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Storia, antropologia
e
scienze del linguaggio
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storia, antropologia
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scienze del linguaggio
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STORIA, ANTROPOLOGIA E SCIENZE DEL LINGUAGGIO / Anno XXXIII – fascicolo 1 - 2018
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Nel 2017 abbiamo voluto ricordare Luciano Dondoli con un fascicolo mono-
grafico della Rivista «Storia antropologia e scienze del linguaggio» da lui fondata
nel 1986, una rivista che contiene gran parte delle tematiche della sua attività
scientifica e didattica svoltasi intorno all’analisi del pensiero crociano che ha ac-
compagnato la sua intera esistenza. Croce è stato il maestro al quale ha rivolto
molte critiche “senza cessare di nutrire per lui affetto e riconoscenza per avergli
insegnato a pensare” tanto che, quando ricorda i maestri che lo hanno accompa-
gnato nel suo percorso filosofico, lo paragona a “un croco su un polveroso prato”.
Quando ci siamo conosciuti – io 17, lui 20 anni – il primo libro che mi consigliò
di leggere fu il Breviario di estetica (1913); poi La storia come pensiero e come
azione (1938). Io ne rimanevo incantata: erano discorsi formativi i suoi con i quali
io crebbi nella consapevolezza che un pensiero “non è mai la vittoria di una verità,
ma un indirizzo nel quale muoversi, preparati ad affrontare nuove difficoltà”, una
chiave di lettura pronti a inserirla nella serratura del mondo e a modificarla se non
gira. Capii che l’arte è intuizione e per spiegarmelo Dondoli e Croce mi dicevano
che cosa l’arte non è: non è un fatto fisico, non un fatto morale; non ha nulla a
che fare con l’utile, il piacere, il dolore. Non è nemmeno conoscenza concettuale,
ché quella è piuttosto filosofia. L’idea di arte annunciata dal Vico e riaffermata
dal De Sanctis era raccontata nel Breviario con una metafora: l’arte, scriveva
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SONIA GIUSTI
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Croce, è come una zolletta di zucchero sciolta in un bicchiere d’acqua che sta ed
opera in ogni molecola d’acqua ma che non si ritrova più come zolletta di zuc-
chero. L’idea è tutta nell’acqua, cioè nell’immagine che rappresenta l’intuizione
di un sentimento. Il sentimento è quella zolletta di zucchero che si è sciolta
nell’acqua.
*****
__________
* Il titolo mi viene suggerito da Marc Bloch, fucilato dai tedeschi nel 1944,
che Il 29 gennaio 1927 pronunciava alla Sorbona la conferenza “Che cosa chie-
dere alla storia?”; cfr. Grado Giovanni Merlo e Francesco Mores (a cura di),
Castelvecchi, Roma, 2014. Bloch dice “… la storia è la scienza del cambia-
mento e delle differenze” e cita Eraclito, secondo il quale “l’acqua in cui ci si
bagna non è più la stessa in cui ci si è immersi”. Essendo uno storico, Bloch
non esprime giudizi di valore; sa che la storia è conoscenza disinteressata del
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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cipio l’ho ritrovato anche nel pensiero di Raffaele Pettazzoni, nella sua elabora-
zione dell’idea dell’Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, tutta im-
magini e fantasie poetiche. Ed è la particolare attenzione del Vico alla fantasia
della sapienza antica che fa dire a Croce che è stato Vico a inventare l’Estetica:
“La poesia è tanto poco superflua ed eliminabile che senza di essa, non sorge il
pensiero … l’uomo prima di essere in grado di formulare universali, forma fan-
tasmi …” e a proposito del mito dice: “il mito non è favola, ma storia … racconto
di cose reali”. Croce rifiuta il concetto di storiografia pura di Leopold von Ranke,
quella storiografia “senza partecipazione operosa e senza il congiunto travaglio
di pensiero” che è qualsiasi altra cosa, ma non storiografia; può essere cronaca,
eloquenza, ma non storiografia, perché le manca il problema storico2.
Nella Storia come pensiero e come azione Croce rifiuta la tesi 3 che misura il
valore degli storici in base ai materiali che usano, se di prima o di seconda mano,
in base alla loro autorevolezza e alla loro figura di testimoni, per cui lo “storico
puro” sarebbe quello che tiene soprattutto all’esattezza filologica, che costruisce
il suo impianto storiografico puntellandolo sui punti fermi degli storici che auto-
revolmente ci hanno lavorato prima di lui, e così facendo evita lo sforzo aspro e
penoso di interpretare il passato secondo la propria concezione del mondo. Croce,
è noto, condivideva il pensiero di Johann G. Droysen4 che anticipando lo storici-
smo di Dilthey, separava la storia umana che comprende, dalla scienza della na-
tura che spiega, e insisteva su una storiografia basata sulla “frage”, perché è con
__________
passato che influisce sul presente, “che è un punto minuscolo nella durata, un
istante che sparisce nel momento in cui nasce … la punta estrema di un flusso,
in cui ogni ondata dipende, nel suo movimento, sia dalle altre onde vicine che
la serrano … sia da quelle che da dietro l’hanno spinta in avanti”.
1
Cfr. L. Dondoli, Carteggio Croce-Vossler. Studi su arte e linguaggio, (a
cura di F. Ciccodicola), con Prefazione di L. Lattarulo, Domograf, Roma, 2016.
2
B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, Bari, Laterza, 1973, pp. 50-51,65, 1°ed.
1911.
3
La tesi è di L. von Ranke (1795-1888), una delle figure più rappresentative
della storiografia tedesca relativa specialmente al sistema politico europeo.
4
Cfr. L. G. Droysen, Sommario di istorica (1857), a cura di D. Cantimori,
Sansoni, Firenze, 1987.
61
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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__________
6
P. Ricoeur, Tempo e racconto, vol. III, Il tempo raccontato, Jaca Book, Mi-
lano, 1986, pp.171-183.
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SONIA GIUSTI
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In Italia, a Napoli, Giambattista Vico già si era opposto alla cultura intellet-
tualistica francese del ‘700 e aveva dato corso al pensiero storicistico italiano.
La dottrina di Vico intorno alla conoscenza, antitetica alla teoria cartesiana,
considera la storia dell’uomo un prodotto dell’uomo: è l’uomo che fa la storia
“con le sue idee, i suoi sentimenti, le sue passioni, la sua volontà, la sua azione
… la verità dei principi generatori della storia nasce, dunque, non dalle idee
‘chiare e distinte’, ma dalla connessione indissolubile del soggetto con l’oggetto
della conoscenza”8. Uno storicismo, quello di Vico, che fecondò anche il dibat-
tito politico del tempo grazie a Vincenzo Cuoco il quale fece conoscere le de-
gnità vichiane tra le quali risplendeva quella sui costumi, “i costumi valgono
più delle leggi … essi non si cangiano d’un tratto ma per gradi e in lungo
tempo”, e l’altra sul senso della storia che è basato sulla libertà creatrice degli
individui.
Gli intellettuali europei del ‘700, scrive Carlo Antoni9, più che alla Francia
di Voltaire si rivolgevano all’Inghilterra, paese dove si pensava che “non ci
__________
7
C. Antoni, La lotta contro la ragione, Sansoni, Firenze, 1968, pp. 243-245
(1° ed. 1942).
8
B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, Bari, Laterza, 1973, pp.11, 28-30 (1°
ed. 1911).
9
C. Antoni, Lo storicismo, ERI, Torino, 1968, pp. 30-31,67, 96, 191-194 (1°
ed. 1957).
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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SONIA GIUSTI
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dall’istinto e dal peso della natura. E’ con Franz Boas che emerge il concetto an-
tropologico di cultura; esso, infatti, si afferma, non tanto con la “fortunata” defi-
nizione di E. B. Tylor elaborata in Primitive Culture del 1871, quanto piuttosto
con le argomentazioni teoriche boasiane e con lo studio delle differenze mentali
condotte sulla base comparativa dei comportamenti umani. Storicamente il signi-
ficato antropologico del termine cultura era già radicato nella tradizione intellet-
tuale tedesca dove si è elaborata la distinzione tra kulturvölker e naturvölker.10
Tra gli allievi di Boas, Kroeber e Klukhon erano i più consapevoli dei due signi-
ficati di cultura: quello umanistico (e universale) e quello antropologico (relativi-
stico e plurale)11. Se prima del ‘900 il termine cultura non era associato con la
tradizione, ma con la razza, fu Boas a considerare le apparenti differenze razziali
in termini di differenti tradizioni culturali considerando fondamentale il folklore
“in determining the mode of thought”12. Il dibattito fra monogenetisti e poligene-
tisti si era, infatti, intensificato nell’800 tanto da affermare il determinismo raz-
ziale che giustificava le differenze mentali con la misurazione del cranio e del
cervello. Fu la pubblicazione de L’origine delle specie di Darwin, nel 1859, a
rappresentare un punto d’arresto del dibattito razziale, anche se le misurazioni
anatomiche delle razze umane continuarono all’interno dell’antropologia fisica.
__________
10
F. Boas, The Mind of Primitive Man, New York, 1911, con Prefazione di
M. J. Herskovits; trad. it. Laterza, Bari, 1972. Per l’importanza della procedura
storiografica nel campo dell’antropologia, cfr. l’Introduzione di F. Maiello a G.
W. Stocking, Razza, cultura e evoluzione, Il Saggiatore, Milano, 1985. Cfr. an-
che Elias Canetti, Culture, civilization and Human Society, vol. I, (a cura di H.
Harlt e D. G. Daviau) EOLSS, 2009.
11
A. L. Kroeber e C. Kluckhon (1952) Culture. A critical review of Concepts
and Definitions; tr. It. Il concetto di cultura, Il Mulino, Bologna, 1972; M.
Mead, Coming of Age in Samoa, 1928; tr. it. Universitaria, Firenze 1959; R.
Benedict, Patterns of Culture, 1934; tr. It. Feltrinelli, Milano, 1960; M. Her-
skovits, Some further notes on Franz Boas’ Arctic Expedition, in «American
Anthropologist», LIX, 1957.
12
F. Boas, The Mind of Primitive Man, in «Journal of American Folk-lore»,
n. 14, 1901.
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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Dal 1911, con The Mind of Primitive Man, il concetto di cultura è ormai rico-
nosciuto come patrimonio di conoscenze nel significato storico e antropologico
delle società umane e delle contingenze storiche. Infatti a Boas si deve la prima
forte critica all’etnologia evoluzionista secondo una prospettiva storicistica ma-
turatasi nella sua formazione di geografo all’interno della tradizione tedesca. Così
scrive Boas:
«The grand system of the evolution of culture, that is valid for all hu-
manity, is losing much of its plausibility. In place of a single line of evolution
there appears a multiplicity of converging and diverging lines which it is
difficult to bring under one system»13.
__________
13
F. Boas, Some traits of primitive man, in «Journal of American Folk-lore»,
n. 17, 1904.
14
Cfr. il fascicolo monografico di «Storia, antropologia e scienze del linguag-
gio», 1-2-3, 2017, dedicato alla formazione dell’ordine non programmato.
15
Th. Kuhn, The Structure of Scientific Revolution, Chicago, 1962.
16
P. Radin, The Winnebago Tribu, 1929. Radin fu allievo di F. Boas al De-
partment of Antropology della Columbia University, insieme con A. Kroeber,
E. Sapir e R. Lowie.
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capì il significato antropologico della cultura lavorando fra gli eschimesi: an-
che se le motivazioni del suo viaggio nell’Artico erano dovute ai suoi interessi
geografici – egli infatti stava lavorando su problemi di fisica – si accorse che
gli Inuit parlavano del colore dell’acqua marina come potrebbero fare i nostri
poeti. Le letture filosofiche, e specialmente la filosofia kantiana, stimolarono
in lui nuovi orientamenti di pensiero quali le relazioni tra il mondo oggettivo
e il mondo soggettivo. Negli anni ’80, ritornato in Germania, si sentì raggelato
dall’egoismo della classe politica e questo, insieme alle sue esperienze tra gli
eskimesi che gli fecero sentire i limiti dei suoi studi geografici, lo indusse
pochi anni dopo a pubblicare una delle sue prime ricerche etnografiche: The
Central Eskimo è del 1888. In Germania, sotto la guida dell’etnologo tedesco
Adolf Bastian, Direttore del Museo Etnografico di Berlino, convinto assertore
dell’idea che gli uomini condividono una base mentale operativa indipenden-
temente dalla razza e dall’etnia, “il passaggio boasiano dalla geografia delle
saghe di migrazione all’etnologia del mito e del racconto popolare fu cosa
facile”. Queste ricerche erano cariche di significato storico che probabilmente
proveniva dal pensiero di Wilhelm Dilthey che nel 1882 Boas aveva ascoltato
all’Università di Berlino: “il tentativo di liberare le scienze storiche dall’ipo-
teca degli assunti epistemologici della scienza naturale positivistica” lo aveva
profondamente influenzato. Secondo Boas il modo in cui lo storico deve av-
vicinarsi al fenomeno che cerca di capire è di “tentare amorevolmente di pe-
netrare nei suoi segreti” e chiaramente si ispira a Dilthey che scriveva – in
modo opposto al concetto di “storico puro” di Leopold von Ranke – : “Il se-
greto dell’individuo ci porta a compiere per amor suo tentativi sempre più
nuovi e sempre più profondi per capirlo, ed è in questa comprensione che
l’individuo e l’umanità in generale e le sue creazioni, ci vengono rivelate”17.
Boas racconta che dopo aver camminato per un giorno e una notte su piste
ghiacciate, a 45 gradi sotto zero, finalmente poté rifugiarsi in un igloo eschi-
mese e scongelarsi i piedi. Gli appunti che Boas scrisse sul suo taccuino, di
__________
17
W. Dilthey, Il secolo XVIII e il mondo storico, ed. Pgreco, Milano 2016; cfr.
M. Harris, (1968) L’evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della
teoria della cultura, Il Mulino, Bologna, 1971, cap. XI.
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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cui riportiamo alcune righe, mostrano la tenerezza che può avvicinare gli uo-
mini:
Con il suo secondo viaggio per la Columbia Britannica, Boas entrò in con-
tatto con gli Indiani Kwakiutl, nell’isola di Vancouver, dei quali cercò di capire
l’organizzazione sociale ed economica. La sua antropologia storica si maturò
“dagli interessi geografici, dall’incontro con l’idealismo romantico tedesco e
con le tradizioni storicistiche, e dal lavoro con l’etnologo Adolf Bastian, il tutto
filtrato poi nella sua esperienza di ricerca sul campo”18. Il pensiero boasiano
definito come “particolarismo storico” si caratterizza per l’insistenza sull’im-
portanza dei casi individuali e non sui principi generali propri del diffusionismo
o dell’evoluzionismo e, soprattutto, non sulla ricerca di leggi universali. “Se ci
proponiamo seriamente di comprendere i pensieri di un popolo, egli scriveva,
l’intera analisi dell’esperienza deve fondarsi sui concetti di questo popolo, non
sui nostri”19.
Negli Stati Uniti degli anni settanta si accese un vivace dibattito sulle mo-
dalità della ricerca sul campo e sul peso del soggettivismo nelle scritture dei
testi etnografici introdotto da Hayden White, storico delle idee che nel 1959
__________
18
G. W. Stocking, (1968) Razza, cultura e evoluzione. Saggi di storia dell’an-
tropologia, Il Saggiatore, Milano, 1985; cfr. il cap. VII, Dalla fisica all’etnolo-
gia, pp.187-217, 203.
19
F. Boas, Recent Anthropology, «Science», XCVIII, 1943. Per la distinzione
dei concetti emico/etico vedi M. Harris, L’evoluzione del pensiero antropolo-
gico, Il Mulino, Bologna, 1971 (ed.or.1968).
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SONIA GIUSTI
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aveva tradotto in inglese il libro di Carlo Antoni, Dallo storicismo alla sociolo-
gia20. Il risultato tangibile di questo dibattito post-moderno, che avrebbe potuto
paralizzare la ricerca etnografica sotto il peso di un “esame di coscienza che
l’avrebbe distolta dalla sua principale missione empirica”, portò viceversa alla
costruzione di un testo chiave del nuovo orientamento degli studi antropologici21.
Dell’influenza del libro di Antoni – una raccolta di saggi monografici su pen-
satori tedeschi (tra i quali Dilthey, Troeltsch, Meinecke, Max Weber) – e del di-
battito che si svolse negli Stati Uniti degli anni ottanta, Clifford Geertz, rimane
l’interprete più rappresentativo; egli, infatti, analizza i fenomeni culturali come
sistemi di significato spostando l’interesse dalle loro descrizioni oggettive al
modo di raccontarli. E Geertz sottolinea quanto avessero influito su questa nuova
antropologia interpretativa le analisi di filosofi quali Heidegger, Ricoeur, Weber
e Collingwood22. Sostenitore della teoria dell’incompletezza organica dell’uomo,
egli ha insistito, inoltre, sulla funzione antropo-poietica della cultura nel senso
che l’uomo non ne è solo il prodotto, ma anche la produce:
__________
20
C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Sansoni, Firenze, 1940.
21
AA.VV., Writing Culture,Poetics and Politics, a cura di James Clifford,
Clifford Geertz e E. G. Marcus, 1986; trad it. Scrivere le culture, Meltemi,
Roma, 1997, p. 14.
22
C. Geertz, (1983), trad. it. Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna,
1988.
23
C. Geertz, “Thick description”. Verso una teoria interpretativa della cul-
tura, in «Aut-Aut», 217-218, 1987; cfr. anche di Geertz, Works and Lives. The
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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saggio che è la sintesi del suo pensiero, si chiede: “Che cos’è l’illuminismo per
l’antropologia?” e auspica che l’antropologia rifiuti “l’idea progressiva di ra-
gione che dal XVIII secolo a oggi ha continuato a scambiare per logos univer-
sale un’espressione di folklore occidentale”24.
71
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__________
26
B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, cit. p. 49. Nello stesso tempo in cui
scriveva il Vico, e sullo stesso principio metodologico della comparazione, la-
vorava J. F. Lafitau, Moeurs des sauvages amériquains, comparées aux moeurs
des premiers temps, Paris, 1724. La comparazione di Lafitau si basava su una
particolare teoria storica secondo la quale le popolazioni dei nativi americani
sarebbero arrivate dalla Grecia.
27
La situazione dell’antropologia in Inghilterra tra ’800 e ’900 era questa: l’et-
nologia si insegnava a Oxford fin dal 1884, a Cambridge fin dal 1900 e a Londra
dal 1908, mentre la prima cattedra di antropologia sociale tenuta da Sir James
Frazer fu istituita a Liverpool nel 1908.
28
R. G. Collingwood, Roman Britain and the English Settlements, 1936.
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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«Io ritengo che l’elemento di maggior confusione tra gli antropologi del
secolo scorso non fu tanto la loro fede nel progresso e la ricerca di un me-
todo con cui ricostruirne il cammino, poiché essi erano ben consapevoli che
i loro schemi non erano che ipotesi che non avrebbero mai potuto essere
completamente verificate. Io credo piuttosto che tale elemento si debba ri-
cercare nell’assunto, ereditato dall’illuminismo, secondo cui le società sono
sistemi naturali, o organismi che hanno un determinato corso di sviluppo
riducibile a principi o leggi generali»29.
L’interesse degli etnologi era posto sulla vita associata, tanto che si metteva
in evidenza il fatto che tutti i membri di una società condividono abitudini, lin-
gua e convinzioni morali, istituzioni politiche ed economiche. Scrive ancora
Evans-Pritchard:
«Tutto ciò forma una struttura più o meno stabile che, nelle sue carat-
teristiche essenziali, si mantiene per un lungo periodo di tempo passando di
generazione in generazione. L’individuo si limita a passare attraverso la
struttura, così come la trova. Essa non nasce e non muore con lui, perché
non si tratta di un sistema psichico, ma di un sistema sociale con una co-
scienza collettiva che è di tipo radicalmente diverso dalla coscienza indivi-
duale … Durkheim nell’accentuare la singolarità della vita collettiva è stato
molto criticato per aver sostenuto l’esistenza di una coscienza collettiva ma,
sebbene la sua opera abbia aspetti metafisici, tuttavia mai egli sostenne po-
sizioni di questo genere. Con quelle che chiama “rappresentazioni collet-
tive” egli intendeva quel che in Inghilterra chiameremmo un corpo di valori
__________
29
E. E. Evans-Pritchard, (1951) Introduzione all’antropologia sociale, con
Prefazione di A. M. Cirese, Laterza, Bari, 1975, p. 54.
73
SONIA GIUSTI
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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«Col più rapido sviluppo della stessa scienza pura e con l’aiuto delle
amministrazioni coloniali, potremmo anche prevedere il giorno in cui il go-
verno e l’educazione delle popolazioni indigene nelle varie parti del globo
potrebbero cominciare a diventare un’arte fondata sull’applicazione delle
leggi della scienza antropologica che allora saranno state scoperte»33.
32
Cfr. E. E. Evans-Pritchard, Introduzione all’antropologia sociale, cit., cfr.
il cap. 6.
33
A. R. Radcliffe-Brown, Applied Anthropology, 1930, citato in Evans-
Pritchard, ibidem, p. 143.
34
E. E. Evans-Pritchard, Introduzione… cit. p. 108. Il metodo naturalistico
di Radcliffe Brown si ritrova nel libro curato da Meyer Fortes e Edward Evans
Pritchard, African Political Systems (1940) nel quale si nota “un appiatti-
mento delle società africane, e dove il libro risulta legato a una congiuntura
storica precisa: quella della colonizzazione”, cfr. J. L. Amselle, Logiche me-
ticce. Antropologia dell’identità in Africa e altrove, Bollati-Boringhieri, To-
rino, 1999. Amselle, a questo proposito, cita il libro di Edmund Leach, Sistemi
75
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
__________
politici birmani (1972), tr. it., Milano 1979, che “costituisce la rottura radi-
cale con quell’aspetto - tipo ‘collezione di farfalle’- proprio dell’antropolo-
gia politica, anzi dell’antropologia tout court”, certo che egli può capire me-
glio i popoli che studia, proprio perché ricorre alla loro storia. B. Croce, La
filosofia di G. B. Vico, cit. p.49. Nello stesso tempo in cui scriveva il Vico, e
sullo stesso principio metodologico della comparazione, lavorava J. F. Lafi-
tau, Moeurs des sauvages amériquains, comparées aux moeurs des premiers
temps, Paris, 1724. La comparazione di Lafitau si basava su una particolare
teoria storica secondo la quale le popolazioni dei nativi americani sarebbero
arrivate dalla Grecia.
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
di paragone con cui decidere che i fatti asseriti siano genuini. Svetonio mi
dice che Nerone ad un certo momento aveva intenzione di far sgombrare la
Britannia. Io respingo questa asserzione, non perché qualche autorità mi-
gliore la contraddica recisamente, poiché naturalmente nessuno lo fa; ma
perché la mia ricostruzione della politica di Nerone basata su Tacito non
mi permetterà di pensare che Svetonio abbia ragione. E se mi si dice che
questo vale quanto affermare che preferisco Tacito a Svetonio, confesso che
è così, ma lo faccio proprio perché mi trovo capace d’incorporare quello
che mi dice Tacito in un quadro coerente ed ininterrotto e non posso fare
altrettanto con Svetonio. Così è proprio il quadro che del passato fa lo sto-
rico, è il prodotto della sua immaginazione a priori, quel che deve giustifi-
care le fonti usate nella sua costruzione» e Nannini conclude notando che
«Collingwood considerava che giudice ultimo tra Svetonio e Tacito non
sono le fonti disponibili, ma l’immaginazione a priori dello storico». Infatti
continua: «antropologi diversi che studiano lo stesso popolo registrano gli
stessi fatti nei loro appunti, ma scrivono libri diversi … possiamo interpre-
tare ciò che vediamo solo in base alla nostra esperienza e a ciò che siamo e
gli antropologi, pur avendo in comune un corpus di conoscenze, differi-
scono per le proprie esperienze. La personalità di un antropologo come
quella di uno storico non può non e ritrovarsi nel suo lavoro»35.
__________
35
S. Nannini, Collingwood e la filosofia della storia, in AA.VV. Da Demo-
crito a Collingwood. Studi di storia della filosofia, (a cura di A. Ingegno), Ol-
schki Editore, 1991, pp. 173- 177; cfr. R. G. Collingwood, The Idea of History,
1946, pp. 263-264.
77
SONIA GIUSTI
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«Ciò che gli storici scrissero tempo fa sulla Riforma, sulla successione
degli Hannover o sulla Rivoluzione americana non è la stessa cosa che scri-
verebbero gli storici attuali e non solo perché se ne sa molto di più su quegli
avvenimenti, ma anche perché insieme ai profondi mutamenti sociali e po-
litici, sono cambiate le condizioni in cui si formano le opinioni»38.
__________
36
C. Antoni, op. cit., pp. 243-244.
37
Ivi, p.169.
38
Ivi, p. 180.
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COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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sistemi di idee diversi dai propri, per renderli comprensibili; la diversità dei
mezzi che adoperano non è di metodo, ma tecnica, riguarda i mezzi di rileva-
zione delle storie. Soprattutto diverse sono le domande che storici e antropo-
logi si pongono e di conseguenza diverse sono le risposte che essi ottengono.
Ma che i documenti degli storici spesso rimangano muti a differenza dei com-
portamenti sociali che viceversa sarebbero palesi agli antropologi, questa è
una certezza residuale di Evans-Pritchard basata sul presupposto positivistico
che la realtà sociale sia lì pronta per essere fotografata, e non piuttosto sempre
da interpretare. Per l’antropologo inglese che “la grande maggioranza degli
storici europei ancora oggi passi la vita ad accumulare montagne di dati sul
passato” di questo o quel popolo europeo e tale materiale sia lontano dagli
interessi degli antropologi è vero come è vero il contrario, che uno storico
dell’Europa non si senta incline a leggere libri sugli Ottentotti o sui Masai.
Questa riflessione piuttosto rozza si attenua, tuttavia, là dove Evans-Pritchard
condivide l’idea di Maitland che l’antropologia deve scegliere se trasformarsi
in storia o annullarsi. “Io accetto tale affermazione, egli scrive, solo qualora
se ne ammetta la reversibilità, la storia deve scegliere se trasformarsi in an-
tropologia sociale o annullarsi”39.
79
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
__________
41
C. Lévi-Strauss, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano, 1960, p. 55.
42
C. Lévi-Strauss, L’anthropologie sociale devant l’histoire, in «Annales,
Économies, Societés, Civilisations», n. 4, 1960, pp.625-637.
43
J. Le Goff-J. P. Vernant, Dialogo sulla storia. Conversazioni con E. Lauren-
tin, Laterza, Bari, 2015.
80
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
__________
44
E. Wolf, Europe and the People without History, Berkley, 1982.
45
G. R. Saunders, Un appuntamento mancato: Ernesto De Martino e l’antro-
pologia statunitense, in AA.VV. Ernesto De Martino nella cultura europea, cit.
pp. 35-58.
46
C. Geertz, “Thick description” verso una teoria interpretativa delle culture,
cit.
47
AA.VV., Writing Culture: Poetics and Politics of Ethnography, a cura di J.
Clifford e G. E. Marcus, University California Press, 1986; tr. it., Scrivere le
culture, Meltemi, Roma 1997. Di Clifford è uscita in italiano anche una raccolta
di saggi col titolo I frutti puri impazziscono, 1993.
81
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
__________
48
Vittorio Lanternari, in Occidente e terzo mondo, Dedalo, Bari, 1967, ricorda
il vespaio sollevato in «Man» e alimentato per almeno 4 anni, dal 1950 al 1954,
intorno al volume di Evans-Pritchard, Anthropology and History.
49
M. Fortes, History, Sociology and Social Anthropology, in «Past and Pre-
sent» 1964, 27.
50
E. E. Evans-Pritchard, Anthropology and History, 1961, in Essays in Social
Anthropologist, London, 1962.
51
I. M. Lewin, Comprendere il mistero delle credenze degli altri, in Ernesto
De Martino nella cultura europea, cit., pp. 11-22. Per le traduzioni in lingua
inglese delle opere di De Martino, cfr. D. L. Zinn, Tradurre De Martino, in
«Aut Aut» n.366, 2015.
82
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
__________
52
B. Croce, L’Antistoricismo, in Ultimi Saggi, Laterza, Bari, 1935.
53
Collingwood non riconobbe abbastanza il suo debito verso gli italiani,
scrive H. H. Harris, perché era timido e gli studiosi inglesi, che non erano idea-
listi, usavano questo debito per isolarlo, cfr. H. Harris, Croce and Gentile in
Collingwood’s New Leviathan, in «Storia antropologia e scienze del linguag-
gio», a. V, fasc. 3, 1990, pp. 29-43.
83
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
storia” di tipo hegeliano per aderire ad uno “storicismo assoluto”, si realizza come
“storia fatta dagli uomini che non è manifestazione dello Spirito universale di cui
gli uomini sono solo strumenti”. L’uomo è artefice della sua storia, scrive il filo-
sofo di Oxford: esiste “una generale analogia della struttura della mente umana,
di conseguenza anche le culture primitive sono razionali e non-razionali e vanno
studiate con gli stessi strumenti metodologici con i quali studiamo le culture del
nostro tempo”. Collingwood ha costruito la sua teoria della storia forte dell’espe-
rienza archeologica che lo impegnava negli scavi del Vallo di Adriano; con queste
ricerche egli capiva che era possibile comprendere il pensiero che stava dietro
certi reperti purché si ponessero domande sul come quei reperti avessero risolto i
problemi di chi li aveva costruiti e usati. Sostenuto dalle sue esperienze archeo-
logiche, egli porta la concretezza di quelle indagini nella teoria della storiografia.
Lo strumento conoscitivo della storia è stato elaborato dal Collingwood come re-
enactment del pensiero passato, il pensiero che vive ed è conservato nel nostro
pensiero attuale e che permette di introdurre nella nostra vita un miglioramento
rispetto al passato. Scrive Collingwood: “Se la funzione della storia fosse quella
di informare sul passato morto, farebbe poco per aiutarci ad agire”, ma il passato
è incluso nel presente, non è morto, esso sta in relazione con la vita pratica54. La
storia, per il filosofo inglese, non è uno studio disinteressato del passato; il suo
scopo è pratico e consiste nell’aumentare la propria autocoscienza per prepararci
all’azione. A proposito del termine re-enactment – che si può tradurre con le
espressioni “rimettere in vigore una legge” o anche “rimettere in scena una storia”
– va ricordato quanto sostiene Leon Pompa – filosofo scozzese che ha contribuito
a far conoscere in Inghilterra lo storicismo italiano e specialmente quello di Giam-
battista Vico – il quale nega la tesi di alcuni critici che si tratti di un suggerimento
metodologico per la conoscenza storica del passato consistente in un atto di intui-
zione e di empatia, perché in questo modo la teoria del re-enactment si svuota di
valore filosofico; il re-enactment, secondo Pompa, è il traguardo della ricerca sto-
riografica: l’azione di un agente storico è compresa quando, dopo aver messo in-
sieme le credenze e gli scopi che egli aveva in mente, si arriva ad entrare nelle
__________
54
L. Dondoli, Lo storicismo italiano e la filosofia inglese: B. Croce e R. G.
Collingwood, in «Storia antropologia e scienze del linguaggio», n. 1-2-3, 2015,
n. s.
84
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
__________
55
L. Pompa, Some Problems of Re-enactment, in AA.VV., Forme e significati
della storia. Studi per Luciano Dondoli, Università di Cassino, 2000. Nella tra-
duzione integrale della prima Scienza Nuova, quella del 1725, Pompa sottolinea
il carattere politico della filosofia vichiana, cfr. Vico, The First New Science,
edited and translated by L. Pompa, Cambridge 2002, pp. LXIV-302; cfr. anche
di Leon Pompa, Selected writings, Cambridge, 1982, pp. XVII-279.
85
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
esterno e sincronico con umanità aliene rispetto alla totalità di tale storia e
alla successione delle sue epoche. Con ciò la storia dell’occidente guada-
gnava potenzialmente una nuova possibilità umanistica»56.
__________
56
M. Massenzio, Senso della storia e domesticità del mondo, in «Aut Aut», n.
366, 2015.
57
Cfr. G. Satta, “Fra una raffica e l’altra”. Il regno della miseria e la vita
culturale degli oppressi, «Aut Aut», n. 366, 2015, pp. 185-196.
58
E. De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, in «So-
cietà», a. V, n.3, 1949. Cfr. le considerazioni di L. M. Lombardi Satriani sulla
“stimolante posizione gramsciana sul folklore” che influenzò in modo determi-
nante la ricerca demartiniana, in Antropologia culturale e analisi della cultura
86
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
nel partito comunista, almeno fino al 1956, che si concluse con la denuncia
dello stalinismo da parte di molti intellettuali. Mentre l’allargamento della ri-
cerca demartiniana a nuovi campi di studio che si realizzarono con gli interessi
etnologici, si deve, non tanto al pensiero crociano, quanto ai problemi storici
curati da Adolfo Omodeo sul protocristianesimo e testimoniati dal suo concetto
di religione inteso come “lievito umanistico” della storia. Già in una lettera del
1932 alla Rivista «L’Universale» De Martino dimostrava quanto forte fosse il
suo interesse per il “primitivo”59.
Eppure tra le realtà meno congeniali allo spirito di Croce c’era il mondo
primitivo che, tuttavia, fu scelto da Ernesto De Martino ad oggetto dei suoi studi
per rivendicare il carattere storicistico dell’etnologia e confutarne l’imposta-
zione naturalistica. Tale scelta si collocava proprio dentro la corrente di studi,
crociana e omodeiana, dalla quale egli prendeva gli strumenti critici per una
etnologia storicistica, come dichiara nell’Introduzione a Naturalismo e storici-
smo nell’etnologia del 1941. E come proporrà in seguito con l’interpretazione
storicistica del magismo che, nella sua radice esistenziale, è indicato come tec-
nica contro il rischio della “perdita della presenza” che la condizione umana
impone a qualsiasi livello storico60.
__________
subalterna, Peloritana ed., Messina, 1968. In una approfondita analisi del pen-
siero demartiniano, Giovanni Pizza scrive che “dalla lettura di Gramsci De
Martino trasse un decisivo sostegno e alcune specifiche direzioni di marcia” e
che “la vocazione all’impegno politico di de Martino rendeva l’antropologia
italiana demartiniana diversa da quelle straniere coeve”; Pizza ricorda in una
accurata bibliografia gli scritti di De Martino su Gramsci, tra i quali, non abba-
stanza considerati, Cultura e classe operaia, in «Quarto Stato», la rivista di Le-
lio Basso, e tre articoli sull’«Avanti»; Cfr. G. Pizza, Gramsci e De Martino.
Appunti per una riflessione, in «Quaderni di Teoria Sociale», n. 3, 2013. Cfr.
anche Roberto Pastina, Ernesto De Martino. Scritti filosofici, Il Mulino, Bolo-
gna, 2005, dove l’autore analizza la approfondita riflessione teoretica demarti-
niana sulla filosofia del Novecento da B. Croce a Edmund Husserl.
59
L. Lattarulo, Esistenza e valore. Croce De Martino e la crisi dello storici-
smo, Cadmo editore, Roma 1987.
60
Cfr. le dure critiche di Croce a Il Mondo magico: Intorno al magismo come
età storica, in «Filosofia e Storiografia», Laterza, Bari 1949.
87
SONIA GIUSTI
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In questo quadro teorico l’ethnos dei popoli primitivi, dei popoli coloniali
e dei popoli contadini meridionali diventava un comune oggetto di interpre-
tazione antropologica, come sostiene in Etnologia e cultura nazionale negli
ultimi dieci anni. In questo saggio, l’autore dichiara di aver inteso raggiun-
gere alcuni scopi precisi: “rivendicare il concetto storico dell’etnologia”, “al-
largare l’autocoscienza per rischiarare l’azione”, “scegliere il proprio posto
di combattimento, e assumere le proprie responsabilità”. Perché, aggiungeva,
“potrà essere lecito sbagliare nel giudizio: non giudicare non è lecito”61. In
realtà a spingerlo agli studi etnologici negli anni in cui “Hitler sciamanizzava
in Germania e in Europa” furono anche le umanissime esperienze politiche
che lo videro coinvolto, subito dopo la liberazione dal nazifascismo, nel
mondo dei contadini e dei pastori del Sud che gli faceva dire:
__________
61
E. De Martino, Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, «So-
cietà», n. 3, 1953.
88
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
lo stesso Croce il quale, tuttavia, “non può giungere a questa conclusione ne-
cessaria, appunto perché essa porta all’identificazione di storia e politica e
quindi di ideologia e filosofia”62.
L’angoscia della storia umana, che in certi momenti critici dell’esistenza
minaccia la presenza, non è considerata da De Martino una struttura ontolo-
gica dell’uomo, ma un limite di umanesimo che l’uomo può modificare in un
nuovo ordine storico da accettare riducendo l’angoscia. In Genése de la Fin
du monde, Carlo Ginzburg definisce De Martino una figura di “intellettuale
tragico” il cui contributo alla storia e all’antropologia si situa nella profonda
analisi dell’esperienza della crisi e della perdita della presenza che per l’et-
nologo sono “le due facce di una stessa prospettiva emozionale e intellet-
tuale”. Ginzburg ci ricorda che in un frammento pubblicato da Giordana
Charuty, nella sua biografia fondamentale, De Martino era pienamente con-
sapevole dell’ “ancrage personnel et emotionnel des arguments qu’il dévelop-
pait dans Le Monde magique. Jeune, il souffrait en effet de crises d’épilepsie
qu’il s’employa rétrospectivement à interpréter dans le cadre de sa propre no-
tion de ‘perte de la présence’”63. La descrizione del mondo magico di De
Martino è sentita, da Ginzburg, nella continuità ermeneutica che corre tra Il
Mondo Magico e La Fine del Mondo:
__________
62
Cfr. A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce,
(a cura di Valentino Gerratana), Editori Riuniti, Torino, 1975, pp. 271-274.
63
C. Ginzburg, Genèses de la Fin du Monde di De Martino, conférence donné
le 9 iullet 2015 organisé par le Zentrum fur literatur und kulturforschung de
Berlin. Cfr. G. Charuty, Les vies antérieures d’un anthropologie, Marseille,
Edition de la MMSH, 2009; trad it., Le precedenti vite di un antropologo, An-
geli, Milano 2010.
89
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
In una nota legata al progetto della Fine del Mondo, scrive Ginzburg, De
Martino insisteva sull’importanza del “testamento” di Croce elaborato anche
attraverso le polemiche con Enzo Paci e Remo Cantoni sulla storicità delle
categorie, mentre nel primo capitolo di Morte e pianto rituale, Dal lamento
funebre antico al pianto di Maria, del 1958, l’autore sottolineava il ruolo
principale della categoria crociana del vitale nella vita spirituale. In La storia
come pensiero e come azione Croce aveva sostenuto che la vita spirituale è
dominata dall’etica e De Martino, non solo non si è mai allontanato da questo
concetto, ma, elaborandolo, è riuscito a costruire l’impianto teorico-metodo-
logico dell’“ethos del trascendimento”. È proprio questo aspetto della filoso-
fia crociana, scrive Ginzburg, che ha fornito a De Martino “un’alternativa a
Heidegger”64.
I preziosi riferimenti a questi aspetti della vita, intellettuale ed emotiva,
di De Martino, opportunamente sottolineati da Ginzburg, confermano l’im-
portanza del rapporto tra la ineludibile soggettività del ricercatore – con le
sue fragilità e il suo condizionamento culturale – e l’opera dell’etnologo ita-
liano nel suo sforzo teoretico di passare dal piano individuale a quello storico
e per riversare la sua particolare esperienza esistenziale nella costruzione dei
suoi scritti.
Ma per una introduzione alla lettura della Fine del Mondo è di grande
aiuto la ricostruzione di Roberto Pastina del percorso nel quale De Martino
ha composto gli elementi della sua ”antropologia riformata” e rinnovata epi-
stemologicamente65.
__________
64
C. Ginzburg, op. cit., pp. 201-206.
65
R. Pastina, Sulla soglia dell’Apocalisse. Una introduzione alle Note sulla
Fine del mondo di Ernesto De Martino, in «Storia, Antropologia e Scienze del
Linguaggio», A. XXVII, 1-2, 2012, pp. 47-72.
90
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
Sono evidenti in queste mie scarse note – che meritano ben altri appro-
fondimenti ai quali non mi sottrarrò – le ragioni epistemologiche dell’etnolo-
gia storicistica demartiniana che si nutre della passione etico-politica del “tra-
sformare” acquisita dalla lezione crociana de La storia come pensiero e come
azione. Molte critiche sono state rivolte a De Martino non solo da parte dei
“sacerdoti dell’Aufklärung”, ma anche dalla cultura storicistica italiana del
secondo dopoguerra. E’ nota la più severa, di Benedetto Croce, a Il Mondo
Magico dove l’autore dimostrava che l’allargamento dello storicismo assoluto
non si limitava a nuovi campi tematici, ma introduceva nuove possibilità er-
meneutiche legate al concetto di “natura culturalmente condizionata” secondo
una visione trascendentale del mondo. La realtà oggettivamente intesa non
esiste, diceva, essa si costruisce nel processo storico-culturale. Secondo Pla-
cido Cherchi, dalle tesi della “realtà dei poteri magici” del Mondo Magico del
1948 all’ “ethos del trascendimento” in La Fine del mondo pubblicata po-
stuma, si snoda coerentemente il rigetto di ogni ipotesi sostanzialistica che è
la cifra più individuante della “riflessione dedicata al problema della cosmi-
cità del mondo” e che misura anche lo spessore dello storicismo demartiniano
presente nell’intera sua opera e soprattutto nel riconoscimento della funzione
cosmicizzante della cultura66.
L’interesse per gli studi etnologici suscitato in Italia da Il Mondo magico
aprì un vasto campo di sollecitazioni speculative a cui parteciparono filosofi
(B. Croce, E. Paci, R. Cantoni, C. Antoni) e storici delle religioni (M. Eliade,
A. Omodeo, R. Pettazzoni, A. Brelich, V. Lanternari, D. Sabbatucci.)67.
__________
66
P. Cherchi, La nozione di cultura e la “realtà dei poteri magici”, in AA.VV.
Ernesto De Martino nella cultura europea, cit., pp. 259-268; l’autore sostiene
che una etnografia priva di opzioni filosofiche è impossibile; l’etnografo che
pretende di produrre dati accatastati senza sistemarli in un quadro epistemolo-
gico, rischia di frammentare la complessa realtà che vuole rappresentare in una
incomprensibile caoticità.
67
Nell’ed. del 1948 c’è in appendice solo la Risposta a Cantoni. Nella seconda
ed. del 1958 l’autore ha voluto includere le due recensioni di B. Croce, quelle
di Paci, di Pettazzoni, di Mircea Eliade; nell’ed. 1995 sono incluse le recensioni
di A. Omodeo, Padre M. Schulen e il dibattito De Martino-Cantoni. Cfr. E. De
91
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
Riflettendo sui limiti della valutazione storicistica della crisi delle civiltà lo stu-
dioso napoletano si rendeva conto che l’ordito storico mancava di un “filo”, quello
del “mondo primitivo”:
«Lo storicismo crociano, alla cui scuola ero stato educato, confermava
nel fatto questo limite del nostro umanesimo, perché se copiosi erano stati i
frutti della nuova storiografia italiana in tanti domini culturali, il dominio
delle civiltà primitive e dei loro istituti restava escluso da qualsiasi influenza
storicistica»68.
__________
92
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
93
SONIA GIUSTI
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«non sono schemi astratti, anzi mondi concreti, e che in ciascuno di essi
circola una stessa vita che si esprime nelle varie attività culturali e perciò
queste sono tutte solidalmente connesse corrispondendo alla diversa struttura
economica una diversa struttura sociale, nonché una diversa ideologia ed an-
che una diversa religione»74.
E soprattutto sente che il problema sta nel cominciare a studiare i fatti indivi-
duali del mondo primitivo per farli entrare di diritto nell’orizzonte storico. Di qui il
progetto dei quattro volumi di Miti e Leggende realizzato con la UTET (1948-
1959). Sulle vicende italiane Pettazzoni sapeva che non si poteva incidere se non
storicizzando il cristianesimo alla luce di una verifica comparativa; occorreva far
conoscere altre religioni, come quelle primitive, portare le loro verità nel cuore del
dibattito. Dopo il 1870 si era intensificata la lotta dei cattolici modernisti contro i
dogmi, compreso quello della infallibilità del papa, ed è noto che in questa lotta i
modernisti furono condannati dalle somme autorità ecclesiastiche. Il dibattito cul-
turale che si aprì in Italia agli inizi del secolo sulle questioni di metodo della storia
delle religioni, vide come protagonisti non solo i teologi impegnati nelle pagine
delle «Civiltà Cattolica», ma anche i rappresentanti della filosofia laica. La diffi-
coltà di coltivare questo genere di studi in Italia è testimoniato anche dalla breve
__________
73
L. Salvatorelli, L’opera di Raffaele Pettazzoni, in «Rivista Storica Italiana»,
LXXXII, fasc. III, 1960.
74
A. Brelich, Storia delle religioni: perché?, Liguori, 1979.
94
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
vita delle riviste di carattere storico-critico75 in un paese dove, come dichiarava Pet-
tazzoni, “la religione è autorità”. Ed è per questa sua “pericolosa” laicità che le sue
idee vennero ibernate nel silenzio: la migliore maniera per combatterlo era igno-
rarlo. Questo succedeva in Italia; dall’estero giungevano i riconoscimenti dei più
noti studiosi: Louisy Jordan, ad esempio, membro dell’“Institut Ethnographique In-
ternational”, Editor della «Review of Theology and Philosophy», aveva inserito due
lavori dello studioso italiano – La religione primitiva in Sardegna e La scienza delle
religioni e il suo metodo – nel poderoso volume, Comparative Religion, uscito nel
1915.
In Italia, invece, Pettazzoni ha dovuto lottare su più fronti per affermare sia la
sua impostazione metodologica sia il suo storicismo. Per quanto riguarda il primo
problema sono da ricordare le critiche della Commissione giudicatrice del concorso
a cattedra di storia delle religioni per l’Università di Roma, nel 1923.
La Commissione rilevò che nei suoi scritti prevaleva “la tendenza ad affiancare
al criterio storico genetico quello classificatorio delle scienze naturali”. E, nono-
stante il giudizio della Commissione sia stato positivo – in quanto fu apprezzata la
“vasta esperienza, utilissima a chiunque si ponga a studiare una qualsiasi religione”
–, era sottolineato l’eccessivo filologismo che avrebbe marchiato la sua produzione
scientifica76.
Il severo giudizio di Adolfo Omodeo, membro della Commissione giudicatrice,
che dell’opera La confessione dei peccati avrebbe messo in evidenza “l’abbondanza
dei dati” a discapito dell’interpretazione dei dati medesimi, fu condiviso anche da
De Martino e, naturalmente fu respinto da Pettazzoni che, certamente, non poteva
accettare il ruolo attribuitogli per guadagnarsi la gratitudine di uno studioso che su
questi dati avrebbe impresso “il segno del pensiero”. Nella recensione a Naturali-
smo e storicismo nell’etnologia, infatti, Pettazzoni ripagò con la stessa moneta il
“discepolo di Omodeo” sostenendo che non avrebbe dovuto indugiare tanto sulla
“pura teoria”, ma scendere in medias res.
__________
75
Cfr. S. Giusti, Storia e mitologia. Con antologia dei testi di Raffaele Pettaz-
zoni, Bulzoni, Roma, 1988, pp. 11-153.
76
E. Montanari, Storia e tradizione. Orientamenti storico-religiosi e conce-
zioni del mondo, Lithos Editrice, Roma, 2016, cfr. specialmente il secondo ca-
pitolo, La “fede laica” di Raffaele Pettazzoni, pp. 59-88.
95
SONIA GIUSTI
______________________________________________________________________________
__________
77
Ibidem.
78
A. Brelich, Storia delle religioni, perché?, cit.
96
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
sacre alle quali viene attribuita una speciale natura che le sottrae ad una indagine
temuta perché considerata “senza scrupolo”, come si fa per le cose profane.
Nel duro dibattito con lo storico tedesco Wilhelm Schmidt, Pettazzoni confutò,
argomentando rigorosamente la tesi del “monoteismo primordiale” che esprimeva
«una totale incomprensione del mito non semplicemente distinto, anzi op-
posto alla ragione che è il pregiudizio tradizionale che consiste nel conside-
rare il mito come qualcosa di inferiore, di impuro, di degradante rispetto alla
religione (come se il mito non fosse sempre, al contrario, un elemento inte-
grale della religione), cioè, in altri termini, la concezione dei Razionalisti che
hanno ignorato Vico»79.
__________
79
R. Pettazzoni, La religione nella Grecia antica fino ad Alessandro, Zani-
chelli, Bologna, 1921.
80
Per la lezione inaugurale dell’insegnamento di Storia delle religioni a La
Sapienza, tenuta da R. Pettazzoni, Svolgimento e carattere della storia delle
religioni (in S. Giusti, Storia e mitologia, cit., p. 352) cfr. la Recensione di B.
Croce, in «La Critica», XXIII, V, 1924.
97
SONIA GIUSTI
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“coincide con la ricerca del concetto di essa: che è la sola ricerca in cui si può otte-
nere una risposta scientifica”81. Ma Pettazzoni, nella tensione a realizzare il pro-
gressivo distacco dell’etnologia dalle sue origini naturalistiche (anticipando in que-
sto le tesi demartiniane) avvertiva l’esigenza che essa si qualificasse come scienza
storica avente ad oggetto l’uomo nella storia – e non l’uomo nella natura – una storia
che si ricompone tra fatti individuali e fatti plurimi nella dinamica culturale che si
svolge tra innovazioni e permanenze.
Lo storicismo pettazzoniano “tutt’altro che crociano”, come precisava Bre-
lich82, si era andato precisando nell’operazione culturale di innesto della etnologia
nella storiografia oltre che nella rivalutazione del sacro, considerato non come espe-
rienza, ma come prodotto storico83.
I fenomeni religiosi, studiati da Pettazzoni come problemi storici secondo il me-
todo storico-comparativo, sono stati rielaborati da Brelich alla luce della nozione di
religione costruita sempre su dati storici applicabili a tutte le culture sulla base di
tre elementi fondamentali:
Alla fine del dicembre 1959, subito dopo la scomparsa di Pettazzoni, scrive Ma-
rio Gandini, si avvertì l’esigenza di “mantenere viva la preziosa eredità del suo in-
__________
81
Recensione di G. Gentile a Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella
storia delle religioni, in «La Critica», XX, 1922.
82
A. Brelich, Perché storicismo e quale storicismo, in «Religioni e Civiltà»,
I, 1972.
83
Cfr. AA.VV., Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità sto-
rica, (a cura di L. Arcella, P. Pisi, R. Scagno), Jaca Book, Milano, 1998.
84
M. Massenzio, Storia delle religioni e antropologia, in G. Filoramo, M. Mas-
senzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di Storia delle religioni, Laterza, Bari, 1998.
98
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
______________________________________________________________________________
segnamento scientifico e civile” e nel 1966 uscì la raccolta di alcuni saggi signifi-
cativi, a cura di Vittorio Lanternari, che sottolineava l’importanza di questo studioso
che aveva fondato in Italia la storia delle religioni e che aveva esplorato
«immensi spazi della storia della civiltà umana, dalla Grecia al vi-
cino, medio ed estremo Oriente, dalla religione locale della Sardegna ar-
caica alle religioni tribali dei popoli illetterati, alle grandi religioni fon-
date ed universali, in ogni settore portando l’acume puntiglioso della sua
filologia, con la luce chiarificatrice di uno storicismo sempre più consa-
pevole»85.
*****
Quando, nel 2000, è uscito il libro di Pier Paolo Viazzo, Introduzione all’antro-
pologia storica, che viene definita come “nuova disciplina” che integra la ricerca
sul campo con i materiali degli archivi locali, si è apprezzato il riconoscimento del
__________
85
M. Gandini, Avvertenza a Religione e Società, e V. Lanternari, Prefazione
a Religione e Società (a cura di), ed. Ponte Nuovo, Bologna, 1966.
86
M. Massenzio, Le intrecciate vie, in «Nostos», 1 dicembre 2016, pp. 369-
376. Cfr. Le intrecciate vie. Carteggi di Ernesto De Martino con Vittorio Mac-
chioro e Raffaele Pettazzoni (a cura di R. Di Donato e M. Gandini), ETS, Pisa,
2015.
99
SONIA GIUSTI
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De Martino era saldamente crociano, anche se il fuoco che Macchioro gli aveva
acceso dentro, aveva lasciato il segno, e Gennaro Sasso, oltre ad analizzare l’opera
dell’etnologo italiano e le difficoltà nelle quali egli si trovò a costruire il suo com-
plesso impianto teorico sostenuto da un vigoroso inserimento nella ricerca empirica,
si ferma opportunamente a considerare la particolare congiuntura della cultura ita-
liana nella quale sono palesi precise responsabilità.
__________
87
P. P. Viazzo, Introduzione all’antropologia storica, Laterza, Bari, 2000, p.
20.
100
COSA CHIEDERE ALL’ANTROPOLOGIA STORICA
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«sulla forte ostilità che la sua opera suscitò, occorrerebbe fermarsi a ri-
flettere meglio di quanto non sia fin qui avvenuto. E speriamo che a
quest’opera qualcuno si metta, con l’adeguata conoscenza dei critici, ma an-
che, e in primo luogo, di Croce. La difficoltà sta qui, perché la conoscenza del
pensiero di quest’ultimo si è ridotta al topos dei limiti che ne sarebbero deri-
vati alla cultura italiana e con i topoi e con l’ignoranza che li sostiene, non si
fa storia».
«sotto il peso della sfortuna che Croce conobbe nel lungo dopoguerra e
della forte ostilità da lui suscitata in non pochi ambienti intellettuali, italiani
e non italiani, chi pur doveva parlare della sua presenza in De Martino, abbia
assolto al suo compito con fastidio e imbarazzo, cercando in tutti i modi di
persuadere se stesso che un evento consolante si era presto prodotto nell’oriz-
zonte di quest’ultimo: il rapido declino dell’interesse provato nei confronti
dell’autore della ‘filosofia dello spirito’» 88.
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88
G. Sasso, Ernesto De Martino tra religione e filosofia, Bibliopolis, Napoli,
2001, pp. 3-23. Per il concetto demartiniano di religione civile, cfr. il III capi-
tolo di questo libro di Sasso, nel quale l’A. ripercorre il travagliato percorso
demartiniano – dal fascismo all’antifascismo – attraverso le vicende politiche
italiane del Concordato e, soprattutto, attraverso gli scritti di Croce, special-
mente La storia d’Europa e il suo vibrante ed appassionato discorso in Senato
il 29 maggio 1929 (in Pagine sparse, Bari, 1960) nel quale il senatore dichia-
rava inaccettabile il modo profondamente illiberale con cui fu presentata la
legge sui Patti Lateranensi. La cellula primigenia dalla quale si sarebbe co-
struita l’idea dell’“ethos del trascendimento”, Sasso la trova nel principio del
“dover essere” che De Martino esprime negli appunti sulla “religione civile”
101
SONIA GIUSTI
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complessità storica nella quale essi sono immersi e del cui racconto, soprattutto,
sono responsabili.
*****
SONIA GIUSTI
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nei quali si legge la lezione della filosofia che ci aiuta a fronteggiare la nostra
vita secondo il principio del “dover essere”, cfr. G. Sasso, cit., pp. 83-84.
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