Sei sulla pagina 1di 2

La Libera ritrovata

1/ La strage di Lauro

Come sapete tra poche ore la Libera ritorna tra noi bella più di prima per volontà del Comitato d’onore
dedicato al Professore Moschiano. Anche questa pagina vuole dedicare qualcosa a talr evento così
importante. Lo facciamo con semplicità, con una serie di pezzi dedicati alla storia e al profilo artistico di
questo monumento insigne di Lauro.

Di quel giorno sappiamo tutto: sabato 27 agosto del 1881. Vigilia di festa a Lauro, proprio come ora.
Quell’anno i nostri antenati vollero fare le cose in grande. La voce si era sparsa e da ogni parte stavano
accorrendo in paese venditori e bancherelle, proprio come ora.

Da Roma è sceso anche il principe Lancellotti con i suoi amici: alla festa non si manca, costi ogni sacrificio.
La voce si è diffusa nel paese: i lauretani sono davvero legati a Filippo Lancellotti. Quest’uomo meraviglioso
e generoso ha appena ricostruito il castello senza dimenticare il paese: l’asilo, le doti dei maritaggi date con
generosità, l’arrivo delle Figlie della Carità, i giardini allestiti per i bambini… e potremmo anche continuare.
“Saggio, leale, magnanimo, propugnatore infaticabile ed amoroso del progresso morale e civile del paese”:
così qualche anno dopo si dirà di lui sulla lapide che ancora leggiamo sulla facciata del Municipio.

E per il principe si fa festa: la banda che egli ha messo su lo accoglie con il suono dei mottetti, mentre in
chiesa l’ organo armoneggia prima della benedizione del Venerabile in chiesa. Si, si fa festa esattamente
come nelle pagine del Gattopardo: Donnafugata quel 27 agosto del 1881 non è in Sicilia. Quel giorno
Donnafugata è tra le montagne di Nola, e ha un nome nuovo: si chiama Lauro.

Il più contento di tutti quel giorno è Carmine Vecchione. Il Comitato gli ha detto di preparare fuochi
pirotecnici in grande stile per l’indomani, domenica 28 agosto, quando i Santi scenderanno in paese.

La voce si è sparsa e don Filippo stesso è incuriosito. “Né Carminiello… avete preparato li fochi a dovere
quest’anno ho sentito”. “Eccellenza, signor si. Anzi sapete che vi dico: stasera scendete che vi faccio vedere
un assaggio”.

Carmine diffonde la voce per il paese intero: “stasera appicciamm o ffuoc po’ principe”. E bambini a frotte
che vengono, e gente che esce per vedere l’inizio della festa.

E quando mai quegli antichi uomini si concedevano un attimo di pausa? Lavoro dalla mattina alla sera nei
campi e sui monti… mani ruvide e stracci addosso… Ma stasera no. Stasera ci si ferma. Perché è festa.

Scende il tramonto in questo sabato quasi leopardiano: la vigilia è sempre più bella della festa, è vero.

E da quelle case umili avresti sentito rumori di casse che si aprivano e l’odore di lavanda e di bucato che ti
avvolgeva di subito.

Le donne con gli scialli buoni, quelli ricamati messi solo per le grandi occasioni… E quei polsini inamidati
degli uomini, a circondare polsi stanchi e nascosti dalla giacca, per darsi la parvenza di nobili. Sì, perché
Lauro è così: sono pur sempre “figli del principe” e la forma va sempre salvata anche se a Quindici li
sfottono da tempo chiamandoli puzinielli. E pazienza! Si va avanti lo stesso…

Le ore sono passate rapidamente. Sono le nove di sera. Il principe è sceso attorniato dai suoi amici. La
piazza è gremita. Sì è la piazza del mercato, davanti al Palazzo Venezia: l’unico posto di ritrovo della Lauro
antica.

Carmine è pronto: “Eccellè, accuminciammo”. Sono le 21 e sette minuti. Canna di ferro alla mano, appena
intinta nella pece, il fuochista si avvicina al cannoncino del primo botto. Fuoco, miccia che corre… Ma
questa sera non sale nulla in cielo. Nulla si muove. Tutto vuole restare a terra. Ogni previsione balistica è
smentita. Tenacemente.

E sono ferri che si spargono dappertutto, e sono corse disperate per scansare quel petardo impazzito che
corre, e si intrufola tenacemente avvinghiato al terreno. Ed è sangue. Ed è morte.

Giovanna Sperandeo ha appena vent’anni. E’ vicina a suo padre Antonio e a sua madre Raffaella Colello. La
madre cade a terra. Disperatamente cerca la figlia ma non scorge nulla se non sangue. Il grembo giovane
della figlia, quel grembo che doveva essere la gioia e la casa di un figlio è aperto, dilaniato, sparso sul
basolato della strada.

E Francesco? Si, lui, Francesco Ferraro… Dove sta? Dove sta?, urla il padre Raffaele. Disperata Filomena
Rega, la madre che si stentava la vita con il marito a servizio nelle terre dei signori, piange, urla, stramazza a
terra con il figlio stramazzato. Francesco, quattordici anni appena non ha più nulla di umano. Smembrato,
immobile nella piazza della morte.

Non si ferma questa morte maledetta. Non conosce nessuna pietà questa corsa beffarda del petardo.
Scoppia così fragoroso tanto da frantumare vetri, spaccare infissi. E i balconi cedono. E cadono i ferri dei
davanzali.

Vittoria Rega, l’ottantenne contadina pignanese, vedova di Santo Acerra, non ha tempo di trovare riparo.
Come una spada quel ferro la trafigge, senza scampo, senza pietà.

Le urla non si fermano. Diventano disperazione, voce ferina che non trova sfogo. Non può, non sa trovarlo.
A terra burattini e marionette sono coperti di sangue. Il petardo si è fermato lì davanti, lì dove i bambini
sono corsi: al teatrino dove i ragazzi vedevano i saltimbanchi.

Angela Maria Calandrella, 34 anni appena, è venuta da Calvi con il marito Francesco Lorizza ad allestire lo
spettacolo per i bambini di Lauro. Doveva portare gioia. Fu dolore che si aggiunse al dolore. Morte che
abbracciava altra morte.

“Inter caedes et vulnera”. Tra stragi e ferite recita la lapide. Sì, fu sera maledetta, sera di sangue, sera di
corse. E nel frattempo qualcosa stava accadendo ancora… (© Severino Santorelli)

Potrebbero piacerti anche