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La società di massa
Esistono due diverse prospettive di visione della storia sulle teorie dei media.
Secondo la ricostruzione a cicli di Neuman, in certi cicli si pensa che i media abbiano un effetto
potentissimo di influenza, e questi si alternano a cicli di ridimensionamento della portata degli stessi.
Negli anni ‘70 vi fu una ripresa del primo ciclo (lettura diacronica).
Secondo il criterio della complessità crescente di Wolf, invece, si ha una progressiva aggiunta di
complessità alle teorie sviluppate nel tempo.
La società di massa è un’entità complessa. Si tratta di una società in cui le istituzioni relative ai diversi
sottosistemi sociali sono organizzati in modo da trattare insiemi di persone come unità
indifferenziate di un’unica massa.
La società di massa emerge dalla Rivoluzione industriale a cavallo dell’Ottocento
(industrializzazione), dando il via alla modernizzazione e alla specializzazione.
A metà Ottocento, il media più simile ai mass media odierni era l’esposizione universale (pubblici di
milioni di spettatori), fruibile anche da chi era analfabeta.
Si ebbe il passaggio da comunità a società (meccanica ---> organica), ma il rischio più grande era
l’anomia (Durkheim). Era infatti comune tra gli studiosi una visione della società come insieme di
individui facilmente manipolabili e poco controllabili.
La massa è un aggregato di individui isolati tra di loro, con assenza di comunicazione, soli e
manipolabili. Scompaiono i gruppi e gli individui si isolano. Nasce la tendenza all’omologazione
(annullamento delle caratteristiche individuali), l’atomizzazione (isolarsi) e la concezione di
onnipotenza dei mass media in grado di manipolazione.
È necessario contestualizzare il modello concettualizzato a seconda del periodo storico (es.
l’esistenza della radio che si poteva solo ascoltare).
Il modello stimolo-risposta S --> R (anni ‘20) era considerato un modello di propaganda (grazie a
stampa e radio) in una società in cui ogni singolo individuo è uguale all’altro.
Il modello di Shannon e Weaver (teoria matematica) si occupava di rendere ottimale la
trasmissione di messaggi, evitando il rumore che provoca distorsione.
A seguire, il modello di Lasswell (a caselle) si occupava di rendere chiari il comunicatore, il
messaggio, il medium, l’audience e gli effetti ecc. A questi ultimi viene data più importanza di
prima, aprendo le porte a prospettive di ricerca che prima non erano stati propriamente individuati.
Questo modello pecca nei ruoli delle caselle: la trasmissione è lineare, senza interazioni e manca di
feedback. Un’altra volta troviamo un’idea indifferenziata di massa.
A partire dalla fine degli anni ‘20 (1929-1932) vi fu un primo filone di studio di 13 ricerche sui minori
e sul cinema. Il cinema stava avendo un boom di massa. La preoccupazione era incentrata
sull’influenza sui bambini e sugli adolescenti e se questa potesse cambiare i loro valori. A questo
proposito, i ricercatori mapparono 10 categorie cinematografiche: il 75% dei film per minori
contenevano le categorie di crimine, sesso e amore. Il primo filone qualificava il sistema di credenze
e atteggiamenti (es. nei confronti del razzismo), mentre il secondo studiava il comportamento in
seguito all’esposizione ai film (analisi qualitativa sulle pratiche quotidiane). I media, infatti, svolgono
una funzione modellizzante sulla realtà.
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Nell’economia si ha una terziarizzazione dell’economia (cresce il settore terziario dei servizi).
Incrementa la rapidità di diffusione delle tecnologie in ogni campo.
Possiamo riferirci a ben quattro rivoluzioni industriali:
1. Prima Rivoluzione Industriale: dal 1780 con l’introduzione di strumenti meccanici.
2. Seconda Rivoluzione Industriale: dal 1870 con l’organizzazione del lavoro e la produzione di
massa.
3. Terza Rivoluzione Industriale: dal 1970 con l’automatizzazione.
4. Quarta Rivoluzione Industriale: oggi con l’Internet delle cose.
A queste rivoluzioni corrispondono altrettanti modelli di industria:
1. Industria 1.0: meccanizzazione.
2. Industria 2.0: produzione di massa.
3. Industria 3.0: automatizzazione.
4. Industria 4.0: sistemi cibernetica.
L’utopia cibernetica
L’utopia cibernetica si riferisce a un intreccio tra tecnologia informatica e telecomunicazioni, dando
vita a un’idea di dematerializzazione del mondo che tende al virtuale.
Il romanzo che dà il via a questa utopia è Neuromante di Gibson del 1984, che parla di
un’allucinazione vissuta virtualmente. Questa visione prevedeva una società capace di autoregolarsi,
e inizia a sembrare vera quando internet (macchina) inizia a collegarsi con sempre più persone.
Internet permette di creare comunità virtuali (come comunità primitive, cioè
omogenee a livello di visione culturale), accesso permanente e condiviso del sapere, tecno-
democrazia (chi dimostra più competenze guadagna maggior riconoscimento), egualitarismo digitale
(chi dimostra più competenze guadagna maggior riconoscimento), libertarismo espressivo.
Internet iniziò a nascere nel 1969 con Arpanet (militare), nel 1971 con l’email, nel 1998 con Google,
nel 2004 con Facebook e nel 2010 con Instagram.
Le configurazioni di società
La configurazione della società parte da una forma società tribale, poi passa per la civilizzazione
antica (organizzazione gerarchica verticale), e si estende alla società industriale (esplode la società di
massa), seguita dalla network society.
Esistono tre configurazioni di società:
1. Network society: si ha una trasformazione nel sistema dei media a partire dagli anni Ottanta,
i quali si caratterizzano per decentralizzazione, diversificazione e personalizzazione della
fruizione. Manuel Castells contribuì alla creazione di questo modello. Si ha un nuovo
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paradigma tecnologico che ha al suo centro le tecnologie dell’informazione, una crisi dei
modelli socio-economici capitalisti e statalisti, un’affermazione di movimenti culturali
portatori di valori sociali come la difesa dei diritti umani, l’ambientalismo e il femminismo.
Questo portò a una nuova struttura sociale dominante (quella di rete), a una nuova
economia internazionale e a una nuova cultura virtuale.
Si sviluppa una logica di rete, una capacità di riconfigurazione che supporta un bisogno di
cambiamento costante nella società.
Le tecnologie convergono in un unico sistema. I media diventano pervasivi in tutti gli ambiti
della vita, trasformando l’esperienza spaziale e temporale del mondo.
Mutano anche i pubblici di massa, con una differenziazione sociale e culturale diffusa e la
stratificazione sociale degli utenti.
2. Connective society: essere online e networked diventa normale (networked significa essere
in una rete). Rainie e Wellman parlano di un nuovo sistema operativo sociale dato da tre
piccole rivoluzioni: quella dei social network, quella di internet e quella mobile. Gli individui
sono meno vincolati a piccole reti (parentali e di vicinato) e più legati a reti dislocate sempre
più allargate, diversificate e caratterizzate da minor coesione sociale e complessità. Essere
connessi diventa una condizione stabile e permanente: Castells la chiama auto-
comunicazione di massa (auto-generata, auto-diretta e auto-selezionata). L’attitudine di
“diventare media” prevede l’appropriazione degli strumenti mediali, di codici, di linguaggi, di
estetiche e di retoriche dei media. Muta il senso della posizione nella comunicazione da
parte dei pubblici in grado di restituire feedback. Questo però espone gli utenti a
un’esposizione ai commenti delle narrazioni prodotte.
3. Platform society: enfatizza la relazione tra le piattaforme online e le strutture sociali. Le
piattaforme producono le strutture sociali nelle quali viviamo, non solo le riflettono. Gillespie
le chiama i custodi di internet in quanto mediano il flusso di informazioni attraverso la logica
degli algoritmi di visualizzazione. Questa agisce in maniera invisibile e si basa anche sulla
remunerazione commerciale e pubblicitaria. Un algoritmo esprime una procedura in termini
matematici.
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Cantril individuò anche quattro categorie di radioascoltatori:
1. Soggetti in grado di controllare la coerenza interna del programma (conoscevano il format).
2. Soggetti che avevano proceduto a controlli esterni (avevano controllato fuori o contattato
altre persone).
3. Soggetti che si convinsero che era effettivamente caduto un meteorite (pur avendo tentato
controlli esterni).
4. Soggetti che non controllarono e che si fidarono ciecamente del programma.
I soggetti delle prime due categorie possedevano abilità critica per reagire in maniera appropriata.
La variabile religiosa portò le persone estremamente credenti a credere che si trattasse di una
punizione divina, a differenza dei soggetti più istruiti (al contrario dei soggetti più insicuri che
reagirono con panico).
L’influenza personale
Nella ricerca sulla campagna presidenziale americana del 1940 di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet,
gli intervistati dovevano indicare i propri contatti personali. Si evidenziava una maggiore efficacia dei
contatti face to face rispetto alla comunicazione mediale. I punti di forza della comunicazione
interpersonale sono la casualità e non intenzionalità della comunicazione, la flessibilità, la
gratificazione personale dei soggetti coinvolti e l’attribuzione di prestigio e autorevolezza.
I meccanismi di selettività possono essere aggirati o neutralizzati.
I ricercatori individuarono la figura del leader d’opinione, a cui si attribuisce capacità persuasoria.
Questi sono dei veri e propri mediatori tra i broadcaster e la massa. Il flusso è a due fasi:
mass media —> leader d’opinione,
leader d’opinione —> massa.
Gli individui non sono isolati socialmente, e quindi la comunicazione non avviene nel vuoto ma
arriva al pubblico mediata dalla società.
Il leader d’opinione è un nodo centrale che riceve, rielabora e trasmette le informazioni prese dai
media e le trasferisce alla rete o alla comunità di arrivo.
Il leader fa più uso di consumi mediali rispetto al resto degli individui e attua una sorta di filtro, ma
anche di apertura.
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Esistono quattro diversi tipi di leadership:
1. Leadership verticale d’opinione e leadership orizzontale d’opinione (Katz e Lazarsfeld).
2. Leadership d’opinione locale (polimorfico) o leadership d’opinione cosmopolita (Merton).
Watts e Dodds nel 2007 adottano un modello reticolare multi-step flow che vede il flusso e
l’influenza propagarsi per più vie e andare in ogni direzione del reticolo.
L’influenza è guidata maggiormente dall’interazione tra persone facilmente influenzabili piuttosto
che dalle stesse persone influenti. L’informazione si trasforma in una cascata che attiva sequenze
di interazioni sulle piattaforme.
I cittadini hanno un ruolo quasi da giornalisti nel dar conto dei fatti. Si creano meccanismi di
interesse (es. seguire determinati hashtag) e meccanismi fiduciari (es. seguire utenti che riteniamo
autorevoli su determinato tema).
Le micro-celebrity entrano nel quotidiano grazie alla produzione di video, alla gestione di blog e alla
creazione di contenuti per i social media. Questo si attua con un insieme di tecniche portano a
trattare le proprie audience alla stregua di fan da gestire e a costruire una personalità online.
Negli ambienti digitali coesistono diversi leader molecolari.
Usi e gratificazioni
Quando parliamo di usi e gratificazioni non facciamo riferimento a una teoria, ma a un approccio.
Holbert (2017) sostiene che sia più corretto parlare di un framework.
Sebbene sia stato criticato per la scarsa chiarezza dei suoi riferimenti teorici, questo approccio
continua ad essere impiegato nello studio del rapporto degli individui con i media.
Gli individui si rivolgono ai media per trovare una gratificazione per determinati bisogni: questa
prospettiva capovolge la visione che assegnava ai soggetti una posizione di passività rispetto al
sistema mediale. Il consumo mediale è concepito come un comportamento che “soddisfa bisogni
che hanno origine dall’interazione tra le disposizioni psicologiche individuali e l’esperienza della
situazione sociale” (McQuail e Gurevitch 1974).
L’attenzione si sposta dagli obiettivi dell’emittente (intenzionalità della comunicazione —> effetti sul
pubblico: manipolazione, persuasione, influenza) alle funzioni svolte dai media nella società; e dallo
studio di situazioni specifiche di fruizione mediale (le campagne) all’analisi di situazioni comunicative
(come la presenza quotidiana dei media nella società).
La teoria funzionalista
Secondo la teoria funzionalista, la società è concepita come un insieme di parti interconnesse, nel
quale nessuna parte può essere compresa se isolata dalle altre. Un qualsiasi mutamento in una delle
parti è considerato come causa di uno squilibrio che produce, a sua volta, ulteriori mutamenti in
altre parti del sistema se non, addirittura, una riorganizzazione del sistema stesso (Theodorson,
1969).
Gli elementi che caratterizzano questo approccio sono:
1. l’interconnessione delle parti;
2. l’equilibrio naturalmente autoprodotto;
3. la riorganizzazione che segue l’eventuale perturbamento dell’equilibrio.
La società è equiparata ad un organismo biologico, all’interno del quale i vari organi si dividono i
compiti, lavorando insieme per mantenere uno stato di equilibrio.
Secondo Parsons, all’interno della società esistono istituzioni che mantengono l’equilibrio e
garantiscono gli imperativi funzionali: l’adattamento all’ambiente, il raggiungimento di un fine,
l’integrazione delle varie parti, il mantenimento della struttura latente e la gestione delle tensioni.
Per fare ciò, diversi sottosistemi devono collaborare. Il sottosistema dei media contribuisce a
soddisfare il bisogno del mantenimento della struttura valoriale, sostenendo e rinforzando i modelli
di comportamento.
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2. Mediazione fra le componenti sociali (interpretazione delle informazioni relative
all’ambiente sociale);
3. Trasmissione del patrimonio sociale (norme, valori, ecc.) da una generazione all’altra e tra
vecchi e nuovi membri della collettività.
Wright (1975) aggiunge una quarta funzione: il divertimento.
Tra le altre funzioni possiamo citare anche quella di allertamento (possibilità di avvisare i cittadini di
pericoli improvvisi come eventi naturali), quella strumentale (realizzazione di alcune attività
quotidiane che necessitano di essere rese pubbliche), quella di controllo sull’ambiente circostante
(es. sciopero dei giornali), di rafforzamento del prestigio per i cittadini bene informati, di
attribuzione di status alle persone e ai gruppi oggetto di attenzione da parte dei media, di
moralizzazione (rafforzamento di norme sociali denunciando le deviazioni all’opinione pubblica).
Le disfunzioni dei mass media possono essere:
1. Eccesso di informazione: isolamento, disfunzione narcotizzante, falso senso di dominio
sull’ambiente prodotto dalla facilità di accesso alle informazioni.
2. Spinta al conformismo (il sottosistema dei media tende a mantenere l’equilibrio esistente e
induce a conformarsi alle norme consolidate piuttosto che a innovarle) .
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Le funzioni complesse, invece, sono:
1. La distensione emotiva (il bisogno che molti individui hanno di ottenere un alleggerimento
delle emozioni);
2. La scuola di vita (capacità di offrire modelli, stili di vita e di comportamento ai quali potersi
adeguare).
Approccio metodologico
L' approccio metodologico è qualitativo, con domande aperte per registrare le dichiarazioni degli
intervistati in merito alle funzioni dei media. Non si pone nessuna attenzione ai nessi tra le
gratificazioni cercate e le origini sociali e psicologiche del bisogno che deve essere soddisfatto.
Inoltre, non viene fatto nessun tentativo di individuare la complessa rete di relazioni tra le funzioni
dei diversi media
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5. I giudizi di valore circa il significato culturale dei mezzi di comunicazione di massa dovrebbero
essere sospesi finchè gli orientamenti dell’audience non possono essere indagati autonomamente.
(Katz, Blumler, Gurevitch, 1974).
La teoria critica della Scuola di Francoforte (vs. Bureau of Applied Social Research)
Negli USA si sviluppano tecniche di ricerca empirica tra gli anni Quaranta e Cinquanta con la
Scuola di Francoforte (rifugiatasi per sfuggire al nazismo). Horkheimer e Adorno erano i più
grandi esponenti di questa Scuola.
In quegli anni, esisteva anche il Bureau of Applied Social Research, il quale si metteva al servizio delle
organizzazioni per condurre ricerca empirica per i media, per studiare la loro efficienza e la loro
efficacia. La ricerca amministrativa aveva scopi istituzionali e commerciali (pubblicità, campagne,
ecc.). Il Bureau lavorava al servizio dei media.
Al contrario, la Scuola di Francoforte si interessava allo studio dei media come se si trattasse di un
contesto sociale. I ricercatori si occupavano della proprietà e del controllo tecnologico. La Scuola
di Francoforte non era finanziata dai media, ma studiava il fenomeno dall’esterno e criticamente
provava a suggerire uno studio “distaccato” e a proporre una policy di regolazione del sistema
mediale.
Il Bureau e la Scuola di Francoforte rispondevano a interrogativi diversi. Nel loro insieme, ci danno
un approccio unitario sulla riflessione sui media.
Dal lato amministrativo si interessavano della composizione e della dimensione delle audience. Dal
lato della teoria critica, veniva studiato un contesto sociale più ampio e le forme di dominio (snodi
centrali di potere mediale).
La ricerca amministrativa studiava i pubblici (preferenze, efficacia messaggi, ecc.) in quanto il suo
scopo era vendere.
La ricerca critica è orientata a studiare la società nel suo complesso. Ogni singolo fenomeno preso
in esame è posto in relazione con altri (es. contesto sociale e storico). La comunicazione viene
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vista come un processo che avviene all’interno della società.
La soluzione alla grande mole di dati empirici ricavati dalla Scuola di Francoforte (la società veniva
vista come una totalità) fu l’adozione di teorie a medio raggio, cioè teorie ipotizzate e verificate con
ricerche empiriche da parte della ricerca amministrativa, che tendeva alla frammentazione sociale.
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elementi e garantiscono la loro riconoscibilità in futuro. I generi nascono come modelli attitudinali
degli spettatori.
Esistono dei meccanismi sottesi alla costruzione dei prodotti mediali che li rendono riconoscibili ai
pubblici perché sono progettati per essere tali.
Questi meccanismi generano un modello prestabilito di aspettative che agisce prima della fruizione
(es.: quando guardiamo un film giallo sappiamo in partenza che difficilmente morirà il detective
protagonista).
Effetti attivati dall’industria culturale sugli individui: la manipolazione
L’industria culturale è una struttura multi-strato che si muove a vari livelli psicologici, sia manifesti
sia latenti. Ha l’obiettivo di riprodurre i rapporti di potere esistenti, cercando di attivare una forma di
dominio sugli individui.
I consumatori di prodotti culturali si trovano nella condizione di non poter interpretare
autonomamente quanto viene loro proposto perché ridotti a pseudoindividui.
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2. Identificazione (funzione integrativa della vita reale: si suggeriscono modelli di
comportamento).
Gli immaginari mediali aimentano i nostri bisogni insoddisfatti, consentendoci di consumare
attraverso i media ciò a cui non accediamo per via materiale. Allo stesso tempo, nutrono la nostra
immaginazione di nuovi immaginari, rendendoci insoddisfatti di come siamo.
Attraverso i media, gli individui sentono di condividere un’esperienza che non è soltanto individuale:
sentono di essere parte dello spirito del tempo.
Cultural Studies
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta vi è una ripresa economica, l’affermazione del Welfare State,
l’Unione dell’Occidente contro l’URSS nemico comune, la previsione della classe operaia e
l’americanizzazione della cultura.
A Birmingham nasce nel 1964 il Centre or Contemporary Cultural Studies, il cui obiettivo era
studiare la cultura e le sue dinamiche di potere. Anche la cultura popolare viene inclusa nei loro
studi, donandole dignità.
I ricercatori di Birmingham prediligevano l’analisi etnografica sul campo.
La prospettiva di studio dei Cultural Studies era di tipo critico; infatti, secondo gli studiosi, l’industria
culturale è dotata di potere di manipolazione e di egemonia. Gli studi, però, non si concentrano sulla
manipolazione, ma sul campo di forza delle relazioni di potere e di dominio culturale.
L’idea di cultura dei Cultural Studies è di tipo sociale. La cultura è radicata nelle pratiche sociali
quotidiane.
Hoggart applica l’analisi degli studi letterari ai prodotti di cultura pop (fumetti, fiction, musica, ecc.)
considerandoli alla stregua della cultura alta. Eglistudiò anche i luoghi della cultura popolare come i
pub, in cui la cultura entra nelle vite quotidiane degli individui. Egli nota il progressivo abbandono
della cultura organica causata dall’omogeneizzazione dei prodotti culturali.
Williams, allo stesso tempo affermava che la cultura è un prodotto socialmente determinato, e
dipende da fattori di ordine sociale, storico, economico, politico, ecc. per cui possiamo distinguere
due tipi di cultura: cultura come arte e cultura come intero modo di vivere.
I Cultural Studies iniziano a studiare i pubblici che diventano parte di una tensione tra prodotti
culturali e pubblici. Si studiano i conflitti, gli scambi, gli antagonismi tra cultura dominante (dei
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media) e cultura popolare (quotidiana) su questo terreno di confronto. I membri delle audience
partecipano attivamente a questa battaglia.
Difatti, i Cultural Studies producono delle rotture rispetto ai precedenti studi sui media:
1. Distanziandosi dal comportamentismo con il modello S—>R (proponendo una visione dei
media come attivi nell’influenza sul pubblico);
2. Allontanandosi dall’idea di testi mediali portatori trasparenti di significato, ma analizzano
piuttosto i vari modi in cui il significato arriva ai pubblici.
3. Suggerendo una ricezione attiva e differenziata, con un’audience e soggetti che
recepiscono i messaggi in modi diversi.
4. Rinunciando all’idea di cultura di massa come fenomeno unitario e adottando la visione
per cui i
media sono canali attraverso i quali si diffondono rappresentazioni ideologiche dominanti.
Il modello encoding-decoding
Stuart Hall affermava che i media sono necessari al mantenimento dell’ordine sociale egemonico.
Secondo lui, i media suggeriscono ai pubblici una lettura preferita, un codice egemonico che
rispecchia le visioni dominanti della società. Il messaggio arriva in modo naturale e scontato per
tutti i membri dell’audience. In questo modo non vi è necessità di legittimazione da parte dei
pubblici che devono decodificare i messaggi.
Il produttore del messaggio (codificatore) crea un frame (codifica) in cui si inserisce il significato. Il
consumatore (decodificatore) lo decodifica a partire dal proprio background personale, dalla
propria condizione sociale e da un proprio frame interpretativo.
L’audience ha 3 diversi modi di posizionarsi rispetto alla lettura del messaggio:
1. Posizione egemonica o di lettura preferita: il consumatore prende il messaggio per come
viene
trasmesso, decodificandolo con lo stesso codice con il quale è stato costruito.
2. Posizione negoziata: il telespettatore è più consapevole ma “negozia” con il testo
elaborando delle
letture alternative del messaggio.
3. Posizione di opposizione: il consumatore conosce il codice egemonico, ma contrappone
elementi
provenienti da un quadro di riferimento esterno.
Tra il 1975 e il 1979, Morley svolse una ricerca su Nationwide (programma di BBC) per analizzare
la segmentazione dei pubblici (diverse interpretazioni dei messaggi). Un limite di questa ricerca è
la visione del programma in laboratorio, dunque in un contesto “anormale”.
Famiglie e televisione
Con il metodo etnografico, gli studiosi dei Cultural Studies entrano nelle case delle famiglie che
guardano la televisione e rivolgono loro domande su questa attività. È necessario avere grande
sensibilità per chi conduce l’osservazione perché deve avvicinarsi a mondi in cui i significati sono dati
per scontati.
Nel 1986 Morley studia le modalità di consumo televisivo delle famiglie di Londra. Questa attività di
consumo televisivo è di carattere sociale e collettivo. Fa parte delle relazioni familiari-domestiche e
accompagna altre attività svolte contemporaneamente. Esistono infatti fattori di complessificazione
del concetto di pubblico (si finisce a parlare di segmentazione).
Uno studio triennale sull’uso della televisione nelle famiglie americane rilevò due dimensioni d’uso
strutturale in ambito domestico: uso ambientale (tv come rumore di fondo, compagnia o
intrattenimento - la tv entra a far parte del nostro ambiente di vita) e uso regolativo
(accompagna le attività quotidiane es. mettersi a cena quando inizia il tg). Per gli usi relazionali
della televisione che i membri della famiglia ne fanno, si intende creazione di occasioni di
comunicazione, attivazione di processi di appartenenza/esclusione, occasione di apprendimento
sociale di modelli e valori, e creazione di occasioni per dimostrare competenza o esercitare forme
di dominio in famiglia.
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Media e vita quotidiana – teoria della domestication
Si promuove l’analisi del consumo mediale che viene visto come una vera e propria attività
produttiva (a differenza della dicotomia tra produzione e consumo).
Le tecnologie mediali si situano nei contesti domestici con le loro routine e abitudini, mettendosi in
competizione con altre tecnologie mediali. Il concetto di radicamento (embedding) considera i media
come oggetti culturalmente situati. Così cambiano anche le relazioni e le dinamiche familiari.
I media diventano parte del modo di identificarsi e di differenziarsi dargli altri (articolazione).
Allo stesso tempo, il concetto di addomesticamento (domestication) implica che le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione entrino nell’ambiente domestico e vi si integrino.
La teoria della domestication è costituita dal l’economia morale della famiglia, dalla doppia
articolazione del medium (come oggetto tecnologico e come mezzo di comunicazione), dalla
relazione tra ambiente esterno/pubblico e ambiente interno/privato.
Le fasi del processo di domestication sono:
1. Appropriazione: acquisto.
2. Oggettivazione: collocazione in casa anche per esibizione.
3. Incorporazione: inserimento dell’oggetto nelle routine domestiche.
4. Conversione: instaurazione di relazioni fra l’ambito familiare e il mondo esterno.
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Jenkins indaga anche il cambiamento culturale che porta le persone a ricercare e a consumare i
contenuti combinando fra loro diversi media. Questo processo di convergenza mediatica è il flusso
dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e la
migrazione del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento.
Le organizzazioni mediali possono infatti favorire la collaborazione tra individui ma anche ostacolarle
(perché violano il copyright).
La convergenza tra produzioni delle corporations e produzioni grassroots può quindi produrre sia
forme di collaborazione, sia forme di conflitto.
Prosumers e produsers
Il termine prosumerismo tiene insieme la dimensione del consumo e quella della produzione di
contenuti.
Le nuove audience assumono il ruolo di prosumer partecipando alla produzione di contenuti online
(post, commenti, immagini, video condivisi) ma anche attraverso comportamenti online più banali
(ricerca e selezione di alcuni contenuti).
I media digitali facilitano questi processi e moltiplicano le forme di prosumerismo: ambienti wiki,
social media, siti di vendita con recensioni, ecc.
Bruns (2008) ha introdotto la definizione di produsage per riferirsi a quegli ambienti online in cui le
competenze sviluppate ad hoc e le pratiche collaborative messe in campo dagli utenti rendono
insufficiente la definizione di prosumer. Si parla di produser, termine che allude a competenze più
specifiche e alla natura di un produttore/utente attivo (ad es. negli spazi online in cui si sviluppano
software open source, in cui si producono contenuti nei giochi multiutente, o in generale
nell’innovazione guidata dall’utente).
Il coinvolgimento nella produzione e consumo è continuo e si attivano dinamiche cooperative e
collaborative tali da poter dire che anche l’utilizzo dei prodotti sviluppati, da parte degli utenti,
appartiene al processo produttivo del contenuto.
Affordances di piattaforma
Le affordances di piattaforma sono dotate di:
1. Persistenza: i contenuti rimangono online.
2. Visibilità: i social media consentono di condividere contenuti con pubblici ampi.
3. Diffondibilità: i social media incoraggiano e semplificano la diffusione di contenuti
(pulsanti di condivisione, modalità di incorporazione di link, foto, video ecc.)
4. Ricercabilità: è possibile ricercare online i contenuti tramite i motori di ricerca.
5. Formazione di audience invisibili: non tutte le audience online sono visibili (c’è chi legge
contenuti social senza commentare, chi esplora profili di altri utenti, ecc.).
6. Collasso dei contesti: i confini spazio-temporali e sociali sono sfumati.
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7. Confini sfumati tra pubblico e privato: l’assenza di controllo sul contesto impedisce di
pensare in maniera netta alla distinzione pubblico-privato. Le due dimensioni diventano
fluide, e si producono forme di “privato in pubblico”.
I pubblici connessi
I pubblici connessi sperimentano contemporaneamente la doppia condizione di avere un pubblico
ed essere parte di un pubblico. Esplicitano in pubblico (in modi visibili) le loro reazioni ai contenuti:
hanno acquisito consapevolezza di essere pubblici e di esserlo in pubblico.
Molta della ricerca sulle comunicazioni di massa si è basata sull’analisi di significati e
rappresentazioni discorsive prodotte attraverso strumenti e formati dell’industria culturale: libri,
film, articoli di giornale, servizi giornalistici, fumetti, settimanali, fotoromanzi...
Nello scenario digitale, i testi si sedimentano negli spazi di rete diventando visibili e ricercabili.
Questi contenuti possono aggregare attorno a sé pubblici ad hoc che si raccolgono per commentare
notizie o eventi anche in tempo reale.
Le metodologie data-driven partono da un insieme di dati quantitativamente rilevanti e
tradizionalmente inaccessibili (Big Data) per identificare successivamente i percorsi di analisi.
Il primo livello dell’agenda setting: dall’agenda dei media all’agenda del pubblico
A partire dagli anni Sessanta, gli studi sulla comunicazione cominciano ad affrontare il rapporto tra
media e individui secondo una prospettiva che vede i primi offrire ai secondi temi e questioni su cui
pensare e discutere: i media non costringono i soggetti ad assumere un punto di vista, ma
organizzano il loro orizzonte tematico.
Cohen nel 1963 affermò che “la stampa può nella maggior parte dei casi non essere capace di
suggerire alle persone cosa pensare, ma essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri
lettori intorno a cosa pensare”.
La prima ricerca empirica sull’agenda setting è stata condotta da McCombs e Shaw (1972) su una
campagna per le elezioni presidenziali del 1968 a Chapel Hill. I ricercatori hanno indagato il
contributo dei media nel determinare i temi discussi nella campagna. Dopo aver sottoposto delle
interviste a 100 soggetti prescelti (indecisi sul voto), gli studiosi procedettero alla raccolta e all’analisi
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degli argomenti presenti nei media (quotidiani, settimanali e notiziari televisivi) relativi all’area di
Chapel Hill.
I temi espressi dai soggetti e quelli presentati dai mass media sono poi stati messi a confronto.
La ricerca di McCombs e Shaw ha rilevato un’influenza dei media nella determinazione dei temi e
della loro rilevanza. L’influenza dei media avviene a livello di individuazione dei temi.
L’ipotesi dell’agenda setting si regge su due elementi chiave: i media sono in grado di determinare e
ordinare gerarchicamente la presenza dei temi nell’agenda, e l’agenda dei media si riflette nella
costruzione dell’agenda degli individui.
Gli elementi centrali del primo livello dell’agenda setting sono:
1. Natura dei temi: l’effetto di agenda può essere maggiore o minore a seconda delle
specifiche caratteristiche dei temi. L’esperienza diretta con determinati temi riduce il potere
di agenda dei media (e viceversa). Kurt e Gladys Lang distinguono tra temi a soglia alta
(lontani dalla vita quotidiana degli individui) e temi a soglia bassa (vicini ai soggetti, per
esperienza diretta o perché già entrati a far parte delle questioni di cui si dibatte – questi
sono necessari per entrare nell’agenda del pubblico).
2. Caratteristiche dei media: i diversi media esercitano un differente potere di agenda.
Benton e Frazier indagano il diverso livello di informazione offerto dalla stampa e dalla
televisione, verificando che la stampa ha effetti di agenda più profondi della del mezzo
televisivo. Si ipotizza che la televisione abbia un impatto a breve termine sulla composizione
dell’agenda del pubblico (spotlight).
3. Caratteristiche del pubblico: fattori di omogeneità o differenziazione. I fattori di
omogeneità o differenziazione nel pubblico sono il grado di interesse e distanza tra i valori
notizia dell’individuo e quelli dei media, la credibilità del sistema mediatico e interazioni
personali e reti sociali (conversazioni intorno ad argomenti presenti nei media), il bisogno di
orientamento e confronto tra esperienza personale e informazioni offerte dai media, la
coerenza con interessi e predisposizioni personali che governano le esposizione ai media
(agenda intrapersonale e agenda personale).
4. Natura dell’agenda: in passato l’agenda del pubblico corrispondeva all’agenda derivante
dalle risposte degli individui ai tradizionali sondaggi di opinione. Oggi assistiamo a una
moltiplicazione delle agende: la prioritized agenda, che si costruisce grazie ai media verticali
e alle conversazioni sui temi proposti; e l’agenda-melding, che comprende elementi
provenienti da agende verticali e orizzontali (riorganizza e mette in relazione i temi a partire
dagli interessi degli individui e/o da quelli del network di appartenenza).
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2. le altre testate giornalistiche e di informazione;
3. le norme e le tradizioni proprie del giornalismo.
Secondo Weaver e Choi (2017), è lo spazio alle conseguenze della presenza dei social media
(intermedia agenda) a creare l’agenda:
1. fonti autorevoli e dotate di potere;
2. altri media;
3. norme e tradizioni giornalistiche;
4. eventi inattesi;
5. audience mediali.
Per le audience contemporanee esiste la possibilità di segnalare intorno a quali temi vogliono
pensare le persone (es. conversazioni nei social media): si rovescia così l’assunto di base
dell’agenda-setting.
I social media si sono trasformati per i giornalisti in un ambient journalism (Hermida 2010) in cui è
possibile intercettare umori e opinioni dei cittadini (da utilizzare nella propria professione). Questi
possono acquisire visibilità ed esercitare un’influenza sull’agenda dei media.
La search agenda utilizza un motore di ricerca per cercare informazioni su un determinato
argomento, mentre la reverse agenda prevede un intenso flusso conversazionale intorno a un tema
sui social media come volontà di imporre al centro del dibattito quella particolare tematica.
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La spirale del silenzio
Secondo Noelle Neumann, la pubblica opinione è un processo che si svolge continuamente tra i
cittadini, è basata sulla natura sociale umana e garantisce la formazione e il rafforzamento per ambiti
ricchi di valore. Essa è un’opinione ricca di valori in determinate aree, e può essere espressa in
pubblico senza aver paura di subire sanzioni.
L'opinione pubblica si forma grazie alla comunicazione interpersonale e ai rapporti sociali; ai mezzi di
comunicazione di massa; alle percezioni che gli individui hanno dei climi di opinione; alle
manifestazioni individuali delle opinioni.
L’effetto conversione
La teoria dell’effetto conversione prende avvio con lo studio del last minute swing (la fluttuazione
dell’ultimo minuto, ovvero l’effetto conversione, lo spostamento improvviso di opinioni e preferenze
elettorali durante le elezioni).
L’effetto conversione distingue tra intenzioni di voto e aspettative di voto (da Lazarsfeld). I soggetti
per i quali i due elementi coincidono si esprimono pubblicamente ad alta voce, pieni di fiducia di sé:
si tratta della maggioranza rumorosa. Coloro che, invece, temono la sconfitta di quelli che intendono
votare si sentono abbandonati a sé stessi, si ritirano, ricadono nel silenzio: si parla di minoranza
silenziosa.
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2. La consonanza: presenza di argomentazioni molto simili su argomenti prossimi all’interno
dalla programmazione.
3. La cumulatività: apparizione periodica o ricorrente di argomentazioni.
La percezione di un doppio clima di opinione da parte degli individui si correla con il consumo
mediale, integrando elementi provenienti dall’esperienza personale. L’osservazione dell’ambiente
circostante porta a formulare previsioni; i media contribuiscono a elaborarne altre. Inoltre, gli
individui credono di essere gli unici a pensare in un certo modo su un determinato tema, pertanto
preferiscono non esprimersi e rimanere in silenzio (pluralistic ignorance).
I media non si limitano a dare spazio a una posizione piuttosto che a un’altra, ma forniscono il
materiale utile a sostenerla.
Al giorno d’oggi, le caratteristiche del nuovo sistema mediale hanno potenziato l’idea che i media
esercitino una funzione di articolazione discorsiva. Un sistema mediale polarizzato può produrre un
importante grado di distorsione nella percezione del clima di opinione generale (es. le polarizzazioni
su temi sensibili nelle conversazioni che avvengono nei social media).
Nella networked society, gli individui appartengono a una pluralità di gruppi di riferimento. Inoltre,
le modalità attraverso le quali oggi si esprime un’opinione pubblicamente sono differenti e
moltiplicate: like, condivisione di un post, pubblicazione di un commento, ecc. Queste caratteristiche
generano numerose spirali del silenzio.
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La ricerca mostra come per ogni dieci protagonisti di sesso maschile che commettono violenza, vi
sono undici vittime. Per ogni dieci protagonisti di sesso femminile che commettono violenza, vi sono
sedici vittime. Le minoranze e le donne straniere sono le categorie più penalizzate.
A seguito delle interviste, emerse che i telespettatori forti ritenevano di avere maggiori probabilità di
essere coinvolti in episodi di violenza: mostravano di avere una percezione esagerata del pericolo e
una visione distorta circa il tasso di criminalità nel paese.
La ricostruzione del tema della violenza presenta dunque una duplice caratteristica: la violenza è
rappresentata tramite attori e ruoli ben definiti (donne vittime, uomini e minoranze attori della
violenza). Questo dà corpo al fenomeno del mainstreaming, al centro dello studio della coltivazione -
riflette i timori dei soggetti potenzialmente vittime, producendo risonanza: i telespettatori che
vivono situazioni simili a quelle rappresentate dal mezzo televisivo saranno maggiormente sensibili
al contenuto del messaggio (doppia dose di significato, che coniuga esperienze reali e televisive).
Le interviste sono state confrontate con i dati reali relativi alla popolazione vittima di violenza, che
però indicavano una percentuale molto contenuta.
L'effetto di coltivazione fa sì che i consumatori forti elaborino risposte televisive, ovvero una
sovrapposizione tra realtà televisiva e mondo reale.
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La teoria della coltivazione ipotizza anche l'influenza della televisione sui soggetti, ma sarebbe
possibile anche una relazione inversa: sarebbero gli individui che presentano già disagi psicologici a
fruire maggiormente della televisione.
Morgan e Signorielli hanno stilato una variegata lista dei problemi aperti della teoria.
Molte coltivazioni
Secondo Gerbner, l'approccio macrosistemico è scomparso nel tempo. Ci si concentra sui singoli
generi televisivi (talk show, serie mediche, programmi di bellezza, ecc.) e sui meccanismi della
memoria attivati nel fornire le riposte agli item utilizzati per misurare la coltivazione.
La validità della ricerca empirica è tentennante a causa dell'imprecisione dell’analisi del contenuto
dei messaggi e della misurazione del consumo televisivo. L'ambiguità risiede nella costruzione delle
risposte televisive contrapposte alle risposte provenienti dal mondo reale.
Inoltre, la teoria va letta all’interno di un sistema mediale mutato: abbiamo difficoltà ad analizzare il
contenuto dei messaggi (i quali si moltiplicano in modo esponenziale), e a misurare l’esposizione al
mezzo televisivo, che oggi è distribuita su più dispositivi e collocata in momenti diversi della giornata.
La variabile dell’istruzione
La variabile dell’istruzione ha grande rilevanza nello spingere o meno i soggetti ad acquisire
informazioni. Ma si possono individuare anche altri fattori: le abilità comunicative dei soggetti,
l'informazione posseduta (esperienza, costruzione di un’"enciclopedia" da parte degli individui), i
contatti sociali, l'esposizione selettiva, l' accettazione e la memorizzazione delle informazioni, e la
natura del sistema dei media che distribuisce l’informazione.
Gli autori sostengono che l’acquisizione di conoscenza su argomenti fortemente pubblicizzati
procede con un ritmo maggiore tra i soggetti con istruzione più elevata. Questo, però, non accade
per gli argomenti meno pubblicizzati.
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Scarti di conoscenza e potenziale comunicativo
Nowak (1977) riformula il peso e il ruolo dei diversi fattori attraverso il concetto di potenziale
comunicativo, inteso come insieme di risorse che consente di ottenere e dare informazioni e che
facilita il processo comunicativo.
Il potenziale comunicativo dipende da:
1. caratteristiche personali;
2. caratteristiche legate alla posizione sociale del soggetto;
3. caratteristiche della struttura sociale in cui il soggetto è inserito.
Modelli di Kwak
I modelli di Kwak (1999) analizzano l'educazione e le motivazioni delle audience:
1. Modello di associazione causale: i fattori motivazionali sono secondari, dipendono
dall’educazione - più l'educazione è elevata, più elevate sono le motivazioni.
2. Modello di spiegazione rivale: l'educazione e le variabili motivazionali sono fattori
indipendenti nell’acquisizione delle informazioni dai media - sono gli interessi diversi a
caratterizzare il knowledge gap.
3. Modello di dipendenza dalle motivazioni: il divario di conoscenze si basa su differenze
educative e può essere moderato dai fattori motivazionali. Per le persone con alti livelli di
motivazione, il gap basato sull’istruzione è inferiore rispetto al gap tra quelli con bassi
livelli di motivazione.
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La complessità dei fattori in gioco
Il modello del knowledge gap appare antitetico a quello dell’agenda setting: mentre l'agenda setting
attribuisce ai media un tipo di influenza che convoglia intorno al contenuto dei media le conoscenze
del pubblico (assimilazione comune), il paradigma del knowledge-gap implica un costante processo
di differenziazione sociale dei sistemi di conoscenza attivati dai media.
In realtà, ciascuno dei due modelli chiama in campo alcune variabili contingenti ed intervenienti, che
vincolano la rigidità dei processi descritti a condizioni esterne al puro e semplice funzionamento dei
soli media (Wolf, 1992).
Digital divide
La teoria degli scarti di conoscenza ritorna di attualità con la diffusione delle tecnologie della
comunicazione digitale.
Il tema del digital divide può essere interpretato come una riproposizione in chiave odierna
dell’ipotesi degli scarti di conoscenza.
Negli anni Novanta si ipotizzava che la diffusione di connettività e l’accesso alla società delle reti
favorisse (grazie all’accesso alle informazioni) l’uguaglianza sociale.
La distinzione tra have e have nots pone l'accento sull'ineguale distribuzione territoriale delle
tecnologie, tra aree industrializzate e Paesi del terzo e quarto mondo. Vige la scarsa capacità delle
tecnologie di tradursi in servizi effettivi e vi sono costi di accesso per gli utenti (monetari e culturali).
I gap possono essere molteplici: tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, tra aree urbane e aree
rurali, tra giovani e anziani, a livello di new media literacy, ecc.
La diffusione di una particolare innovazione dipende da fattori economici e culturali, e dalle
caratteristiche del sistema sociale.
I molti fattori che concorrono a delineare una situazione di differenziazione fanno sì che sia possibile
il verificarsi di tempi e modalità diverse nella rapidità di diffusione delle nuove tecnologie.
Se ci rifacciamo al modello della diffusione delle innovazioni di Rogers, è possibile che la curva a S
che descrive la diffusione delle innovazioni presso la popolazione subisca delle trasformazioni. Si
ipotizzano in proposito due modelli: il modello della normalizzazione e il modello della
stratificazione.
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4. Inclusione sociale e partecipazione: dipende dai livelli elevati di appropriazione
tecnologica; si riflette sulla posizione sociale degli individui.
Questi fattori fanno parte del modello cumulativo delle diseguaglianze digitali.
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