dell’eroe decadente che esisteva dentro del nostro poeta.
A differenza dei due eroi dell’antichità, il Nostro
è un pover uomo, discendente da una famiglia di contadini romagnoli anziché dagli Dei, dalle ninfe o dai re. Ma, come loro, Pascoli era un eroe. Lo è ancora adesso, e quelle sue parole hanno vaticinato quello che sarebbe successo dopo la sua morte, e oggi, gli occhi ammirati dei suoi lettori si riempiono di lacrime quando leggono le sue poesie. In Pascoli ci sono dei periodi nei quali il topos dell’agreitudo amoris è ricorrente, possiamo dire che comincia nella seconda stagione, finita quella dell’eroe dionisiaco, quando si reca a Sogliano a trovare le sorelle, e finisce con l’inizio della terza stagione. Quello che per Montale si trasformerà nel male di vivere, nel Nostro invece è un male di amore. Vorrei riportare alcune parole del professor Massimo Ciavolella a proposito della malattia d’amore: