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Lezioni prof.

ssa Parisi – Le teorie della comunicazione di massa e la sfida digitale

La società di massa
Esistono due diverse prospettive di visione della storia sulle teorie dei media.
Secondo la ricostruzione a cicli di Neuman, in certi cicli si pensa che i media abbiano un effetto
potentissimo di influenza, e questi si alternano a cicli di ridimensionamento della portata degli stessi.
Negli anni ‘70 vi fu una ripresa del primo ciclo (lettura diacronica).
Secondo il criterio della complessità crescente di Wolf, invece, si ha una progressiva aggiunta di
complessità alle teorie sviluppate nel tempo.
La società di massa è un’entità complessa. Si tratta di una società in cui le istituzioni relative ai diversi
sottosistemi sociali sono organizzati in modo da trattare insiemi di persone come unità
indifferenziate di un’unica massa.
La società di massa emerge dalla Rivoluzione industriale a cavallo dell’Ottocento
(industrializzazione), dando il via alla modernizzazione e alla specializzazione.
A metà Ottocento, il media più simile ai mass media odierni era l’esposizione universale (pubblici di
milioni di spettatori), fruibile anche da chi era analfabeta.
Si ebbe il passaggio da comunità a società (meccanica ---> organica), ma il rischio più grande era
l’anomia (Durkheim). Era infatti comune tra gli studiosi una visione della società come insieme di
individui facilmente manipolabili e poco controllabili.
La massa è un aggregato di individui isolati tra di loro, con assenza di comunicazione, soli e
manipolabili. Scompaiono i gruppi e gli individui si isolano. Nasce la tendenza all’omologazione
(annullamento delle caratteristiche individuali), l’atomizzazione (isolarsi) e la concezione di
onnipotenza dei mass media in grado di manipolazione.
È necessario contestualizzare il modello concettualizzato a seconda del periodo storico (es.
l’esistenza della radio che si poteva solo ascoltare).
Il modello stimolo-risposta S --> R (anni ‘20) era considerato un modello di propaganda (grazie a
stampa e radio) in una società in cui ogni singolo individuo è uguale all’altro.
Il modello di Shannon e Weaver (teoria matematica) si occupava di rendere ottimale la
trasmissione di messaggi, evitando il rumore che provoca distorsione.
A seguire, il modello di Lasswell (a caselle) si occupava di rendere chiari il comunicatore, il
messaggio, il medium, l’audience e gli effetti ecc. A questi ultimi viene data più importanza di
prima, aprendo le porte a prospettive di ricerca che prima non erano stati propriamente individuati.
Questo modello pecca nei ruoli delle caselle: la trasmissione è lineare, senza interazioni e manca di
feedback. Un’altra volta troviamo un’idea indifferenziata di massa.
A partire dalla fine degli anni ‘20 (1929-1932) vi fu un primo filone di studio di 13 ricerche sui minori
e sul cinema. Il cinema stava avendo un boom di massa. La preoccupazione era incentrata
sull’influenza sui bambini e sugli adolescenti e se questa potesse cambiare i loro valori. A questo
proposito, i ricercatori mapparono 10 categorie cinematografiche: il 75% dei film per minori
contenevano le categorie di crimine, sesso e amore. Il primo filone qualificava il sistema di credenze
e atteggiamenti (es. nei confronti del razzismo), mentre il secondo studiava il comportamento in
seguito all’esposizione ai film (analisi qualitativa sulle pratiche quotidiane). I media, infatti, svolgono
una funzione modellizzante sulla realtà.

La società dei media digitali


Rispetto alla società di massa che era incentrata sul progresso e sulla rivoluzione industriale, la
società post-moderna si caratterizza per capitalismo avanzato (post-industriale) e fine delle
alternative (“fine della storia” - pace sociale, ma si tratta di un’utopia).
La globalizzazione appare inarrestabile e vi è interdipendenza tra economie, con flussi culturali
globali e grandi rivoluzioni tecnologiche.
Sono tramontate delle istituzioni come lo Stato-Nazione, le identità collettive, ecc. e così vengono
teorizzati nuovi modelli come quella della modernità liquida, la seconda modernità, il sistema-
mondo, ecc.

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Nell’economia si ha una terziarizzazione dell’economia (cresce il settore terziario dei servizi).
Incrementa la rapidità di diffusione delle tecnologie in ogni campo.
Possiamo riferirci a ben quattro rivoluzioni industriali:
1. Prima Rivoluzione Industriale: dal 1780 con l’introduzione di strumenti meccanici.
2. Seconda Rivoluzione Industriale: dal 1870 con l’organizzazione del lavoro e la produzione di
massa.
3. Terza Rivoluzione Industriale: dal 1970 con l’automatizzazione.
4. Quarta Rivoluzione Industriale: oggi con l’Internet delle cose.
A queste rivoluzioni corrispondono altrettanti modelli di industria:
1. Industria 1.0: meccanizzazione.
2. Industria 2.0: produzione di massa.
3. Industria 3.0: automatizzazione.
4. Industria 4.0: sistemi cibernetica.

L’utopia cibernetica
L’utopia cibernetica si riferisce a un intreccio tra tecnologia informatica e telecomunicazioni, dando
vita a un’idea di dematerializzazione del mondo che tende al virtuale.
Il romanzo che dà il via a questa utopia è Neuromante di Gibson del 1984, che parla di
un’allucinazione vissuta virtualmente. Questa visione prevedeva una società capace di autoregolarsi,
e inizia a sembrare vera quando internet (macchina) inizia a collegarsi con sempre più persone.
Internet permette di creare comunità virtuali (come comunità primitive, cioè
omogenee a livello di visione culturale), accesso permanente e condiviso del sapere, tecno-
democrazia (chi dimostra più competenze guadagna maggior riconoscimento), egualitarismo digitale
(chi dimostra più competenze guadagna maggior riconoscimento), libertarismo espressivo.
Internet iniziò a nascere nel 1969 con Arpanet (militare), nel 1971 con l’email, nel 1998 con Google,
nel 2004 con Facebook e nel 2010 con Instagram.

La ricerca su internet - Internet Studies


Nella prima metà degli anni Novanta, la ricerca si incentrava sullo studio delle comunità virtuali, di
comunicazione tra piccoli gruppi di persone (CMC). Si studiava questo fenomeno tramite strumenti
di laboratorio, ma ignorando l’utilizzo di strumenti digitali.
Barra Wellman identifica tre fasi di Internet:
1. Seconda metà degli anni Novanta: cresce l’Internet economy grazie alla platea di utenti che
si amplia sempre di più. Reale e virtuale sono due categorie ancora considerate opposte. Si
assiste a una polarizzazione tra entusiasti e pessimisti.
2. Fine anni Novanta: internet si istituzionalizza con delle norme, con un organismo in grado di
esercitare controllo e con l’integrazione nella vita quotidiana (processo di normalizzazione
della presenza di internet grazie alla sua presenza fissa nella vita di tutti i giorni).
3. Dal 2004: era del web 2.0, cioè internet inteso anche come piattaforma per interazioni attive
tra utenti, non solo per pubblicare e cercare contenuti in modo passivo. Diventa oggetto di
studio con una propria autonomia.
Con il passare del tempo, internet comincia a diventare un luogo strategico e inizia ad assumere
un ruolo rilevante anche nella politica degli Stati.

Le configurazioni di società
La configurazione della società parte da una forma società tribale, poi passa per la civilizzazione
antica (organizzazione gerarchica verticale), e si estende alla società industriale (esplode la società di
massa), seguita dalla network society.
Esistono tre configurazioni di società:
1. Network society: si ha una trasformazione nel sistema dei media a partire dagli anni Ottanta,
i quali si caratterizzano per decentralizzazione, diversificazione e personalizzazione della
fruizione. Manuel Castells contribuì alla creazione di questo modello. Si ha un nuovo

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paradigma tecnologico che ha al suo centro le tecnologie dell’informazione, una crisi dei
modelli socio-economici capitalisti e statalisti, un’affermazione di movimenti culturali
portatori di valori sociali come la difesa dei diritti umani, l’ambientalismo e il femminismo.
Questo portò a una nuova struttura sociale dominante (quella di rete), a una nuova
economia internazionale e a una nuova cultura virtuale.
Si sviluppa una logica di rete, una capacità di riconfigurazione che supporta un bisogno di
cambiamento costante nella società.
Le tecnologie convergono in un unico sistema. I media diventano pervasivi in tutti gli ambiti
della vita, trasformando l’esperienza spaziale e temporale del mondo.
Mutano anche i pubblici di massa, con una differenziazione sociale e culturale diffusa e la
stratificazione sociale degli utenti.
2. Connective society: essere online e networked diventa normale (networked significa essere
in una rete). Rainie e Wellman parlano di un nuovo sistema operativo sociale dato da tre
piccole rivoluzioni: quella dei social network, quella di internet e quella mobile. Gli individui
sono meno vincolati a piccole reti (parentali e di vicinato) e più legati a reti dislocate sempre
più allargate, diversificate e caratterizzate da minor coesione sociale e complessità. Essere
connessi diventa una condizione stabile e permanente: Castells la chiama auto-
comunicazione di massa (auto-generata, auto-diretta e auto-selezionata). L’attitudine di
“diventare media” prevede l’appropriazione degli strumenti mediali, di codici, di linguaggi, di
estetiche e di retoriche dei media. Muta il senso della posizione nella comunicazione da
parte dei pubblici in grado di restituire feedback. Questo però espone gli utenti a
un’esposizione ai commenti delle narrazioni prodotte.
3. Platform society: enfatizza la relazione tra le piattaforme online e le strutture sociali. Le
piattaforme producono le strutture sociali nelle quali viviamo, non solo le riflettono. Gillespie
le chiama i custodi di internet in quanto mediano il flusso di informazioni attraverso la logica
degli algoritmi di visualizzazione. Questa agisce in maniera invisibile e si basa anche sulla
remunerazione commerciale e pubblicitaria. Un algoritmo esprime una procedura in termini
matematici.

Dalla manipolazione alla persuasione – La guerra dei mondi


In campo di persuasione si studiano le campagne volte a conseguire specifici obiettivi per esigenze
commerciali e di ricerca.
Esistono variabili intervenienti (I.V.) generate dal contesto in cui avviene l’atto comunicativo.
Berleson, infatti, nel 1948 parlò di “certi effetti”, i quali sono molto variabili e intervengono
favorendo o impedendo la ricezione del messaggio.
Per facilitare il flusso delle comunicazioni, gli individui necessitano di fattori di mediazione tra i
messaggi e l’audience (Katz e Lazarsfeld, 1955). Lo stesso messaggio può difatti essere ricevuto in
modo differente da diversi destinatari.
La guerra dei mondi è il titolo di una ricerca tratto dall’omonimo romanzo di Wells. Il 30 ottobre
1938 un’emittente radiofonica fondata da Orson Welles mandò in onda un racconto durante una
serie radiofonica, a cui però credettero 1 milione di ascoltatori provocando il panico a causa della
presunta invasione dei marziani.
Questa vicenda si colloca in un periodo storico caratterizzato da incertezza in seguito al crollo della
Borsa nel 1929 e all’avvento del nazismo.
La radio, al tempo, offriva contenuti a tutti e godeva di ottima popolarità, e oltretutto aveva una
funzione di certificazione della realtà. Anche Roosevelt utilizzava la radio con le cosiddette fireside
chats per entrare in contatto con i cittadini. Di conseguenza, gli americani riponevano grande fiducia
nei messaggi veicolati dalla radio.
Secondo la ricerca di Cantril, i fattori che avevano reso verosimile questa fiction erano il tono
realistico della narrazione, l’affidabilità della radio, l’uso di esperti e di nomi delle località realmente
esistenti e la sintonizzazione degli ascoltatori all’inizio o a metà del programma. Gli ascoltatori che
si erano sintonizzati dopo l’introduzione, erano difatti propensi a credere di più ai fatti.

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Cantril individuò anche quattro categorie di radioascoltatori:
1. Soggetti in grado di controllare la coerenza interna del programma (conoscevano il format).
2. Soggetti che avevano proceduto a controlli esterni (avevano controllato fuori o contattato
altre persone).
3. Soggetti che si convinsero che era effettivamente caduto un meteorite (pur avendo tentato
controlli esterni).
4. Soggetti che non controllarono e che si fidarono ciecamente del programma.
I soggetti delle prime due categorie possedevano abilità critica per reagire in maniera appropriata.
La variabile religiosa portò le persone estremamente credenti a credere che si trattasse di una
punizione divina, a differenza dei soggetti più istruiti (al contrario dei soggetti più insicuri che
reagirono con panico).

Fattori di mediazione rispetto al pubblico


I membri dell’audience possono sottrarsi ai messaggi dei media.
Gli individui, infatti, generalmente tendono a sottrarsi a messaggi che appaiono in contraddizione
con le opinioni preesistenti, erigendo una sorta di barriera.
Alcune campagne possono avere effetti limitati, come ad esempio quella presidenziale americana del
1940.
Nel 1948 Lazarsfeld, Berelson e Gaudet studiarono l’interesse, l’esposizione e la memoria selettiva.
Scoprirono che l’interesse per il tema politico esponeva anche in maniera più massiccia ai messaggi
di quella campagna.
La memorizzazione selettiva dei votanti consentiva la costruzione di un ricordo depurato da
eventuali fonti di disturbo (dissonanza cognitiva).

Fattori di mediazione rispetto al messaggio


Il messaggio viene accolto in maniera differente in base alla credibilità della fonte, all’ordine e
completezza delle argomentazioni, e alla conclusione esplicitata.
La credibilità della fonte varia in base alla sua competenza, che dona autorevolezza e reputazione.
Ad esempio, gli ambienti digitali attivano meccanismi fiduciari.
Una ricerca su The American Soldier mostrò nessun effetto sulle motivazioni a combattere. Vi
erano così tante differenze individuali (es. livello di interesse, ceto sociale, livello di istruzione) che
risultava impossibile rispondere agli interrogativi circa la capacità persuasoria del messaggio.
Oggi sulle piattaforme social associamo alla prototype politics, cioè alla costruzione di messaggi
elettorali in base alle caratteristiche e preoccupazioni individuali dei destinatari
(personalizzazione).

L’influenza personale
Nella ricerca sulla campagna presidenziale americana del 1940 di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet,
gli intervistati dovevano indicare i propri contatti personali. Si evidenziava una maggiore efficacia dei
contatti face to face rispetto alla comunicazione mediale. I punti di forza della comunicazione
interpersonale sono la casualità e non intenzionalità della comunicazione, la flessibilità, la
gratificazione personale dei soggetti coinvolti e l’attribuzione di prestigio e autorevolezza.
I meccanismi di selettività possono essere aggirati o neutralizzati.
I ricercatori individuarono la figura del leader d’opinione, a cui si attribuisce capacità persuasoria.
Questi sono dei veri e propri mediatori tra i broadcaster e la massa. Il flusso è a due fasi:
mass media —> leader d’opinione,
leader d’opinione —> massa.
Gli individui non sono isolati socialmente, e quindi la comunicazione non avviene nel vuoto ma
arriva al pubblico mediata dalla società.
Il leader d’opinione è un nodo centrale che riceve, rielabora e trasmette le informazioni prese dai
media e le trasferisce alla rete o alla comunità di arrivo.
Il leader fa più uso di consumi mediali rispetto al resto degli individui e attua una sorta di filtro, ma
anche di apertura.

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Esistono quattro diversi tipi di leadership:
1. Leadership verticale d’opinione e leadership orizzontale d’opinione (Katz e Lazarsfeld).
2. Leadership d’opinione locale (polimorfico) o leadership d’opinione cosmopolita (Merton).
Watts e Dodds nel 2007 adottano un modello reticolare multi-step flow che vede il flusso e
l’influenza propagarsi per più vie e andare in ogni direzione del reticolo.
L’influenza è guidata maggiormente dall’interazione tra persone facilmente influenzabili piuttosto
che dalle stesse persone influenti. L’informazione si trasforma in una cascata che attiva sequenze
di interazioni sulle piattaforme.
I cittadini hanno un ruolo quasi da giornalisti nel dar conto dei fatti. Si creano meccanismi di
interesse (es. seguire determinati hashtag) e meccanismi fiduciari (es. seguire utenti che riteniamo
autorevoli su determinato tema).
Le micro-celebrity entrano nel quotidiano grazie alla produzione di video, alla gestione di blog e alla
creazione di contenuti per i social media. Questo si attua con un insieme di tecniche portano a
trattare le proprie audience alla stregua di fan da gestire e a costruire una personalità online.
Negli ambienti digitali coesistono diversi leader molecolari.

Usi e gratificazioni
Quando parliamo di usi e gratificazioni non facciamo riferimento a una teoria, ma a un approccio.
Holbert (2017) sostiene che sia più corretto parlare di un framework.
Sebbene sia stato criticato per la scarsa chiarezza dei suoi riferimenti teorici, questo approccio
continua ad essere impiegato nello studio del rapporto degli individui con i media.
Gli individui si rivolgono ai media per trovare una gratificazione per determinati bisogni: questa
prospettiva capovolge la visione che assegnava ai soggetti una posizione di passività rispetto al
sistema mediale. Il consumo mediale è concepito come un comportamento che “soddisfa bisogni
che hanno origine dall’interazione tra le disposizioni psicologiche individuali e l’esperienza della
situazione sociale” (McQuail e Gurevitch 1974).
L’attenzione si sposta dagli obiettivi dell’emittente (intenzionalità della comunicazione —> effetti sul
pubblico: manipolazione, persuasione, influenza) alle funzioni svolte dai media nella società; e dallo
studio di situazioni specifiche di fruizione mediale (le campagne) all’analisi di situazioni comunicative
(come la presenza quotidiana dei media nella società).

La teoria funzionalista
Secondo la teoria funzionalista, la società è concepita come un insieme di parti interconnesse, nel
quale nessuna parte può essere compresa se isolata dalle altre. Un qualsiasi mutamento in una delle
parti è considerato come causa di uno squilibrio che produce, a sua volta, ulteriori mutamenti in
altre parti del sistema se non, addirittura, una riorganizzazione del sistema stesso (Theodorson,
1969).
Gli elementi che caratterizzano questo approccio sono:
1. l’interconnessione delle parti;
2. l’equilibrio naturalmente autoprodotto;
3. la riorganizzazione che segue l’eventuale perturbamento dell’equilibrio.
La società è equiparata ad un organismo biologico, all’interno del quale i vari organi si dividono i
compiti, lavorando insieme per mantenere uno stato di equilibrio.
Secondo Parsons, all’interno della società esistono istituzioni che mantengono l’equilibrio e
garantiscono gli imperativi funzionali: l’adattamento all’ambiente, il raggiungimento di un fine,
l’integrazione delle varie parti, il mantenimento della struttura latente e la gestione delle tensioni.
Per fare ciò, diversi sottosistemi devono collaborare. Il sottosistema dei media contribuisce a
soddisfare il bisogno del mantenimento della struttura valoriale, sostenendo e rinforzando i modelli
di comportamento.

Funzioni e disfunzioni dei mass media


Per Lasswell (1948), il processo di comunicazione svolge tre funzioni sociali:
1. Vigilanza e controllo sull’ambiente sociale (raccolta/distribuzione di informazioni);

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2. Mediazione fra le componenti sociali (interpretazione delle informazioni relative
all’ambiente sociale);
3. Trasmissione del patrimonio sociale (norme, valori, ecc.) da una generazione all’altra e tra
vecchi e nuovi membri della collettività.
Wright (1975) aggiunge una quarta funzione: il divertimento.
Tra le altre funzioni possiamo citare anche quella di allertamento (possibilità di avvisare i cittadini di
pericoli improvvisi come eventi naturali), quella strumentale (realizzazione di alcune attività
quotidiane che necessitano di essere rese pubbliche), quella di controllo sull’ambiente circostante
(es. sciopero dei giornali), di rafforzamento del prestigio per i cittadini bene informati, di
attribuzione di status alle persone e ai gruppi oggetto di attenzione da parte dei media, di
moralizzazione (rafforzamento di norme sociali denunciando le deviazioni all’opinione pubblica).
Le disfunzioni dei mass media possono essere:
1. Eccesso di informazione: isolamento, disfunzione narcotizzante, falso senso di dominio
sull’ambiente prodotto dalla facilità di accesso alle informazioni.
2. Spinta al conformismo (il sottosistema dei media tende a mantenere l’equilibrio esistente e
induce a conformarsi alle norme consolidate piuttosto che a innovarle) .

Funzioni e disfunzioni dei media rispetto al sistema sociale


Le funzioni dei media rispetto al sistema sociale sono:
1. Di allertamento: quando avvisano di minacce e pericoli.
2. Strumentali: per alcune attività della società.
3. Utilità e controllo sull’ambiente circostante.
4. Attribuzione di prestigio a coloro che si tengono aggiornati.
5. Rafforzamento delle norme sociali.
Le disfunzioni, invece, possono essere:
1. Diffusione potenzialmente indiscriminata di notizie.
2. Eccesso di informazione: a cui si può reagire con l’isolamento.
3. Spinta al conformismo.
La funzione dei media viene assimilata all’uso strumentale che il pubblico fa dei media, al fine di
soddisfare i propri bisogni e riceverne una gratificazione. Per la prima volta ci si chiede (Blumler e
Katz) «Cosa fanno le persone con i media?» piuttosto che «Cosa fanno i media alle persone?».

La fase dell’infanzia degli Usi e Gratificazioni


L’evoluzione dell’approccio degli Usi e Gratificazioni può essere distinta in una prima fase di infanzia
e in una seconda fase matura/moderna.
Durante la fase di “infanzia” degli usi e gratificazioni si assiste ai primi tentativi di pervenire a una
descrizione degli orientamenti dei sottogruppi dell’audience riguardo ai contenuti mediali. Si
studiavano le molteplici motivazioni che accompagnavano la scelta del consumo mediale e si cercava
un nesso tra il consumo dei media e le gratificazioni tratte dagli individui.
Nel 1960, Klapper trova funzioni semplici e funzioni complesse riguardanti il consumo dei media da
parte degli individui. Entrambe le funzioni si occupano di dare visibilità alle gratificazioni ottenute dai
soggetti a seguito del consumo di prodotti mediali.
Le funzioni semplici riguardano:
1. L’offerta di relax (capacità dei media di offrire occasioni di rilassamento ed evasione);
2. La stimolazione dell’immaginazione (contributo dei media nella costruzione di giochi,
fantasie, proiezioni, ecc.);
3. L'interazione sostitutiva (presenza di persone e storie che riempiono un silenzio e che creano
una interazione virtuale);
4. La costruzione di un terreno comune per i contatti sociali (offerta di argomenti di
conversazione - dimensione relazionale);
5. L'interazione fondata sulla condivisione del consumo di un prodotto mediale.

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Le funzioni complesse, invece, sono:
1. La distensione emotiva (il bisogno che molti individui hanno di ottenere un alleggerimento
delle emozioni);
2. La scuola di vita (capacità di offrire modelli, stili di vita e di comportamento ai quali potersi
adeguare).

La fase matura dell’approccio


Nella fase matura degli Usi e Gratificazioni, si presuppone che i media soddisfino cinque classi di
bisogni:
1. bisogni cognitivi (acquisizione e rafforzamento delle conoscenze e della comprensione);
2. bisogni affettivi-estetici (rafforzamento dell’esperienza estetica o emotiva);
3. bisogni integrativi a livello della personalità (rassicurazione, stabilità emotiva, incremento di
credibilità e status);
4. bisogni integrativi a livello sociale (rafforzamento delle relazioni interpersonali, con la
famiglia e con i componenti dei gruppi di riferimento: amici, colleghi ecc.);
5. bisogni di evasione (allentamento delle tensioni e dei conflitti) (Katz, Gurevitch e Haas,
1973).
In presenza di un bisogno cognitivo (es. essere informato), i soggetti si rivolgono ai mezzi e ai
prodotti che ritengono più idonei per soddisfarli (giornali, TV, web, ecc.). Ogni mezzo si correla a
contenuti specifici, attributi specifici (es. stampa VS. tv,), situazioni tipiche di esposizione (in casa VS.
outdoor, da soli VS. con altri, ecc.).
I soggetti in presenza di un bisogno cognitivo si rivolgeranno al mezzo e al prodotto ritenuto più
adatto a soddisfarlo. La presenza di bisogni diversi si correla a mezzi diversi, che offrono
combinazioni uniche.

Approccio metodologico
L' approccio metodologico è qualitativo, con domande aperte per registrare le dichiarazioni degli
intervistati in merito alle funzioni dei media. Non si pone nessuna attenzione ai nessi tra le
gratificazioni cercate e le origini sociali e psicologiche del bisogno che deve essere soddisfatto.
Inoltre, non viene fatto nessun tentativo di individuare la complessa rete di relazioni tra le funzioni
dei diversi media

L’approccio degli Usi e Gratificazioni: i limiti


Una metodologia basata su quanto espresso direttamente dall’audience in merito a ciò che trae dal
contenuto dei media è rischiosa, anche perché i resoconti personali possono fornire immagini
stereotipate del consumo.
Ipotizzare che la società funzioni come un sistema che prima stimola i bisogni della gente, poi
propone dei media in grado di soddisfarli, fa emergere la visione di soggetti come “drogati culturali”
(Parsons).
Oltretutto, i media non sono l’unica fonte di soddisfazione dei bisogni dell’individuo: non tutte le
alternative funzionali sono equivalenti e ugualmente accessibili. Il contesto socioculturale e
relazionale dipende da individuo a individuo (Wolf 1992).
I bisogni, gli usi e le gratificazioni non sono categorie statiche, ma socialmente prodotte e
storicamente sviluppate in processi specifici (Peck 1989)

5 postulati riassuntivi dell’approccio Usi e Gratificazioni


1. L’audience è considerata come attiva, una parte importante del contenuto mediale è considerato
finalizzato.
2. All’interno del processo comunicativo, una parte significativa dell’iniziativa di connettere le
gratificazioni e l’offerta mediale è nelle mani del destinatario.
3. Il sistema dei media compete con altre fonti per la soddisfazione dei bisogni.
4. In termini metodologici, molti degli obiettivi connessi all’esposizione ai media possono essere
conosciuti attraverso i dati forniti dagli stessi soggetti.

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5. I giudizi di valore circa il significato culturale dei mezzi di comunicazione di massa dovrebbero
essere sospesi finchè gli orientamenti dell’audience non possono essere indagati autonomamente.
(Katz, Blumler, Gurevitch, 1974).

Riassumendo: le fasi degli studi


Fase dell’”infanzia “(Blumler, Katz 1974), a cavallo degli anni Quaranta, con l’ndividuazione del nesso
tra le gratificazioni tratte dagli individui e il contenuto dei media (Content gratifications - Rubin
2009).
Fase della “maturità” (Blumler, Katz 1974) o del periodo moderno, con le gratificazioni tratte
dall’esperienza del consumo e della fruizione dei mezzi di comunicazione (Process gratifications -
Rubin 2009).

Attualità degli Usi e gratificazioni


L’approccio dei Usi e Gratificazioni è attuale in quanto:
1. L’audience è considerata attiva;
2. Il consumo mediale è orientato a un obiettivo;
3. Il consumo mediale consente un ampio ventaglio di gratificazioni;
4. Le gratificazioni trovano origine nel contenuto mediale, nell’esposizione e nel contesto
sociale nel quale si colloca la stessa esposizione. (Palmgreen et al., 1985)
Ci si chiede però se sia necessario trovare nuovi tipi di gratificazioni per le nuove tecnologie. Dato il
nuovo ecosistema mediale (convergenza VS. media come fonti monolitiche) grazie all’affermazione
di internet e del web, è necessario tenere conto nello studio del consumo mediale di attributi di
internet assenti nei media tradizionali (interattività - demassificazione - asincronia – multimedialità -
ipertestualità).
Modality (realismo, coolness, novità, presenza), agency (aumento delle opportunità di agency,
community building, bandwagon, filtraggio, targettizzazione, appropriazione), interactivity
(interazione, attività, controllo dinamico), navigability (browsing, aiuto alla navigazione, divertimento
e gioco). Un esempio di questi nuovi metodi di interazione con la tecnologia è il second screen e le
pratiche di social tv: attività congiunta del guardare contenuti audiovisivi (su tv o altro schermo) e
commentare sui social media, in chat, ecc. (via smartphone, tablet, ecc.).

La teoria critica della Scuola di Francoforte (vs. Bureau of Applied Social Research)
Negli USA si sviluppano tecniche di ricerca empirica tra gli anni Quaranta e Cinquanta con la
Scuola di Francoforte (rifugiatasi per sfuggire al nazismo). Horkheimer e Adorno erano i più
grandi esponenti di questa Scuola.
In quegli anni, esisteva anche il Bureau of Applied Social Research, il quale si metteva al servizio delle
organizzazioni per condurre ricerca empirica per i media, per studiare la loro efficienza e la loro
efficacia. La ricerca amministrativa aveva scopi istituzionali e commerciali (pubblicità, campagne,
ecc.). Il Bureau lavorava al servizio dei media.
Al contrario, la Scuola di Francoforte si interessava allo studio dei media come se si trattasse di un
contesto sociale. I ricercatori si occupavano della proprietà e del controllo tecnologico. La Scuola
di Francoforte non era finanziata dai media, ma studiava il fenomeno dall’esterno e criticamente
provava a suggerire uno studio “distaccato” e a proporre una policy di regolazione del sistema
mediale.
Il Bureau e la Scuola di Francoforte rispondevano a interrogativi diversi. Nel loro insieme, ci danno
un approccio unitario sulla riflessione sui media.
Dal lato amministrativo si interessavano della composizione e della dimensione delle audience. Dal
lato della teoria critica, veniva studiato un contesto sociale più ampio e le forme di dominio (snodi
centrali di potere mediale).
La ricerca amministrativa studiava i pubblici (preferenze, efficacia messaggi, ecc.) in quanto il suo
scopo era vendere.
La ricerca critica è orientata a studiare la società nel suo complesso. Ogni singolo fenomeno preso
in esame è posto in relazione con altri (es. contesto sociale e storico). La comunicazione viene

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vista come un processo che avviene all’interno della società.
La soluzione alla grande mole di dati empirici ricavati dalla Scuola di Francoforte (la società veniva
vista come una totalità) fu l’adozione di teorie a medio raggio, cioè teorie ipotizzate e verificate con
ricerche empiriche da parte della ricerca amministrativa, che tendeva alla frammentazione sociale.

La Scuola di Francoforte - Istituto per la Ricerca Sociale


La Scuola di Francoforte, o Istituto per la Ricerca Sociale, nasce in Germania nel 1923 per volontà
di un gruppo di studiosi dagli interessi in vari campi della ricerca sociale.
In quegli anni, in Europa si affermava una corrente di pensiero marxista critico, interessata alla
cultura e ai meccanismi del suo funzionamento (cultura come sistema, rapporti che la regolano,
ecc).
Gli studiosi della Scuola di Francoforte prendevano le distanze dal metodo scientifico avalutativo
(come Weber) e mirava a una visione della ricerca con finalità pratiche e politiche.
Il progetto di questi studiosi era quello di sviluppare una teoria sociale superando l’idea degli ambiti
separati e delle competenze distinte nella ricerca tradizionale.
In questo senso, il campo di studio di questa Scuola coincide con quello della società nel suo
complesso (concetto di totalità).
Ciascun fenomeno studiato dalla Scuola di Francoforte deve essere contestualizzato dal punto di
vista culturale e sociale. Devono essere evidenziate le dinamiche e le strutture di potere in cui
ciascun fenomeno studiato si inserisce (chi, dove, come, ecc.).
La sociologia ha il compito di prendere posizione e di esprimersi sui propri oggetti di studio.
Il programma di ricerca della Scuola di Francoforte viene definito dal direttore dell’istituto, Max
Horkheimer (1937), che distingue la «teoria tradizionale» dalla «teoria critica», i cui compiti sono:
1. Analizzare la direzione del cambiamento sociale a partire dalle contraddizioni interne alla
società (osservare, capire, trovare contraddizioni).
2. Evidenziare e affrontare le ingiustizie sociali (critica).
I principali esponenti dell’Istituto di Ricerca Sociale erano Herbert Marcuse (critica rivolta sia al
marxismo ortodosso sia alla società capitalistica americana) Erich Fromm (prosegue
nell’interpretazione di Sigmund Freud e nella critica della società contemporanea), Walter
Benjamin (assume come oggetto di studio l’opera d’arte), Adorno e Horkheimer (studiano la
nascita e l’affermazione dell’industria culturale).
Tra gli obiettivi che la Scuola si propone, c’è anche la denuncia della «falsa coscienza», cioè la
percezione errata che il sé sia autonomo.
Accanto ad ambiti di dominio capitalistico come la tecnologia e la fabbrica, la teoria critica
riconosce infatti un potere egemonico alla cultura, nei meccanismi dell’industria culturale.
L’industria culturale è il complesso di organizzazioni che trasformano la creatività in merce. La
cultura è intesa come agente attivo al servizio delle istituzioni (cioè un attore sociale).
I meccanismi di potere utilizzati dalla cultura e dalla sua industria devono essere svelati.
La nozione di industria culturale sostituisce quella di cultura di massa, che suggeriva una forma
democratica o popolare.
L’industria culturale, la «fabbrica del consenso», ha eliminato la funzione critica della cultura
attraverso la costruzione di un vero e proprio sistema dei media governato istituzionalmente.
La cultura di massa riguarda la formazione spontanea di cultura popolare o una qualche forma di
democratizzazione della cultura (es. fenomeni virali, pop).

L’industria culturale e la nascita dei generi nella Scuola di Francoforte


L’industria culturale agisce sull’autonomia del consumatore, inducendolo all’intrattenimento per cui
divertirsi significa essere d’accordo, condividere i contenuti e i messaggi, «non doverci pensare,
dimenticare il dolore anche là dove viene mostrato» (Horkheimer e Adorno 1947).
Ci si immerge nel prodotto culturale senza distaccarsene: si tratta dell’easy listening, o consumo
distratto.
Bisogna fare in modo che il pubblico ne faccia uso senza sforzo. Da qui nasce la necessità di
fondare le narrazioni su generi, quindi stereotipi, che consentono la stabilizzazione di alcuni

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elementi e garantiscono la loro riconoscibilità in futuro. I generi nascono come modelli attitudinali
degli spettatori.
Esistono dei meccanismi sottesi alla costruzione dei prodotti mediali che li rendono riconoscibili ai
pubblici perché sono progettati per essere tali.
Questi meccanismi generano un modello prestabilito di aspettative che agisce prima della fruizione
(es.: quando guardiamo un film giallo sappiamo in partenza che difficilmente morirà il detective
protagonista).
Effetti attivati dall’industria culturale sugli individui: la manipolazione
L’industria culturale è una struttura multi-strato che si muove a vari livelli psicologici, sia manifesti
sia latenti. Ha l’obiettivo di riprodurre i rapporti di potere esistenti, cercando di attivare una forma di
dominio sugli individui.
I consumatori di prodotti culturali si trovano nella condizione di non poter interpretare
autonomamente quanto viene loro proposto perché ridotti a pseudoindividui.

Limiti e meriti della Scuola di Francoforte


I limiti di questa Scuola sono:
1. Il rifiuto della ricerca empirica: che senso ha chiamare un soggetto a esprimersi se non è
dotato di individualità autonoma? In realtà gli individui non sono passivi.
2. La reintroduzione dell’asimmetria del processo comunicativo e della totale passività degli
individui.
3. Non sono previsti meccanismi di selettività.
4. L’appartenenza del soggetto a reti sociali quali quelle familiari, amicali o di lavoro non ha
rilevanza nel processo di acquisizione dei messaggi.
I meriti attribuiti alla Scuola di Francoforte, invece, sono:
1. L’introduzione della categoria dei generi che consentirà, negli anni successivi, importanti
analisi e sperimentazioni (contaminazioni tra generi). Per gli autori è uno strumento per
manipolare il pubblico, e per il pubblico diverrà uno strumento per orientarsi all’interno
dell’offerta televisiva, cinematografica, letteraria, ecc.
2. Aver intravisto, paragonandolo al funzionamento di qualsiasi produzione industriale, il
processo che segue l’uscita di un film (anticipazione, colonna sonora, interviste agli attori,
riproduzioni per la visione casalinga).

Riproducibilità tecnica e mutamento della cultura di massa


Walter Benjamin affermava che nell’era della riproduzione dell’opera d’arte, l’arte diviene
accessibile e disponibile attraverso le diverse (ri)produzioni mediali di massa.
Il processo di riproducibilità tecnica demolisce le condizioni dell’hic et nunc. Questa svalutazione
culturale produce tuttavia una vicinanza del pubblico a contenuti un tempo poco accessibili, che
divengono familiari e che il pubblico impara a elaborare e valutare.

Lo spirito dei tempi e la teoria culturologica - cultura del loisir


Accanto alla cultura nazionale e alle culture classiche (umanistica e religiosa), Edgar Morin (autore di
L’esprit du temps del 1962) individua una terza forma di cultura, la cultura di massa (termine che
utilizza in maniera equivalente a «industria culturale»), che nasce da stampa, cinema, radio e
televisione ed è in competizione con le altre. Ci troviamo nell’ambito della teoria culturologica.
La cultura di massa è composta da un corpus di simboli, miti e immagini concernenti la vita pratica,
quotidiana, e quella dell’immaginario. Essa fornisce un sistema di proiezioni e identificazioni
prodotte secondo le forme della fabbricazione industriale di massa e diffuso al pubblico attraverso
tecniche di promozione di massa.
Morin intende la cultura di massa non solo come svago di massa nel tempo libero dal lavoro, ma
anche come consumo dei prodotti che diviene autoconsumo della vita individuale.
La cultura di massa riempie il loisir con spettacoli, sport, tv, radio, lettura dei giornali e riviste, e lo
fa attraverso due meccanismi:
1. Proiezione (funzione evasiva: si vive una realtà immaginaria).

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2. Identificazione (funzione integrativa della vita reale: si suggeriscono modelli di
comportamento).
Gli immaginari mediali aimentano i nostri bisogni insoddisfatti, consentendoci di consumare
attraverso i media ciò a cui non accediamo per via materiale. Allo stesso tempo, nutrono la nostra
immaginazione di nuovi immaginari, rendendoci insoddisfatti di come siamo.
Attraverso i media, gli individui sentono di condividere un’esperienza che non è soltanto individuale:
sentono di essere parte dello spirito del tempo.

Tracce di teoria critica nella riflessione su internet


L’approccio critico a internet assume consistenza nel momento in cui si realizzano due condizioni
relative alla diffusione e all’accesso della rete: la diffusione di massa e l’internazionalizzazione.
La teoria critica di internet emerge nel momento di maggior entusiasmo culturale e acritico verso la
rete (nel 2006 Time elegge persona dell’anno l’utente della rete, YOU, cioè tutte le persone che
hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale producendo e diffondendo contenuti
online).
Evgeny Morozov nel 2011 denuncia il diffondersi di un attivismo da tastiera che si risolve in una
forma di slacktivism (attivismo per fannulloni), il quale promuove cause esclusivamente online e con
pochi sforzi. Il risultato è un disimpegno collettivo crescente e la depoliticizzazione.
Secondo Morozov, internet è succube dei governi. Quelli più autoritari possono utilizzarlo per
reprimere le libertà (es: la Cina e la personalizzazione della censura). In questa visione, l’audience è
una massa indistinta, unitaria e passiva anche quando, come nell’uso dei motori di ricerca, costruisce
autonomamente le proprie selezioni.
Secondo Geert Lovink (2008, 2016) esistono due ideologie su internet da demistificare:
1. ideologia del free e dell’open (nuovo sfruttamento di classe - profitti di internet).
2. ideologia della partecipazione (spazi che alimentano frustrazione e odio online come
effetto non intenzionale della produzione di informazione grassroot – movimento politico
creatosi in una comunità).
L’attenzione è puntata su internet come ambiente di riproduzione delle differenze di classe
applicate alla dimensione informativa e della conoscenza, e alla radicalizzazione dovuta alla logica
di partecipazione del web, che contiene le possibilità di polarizzazione del dibattito.

Cultural Studies
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta vi è una ripresa economica, l’affermazione del Welfare State,
l’Unione dell’Occidente contro l’URSS nemico comune, la previsione della classe operaia e
l’americanizzazione della cultura.
A Birmingham nasce nel 1964 il Centre or Contemporary Cultural Studies, il cui obiettivo era
studiare la cultura e le sue dinamiche di potere. Anche la cultura popolare viene inclusa nei loro
studi, donandole dignità.
I ricercatori di Birmingham prediligevano l’analisi etnografica sul campo.
La prospettiva di studio dei Cultural Studies era di tipo critico; infatti, secondo gli studiosi, l’industria
culturale è dotata di potere di manipolazione e di egemonia. Gli studi, però, non si concentrano sulla
manipolazione, ma sul campo di forza delle relazioni di potere e di dominio culturale.
L’idea di cultura dei Cultural Studies è di tipo sociale. La cultura è radicata nelle pratiche sociali
quotidiane.
Hoggart applica l’analisi degli studi letterari ai prodotti di cultura pop (fumetti, fiction, musica, ecc.)
considerandoli alla stregua della cultura alta. Eglistudiò anche i luoghi della cultura popolare come i
pub, in cui la cultura entra nelle vite quotidiane degli individui. Egli nota il progressivo abbandono
della cultura organica causata dall’omogeneizzazione dei prodotti culturali.
Williams, allo stesso tempo affermava che la cultura è un prodotto socialmente determinato, e
dipende da fattori di ordine sociale, storico, economico, politico, ecc. per cui possiamo distinguere
due tipi di cultura: cultura come arte e cultura come intero modo di vivere.
I Cultural Studies iniziano a studiare i pubblici che diventano parte di una tensione tra prodotti
culturali e pubblici. Si studiano i conflitti, gli scambi, gli antagonismi tra cultura dominante (dei

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media) e cultura popolare (quotidiana) su questo terreno di confronto. I membri delle audience
partecipano attivamente a questa battaglia.
Difatti, i Cultural Studies producono delle rotture rispetto ai precedenti studi sui media:
1. Distanziandosi dal comportamentismo con il modello S—>R (proponendo una visione dei
media come attivi nell’influenza sul pubblico);
2. Allontanandosi dall’idea di testi mediali portatori trasparenti di significato, ma analizzano
piuttosto i vari modi in cui il significato arriva ai pubblici.
3. Suggerendo una ricezione attiva e differenziata, con un’audience e soggetti che
recepiscono i messaggi in modi diversi.
4. Rinunciando all’idea di cultura di massa come fenomeno unitario e adottando la visione
per cui i
media sono canali attraverso i quali si diffondono rappresentazioni ideologiche dominanti.

Il modello encoding-decoding
Stuart Hall affermava che i media sono necessari al mantenimento dell’ordine sociale egemonico.
Secondo lui, i media suggeriscono ai pubblici una lettura preferita, un codice egemonico che
rispecchia le visioni dominanti della società. Il messaggio arriva in modo naturale e scontato per
tutti i membri dell’audience. In questo modo non vi è necessità di legittimazione da parte dei
pubblici che devono decodificare i messaggi.
Il produttore del messaggio (codificatore) crea un frame (codifica) in cui si inserisce il significato. Il
consumatore (decodificatore) lo decodifica a partire dal proprio background personale, dalla
propria condizione sociale e da un proprio frame interpretativo.
L’audience ha 3 diversi modi di posizionarsi rispetto alla lettura del messaggio:
1. Posizione egemonica o di lettura preferita: il consumatore prende il messaggio per come
viene
trasmesso, decodificandolo con lo stesso codice con il quale è stato costruito.
2. Posizione negoziata: il telespettatore è più consapevole ma “negozia” con il testo
elaborando delle
letture alternative del messaggio.
3. Posizione di opposizione: il consumatore conosce il codice egemonico, ma contrappone
elementi
provenienti da un quadro di riferimento esterno.
Tra il 1975 e il 1979, Morley svolse una ricerca su Nationwide (programma di BBC) per analizzare
la segmentazione dei pubblici (diverse interpretazioni dei messaggi). Un limite di questa ricerca è
la visione del programma in laboratorio, dunque in un contesto “anormale”.

Famiglie e televisione
Con il metodo etnografico, gli studiosi dei Cultural Studies entrano nelle case delle famiglie che
guardano la televisione e rivolgono loro domande su questa attività. È necessario avere grande
sensibilità per chi conduce l’osservazione perché deve avvicinarsi a mondi in cui i significati sono dati
per scontati.
Nel 1986 Morley studia le modalità di consumo televisivo delle famiglie di Londra. Questa attività di
consumo televisivo è di carattere sociale e collettivo. Fa parte delle relazioni familiari-domestiche e
accompagna altre attività svolte contemporaneamente. Esistono infatti fattori di complessificazione
del concetto di pubblico (si finisce a parlare di segmentazione).
Uno studio triennale sull’uso della televisione nelle famiglie americane rilevò due dimensioni d’uso
strutturale in ambito domestico: uso ambientale (tv come rumore di fondo, compagnia o
intrattenimento - la tv entra a far parte del nostro ambiente di vita) e uso regolativo
(accompagna le attività quotidiane es. mettersi a cena quando inizia il tg). Per gli usi relazionali
della televisione che i membri della famiglia ne fanno, si intende creazione di occasioni di
comunicazione, attivazione di processi di appartenenza/esclusione, occasione di apprendimento
sociale di modelli e valori, e creazione di occasioni per dimostrare competenza o esercitare forme
di dominio in famiglia.

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Media e vita quotidiana – teoria della domestication
Si promuove l’analisi del consumo mediale che viene visto come una vera e propria attività
produttiva (a differenza della dicotomia tra produzione e consumo).
Le tecnologie mediali si situano nei contesti domestici con le loro routine e abitudini, mettendosi in
competizione con altre tecnologie mediali. Il concetto di radicamento (embedding) considera i media
come oggetti culturalmente situati. Così cambiano anche le relazioni e le dinamiche familiari.
I media diventano parte del modo di identificarsi e di differenziarsi dargli altri (articolazione).
Allo stesso tempo, il concetto di addomesticamento (domestication) implica che le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione entrino nell’ambiente domestico e vi si integrino.
La teoria della domestication è costituita dal l’economia morale della famiglia, dalla doppia
articolazione del medium (come oggetto tecnologico e come mezzo di comunicazione), dalla
relazione tra ambiente esterno/pubblico e ambiente interno/privato.
Le fasi del processo di domestication sono:
1. Appropriazione: acquisto.
2. Oggettivazione: collocazione in casa anche per esibizione.
3. Incorporazione: inserimento dell’oggetto nelle routine domestiche.
4. Conversione: instaurazione di relazioni fra l’ambito familiare e il mondo esterno.

Le audience tra spettacolo e performance


Il paradigma spettacolo/performance vede le audience come soggetti “performativi”, capaci di
definire la propria identità a partire dalle relazioni costruite con le forme mediali. Il mondo è
concepito come uno spettacolo e l’audience come performer.
Abercrombie e Longhurst hanno coniato i termini di audience diffusa (lo spettatore produce
contenuti), audience di massa (non vi è condivisione della dimensione spazio-temporale) e
audience semplice (separazione netta tra spettatori e performer con condivisione della stessa
dimensione spazio-temporale). Questo paradigma evidenzia la sovrapponibilità dei ruoli di
audience e di performer, e la natura mutevole dei pubblici.
Abercrombie e Longhurst individuano quindi un continuum del pubblico sulla base dell’intensità del
modello di consumo dei media: consumatori, fan, adepti, appassionati e piccoli produttori.

Audience: dal consumo alla partecipazione


La diffusione delle tecnologie digitali e la possibilità di connessione always on hanno generato un
cambiamento nelle logiche di produzione, di distribuzione e di consumo di contenuti informativi e di
intrattenimento. Si tratta di un processo di progressiva ibridazione tra il momento della produzione e
quello della fruizione dei media. È il caso delle pratiche di social television: possiamo consumare un
contenuto televisivo e contemporaneamente condividere commenti o attivare conversazioni sul
programma attraverso i social media.
Il paradigma delle audience attive mette in luce la molteplicità di interpretazioni che i pubblici
possono dare di un prodotto mediale, i significati che gli attribuiscono, le forme di appropriazione
ed elaborazione dei contenuti che possono mettere in campo.

Henry Jenkins: cultura partecipativa e cultura convergente


Henry Jenkins studia il passaggio dal consumo alla partecipazione nel rapporto tra audience e
prodotti mediali. I suoi studi sono centrali per la ricerca sui fan e sulle culture partecipative nei
media.
Jenkins riflette sulla cultura partecipativa, mettendo in relazione forme di produzione culturale e
forme di scambio sociale. Questa relazione emerge osservando i fan come comunità interpretative
che “saccheggiano” i testi mediali e si appropriano dei contenuti rielaborandoli (dando origine ai
“propri” prodotti culturali).
Lo studio di Jenkins è condotto in un periodo in cui i gruppi di fan cominciavano a radicarsi negli
ambienti internet (Bulletin Board Systems e forum) organizzandosi in comunità virtuali. In queste
comunità le pratiche di interpretazione, rielaborazione e messa in circolazione di contenuti mediali
rappresentano forme significative di partecipazione.

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Jenkins indaga anche il cambiamento culturale che porta le persone a ricercare e a consumare i
contenuti combinando fra loro diversi media. Questo processo di convergenza mediatica è il flusso
dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e la
migrazione del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento.
Le organizzazioni mediali possono infatti favorire la collaborazione tra individui ma anche ostacolarle
(perché violano il copyright).
La convergenza tra produzioni delle corporations e produzioni grassroots può quindi produrre sia
forme di collaborazione, sia forme di conflitto.

Prosumers e produsers
Il termine prosumerismo tiene insieme la dimensione del consumo e quella della produzione di
contenuti.
Le nuove audience assumono il ruolo di prosumer partecipando alla produzione di contenuti online
(post, commenti, immagini, video condivisi) ma anche attraverso comportamenti online più banali
(ricerca e selezione di alcuni contenuti).
I media digitali facilitano questi processi e moltiplicano le forme di prosumerismo: ambienti wiki,
social media, siti di vendita con recensioni, ecc.
Bruns (2008) ha introdotto la definizione di produsage per riferirsi a quegli ambienti online in cui le
competenze sviluppate ad hoc e le pratiche collaborative messe in campo dagli utenti rendono
insufficiente la definizione di prosumer. Si parla di produser, termine che allude a competenze più
specifiche e alla natura di un produttore/utente attivo (ad es. negli spazi online in cui si sviluppano
software open source, in cui si producono contenuti nei giochi multiutente, o in generale
nell’innovazione guidata dall’utente).
Il coinvolgimento nella produzione e consumo è continuo e si attivano dinamiche cooperative e
collaborative tali da poter dire che anche l’utilizzo dei prodotti sviluppati, da parte degli utenti,
appartiene al processo produttivo del contenuto.

Networked publics e l’idea di danah boyd


Il progetto dell’Annenberg Center for Communication denominato Networked publics (2005/2006)
studia le trasformazioni che le tecnologie digitali producono sul modo in cui gli individui
interagiscono con le fonti informative, con i contenuti e tra utenti stessi,
Il concetto di networked publics è utilizzato in alternativa a quello di audience o di consumatori di
contenuti per sottolineare che ora i pubblici comunicano sempre di più secondo logiche bottom-up,
top- down e orizzontalmente tra pari.
Le tecnologie di rete ridisegnano i confini e le qualità dei pubblici, ristrutturano lo spazio costruito
dalle tecnologie e la dimensione collettiva immaginata, che è composta dalle persone, dalle
tecnologie e dalle pratiche d’uso degli ambienti connessi.
danah boyd suggerisce di analizzare i social media come networked publics, tenendo conto di come
le affordances di piattaforma (es. Facebook, Twitter, ecc.) modellino la partecipazione degli utenti e
definiscano i pubblici che si generano al loro interno.

Affordances di piattaforma
Le affordances di piattaforma sono dotate di:
1. Persistenza: i contenuti rimangono online.
2. Visibilità: i social media consentono di condividere contenuti con pubblici ampi.
3. Diffondibilità: i social media incoraggiano e semplificano la diffusione di contenuti
(pulsanti di condivisione, modalità di incorporazione di link, foto, video ecc.)
4. Ricercabilità: è possibile ricercare online i contenuti tramite i motori di ricerca.
5. Formazione di audience invisibili: non tutte le audience online sono visibili (c’è chi legge
contenuti social senza commentare, chi esplora profili di altri utenti, ecc.).
6. Collasso dei contesti: i confini spazio-temporali e sociali sono sfumati.

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7. Confini sfumati tra pubblico e privato: l’assenza di controllo sul contesto impedisce di
pensare in maniera netta alla distinzione pubblico-privato. Le due dimensioni diventano
fluide, e si producono forme di “privato in pubblico”.

I pubblici connessi
I pubblici connessi sperimentano contemporaneamente la doppia condizione di avere un pubblico
ed essere parte di un pubblico. Esplicitano in pubblico (in modi visibili) le loro reazioni ai contenuti:
hanno acquisito consapevolezza di essere pubblici e di esserlo in pubblico.
Molta della ricerca sulle comunicazioni di massa si è basata sull’analisi di significati e
rappresentazioni discorsive prodotte attraverso strumenti e formati dell’industria culturale: libri,
film, articoli di giornale, servizi giornalistici, fumetti, settimanali, fotoromanzi...
Nello scenario digitale, i testi si sedimentano negli spazi di rete diventando visibili e ricercabili.
Questi contenuti possono aggregare attorno a sé pubblici ad hoc che si raccolgono per commentare
notizie o eventi anche in tempo reale.
Le metodologie data-driven partono da un insieme di dati quantitativamente rilevanti e
tradizionalmente inaccessibili (Big Data) per identificare successivamente i percorsi di analisi.

Agenda setting - i media e la costruzione sociale della realtà


La teoria dell’agenda setting ruota attorno al riconoscimento del ruolo che i media svolgono nel
processo di costruzione sociale della realtà.
Fin dal 1940 Park sosteneva che le news costituiscono una forma di conoscenza. Si tratta di una
secondhand experience, cioè di un’esperienza di seconda mano, indiretta, mediata.
I media consentono di accedere a esperienze, mondi e realtà che difficilmente potremmo conoscere
personalmente, in particolare con la crescente complessità delle società moderne.
Le riflessioni sull’opera di mediazione e la costruzione della realtà sociale da parte dei media
possono essere fatte risalire al contributo di Lippmann (1922). Per Lippmann, la stampa e in generale
i mass media consentono ai cittadini di conoscere eventi e argomenti estranei alla loro realtà
attraverso la costruzione di stereotipi che contribuiscono a creare uno pseudo-environment e che
offrono elementi conoscitivi (rappresentazioni della realtà) e riferimenti contestuali in base ai quali i
soggetti reagiscono allo pseudo-environment che viene loro offerto interpretando il mondo e
prendendo decisioni.
Bisogna sottolineare l’importanza dei processi di costruzione sociale della realtà, di socializzazione e
di formazione dell’opinione pubblica. Questo però implica il ritorno sulla scena della ricerca del
tema degli effetti di lungo periodo. Secondo Noelle-Neumann, questa fase degli studi segna il
ritorno ai powerful media.
Si studia la capacità dei media di formare l’opinione pubblica attraverso l’attribuzione di rilevanza a
determinati temi presenti nell’agenda pubblica; il passaggio di salienza dai media agli individui; il
potere dei media di determinare la presenza dei temi nell’agenda e di ordinarla gerarchicamente; la
costruzione dell’agenda degli individui sulla base dei temi presenti nell’agenda dei media.

Il primo livello dell’agenda setting: dall’agenda dei media all’agenda del pubblico
A partire dagli anni Sessanta, gli studi sulla comunicazione cominciano ad affrontare il rapporto tra
media e individui secondo una prospettiva che vede i primi offrire ai secondi temi e questioni su cui
pensare e discutere: i media non costringono i soggetti ad assumere un punto di vista, ma
organizzano il loro orizzonte tematico.
Cohen nel 1963 affermò che “la stampa può nella maggior parte dei casi non essere capace di
suggerire alle persone cosa pensare, ma essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri
lettori intorno a cosa pensare”.
La prima ricerca empirica sull’agenda setting è stata condotta da McCombs e Shaw (1972) su una
campagna per le elezioni presidenziali del 1968 a Chapel Hill. I ricercatori hanno indagato il
contributo dei media nel determinare i temi discussi nella campagna. Dopo aver sottoposto delle
interviste a 100 soggetti prescelti (indecisi sul voto), gli studiosi procedettero alla raccolta e all’analisi

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degli argomenti presenti nei media (quotidiani, settimanali e notiziari televisivi) relativi all’area di
Chapel Hill.
I temi espressi dai soggetti e quelli presentati dai mass media sono poi stati messi a confronto.
La ricerca di McCombs e Shaw ha rilevato un’influenza dei media nella determinazione dei temi e
della loro rilevanza. L’influenza dei media avviene a livello di individuazione dei temi.
L’ipotesi dell’agenda setting si regge su due elementi chiave: i media sono in grado di determinare e
ordinare gerarchicamente la presenza dei temi nell’agenda, e l’agenda dei media si riflette nella
costruzione dell’agenda degli individui.
Gli elementi centrali del primo livello dell’agenda setting sono:
1. Natura dei temi: l’effetto di agenda può essere maggiore o minore a seconda delle
specifiche caratteristiche dei temi. L’esperienza diretta con determinati temi riduce il potere
di agenda dei media (e viceversa). Kurt e Gladys Lang distinguono tra temi a soglia alta
(lontani dalla vita quotidiana degli individui) e temi a soglia bassa (vicini ai soggetti, per
esperienza diretta o perché già entrati a far parte delle questioni di cui si dibatte – questi
sono necessari per entrare nell’agenda del pubblico).
2. Caratteristiche dei media: i diversi media esercitano un differente potere di agenda.
Benton e Frazier indagano il diverso livello di informazione offerto dalla stampa e dalla
televisione, verificando che la stampa ha effetti di agenda più profondi della del mezzo
televisivo. Si ipotizza che la televisione abbia un impatto a breve termine sulla composizione
dell’agenda del pubblico (spotlight).
3. Caratteristiche del pubblico: fattori di omogeneità o differenziazione. I fattori di
omogeneità o differenziazione nel pubblico sono il grado di interesse e distanza tra i valori
notizia dell’individuo e quelli dei media, la credibilità del sistema mediatico e interazioni
personali e reti sociali (conversazioni intorno ad argomenti presenti nei media), il bisogno di
orientamento e confronto tra esperienza personale e informazioni offerte dai media, la
coerenza con interessi e predisposizioni personali che governano le esposizione ai media
(agenda intrapersonale e agenda personale).
4. Natura dell’agenda: in passato l’agenda del pubblico corrispondeva all’agenda derivante
dalle risposte degli individui ai tradizionali sondaggi di opinione. Oggi assistiamo a una
moltiplicazione delle agende: la prioritized agenda, che si costruisce grazie ai media verticali
e alle conversazioni sui temi proposti; e l’agenda-melding, che comprende elementi
provenienti da agende verticali e orizzontali (riorganizza e mette in relazione i temi a partire
dagli interessi degli individui e/o da quelli del network di appartenenza).

La costruzione dell’agenda dei media


Lo studio della costruzione dell’agenda dei media riguarda la sfera pubblica, intesa come spazio di
discussione nel quale i temi acquistano rilevanza e visibilità.
I temi sono in “competizione” tra loro per attrarre l’attenzione del pubblico (che è limitata).
Nel processo di costruzione dell’agenda hanno un ruolo importante la realtà esterna (ad es.
disoccupazione, razzismo, emergenze, ecc.), la logica della selezione delle notizie e la costruzione di
un tema nell’ambito dei media (regole giornalistiche, notiziabilità, newsmaking), e i rapporti di
potere esistenti tra soggetti.
Il rapporto tra agenda dei media e agenda politica riguarda questioni relative alla formazione
dell’opinione pubblica, l’impatto di questa sui processi di policy making e il rapporto con i cittadini.
Le organizzazioni giornalistiche hanno spesso rapporti di prossimità con il sistema politico, infatti
molte delle notizie che vengono pubblicate si rifanno a fonti ufficiali (comunicati stampa, fonti
governative, ecc).
L’interazione tra agenda dei media e agenda politica può indirizzare l’attenzione dei cittadini verso
certi temi, consentire la comunicazione interna al sistema politico, fornire i temi e dare supporto
interpretativo nei confronti delle vicende pubbliche .
Secondo McCombs (2004), l’agenda dei media è stabilita nell’insieme delle relazioni tra agenda dei
media e altre agende:
1. le fonti principali che forniscono le informazioni alla base della copertura giornalistica;

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2. le altre testate giornalistiche e di informazione;
3. le norme e le tradizioni proprie del giornalismo.
Secondo Weaver e Choi (2017), è lo spazio alle conseguenze della presenza dei social media
(intermedia agenda) a creare l’agenda:
1. fonti autorevoli e dotate di potere;
2. altri media;
3. norme e tradizioni giornalistiche;
4. eventi inattesi;
5. audience mediali.
Per le audience contemporanee esiste la possibilità di segnalare intorno a quali temi vogliono
pensare le persone (es. conversazioni nei social media): si rovescia così l’assunto di base
dell’agenda-setting.
I social media si sono trasformati per i giornalisti in un ambient journalism (Hermida 2010) in cui è
possibile intercettare umori e opinioni dei cittadini (da utilizzare nella propria professione). Questi
possono acquisire visibilità ed esercitare un’influenza sull’agenda dei media.
La search agenda utilizza un motore di ricerca per cercare informazioni su un determinato
argomento, mentre la reverse agenda prevede un intenso flusso conversazionale intorno a un tema
sui social media come volontà di imporre al centro del dibattito quella particolare tematica.

Il secondo livello dell’agenda setting: temi e frame


L’assunto teorico di fondo del secondo livello dell’agenda setting è che gli elementi che hanno
maggiore rilievo nelle rappresentazioni offerte dai media assumono lo stesso rilievo anche nelle
rappresentazioni elaborate dal pubblico (McCombs 1996).
Si sottolinea la rilevanza degli attributi (caratteristiche e proprietà) associati a determinati temi.
Questo vuol dire che le prospettive e i frame utilizzati dai giornalisti prima, e dal pubblico poi, sono
importanti per determinare l’agenda. L’approccio allo studio dell’influenza dei media è esteso alla
dimensione persuasiva.
La valutazione di un soggetto o di un tema avviene a partire dalle caratteristiche che ad esso
vengono associate secondo McCombs (1996):
1. Ciascun oggetto ha numerosi attributi che articolano la sua immagine (aspetti come
categoria generale di attributi e temi centrali come categoria specifica di attributi che
definiscono la prospettiva dominante rispetto all’oggetto);
2. Le prospettive e i frame che i giornalisti e i membri del pubblico utilizzano per pensare e
parlare degli oggetti fanno sì che l’attenzione si focalizzi su alcuni attributi e che si allontani
da altri.

Il terzo livello dell’agenda setting: la networked agenda


L’agenda setting per Guo (2014) è l’insieme delle relazioni che intercorrono tra gli elementi
dell’agenda dei media e l’agenda del pubblico. Ciò che si trasferisce da un’agenda all’altra non è più
soltanto una lista di temi ordinata gerarchicamente, ma un insieme di relazioni tra temi e attributi.
Perciò di parla di networked agenda nel terzo livello.

Riassunto dei tre livelli di agenda setting


1. Primo livello dell’agenda setting: i media sono in grado di influenzare l’agenda del pubblico
selezionando alcuni temi.
2. Secondo livello dell’agenda setting: i media sono capaci di dirci anche come pensare intorno ad
alcuni temi grazie all’uso degli attributi riferiti ad essi.
3. Terzo livello dell’agenda-setting: i media influenzano l’associazione tra temi e l’associazione tra
temi e attributi, attivando così un network di relazioni.

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La spirale del silenzio
Secondo Noelle Neumann, la pubblica opinione è un processo che si svolge continuamente tra i
cittadini, è basata sulla natura sociale umana e garantisce la formazione e il rafforzamento per ambiti
ricchi di valore. Essa è un’opinione ricca di valori in determinate aree, e può essere espressa in
pubblico senza aver paura di subire sanzioni.
L'opinione pubblica si forma grazie alla comunicazione interpersonale e ai rapporti sociali; ai mezzi di
comunicazione di massa; alle percezioni che gli individui hanno dei climi di opinione; alle
manifestazioni individuali delle opinioni.

L’effetto conversione
La teoria dell’effetto conversione prende avvio con lo studio del last minute swing (la fluttuazione
dell’ultimo minuto, ovvero l’effetto conversione, lo spostamento improvviso di opinioni e preferenze
elettorali durante le elezioni).
L’effetto conversione distingue tra intenzioni di voto e aspettative di voto (da Lazarsfeld). I soggetti
per i quali i due elementi coincidono si esprimono pubblicamente ad alta voce, pieni di fiducia di sé:
si tratta della maggioranza rumorosa. Coloro che, invece, temono la sconfitta di quelli che intendono
votare si sentono abbandonati a sé stessi, si ritirano, ricadono nel silenzio: si parla di minoranza
silenziosa.

Opinione pubblica integrativa


Nel 1972, durante le elezioni federali nella Germania Ovest, erano presenti delle scelte
dell’elettorato che facevano apparire i gruppi più forti o più deboli di quanto non lo fossero
realmente. Infatti, la scelta di tacere le proprie opinioni attiva un processo a spirale che comporta la
scomparsa di uno dei gruppi dalla scena pubblica (e di conseguenza la prevalenza dell’altro).
L’opinione pubblica integrativa è il risultato di un processo che coinvolge i cittadini e che si basa sulla
natura sociale degli individui: l’opinione dominante costringe alla conformità di atteggiamento e
comportamento nella misura in cui minaccia di isolamento l’individuo che dissente (Noelle
Neumann, 1974).
L’opinione pubblica integrativa si basa su 5 assunti fondamentali:
1. La società minaccia di isolare gli individui devianti (gli individui temono l’isolamento
sociale).
2. Per evitare una condizione di isolamento, i soggetti operano un monitoraggio di ciò che gli
altri pensano intorno ai temi controversi (di attualità, cronaca, politica, ecc.).
3. Questo timore spinge gli individui a rapportarsi costantemente con quello che si ritiene
essere il clima di opinione - per individuare il clima di opinione dominante gli individui fanno
ricorso ai media e all’esperienza personale (competenza quasi statistica).
4. La necessità degli individui di valutare se il proprio punto di vista li colloca tra coloro che
condividono una posizione maggioritaria o minoritaria, fa acquisire loro una competenza
quasi-statistica (le persone hanno l’abilità di stimare quanto sono forti le posizioni all’interno
del dibattito pubblico) - la competenza quasi-statistica è frutto di una combinazione tra
l’adattamento all’ambiente circostante e l’ambiente virtuale televisivo.
5. Gli individui scelgono se abbracciare la posizione maggioritaria oppure tacere
scomparendo dai media.
Come conseguenza individuale, semplicemente vengono nascoste le opinioni se si ritiene di essere in
minoranza; le si manifestano se si ritiene che siano conformi a quelle della maggioranza. Come
conseguenza sociale, le idee considerate dominanti si diffondono sempre più con un effetto a spirale
a scapito di quelle considerate in minoranza.

Il ruolo dei media nella spirale del silenzio


I media giocano un ruolo rilevante nel consentire agli individui di cogliere il clima di opinione
prevalente. Questa teoria dà un’importanza specifica alla televisione, in quanto consente:
1. L’abbattimento della selettività: la televisione rende la percezione selettiva più difficile di
quanto non avvenga con la stampa o con altri media.

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2. La consonanza: presenza di argomentazioni molto simili su argomenti prossimi all’interno
dalla programmazione.
3. La cumulatività: apparizione periodica o ricorrente di argomentazioni.
La percezione di un doppio clima di opinione da parte degli individui si correla con il consumo
mediale, integrando elementi provenienti dall’esperienza personale. L’osservazione dell’ambiente
circostante porta a formulare previsioni; i media contribuiscono a elaborarne altre. Inoltre, gli
individui credono di essere gli unici a pensare in un certo modo su un determinato tema, pertanto
preferiscono non esprimersi e rimanere in silenzio (pluralistic ignorance).
I media non si limitano a dare spazio a una posizione piuttosto che a un’altra, ma forniscono il
materiale utile a sostenerla.
Al giorno d’oggi, le caratteristiche del nuovo sistema mediale hanno potenziato l’idea che i media
esercitino una funzione di articolazione discorsiva. Un sistema mediale polarizzato può produrre un
importante grado di distorsione nella percezione del clima di opinione generale (es. le polarizzazioni
su temi sensibili nelle conversazioni che avvengono nei social media).
Nella networked society, gli individui appartengono a una pluralità di gruppi di riferimento. Inoltre,
le modalità attraverso le quali oggi si esprime un’opinione pubblicamente sono differenti e
moltiplicate: like, condivisione di un post, pubblicazione di un commento, ecc. Queste caratteristiche
generano numerose spirali del silenzio.

La teoria della coltivazione – lo storytelling della televisione


La teoria della coltivazione si appoggia sul riconoscimento della vocazione della televisione allo
storytelling - e del suo legame con il desiderio dei pubblici di ascoltare storie. La televisione offre ai
telespettatori storie ripetitive che sono “ritualisticamente consumate” (Gerbner, 1977).
Le funzioni della televisione sono:
1. Funzione affabulatoria: la televisione parla, racconta, propone storie - in questo modo stimola
l’immaginario dei soggetti, soddisfa il loro bisogno di evasione, ne incarna le fantasie realizzandole in
storie vicine alla loro quotidianità.
2. Funzione bardica: la tv ci propone mondi, comportamenti, atteggiamenti e opinioni proponendole
sotto forma di storie che narrano il presente e il passato delle comunità.

Cultural Indicators Project


La cultivation analysis è l’insieme di teorie e di procedure che analizzano l’influenza del consumo di
televisione sulla concezione e percezione che il pubblico televisivo ha della realtà sociale.
La teoria della coltivazione è la terza componente di un paradigma di ricerca denominato Cultural
Indicators, il quale indaga i processi della produzione del contenuto dei media, le immagini del
contenuto dei media, le relazioni tra esposizione ai messaggi televisivi e credenze e comportamenti
dell’audience.
La ricerca dei Cultural Indicators parte negli Stati Uniti a fine anni Sessanta (dopo gli assassini di
Martin Luther King e Bob Kennedy). La Commissione Nazionale sulle Cause e la Prevenzione della
Violenza commissionò al team una serie di ricerche sulla natura e le conseguenze della presenza di
violenza in televisione. Negli anni successivi, le ricerche approfondirono l’influenza dell’esposizione
televisiva in molti settori (ruoli sessuali, stereotipi generazionali, salute, scienza, famiglia, rapporto
tra risultati scolastici e aspirazioni, politica, religione).
L’ipotesi di ricerca del Cultural Indicators Project è che i telespettatori forti siano portatori di una
visione del mondo come un luogo triste e squallido (depressione e alienazione) e che tra di loro si
possa individuare la condivisione di punti di vista comuni (mainstream).
A livello metodologico, i ricercatori procedono su un doppio binario:
1. Analisi del sistema del messaggio veicolato dalla televisione.
2. Conduzione di interviste sul pubblico.
A queste ultime si aggiunge successivamente un confronto con i dati raccolti da istituti nazionali di
ricerca (variabili demografiche considerate: sesso, età, razza, istruzione, reddito, orientamento
politico, area di residenza. Esposizione televisiva: individuazione di spettatori deboli, medi e forti).

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La ricerca mostra come per ogni dieci protagonisti di sesso maschile che commettono violenza, vi
sono undici vittime. Per ogni dieci protagonisti di sesso femminile che commettono violenza, vi sono
sedici vittime. Le minoranze e le donne straniere sono le categorie più penalizzate.
A seguito delle interviste, emerse che i telespettatori forti ritenevano di avere maggiori probabilità di
essere coinvolti in episodi di violenza: mostravano di avere una percezione esagerata del pericolo e
una visione distorta circa il tasso di criminalità nel paese.
La ricostruzione del tema della violenza presenta dunque una duplice caratteristica: la violenza è
rappresentata tramite attori e ruoli ben definiti (donne vittime, uomini e minoranze attori della
violenza). Questo dà corpo al fenomeno del mainstreaming, al centro dello studio della coltivazione -
riflette i timori dei soggetti potenzialmente vittime, producendo risonanza: i telespettatori che
vivono situazioni simili a quelle rappresentate dal mezzo televisivo saranno maggiormente sensibili
al contenuto del messaggio (doppia dose di significato, che coniuga esperienze reali e televisive).
Le interviste sono state confrontate con i dati reali relativi alla popolazione vittima di violenza, che
però indicavano una percentuale molto contenuta.
L'effetto di coltivazione fa sì che i consumatori forti elaborino risposte televisive, ovvero una
sovrapposizione tra realtà televisiva e mondo reale.

Il mainstream televisivo e la sua coltivazione


Il mainstream è la corrente dominante di convinzioni culturali, valori e comportamenti. Essa
rappresenta le dimensioni più ampie e comuni di significati e affermazioni condivisi.
Ciò che rende la televisione unica è la sua capacità di standardizzare, modellare, amplificare e
condividere le norme culturali comuni con tutti i membri della società.
La televisione è una fonte primaria della cultura quotidiana. Essa fornisce un rituale
quotidianamente condiviso di contenuti molto coinvolgenti e informativi.
Il mainstreaming è la coltivazione (indotta da una forte esposizione televisiva) di punti di vista e
valori comuni. Le differenze culturali, sociali e politiche tra gruppi diversi di spettatori tendono ad
annullarsi se gli individui sono consumatori forti di televisione.
L’analisi della coltivazione mira ad accertare se coloro che trascorrono più tempo davanti alla
televisione (consumatori forti) sono più propensi a percepire il mondo reale in un modo che riflette i
messaggi e gli insegnamenti più comuni e ripetitivi della televisione.
I fruitori deboli tendono ad essere esposti a fonti di informazione varie e diverse (sia mediate che
interpersonali) e, quindi, a fare meno affidamento sulla televisione.
I media sono considerati come ambienti simbolici che coltivano (cultura-acculturazione) la
percezione individuale della realtà. Ad essi, Gerbner attribuisce la capacità di coltivare immagini del
reale, produrre acculturazione e sedimentare sistemi di credenze, rappresentazioni mentali,
atteggiamenti e la funzione di agenzia di socializzazione.
La televisione costituisce la corrente principale (mainstream) della cultura americana (Gerbner,
1976).
Attraverso l’analisi del contenuto sulla programmazione televisiva, Gerbner costruisce una griglia
valoriale in base alla quale tutti i soggetti che appaiono in televisione vengono studiati e confrontati
al fine di stabilire il giudizio di valore implicito che viene fuori dal contesto in cui sono inseriti.
Secondo Morgan e Signorielli, l’effetto di coltivazione comporta una conferma per i credenti e un
indottrinamento per i devianti.
Per misurare l’effetto di coltivazione, Gerbner e i suoi collaboratori mettono a punto un sistema di
verifica, il differenziale di coltivazione: rispetto al tema della diffusione della violenza nella società, il
soggetto fortemente esposto alla televisione svilupperà la convinzione che la realtà sia caratterizzata
da un elevato livello di violenza e che esista un'alta probabilità di essere vittima nella realtà.

I limiti della teoria della coltivazione


Le interviste elaborate dal Cultivation Analysis Project non sarebbero ben formulate e produrrebbero
dati finali non del tutto attendibili.
La Cultivation Analysis sottostimerebbe le variabili contestuali, privilegiando esclusivamente il fattore
temporale (qualitativo).

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La teoria della coltivazione ipotizza anche l'influenza della televisione sui soggetti, ma sarebbe
possibile anche una relazione inversa: sarebbero gli individui che presentano già disagi psicologici a
fruire maggiormente della televisione.
Morgan e Signorielli hanno stilato una variegata lista dei problemi aperti della teoria.

La coltivazione e il sistema mediale contemporaneo


L’offerta mediale percorre oggi canali diversi (cavo, satellite, internet, ecc.), è gestita da imprese
attive su più piattaforme (Netflix, Amazon, YouTube, ecc.), ha un elevato livello di specializzazione
rispetto ai contenuti (canali tematici) e consente l’accesso on demand ai contenuti desiderati.
Assistiamo a trasformazioni rilevanti nelle modalità (smart television, internet, visione su computer,
tablet, smartphone, ecc.) e nei tempi di consumo (possibilità di scegliere contenuti da una library e
visionarli in un momento successivo, di programmare la visione di un’intera serie televisiva nel corso
di una serata; fenomeni di binge watching ecc.).

Molte coltivazioni
Secondo Gerbner, l'approccio macrosistemico è scomparso nel tempo. Ci si concentra sui singoli
generi televisivi (talk show, serie mediche, programmi di bellezza, ecc.) e sui meccanismi della
memoria attivati nel fornire le riposte agli item utilizzati per misurare la coltivazione.
La validità della ricerca empirica è tentennante a causa dell'imprecisione dell’analisi del contenuto
dei messaggi e della misurazione del consumo televisivo. L'ambiguità risiede nella costruzione delle
risposte televisive contrapposte alle risposte provenienti dal mondo reale.
Inoltre, la teoria va letta all’interno di un sistema mediale mutato: abbiamo difficoltà ad analizzare il
contenuto dei messaggi (i quali si moltiplicano in modo esponenziale), e a misurare l’esposizione al
mezzo televisivo, che oggi è distribuita su più dispositivi e collocata in momenti diversi della giornata.

Teoria del knowledge gap


La teoria del knowledge gap è stata formulata negli anni Settanta da Tichenor, Donohue e Olien.
Essa poggia sulla teoria secondo cui alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa non si
accompagni l’uguaglianza sociale, ma forme di sviluppo e di distribuzione della conoscenza molto
squilibrate.
Nella formulazione originaria, gli autori sostengono che lo status socio-economico sia il fattore che
più incide nell’acquisizione (e nella velocità di acquisizione) delle informazioni da parte dei diversi
segmenti di popolazione. Lo scarto di conoscenza tenderebbe ad aumentare anziché diminuire.

La variabile dell’istruzione
La variabile dell’istruzione ha grande rilevanza nello spingere o meno i soggetti ad acquisire
informazioni. Ma si possono individuare anche altri fattori: le abilità comunicative dei soggetti,
l'informazione posseduta (esperienza, costruzione di un’"enciclopedia" da parte degli individui), i
contatti sociali, l'esposizione selettiva, l' accettazione e la memorizzazione delle informazioni, e la
natura del sistema dei media che distribuisce l’informazione.
Gli autori sostengono che l’acquisizione di conoscenza su argomenti fortemente pubblicizzati
procede con un ritmo maggiore tra i soggetti con istruzione più elevata. Questo, però, non accade
per gli argomenti meno pubblicizzati.

Il ruolo dei media nell’ambito del knowledge gap


I media svolgono un ruolo importante nel favorire e nell'ostacolare l’apertura di scarti di conoscenza
sulla base della visibilità data a certi argomenti piuttosto che ad altri.
In relazione a particolari temi, alcune persone potrebbero essere più informate di altre.
Occorre tenere in considerazione la natura della notizia trattata dai media: il tema trattato e il livello
di conflittualità incidono sulla diffusione informativa attraverso le reti interpersonali.
I media possono inoltre aprire o chiudere gap poiché una serie di fattori motivazionali possono
rispondere ad effetti mediali.

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Scarti di conoscenza e potenziale comunicativo
Nowak (1977) riformula il peso e il ruolo dei diversi fattori attraverso il concetto di potenziale
comunicativo, inteso come insieme di risorse che consente di ottenere e dare informazioni e che
facilita il processo comunicativo.
Il potenziale comunicativo dipende da:
1. caratteristiche personali;
2. caratteristiche legate alla posizione sociale del soggetto;
3. caratteristiche della struttura sociale in cui il soggetto è inserito.

Ricerche in ambito del knowledge gap


Budd, MacLean e Barnes (1966) conducono una ricerca sulla diffusione della notizia delle dimissioni
di Chruščëv e del caso Walter Jenkins del 1964. Questa ricerca conferma l'esistenza dei knowledge
gaps.
La ricerca si svolge sul livello di conoscenza dei cittadini americani su diversi argomenti, tra cui
satelliti terrestri e viaggi sulla luna.
Tra il 1949-1965, man mano che i media parlavano sempre di più di questioni legate alla scienza, alla
medicina, ecc., i soggetti con un maggior livello di istruzione hanno via via ritenuto realizzabile
l’allunaggio, mentre tra i soggetti con minore istruzione la stessa idea era meno diffusa.
Secondo un altro ricercatore, Rogers (1976), oltre agli scarti informativi giocano un ruolo rilevante
anche gli scarti relativi agli atteggiamenti e ai comportamenti.
Le conferme alle ipotesi iniziali (importanza del livello di istruzione, livello di
visibilità/pubblicizzazione degli argomenti), portano gli autori a ritenere che i mass media abbiano
una funzione simile ad altre istituzioni sociali, in quanto rafforzano o addirittura aumentano le
disuguaglianze esistenti (Tichenor, Donohue, Olien, 1970).

La questione della chiusura degli scarti


Tichenor, Donohue e Olien si sono interessati poco alle condizioni che possono agevolare una
chiusura degli scarti.
Questo limite deriva anche dall’aver privilegiato l’analisi della stampa (più in sintonia con un
pubblico con un livello di istruzione elevato) e lasciato in secondo piano la televisione.
Rispetto alla televisione, infatti, si è ipotizzato un possibile ruolo di livellatore di conoscenza.
In presenza di alcune condizioni, è possibile una riduzione degli scarti di conoscenza. Il meccanismo
che porta al rallentamento o alla chiusura del gap è costituto dagli effetti soglia, che possono aversi
in seguito a:
1. Una situazione di interesse informativo appagato per i gruppi privilegiati e recupero da
parte degli altri;
2. Una preoccupazione rispetto a un argomento, che può comportare una diffusione
generalizzata di informazioni;
3. Un’eventuale conflittualità di un argomento, che può stimolare i gruppi privilegiati a
informarsi per raggiungere gli altri soggetti;
4. Nelle comunità omogenee, gli scarti possono chiudersi in tempi più rapidi.

Modelli di Kwak
I modelli di Kwak (1999) analizzano l'educazione e le motivazioni delle audience:
1. Modello di associazione causale: i fattori motivazionali sono secondari, dipendono
dall’educazione - più l'educazione è elevata, più elevate sono le motivazioni.
2. Modello di spiegazione rivale: l'educazione e le variabili motivazionali sono fattori
indipendenti nell’acquisizione delle informazioni dai media - sono gli interessi diversi a
caratterizzare il knowledge gap.
3. Modello di dipendenza dalle motivazioni: il divario di conoscenze si basa su differenze
educative e può essere moderato dai fattori motivazionali. Per le persone con alti livelli di
motivazione, il gap basato sull’istruzione è inferiore rispetto al gap tra quelli con bassi
livelli di motivazione.

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La complessità dei fattori in gioco
Il modello del knowledge gap appare antitetico a quello dell’agenda setting: mentre l'agenda setting
attribuisce ai media un tipo di influenza che convoglia intorno al contenuto dei media le conoscenze
del pubblico (assimilazione comune), il paradigma del knowledge-gap implica un costante processo
di differenziazione sociale dei sistemi di conoscenza attivati dai media.
In realtà, ciascuno dei due modelli chiama in campo alcune variabili contingenti ed intervenienti, che
vincolano la rigidità dei processi descritti a condizioni esterne al puro e semplice funzionamento dei
soli media (Wolf, 1992).

Digital divide
La teoria degli scarti di conoscenza ritorna di attualità con la diffusione delle tecnologie della
comunicazione digitale.
Il tema del digital divide può essere interpretato come una riproposizione in chiave odierna
dell’ipotesi degli scarti di conoscenza.
Negli anni Novanta si ipotizzava che la diffusione di connettività e l’accesso alla società delle reti
favorisse (grazie all’accesso alle informazioni) l’uguaglianza sociale.
La distinzione tra have e have nots pone l'accento sull'ineguale distribuzione territoriale delle
tecnologie, tra aree industrializzate e Paesi del terzo e quarto mondo. Vige la scarsa capacità delle
tecnologie di tradursi in servizi effettivi e vi sono costi di accesso per gli utenti (monetari e culturali).
I gap possono essere molteplici: tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, tra aree urbane e aree
rurali, tra giovani e anziani, a livello di new media literacy, ecc.
La diffusione di una particolare innovazione dipende da fattori economici e culturali, e dalle
caratteristiche del sistema sociale.
I molti fattori che concorrono a delineare una situazione di differenziazione fanno sì che sia possibile
il verificarsi di tempi e modalità diverse nella rapidità di diffusione delle nuove tecnologie.
Se ci rifacciamo al modello della diffusione delle innovazioni di Rogers, è possibile che la curva a S
che descrive la diffusione delle innovazioni presso la popolazione subisca delle trasformazioni. Si
ipotizzano in proposito due modelli: il modello della normalizzazione e il modello della
stratificazione.

Dal Digital divide alla Digital (in)equality


Lo slittamento concettuale che si concentra sulle differenze d’uso e l'accesso all’informazione
mediale va anche in base alle motivazioni degli utenti (DiMaggio e Hargittai, 2001).
Le diseguaglianze prodotte dal digitale sono date da 3 fattori:
1. Accesso: la qualità e l'autonomia della connessione (accesso formale, effettivo,
tecnologico e sociale). Bisogna distinguere tra disponibilità fisica e tecnica di una
connessione, e il possesso di capacità e competenze tali da consentirne l’uso.
2. Competenze: riguardando la possibilità di chi dispone di una connessione di
buona qualità, di acquisire maggiori competenze: learning by doing e competenze
digitali (van Dijk 2005) (competenze operative, informazionali e strategiche).
3. Uso: per informazione, comunicazione, lavoro, educazione, affari e finanza, shopping,
intrattenimento (van Dijk, 2005). Gli usi dipendono dalla disponibilità di risorse economiche,
sociali, culturali e tecnologiche, distribuite in modo diseguale tra gli individui.

Modelli di analisi delle diseguaglianze digitali


Bisogna indagare il rapporto esistente fra la rete e le opportunità di vita, e il nesso tra disuguaglianze
digitali e disuguaglianze sociali.
I nessi causali nati all’origine delle disuguaglianze digitali sono:
1. Posizione sociale: i soggetti svantaggiati hanno meno possibilità di accedere alle risorse di
tipo economico, culturale, sociale, politico e digitale.
2. Risorse individuali: determinano modi e tempi dell’appropriazione tecnologica.
3. Appropriazione tecnologica: dipende dalle risorse a disposizione e dalle
caratteristiche delle tecnologie.

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4. Inclusione sociale e partecipazione: dipende dai livelli elevati di appropriazione
tecnologica; si riflette sulla posizione sociale degli individui.
Questi fattori fanno parte del modello cumulativo delle diseguaglianze digitali.

Inclusione ed esclusione dai meccanismi di partecipazione


L’avvento della network society rischia di favorire dinamiche di polarizzazione sociale.
Vi è quindi il rischio di una divaricazione tra un vertice (un’élite digitale che accumula tecnologie e
pieno accesso alla rete), e una base della scala sociale, composta da individui che non sono nelle
condizioni di sfruttare i benefici offerti dalle tecnologie.

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