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George Eliot, Daniel Deronda

L’incipit: “Era bella o no? E quale segreta forma o espressione conferiva al suo sguardo quella
qualità dinamica? Nel brillare dei suoi occhi dominava il genio del bene o quello del male? Forse il
secondo, altrimenti l’effetto non sarebbe stato di irrequietudine, bensì di tranquillo sortilegio.”

Ambientato nell’epoca vittoriana attorno al 1870, strutturato in otto Libri e settanta Capitoli, in
quasi mille pagine il romanzo intreccia le storie di Daniel Deronda e Gwendolen Harleth.

Si tratta dell’ultimo romanzo della grande scrittrice britannica, una delle figure letterarie più
importanti dell’epoca vittoriana, pubblicato nel 1876. Il suo ultimo romanzo, non so se il più bello,
certamente il mio preferito. Certamente, ieri come oggi il più controverso e discusso.

La trama di Daniel Deronda segue due filoni principali, due storie fino ad un certo punto parallele
unite dal personaggio che dà il titolo al romanzo. Il racconto inizia con l’incontro di Daniel Deronda
e Gwendolen Harleth in una città tedesca. Daniel Deronda, protagonista ed eroe eponimo, da
piccolo è stato affidato a un miliardario aristocratico e sa poco delle sue origini. E’ ricco, “giovane,
bello e distinto”, generoso e di buoni sentimenti. Che sia figlio adottivo lo sappiamo fin dall’inizio:
le sue vere origini le scopriremo però solo nell’ultima parte del libro. Da questo punto di vista,
Daniel Deronda è perfettamente inserito in quel filone inglese del “bastardo” l’identità reale del
quale si scopre solo alla fine, come avviene per il Tom Jones di Henry Fielding, l’Oliver Twist di
Dickens.

Gwendolen Harleth: una giovane donna molto bella, viziata, egoista (il primo Libro del romanzo è
intitolato proprio La bambina viziata).

“´Gwendolen non avrà pace finchè il mondo non sarà ai suoi piedi’, diceva Miss Merry, la mite
governante. Parole iperboliche che ormai hanno assunto il più moderato dei significati: chi non ha
mai sentito parlare di persone qualsiasi che ricevono piccoli riconoscimenti e lusinghe nel loro
ambiente limitato e rispettabile, e considerano di avere il mondo ai loro piedi? Ma non esistevano
iperboli troppo spinte per indicare la nebulosa vastità che la povera Gwendolen immaginava per il
suo futuro osservandolo dalle alture della sua giovanile autoesaltazione. Gli altri acconsentivano a
farsi schiavi e lasciavano che la loro esistenza fosse sballottata come un vascello senza capitano nel
mare in tempesta; Gwendolen invece non si sarebbe sacrificata a un essere meno degno di lei, ma
avrebbe tratto il meglio dalle possibilità che la vita le offriva e, grazie alla sua intelligenza
eccezionale, avrebbe padroneggiato ogni situazione”.

La narrazione inizia nel momento in cui Daniel e Gwendolen, che non si conoscono, s’incontrano
una sera in un casinò in Germania. Lei viene presentata così: “La Nereide che indossava l’abito
verde mare ornato d’argento e il cappello di velluto verde con una spilla d’argento a trattenere
una piuma di un più tenue verde mare che ricadeva all’indietro sui capelli castano chiaro, era
Gwendolen Harleth”. Lui la osserva giocare. Disapprova ma non riesce a staccare la sua attenzione
da lei. “La silfide vinse, e con dita affusolate, avvolte in finissimi guanti grigio perla, sistemò le
monete che erano state spinte verso di lei…”. Daniel resta colpito dall’affascinante ma viziata

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Gwendolen, e quando lei, presa da una irragionevole furia continua a giocare alla roulette e perde
tutto, lui la aiuta finanziariamente ma di nascosto, per autentico altruismo. Contemporaneamente
arriva una lettera della madre che comunica a Gwendolen che la famiglia, a causa di investimenti
finanziari sbagliati è caduta improvvisamente in disgrazia e Gwendolen deve tornare
precipitosamente a casa, in Inghilterra.

A questo punto tutto ci induce a credere che siamo sprofondati in un grande, romantico,
ottocentesco romanzo d’amore, che dopo centinaia di pagine di peripezie che già pregustiamo i
due si ritroveranno e che alla fine l’amore trionferà. Ma non abbiamo fatto i conti con George
Eliot, che non è una scrittrice qualunque nè tantomeno prevedibile. E George Eliot ha in serbo per
noi ben altre sorprese. Con il rientro di Gwendolen a casa, in Inghilterra, la trama si interrompe e ci
sono due lunghi flashback separati.

Da una parte, uno che sviluppa la storia di Gwendolen Harleth la quale rifiutandosi di accettare un
posto di governante dei figli di una agiata famiglia (che, assieme al lavoro di insegnante è
considerata unica situazione lavorativa socialmente e moralmente accettabile per le ragazze
dell’epoca) e pur di sfuggire alle ristrettezze economiche in cui adesso si ritrovano lei, la madre e le
sorelle decide di intraprendere l’unica altra strada considerata possibile: quella del matrimonio.
Accetta quindi di sposare Henleigh Grandcourt, un uomo ricco, taciturno e autoritario che chiede
la sua mano poco dopo averla conosciuta e lo sposa pur essendo venuta a conoscenza della lunga
relazione da lui avuta con Lydia Glasher, dalla quale ha avuto dei figli. Gwendolen mette da parte
scrupoli morali e sensi di colpa, è sicura di sè, della sua arguzia e della sua bellezza; le adulazioni di
tutti coloro che la circondano le rimandano un’immagine di sè di una donna al cui fascino sembra
nessuno riesca a sottrarsi, e “a Gwendolen, leggiadra silfide di vent’anni, non bastava un semplice
matrimonio: lei voleva dominare”. Pensa, Gwendolen, che potrà avere il completo controllo del
marito, che potrà anche da sposata fare tutto quello che più le aggrada, di essere insomma in
grado di gestire totalmente e a proprio vantaggio la nuova condizione che, in quanto moglie,
secondo le leggi ed i costumi sociali dell’epoca dovrebbero privarla di quella libertà ed autonomia
di azioni e di pensiero di cui ha sino a quel momento spensieratamente goduto. No, pensa, tutto
questo a lei non succederà:
“La povera Gwendolen non temeva le forze incontrollabili che si scatenano nel matrimonio; lo
considerava una questione organizzativa e amministrativa che lei avrebbe saputo gestire
perfettamente”

Le cose, però, non andranno esattamente così… L’altro flashback riguarda Daniel Deronda. Il
nostro eroe eponimo, tornato anche lui in Inghilterra, una sera viene per caso in soccorso, nelle
acque del Tamigi, di una sconosciuta che sta per annegare. La ragazza è Mirah Lapidoth, una
giovane donna ebrea e accade che Daniel, nei suoi tentativi di aiutarla a trovare la madre e il
fratello di cui da anni non ha saputo più nulla si ritrova ad avvicinarsi e ad entrare sempre di più
nella comunità ebraica e ad accostarsi al fermento della prima politica sionista.

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Attraverso Mirah e suo fratello Mordecai Daniel Deronda scopre così la straordinaria complessità
del popolo ebraico e l’odiosa persecuzione da cui è oppresso. A poco a poco si rende conto che
tutto, nell’ebraismo, lo attira magneticamente e lo affascina, per ragioni che egli stesso giudica
inspiegabili. La vera svolta del romanzo, però, si avrà solo molto più avanti. Il racconto in flashback
a questo punto finisce, e dopo tutti questi avvenimenti decisivi per i destini di Gwendolen e di
Daniel (il ricco matrimonio di convenienza celebrato con Grandcourt per lei, l’incontro con gli ebrei
Mirah e Mordecai Lapidoth per lui) le loro storie si ricongiungono e si torna alla narrazione
principale.

Le due storie che ci sono state narrate separatamente ci hanno presentato due mondi: da una
parte quello della upper class britannica di Gwendolen Harleth, dei suoi amici e parenti, di suo
marito Grandcourt, delle ferree norme giuridiche e sociali che lo regolano e, dall’altra, il mondo
dell’ebraismo di Mirah e Mordecai Lapidoth e della famiglia Cohen. Daniel — allevato come un
perfetto gentiluomo inglese dell’aristocrazia ma che sempre di più si addentra negli ambienti
dell’ebraismo — si trova, fino ad un certo punto del romanzo, in mezzo a questi due mondi come
una sorta di mediatore, di ponte. Ma siamo ancora soltanto a metà del romanzo. La seconda parte
della narrazione ci riserva molte sorprese. Man mano che ci si avvicina alla fine del lungo percorso
narrativo ci si rende sempre più conto che le storie narrate da Eliot e intrecciate affinché il lettore
si appassioni alle vicende dei protagonisti non sono il vero scopo dell’autrice. Qui non c’è solo il
piacere (e la grande abilità) del “narrare per narrare”. Le vicende di Gwendolen e Daniel, di Mirah
e Mordecai, di Henleigh Grandcourt e della misteriosa Contessa Maria Alcharisi sono solo la
cornice di un contesto il cui scopo è quello di far riflettere sulla condizione umana di chi si trova
alla ricerca delle proprie origini e della propria autentica identità culturale. Nel grande affresco
allestito da George Eliot, la comunità ebraica verso cui si affaccia Deronda è contrapposta a quella
aristocratica inglese in cui il vizio e l’inettitudine sono capisaldi della morale mentre altruismo,
fratellanza e spirito libero vengono invece descritte come caratteristiche principali del popolo
ebraico che è sgretolato e sparso lungo gli angoli della Terra. Deronda si renderà conto che la sua
insoddisfazione verso la nobiltà di cui fa parte e l’ inspiegabile attrazione che su di lui sempre più
esercita l’ebraismo derivano da origini che egli stesso ignora.
I personaggi di Daniel Deronda viaggiano molto, spostandosi da una capitale all’altra. Li
incontriamo a Francoforte, Praga, Vienna, Amburgo, San Pietroburgo, Genova, Trieste, Bayereuth,
in Palestina ed anche a New York in cui uno dei personaggi ebrei del romanzo ha soggiornato
prima di tornare nella vecchia Europa. Sono infatti i personaggi ebrei quelli che si spostano di più e
che conferiscono una dimensione cosmopolita al romanzo.

Se a tutto questo si aggiunge che nel suo libro l’autrice affronta un tematica contemporanea
assolutamente inusuale e cioè la posizione degli ebrei nella società britannica ed europea del
tempo (ed abbiamo visto che questo tempo era l’attualità) si comprendono molte delle reazioni
perplesse o addirittura sconcertate che la lettura di questo romanzo moderno e cosmopolita che
trascina il lettore da Londra a Genova passando per le cittadine termali tedesche, di questo
romanzo sperimentale che talvolta gioca con la cronologia presentando una inaspettata sintesi tra
due storie parallele, due linee narrative — la storia inglese e la storia ebrea — che racconta il
destino di due eroine radicalmente diverse, la bionda inglese Gwendolen e la bruna ebrea Mirah
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tra cui si muove Daniel Deronda produsse in molti degli stessi fedeli ed appassionati lettori (veri e
propri fans) dell’autrice. Satira sociale e ricerca morale, Daniel Deronda è una storia avvincente,
con personaggi che è difficile dimenticare, un romanzo capace di affrontare diverse problematiche
analizzate nel profondo, un romanzo che è (anche) storia di una redenzione e della scoperta della
propria autentica identità. Non stupisce che lungo tutta la narrazione si ritrovino frequenti
allusioni ai miti religiosi, tra cui spicca in particolar modo quella che associa la figura di Cristo con
Daniel Deronda. Del resto il vero nome di Daniel è “Charisi” che può essere ben inteso come una
forma anagrammatica di “Christ”. Altrettanto interessante si rivela il ruolo di Gwendolen, è come
se fosse una rivisitazione del mito di Maria Maddalena.

“Se non immaginassero un’origine, gli uomini sarebbero privi di ogni possibilità di agire. Persino la
Scienza, severa misuratrice, è costretta a immaginare un’unità da cui partire e deve scegliere un
punto dell’incessante viaggio delle stelle, orientando le lancette del suo orologio siderale su uno
Zero che sia origine del tempo.”
Così George Eliot scrive nell’epigrafe al Capitolo I iniziando la sua lunga narrazione.
Ciò che soprattutto sconcertò i primi lettori di Daniel Deronda, il nervo scoperto che Eliot toccava,
il tema forse centrale affrontato nel romanzo e che rimane attuale e controverso ancora oggi è la
posizione degli ebrei nella società britannica ed europea e le loro probabili prospettive.

Il grande scandalo suscitato dal romanzo al suo apparire fu dovuto, io credo, alla grande abilità con
cui Eliot riesce a stanare ed a mettere alla berlina il pregiudizio antisemita che rileva nella società
britannica. A molti lettori inglesi, appassionarsi ad una romantica storia d’amore per poi scoprire di
nutrire forti pregiudizi nei confronti del popolo ebraico non dovette fare granchè piacere. Che cosa
ci mostra infatti Daniel Deronda sulla situazione degli ebrei in Gran Bretagna alla fine del XIX
secolo? Che erano impopolari, che soffrivano di facili pregiudizi, e questo anche mentre il Primo
Ministro in carica era il nativo ebreo sefardita Benjamin Disraeli.

Eliot ci mostra quello che considera il tipico punto di vista sugli ebrei – dalle classi superiori (che si
riferiscono a Mirah come una “piccola ebrea”), alle classi medie (la buona signora Meyrick
annunciando alle figlie l’arrivo di Mirah, raccomandatale da Daniel dice: “Pare che sia un’ebrea,
ma piuttosto colta, dice… Conosce l’italiano e la musica” e la stessa Mirah si presenta così: “Sono
una straniera. Sono ebrea. Forse pensate che io sia cattiva´No, siamo sicure che sei buona’, disse di
slancio Mab.´Non pensiamo male di te, povera cara.” ), alle classi lavoratrici (l’uomo del pub che
chiede, “[Se] sono abbastanza intelligenti da battere mezzo mondo – perché non l’hanno fatto?”).
Quando Catherine, giovane e intelligente ereditiera comunica ai genitori di voler sposare il suo
insegnante di canto Klesmer, musicista e compositore di fama internazionale (“una felice
combinazione di tedesco, slavo e semita, con un viso dai lineamenti imponenti, capelli castani
ondulati alla moda degli artisti e occhi anch’essi castani dietro gli occhiali. Parlava un ottimo
inglese” ), stimato da tutti, la madre comunque inorridisce: “Diventerai la favola del paese. Lo
diranno tutti che devi essere stata per forza tu a fare la proposta a un uomo che veniva pagato per
entrare in casa, che nessuno sa chi sia, uno zingaro, un ebreo, un granello di sabbia minuscolo”.

Di passaggi simili a questi è costellato tutto il romanzo.

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Eppure, la stessa Eliot non appare immune da pregiudizi nei confronti di un certo tipo di ebrei,
quelli ad esempio rappresentati dal capo della famiglia Cohen, un prestatore di pegni dal viso
“florido e luccicante” mentre, di contro, il ritratto dell’innocente Mirah appare talmente
santificato da assumere in molti punti del romanzo le stucchevoli sfumature del buon selvaggio,
talmente infantile ed innocente da rasentare, in alcuni passaggi, l’insipido.

Di contro, in Mordecai, l’intellettuale visionario che entra in stretto contatto con Daniel, Eliot crea
un personaggio complesso con lati sia simpatici che antipatici e rivela un fascino a volte
schiacciante per le minuzie del giudaismo, le sue pratiche religiose, la cultura, e la sua letteratura.

Mordecai descrive e incarna l’ebreo errante, per sempre un estraneo in una terra straniera, mai a
casa, “Di quale altra nazione si può dire sinceramente che la sua religione, la sua legge e la sua vita
morale si sono unite come il flusso del sangue nel cuore per crescere insieme? Quale altro popolo
ha mantenuto e allargato le proprie riserve spirituali nel momento stesso in cui veniva cacciato
con odio feroce, come un incendio che distrugge un bosco e che fa fuggire le bestie dalle loro
tane?”.

Il fatto che Daniel diventi discepolo di Mordecai e accetti di continuare il suo lavoro per cercare
una patria per gli ebrei dopo la sua morte – un’idea presumibilmente altrettanto sconcertante per
i lettori di Eliot come per la maggior parte dei personaggi gentili del libro – mostra anche un
genuino impegno/interesse dell’autore. Di fatto, in Daniel Deronda Eliot ci fornisce una
sorprendente, evocativa e potente raffigurazione ed anticipazione del sionismo.

Sono sei i nuclei tematici che si individuano in Daniel Deronda:


1) Disgregazione economica e familiare: Gwendolen è informata da una lettera inviatela dalla
madre del tracollo finanziario abbattutosi all’improvviso sulla loro famiglia.
2) Bellezza femminile come distruzione ed autodistruzione: natura estremamente ambiziosa ed
egoistica di Gwendolen.
3) La vocazione
4) Dislocazione spaziale: Gwendolen giunge a Leubronn per porre rimedio alla difficile situazione
economica familiare.
5) Sistematizzazione assiologica finale: l’incarico di Daniel sarà quello di ricostruire lo stato di
Israele.

Riassunto della trama


La trama di Daniel Deronda segue due filoni principali, uniti dal personaggio che dà il titolo al
romanzo. Il racconto inizia con il misterioso incontro di Daniel Deronda e Gwendolen Harleth in
una città tedesca. Daniel è allo stesso tempo attratto e insospettito dalla bella, testarda ed egoista
Gwendolen, che davanti a lui perde tutte le sue vincite a un gioco di roulette. Il giorno seguente
Gwendolen riceve una lettera da sua madre che le dice della rovina economica della famiglia e la
scongiura di tornare a casa. Disperata per aver perso tutti i suoi soldi, Gwendolen decide di
impegnare una delle sue collane e vuole giocare di nuovo alla roulette per rifarsi dei soldi perduti.
In un momento fatidico, però, un portiere le riporta la collana e lei capisce che in qualche modo
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Deronda l'ha vista impegnare la collana e l'ha riscattata per lei. Da questo punto in poi, la trama si
interrompe e ci sono due flashback separati, uno sulla storia di Gwendolen Harleth e uno su quella
di Daniel Deronda.
Gwendolen e la sua famiglia si trasferiscono in un nuovo quartiere dopo la morte del patrigno di
Gwendolen. È qui che lei incontra Henleigh Grandcourt, un uomo taciturno e autoritario che
chiede la sua mano poco dopo averla conosciuta. In un primo momento Gwendolen accetta le sue
avances, ma alla fine fugge via (nella città tedesca dove incontra Deronda) avendo scoperto che
Grandcourt ha avuto dei figli dalla sua amante, Lydia Glasher. Questa parte del romanzo ritrae
Gwendolen come una figlia altezzosa, egoista ma affezionata, ammirata per la sua bellezza ma
guardata con sospetto in società a causa delle sue osservazioni ironiche e per il suo
comportamento in certo modo autoritario. Gwendolen è anche soggetta ad attacchi di terrore che
scuotono il suo contegno solitamente calmo e controllato.

Deronda è stato allevato da un ricco gentiluomo, Sir Hugo Mallinger. Il suo rapporto con Sir Hugo è
ambiguo e tutti, compreso lo stesso Deronda, pensano che Deronda sia il figlio illegittimo di Sir
Hugo, ma nessuno lo sa con certezza. Deronda è un giovane uomo allegro e compassionevole che
non sa che cosa fare nella vita e questo è un tasto dolente per lui e Sir Hugo, il quale vuole farlo
entrare in politica. Un giorno, mentre è su un battello sul Tamigi, Deronda salva una donna povera
ma bella, Mirah Lapidoth, che sta tentando di suicidarsi. Deronda la porta a casa dei suoi amici e
scopre che Mirah è una cantante. Mirah è arrivata a Londra senza un soldo per cercare la madre e
il fratello dopo essere scappata da suo padre, il quale l'aveva rapita quando era bambina e
costretta a entrare in un gruppo di attori. Alla fine lei scappa perché temeva che il padre stesse
progettando di venderla a un suo amico. Commosso dal suo racconto, Deronda decide di aiutarla a
trovare la madre e il fratello e così viene introdotto nella comunità ebraica di Londra. Mirah e
Daniel diventano intimi e Daniel, preso dai suoi sentimento per Mirah, parte per raggiungere Sir
Hugo in Germania, nella città dove incontra Gwendolen per la prima volta.
A questo punto finisce il racconto in flashback e si torna alla narrazione principale. Gwendolen
torna a casa dalla Germania perché la sua famiglia ha perso tutto e si trova in una situazione
economica disastrosa. A Gwendolen non piace l'idea del matrimonio, l'unico modo in cui una
donna può trovare la sicurezza economica, allora cerca di trovare lavoro come cantante o attrice.
Quando un famoso musicista le dice che non ha talento, Gwendolen decide di cercare lavoro come
governante. Ma si rende conto di non poter vivere come una governante impoverita e allora, per
salvare se stessa e la famiglia dalla povertà, sposa il ricco Grandcourt, nonostante la promessa
fatta all'amante di lui di non sposarlo e temendo che quel matrimonio sia uno sbaglio.
Deronda continua a cercare la famiglia di Mirah e incontra Mordecai, un sognatore malato di
tubercolosi. Mordecai dichiara appassionatamente il suo desiderio che il popolo ebraico conservi
un'identità nazionale e che un giorno sia restaurata la "Terra Promessa". Visto che sta morendo,
Mordecai vuole che Daniel sia il suo erede intellettuale, continui a inseguire il suo sogno e diventi
un sostenitore del popolo ebraico. Nonostante sia fortemente attratto da Mordecai, Daniel esita a
impegnarsi per una causa che non sembra avere nessuna relazione con la sua identità. Il desiderio
di Daniel di abbracciare la visione di Mordecai diventa più forte quando scopre che Mordecai è

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proprio il fratello che Mirah sta cercando. Però Daniel non è ebreo e non riesce a far coincidere il
suo affetto e il suo rispetto per Mordecai con una vita dedicata alla difesa del popolo ebraico.

Nel frattempo Gwendolen è stata schiacciata emotivamente dal marito, crudele e autoritario. È
angosciata dal pensiero di aver tolto qualcosa, con il suo matrimonio, ai figli di Lydia Glasher. Il
giorno del matrimonio Lydia maledice Gwendolen e le predice che soffrirà a causa di quel
matrimonio. È per questo che Gwendolen vive nella paura e nel terrore. In tutto questo periodo
Gwendolen e Deronda si incontrano regolarmente e ogni volta Gwendolen riversa le sue angosce
su Daniel. Durante un viaggio in Italia, Grandcourt cade dalla nave e muore. Gwendolen era
presente all'incidente e si sente in colpa per aver desiderato a lungo la morte del marito e per aver
esitato a salvarlo. Deronda, anche lui in quel momento in Italia per incontrare sua madre (della cui
esistenza alla fine Sir Hugo gli ha parlato), può consolare Gwendolen e la consiglia sul da farsi.
Gwendolen spera di avere un futuro con Daniel, ma lui invece la spinge verso una strada di
rettitudine e giustizia, aiutando gli altri e alleviando così il proprio dolore.
Deronda incontra sua madre, una famosa cantante lirica di cui Sir Hugo un tempo era innamorato.
La donna gli dice di essere figlia di un rabbino e di essere stata costretta a sposare un altro rabbino
nonostante il suo odio per la rigida educazione ricevuta nel solco della tradizione ebraica. Daniel
era il prodotto di quella unione e, alla morte di suo marito, la donna aveva implorato il devoto Sir
Hugo di allevare suo figlio come un gentiluomo inglese, che non doveva mai sapere di essere
ebreo. Scoperte le sue vere origini, Daniel finalmente accetta i suoi sentimenti e, tornato in
Inghilterra, dichiara il suo amore a Mirah. Daniel si impegna a diventare il discepolo di Mordecai e,
subito dopo il matrimonio di Daniel e Mirah, Mordecai muore assistito da Daniel e Mirah. Prima di
sposare Mirah, Daniel va da Gwendolen e le parla delle sue origini, della sua decisione di andare in
Palestina (per desiderio di Mordecai) e le dice che sta per sposare Mirah. Gwendolen è devastata
dalla notizia ma giunge a una svolta nella sua vita, una svolta che le fa dire, finalmente, "io voglio
vivere". Sotto la guida di Daniel Gwendolen decide di vivere in modo altruistico. Manda una lettera
a Daniel il giorno del suo matrimonio e gli dice di non pensare alla sua tristezza ma che lei sarà una
persona migliore per aver conosciuto lui. Poi gli sposi partono per la Palestina per capire che cosa
possono fare per restaurare la nazione ebraica.

Daniel Deronda — pupillo del ricco Sir Hugo Mallinger, eroe eponimo del romanzo, Deronda ha
un'inclinazione ad aiutare gli altri a sue spese. All'inizio del romanzo Deronda non è riuscito a
ottenere una borsa di studio per Cambridge per aver aiutato un amico in difficoltà, ha viaggiato
all'estero e ha appena cominciato gli studi giuridici. Si interroga spesso sulla sua nascita e si chiede
se sia o no un gentiluomo. Quando viene introdotto nella comunità ebraica, Deronda comincia a
identificarsi sempre più con la loro causa parallelamente alle sue scoperte circa le sue origini. Per
la storia di Deronda, la Eliot in parte si ispira alla storia di Mosè. Come Mosè, allevato come
egiziano per poi guidare il suo popolo verso al Terra Promessa, così Deronda è un ebreo allevato
come gentiluomo inglese che alla fine del romanzo abbraccia lo stesso progetto. Il nome di
Deronda indica presumibilmente che i suoi antenati vivevano in Spagna, nella città di Ronda, prima
dell'espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492.
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Gwendolen Harleth — La bella figlia viziata di una vedova.[1] Molto corteggiata dagli uomini,
Gwendolen ama flirtare ma in definitiva pensa solo a se stessa. All'inizio del romanzo la sua
famiglia si trova in una situazione economica difficilissima e Gwendolen si vede costretta a trovare
un impiego come governante per mantenere se stessa e la sua famiglia. Cercando una vida
d'uscita, Gwendolen prova a diventare attrice e cantante, ma il musicista Herr Klesmer le dice che
ha cominciato troppo tardi, che no sa che cosa significhi il lavoro duro, l'esercizio e il sacrificio.
Gwendolen allora sposa l'autoritario e crudele Henleigh Grandcourt, anche se non lo ama.
Disperatamente in felice, Gwendolen cerca l'aiuto di Deronda, che sembra offrirle comprensione,
supporto morale e la possibilità di una via d'uscita dal suo senso di colpa e dal suo dolore. Come
studio psicologico di una persona immatura che cerca di capire se stessa e gli altri attraverso la
sofferenza, Gwendolen rappresenta il culmine dell'opera della Eliot e il vero cuore del romanzo. Il
critico letterario F.R. Leavis riteneva che il romanzo sarebbe stato perfetto senza la parte relativa al
tema ebraico, con un nuovo titolo, Gwendolen Harleth. In effetti, anche se Deronda dà il titolo al
romanzo, Gwendolen nel romanzo ha uno spazio maggiore rispetto a Deronda stesso.

Mirah Lapidoth — Una bella ragazza ebrea nata in Inghilterra ma rapita dal padre quando era
bambina per viaggiare in tutto il mondo come cantante. Quando capisce che il venale padre vuole
farla diventare l'amante di un nobile europeo in cambi odi soldi, di cui ha bisogno per il suo vizio
del gioco, Mirah fugge in Europa, a Londra, per cercare la madre e il fratello. Quando arriva a
Londra trova la vecchia casa distrutta e nessuna traccia della sua famiglia. Disperata, tenta il
suicidio. Salvata da Daniel, è assistita dagli amici di lui mentre le cercano la famiglia e un lavoro per
mantenersi.

Henleigh Mallinger Grandcourt — Un uomo ricco, autoritario, sposa Gwendolen Harleth e poi
comincia a opprimerla emotivamente. Ha un'amante, Lydia Glasher, dalla quale ha avuto dei figli
senza sposarla. Aveva promesso a Lydia di sposarla quando il marito di Lydia era morto, ma
rinnega la sua promessa per sposare Gwendolyn.

Sir Hugo Mallinger — Un ricco gentiluomo; quando era giovane era innamorato della diva della
lirica Maria Alcharisi e aveva accettato, per suo amore, di allevare il figlio di lei, Daniel Deronda.

Lush — il socio servile di Henleigh Grandcourt. Lui e Gwendolen provano antipatia l'uno per l'altra
si dal primo momento.

Lydia Glasher — Amante di Henleigh Grandcourt, una donna caduta che ha lasciato il marito e ha
avuto dei figli da Grandcourt. Lydia affronta Gwendolen nel tentativo di persuaderla a non sposare
Grandcourt e di proteggere l'eredità dei suoi figli. Per punire entrambe le donne, Grandcourt
prende i diamanti di famiglia che aveva dato alla Glasher e li dà a Gwendoli, costringendola perfino
a indossarli, nonostante questa sappia che i diamanti erano appartenuti all'amante di lui.

Ezra Mordecai Lapidoth — fratello di Mirah. Un giovane ebreo sognatore, malato di tubercolosi
che diventa amico di Daniel Deronda e gli insegna tutto sull'ebraismo. Cabalista e proto-sionista,
Mordecai vede in Deronda il suo successore spirituale e lo ispira a inseguire il suo sogno di creare

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una patria per gli ebrei in Palestina. Il suo nome deriva dal personaggio biblico Mardocheo, che
salva gli ebrei dalle trame di Amàn nel Libro di Ester

Herr Klesmer — Un musicista ebreo tedesco della cerchia sociale di Gwendolyn Harleth; Klesmer
sposa Catherine Arrowpoint, una ragazza ricca amica di Gwendolyn. È lui che consiglia a
Gwendolen di non cercare una carriera sul palcoscenico. Personaggio forse ispirato in parte a
Franz Liszt.

Contessa Maria Alcharisi — Madre di Daniel Deronda. Figlia di un rabbino, soffre a causa del
prepotente padre, che la vede solo some futura generatrice di figli ebrei. Per accontentarlo, Mirah
accetta di sposare un religioso, suo cugino, sapendo che lui l'adora e che le farà fare quello che
vuole dopo la morte di suo padre. Quando il padre di Mirah muore, Mirah diventa un'attrice e
cantante famosa. Dopo la morte di suo marito, affida suo figlio a Sir Hugo Mallinger per allevarlo
come un gentiluomo inglese, libero da tutti gli svantaggi che lei ha sofferto come ebrea. In seguito
comincia a perdere la voce, si converte al Cristianesimo per sposare un nobile russo. Poi recupera
la voce e si pente amaramente di aver abbandonato la sua vita di artista. Gravemente ammalata,
comincia a temere di essere punita per aver disatteso le aspettative di suo padre sulla sua
discendenza. Contatta Daniel attraverso Sir Hugo, gli chiede di incontrarla a Genova, dove si trova
con la scusa di consultare un dottore. Il loro incontro in Italia è una delle scende più importanti del
romanzo. Poi dice a Deronda dove ritrovare una cassa piena di documenti importanti sulla sua
origine ebraica, raccolti da suo padre.

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