Nel diritto italiano non si rinviene una definizione legislativa della nozione
generale di danno, ciò consente il proliferare di numerosi utilizzi di tale
espressione. Tuttavia al fine di includere nella categoria di danno tutte le ipotesi in cui l'ordinamento gli conferisce una rilevanza giuridica, occorre richiamare la nozione normativa di danno e dunque qualificarlo come la lesione di un interesse giuridicamente protetto. In termini codicistici tale nozione si desume dalla clausola generale di responsabilità civile di cui all'art 2043 cc in cui tra gli elementi dell'illecito si annovera, per l'appunto, il danno ingiusto ossia il danno lesivo di una situazione soggettiva giuridicamente protetta. L'altra norma fondamentale, oltre all'art 2043, disposta dal cc in materia di responsabilità extracontrattuale è l'art 2059 cc rubricato “Danni non patrimoniali “ in cui si dispone che “ il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. Diversamente dal danno patrimoniale che , nella maggior parte delle ipotesi, concerne situazioni in cui sia compromesso un interesse suscettibile di agevole valutazione economica, il danno alla persona interessa la lesione di beni che nella coscienza sociale assumono un valore inestimabile e il cui apprezzamento economico è solo convenzionale. Il danno non patrimoniale è stato oggetto, nel nostro ordinamento, di un lungo e tortuoso processo evolutivo, in passato infatti esso si identificava nel solo danno morale subiettivo o pretium doloris costituito dalle sofferenze o patemi d'animo. Centrale nella elaborazione di una disciplina specifica in materia fu il contributo della case law. In particolare grazie all'intervento di alcuni giuridici di merito si pervenne ad un ampliamento della nozione di danno non patrimoniale , inteso non solo come danno morale ma anche come danno comprensivo di tutti gli aspetti non incidenti sul patrimonio della vittima. In effetti intorno agli anni 70 soprattutto grazie a diversi contributi dottrinali che accentuavano la funzione risarcitoria piuttosto che sanzionatoria della resp civile, iniziarono a sorgere i primi dubbi sulla corretta interpretazione dell'art 2059 cc che secondo una lettura restrittiva ammetteva il risarcimento del danno non patrimoniale nelle sole ipotesi di reato, in aderenza a quanto previsto in sede penale dall'art 185 cp. Tuttavia la limitazione del risarcimento ai soli casi di reato era atta a determinare, secondo l'opinione prevalente, una disparità di trattamento del tutto irrazionale da quanti erano stati pregiudicati da un danno morale che costituiva una fattispecie di reato accertata e quanti invece da un danno che era qualificato come mero reato presunto, non trovando in questa ipotesi alcuna possibilità di risarcimento. Si pervenne alla conclusione che l'art 2059 si sarebbe dovuto abrogare, ma la corte cost con sentenza del 2003 n 233 ha superato la questione conferendo una lettura costituzionalmente orientata all'art 2059 e ammettendo la sua risarcibilità anche al di fuori dei casi di reato. Attualmente dunque nell'astratta previsione dell'art 2059 debbono ricomprendersi sia il danno morale soggettivo inteso sofferenza o turbamento dell'animo della vittima o dei suoi eredi, sia il danno biologico definito attualmente dagli art 138 e 139 del codice delle assicurazioni come la lesione, temporanea o permanente all'integrità psico- fisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale che esplichi un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito e infine il cd . Danno esistenziale derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale. Emblematiche in tal senso sono state le cd sentenze gemelle della Corte di Cassazione del 2003 n 8827 e 8828, in occasione delle quali la Suprema Corte ha riconosciuto ai prossimi congiunti, iure proprio e non solo iure hereditatis il risarcimento del danno morale quando la vittima abbia risentito di undjjd danno grave senza aver incontrato la morte. Esse hanno inoltre qualificato il danno non patrimoniale come una categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente la persona. La distinzione tra più voci risarcitorie riconducibili alla previste dell'art 2059 cc, non deve però indurre a ritenere che esistano diversi tipi di danno non patrimoniale. Infatti la Corte , consapevole che ritagliare all'interno del danno non patrimoniale singole categorie risarcitorie diversamente nominate, possa comportare il rischio di inutili duplicazioni risarcitorie, precisa che a dover essere liquidato è il danno non patrimoniale complessivamente e unitariamente considerato e che dunque il giudice in se di liquidazione dovrà assicurare un giusto equilibrio tra le singole voci di danno, per determinare il complessivo importo risarcitorio. Una delle sentenze più emblematiche sull'evoluzione del danno non patrimoniale è quella delle Sezioni Unite della Cassazione n 3677/2009 concernente un caso di licenziamento illegittimo che ha confermato i principi di diritto sanciti dalle Sez.Unite della Cassazione con le quattro sentenze cd. “sentenze di San Martino” dell'11 Novembre 2008 dalla n . 26972 alla 26975. Esse hanno segnato il percorso interpretativo dei giudici in materia di danno extracontrattuale precisando che: il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge che si dividono in due gruppi: quelli in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso ( cd fatto illecito integrante reato) e quelli in cui la risarcibilità non è prevista da norme di legge specifiche ma deve ammettersi sulla base di una lettura costituzionalmente orientata dell'art 2059. si è stabilito che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia all'interno della quale non si possono ritagliare ulteriori sotto categorie. Il cd. Danno esistenziale costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale che non può essere liquidato separatamente solo perchè diversamente nominato. Infine il il risarcimento del danno morale non può ammettersi in re ipsa ma devono essere forniti gli elementi di fatto da cui derivare l'esistenza e entità del pregiudizio. In merito alle tecniche di liquidazione del danno biologico, il legislatore p intervenuto prevedendo la predisposizione di tabelle valide su tutto il territorio nazionale, grazie alle quali si procede alla quantificazione in termini monetari delle menomazioni all'integrità psico-fisica, lasciando però all'autorità giudiziaria il potere di discostarsi entro limiti predefiniti che tengano conto della condizione soggettiva del danneggiato, dal risultato che discenderebbe dall'applicazione automatica dei valori tabellari. Infatti si è voluto introdurre un criterio liquidatorio che da un lato consentisse una uniformità pecuniaria di base, in conformità al principio di uguaglianza in casi simili, dall'altro soddisfacesse l'esigenza di personalizzare la liquidazione per la particolarità del caso concreto. Ad oggi si ritiene dunque che le tabelle per la liquidazione del danno biologico , elaborate dal Tribunale di Milano, siano un valido criterio per la valutazione del pregiudizio.