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GBPress- Gregorian Biblical Press

Review
Author(s): Rodolfo Bozzi
Review by: Rodolfo Bozzi
Source: Gregorianum, Vol. 64, No. 2 (1983), pp. 379-381
Published by: GBPress- Gregorian Biblical Press
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23576811
Accessed: 27-06-2016 02:54 UTC

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GREGOR1ANUM, VOL. 64 (1983) FASC. II: RECENSIONES 379

PHILOSOPHIA

Michel Villey, Philosophie du droit. Tome I: Définitions et fins du droit,


Deuxième édition; Tome II: Les moyens du droit (Précis Dalloz). Paris:
Dalloz, 1978.1979; cm 18X11,5, pp. 238.267. ISBN 2-247-01059-8 et
2-247-00074-6.

Questi due volumi di Philosophie du droit ruotano intorno a due centri: la


definizione del diritto nel primo volume, la dialettica nel secondo. Al di fuori
di questi centri, ricchezza di informazione, oculato atteggiamento critico, dovi
zia di conseguenze: ma se si vuole cogliere il nocciolo dell'insegnamento a quei
due centri bisogna rifarsi.
Chiarito, sulla base di testi aristotelici, il concetto di giustizia generale
come «conformité de la conduite d'un individu à la loi morale» (1, p. 59), si
precisa che non si tratta della piena moralità, ma soltanto del complesso delle
virtù dal punto di vista del vantaggio sociale. A interessare il diritto è invece la
giustizia particolare: «nous disons d'un homme qu'il est 'juste', plus spéciale
ment pour signifier qu'il a lTtabitude de ne pas prendre 'plus que sa pari' des
biens qu'on se dispute dans un groupe social, ou moins que sa part du passif,
des charges, des travaux» (I, p. 63). In altri termini, l'uomo giusto, in questo
secondo senso più ristretto, è colui che non detiene più né meno di quanto gli
spetti, è chi realizza nella comunità la retta divisione di beni e incarichi. E
l'arte giuridica mira, puramente, alla divisione dei beni esteriori (res exteriores
nella terminologia di S. Tommaso, il regno dell'avere in quella di Marcel); i
beni spirituali, il regno dell'essere, non possono essere ripartiti.
Il diritto (il neutro dikaion, «la justice hors de moi, dans le réel, objecti
ve»: I, p. 72) è allora «une proportion (celle que nous découvrirons bonne)
entre des choses partagées entre des personnes; un proportionnel (terme neu
tre), un analogon. On peut dire aussi que le droit consiste en une égalité, un
égal» (I. p. 74). Ma si badi: non di eguaglianza nel senso moderno arido e
aritmetico. L'eguaglianza presso i greci si situa nel contesto di una contempla
zione della bellezza dell'ordine cosmico; non si riduce all'equivalenza di due
quantità, ma scopre un'armonia del valore.
«Une bonne proportion dans le partage des biens entre membres d'un
groupe, telle est donc l'essence du droit» (I, p. 75). Così anche per S. Tommaso
che riprende l'insegnamento aristotelico (1, pp. 123-130). Su questa base Villey
sviluppa la distinzione fra giustizia distributiva e commutativa (I, pp. 77-80),
fra amicizia e diritto (I, pp. 82-83), deduce l'imperfezione del diritto di famiglia,
dove non c'è vera divisione di beni (I, pp. 83-84) e del diritto internazionale,
dove la comunità è troppo vaga e dove si deve piuttosto parlare di morale
internazionale (I, pp. 84-85).
Evidentemente non possiamo seguire in tutti i suoi momenti il ragionamen
to: ci piace sottolineare almeno le pagine che Villey scrive per mostrare la
concordanza dell'impostazione filosofica aristotelica con il diritto romano (I,
pp. 87-97).
Il secondo centro tratta della metodologia. Il fascino del metodo geometri
co ha dominato la filosofia moderna: l'analisi e la sintesi galileiane («résolutive
- composite») sono state riportate da Grozio, Hobbes, Pufendorf, Domat, Leib
niz, Wolff... anche sul piano del diritto.
Ma, si chiede Villey, è lecita questa trasposizione? Ancora una volta la
filosofia giuridica aristotelica e il diritto romano ci presentano una metodologia
dialettica (II, pp. 80-82). Villey individua alcune regole ben precise di questo
metodo: selezione sulla base di un impegno teoretico, uso equilibrato di testi,
posizione del problema nella sua realtà oggettiva e non nel puro significato

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380 GREGORIANUM, VOL. 64 (1983) FASC. Il: RECENSIONES

nominale, tecnica dell'argomentazione, superamento delle divergenze e conqui


sta di un accordo e infine tentativo di una conclusione generalizzata. Purtroppo
questo metodo è andato in desuetudine: si è sostituito con modelli presi dalla
matematica ο dalle scienze sperimentali. E la dialettica è diventata altra cosa
ben differente (II, pp. 60-68). In altri termini la dialettica con la problematicità
delle premesse, il lavoro collettivo, il confronto delle opinioni, la ricerca di una
comprensione sempre più completa della verità (II, pp. 55-57) forma un metodo
tipico del diritto: «Le juste est un rapport qui apparali à chaque partie
intéressé de fagon partielle, unilatérale; sur lequel n'existent au départ que des
opinions divergente; lieu par excellence de la dialectique» (II, p. 75).
Ora è appunto la nozione di dialettica a offrirci la chiave del problema
delle fonti del diritto.
Dopo un excursus su le fonti ideali (la Parola divina, la volontà dell'uomo,
la legge naturale della seconda scolastica, il diritto naturale del 600-700) e su le
fonti fattuali (dello scetticismo, dell'utilitarismo, del positivismo...) (II, pp.
87-122), Villey propugna un ritorno alla concezione del diritto naturale tipica
mente aristotelico: non a un'essenza comune, statica e definitivamente determi
nata, ma a un essere vivo, che cambia per intrinseco movimento, in tensione a
determinati stadi, con un ordine interiore. Di qui scaturisce che il valore è
proprio il fine dell'essere naturale, lo stesso ordine (ens et bonum convertuntur,
come dice S. Tommaso, poiché esiste coincidenza fra bene e pienezza di
realizzazione di un essere) (II, pp. 133-139). In tal modo il diritto (la ripartizio
ne dei beni di cui si è parlato) preesiste alla coscienza, non dipende dal
giudizio umano, è già dato nelle relazioni oggettive. Il fatto però che il diritto
non è una sostanza ma un rapporto, che i gruppi sociali sono mobili e che il
diritto naturale raramente perviene al compimento completo, rende particolar
mente difficile la sua conoscenza. Ritorna in tal modo la metodologia dialettica
(II, pp. 148-155). È possibile una scienza delle cose invariabili (astri, enti
matematici...), mentre «nous ne sommes capables d'y reconnaitre que ce qui
arrive 'le plus souvent'...: il est ordinaire que l'homme soit droitier, mais il y a
des hommes qui se servent autant de la main gauche» (II, p. 143). E poco
dopo: «La modestie des prétentions de la philosophie classique est aux antipo
des de Torgueil du rationalisme moderne. Les jusnaturalistes modernes se
glorifieront de posséder le Droit Naturel sous la forme de maximes écrites.
Mais l'écrit est le résultat positif du travail des hommes; le droit naturel n'est
pas résultat. 11 est l'objet dont on discute» (II. pp. 150-151).
Sono sufficienti questi pochi cenni a mostrare il coraggio, la profondità e
la precisione concettuale di Villey: gli siamo profondamente grati del contribu
to che così largamente si rifà alla riflessione filosofica aristotelica e alla prassi
giuridica romana. Evidentemente non possiamo seguirlo nelle ricche analisi
delle varie scuole, né interessa ora l'esattezza dell'interpretazione. Se qualche
altra parola vogliamo aggiungere in sede critica, la rivolgiamo direttamente al
pensiero di Villey.
Ci sembra che un approfondimento sia necessario nella delineazione del
concetto di ripartizione di beni: i beni ripartiti cioè suppongono già un'apparte
nenza? Suum cuique tribuere: cosa è allora questo suum? Così ancora ci
sembra opportuno distinguere con maggiore precisione diritto da giustizia
particolare. C'è una identificazione? Come si pone il problema del diritto
ingiusto? Non aggiunge nulla il concetto di diritto a quello di giustizia
particolare? A noi sembra che il diritto includa la giustizia particolare, aggiun
gendo il carattere della positività, della vigenza in un'organizzazione e dell'even
tuale sanzione in tale organizzazione. In tal modo un diritto ingiusto si
presenta senza quell'animazione della giustizia, ma pure con una vigenza nella
società. Connessa con questa un'altra perplessità: talvolta ci sembra che il
concetto di realtà sia riduttivo: ad es. in I, pp. 72-73 la realtà si identifica con
le cose ο realtà esterne. Ci sembra che l'espressione «in re» debba intendersi

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«nella realtà», semplicemente: anche il soggetto è realtà! Onde il concetto di to


dikaìon includerebbe l'attività giusta, l'oggetto giusto, la norma giusta...: la
realtà giusta appunto (e non solo la cosa ο realtà esterna).
Infine la concezione dell'essenza come statica e del correlato diritto natura
le come del diritto dei rapporti mobili e in via di completamento. Ma l'essenza
non è forse il principio del dinamismo degli esseri? E attraverso quegli atti che
noi poniamo, non riusciamo a cogliere qualcosa del nostro intimo essere? E
allora attraverso gli atti non possiamo talvolta giungere a una fondazione più
profonda dello stesso comportamento, a un diritto naturale giustificante quel
comportamento ?
Questi rilievi non oscurano affatto il valore dell'opera di Villey: sono
piuttosto a noi stessi stimolo per una più approfondita meditazione.

Rodolfo Bozzi, S.I.

Walter Brugger, Der dialektische Materialismus und die Frage nach Goti.
Miinchen: Johannes Berchmans Verlag, 1980; cm 21,5X15, pp. 254. DM
44. - ISBN 3-87056-028-2.

Wer befaBt sich schon noch mit dem dialektischen Materialismus! Und
doch bleibt er die Grundphilosophie, in die in den kommunistischen Làndern
alle eingefuhrt werden. Marxisten der westlichen Lànder mògen den dialekti
schen Materialismus sowjetischer Pràgung als scholastischen Auswuchs ableh
nen, ihre Grundiiberzeugungen iiber Welt und Geist fallen jedoch weithin mit
den Positionen zusammen, die im dialektischen Materialismus kodifiziert wer
den. Daher ist der vorliegende dreiBigste Titel der Sammlung Wissenschaft und
Gegenwart eine willkommene Ergànzung zur fachphilosophischen Auseinander
setzung mit dem dialektischen Materialismus, um die sich diese Reihe so
verdient gemacht hat.
Der dialektische Materialismus entwickelt die Frage nach Gott nicht als
Thema. Er setzt die Religionskritik des historischen Materialismus voraus und
beschrànkt sich darauf, immer wieder die Existenz Gottes als unvereinbar mit
dem materiellen und dialektischen Wesen der Wirklichkeit zu behaupten. Auch
von einer Kritik der traditionellen Gottesbeweise entschuldigen sich die Auto
ren des dialektischen Materialismus fiir gewòhnlich mit dem Hinweis, Kant
hatte die Gottesbeweise ein fiir alternai erledigt.
Der Vf geht daher ausfiihrlich auf die Kantsche Kritik der Gottesbeweise
ein. Zuvor jedoch widmet er ein ganzes Drittel des Textes Voriiberlegungen
zum Selbstverstandnis des dialektischen Materialismus als Philosophie, Wissen
schaft und Ideologie zugleich, und zur Klàrung der fiir die Gottesfrage wichti
gen erkenntnistheoretischen und naturphilosophischen Aussagen. Im Kapitel
iiber den Materialismus behandelt der Vf den Materiebegriff und den Weltbe
griff, und geht vor allem auf das Materie-Geist-Problem ein, das nur durch den
SchluB auf einen personalen Schòpfergott hinreichend beantwortet werden
kann. Auch die Dialektik kann als Letztbegriindung des Weltgeschehens nicht
bestehen.
In der minutiòsen Diskussion der Lehrsàtze des dialektischen Materialis
mus làBt sich der Vf von der Frage leiten, «ob der dialektische Materialismus
seine eigenen Grundlehren, aus denen der Atheismus folgt, in sich selbst ohne
formalen und absurden Widerspruch aufrechterhalten kann» (S. 24). Dem
Nachweis des Widerspruchs làBt der Vf das positive Argument folgen, das von
den vom dialektischen Materialismus selbst festgestellten Gegebenheiten auf
die Existenz eines absoluten Wesens schlieBt. Er tut dies fiir jeden der etwa

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