si dovrà dire ora che Dio è diventato
addiríttura uno di noi, vero Dio e vero uomo? Questo fonda la « nuova ed eterna alleanza »: «
nuova » perché inaugurata dalla venuta di Cristo, « eterna » perché non potrà piú essere distrutta,
neppure da tutti i peccati e le infedeltà degli uomini. Il dialogo tra Dio e l'uomo non potrà p iù
essere interrotto, perché avviene nella stessa persona di Cristo; nessuno potrà piú separare Dio
dall'uomo, come nessuno puo separare, in Cristo, il Verbo dalla carne.
Agli occhi di chi non crede, questo mondo può apparire « un formicaio che si sgretola e nulla
piú », ma per noi esso è il luogo dove il Verbo ha « fissato la sua tenda », il luogo che Dio « ha
tanto amato da dare per esso il suo Figlio unigenito » (cf. Gv. 3, 16). Quello che una volta si
diceva della città di Sion, a causa della presenza in essa della Sapienza e della Legge, oggi si deve
dire, a ben maggior ragione, di tutta la terra: « Dio sta in essa, non potrà vacillare » (Sal. 46, 6).
La liturgia odierna non si limita a mettere in luce questo aspetto « cosmico » dell'Incarnazíone;
essa insiste anche e soprattutto sul risvolto umano e personale dell'Incarnazione per il quale essa
interessa « ogni uomo che viene in questo mondo »: A quanti - ricorda nell'antifona alla
comunione - hanno accolto il Verbo, Dio «ha dato il potere di diventare figli di Dio ». La scelta
della seconda lettura è in funzione proprio di questo lieto annuncio: In Cristo - scrive san Paolo -,
Dio « ci ha scelto prima della creazione del mondo... predestinandoci a essere suoi figli adottivi ».
Altrove lo stesso Apostolo specifica che se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio e coeredi
di Cristo (cf. Rm. 8, 17).
Figli nel Figlio: ecco l'aspetto del mistero natalizio che oggi la liturgia ci aiuta ad «
approfondire ». A ragione san Leone Magno, in una sua omelia natalizia, esclamava: « Riconosci,
o cristiano, la tua dignità! » (Disc. 1 per il Natale, 3; PL 54, 193). « Figli nel Figlio » è un «
annuncio », ma anche una « parenesi », cioè un'esortazione; parla di qualcosa che è « già
avvenuto » storicamente, nell'Incamazione e, sacramentalmente, nel 13attesimo, ma che « deve
ancora avvenire » in continuazione nella vita. A coloro che credono - dice Giovanni - Dio ha dato
« il potere di diventare figli di Dio ». Noi, in altre parole, siamo già figli di Dio per lo Spirito
Santo che ci è stato donato e che ci fa esclamare: « Abbà, Padre! », ma, nello stesso tempo,
dobbiamo « diventarlo » mediante l'imitazione di Cristo e la nostra crescita nella fede. Nessun
figlio nasce già tutto fatto e completo; deve divenirlo. Figli di Dio - possiamo dire con altrettanta
verità - « si diventa »! Gesú diceva: « Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perché siate figli del Padre vostro celeste » (Mt. 5, 44-45).
L'Eucaristia che stiamo celebrando ci aiuta in questo difficile compito che dura tutta la vita. In
essa riceviamo quel Verbo che si fece carne e che venne ad abitare in mezzo a noi. Lo stesso
Verbo che si fece « carne », ora si fa « pane » per il nostro nutrimento. Dalla mensa eucaristica
noi ripartiamo ogni volta un po' piú figli di Dio.

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