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MIKE RAPPORT, 1848. L’anno della Rivoluzione, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2008, 580 pp.

, €
24,00.

Il centocinquantesimo anniversario delle rivoluzioni del 1848-1849 è stato occasione per riprendere
gli studi su un periodo significativo della storia europea. Fra questi va segnalata l’opera di sintesi di
Mike Rapport, storico inglese, docente al Dipartimento di Storia dell’università di Stirling, in
Scozia, e buon conoscitore della storia francese, essendo stato segretario della Società per gli studi
della storia francese dal 2000 al 2005 e redattore della rivista French History.
La rivoluzione del 1848 viene affrontata sia analiticamente, Stato per Stato, sia con considerazioni
generali che consentono una valutazione complessiva degli avvenimenti. Le cause delle sollevazioni
vengono individuate in una serie complessa di fattori, fra cui una recessione commerciale a
carattere ciclico, che si somma a una stagione di scarsi raccolti, innescando una fase che avrebbe
preso il nome della «fame degli anni Quaranta»; la percezione che i sistemi politici esistenti non
fossero in grado di rappresentare le esigenze e di tutelare gli interessi di alcuni gruppi sociali, come
gli artigiani e i fabbricanti, e degli esponenti dei ceti medi istruiti, quali gli avvocati e i funzionari, i
quali, pur temendo le sollevazioni, alla fine avrebbero condiviso alcuni obbiettivi dei rivoluzionari;
la diffusa richiesta di riforme avanzata soprattutto da settori privi di un’adeguata rappresentanza
politica. Tutto ciò determina — nonostante le differenze economiche regionali e la variegata
tipologia della struttura sociale e delle istituzioni politiche del continente — un diffuso senso di
angoscia, anche per l’incapacità dei governi di contrastare la crisi generale —, e la sensazione che si
aprisse la possibilità di un cambiamento politico. Probabilmente non furono i rivoluzionari a creare
le condizioni delle sollevazioni popolari, ma al momento opportuno essi erano pronti e in grado di
mobilitare un congruo numero di attivisti per l’azione insurrezionale.
«La rivoluzione europea del 1848 fu essenzialmente policentrica, e si espresse in una serie di
varianti locali del liberalismo, tenute insieme da estese e significative somiglianze per quanto
riguarda gli obiettivi perseguiti, le modalità con cui le rivoluzioni stesse si svolsero e i problemi
che i nuovi regimi liberali dovettero affrontare» (p. 518).
La coesione iniziale verrà meno a causa soprattutto della questione nazionale, dal momento che i
liberali avrebbero sostenuto presto le aspirazioni delle rispettive nazionalità, e della questione
sociale, «vale a dire la povertà e il dissesto provocati dalle dolorose trasformazioni economiche
che stavano avvenendo» (p. 42), che avrebbe spaventato i conservatori, la cui carta vincente sarà la
tranquillità delle popolazioni rurali e la loro ostilità, in alcuni casi decisiva, alla rivoluzione.

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