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Un minuto di saggezza...

Raccogliamo qui i testi della rubrica "Un minuto di saggezza..." presentati tra 15 settembre 1995 e il 26 giugno 1998

"Perché continui a parlare dei miei errori passati?", domandò il marito. "Credevo che avessi perdonato e
dimenticato!"
"Ho sì perdonato e dimenticato", disse la moglie, "ma voglio essere sicura che tu non dimentichi che io ho
perdonato e dimenticato". A. De Mello

Un viaggiatore disse a uno dei discepoli:


“Sono venuto da molto lontano per ascoltare il maestro, ma non trovo niente di straordinario nelle sue
parole”.
“Non ascoltare le sue parole. Ascolta il suo messaggio”.
“E come si fa?”.
“Afferra una frase che lui dice. Scuotila bene finché tutte le parole cadono. Ciò che rimarrà infiammerà
il tuo cuore”.

I discepoli erano impegnati in una Discussione del detto di Lao Tzu:


"Quelli che sanno non dicono; quelli che dicono non sanno".
Quando entrò il maestro gli chiesero cosa significassero esattamente quelle parole.
Il maestro rispose:
"Chi di voi conosce la fragranza di una rosa?"
La conoscevano tutti.
Allora disse: "Esprimetela in parole".
Tutti tacquero.

Natura
Un conferenziere spiegava come una parte delle enormi somme spese per gli armamenti nel mondo moderno
avrebbe potuto risolvere tutti i problemi materiali di ogni membro della razza umana.
L'inevitabile reazione dei discepoli dopo la conferenza fu: "Ma perché gli esseri umani sono così stupidi?".
"Perché", rispose il maestro solennemente, "la gente ha imparato a leggere libri stampati.E ha dimenticato
l'arte di leggere quelli non stampati".
"Dacci un esempio di un libro non stampato".
Ma il maestro non ne dava.
Un giorno, in risposta alla loro insistenza, disse: "Il canto degli uccelli, il suono degli insetti proclamano tutti
la verità. Le piante e i fiori indicano tutti la via. Ascoltate! Guardate! Questo è il modo di leggere!".

Filosofia
Prima di decidere di farsi discepolo,il visitatore voleva delle assicurazioni dal maestro.
"Mi puoi insegnare l'obiettivodella vita umana?".
"No".
"O almeno il suo significato?".
"No".
"Mi puoi indicare la natura della morte e della vita oltre la tomba?".
"No".
Il visitatore se ne andò pieno di disprezzo.
I discepoli erano costernati che il loro maestro avesse fatto una brutta figura.Il maestro per consolarli disse:
"A che serve comprendere la natura e il significato della vita se non l'hai mai gustata? Preferisco che
mangiate il vostro dolce piuttosto che speculiate su di esso".

Benevolenza

1
Un droghiere si recò angosciatissimo dal maestro per dirgli che di fronte al suo negozio avevano aperto un
supermercato che gli avrebbe portato via i clienti.
La sua famiglia possedeva il negozio da un secolo... e perderlo ora sarebbe stata la sua rovina, perché non
c'era nient'altro che sapesse fare.
Il maestro gli disse: "Se temi il proprietario del supermercato, lo odierai. E l'odio sarà la tua rovina"
"Cosa debbo fare?", chiese il droghiere afflitto.
"Ogni mattina esci dal tuo negozio sul marciapiede e benedici il tuo negozio augurandogli prosperità.
Poi voltati a guardare il supermercato e benedici anche quello".
"Cosa? Benedire il concorrente che mi rovinerà?".
"Ogni benedizione che gli rivolgerai tornerà a tuo vantaggio. Ogni male che gli augurerai ti distruggerà".
Dopo sei mesi il droghiere tornò per riferire che aveva dovuto chiudere il negozio come temeva,
ma era stato assunto al supermercato e ora i suoi affari erano più prosperi che mai.

Esibizione
Quando uno dei discepoli proclamò la propria intenzione di insegnare ad altri la verità, il maestro gli propose
una prova: "Tieni un discorso a cui io stesso assisterò per giudicare se sei pronto".
Il discorso fu di quelli che ispirano.
Alla fine un mendicante si avvicinò all'oratore, il quale si alzò e gli diede il suo mantello... come buon
esempio per l'assemblea.
Più tardi il maestro disse: "Le tue parole erano ispirate, figliolo, ma tu non sei ancora pronto".
"E perché no?", chiese il discepolo avvilito.
"Per due motivi. Non hai dato a quell'uomo la possibilità di esprimere le sue esigenze.
E non hai superato il desiderio di impressionare altri con la tua virtù".

Felicità
"Ho un disperato bisogno di aiuto, o diventerò matto. Viviamo in una sola stanza, mia moglie, i miei figli e i
miei suoceri. Abbiamo i nervi a pezzi, urliamo e gridiamo gli uni contro gli altri. Quella stanza è un inferno".
"Mi prometti di fare tutto quello che ti dirò?", disse il maestro gravemente.
"Giuro che farò qualunque cosa".
"Benissimo. Quanti animali avete?"
"Una mucca, una capra e sei polli".
"Prendeteli tutti nella stanza con voi. Poi torna tra una settimana".
Il discepolo era atterrito. Ma aveva promesso di obbedire!
Così prese in casa gli animali.

Una settimana dopo tornò, ridotto a un pietoso essere gemebondo: "I miei nervi sono distrutti. Lo sporco!
Il puzzo! Il rumore! Siamo tutti al limite della pazzia!".
"Torna indietro", disse il maestro, "e metti fuori gli animali".
L'uomo andò a casa di corsa. E il giorno dopo tornò, con gli occhi brillanti di gioia.
"Quant'è dolce la vita! Gli animali se ne sono andati. La casa è un paradiso... così tranquilla pulita,
spaziosa!".

2
Novembre
Durai fatica a simpatizzare col mese di novembre la cui conoscenza mi si aprì sul tema dei "morti" e dell'
"estate fredda dei morti" in una religiosità di paese che alludeva sì alla speranza della vita eterna, ma insieme
a una fredda malinconia. Quando udivo parlare dei morti sentivo la consueta, dolente espressione: "il povero
Pietro", "la povera Agnese", "i poveri Bettíni". Come se non ci fosse, in concreto, che questa "povera" morte.
Il linguaggio dei poeti della scuola elementare, peggio che mai. Quant'era pesa quella terra del Pascoli sulle
tombe! Ma scopersi poi che novembre cominciava con la festa di Tutti i Santi e che il Cielo ne conteneva,
luminosissimi e più vivi di noi, una miriade. Ricordo, dalla Messa dei Santi, l'intuizione (non conoscevo il
latino) del "segnati da ogni tribù dei figli d'Israele" con quel "dodicimila" che si ripeteva a lungo. E per un
ragazzo, abituato a contar sulle dita, dodicimila è un gran numero. La scoperta dei Santi glorificati mi ha
fatto amare novembre come un mese " solare ", anche col suo sole, malato, perché soltanto non vince la
morte, ma narra la Vita più vita che ci sia. La compagnia dei Santi mi cambiò anche lo spettacolo dei cimiteri
mentre accompagnavo il Pievano, proprio la sera dei Santi, a benedirli. Capii perfino perché, dopo la
preghiera, fuori del loro recinto ci fossero le bancarelle a vendere dolciumi. Si poteva mangiare un
croccante o un duro di menta se i "morti" erano nella luce dei Santi.
Così anche l'estate di S. Martino non era più " fredda", ma dolce e gaudiosa, come un guizzo più forte di sole
e, insieme, una parabola del Sole Celeste cui sono congiunti i nostri morti. Diventava più festa anche la festa
del vin nuovo con le serali "bruciate".

Ora non mi toccate novembre "con gli angioli e coi santi"! Mi pare un mese di eccezionali, misteriosi
incontri da meditare, dopo che la Parola di Dio e la teologia mi hanno detto tutto il possibile, che è
stupendissimo, contro la memoria dell'"estate fredda dei morti".
E quando il mese è nebbioso o piovoso, basta pensare alla "candida rosa" per stare al sole.

Pioggerella

Non so perché le descrizioni della pioggerella lenta, fine, minuscola, da un cielo grigio di nubi diradate e
informi, fra la nebbia leggera di novembre, portino sempre aggettivazioni di fastidio, di noia e di tristezza o
si introducano in una narrazione al punto in cui sta per accadere una cosa triste o vi si debbano esprimere
tristi pensieri.
Mi pare uno stereotipo convenzionale e ingiusto.
Perché la pioggerella, se sai gustarla per il verso, ha la sua gioia.
È la gioia di poter camminare, sotto l'ombrello, in libertà, senza che l'acqua a rovescio ti bagni piedi e vesti,
in un ambiente attutito che la nebbiolina conforma e assopisce, sicché tu puoi aumentare l'intensità di
pensiero e di fantasia e guardare le cose senza distrazione. Tutto appare più mite e convergente sulla quiete
fonda del pensiero e sulla invenzione non disturbata della fantasia. E vedi meglio, nel limite di quanto ti
circonda, più accentuato dal grigiore quel che in te conta: la libertà, il pensamento, la creatività, l'ascesa
all'"oltre" delle cose. L'ombrello ti diventa fascia di concentrazione, la nebbia difesa di interiorità e tu
cammini con un moto solare dentro, così vivo e così vedente da farti ringraziare la pioggerella. Quand'essa
dura esprimerebbero felicità anche le zolle della terra che sono penetrate dolcemente dall'acqua e lentamente
inzuppate senza i danni del temporale e dello scroscio. E se, fra la paradossale benemerenza della
pioggerella, mentre cammini in libertà, tu scorgi accanto a te gente che passa imbronciata e infastidita, non te
ne adontare, perché è una grazia cambiare il grigio che l'accompagna in un colore di gioia, che non è
un'invenzione fantasiosa e stramba, ma il frutto di un movimento interno, difficilmente capibile e vivibile,
sotto la pioggerella, da chi conosce soltanto l'urgenza delle faccende e non è abituato a saltar gli ostacoli.

Mi ricordo che, in un luglio bruciante, nel nord-ovest del Brasile, cadde inaspettatamente da una breve nube,
in mezzo a tanto sole, un'improvvisa pioggerella finissima. Un ragazzino nero, seguitando a mandare
allegramente il suo aquilone, mi disse: "È la pipì delle cicale".

3
L'uomo digitale
Stiamo andando velocemente verso "l'uomo digitale", quello cioè che, usando gli strumenti dell'informatica,
saprà tutto velocemente, abolendo ogni distanza. Anche i ragazzi con il personal computer, il programmatore
scolastico e, presto, i libri elettronici scritti sui dischetti magnetici, vanno abituandosi ad essere "uomini
elettronici".

Siamo sul crinale di un nuovo, grosso cambiamento dell'esistenza umana e di fronte a questo non pochi
gridano che non c'è più religione e chissà dove si va a finire. Non serve. Direi anzi che è dannoso
perché così si rinunzia alla "coscienza critica" dell'inesorabile sviluppo della scienza e della tecnologia.
Il futuro già cominciato dell'informatica non va esorcizzato, ma diretto, perché vivendo col cervello e la
memoria "fuori", affidati ai "cervelloni" e alle memorizzazioni meccaniche, non si rischi di diventare meno
uomini o uomini manipolati.

Non si può negare che l'informatica è un grande investimento utilitario per l'uomo e che il suo cammino ci
porterà a traguardi di enorme portata. È conseguenza normale del precetto divino "assoggettate la terra",
poiché in quel precetto è compresa tutta l'evoluzione del lavoro umano nei tempi, oltre il giardino dell'Eden,
sulla terra e nel cosmo.
Rimane vero però che la tecnologia ci ripropone in modo nuovo il problema dell'attività dell'uomo, perché
questi, esponendo il proprio cervello e la propria memoria agli strumenti dell'informatica, non abbia a
diventare servo della macchina. Fa impressione vedere virgolettato "l'uomo digitale". Può essere uno scherzo
giornalistico, ma in questo mondo di innamoramenti folli e di facili allucinazioni, anche uno scherzo può
mettere male. E pare intelligente parlare dell'uomo digitale, senza virgolette: sarà più facile ricordarsi che è
prima un uomo e poi manovratore degli strumenti della microelettronica.

Tribolazione
“Le calamità possono portare crescita e illuminazione”, disse il maestro.
E lo spiegò così:
Ogni giorno un uccello si riparava sui rami secchi di un albero che si ergeva in mezzo a una vasta pianura
deserta.
Un giorno una tromba d'aria sradicò l'albero costringendo il povero uccello a volare per cento miglia alla
ricerca di un riparo...
finché finalmente arrivò a una foresta di alberi carichi di frutta.

E concludeva: “Se l'albero secco fosse rimasto, niente avrebbe indotto l'uccello a rinunciare alla sua
sicurezza e a volare”.

FELICITÀ È...
La felicità è stata definita in molti modi.
Per Emerson la felicità è amicizia.
Per Thoreau è la bellezza della natura.
Per Robert Louis Stevenson è il tempo di sedere vicino al fuoco e pensare.
Per Gandhi la felicità dipende da ciò che tu puoi dare, non da ciò che puoi ricevere.
Per Buddha felice è la virtù che dura fino a tarda età, felice è la fede saldamente radicata, felice è il possesso
della sapienza, felice è evitare il peccato.
W. Beran Wolfe definì così la felicità:
"Se osservi un uomo veramente felice, lo troverai a costruire una barca, a scrivere una sinfonia, a educare il
proprio figlio, a crescere dalie a doppia corona o a cercare uova di dinosauri nel deserto di Gobi... Ma sarà
consapevole del fatto che è felice perché vive intensamente ventiquattro ore al giorno".

In ogni gioia c’è questo di splendido: che arriva immeritata, e non si può mai comperare.
(Hermann Hesse)

4
SPENSIERATEZZA
Coerentemente con la sua dottrina che niente dovesse essere preso troppo seriamente, neppure i suoi
insegnamenti, il maestro amava raccontare questa storia su se stesso:
"Il mio primo discepolo era così debole che gli esercizi lo uccisero.
Il mio secondo discepolo divenne pazzo per la serietà con cui praticava gli esercizi che gli impartivo.
Il mio terzo discepolo ha intorpidito il proprio intelletto per la troppa contemplazione.
Ma il quarto è riuscito a conservare il suo equilibrio".
"Come mai ?", chiedeva invariabilmente qualcuno.
"Forse perché è stato l’unico che si è rifiutato di fare gli esercizi".
Le parole del maestro erano soffocate da scoppi di risa.

"Gioia e amore sono le ali per le grandi imprese" (Wolfgang Goethe)

IL SEGRETO DELLA FELICITÀ

Il viaggiatore: "Che tempo farà oggi?"


Il pastore: "Il tempo che piace a me".
"Come fai a sapere che sarà il tempo che piace a te?"
"Poiché ho scoperto, signore, che non posso avere sempre ciò che mi piace, ho imparato a essere sempre
contento di quello che ho. Perciò sono sicuro che avremo il tempo che piace a me".

"La gioia più bella si trova sempre dove uno meno se lo aspetta" (Antoine Saint-Exupéry)

ZENTA MAURINA RAUDIVE

Nacque nel 1897 presso Libau (Lettonia). Costretta alla sedia a rotelle dall'età di sei anni, riuscì malgrado ciò
a frequentare le scuole superiori e quindi l'università di Riga dove ebbe poi la docenza in filosofia. Visse
l'occupazione della Lettonia da parte di russi e tedeschi e dal 1945 dovette fuggire e rifugiarsi in Germania,
in Svezia e poi nuovamente in Germania dove morì nell'aprile del 1978. Ebbe notevoli riconoscimenti per i
suoi impegni culturali, sociali e umani. La persona, l'amicizia, il coraggio, l'unità dei popoli e, in modo
particolare l'anelito alla libertà furono i valori sempre presenti nella sua travagliata esistenza e nelle sue
opere. Tra le più significative tradotte in Italia: Il lungo viaggio, Perché il rischio è bello, Le catene si
spezzano...

Dai suoi scritti

"Quando ero giovane volevo essere felice a ogni costo; oggi so che il massimo che si può raggiungere è
l'equilibrio tra rischio e rinuncia. Non rassegnarsi mai, non smettere mai - anche senza speranza - di tendere
alla vittoria"

"La felicità è effondersi in un lavoro creativo, vivere in armonia con la propria disposizione interiore"

"La cultura mette radici nella consapevolezza che esistono cose che non sono utili, ma tuttavia irrinunciabili.
Se si cerca e si promuove soltanto ciò che è utile, si distrugge alla base la cultura"

"La vera unità non si fonda sull'uguaglianza a tutti i costi, ma sul riconoscimento della varietà, sulla libera
gara, sulla tollerante cooperazione delle forze affini e opposte"

5
EDITH STEIN

Edith Stein nacque a Breslavia (oggi Wroclaw in Polonia) nel 1891. A poco più di vent'anni era già nota negli
ambienti culturali tedeschi come assistente del filosofo Edmund Husserl all'università di Friburgo.
Convertitasi al cristianesimo nel 1922 condusse un originale e impegnativo apostolato laico come scrittrice e
conferenziera integrando profondamente riflessione filosofica e ricerca teologica.
Nel 1933, entra nel Carmelo, prende il nome di "Benedicta a Cruce", ma viene raggiunta dalla persecuzione
nazista nel Monastero di Echt in Olanda dove si era rifugiata. Arrestata il 2 agosto 1942 e, insieme ad altri
ebrei, deportata ad Auschwitz, venne uccisa nella camera a gas pochi giorni dopo il suo arrivo.
Alcune sue opere significative: Vie della conoscenza di Dio, La donna, Scientia Crucis, La vita come totalità,
Una ricerca sullo Stato, La ricerca della verità

Dai suoi scritti

"Ciò che penetra nell'intimo è sempre un appellarsi alla persona. Un appellarsi alla ragione, un appellarsi
alla libertà: già la ricerca intellettuale del senso è un atto libero"

"Il fondo intimo dell'anima è la sede della più assoluta libertà"

"Il diritto di autodeterminarsi è una proprietà inalienabile dell'anima. Esso costituisce il grande mistero della
libertà personale, davanti alla quale Dio stesso si arresta"

"L'ingresso della donna nei vari rami professionali può essere una vera benedizione per tutta la vita sociale,
sia privata che pubblica, ché ella custodisca lo specifico ethos femminile"

SIMONE WEIL

Nasce a Parigi nel 1909 da famiglia ebrea. Tra il 1931 e il 1934 insegna filosofia nei licei di Puy, Auxerre,
Roanne. Quindi lascia l'insegnamento e si fa assumere in diverse fabbriche per conoscere la condizione
operaia. Nel 1936 va a combattere in Spagna, poi è in Francia, contadina nel sud, e infine emigrata a New
York. Muore nel sanatorio di Ashford, in Inghilterra, nel 1943, dopo che si è lasciata finire di stenti a
trentaquattro anni. Scrive, tra l'altro: La condizione operaia, Attesa di Dio, Oppressione e libertà, L'amore di
Dio.

Dai suoi scritti

"Una fabbrica è un luogo dove ci si urta dolorosamente, duramente, ma tuttavia anche gioiosamente, con la
vita vera"

"Dio ha messo in ogni essere pensante la capacità di luce necessaria per controllare la verità di ogni
pensiero"

"Il punto più importante è che l'amore non fa né subisce ingiustizia alcuna, né tra gli dei, né tra gli uomini"

"Concepire l'identità delle diverse tradizioni, non accostandole in base a quel che esse hanno di comune; ma
cogliendo l'essenza di ciò che ciascuna di esse ha di specifico"

"L'uomo non ha diritti se non perché ha dei doveri"

6
TECLA MERLO

Nasce a Castagnito d'Alba (Cuneo) il 20 febbraio 1894. Nel 1915 incontra don Giacomo Alberione,
fondatore della futura Famiglia Paolina. Accetta di condividere con lui il progetto di una nuova
congregazione femminile dedita all'annuncio cristiano con gli strumenti della comunicazione sociale. Il 22
luglio 1922 don Alberione la nomina prima superiora generale delle Figlie di San Paolo. Donna sapiente e
instancabile, resta alla guida dell'istituto fino alla morte, avvenuta ad Albano (RM) il 5 febbraio 1964,
quando l'opera ha raggiunto i cinque continenti e l'attività editoriale è nel suo pieno sviluppo.

Dai suoi scritti

"Se non si può essere sempre nella gioia, si può essere sempre nella pace"

"Vorrei avere mille vite per il Vangelo"

"La nostra missione ha gli stessi confini del mondo"

"Assumete la bellezza e la miseria, i traguardi e i cammini dei popoli con i quali vivete, i loro costumi, le
loro abitudini, gli stili, la festa e il dolore; tutto vi riguarda come cosa vostra. E in tutto questo predicate il
Vangelo con gli strumenti che vi sono dati"

UN MINUTO DI SAGGEZZA...
VERSO LA PASQUA TERRA DI GIOIA

La segnaletica del Calvario


(dal libro Alla finestra la speranza, Antonio Bello, Edizioni San Paolo)

Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù.

Sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole
dimensioni, che indicano snodi secondari.
Ora, per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e
troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa per imboccare l'unica
carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del Golgota (Calvario)?
Ve ne indico tre. Ma bisogna fare attenzione, perché si vedono appena. La freccia dell'accoglienza. è una
deviazione difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta diritto al cuore del Crocifisso. Accogliere
il fratello come un dono. Non come un rivale. Un pretenzioso che vuole scavalcarmi. Un possibile
concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe.
Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del
nostro egoismo: la sua carta d'identità! La freccia della riconciliazione. Ci indica il cavalcavia sul quale sono
fermi, a fare autostop, i nostri nemici. E noi dobbiamo assolutamente frenare. Per dare un passaggio al
fratello che abbiamo ostracizzato dai nostri affetti. Per stringere la mano alla gente con cui abbiamo rotto il
dialogo. Per porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di
rapporto. La freccia della comunione. Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. Non da soli. Pregando,
lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio
per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da
parte di tutti. Se no, si rompe qualcosa. A noi... discernere, al momento giusto, sulla circonvallazione del
Calvario, le frecce che segnalano il percorso della Via Crucis. Che è l'unico percorso di salvezza.

7
Il parcheggio del Calvario
(dal libro Alla finestra la speranza, Antonio Bello, Edizioni San Paolo)

Collocazione provvisoria
Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo
definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta:
collocazione provvisoria.
La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa
provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il
crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.
Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce,
non so quella di Cristo.
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine.
Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere
giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle
spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai
accumulato delusioni a non finire.
Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove
essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non
si venderà mai come suolo edificatorio.
Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce.
C'è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da
mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la
Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due
paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco
le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si
consumano tutte le agonie dei figli dell'uomo.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di
quell'orario, c'è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una
permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi
istanti alle tre del tuo pomeriggio.Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori
verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

IL MATTINO DI PASQUA
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più neppure alle mie lacrime,
e queste gioie sono tutte povere:
metterò un garofano rosso sul balcone,
canterò una canzone
tutta per lui solo.
Andrò nel bosco questa notte
e abbraccerò gli alberi
e starò in ascolto dell'usignolo,
quell'usignolo che canta sempre solo
da mezzanotte all'alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume
e all'alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: “pace!”

8
e cospargerò la terra
d'acqua benedetta in direzione
dei quattro punti dell'universo,
poi non lascerò mai morire
la lampada dell'altare
e ogni domenica mi vestirò di bianco.

Io vorrei donare una cosa al Signore,


ma non so che cosa.
E non piangerò più,
non piangerò più inutilmente;
dirò solo: avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso
poi non dirò più niente.

(Per il mattino di Pasqua, da Le opere e i giorni,


di D.M.Turoldo - G.Ravasi, Edizioni Paoline)

AL TELEFONO
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Il Padreterno è al telefono da un pezzo, molto attento a quanto dice il suo interlocutore dall'altro lato del filo.
Annuisce, sorride, gesticola come se disegnasse nell'aria qualcosa. L'angiolino segretario socchiude la porta
e gli fa cenno che sull'altra linea c'è... Ma il Padreterno fa un gesto con la mano per fargli capire di non
interrompere, mentre continua ad annuire, a sorridere e a ridere di cuore.
Il segretario torna nell'altra stanza. "Il Padreterno è molto occupato" dice "Non lo si può interrompere." "Ma
glielo hai detto che al telefono c'è il Papa?"
"Non me ne ha dato il tempo..." "Prova a farglielo dire dalla Beata Vergine, piccolino" dice il Papa.
L'angiolino va a chiamare la Beata Vergine che va, con tutta dolcezza e discrezione, a bussare alla porta dello
studio del Padreterno.
La socchiude appena. Lui le fa una strizzatina d'occhio e il gesto di pazientare.
La Beata Vergine capisce al volo e richiude dolcemente la porta. "è impossibile" dice "Si tratta di una
persona veramente importante." L'angiolino va a riferire al Papa che aspetta all'altro telefono con una certa
impazienza.
"Oh, Signore!" supplica il Santo Padre. "Va' a cercare San Giuseppe, fa' entrare in azione Sant'Antonio, vedi
se c'è da qualche parte Papa Giovanni... Sbrigati! Sono affari importanti, affari della Chiesa!"
Dietro la porta dello studio del Padreterno si è formata una piccola folla di Santi. Ma non c'è nulla da fare:
appena qualcuno socchiude l'uscio, Lui fa cenno di non interrompere e di chiudere.
Finalmente posa il ricevitore e si butta indietro sulla sua poltrona.
"O quella Valentina! Quella Valentina! ... " ride divertito. "Ogni sera mi deve raccontare per filo e per segno
che cosa ha fatto in tutta la giornata!" Suona il campanello. Entra l'angelo segretario.
"Chi era all'altro telefono?" chiede curioso il Padreterno.
"Il Papa."
"E ora dov'è?"
"Si è ritirato. Ha detto che andava a rileggersi "La notte oscura" di S. Giovanni della Croce ... "
"Presto, portagli da parte mia questo biglietto." Parla a voce alta mentre scrive: "Affido alla carità del Papa
Valentina: quattro anni, madre prostituta, padre carcerato, abitazione "baracche dell'Acquedotto Felice." E
rassicuralo. Stia contento: il Padreterno gli vuole sempre un gran bene, anche se a volte sembra un pochino
distratto (1)."

(1) Non vi turbate: davanti agli Apostoli Gesù mise un bambino. Lo dice Matteo nel suo vangelo al
capitolo 18, nei versetti 1-2.

9
COME DOPO IL DILUVIO
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Il Padreterno, dalla sua finestra, guarda verso la terra e tiene sulla mano la bianca colomba dello Spirito
Santo. Con un lieve gesto l’affida al cielo e la bianca colomba si cala ad ali aperte giù, giù, giù...
Ma dopo un poco - il Padreterno non ha ancora fatto in tempo a cominciare un lavoro - si sente un ticchettio
ai vetri. "Al solito!" dice il Padreterno sconsolato. "Non ha trovato dove posarsi..."

AL TELEVISORE
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Davanti al televisore il Padreterno segue con grande interesse la partita che si svolge nel campetto della
parrocchia di San Casimiro. Centrattacco è don Peppino, il giovane coadiutore del vecchio Parroco Don
Atanasio. Il Padreterno segue compiaciuto, sul piccolo schermo, l'andirivieni del pallone, ma ancor più
la sagoma di don Peppino giocatore. "Ma guarda che gambe!... Ma guarda che piedi!..." mormora, con giusto
orgoglio di creatore. "Che grinta! Che stile! ..." Dopo meno di un'ora entra l'angioletto segretario.
"Ha già spento?" dice.
"Eh sì, la partita è finita" risponde il Padreterno. "Ora don Peppino ha cominciato l'omelia..."

MICHELINA
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Il Padreterno ha ricevuto una lettera accoratissima, supplicante. È della mamma di Michelina: Michelina è
molto malata e rischia di morire. La madre prega, prega...Il Padreterno è molto perplesso: conosce
Michelina, l'ama di un amore struggente e non vede l'ora di averla con sé. Se dipendesse solo da lui, la
chiamerebbe subito così, nei suoi sette anni, innocente, trasparente, ridente...
Oh, quale nostalgia ha il Padreterno di Michelina! Ma, quella lettera!...
Il suo cuore è veramente diviso e non sa cosa decidere.
"Che venga qui lo Spirito Santo e per tutta la mattinata nessuno ci cerchi!" comanda con energia.
In Paradiso si fa un grande silenzio. Tutti hanno capito che c'è una decisione pesante da prendere.
Ad un tratto, però, qualcuno bussa alla porta dell'ufficio.
"Chi è?" rispondono insieme il Padreterno e lo Spirito Santo. "Non possiamo essere disturbati, lo sapete ..."
"Sono io ..." dice una voce nota mentre la porta si socchiude.
è Gesù e tiene per mano Michelina. "Ma che hai fatto?!" chiede il Padreterno, e spalanca le braccia alla
bimba che gli corre incontro. "Che hai fatto?!" ripete a Gesù.
"Veramente," dice Gesù, "non ce ne siamo accorti nemmeno. Chiacchieravo con Michelina e Michelina
chiacchierava con me... Ci siamo messi a passeggiare e, un passo dietro l'altro, ci siamo resi conto solo dopo
che avevamo oltrepassato i confini della terra ..."
"Come sono felice!" esclama il Padreterno stringendo al cuore Michelina. Poi, turbandosi un po': "E la
mamma? Che dirà la mamma?"
"La mamma ci ha gridato dietro e così abbiamo visto che eravamo da questo lato... Ma l'ho assicurata, sulla
mia parola, che di Michelina me ne sarei occupato io personalmente, che la bimba sarebbe stata bene come
se fosse andata in colonia, anzi molto meglio, e le ho garantito che l'avrebbe rivista, e presto, e che avrebbe
potuto sentirla per telefono, ogni volta che lo avesse voluto ..."
Driiin!... Driiin!... Driiin!...
"Deve essere la mamma!" grida Michelina. "è lei! è lei! ..." "Ha già cominciato a chiamare," dice il
Padreterno sorridendo. "Buon segno (1)!"

(1) Se la mamma e il papà di Gianluca, miei amici, potessero immaginare con quanto amore il Padreterno
se lo è stretto al cuore... non ce l'avrebbero tanto con Gesù che se lo è portato via e forse avrebbero
cominciato a fare... qualche telefonata.

10
RINGRAZIAMENTO
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Da stamattina il Padreterno canterella con la sua bella voce sfogliando carte, appuntando note.
L'angioletto segretario entra ed esce e guarda con aria interrogativa il suo viso così lieto.
Finalmente azzarda: "Che c'è?" "Ho ricevuto una cartolina di ringraziamento e indovina perché?
Non per i grandi monti, non per le innumerevoli stelle e neppure per il mare profondo... Senti:
"Quanto ti ringrazio, o mio Padre Dio, per avere inventato i grilli canterini, le allegre ranocchiette, le
spensierate cicale e i fiori gialli dei prati! Devono essere molto importanti, se Tu ci hai perduto il tuo
tempo..."
"Oh, guarda ..." esclama l'angioletto, "qualcuno se ne accorge... Allora non è tutta fatica sprecata!"
Il Padreterno è veramente contento.
"I grilli ..." ripete teneramente, "le spensierate cicale... Già, ci sono a volte strade così insolite per capire il
mio cuore..."

COME UN FAGIOLO (1)


(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Il Padreterno riceve una lettera firmata "Elisa": “Mio caro Padre del cielo, ho concepito un figlio, il mio
primo figlio, e sono al secondo mese di gravidanza. Mi hanno fatto vedere il mio bambino attraverso
l'ecografia: è appena due centimetri, sembra un fagiolo, però si vede già un piccolo punto, come un
granellino di senapa che batte, batte veloce: il suo cuore.
Mio caro Padre del cielo, ora mi sento molto importante e ti penso più di prima... Mi sembra che ci
somigliamo, perché - se sbaglio, mi perdoni? -per me Tu sei un Padre con grembo di madre.”
Il Padreterno scambia uno sguardo di intensa commozione con Gesù che sta seduto vicino a lui.
“Di' ai tuoi teologi dell'incarnazione che leggano qualche volta nel libro della vita per trovare parole nuove.
Pensa ...” gli sussurra, “anche tu, nel grembo di Maria, eri grande... come un fagiolo e il tuo cuore,
incarnazione della mia infinita misericordia, era piccolo piccolo come un granello di senapa.”
Gli risponde Gesù: “lo credo che tacerebbero... pieni soltanto di stupore.”
Passano alcuni mesi. Arriva sul tavolo del Padreterno un biglietto azzurro firmato ancora "Elisa":

“Mio caro Padre del cielo, è nato il mio bambino! Che meraviglia! Gli guardo le manine, i piedini, le
unghiette... Certamente io non avrei saputo inventarlo... Grazie per il capolavoro che mi hai regalato!... ”
Menicò se ne sta rannicchiato in un angolo e si liscia la coda. Ha un ghignetto maligno: “Bella
soddisfazione! Padreterno laggiù ne fanno scempio di questi capolavori...”
“Menicò, Menicò! ” scuote la testa il Padreterno che ha sentito. “lo non perdo nulla di quello che ho creato...
Io recupero tutto... Non sono, forse, il "Dio della vita"?” Però nel suoi occhi brilla una lacrima.

(1) Mi sono incontrata con una giovane nonna che, intenerita e piena di gioia e di commozione, diceva:
“Ho visto, attraverso l'ecografia, la creatura che porta in grembo mia figlia. È appena due centimetri,
sembra un fagiolo, ma già c'è dentro un puntino che batte veloce: il suo cuore...”

UN PARROCO DI CAMPAGNA
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Arriva un Parroco di campagna con le sue mani nocchierute, la veste stinta e lo sguardo paziente.
Posa sul tavolo del Padreterno un mazzolino di fiori campestri: un rametto di cedrina, un filo di spigo, una
rosellina selvatica e due foglie di menta.
“Che buon odore!” dice il Padreterno guardando con tenerezza quel piccoli fiori e le erbe odorose.

11
Il Parroco non dice nulla. Guarda anche lui con tenerezza quei fiori che i bambini del catechismo hanno
portato al suo funerale. Apre le mani quasi a dire che non ha più nulla da offrire.
“Che buon odore!...” ripete il Padreterno guardando le mani del Parroco. Poi, incontrando i suoi occhi
pazienti: “Figlio mio!...” dice sommessamente.
“Padre mio!...” risponde il vecchio Parroco.
E nulla.
Ma il Padreterno, ad un tratto, suona tutti i campanelli del suo studio e subito si riversa dentro un nugolo di
angioletti: segretari, bibliotecari, lampionari, cerimonieri, direttori di coro... Attorno al tavolo del Padreterno
c'è un gran ronzio.
Lui alza un braccio per riportare la quiete e dice: “Preparate un ingresso solenne e festoso per questo
"piccolo del Vangelo".”
Poi a quelli che ha sulla destra: “Voi... scegliete le stelle più rare, le più sconosciute e lucenti, le comete, le
girandole più capricciose per l'illuminazione...”
E a quelli di sinistra: “Voi, invece, preparate un corteo con tutte le rappresentanze del cielo: arcangeli, angeli,
santi, apostoli e martiri, vergini e confessori... E chiamate la Vergine Maria che venga incontro a questo suo
figlio devoto e che metta pure il suo diadema di dodici stelle, quello che tiene nascosto da quando sulla terra
si è fatto un gran parlare della "Chiesa povera" e degli anelli dei Vescovi...”
Un gruppetto si accalca sulla porta con degli strumenti musicali. “E voi organizzate i cori. Ci deve essere
Perosi da qualche parte in Paradiso. Rintracciatelo e fatevi dare una mano: questo vecchio prete l'amava
molto, ma dovette contentarsi del coretto parrocchiale.”
A un altro gruppo dice: “Voi... mettete lungo il cammino i fiori più belli della terra, quelli che nessuno ha mai
colto e quelli che crescono nelle profondità dei mari...”
“E voi, voi ... ” Il Padreterno dà ordini a tutti.
Lungo la strada per la quale deve snodarsi il corteo si è formata una grande folla: ci sono Santi di tutte le
epoche e di tutte le grandezze... Un Cardinale Prelato, morto da molto tempo, ma arrivato in Paradiso da
poco, allunga il collo per vedere.
“Ma dove teneva nascosta tutta quella roba il Padreterno?” dice. “Mica l'ha tirata fuori quando sono arrivato
io!”

COME DOPO IL DILUVIO... RIPROVIAMOCI...


(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Il Padreterno indugia a guardare giù, verso la terra. Il tempo sembra bello e lui ha due o tre commissioni da
far pervenire nei punti più disparati del pianeta.
“Quasi quasi ci riproverei a mandare la colomba dello Spirito Santo”, dice lanciandola delicatamente in quel
gran vuoto.
“Possiamo andarci anche noi? Avrà bisogno di aiuto...” dicono timidamente due angioletti che stanno lì,
accanto alla finestra, a guardare. Il Padreterno misura la fragilità delle loro ali trasparenti.
“Laggiù c'è un'aria molto inquinata, piccoletti. Dovrete stare molto attenti,” dice. “Ma, se proprio volete,
forse vi può servire a conoscere l'altro risvolto... Siete sempre così tra le nuvole...”
Gli angioletti frullano via. Non passa un'ora che eccoti di ritorno la colomba: tiene nel becco i due angioletti
inzaccherati.
“Siamo alle solite!” Il Padreterno è proprio costernato. “Non ha trovato ancora dove posarsi... E questi due?”
“Questi due non riuscivano più a volare... Con tutto quel fango che si trova laggiù...”

LE LACRIME DEL PADRETERNO (1)


(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

È introdotta nello studio del Padreterno una mamma arrivata da poco. Ha il cuore a pezzi - gli angeli non
glielo hanno ancora rimesso in sesto - e non ha la forza di parlare.
Posa sul tavolo del Padreterno un grosso quaderno consunto, scritto con una calligrafia fine fine e, di pagina
in pagina, sempre più incerta.

12
È un diario. C'è dentro tutta la sua povera vita, la sua storia, la storia del figlio scapestrato, del suo lungo
martirio.
Si fa un grande silenzio nello studio del Padreterno. Lui legge lentamente, rigo per rigo. Legge e piange e le
lacrime cadono sullo scritto, lo disciolgono e lo cancellano...
Poi... il Padreterno guarda la donna negli occhi, sta così ancora un poco pensando... e le dice:
“Sai, il Figlio mio non era cattivo eppure è stato causa di tanto dolore per la sua mamma....”
La donna lo guarda con occhi meravigliati.
Il Padreterno riprende a leggere e piange... Pensa a Maria? Pensa a tutte le mamme che hanno sofferto e
soffrono per i loro figli?
Legge e piange e le lacrime cadono ancora sullo scritto e lo cancellano, poi rotolano sul tavolo e scendono
giù, verso la terra.
La donna si sporge un po' per vedere dove mai vadano a finire e lo chiede in un soffio all'angioletto che le sta
accanto. Quello risponde sottovoce:
“Le lacrime del Padreterno fanno nascere i santi della tenerezza e della misericordia.”
“Come?” chiede la donna.
“Se una di esse cade nel cuore di un uomo, comincia a farlo bruciare forte forte di struggimento e di amore e
quell'uomo diventa un santo della misericordia.”
La donna aspetta che il Padreterno sollevi gli occhi dalle sue carte, ormai tutte stinte.
“Signore,” chiede timidamente, “una di quelle lacrime potrebbe cadere nel cuore del figlio mio?”

(1) Omaggio a tutte le mamme che ho conosciuto e che hanno pianto tanto per i loro figli.

FURTO SACRILEGO
(dal libro Il tavolo del Padreterno, Lia Cerrito, Edizioni San Paolo)

Per fare dispetto al Parroco di Spizzicamonti, nel giro di pochi giorni, Menicò ha fatto sparire, una dopo
l'altra, una decina di statue tra quella moltitudine che popola, affolla, ingombra altari, nicchie, colonnine e
angoli, corridoio e sagrestia della chiesa di San Simeone: due Madonne Addolorate, una con una spada nel
cuore e una con sette spade, una Vergine del Paradiso, una Sacra Famiglia al completo, un Sant'Antonio e un
San Calogero, i due fratelli Cosma e Damiano, un grosso Bambinello e un piccolo San Giuseppe, alcune
Anime Sante del Purgatorio con le loro fiamme e un certo numero di angioletti rubicondi e ben pasciuti... È
vero che ne rimane ancora un bel numero, ma un gran vuoto si è fatto nella parrocchia di San Simeone.
Il Parroco, dall'altare, ha parlato e tuonato per un'ora davanti alla folla che gremiva la chiesa per la Messa
domenicale, minacciando fulmini e proponendo veglie riparatrici, ma poi usciti tutti, ha scritto al Padreterno:
“Caro mio Padre, è vero che il sacrilegio è sempre sacrilegio ma, da quando sono state portate via più della
metà delle statue della mia chiesa, ho cominciato a sperare di poter formare per te, senza correre il rischio di
essere lapidato dai miei fedeli, un piccolo popolo di "adorati in spirito e verità"(1).”
“Oh, finalmente!” dice il Padreterno sorridendo. “C'è qualcuno che ci pensa...” Ma Menicò, sempre tra i
piedi, ha sbirciato nella posta e... il giorno dopo il Parroco di Spizzicamonti, quando apre la chiesa, si ritrova
davanti tutte le statue, coi loro visi lustri, gli sguardi immoti, le vesti impolverate ... “Caro mio Padre”, scrive
ancora al Padreterno, “le statue purtroppo sono state ritrovate.”
“Coraggio figliolo,” risponde il Padreterno. “Ricordati però che io sto ancora aspettando un popolo di
"adoratori in spirito e verità".”
Passa un po' di tempo. Un giorno si sente bussare alla porta. “Avanti!” dice il Padreterno. Entra il Parroco di
San Simeone a Spizzicamonti.
“Tu qui?” chiede stupito il Padreterno. “Un po' in anticipo sul previsto, mi pare... Come mai?”
“Lapidato, Signore!..”

(1) Il Vangelo dice proprio così. Giovanni (4, 26) ci conferma che questo è il grande desiderio di Dio.

13
SOLO UNA BACCA
(dal libro Cerchi nell'acqua, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Il piccolo stagno sonnecchiava perfettamente immobile nella calura estiva. Pigramente seduto su una foglia
di ninfea, un ranocchio teneva d'occhio un insetto dalle lunghe zampe che stava spensieratamente pattinando
sull'acqua: presto sarebbe stato a tiro e il ranocchio ne avrebbe fatto un solo boccone, senza tanta fatica. Poco
più in là, un altro minuscolo insetto acquatico, un ditisco, guardava in modo struggente una graziosa ditisca:
non aveva il coraggio di dichiararle il suo amore e si accontentava di ammirarla da lontano.Sulla riva a pochi
millimetri dall'acqua un fiore piccolissimo, quasi invisibile, stava morendo di sete. Proprio non riusciva a
raggiungere l'acqua, che pure era così vicina. Le sue radici si erano esaurite nello sforzo.Un moscerino
invece stava annegando.Era finito in acqua per distrazione. Ora le sue piccole ali erano appesantite e non
riusciva a risollevarsi. E l'acqua lo stava inghiottendo.Un pruno selvatico allungava i suoi rami sullo stagno.
Sulla estremità del ramo più lungo, che si spingeva quasi al centro dello stagno, una bacca scura e grinzosa,
giunta a piena maturazione, si staccò e piombò nello stagno.Si udì un “pluf!” sordo, quasi indistinto, nel gran
ronzio degli insetti.Ma dal punto in cui la bacca era caduta in acqua, solenne e imperioso, come un fiore che
sboccia, si allargò il primo cerchio nell'acqua. Lo seguì il secondo, il terzo, il quarto...L'insetto dalle lunghe
zampe fu carpito dalla piccola onda e messo fuori portata dalla lingua del ranocchio. Il ditisco fu spinto verso
la ditisca e la urtò: si chiesero scusa e si innamorarono.Il primo cerchio sciabordò sulla riva e un fiotto
d'acqua scura raggiunse il piccolo fiore che riprese a vivere.Il secondo cerchio sollevò il moscerino e lo
depositò su un filo d'erba della riva, dove le sue ali poterono asciugare.Quante vite cambiate per qualche
insignificante cerchio nell'acqua.

LA NUVOLA E LA DUNA
(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Una nuvola giovane giovane (ma, è risaputo, la vita delle nuvole è breve e movimentata) faceva la sua prima
cavalcata nei cieli, con un branco di nuvoloni gonfi e bizzarri.Quando passarono sul grande deserto del
Sahara, le altre nuvole, più esperte, la incitarono: “Corri, corri! Se ti fermi qui sei perduta”.La nuvola però
era curiosa, come tutti i giovani, e si lasciò scivolare in fondo al branco delle nuvole, così simile ad una
mandria di bisonti sgroppanti.“Cosa fai? Muoviti!”, le ringhiò dietro il vento.Ma la nuvoletta aveva visto le
dune di sabbia dorata: uno spettacolo affascinante. E planò leggera leggera. Le dune sembravano nuvole
d'oro accarezzate dal vento.Una di esse le sorrise. “Ciao”, le disse. Era una duna molto graziosa, appena
formata dal vento, che le scompigliava la luccicante chioma.“Ciao. Io mi chiamo Ola”, si presentò la nuvola.
“Io, Una”, replicò la duna. “Com'è la tua vita lì giù?”. “Bè... Sole e vento. Fa un po' caldo ma ci si arrangia.
E la tua?”.“Sole e vento... grandi corse nel cielo”.“La mia vita è molto breve. Quando tornerà il gran vento,
forse sparirò”.“Ti dispiace?”.“Un po'. Mi sembra di non servire a niente”. “Anch'io mi trasformerò presto in
pioggia e cadrò. È il mio destino”.La duna esitò un attimo e poi disse: “Lo sai che noi chiamiamo la pioggia
Paradiso?”.“Non sapevo di essere così importante”, rise la nuvola.“Ho sentito raccontare da alcune vecchie
dune quanto sia bella la pioggia. Noi ci copriamo di cose meravigliose che si chiamano erba e fiori”.“Oh, è
vero. Li ho visti”.“Probabilmente io non li vedrò mai”, concluse mestamente la duna.La nuvola riflettè un
attimo, poi disse: “Potrei pioverti addosso io...”.“Ma morirai...”.“Tu però, fiorirai”, disse la nuvola e si lasciò
cadere, diventando pioggia iridescente. Il giorno dopo la piccola duna era fiorita.

LA CISTERNA SCREPOLATA
(dal libro 40 storie nel deserto, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)
Erano due cisterne a distanza di qualche decina di metri. Si guardavano e, qualche volta, facevano un po' di
conversazione. Erano molto diverse. La prima cisterna era perfetta. Le pietre che la formavano erano salde e
ben compaginate. A tenuta stagna. Non una goccia della preziosa acqua era mai stata persa per causa sua. La
seconda presentava invece fenditure, come delle ferite, dalle quali sfuggivano rivoletti d'acqua.La prima,
fiera e superba della sua perfezione, si stagliava nettamente. Solo qualche insetto osava avvicinarsi o qualche
uccello. L'altra era coperta di arbusti fioriti, con volvoli e more, che si dissetavano all'acqua che usciva dalle
sue screpolature. Gli insetti ronzavano continuamente intorno a lei e gli uccelli facevano il nido sui bordi.
Non era perfetta, ma si sentiva tanto tanto felice.

14
PERCHÉ CORRI?
(dal libro Cerchi nell'acqua, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Dalla sua finestra affacciato sulla piazza del mercato il Maestro vide uno dei suoi allievi, un certo Haikel, che
camminava in fretta, tutto indaffarato. Lo chiamò e lo invitò a raggiungerlo. “Haikel, hai visto il cielo
stamattina?”. “No, Maestro”. “E la strada, Haikel? La strada l'hai vista stamattina?”. “Sì, Maestro”. “E ora, la
vedi ancora?”. “Sì, Maestro, la vedo”. “Dimmi che cosa vedi”. “Gente, cavalli, carretti, mercanti che si
agitano, contadini che si scaldano, uomini e donne che vanno e vengono, ecco che cosa vedo”. “Haikel,
Haikel - lo ammonì benevolmente il Maestro -, fra cinquant'anni, fra due volte cinquant'anni ci sarà
ancora una strada come questa e un altro mercato simile a questo. Altre vetture porteranno altri mercanti per
acquistare e vendere altri cavalli. Ma io non ci sarò più, tu non ci sarai più. Allora io ti chiedo, Haikel, perché
corri se non hai nemmeno il tempo di guardare il cielo?”.

LA FORESTA
(dal libro C'è qualcuno lassù?, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Un giorno, in un bosco molto frequentato scoppiò un incendio. Tutti fuggirono, presi dal panico. Rimasero
soltanto un cieco e uno zoppo. In preda alla paura, il cieco si stava dirigendo proprio verso il fronte
dell'incendio. “Non di là!” gli gridò lo zoppo. “Finirai nel fuoco!”. “Da che parte, allora?” chiese il cieco. “Io
posso indicarti la strada” rispose lo zoppo “ma non posso correre. Se tu mi prendi sulle tue spalle, potremmo
scappare tutti e due molto più in fretta e metterci al sicuro”. Il cieco seguì il consiglio dello zoppo. E i due si
salvarono insieme.

LA ROSA
(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Il poeta tedesco Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all'Università percorreva ogni giorno, in
compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata. Un angolo di questa via era
permanentemente occupato da una mendicante che chiedeva l'elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre
allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo. Rilke non le dava mai
nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta. Un giorno la giovane francese, meravigliata
domandò al poeta: “Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?”. “Dovremmo regalare qualcosa al suo
cuore, non alle sue mani”, rispose il poeta. E il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena
sbocciata, la depose nella mano della mendicante e fece l'atto di andarsene. Allora accadde qualcosa
d'inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da terra, prese la mano dell'uomo
e la baciò.Poi se ne andò stringendo la rosa al seno. Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto
giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel solito angolo della via. Silenziosa e immobile come
sempre. “Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulla?”, chiese la giovane
francese. “Della rosa”, rispose il poeta.

IL NEGOZIO
(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Un giovane sognò di entrare in un grande negozio. A far da commesso, dietro il bancone c'era un angelo.
“Che cosa vendete qui?”, chiese il giovane. “Tutto ciò che desidera”, rispose cortesemente l'angelo. Il
giovane cominciò ad elencare: “Vorrei la fine di tutte le guerre nel mondo, più giustizia per gli sfruttati,
tolleranza e generosità verso gli stranieri, più amore nelle famiglie, lavoro per i disoccupati, più comunione
nella Chiesa e...e ...”. L'angelo lo interruppe: “Mi dispiace, signore. Lei mi ha frainteso. Noi non vendiamo
frutti, noi vendiamo solo semi”.

15
IL MIRAGGIO
(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Un uomo si era perso nel deserto. Esaurita la scorta di viveri e di acqua, si trascinava penosamente sulle
ghiaie roventi. Improvvisamente vide davanti a sé delle palme e udì un gorgoglio d'acqua. Ancora più
sconfortato pensò: “Questo è un miraggio. La mia fantasia mi proietta davanti i desideri profondi del mio
subconscio. Nella realtà non c'è assolutamente niente”. Senza più speranza, vaneggiando, si abbandonò
esanime al suolo. Poco tempo dopo, lo trovarono due beduini. E poveretto era ormai morto. “Ci capisci
qualcosa?”, disse il primo. “Così vicino all'oasi, con l'acqua a due passi e i datteri che quasi gli cadevano in
bocca! Com'è possibile?”. Scuotendo il capo, l'altro disse: “Era un uomo moderno”.

NON SONO IN VENDITA


(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città. L'uomo e la donna guardarono a
lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sui banconi. C'erano
bambole che piangevano e ridevano, giochi elettronici, cucine in miniatura che cuocevano torte e pizze. Non
riuscivano a prendere una decisione. Si avvicinò a loro una graziosa commessa. “Vede”, spiegò la donna,
“noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori casa tutto il giorno e spesso anche di sera”. “È una
bambina che sorride poco”, continuò l'uomo. “Vorremmo comprarle qualcosa che la renda felice”, riprese la
donna, “anche quando noi non ci siamo... Qualcosa che le dia gioia anche quando è sola”. “Mi dispiace”,
sorrise gentilmente la commessa. “Ma noi non vendiamo genitori”.

IL GRILLO E LA MONETA
(dal libro L'importante è la rosa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Un saggio indiano aveva un caro amico che abitava a Milano. Si erano conosciuti in India, dove l'italiano era
andato con la famiglia per fare un viaggio turistico. L'indiano aveva fatto da guida agli italiani, portandoli a
esplorare gli angoli più caratteristici della sua patria. Riconoscente, l'amico milanese aveva invitato l'indiano
a casa sua. Voleva ricambiare il favore e fargli conoscere la sua città. L'indiano era molto restio a partire, ma
poi cedette all'insistenza dell'amico italiano e un bel giorno sbarcò da un aereo alla Malpensa. Il giorno dopo,
il milanese e l'indiano passeggiavano per il centro della città. L'indiano, con il suo viso color cioccolato, la
barba nera e il turbante giallo attirava gli sguardi dei passanti e il milanese camminava tutto fiero d'avere un
amico cosi esotico. Ad un tratto, in piazza San Babila, l'indiano si fermò e disse: “Senti anche tu quel che
sento io?”. Il milanese, un po' sconcertato, tese le orecchie più che poteva, ma ammise di non sentire
nient'altro che il gran rumore del traffico cittadino. “Qui vicino c'è un grillo che canta”, continuò, sicuro di
sé, l'indiano. “Ti sbagli”, replicò il milanese. “Io sento solo il chiasso della città. E poi, figurati se ci sono
grilli da queste parti”. “Non mi sbaglio. Sento il canto di un grillo”, ribattè l'indiano e decisamente si mise a
cercare tra le foglie di alcuni alberelli striminziti. Dopo un po' indicò all'amico che lo osservava scettico un
piccolo insetto, uno splendido grillo canterino che si rintanava brontolando contro i disturbatori del suo
concerto. “Hai visto che c'era un grillo?”, disse l'indiano. “È vero”, ammise il milanese. “Voi indiani avete
l'udito molto più acuto di noi bianchi...”. “Questa volta ti sbagli tu”, sorrise il saggio indiano. “Stai attento...
”. L'indiano tirò fuori dalla tasca una monetina e facendo finta di niente la lasciò cadere sul marciapiede.
Immediatamente quattro o cinque persone si voltarono a guardare. “Hai visto?”, spiegò l'indiano. “Questa
monetina ha fatto un tintinnio più esile e fievole del trillare del grillo. Eppure hai notato quanti bianchi lo
hanno udito?”.

16
UNA BELLA GIORNATA
(dal libro Solo il vento lo sa, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Aveva piovuto per due settimane. Poi finalmente il cielo sbocciò in una giornata tersa e profumata,
azzurrissima. Una di quelle giornate che quasi non si riesce ad immaginare. I lavori agricoli, però, erano
rimasti in arretrato e il padrone della fattoria cercava nervosamente il suo bracciante. Mandò la figlia a
rintracciarlo. La ragazza trovò il bracciante davanti alla sua baracca beatamente seduto nel prato con il sole
che gli accarezzava il volto. Lo rimproverò e lo invitò bruscamente a mettersi al lavoro. L'uomo la guardò
sorridendo e poi disse: “E tu pensi davvero che io ti possa vendere un giorno come questo?”.

PER CHI?
(dal libro Il canto del grillo, Bruno Ferrero, Editrice Elle Di Ci)

Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di Dio che, una sera, dopo una giornata passata a
consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva.
Mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e
indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere. “Per chi cammini, tu?”, chiese il
rabbino, incuriosito. Il guardiano disse il nome del suo padrone. Poi, subito dopo, chiese al rabbino: “E tu,
per chi cammini?”. Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino.

La pace come solidarietà


(dal libro Alla finestra la speranza, Antonio Bello, Edizioni San Paolo)

Non è solo il silenzio delle armi, o l’isolamento di chi non manca di nulla. La pace è comunione
Facciamo conto che, per miracolo tacessero tutti i cannoni.
E ogni arsenale si dissolvesse nel nulla.
E si disinnescassero irreversibilmente tutti gli ordigni di morte.
E si vanificasse, dalla prima all’ultima, ogni arma nucleare.
E tutti i soldati della terra tornassero a casa con in tasca il foglio di congedo illimitato.
E le cartoline precetto divenissero pezzi rari rintracciabili soltanto nelle mostre filateliche.
Ma poi gli uomini rimanessero nelle sperequazioni in cui si trovano, e le ingiustizie continuassero
indisturbate a discriminare i popoli, e la fame a uccidere gli innocenti... non ci sarebbe pace sul nostro
pianeta.
Perché la pace senza giustizia è tragica illusione.
Oggi, però, nella coscienza umana e cristiana stanno emergendo altri interrogativi.
Quando, finalmente, giustizia sarà fatta in ogni angolo della terra, ci sarà per ciò stesso la pace?
Quando, cioè, le ricchezze del mondo saranno equamente distribuite; e nessuno eserciterà sull'altro soprusi
economici; e non ci saranno più popoli egemoni e popoli subalterni, sarà finito il nostro impegno per la pace?
E quando neppure un bambino morirà più di stenti; e ogni uomo sarà garantito nella esistenza pià dignitosa; e
terzo e quarto mondo saranno divenute terminologie preistoriche, che fine faranno i movimenti per la pace?
Scioglieranno le file e apriranno magari una sezione accanto a quella dei combattenti e reduci dell'ultima
guerra mondiale?
Lo so. Le domande possono sembrare ingenue o paradossali.
Ma tendono a farci capire che, se pace non è solo silenzio delle armi, essa non è neppure semplice
raggiungimento della giustizia.
E che, se a simbolizzare la pace non basta un fucile spezzato, non è sufficiente neppure aggiungervi accanto
una bilancia con i piattelli in equilibrio.
No. La pace è comunione.

La pace non è un semplice vocabolo, ma un vocabolario

17
La pace come cammino
(dal libro Alla finestra la speranza, Antonio Bello, Edizioni San Paolo)

E per giunta, cammino in salita.

A dire il vero, noi non siamo molto abituati a legare il termine “pace” a concetti dinamici. Raramente
sentiamo, dire: “Quell'uomo si affatica in pace”, “lotta in pace”, “strappa la vita con i denti in pace”.
Più consuete nel nostro linguaggio sono, invece, le espressioni: “Sta seduto in pace”, “sta leggendo in
pace”, “medita in pace” e, ovviamente, “riposa in pace”. La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da
camera, che lo zaino del viandante. Più il conforto del salotto, che i pericoli della strada.
Più il caminetto, che l'officina brulicante di problemi.
Più il silenzio del deserto, che il traffico della metropoli.
Più la penombra raccolta di una chiesa, che una riunione di sindacato.
Più il mistero della notte, che i rumori del meriggio.

Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un “dato”, ma una conquista.
Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.
Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace non è un semplice vocabolo, ma un vocabolario

Saggezza islamica
Gabriele Mandel, Edizioni San Paolo, pag. 22

I due cappotti
Nel glorioso periodo dei Selciukidi, in Persia non c'erano negozi per la vendita di abiti già pronti;
accadeva però che alcuni sarti avessero qualche abito confezionato, a disposizione di quanti non avevano il
tempo per farselo tagliare su misura.

Da uno di questi capitò un viaggiatore che chiese: “Avete un cappotto di quelli imbottiti alla moda cinese,
sciancrati in vita come quelli indiani?”.
Dopotutto era un capo alla moda, e il sarto ne aveva appunto uno, che il viaggiatore indossò. Gli stava
proprio a pennello, e il sarto non mancò di farlo notare: “Vi va proprio su misura e costa solo cento denari.
Ne siete soddisfatto?”.
Ma il viaggiatore replicò restituendoglielo: “Ecco, come tessuto va bene, e anche come linea; ma lo vorrei
molto più ricco, con un collo di pelliccia, le manichette di pelo, una martingala di felpa e due grandi ricami,
uno a destra e uno a sinistra. Ne avete uno così?”.
Il sarto replicò: “Credo proprio di sì. Deve essere giù in laboratorio. Si accomodi, e mia moglie le preparerà
un tè, mentre io scenderò dabbasso a cercarlo”.
E via di corsa nel laboratorio dove, gettato il cappottino sul bancone e chiamati i lavoranti, subito tagliò un
colletto di pelliccia e le manichette di pelo, mentre le ricamatrici rapidamente ricamavano rami di fiori a
destra e a sinistra, e un aiutante applicava una martingala di felpa. Il lavoro venne eseguito bene e
rapidamente, e il sarto risalì trionfante esclamando: “L'ho trovato! Eccolo!”
Il viaggiatore provò il cappotto così arricchito, si dichiarò soddisfatto e chiese il prezzo.
“Quello di prima era semplice e costava cento denari, - disse il sarto – ma questo è molto più importante e ne
costa quattrocento”. Il viaggiatore, dopo aver pensato un momento, ribatté: “Cento il primo, quattrocento
questo. Bene, li compero tutti e due”.
Ovviamente non avrebbe potuto comperarli tutti e due, ed è così anche per noi.
Non cambiamo mai nel corso della nostra vita, siamo sempre gli stessi: ci evolviamo, e se a vent'anni siamo
il cappottino semplice, a sessanta siamo più ricchi di esperienze e di sapere, ma non potremo mai essere tutti
e due nello stesso tempo.

18
L'elefante nel buio
C’era un paese in cui non s'era mai visto un elefante. Anzi: la gente nemmeno sapeva che cosa fosse.
L'imperatore dell'India, per suoi interessi politici, volendo stipulare un'alleanza con il re di quel paese, gli
mandò in dono un elefante che arrivò di notte e subito venne rinchiuso in un padiglione nel giardino
dell'ambasciata, in attesa della consegna ufficiale, in pompa magna. La curiosità della gente era grande, e per
vedere com'era fatto un elefante, quattro dei più coraggiosi decisero di introdursi di soppiatto nel padiglione,
approfittando della notte e del buio. Anzi, per non farsi scoprire, non portarono con sé neanche una lanterna,
limitandosi a toccare l'animale, palpandolo ben bene e scappando poi di gran volata per tornare dagli amici
che li aspettavano impazienti. “Ecco come è fatto un elefante: - disse il primo che aveva toccato una zampa -
è come una colonna, una grande colonna tutta tonda”.
Ma il secondo, che aveva toccato la proboscide, replicò: “Niente affatto: è come una grossa corda, molto
grossa e molto lunga”.
Il terzo, che aveva toccato ben bene un orecchio dell'elefante, assicurò invece che l'animale aveva l'aspetto di
un grande, grande ventaglio; e il quarto, che aveva ispezionato la coda, affermò che dopotutto l'elefante
assomigliava proprio al codino di un maiale, ma molto più alto e ruvido.
Questo capita a chi vuol parlare delle cose senza averne una visione globale.

Ciò che è prezioso non vale


e ciò che non vale è prezioso

Un grande re chiese ad un saggio sufi di indicargli il modo migliore per manifestare la propria regalità. “Con
le buone azioni”, rispose il saggio.
Tuttavia il re rispose che le buone azioni hanno un grande valore, ma un ben scarso riconoscimento. “In
effetti - rispose il saggio - ha più valore l'apparenza”.
Sentendo questa affermazione, i cortigiani protestarono, invitando il re a non seguire i consigli di quell'uomo,
che tuttavia replicò: “Maestà, in questo basso mondo la persona più preziosa non vale niente, e la persona
che non vale niente è la più preziosa”.
“Dimostramelo - disse il re - altrimenti ti farò tagliare la testa”.
Il saggio sufi lo invitò allora ad uscire in incognito dalla reggia. Si recarono al mercato e il sufi suggerì al re
di chiedere al mercante di frutta un chilo di ciliege in regalo, con la scusa che servivano per alleviare le
sofferenze di un ammalato, anzi per salvargli la vita.
Inutilmente il re insistette: il mercante lo cacciò con male parole, e alla fine così si rivolse agli altri mercanti
ridendo: “Ne ho sentite di tutte, per portarmi via un po' di merce, ma uno che chieda un chilo di ciliege per
salvare un ammalato, mai. Questi straccioni non sanno più che cosa inventare. Vattene via, vecchio, se non
vuoi che ti bastoni”.
Il re stava per farsi riconoscere, quando il sufi lo trascinò via. Poco dopo giunsero alla riva del fiume, che in
quei giorni scorreva impetuoso, ricco delle acque del disgelo. Ad un tratto il sufi diede uno spintone al re,
che cadde in acqua e si dibatté fra le onde. Tutti accorsero per guardare lo spettacolo, ma nessuno aveva
voglia di buttarsi in acqua per salvare lo sventurato, che oramai si sentiva soccombere quando un
mendicante, proprio il più straccione della città, si buttò in acqua e trasse in salvo il re.
Allora il sufi si avvicinò al monarca e disse: “Hai visto? Quando tu, la persona più preziosa del regno, hai
chiesto un chilo di ciliege per salvare la vita di un ammalato, non hai ottenuto niente; e quando questo
mendicante, la persona che vale meno di tutti, ti ha salvato, è stato per te più importante della tua stessa
persona. Non sono le apparenze che contano, ma la sostanza. E la sostanza della qualità è solo la buona
azione che rimane ignota”.

19
L'anello magico

Un re convocò a corte tutti i maghi del regno e disse loro: “A volte mi succede d'essere triste o depresso,
per una vicenda infausta o una sfortuna palese. Altre volte una gioia improvvisa o un grande successo mi
mettono in uno stato anormale di eccitazione e non sto bene. Fatemi un amuleto che mi metta al riparo da
questi stati d'animo, siano essi dovuti alla depressione o alla gioia”.
I maghi dovettero ricusare l'incarico: una cosa è poter abbindolare gli sprovveduti con parole difficili e
pratiche non verificabili, altra cosa è incorrere nelle ire di un re con un amuleto che alla resa dei conti si
dimostra inutile.
Allora si fece avanti un saggio sufi e disse: “Maestà, domani io ti porterò un anello, e ogni volta che lo
guarderai, se sarai triste potrai essere lieto, se sarai agitato potrai calmarti. Basterà infatti che tu legga la frase
magica che vi farò incidere sopra”.
L'indomani il vecchio saggiò tornò, e nel silenzio generale, poiché non solo il re, ma i maghi e i cortigiani
tutti erano curiosi di sapere come il sufi poteva tener fede alla sua parola, porse un anello al re.
Questi lo guardò e lesse, inciso sul castone: “Anche questo passerà”.

Saggezza islamica
Gabriele Mandel, Edizioni San Paolo, pag. 60

Come chi ha pane riconosce i meriti


Un re diede al panettiere di corte l'incarico di distribuire pane ai poveri e a quanti, avendone bisogno,
venivano a chiederlo. Un giorno però gli disse: “Preparane due; uno senza sale, e nell'altro nasconderai
questi gioielli. Darai il primo a colui che considererai senza merito alcuno e il secondo a colui che riterrai
degno di molto merito.”
Il panettiere preparò i due pani e li depose su una tavola. Vengono da lui due vecchi: il primo con gli abiti del
sufi e tutti i simboli esterni d'una vita passata in meditazione e preghiera: cappello alto, turbante verde,
rosario al collo e tazza da elemosine alla cintura.
Il panettiere, giudicando dall'aspetto, gli diede il pane in cui aveva nascosto i gioielli; e diede il pane senza
sale all'altro vecchio, un tipo di poche parole, dal fare rozzo e volgare.
In effetti il vecchio vestito da sufi era un imbroglione e campava appunto abbindolando la gente col pretesto
della religione. Come ebbe tra le mani il primo pane lo palpò, lo soppesò, e pensò: “Questo è grumoso e
pesante; certo è bagnato e mal cotto, mentre quello di questo vecchio dall'aria stupida mi pare croccante e
asciutto”. Perciò si volse al compagno e gli disse: “Sarai meritevole presso Dio se rinuncerai al tuo pane in
cambio di questo, che comunque pesa di più e quindi ha più sostanza”. L'altro accettò, e lo scambio ebbe
luogo. Il falso sufi se ne andò pensando: “Ecco che ancora una volta sono stato più furbo degli altri”.
Il panettiere, assistendo alla scena, pensò: “Io ho fatto il mio dovere, e non ho colpa se è andata diversamente
da come doveva andare. D'altro canto è inutile andare contro il destino: il sufi ha fatto voto di povertà e Dio
provvede ad esaudirlo”.
Il re, che aveva assistito alla scena nascosto dietro a una grata, pensò fra sé e sé: “Il sufi è certo un grande
saggio. Si è accorto del mio dono e ha voluto gratificarne uno straccione”.
Ma lo straccione in realtà non era tale: era un grande maestro sufi, che di quei gioielli avrebbe fatto buon
uso, secondo i voleri di Dio. Anch'egli se ne andò pensando fra sé e sé: “Il vero saggio è ignoto”.

Aver misura
Un re chiese a un sufi: “Che cosa è preferibile ch'io faccia? Accrescere nel mio popolo la conoscenza o
distribuirgli più cibo?”
Il sufi rispose: “Perché la conoscenza? Se non è in grado di acquisirla ti odierà. Se non è in grado di
riconoscerla, troverà il dono inutile. Se monterà in superbia per averla acquisita, ti mancherà di rispetto. E se
non sarà in grado capirla, ti criticherà. Perché il cibo? Se ne mangerà troppo, si infiacchirà e si ammalerà. Se
penserà che lo vuoi corrompere, tramerà contro di te. Se penserà di poterne avere ancora di più, farà
sommosse e tumulti. Lascia che da solo acquisisca quanto è in grado di acquisire. Questa è la giusta misura”.

20
I tre giovani eguali
Alle orecchie del re era giunta la notizia che un maestro sufi aveva tre figli gemelli, del tutto simili, ma
così simili che era impossibile discernere l'uno dagli altri.
Incuriosito dal fatto, ma soprattutto certo di poter distinguere facilmente un giovane dagli altri, e sicuro che
una identità perfetta fra due persone non può sussistere, si recò con la sua corte alla casa del maestro sufi e
gli chiese di presentargli i tre giovani.
“Certo, maestà”, rispose quello. E dopo aver battuto le mani, sollevò una tenda, dietro la quale si trovava un
ragazzo. Abbassò poi la tenda e disse: “Questo, maestà, è il mio primo figlio”.
Batté ancora le mani, poi sollevò di nuovo la tenda e apparve un ragazzo del tutto eguale al primo. “Questo,
maestà, - disse il maestro sufi - è il mio secondo figlio, e come vedete è assolutamente identico al primo”.
Dopo aver richiuso accuratamente la tenda, batté le mani una terza volta, aprì la tenda, ed ecco un ragazzo, in
tutto straordinariamente eguale ai primi due; poi chiuse la tenda. Allora il re si volse ai cortigiani con aria
furba; poi, con un sorriso di scherno, gridò: “Vecchio, tu ci vuoi prendere in giro. Ci hai fatto vedere lo stesso
ragazzo per tre volte. Mostraci adesso i tre ragazzi insieme, o io ti faccio tagliare la testa”.
“Va bene, - rispose l'altro. - Guarda un momento da questa parte”. E, sollevata un'altra tenda, mostrò un
palchetto sul quale su tre sedie stavano seduti tre giovani, in tutto identici. Il re e i cortigiani li guardarono a
lungo, cercando di scoprire in loro possibili differenze, ma proprio non ne trovarono. Allora il vecchio chiuse
la tenda e chiese: “Maestà, siete soddisfatto adesso?”. “Sì, buon vecchio, - rispose il re. - Adesso abbiamo
proprio visto i tre giovani e siamo pienamente soddisfatti”.
“Ebbene, - riprese il vecchio - la prima volta vi ho fatto effettivamente vedere i miei tre figli, uno dopo
l'altro; ma voi non avete afferrato la realtà della scena.
La seconda volta invece vi ho fatto vedere un solo giovane, e con un gioco di specchi ne ho moltiplicato
l'immagine, cosicché avete creduto di vederne tre, come vi aspettavate. La prima volta avete visto la verità,
ma non l'avete afferrata; la seconda volta avete visto un'immagine falsa e l'avete presa per vera. E quante
volte gli uomini si comportano in questo modo!”.

L'anello benedetto
C’era una volta un re che aveva tre figli e un anello. Sì: un anello d'oro e pietre preziose così bello, che
se ne parlava perfino di là dalle frontiere, al punto che lo si riteneva magico, benedetto, simbolo del potere, e
chissà che altro. Ognuno dei figli del re sperava di ricevere in eredità quell'anello, e spesso litigavano fra di
loro per questo. Allora il re, sentendosi oramai prossimo a morire, decise di far fare dal gioielliere di corte
altri due anelli in tutto simili al suo; e vennero così ben lavorati che proprio non se ne poteva distinguere uno
dagli altri.
Quando il re morì, ognuno dei tre prìncipi ricevette un anello, ma subito cominciarono a litigare gridando:
“L'autentico è il mio. Questo è l'anello benedetto!”.
Non venendo a capo di niente, decisero di rivolgersi a un maestro sufi che albergava in una grotta sul monte,
uomo saggio, un mago che conosceva i segreti delle cose.
Giunsero da lui e, mostrandogli gli anelli, chiesero: “Quale di questi è l'autentico?”.
Il venerabile sufi guardò gli anelli, li rigirò a lungo fra le mani, poi, restituendoli, disse: “Non lo so, ma lo
posso chiedere alla terra. La terra sa tutto e mi darà la risposta”. E posato un orecchio a terra, rimase a lungo
in ascolto. Poi si alzò e disse: “Ha risposto così: di' ai tre prìncipi che io non so a chi appartiene l'anello
benedetto, ma io so che tutti e tre appartengono a me.
Litigano per un poco d'oro e di pietre, e io nel mio ventre ne ho a profusione.
Ma perché litigano, dal momento che anche loro verranno nel mio ventre?”.
I vecchi maestri sufi dicono che il re simbolizza Dio, e i tre anelli simbolizzano la religione ebraica, la
religione cristiana e la religione musulmana.

21
Dal libro Il dialogo può salvare l'amore?, di Valerio Albisetti, Paoline Editoriale Libri

La comunicazione costruttiva
La psicologia femminile e la psicologia maschile sono molto diverse tra loro e questa profonda differenza di
vivere se stessi, l'altro e il mondo circostante è la ragione vera della stragrande maggioranza dei conflitti
coniugali.Il vivere insieme, giorno dopo giorno, con psicologie diverse, acuisce inevitabilmente la
sofferenza, l'intolleranza, l'incomunicabilità, l'incomprensione tra i coniugi.
La prima cosa da non dimenticare, dunque, è che il matrimonio porta, sempre e comunque, difficoltà, crisi,
conflitti, problematiche tra l'uomo e la donna.
Iniziare a vivere insieme con la certezza che si dovrà affrontare la comunicazione con una persona con
mentalità, aspettative, attese, sogni, desideri completamente diversi dai propri, è il modo più intelligente per
inoltrarsi nella vita matrimoniale.
La comunicazione è l'unico mezzo che due coniugi possono usare per creare e mantenere tra loro vicinanza,
complicità, comprensione.
Per comunicazione non intendo soltanto quella verbale, ma anche quella dei gesti, della mimica del volto,
della postura del corpo, del comportamento, degli atteggiamenti, del tono di voce...
Molte volte si usano parole dolci o formalmente ineccepibili, ma qualcosa – un segno, una sfumatura,
un'inflessione della voce, uno sguardo - tradisce e fa capire ciò che veramente si prova.
La comunicazione fra persone di sesso diverso deve essere costruttiva, e per essere tale la comunicazione
coniugale
non deve accusare
non deve esigere
non deve deridere
non deve dominare
non deve portare rancore
non deve essere pedante
non deve essere ripetitiva.

Al contrario:
deve essere aperta, pronta al cambiamento di opinione
deve essere sincera
deve essere chiara
deve essere essenziale
deve essere sempre autentica, spontanea, mai ripetitiva o ridondante
non deve contenere lamentele o vittimismi, ma deve permettere all'uno di conoscere la profonda intimità
dell'altro deve far assumere le proprie responsabilità a chi offre soluzioni e anche a chi, invece, non le offre
ma le subisce passivamente, salvo poi essere pronto alla critica
non deve mai lanciare accuse contro l'altro, non deve mai stare sulla difensiva, ma rischiare di farci apparire
per quello che siamo, soggetti a essere criticati
non deve mai portare a vendette o punizioni, ma deve rassicurare, portare alla reciproca accettazione e al
cambiamento, alla trasformazione, in un cammino di vicendevole crescita psicologica e spirituale
non deve essere mai sleale, falsa, ma coraggiosa, sempre attiva, capace di permettere una maggiore
consapevolezza personale da parte di entrambi i coniugi.

I pericoli del silenzio

Il poter comunicare all'altro le proprie emozioni, i propri sentimenti, ma anche le preoccupazioni, le paure, i
problemi, fa parte integrante del matrimonio.
È essenziale.
In un rapporto d'amore si deve avere la possibilità di dire all'altro chi siamo.
Non si deve aver paura di scoprirsi.
Nel matrimonio potete essere voi stessi senza venire per questo rifiutati.

22
I coniugi insicuri, con poca stima per se stessi, timorosi appunto di essere rifiutati, in genere trovano sempre
alibi per non comunicare ciò che sentono.
Ma attenzione:
Credere che l'altro vi comprenda senza che voi parliate appartiene al regno delle illusioni.
Il silenzio, in genere, non viene vissuto bene nel matrimonio.
Il fatto che un coniuge stia spesso in silenzio provoca nell'altro un senso di colpa. Può essere anche vissuto
come punizione.
Molte persone sono disperate perché il coniuge risponde solo con monosillabi al loro desiderio di
comunicazione, di condivisione delle problematiche coniugali.
Purtroppo l'insistere nel domandare all'altro che cosa prova, che cosa sente, non fa altro che dare a
quest'ultimo un grande potere, quello appunto del non rispondere.
Un potere negativo di ricatto che, a lungo andare, finisce con il frustrare gravemente il coniuge che cerca
disperatamente di avere un colloquio, una comunicazione.
Alla fine, cade sul rapporto un altro grado di incomunicabilità che lo uccide.
Molte volte il silenzio è una maschera, nasconde l'incapacità di comunicare, di ammettere di avere torto,
nasconde le debolezze, la paura della realtà matrimoniale, l'irresponsabilità.
In ogni caso:
è bene evitare di usare parole vuote, senza senso, pronunciate tanto per dire qualcosa
non siate superficiali. Ho conosciuto coppie che erano convinte di comunicare, ma parlavano solo di
argomenti insignificanti o neutri, rivolti al mondo esterno
voler avere sempre ragione non è comunicare. Neppure dare ordini significa comunicare
Comunicare vuol dire accettazione, parità di diritti e doveri, uguaglianza, comprensione, lealtà, verità.

Ostacoli alla comunicazione


Quando tra marito e moglie risulta difficile comunicare, ciò può essere dovuto a un errato atteggiamento
mentale nei confronti del partner.
Ecco i meccanismi psicologici che più frequentemente impediscono un'autentica comunicazione.

MECCANISMO DELLA GENERALIZZAZIONE

Quante illusioni, quante generalizzazioni sugli uomini e sulle donne portano a profonde delusioni nel
matrimonio!
Per esempio: credere, da parte degli uomini, che la richiesta di coccole e di affetto da parte delle donne
significhi necessariamente voler far l'amore.
Oppure, da parte delle donne, credere che agli uomini piacciano soprattutto le donne passive, sottomesse, e
non quelle attive, sicure di sé.

MECCANISMO DELLA PROIEZIONE

Sono molti i coniugi che tendono a vedere nell'altro i propri difetti, i propri problemi, le proprie difficoltà.
In genere le accuse che rivolgiamo agli altri, in realtà, dovremmo rivolgerle a noi stessi.

MECCANISMO DELLA NEGAZIONE

Un altro impedimento alla comunicazione costruttiva si realizza quando un coniuge nega una realtà, un
comportamento o un atteggiamento, per lo più negativo, della propria personalità. Chi ricorre a questo
meccanismo è incapace di affrontare la realtà in modo autonomo.

MECCANISMO DEL “GIUSTIZIERE”

Molti coniugi tendono a giudicare sempre l'altro. Ogni parola, ogni frase, ogni tentativo di comunicazione
sono rivolti a far sentire l'altro in colpa per qualcosa.
Dovremmo smettere di cercare così spasmodicamente la giustizia per giustificare la nostra incapacità a
vivere pienamente la vita.

23
La buona comunicazione
Una comunicazione vera, autentica, può nascere solo se i coniugi sono in un cammino di crescita psicologica
e spirituale. Difficilmente si comunicherà se non si affronta il matrimonio come cambiamento,
risignificazione, conversione della propria vita.
Non si comunica se ci si sente sempre vittima.
Non si comunica se si vuol fare sempre e solo giustizia.
Non si comunica se si vuol cambiare il coniuge e non si guarda se stessi.
Soprattutto nelle coppie sposate da molti anni è difficile ravvivare il senso di complicità. I loro discorsi sono
sempre rivolti ai figli, ai nipoti, mai a 1oro stessi. è, come se non sapessero più parlare. Invece di chiudersi
nel pessimismo a oltranza, nel vittimismo, nel pianto o in un gelido mutismo, devono adeguarsi al reale e
accettare il loro passato fallimento per poter affrontare con successo il prossimo futuro.
Si devono trovare nuovi interessi, fare viaggi, partecipare a corsi e conferenze, visitare mostre, stringere
nuove amicizie..., in modo da stimolare vecchi desideri, antichi sogni trascurati.
Ma attenzione:
Per fare ciò bisogna abbandonare i risentimenti, i rancori, le vendette.
Ricordare i litigi, i conflitti, le reciproche meschinità, favorisce solo un ulteriore tentativo di dominio, di
volere aver ragione sull'altro.
Invece di fare le solite promesse o ricercare ossessivamente le cause di certi comportamenti, è bene
passare all'azione: azioni e comportamenti positivi, leali, aperti, creeranno un clima di autentica
comunicazione.
La buona comunicazione è azione. È una scelta. È decidere di fare la prima mossa. È avvicinarsi
comunque al coniuge ed entrare nella sua sfera di interessi.
La buona comunicazione non è egoismo.
Bisogna cercare quello che unisce, non quello che divide.
Bisogna ricordare quali sono stati, all'inizio, le caratteristiche del coniuge che ci hanno attratto, i libri che si
leggevano insieme, i film, le conversazioni, gli interessi condivisi prima della nascita dei figli, e farli
ridiventare un ponte di comunicazione interpersonale.

Come e che cosa comunicare


Non c'è una vera e propria ricetta in tal senso.
La mia esperienza consiglia di essere spontanei, autentici,e di dire la verità in modo semplice, pulito.
"Sentite" il vostro cuore mentre comunicate con il coniuge. Siate franchi, non girate intorno al problema,
esprimetevi in modo onesto, umile.
Cercate di parlare non condizionati dall'altro. Dite quello che vi sentite di dire, costi quel che costi.
E poi aspettate.
L'altro può rispondere, non rispondere o comunicare in altre forme diverse dalla parola: con gesti, con la
mimica facciale, con la postura del corpo, con uno sguardo, un sorriso, un abbraccio.
Accettate tutto con naturalezza. Non soffermatevi ad analizzare scrupolosamente le reazioni dell'altro.
Rovinereste la comunicazione.
Limitatevi a esprimere voi stessi.
Ai coniugi che non riescono a esprimere i propri sentimenti consiglio di provare a fissarli in forma di lettera.
Attenzione:
Ogni cosa che si pensa dell'altro deve essere pensata e poi detta e fatta condividere. Sono sempre più
convinto che, se in un matrimonio non si riescono a condividere dolore, sofferenza, dubbi, delusioni,
perplessità, non si possono neppure condividere l'amore, la serenità, l'intimità.
Non usate toni polemici, violenze o aggressività verbali o di comportamento. Se possibile, cercate di dire
tutto sempre, ma con pazienza e calma: il vostro messaggio giungerà meglio all'altro e servirà più
adeguatamente allo scopo.
Quando si comunica con il coniuge, si deve prima fare un'autoanalisi, un esame critico di quanto si dirà poi.
Le parole, in un rapporto d'amore, hanno peso, un grande peso: possono esaltare, come possono ferire,
distruggere.

24
Cercate di non interrompere mai l'altro mentre sta parlando o si sta sfogando: aspettate pazientemente il
vostro turno e poi con calma dite tutto ciò che pensate, costi quel che costi.
Se non capite pienamente un concetto, non abbiate timore a chiedere spiegazioni.
Siate umili nel rapporto. In caso contrario, rischiate di creare, anche inconsapevolmente, un clima di
potere, di competizione, di disuguaglianza che, alla fine, porta all'incomunicabilità più profonda e alla rottura
del rapporto stesso.
Dovete sapere chiaramente che cosa desiderate dal coniuge e che cosa l'altro desidera da voi; quali sono i
vostri valori e quali quelli del partner; quale tipo di impegno siete, in grado di assumervi e quale il partner.
Infine, due suggerimenti:
Non crediate che chiarire tutto ciò tolga, come qualcuno mi ha obiettato, poesia al matrimonio. Al contrario,
vi darà sicurezza e stabilità. Le zone d'ombra, i misteri, le illusioni, le idealizzazioni, lasciateli alla
fase dell'innamoramento, per sua natura fugace e menzognera, seppur utile.

L'arte di fraintendersi
In tutti i rapporti, anche nei migliori, esistono momenti in cui non si ha voglia di porsi in discussione oppure
si è portati a fraintendere ciò che l'altro vuol veramente comunicare. Molte volte, in questi casi, sarebbe
sufficiente usare alcuni accorgimenti e tutto diverrebbe più facile.
Ecco un esercizio che potrebbe essere utile.
I due coniugi scelgano un angolo tranquillo e isolato. Una volta soli, ognuno per conto proprio, ponete per
iscritto tre problemi che vi stanno particolarmente a cuore sui quali vorreste sapere l'opinione del vostro
coniuge.
Un consiglio:
evitate argomenti che sapete già in partenza essere punti di scontro, di gravi divergenze. Ciò non vuol dire,
ovviamente, trattare temi superficiali o ininfluenti.
A questo punto passate a trattare un argomento per volta a turno. Il clima deve essere disteso, tranquillo.
Registrate tutto. Ricordate che non state facendo questo esercizio per avere ragione o per saldare vecchi
conti in sospeso. Siete qui per rieducare e per rieducarvi a comunicare. Non siete qui per dimostrare
alcunché.
Se ciò che dice il coniuge non trova il vostro accordo, non esasperate il contrasto. Piuttosto cercate di
sentire dentro di voi che cosa succede quando l'altro si esprime in quel modo.
Provate anche a capire da dove vengono le vostre reazioni.
Da lontano? Dall'infanzia?
Forse il vostro coniuge assomiglia a una persona della vostra infanzia o della vostra adolescenza che vi era
antipatica o che temevate?
Se il vostro coniuge presenta difficoltà a comunicare, cercate di aiutarlo con domande del tipo:
Che cosa vuoi dire con questa frase? Perché ciò è così importante per te? Che cosa posso fare per te? Mi
permetteresti di renderti felice? Come?
Discutete ponendovi reciprocamente le domande, con intervalli almeno di un'ora, in cui ognuno va per
conto proprio, passeggia, legge, sbriga faccende.
Poi ci si ritrova per ascoltare insieme la registrazione.
Durante l'ascolto non parlate, non interrompete, ma annotatevi, ognun per conto proprio, ciò che vi
interessa approfondire con l'altro.
Potete ascoltare più volte la registrazione, poi discutetene.
Se possibile, evitate di finire in un litigio. Ma se accadesse, non abbiate timore. Molte volte i litigi sono
originati dalla paura di scoprirsi, dalle reazioni dell'altro, dalla paura di ferire o di essere feriti.
Non dimenticate:
In un matrimonio è doveroso esprimere dubbi, è doveroso esprimere insicurezze, e le espressioni di
tristezza, di nervosismo, di collera, non devono essere vissute come segni di rifiuto o di tradimento.
Non è necessario che si scambino sempre comunicazioni importanti, ma che si scambino tutte le
comunicazioni.

Condividere tutto significa divenire complici, significa divenire intimi, significa divenire uno pur rimanendo
due.

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Apparenza e realtà Dal libro L'arte di vivere, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Non c'era niente nel maestro che apparisse fuori dell'ordinario se non all'occhio più acuto. Poteva essere
spaventato e depresso se le circostanze lo permettevano.
Poteva ridere e piangere e adirarsi. Amava un buon pasto, non era contrario a un bicchierino o due, e si
girava anche alla vista di una bella donna.
Quando un viaggiatore si lamentò che il maestro non fosse un “sant'uomo”, un discepolo lo mise a posto:
“Una cosa è che un uomo sia santo, e tutt'altra cosa che sembri santo a te”.

Il viaggiatore Dal libro L'arte di vivere, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline

Nel secolo scorso, un turista americano fece visita al famoso rabbino polacco Hofetz Chaim.
Rimase stupito nel vedere che la casa del rabbino era solo una semplice stanza piena di libri. Gli unici mobili
erano un tavolo e una panca.
“Rabbi, dove sono i suoi mobili?” domandò il turista.
“E i suoi dove sono?” replicò il rabbino.
“I miei? Ma io sono solo in visita: sono solo di passaggio” disse l'americano.
“Anch'io”, replicò Hofetz.

Quando un uomo inizia a vivere più in profondità interiormente, vive con più semplicità esteriormente.
Ma la vita semplice, ahimè, non sempre porta con sé la profondità.

Il consesso degli animali


Dal libro L'arte di vivere, I più bei racconti di Anthony De Mello,Paoline
Gli animali si riunirono in assemblea e iniziarono a lamentarsi che gli esseri umani non facevano altro
che portar via loro qualcosa.
“Si prendono il mio latte”, disse la mucca. “Si prendono le mie uova”, disse la gallina. “Usano la mia carne
per farne pancetta”, disse il maiale. “Mi danno la caccia per il mio olio” disse la balena. E cosi via.
Infine parlò la lumaca: “Io ho qualcosa che a loro piacerebbe avere, più di ogni altra cosa. Qualcosa che mi
porterebbero sicuramente via se lo potessero. HO TEMPO”.

Avresti tutto il tempo del mondo, se solo te lo concedessi. Che cosa ti impedisce di farlo?

Cerca tu il significato
Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Un discepolo una volta si lamentava con il maestro: “Ci racconti delle storie, ma non ci sveli mai il loro
significato”.
Il maestro disse: “Che ne diresti se qualcuno ti offrisse un frutto e lo masticasse prima di dartelo?”
Nessuno può sostituirsi a te per trovare il tuo significato. Neppure il maestro.

Meraviglia
Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline

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Il monaco disse: “Tutti questi monti e fiumi e la terra e le stelle... da dove provengono tutti quanti?”
Rispose il maestro: “Da dove proviene la tua domanda?”
Guarda dentro di te! Scopri te stesso! Chi fa sorgere dentro di te questa sete di conoscere, di sapere chi sei,
da dove provieni, dove andrai oltre la morte?

Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Seguire la propria strada...
A uno spirito pionieristico scoraggiato dalle frequenti critiche il maestro disse: “Ascolta le parole del critico.
Egli rivela ciò che i tuoi amici ti nascondono”.
Ma disse anche: “Non lasciarti abbattere da ciò che il critico dice . Nessuna statua è mai stata eretta per
onorare un critico. Le statue sono per i criticati”.

Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Far parlare la vita
Quando il mistico discese dalla montagna, l'ateo gli si avvicinò dicendogli sarcasticamente: “Che cosa ci
porti di quel giardino di delizie in cui ti trovavi?”
Il mistico rispose: “Avevo tutta l'intenzione di riempire la mia veste di fiori e, tornando dai miei amici, di
fare dono di alcuni di questi fiori. Ma quand'ero là fui talmente inebriato dalla fragranza del giardino che
lasciai andare la veste”.

Il maestro zen esprime lo stesso concetto più concisamente: “Chi sa non dice. Chi dice non sa”.

Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Disporsi a crescere ogni giorno
“Il problema del mondo” disse il maestro con un sospiro, “è che gli esseri umani rifiutano di crescere”.
“Quando si può dire di una persona che è cresciuta?”, domandò un discepolo.
“Il giorno in cui non ci sarà più bisogno di mentirle su niente”.

Dal libro Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Conoscersi è capirsi
Il maestro era un sostenitore tanto dell'apprendimento quanto della saggezza.
“L'apprendere” rispose a chi glielo domandava, “si ottiene leggendo i libri o ascoltando conferenze”.
“E la saggezza?”
“Leggendo il libro che sei tu”.
E aggiunse, come ripensandoci: “Un compito tutt'altro che facile, perché ogni
minuto del giorno porta una nuova edizione del libro!”

Dal libro -Sapersi guardare dentro, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
La prova
Quando un nuovo discepolo arrivava dal maestro, questo
è il catechismo a cui di solito veniva sottoposto:
“Sai qual è la persona che non ti abbandonerà mai per tutta la vita?”
“Chi è?”
“Sei tu”.
“E conosci la risposta a ogni domanda che puoi porti?”
“Qual è?”
“TU”.

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“E sai indovinare la soluzione a ognuno dei tuoi problemi?”
“Mi arrendo”.
“Tu”.

Dal libro Canta la tua canzone, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Quanto tempo ci vuole?
“Esiste qualcosa come un minuto di saggezza?”
“Certamente”, rispose il maestro. Ma un minuto è di certo troppo corto”.
“È cinquantanove secondi troppo lungo”.
Ai discepoli sconcertati il maestro disse, poi: “Quanto tempo ci vuole per scorgere la luna?”
“E allora perché tutti questi anni di sforzi spirituali?”
“Per aprire gli occhi ci può volere tutta una vita. Vedere accade in un lampo”.

Dal libro Sii te stesso, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Due tipi di riformatori
Per quanto paradossale potesse sembrare, il maestro ripeteva sempre che il vero riformatore è una persona
capace di vedere che ogni cosa è perfetta così com'è... e capace di lasciarla stare.
“E allora perché dovrebbe desiderare di riformare qualcosa?”, protestarono i discepoli.
“Be', ci sono riformatori e riformatori: alcuni lasciano che l'azione fluisca attraverso il loro proprio essere,
mentre essi, individualmente, non fanno niente; questi sono come le persone che cambiano la forma e il
corso di un fiume. Gli altri, invece, generano la propria attività: sono come persone che si danno da fare per
rendere più umido il fiume”.

Dal libro Sii te stesso, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
L'oggi di Dio
“Non ho idea di ciò che porterà il domani, così voglio essere preparato”.
“Tu temi il domani... e non ti rendi conto che l'ieri è altrettanto pericoloso”.
Vivi pienamente nel momento presente, perché solo l'oggi vissuto in pienezza può offrirti qualcosa capace di
trasformare la tua vita.

Dal libro -Sii te stesso, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
La saggezza
Il ricco industriale del nord rimase inorridito trovando il pescatore del sud pigramente sdraiato accanto alla
sua barca a fumare la pipa.
“Perché non sei in mare a pescare?”, gli domandò l'industriale.
“Perché ho preso abbastanza pesce per oggi”, rispose il pescatore.
“Perché non ne prendi più di quanto te ne serve?” domandò l'industriale.
“Che cosa ne dovrei fare?”, disse il pescatore.
“Potresti guadagnare più soldi”, fu la risposta. “Così potresti dotare la tua barca di un motore. Allora potresti
spingerti in acque più profonde e prendere più pesce. Allora avresti abbastanza soldi per comprare reti di
nylon. Queste ti frutterebbero più pesce e più soldi. Ben presto avresti abbastanza denaro per possedere due
barche... magari un'intera flotta di barche. Allora saresti un uomo ricco come me”.
“Che cosa farei allora?” domandò il pescatore.
“Allora potresti sederti e goderti la vita”, rispose l'industriale.
“Che cosa pensi che stia facendo in questo preciso momento?”, disse il pescatore soddisfatto.

È più saggio mantenere intatta la propria capacità di godersi la vita che guadagnare un sacco di soldi.

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Dal libro -Com'è il tuo Dio?, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Lo stile dell'amore
Una pecora scoprì un buco nel recinto e scivolò fuori.
Era così felice di andarsene.
Si allontanò molto e si perse.
Si accorse allora di essere seguita da un lupo.
Corse e corse, ma il lupo continuava a inseguirla, finché il pastore arrivò e la salvò, riportandola
amorevolmente all'ovile.
E nonostante che tutti lo incitassero a farlo, il pastore non volle riparare il buco nel recinto.
Lo stile dell'amore si chiama libertà.

Dal libro Com'è il tuo Dio?, I più bei racconti di Anthony De Mello, Paoline
Godersi la partita
Gesù Cristo disse di non essere mai stato a una partita di pallone. Così ce lo portammo, il mio amico e io.
Era una feroce battaglia tra i Picchiatori protestanti e i Crociati cattolici.
I primi a segnare furono i Crociati. Gesù applaudì entusiasticamente e lanciò alto nell'aria il suo cappello.
Poi segnarono i Picchiatori. E Gesù applaudì entusiasticamente e lanciò alto nell'aria il suo cappello.
Un uomo dietro di noi apparve perplesso. Diede un colpetto sulla spalla di Gesù e domandò: “Per chi fai il
tifo, mio buon uomo?”
“Io?” rispose Gesù, ormai visibilmente eccitato dalla partita. “Oh! Io non faccio il tifo per nessuna delle due
squadre. Sono qui solo per godermi la partita”.
L'uomo si rivolse al suo vicino e sogghignò: “Hmm, un ateo!”

Storia n.20, dal libro Il canto dell'usignolo, Paoline


L'amicizia
Durante una seduta, John disse: "Ho un amico che amo profondamente. Sorprendentemente, di tanto in tanto,
provo anche del risentimento nei suoi confronti. Mi faccio in quattro per dimostragli il mio amore, ma lui
spesso sembra darlo per scontato, e io ho la fastidiosa sensazione di dargli troppo. Non mi piaccio quando
faccio così".
"C'è troppa buona volontà in te", osservò Tony, "troppa spiritualità e rimani invischiato. Nell'amicizia si
deve essere in grado di dire questo: Io ti accetto, ti sosterrò, puoi contare su di me. E voglio che tu ricambi il
mio amore. Voglio che tu sia onesto con me".

"L'amicizia è come una danza. Se resti fermo non posso ballare. In questo caso ti lascio. Non voglio
sacrificare la mia libertà. Mi farà soffrire, ma non importa".

"Devi essere pronto a rischiare un rapporto se vuoi salvarlo".

Storia n.32, dal libro Il canto dell'usignolo, Paoline

Consapevolezza
Nel corso di una passeggiata, Tony e io sedemmo sotto un albero in cima a una collinetta. Parlavamo del più
e del meno, ma le mie parole uscivano dalla testa piuttosto che dal cuore. Tony mi aveva fatto notare questa
cosa più di una volta, ma spesso me ne dimenticavo.
Alla fine toccammo l'argomento della consapevolezza. Improvvisamente lui disse: "Smetti di parlare.
Ascolta, guarda, sperimenta la bellezza del posto, gli alberi, i suoni..., quello che ci circonda. Hanno un sacco
di cose da dirti".
La conversazione cessò. Mi acquietai, in silenzio.

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Storia n.58, dal libro Il canto dell'usignolo, Paoline

Gratitudine
Tony raccontò a noi del gruppo questa piccola esperienza. Doveva andare all'estero, e un giovane
gesuita gli aveva chiesto di portargli un buon pallone da basket di marca straniera. Tony non era entusiasta di
quella commissione e si sentì sciocco quando incontrò il giovane in questione e gli presentò il pallone che
era riuscito a portarsi dietro.
"Vedendolo", disse Tony, "il giovane fece un tale salto di gioia e il suo volto s'illuminò di un tale piacere che
dimenticai tutti i problemi avuti per portargli quel pallone".
Tony ne trasse la conclusione che non è necessario ricambiare un dono con un altro dono: la gioia stessa che
si riceve nel fare un dono è la ricompensa migliore.
Mi tornò alla mente un'affermazione di Karl Barth: "La gioia è il modo più eloquente di mostrare
gratitudine".
Dal libro -Il canto degli uccelli,-Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

La ricchezza
Il marito: "Sai, cara, lavorerò sodo e un giorno saremo ricchi".
La moglie: "Siamo già ricchi, caro, perché tu hai me e io ho te. Un giorno forse avremo soldi".

Dal libro -Il canto degli uccelli, Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

La pecorella smarrita
Una parabola per gli educatori religiosi.

Una pecora scoprì un buco nel recinto e scivolò fuori.


Era così felice di andarsene.
Si allontanò molto e si perse.
Si accorse allora di essere seguita da un lupo.
Corse e corse, ma il lupo continuava ad inseguirla, finché il pastore arrivò e la salvò riportandola
amorevolmente all'ovile.
E nonostante che tutti l'incitassero a farlo, il pastore non volle riparare il buco nel recinto.

Dal libro La preghiera della rana 1,Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

L'aiuto di Dio nel deserto


Un uomo si smarrì nel deserto.
Più tardi, nel descrivere la sua terribile avventura agli amici, spiegò come, per la disperazione, si fosse
inginocchiato e avesse invocato l'aiuto di Dio.
"E Dio ha esaudito la tua preghiera?" gli chiesero.
"Oh, no! Prima che lo facesse, è arrivato un esploratore che mi ha indicato il cammino".

Dal libro La preghiera della rana 1, Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

Si comprano semi, non frutti


Una donna sognò di entrare in una nuova bottega del mercato e, con sua grande sorpresa, trovò che dietro il
banco c'era Dio.
"Che cosa si vende qui?" ella chiese.

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"Tutto ciò che il tuo cuore desidera", rispose Dio.
Non osando quasi credere alle proprie orecchie, la donna decise di chiedere le cose più belle che un essere
umano potesse desiderare.
"Voglio la pace dell'anima e la saggezza e l'assenza di paura", disse.
Poi, ripensandoci, aggiunse:
"Non per me soltanto, ma per tutte le persone della terra".
Dio sorrise: "Credo che tu abbia capito male, mia cara",
disse. "Qui non si vendono i frutti, ma solo i semi".
Dal libro La preghiera della rana 1, Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

Manda il tuo cuore sulle montagne


Un vecchio pellegrino percorreva nel cuore dell'inverno il cammino che porta alle montagne dell'Himalaya,
quando cominciò a piovere. Il custode della locanda gli disse: "Come farai, buon uomo, ad arrivare fin lassù
con questo tempaccio?"
Il vecchio rispose allegramente: "Il mio cuore è già arrivato, seguirlo è facile per l'altra parte di me".
Dal libro La preghiera della rana 1,Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

Gesù Cristo si dichiara colpevole


"Prigioniero", proclamò il Grande Inquisitore, "siete accusato di aver incoraggiato la gente a violare la legge,
le tradizioni e le usanze della nostra santa religione.
Siete colpevole o innocente?"
"Colpevole, Vostro Onore".
"E in quanto a frequentare la compagnia di eretici, prostitute, pubblici peccatori, esattori delle imposte,
colonialisti e oppressori della nazione, in breve tutti gli scomunicati?"
"Colpevole, Vostro Onore".
"Infine, siete accusato di aver modificato, corretto e messo in questione i sacri dogmi della nostra fede.
Colpevole o innocente?"
"Colpevole, Vostro Onore".
"Come vi chiamate, prigioniero?"
"Gesù Cristo, Vostro Onore".
Alcuni si spaventano nel vedere mettere in pratica la propria religione con la stessa intensità di quando la
sentono contestare.

Dal libro Il canto degli uccelli, Anthony de Mello, Paoline Editoriale Libri

Alzati e fatti riconoscere


Per dire la verità così com'è ci vuole molto coraggio se si appartiene a un'istituzione. Per sfidare l'istituzione
stessa ci vuole ancora più coraggio. Fu questo che fece Gesù.
Quando Kruscev pronunciò la famosa denuncia dell'epoca staliniana, si dice che qualcuno, in parlamento,
abbia esclamato:
"Dov'eri tu, compagno Kruscev, quando tutte queste persone innocenti venivano massacrate?".
Kruscev smise di parlare, girò lo sguardo nella sala e disse: "Per favore, si alzi chi ha detto questo".
Ci fu grande tensione nella sala. Nessuno si alzò.
Allora Kruscev disse: "Bene, ora hai la risposta, chiunque tu sia.
Io ero allora nella stessa identica posizione in cui tu ora ti trovi".
Gesù si sarebbe alzato.

La domanda più importante

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Durante il mio secondo mese di scuola per infermieri, il nostro professore ci fece fare un test a sorpresa. Io
ero uno studente diligente e risposi facilmente a tutte le domande, finché lessi l'ultima: "Come si chiama la
signora che fa le pulizie nella scuola?". Sicuramente questo era una specie di
scherzo. Avevo visto la signora delle pulizie molte volte. Era alta, con i capelli scuri, sulla cinquantina, ma
come avrei potuto sapere il suo nome? Consegnai il mio foglio, lasciando in bianco l'ultima domanda.
Prima che la lezione finisse, uno studente chiese se l'ultima domanda avrebbe contato nella graduatoria del
nostro test.
"Certamente", disse il professore. "Nella vostra professione incontrerete molte persone. Tutte sono
significative. Esse meritano la vostra attenzione e cura, anche se tutto quello che fate è sorridere e dire ciao".
Non ho mai dimenticato quella lezione. E ho anche imparato che la signora si chiamava Dorothy.

Un passaggio sotto la pioggia


Una notte, verso le 23.30, una donna afro-americana si trovava sul bordo di un'autostrada dell'Alabama
cercando di resistere a un violento temporale. La sua macchina si era rotta e aveva disperatamente bisogno di
un passaggio.
Bagnata fradicia, decise di fermare la prima macchina che fosse passata. Si fermò per aiutarla un giovane
uomo bianco, fatto inusuale in quegli anni sessanta carichi di conflitti. L'uomo la portò al sicuro, l'aiutò e la
mise su un taxi. La donna sembrava avere grande fretta. Prese nota del suo indirizzo, lo ringraziò e partì.
Passarono sette giorni e qualcuno bussò alla porta del giovane. A sorpresa, fu consegnato alla sua porta un set
enorme composto di televisore a colori e registratore. Era accompagnato da un biglietto speciale, che diceva:
Caro signor James:
grazie infinite per avermi assistito sull'autostrada l'altra notte. La pioggia aveva inzuppato non solo i miei
abiti ma anche il mio spirito. Poi è arrivato lei. Per merito suo sono riuscita ad arrivare al capezzale di mio
marito proprio prima che morisse. Dio la benedica per avermi aiutato e per aver servito disinteressatamente il
prossimo.
Sinceramente,
signora Nat King Cole

15 centesimi
Ai tempi in cui un gelato con sciroppo e frutta costava molto meno, un ragazzo di dieci anni entrò nel bar di
un albergo e si sedette a un tavolo. Una cameriera mise un bicchiere di acqua davanti a lui. "Quanto costa un
gelato con sciroppo e frutta?".
"50 centesimi" replicò la cameriera.
Il ragazzino tirò fuori la mano dalla tasca ed esaminò il numero di monete che aveva. "Quanto costa una
porzione di gelato normale?" s'informò.
Alcune persone stavano cercando un tavolo e la cameriera era un po' impaziente. "35 centesimi" disse
bruscamente.
Il ragazzino contò ancora le monete. "Prendo il gelato normale" disse.
La cameriera portò il gelato, mise il conto sul tavolo e se ne andò. Il ragazzo finì il gelato, pagò al cassiere e
se ne andò. Quando la cameriera ritornò, iniziò a pulire il tavolo e rimase di stucco per quello che vide.
Accanto al piatto vuoto, messi ordinatamente, c'erano 15 centesimi, la sua mancia.

L'ostacolo sul nostro cammino


Nei tempi antichi, un re aveva un grande masso su una carreggiata. Allora si nascose e si mise a osservare,
per vedere se qualcuno avrebbe rimosso l'enorme roccia. Alcuni dei mercanti più ricchi del regno e alcuni
cortigiani passarono di lì e semplicemente le girarono intorno. Altri, ad alta voce, incolparono il re di non
tenere le strade pulite, ma nessuno fece qualcosa per togliere dalla strada la pietra. Poi arrivò un contadino
che portava un carico di verdura. Avvicinandosi al grande masso, il contadino mise per terra il suo peso

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e provò a spostare la roccia verso un lato della strada. Dopo molte spinte e sforzi, finalmente ci riuscì.
Mentre raccoglieva il suo carico di verdura, notò un portamonete sulla strada, dove prima c'era il masso. Il
borsellino conteneva molte monete d'oro e un biglietto da parte del re, che diceva che l'oro era per la
persona che avrebbe rimosso il masso dalla carreggiata. Il contadino imparò quello che molti altri non
comprenderanno mai. Ogni ostacolo presenta un'opportunità per migliorare la propria condizione.

Un discepolo ebreo domandò al maestro:


"Quale opera buona debbo fare per essere gradito a Dio?"
"Come posso saperlo?", rispose il maestro. "La tua Bibbia dice che Abramo praticava l'ospitalità, e Dio era
con lui. David governava un regno, e Dio era con lui".
"C'è un modo per scoprire il lavoro che mi è stato assegnato?"
"Sì. Cerca l'inclinazione più profonda del tuo cuore e seguila".

A. De Mello

A un discepolo che si lamentava dei propri limiti il maestro disse: "È vero, sei limitato. Ma hai notato che
oggi riesci a fare cose che avresti ritenuto impossibili quindici anni fa? Cos'è cambiato?"
"Sono cambiate le mie capacità".
"No. Sei cambiato tu".
"E non è la stessa cosa?"
"No. Tu sei quello che pensi di essere. Quando il tuo modo di pensare è cambiato, tu sei cambiato".

A. De Mello

Il Maestro era un sostenitore tanto dell'apprendimento quanto della saggezza.


"L'apprendere", rispose a chi glielo domandava," si ottiene leggendo i libri o ascoltando conferenze".
"E la saggezza?"
"Leggendo il libro che sei tu".
E aggiunse, come ripensandoci: "Un compito tutt'altro che facile, perché ogni minuto del giorno porta una
nuova edizione del libro!"
A. De Mello

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