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Giuseppe Impastato

Giuseppe Impastato, detto Peppino, è stato un giornalista e un attivista siciliano, ucciso


dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi, cittadina a pochi chilometri da Palermo, per ordine
del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Il 9 maggio 1978 è anche il giorno in cui fu
ritrovato il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, a Roma.

Il ritrovamento del corpo del presidente della Democrazia cristiana, ucciso dalle Brigate
rosse dopo 55 giorni di prigionia, oscurò completamente la notizia dell’omicidio di
Impastato.

Il giornalista siciliano, che si era candidato alle elezioni comunali con Democrazia
proletaria, fu ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio e il suo cadavere fu fatto saltare con del
tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un
fallito attentato suicida.

I mezzi d’informazione, le forze dell’ordine e la magistratura parlarono di un’azione


terroristica in cui l’attentatore era rimasto ucciso. Solo la determinazione della madre di
Peppino Felicia, e del fratello, fece emergere la matrice mafiosa dell’omicidio, riconosciuta
nel maggio del 1984 anche dall’ufficio istruzione del tribunale di Palermo.

Tuttavia, nel maggio del 1992, i giudici decisero l’archiviazione del caso, pur riconoscendo
la matrice mafiosa del delitto. Il tribunale escluse la possibilità di individuare i colpevoli.

La riapertura del caso


Nel 1994 il Centro di documentazione dedicato a Peppino Impastato presentò la richiesta
di riapertura del caso, accompagnata da una petizione popolare. Nell’istanza si chiedeva di
interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca
mafiosa di Cinisi.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, Badalamenti fu indicato
come il mandante dell’omicidio insieme al suo braccio destro Vito Palazzolo, e l’inchiesta
fu formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 fu emesso un ordine di arresto per
Badalamenti, detenuto negli Stati Uniti.

Il 5 marzo 2001 la corte d’assise di Palermo condannò Vito Palazzolo a 30 anni di carcere
per l’omicidio di Giuseppe Impastato. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti fu
condannato all’ergastolo per essere il mandante di quell’omicidio. Palazzolo e Badalamenti
sono morti in carcere.

Chi era Peppino Impastato


Giuseppe Impastato era nato in una famiglia mafiosa il 5 gennaio 1948, ma fin da ragazzo
aveva preso le distanze dai comportamenti mafiosi del padre e e aveva provato a
denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità a Cinisi. Per questo
motivo fu cacciato di casa dal padre fin da ragazzo.
Ispirato dal lavoro e dalle idee di Mauro Rostagno e di Danilo Dolci, nel 1975 Impastato
fondò il circolo culturale Musica e cultura, un’associazione che promuoveva attività
culturali e che diventò un importante punto di riferimento per i ragazzi del paese. Il circolo
si occupava di ambiente, di campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile.
Peppino assiste alla metamorfosi della mafia, che, prima confinata nell’ambito agricolo,
inizia a divenire urbana, inizia ad arricchirsi con speculazioni edilizie (nel film “I cento
passi” si vede Peppino che si unisce ai contadini che cercano di fermare le ruspe durante la
costruzione delle piste dell’aeroporto), ad infiltrarsi nella politica, nel traffico della droga
accumulando spropositati capitali e mettendo in crisi l’economia. Così egli pensa di
adottare nuovi metodi di lotta, la stampa, le fotografie degli scempi paesaggistici, la sua
famosa radio AUT da cui lanciava i suoi strali e dava voce alle classi sociali più deboli:
braccianti, pescatori, lavoratori sfruttati in nero, contadini, disoccupati, denunciando
servilismi e favoritismi. A questo degrado contrappone la legalità, la giustizia, ma
soprattutto la bellezza dell’arte, della musica e della cultura, che riteneva le armi supreme
ed efficaci per combattere l’ignoranza in cui la mafia nasceva e prosperava rigogliosa ed
invincibile e i cui esponenti divennero imprenditori, politici, funzionari della pubblica
amministrazione, tutti celati dietro ad un insospettabile perbenismo. Proprio per questo
diventa invincibile, perché la mafia non e’ un organismo antistato ma si è radicata nel
cuore dello stato gestendo rapporti politici, appalti, denaro pubblico, annidandosi nelle
istituzioni. 
10 maggio 1978. Funerali di Peppino

Il luogo del delitto Il casolare in cui sono state trovate

delle pietre macchiate di sangue.

La lista di Democrazia proletaria alle elezioni amministrative.

Sul manifesto qualcuno ha cancellato il nome di Peppino.


Il 14 maggio Peppino viene eletto con 260 voti di preferenza, DP ha il 6% .
Testi Narrativi e fumetti di Silvia Morosi grafiche di Giovanni Angeli pubblicati sul
Corriere della sera l’ 8 maggio 2017 nell’ articolo “Peppino Impastato spiegato ai
ragazzi ucciso dalla mafia per cento (e più) passi di libertà”
L’immagine di quest’uomo carismatico ha superato la morte portando con sé la testimonianza
di una vita dedicata alla lotta contro la criminalità organizzata, distaccandosi anche dalla
sua famiglia che ne faceva parte. Nel 2000 il film I cento Passi  del regista Marco Tullio
Giordana ne ripercorre tutta la sua storia fino alla morte. Il titolo prende il nome dal numero
di passi che occorre fare a Cinisi per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e
quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti.
Umberto Santino ha scritto di lui:

“Io non so, per non averlo mai visto da vicino, come Peppino sorrideva, e se sorrideva; non so
com’era quando sprofondava in una crisi di disperazione o quando faceva un comizio o scriveva
un volantino. Le immagini fotografiche che ho di lui sono scialbe e deludenti. La voce delle
registrazioni non mi dice niente di particolare. Ma ho capito e capisco, ho rispettato e rispetto,
potrei dire anche amato, quello che mi pare nucleo e radice della sua vicenda personale. Si
chiama, senza infingimenti, solitudine. Peppino è stato, o comunque si è sentito, solo dentro la
sua famiglia, nel suo paese, nella sua attività politica, e tutta la sua vita è lacerata da una
rottura originaria e volta a rimarginarla in un impegno di convivenza con gli altri, sempre
rinnovato, fino alla fine, anche se sempre, o quasi sempre, deluso.

 Claudio Fava con “Cinque delitti imperfetti”, Mondatori 1994, ha scritto:

“Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho
consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i
marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il
paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi,
cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle
persiane di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i
pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in
fondo alla Sicilia”.

Queste le frasi pronunciate da Peppino Impastato divenute un simbolo nella lotta alla mafia:

La mafia uccide, il silenzio pure.

Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che
sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la


paura e l’omertà.

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