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Il ritrovamento del corpo del presidente della Democrazia cristiana, ucciso dalle Brigate
rosse dopo 55 giorni di prigionia, oscurò completamente la notizia dell’omicidio di
Impastato.
Il giornalista siciliano, che si era candidato alle elezioni comunali con Democrazia
proletaria, fu ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio e il suo cadavere fu fatto saltare con del
tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un
fallito attentato suicida.
Tuttavia, nel maggio del 1992, i giudici decisero l’archiviazione del caso, pur riconoscendo
la matrice mafiosa del delitto. Il tribunale escluse la possibilità di individuare i colpevoli.
Il 5 marzo 2001 la corte d’assise di Palermo condannò Vito Palazzolo a 30 anni di carcere
per l’omicidio di Giuseppe Impastato. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti fu
condannato all’ergastolo per essere il mandante di quell’omicidio. Palazzolo e Badalamenti
sono morti in carcere.
“Io non so, per non averlo mai visto da vicino, come Peppino sorrideva, e se sorrideva; non so
com’era quando sprofondava in una crisi di disperazione o quando faceva un comizio o scriveva
un volantino. Le immagini fotografiche che ho di lui sono scialbe e deludenti. La voce delle
registrazioni non mi dice niente di particolare. Ma ho capito e capisco, ho rispettato e rispetto,
potrei dire anche amato, quello che mi pare nucleo e radice della sua vicenda personale. Si
chiama, senza infingimenti, solitudine. Peppino è stato, o comunque si è sentito, solo dentro la
sua famiglia, nel suo paese, nella sua attività politica, e tutta la sua vita è lacerata da una
rottura originaria e volta a rimarginarla in un impegno di convivenza con gli altri, sempre
rinnovato, fino alla fine, anche se sempre, o quasi sempre, deluso.
“Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho
consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i
marciapiedi e gonfiava i vestiti. Mi ricordo un cielo opprimente e la strada bianca che tagliava il
paese in tutta la sua lunghezza, dal mare fino alle prime pietre del monte Pecoraro. Cento passi,
cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle
persiane di Don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino, con i
pugni in tasca, tra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire in
fondo alla Sicilia”.
Queste le frasi pronunciate da Peppino Impastato divenute un simbolo nella lotta alla mafia:
Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che
sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!